XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Lunedì 23 maggio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ATTUAZIONE DELLA LEGISLAZIONE IN MATERIA DI ADOZIONI ED AFFIDO

Audizione di Beatrice Lorenzin, Ministro della salute, di Vincenzo Amendola, Sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale, di Massimo Cesare Bianca, libero docente di diritto civile e di rappresentanti del Centro italiano aiuti all'infanzia (CIAI).
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 ,
Lorenzin Beatrice (AP) , Ministro della salute ... 3 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 10 ,
Verini Walter (PD)  ... 10 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 10 ,
Lorenzin Beatrice (AP) , Ministro della salute ... 10 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 10 ,
Lorenzin Beatrice (AP) , Ministro della salute ... 10 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 10 ,
Amendola Vincenzo (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale ... 10 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 13 ,
Bianca Massimo Cesare , libero docente di diritto civile ... 14 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 ,
Bianca Massimo Cesare , libero docente di diritto civile ... 14 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 ,
Bianca Massimo Cesare , libero docente di diritto civile ... 14 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 ,
Bianca Massimo Cesare , libero docente di diritto civile ... 14 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 ,
Bianca Massimo Cesare , libero docente di diritto civile ... 14 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 ,
Bianca Massimo Cesare , libero docente di diritto civile ... 15 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 ,
Bianca Massimo Cesare , libero docente di diritto civile ... 15 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 ,
Bianca Massimo Cesare , libero docente di diritto civile ... 15 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 18 ,
Bianca Massimo Cesare , libero docente di diritto civile ... 19 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 19 ,
Bianca Massimo Cesare , libero docente di diritto civile ... 19 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 20 ,
Crestani Paola , Presidente del Centro italiano aiuti all'infanzia (CIAI) ... 20 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 27 ,
Crestani Paola , Presidente del Centro italiano aiuti all'infanzia (CIAI) ... 27 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 27

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 14.25.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Beatrice Lorenzin, Ministro della salute, di Vincenzo Amendola, Sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale, di Massimo Cesare Bianca, libero docente di diritto civile e di rappresentanti del Centro italiano aiuti all'infanzia (CIAI).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'attuazione della legislazione in materia di adozioni ed affido, di Beatrice Lorenzin, Ministro della Salute, di Vincenzo Amendola, Sottosegretario di Stato del Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, di Massimo Cesare Bianca, libero docente di diritto civile e di Paola Crestani, Presidente del Centro italiano aiuti all'infanzia (CIAI).
  Do la parola al Ministro Beatrice Lorenzin.

  BEATRICE LORENZIN, Ministro della salute. Buonasera. Ringrazio l'onorevole presidente e gli onorevoli commissari per avermi permesso di sostenere questa audizione e per avermi invitato a parlare su una materia che tocca soltanto una parte delle competenze del mio Ministero, ma che io ritengo essere estremamente delicata e importante. Essa, in realtà, si ripercuote sulla salute psicofisica dei tanti minori, ad esempio, in stato di abbandono nel nostro Paese, così come nella possibilità di accedere all'adozione internazionale da parte di tante famiglie desiderose di seguire questo percorso che, ricordiamoci, alla fine è nell'interesse totale dei minori, che trovano in questo modo la cura, l'affetto e l'amore di una famiglia.
  Il diritto alla salute, come è noto, è sancito dalla nostra Costituzione ed è riconosciuto a qualsiasi individuo, a maggior ragione ai soggetti più piccoli, tant'è vero che la salute materno-infantile ha da sempre costituito un obiettivo prioritario di politica sanitaria.
  La promozione attiva della salute della donna, dello sviluppo e dell'assistenza al bambino nelle varie fasi dell'età evolutiva, dell'infanzia e dell'adolescenza ha, infatti, trovato da sempre particolare attenzione nei Piani sanitari nazionali e, più specificatamente, già prima dell'anno 2000, nel «Progetto obiettivo materno-infantile» e nell'accordo Stato-regioni relativo alla costituzione dei cosiddetti «percorsi nascita» fino al 2010.
  A breve verrà sottoscritto un nuovo accordo Stato-regioni sulle linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali in area pediatrico-adolescenziale, che potremmo chiamare un percorso crescita che si fonda sui principi di equità, facilità di accesso, appropriatezza, qualità e sicurezza, ma anche sullo sviluppo di tutte le professionalità sanitarie e sul coinvolgimento delle comunità al fine di individuare meglio i bisogni per garantire il diritto alla salute dei bambini e degli adolescenti e trovare soluzioni Pag. 4adeguate e appropriate, integrando al meglio i tre setting assistenziali, cioè l'ospedaliero, il territoriale e l'assistenza di base.
  A questo proposito, vorrei dire che per quanto riguarda la condizione dei bambini in stato di abbandono o di semi-abbandono ospiti delle comunità – questo è fuori relazione, lo dico dall'esperienza che ho come Ministro della salute ma anche personale – le aree del territorio non sono tutte uguali, sia riguardo all'assistenza sanitaria sia riguardo all'assistenza sociale. Noi ci occupiamo della parte sanitaria, ma spesso i due aspetti dovrebbero in realtà interagire e integrarsi completamente.
  Vi rendete conto che un assistente sociale con 3.000 minori con difficoltà e fragilità in carico è difficile che possa garantire un'assistenza. Inoltre, ci sono bambini in difficoltà, anche presso case famiglia, che avrebbero necessità di un'assistenza psicologica, perché vengono da situazioni di travaglio, sofferenza e violenza, ma che non ce l'hanno. Ecco la necessità di un coordinamento diverso tra il lavoro delle aziende sanitarie locali (ASL), quindi, della regione e dei comuni, per quanto riguarda il circuito di presa in carico totale del minore, che non significa semplicemente dargli da mangiare ma garantirgli un'assistenza psicofisica, soprattutto in una fase così delicata come quella dell'età evolutiva e in una fase in cui si trova in una condizione di estremo disagio.
  La strategia generale di intervento per la tutela della donna e del bambino ha previsto nel tempo diversi interventi educativi e formativi per operatori sanitari e genitori, ed è stata tra i temi inseriti nel Manifesto per la salute femminile, da me sottoscritto lo scorso 22 aprile in occasione della prima Giornata nazionale della salute della donna, in cui abbiamo stipulato un decalogo di azioni di intervento da inserire nei nostri piani nazionali prevenzione e nei nostri piani di programmazione di azioni sulla salute della donna e del fanciullo.
  È evidente che nel caso dei bambini adottivi ci sono criticità aggiuntive. Qui parliamo non dei bambini che sono in attesa di un affido o sono «semi-assistiti» da case famiglia o comunità, a volte a livello diurno o settimanale, ma entriamo nel tema delle adozioni. È evidente che nel caso dei bambini adottivi ci sono delle criticità aggiuntive, sia per gli stessi bambini che per le loro famiglie, e tali criticità devono essere affrontate in modo interdisciplinare a livello nazionale e, per alcuni aspetti, anche a livello internazionale. L'adozione, sia essa nazionale o internazionale, rappresenta l'ultima possibilità concessa ai bambini deprivati dall'imprescindibile diritto ad una famiglia e privi di qualsiasi assistenza affettiva ad essere finalmente accolti in un ambiente caldo e accudente, che sappia dare loro quel senso di stabilità e quelle certezze indispensabili per un sano sviluppo psicofisico.
  Il termine «adozione» deriva dal latino «adoptio» ed è composto dal prefisso «ad» che significa «verso, a» e dalla parola «optio» che significa «scelta, desiderio». Quindi, il termine «adozione» indica l'atto di scegliere. Il modo di interpretare tale termine, però, è notevolmente cambiato nel corso degli anni. In passato, infatti, l'adozione era intesa come vera e propria scelta del genitore nei confronti di un determinato minore. Si pensi solo, ad esempio, a quello che accadeva nell'ambito delle famiglie contadine, nelle quali lo strumento adottivo era un mezzo per assicurarsi forza lavoro. Con il passare del tempo, pur essendo scomparse tali forme di cessione dei figli, l'istituto adottivo, pur pervaso dalla nobile intenzione di dare una famiglia a un minore in stato di abbandono è stato più volte utilizzato per consentire agli adulti di soddisfare il loro bisogno di genitorialità.
  Il porre l'interesse dell'adulto in primo piano, nella convinzione che chi si approccia all'adozione sia un benemerito che salva un bambino da una vita senza affetti, ha portato in passato a legittimare fenomeni riprovevoli e atrocemente dolorosi, quali la compravendita di minori e i rapimenti di bambini a scopo adottivo. La Convenzione firmata all'Aja il 29 maggio 1993 ha voluto definitivamente porre fine a tali fenomeni, accogliendo, innanzitutto, quanto già affermato dalla Dichiarazione dei diritti del fanciullo del 1959, cioè la Pag. 5priorità dell'interesse del minore rispetto agli altri interessi coinvolti nella Nazione.
  In questo contesto, tutta la giurisprudenza, ma anche la nostra azione – penso ad esempio alle perizie psicologiche che vengono effettuate – sposta il focus dai genitori all'adottando, quindi, all'interesse prioritario del bambino ad avere accesso a tutto il meglio possibile per il suo sviluppo futuro.
  Noi abbiamo avuto, in questi mesi, dibattiti abbastanza accesi su questo tema e il Parlamento si è espresso in modo unanime, ultimamente. Credo che ci sia di fondo un grande interesse, perché a tutti sta a cuore il futuro dei bambini. Quindi è necessario trovare dei percorsi e un sistema che garantiscano ai bambini il massimo delle opportunità e dei diritti. Chi difende i diritti dei minori? Alla fine siamo noi che dobbiamo difenderli da qualsiasi tipo di abuso, garantendo l'interesse maggiore a loro e alla mamma.
  In questo contesto, noi dobbiamo affrontare due aspetti. Uno è quello dell'adozione internazionale, dove sicuramente si stanno registrando grandi difficoltà. Poi entrerò anche nel merito dell'assistenza psicologica. Sull'adozione internazionale, prima di tutto c'è un problema economico, poiché un'adozione internazionale viene a costare alle famiglie tra i 35.000 e i 50.000 euro, quindi sono cifre molto alte. Si sono ristretti gli spazi di adozione in questo senso. Da un lato c'è una grande richiesta e dall'altra parte c'è un grande bisogno, ma sono sempre maggiori le difficoltà cui si deve far fronte per fare incontrare questi momenti.
  Dal punto di vista sanitario, noi riscontriamo varie questioni, ad esempio, la necessità di seguire questi bambini psicologicamente una volta che sono entrati nella loro nuova famiglia. Si tratta di bambini che hanno subito violenze, spesso fortunatamente solo psicologiche, che hanno problemi nell'inserimento, come sarebbe normale per chiunque. Pensate soltanto al problema del non capire la lingua, alla sindrome da abbandono, quindi a tutte le prove a cui sottopongono i loro genitori nell'arco della vita per avere, semplicemente, una conferma del fatto di essere amati, voluti, una conferma che quelle persone sono proprio la loro famiglia.
  Spesso le famiglie hanno bisogno, in questo percorso, di un'assistenza psicologica per riuscire a capire e a decifrare i segnali di questi bambini. Ma è necessario anche un aiuto alle stesse famiglie, che devono essere preparate a questo tipo di lavoro, che è una grandissima prova d'amore, molto più grande di quella di avere un figlio biologico, perché ci si carica di bambini che hanno un vissuto problematico e che, quindi, vanno aiutati, come riscontriamo.
  Purtroppo ci sono anche delle pratiche terribili, molti genitori restituiscono i bambini, cosa assolutamente da evitarsi perché è un trauma insostenibile per un bambino trovare una casa e poi essere restituito perché non si comporta bene.
  C'è anche il tema delle giuste certificazioni di salute dei bambini adottati a livello internazionale, certificazioni ancora molto carenti, e su questo stiamo lavorando con le nostre ambasciate per rafforzare gli aspetti di tutela sanitaria in questo senso.
  Un grande lavoro c'è da fare anche sugli affidi. Dovremmo cercare di stimolare l'affidamento, che è un fatto importantissimo e c'è una grande generosità da parte delle coppie che decidono di avere in affidamento un bambino, sapendo che è per un periodo circoscritto. Anche qui, c'è quasi sempre la necessità di un supporto psicologico sia per il minore, che si trova in una condizione di altalenanza, sia per la famiglia stessa che si affeziona al bambino. È anche questo lo scopo per cui si fa l'affidamento, affinché ci sia uno scambio di amore, perché siamo nell'alveo dei sentimenti. Dovrebbe, quindi, essere più facile avere i bambini affidamento e anche controllarne il percorso psico-fisico.
  I servizi sociali territoriali hanno il compito di prendere in carico la coppia che presenta disponibilità all'adozione presso il Tribunale per i minorenni di competenza e di accompagnarla nelle fasi pre- e post-adottive. Ad oggi, tuttavia, le équipes adozioni non sono strutturate in modo uniforme in tutto il territorio nazionale. Nella Pag. 6maggior parte delle regioni esistono équipes integrate tra ASL e comuni, come nel Lazio, in cui sono stati organizzati (GILA); Gruppi integrati di lavoro per le adozioni in altre regioni invece non esiste questa integrazione ed operano solo le ASL, in altre ancora tali équipes non sono state proprio costituite. Se dovessi dire a questa Commissione una prima necessità, è quella di uniformare l'approccio sul territorio nazionale, così come il monitoraggio e il controllo.
  Tale situazione di difficoltà si riscontra anche in relazione alla modalità di formazione dell'aspirante coppia adottiva, come dicevo prima, e di conduzione delle indagini svolte dai servizi sociali. Variano, infatti, da una regione all'altra, e a volte anche all'interno della stessa città, non solo il numero degli incontri con lo psicologo e l'assistente sociale, ma anche la quantità delle informazioni date alle coppie in merito alla procedura adottiva e, soprattutto, la qualità della formazione delle future famiglie adottive, indispensabile alla buona riuscita dell'adozione e ad una crescita sana e armoniosa del minore accolto.
  È evidente che tale funzionamento disomogeneo e a macchia di leopardo dei servizi sociali non può che aumentare le diseguaglianze e l'iniquità in tema di salute. Diseguaglianza e iniquità sono aggravate da condizioni di sofferenza già difficili in partenza.
  Diventa pertanto necessario affrontare concretamente, anche in questo ambito, il problema dell'integrazione socio-sanitaria di servizi competenti ed adeguati, argomento che, come è noto, mi sta molto a cuore e sul quale sto lavorando in collaborazione con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, anche per dare concreta attuazione ad una disposizione del Patto per la salute, dove vorrei avere, almeno nell'ambito dell'assistenza socio-integrata infantile, un primo piano sperimentale, almeno per quanto riguarda l'assistenza ai minori.
  La standardizzazione dell'operatività e la produzione di linee guida anche per la stesura della relazione psicosociale, come pure la formazione e l'aggiornamento degli operatori socio-sanitari. Voglio segnalare a questo proposito una buona pratica che risulta interessante e promettente. Si tratta dell'iniziativa assunta dalla regione Piemonte che, con la legge regionale n. 30 del 2001, ha istituito (prima e finora unica regione d'Italia) l'Agenzia regionale per le adozioni internazionali (ARAI), quale primo servizio pubblico in Italia con il compito di permettere, nel rispetto del principio di sussidiarietà, l'incontro tra i minori in stato di abbandono e le famiglie desiderose di adottarli, nonché di realizzare progetti di cooperazione internazionale a favore dell'infanzia in difficoltà.
  Nel 2015, il Consiglio regionale della regione Piemonte, prima, e la Giunta regionale, poi, hanno deliberato di promuovere il carattere sovraregionale dell'agenzia, già convenzionata con alcune regioni, come chiaramente riportato nella relazione annuale del 2015, che dice che in particolare la proposta formulata dalla regione Piemonte è quella di giungere alla costituzione di un'associazione di regioni che, mediante la stipula di una convenzione con la ARAI, consenta alle coppie residenti nelle regioni aderenti all'associazione di avvalersi di un ente pubblico per lo svolgimento di una procedura adottiva all'estero.
  Ciò permetterebbe di sviluppare, anche in Italia, un sistema uniforme sull'intero territorio nazionale, al pari di quanto già previsto da altri Paesi d'accoglienza, come per esempio la Francia. L'associazione delle regioni può essere, altresì, uno strumento per mettere in rete organi giudiziari minorili, servizi ed enti, al fine di dare risposte concrete alle diverse situazioni di bambini, spesso grandi, che si trovano in stato di adottabilità.
  Anche per quanto riguarda gli aspetti più prettamente sanitari, il carattere sopra regionale o la messa in rete di dati e di expertise può essere una soluzione vincente. C'è, infatti, da considerare che, in particolare per le adozioni internazionali, potrebbe essere necessaria un'esperienza clinico-diagnostica, non sempre ed ovunque disponibile. Alcune esperienze indicano che si sono rilevati particolarmente Pag. 7utili i centri di riferimento «Gruppo di lavoro nazionale per il bambino migrante» della Società italiana di pediatria, in tutto 19, di cui solo 4 nelle regioni meridionali.
  Il Protocollo diagnostico-assistenziale per il bambino adottato, presentato nel 2002 dalla Società italiana di pediatria, approvato dalla Commissione adozioni internazionali e rinnovato nel 2007, andrebbe, peraltro, aggiornato soprattutto in considerazione del fatto che i bambini adottivi appartengono sempre di più alla categoria dei cosiddetti special needs, cioè bambini con problematiche sanitarie di vario genere e gravità, minori ultra dodicenni, minori difficili e minori disabili.
  Nel caso di adozioni difficili, il supporto e il sostegno dei servizi alle famiglie dovrebbe essere il più tempestivo possibile, ovviamente organico e costante nel tempo. Per poter programmare e organizzare al meglio i servizi sanitari, sono necessari l'acquisizione e il monitoraggio dei dati. Un esempio di come questo monitoraggio possa risultare utile nell'organizzazione dei servizi sanitari è dato dai bambini con patologie malformative che richiedano un intervento chirurgico (faccio l'esempio del labbro leporino, che è uno degli interventi più richiesti, soprattutto per i bambini che vengono da zone extra europee).
  Includere anche i bambini adottati portatori della stessa patologia, e non solo i nati in Italia, consentirebbe di avere una quantificazione reale del bisogno degli interventi da prevedere in programmazione sanitaria.
  Un'altra, evidente criticità del percorso adottivo che determina gravi ricadute sulla salute psico-fisica dei bambini in attesa di adozione è rappresentata dalle lungaggini burocratiche che si registrano attualmente in Italia, sia per giungere alla dichiarazione di adottabilità dei minori che si trovano nelle case famiglia del nostro Paese, sia per ottenere da parte delle coppie il decreto di idoneità all'adozione internazionale, e all'estero per il completamento dell'intera procedure dal conferimento incarico all'ente autorizzato alla proposta di abbinamento ufficiale fatto dal Paese di origine dei minori.
  Tali lunghezze attese, e in generale il fattore tempo, incidono negativamente sul benessere psico-fisico e sulla salute del bambino. La piena realizzazione e funzionalità della banca dati nazionale dei minori adottabili e delle coppie disponibile all'adozione, peraltro già prevista dalla norma fin dal 2000, consentirebbe una notevole riduzione dei tempi attraverso una programmazione di servizi e di attività derivante dalla conoscenza dello stato di fatto, cosa che attualmente risulta carente.
  Un altro aspetto da tenere in considerazione da un punto di vista sanitario, in particolare per le adozioni internazionali, è che la documentazione sullo stato di salute dei bambini è spesso carente, poco attendibile e di difficile interpretazione. In particolare, per bambini con speciali necessità o multiproblematici servirebbe che la Commissione per le adozioni internazionali (CAI) si adoperasse per la stipula di accordi bilaterali forti e trasparenti.
  A questo proposito non posso non segnalare che la CAI, che ha svolto in passato un ruolo importante e ai cui lavori il Ministero della salute ha sempre fattivamente partecipato con un proprio rappresentante, non si riunisce da circa due anni, in attesa del rinnovo della sua composizione. Per quanto ci riguarda abbiamo inviato ormai da tempo la designazione del nostro nuovo rappresentante e speriamo che presto possa riprendere la propria attività.
  Sono convinta che la recente attribuzione della delega al Ministro Boschi sarà un elemento che porterà a una nuova vitalità al tema.
  Un altro aspetto che vorrei sottolineare, visto che parliamo della salute dei minori adottabili, adottati e in affido, è che noi abbiamo un tema che lascio a questa Commissione (forse non è quella più idonea, ma siamo tutti parlamentari e quindi ce ne possiamo fare carico), ossia cosa accade a quei ragazzi e ragazze che passano la loro vita in una casa famiglia e che al compimento del diciottesimo anno di età sono completamente soli.
  Questa è un'esperienza che chiunque di noi sia stato almeno una volta in un centro per i minori conosce. Io dico sempre che Pag. 8quando avevo 18 anni mi sentivo fortissima e in grado di affrontare la vita, ma avevo dietro una famiglia, avevo una casa, avevo qualcuno che mi garantiva lo studio o, se lavoravo, poteva supportarmi. Immaginate un ragazzo o una ragazza che hanno trascorso tutta la loro vita in uno stato di accoglienza in un istituto, che non hanno nessuno: cosa accade di loro una volta che al diciottesimo anno di età escono da tali istituti? A 17 anni e 364 giorni sono ancora dei ragazzini e poi gli si chiede di essere autonomi e indipendenti in una società oggettivamente difficile!
  Credo che questo sia un tema che dobbiamo affrontare, perché abbiamo la necessità di aiutare in un percorso di integrazione, di lavoro, di famiglia, di avere un posto dove vivere, di studio quei ragazzi e quelle ragazze che si trovano in queste condizioni, che sono tanti. È evidente che sarebbe opportuno riuscire prima a dare in affido anche i ragazzi che non sono adottabili.
  L'istituto dell'affido è un istituto straordinario, in cui ci sono tante persone disponibili a compiere un gesto di amore nei confronti di ragazzi e ragazze e a seguirli anche dopo, per non lasciarli allo «stato brado».
  Un aspetto che non va trascurato per l'impatto sulla salute del minore adottivo riguarda la formazione della coppia, oggi prevista per l'adozione internazionale ma non per quella nazionale. La decisione di diventare genitori adottivi trova origine dall'esperienza personale della coppia nella sua spinta verso una disponibilità all'accoglienza di un bambino che ha bisogno di una famiglia e nel desiderio di dare e ricevere amore e nella scelta della coppia di accogliere un altro mondo.
  Come vi dicevo prima, però, abbiamo la necessità di formare queste coppie, anche quelle che fanno adozioni a livello nazionale, alle difficoltà di tipo psicologico presenti in un percorso adottivo, in modo tale che i genitori possano essere preparati e aiutati a superare difficoltà, che sono quasi tutte abbastanza prevedibili e che con un po'di supporto possono essere superate, anche se poi la cura migliore di tutto (lo dicono i medici, non il Ministro) è l'amore, che aiuta a superare difficoltà enormi nei percorsi di adozione.
  Ogni bambino nasce per essere figlio, per vivere l'esperienza di questo amore, quindi aiutare questi programmi è importante. Da un punto di vista strettamente sanitario il supporto alla genitorialità anche attraverso percorsi formativi non solo è condiviso in linea di principio, ma è stato messo in pratica anche per i genitori biologici attraverso diversi programmi formativo-informativi, realizzati dal Ministero della salute per i genitori prima ancora della nascita del bambino. Ricordo ad esempio «Pensiamoci prima» o il programma nazionale «GenitoriPiù».
  Non c'è bisogno solo di attenzione e formazione per le vaccinazioni, la nutrizione o per impostare i corretti stili di vita e altri preventivi, ma il mestiere di genitori è difficile di per sé, è qualcosa che sfida quotidianamente la capacità, la pazienza, la resistenza e la difficoltà, è un'esperienza che cresce giorno per giorno, e molto spesso i genitori si trovano in condizioni anche complesse, dovute ai cambiamenti velocissimi del nostro assetto sociale, ai modelli di formazione e informazione, agli input esterni.
  Ecco perché noi riteniamo che anche nei nostri percorsi di prevenzione (pensate a tutta la prevenzione alla droga, al fumo, all'alcol, alle devianze, alla prevenzione per corretti stili di vita, per prevenire le malattie sessualmente trasmissibili) sia necessario dare un supporto maggiore alla famiglia, per aiutarla anche ad essere consapevole di reti, di accessi di informazioni corretti, di come agire in situazioni che possono sembrare difficili.
  Per questo è molto importante formare la coppia, il Ministero nei propri piani utilizza molto la formula di gruppo, che può avvenire durante il percorso nascita o durante i percorsi successivi. Spesso sono le stesse scuole che tendono ad organizzare questi eventi con l'aiuto anche delle ASL di riferimento.
  Stiamo lavorando con l'Osservatorio nazionale dell'infanzia e dell'adolescenza per la predisposizione del IV Piano nazionale Pag. 9di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, che è un aspetto estremamente importante, su cui ci sarà il massimo impegno da parte del Ministero.
  Nel corso delle audizioni delle associazioni e nell'VIII Rapporto del gruppo di lavoro per la Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza è stata evidenziata la necessità di un adeguato e duraturo sostegno nella fase della post-adozione, che dovrebbe essere garantito nel tempo e gratuito sia per le prestazioni sanitarie che per quelle psicologiche.
  Per noi acquista un ruolo specifico anche il consultorio familiare. Un rafforzamento dell'azione del consultorio nella rete di sostegno alla famiglia è sicuramente un'istituzione che può essere utilizzata, sia per i bambini in stato di adottabilità o adottati o in affido, sia per gli altri, con un'integrazione sempre più forte con il pediatra ma anche con altri tipi di supporto necessario.
  A proposito della necessità degli screening e della diagnostica, segnalo come non basti uno screening di base del bambino appena arrivato (parliamo del bambino adottato) che comunque andrebbe previsto per le diverse fasce di età e magari anche per alcune etnie di appartenenza, al fine di identificare eventuali patologie tipiche. Pensiamo ai Paesi in cui ci sono delle malattie endemiche che è estremamente necessario individuare (un caso è la talassemia tra le malattie tipiche dell'area mediterranea).
  Dobbiamo prenderci carico della salute del bambino, compresi i disagi psicologici inevitabilmente presenti nei bambini con vissuti di abbandono e sradicamento dalle proprie origini.
  Il sostegno alla genitorialità è importante sempre, prima, durante e dopo l'adozione. Durante la procedura di adozione, nel primo anno successivo all'ingresso in famiglia del minore adottato, la famiglia neocostituita dovrebbe essere seguita dai servizi territoriali. Purtroppo, ciò non sempre avviene con le modalità e la frequenza necessarie in questo delicatissimo momento dei primi passi di vita assieme, per non parlare degli anni successivi. Viene, infatti, segnalato da più parti che difficilmente i servizi sociali riescono a realizzare un qualificato sostegno post-adottivo nel lungo periodo.
  Possibili crisi adottive o cambiamenti adolescenziali sono solo due esempi di situazioni che possono portare a condizioni di disagio minorile, con possibile evoluzione verso disturbi patologici ma anche verso forme di microcriminalità. Il disagio minorile, invece, può e deve essere prevenuto. Uno dei macro obiettivi del Piano nazionale della prevenzione dal 2014 al 2018 si riferisce proprio alla promozione del benessere mentale di bambini, adolescenti e giovani.
  Al riguardo risulta fondamentale prevedere strategie multisettoriali integrate, che combinino interventi universali e interventi mirati su popolazioni specifiche. Sarebbe importante, come anche raccomandato dall'VIII Rapporto della Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza (Convention on the rights of the child – CRC), la promozione di una ricerca sullo stato di benessere di tutti gli adottivi e adottati in Italia e all'estero e delle loro famiglie, anche per monitorare l'evoluzione delle adozioni difficili, che potrebbero sfociare in un fallimento adottivo, con un conseguente, secondo abbandono del bambino in una casa famiglia, accadimento deleterio per tutti, in primo luogo per la salute psico-fisica del bambino o dell'adolescente che viene adottato. Purtroppo questi casi non sono rari.
  A causa della deprivazione affettiva e materiale o di patologie inerenti o meno al proprio stato adottivo, il bambino adottivo può presentare ritardi di vario genere e quindi necessitare di adeguato sostegno, non solo in ambito familiare, ma in anche in ambito sociale, in particolare in quello scolastico.
  Un ruolo importante, da questo punto di vista, potrebbe essere svolto dai consultori familiari istituiti quarant'anni fa, che rappresentano nel sistema territoriale dei servizi delle strutture organizzative definite come servizi socio-sanitari integrati di base con competenze multidisciplinari, determinanti Pag. 10 per la promozione e la prevenzione nell'ambito della salute della donna e dell'età evolutiva.
  I consultori familiari hanno il compito di individuare situazioni di difficoltà e di primo ascolto, in conseguenza dei nuovi assetti della famiglia, quindi, nel caso di famiglie ricostruite, unioni di fatto, famiglie con un solo genitore e famiglie miste quanto a provenienza etnica, e nel tempo hanno dovuto estendere il loro raggio d'intervento anche su queste aree, quindi sul disagio familiare e sulle situazioni di disagio derivante da criticità, negli affidi o nelle adozioni, che sono in forte espansione, ovviamente anche a causa delle richieste crescenti.
  È auspicabile, quindi, una valorizzazione nonché un potenziamento della rete dei consultori per offrire il miglior supporto possibile anche alle famiglie adottive, in rete con gli altri servizi del territorio, come appunto vi dicevo: la scuola, le ASL, l'assistenza psicologica o, quando necessaria, di tipo sanitario.
  Concludo evidenziando come, alla luce delle criticità che ho appena descritto e delle proposte, ovviamente limitate all'ambito sanitario, una riforma della disciplina in materia di adozione che voglia effettivamente realizzare l'interesse prioritario del minore e il suo imprescindibile diritto a una famiglia, deve rimuovere, in attuazione del principio assolutamente consacrato all'articolo 3, comma secondo, della nostra Costituzione, tutti quegli ostacoli e non ultimo quello economico che impediscono, di fatto, alle numerosissime coppie che nutrono tale desiderio di poter concretamente intraprendere quello straordinario percorso di vita e di emozioni rappresentato dall'adozione di un bambino.

  PRESIDENTE. Grazie, Ministro, per la completezza del suo intervento.

  WALTER VERINI. Signora presidente, io devo andare in Aula come relatore del provvedimento sul negazionismo e chiedo scusa se mi assento.

  PRESIDENTE. Non essendovi domande, possiamo liberare anche il Ministro Lorenzin.
  È tutto trascritto, ma se lo ritiene necessario può mandarci l'intervento scritto.

  BEATRICE LORENZIN, Ministro della salute. Io non seguo mai quello che scrivo.

  PRESIDENTE. Le manderemo il resoconto stenografico. La ringraziamo.

  BEATRICE LORENZIN, Ministro della salute. Grazie e arrivederci.

  PRESIDENTE. Passiamo all'audizione dell'onorevole Vincenzo Amendola, Sottosegretario di Stato del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, accompagnato da Alessandro Prunas, capo dell'Ufficio Rapporti con il Parlamento del Gabinetto del Ministro degli esteri, e da Alberto Dal Degan, Consigliere legislativo del Gabinetto del Ministro degli esteri.
  Prima di dare la parola al Sottosegretario, faccio presente che l'audizione verterà sulle questioni relative all'adozione che rientrano nella stretta competenza, ovviamente, del Ministero degli esteri e della cooperazione internazionale. Ricordo, a tale proposito, che la competenza in via generale, in materia di adozioni internazionali, spetta al Ministro Maria Elena Boschi, la cui audizione avrà luogo entro il mese di giugno.
  Do la parola al Sottosegretario Amendola.

  VINCENZO AMENDOLA, Sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale. Grazie presidente Ferranti e grazie a tutti voi per questo invito a questa audizione della Commissione giustizia perché il documento che leggerò, e che consegno agli atti, rappresenta per noi un'opportunità per intervenire su un tema così delicato e importante per la nostra società e per il vostro dibattito che si amplifica anche sui mezzi di comunicazione.
  Sul contributo della Farnesina, lei ha ragione, presidente. Ci tengo, in questa seduta ufficiale, a puntualizzare il nostro quadro giuridico di riferimento e il nostro specifico quadro di intervento, ma anche il nostro ruolo, il nostro compito istituzionale Pag. 11e il nostro modo di procedere, come Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
  Lo faccio, in maniera ufficiale, anche per rispondere a sollecitazioni che non sono, invece, riferibili al nostro ruolo e che, negli ultimi tempi, ci hanno visto spesso, come Ministero, chiamati in causa su elementi che non sono nel nostro quadro di intervento. Com'è sempre d'obbligo, per un nostro Ministero, noi rispondiamo solo in maniera ufficiale e non a sollecitazioni improprie. Questa è una condotta che abbiamo anche, per missione, per evitare polemiche istituzionali o polemiche pubbliche su cui credo che sia il caso, in sedi istituzionali come queste, formalizzare invece la nostra responsabilità.
  Innanzitutto, riguardo al quadro giuridico vorrei fare alcune considerazioni sulla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo che è lo strumento internazionale più importante e più ratificato per la tutela dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza.
  Come è noto, la Convenzione è stata adottata nel novembre 1989 ed è entrata in vigore nel settembre 1990. A oggi, è stata ratificata da 196 Paesi. L'Italia ha firmato la Convenzione nel 1990 e l'ha ratificata con la legge 27 maggio 1991 n. 176.
  La Convenzione, poi, è stata integrata da tre protocolli opzionali. Mi riferisco al protocollo sul coinvolgimento dei fanciulli nei conflitti armati e al protocollo sulla vendita, sulla prostituzione infantile e sulla pedopornografia, entrambi ratificati dall'Italia nel 2002, nonché al protocollo che istituisce una procedura di comunicazione, ratificato dall'Italia nel 2016.
  Negli articoli 7, 8 e 9 della Convenzione sui diritti del fanciullo, si riconoscono il valore e l'importanza del contesto familiare nella vita dei minori di età. Inoltre, quando l'assetto familiare non sussiste, è necessario individuare soluzioni alternative appropriate e stabili, per permettere al minore di età di cresce in un ambiente che ne garantisca la protezione in termini di rispetto della dignità e di sicurezza personale. Al contempo, laddove tale assetto sia compromesso, è appropriato predisporne un opportuno allontanamento, legalmente corretto e nel rispetto del superiore interesse.
  Gli articoli 20 e 21 della Convenzione sui diritti del fanciullo definiscono i diritti del minore di età nell'ambito del procedimento di adozione, con riferimento all'istituto dell'affido.
  Ai sensi dell'articolo 20, ogni fanciullo, che si ritrovi privato del suo ambiente familiare o che nel suo interesse non possa essere lasciato in tale ambiente, ha diritto una protezione speciale dello Stato, che può concretizzarsi, tra gli altri, nell'affidamento familiare, nell'adozione o, in caso di necessità, nel collocamento in istituti per l'infanzia. La scelta sarà effettuata tenendo conto delle necessità di garantire una continuità nell'educazione del fanciullo nonché della sua origine etnica, religiosa, culturale e linguistica.
  L'articolo 21 richiede agli Stati di garantire il principio del superiore interesse del fanciullo nel processo di adozione e di assicurare che l'adozione sia autorizzata solo dalle autorità competenti, sulla base della normativa vigente. L'articolo, inoltre, richiede agli Stati di considerare l'adozione all'estero quale mezzo per garantire al fanciullo le cure necessarie, ove lo stesso non possa essere affidato a una famiglia adottiva nel Paese d'origine. In caso di adozioni all'estero, lo Stato deve vigilare affinché il fanciullo benefici di garanzie e di norme equivalenti a quelle esistenti per le adozioni nazionali e deve garantire che le adozioni non ingenerino guadagni per le parti.
  Il Comitato sui diritti del fanciullo, composto da 18 esperti indipendenti, tra cui l'italiana Maria Rita Parsi, è incaricato del monitoraggio dell'applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli opzionali negli Stati parte. Gli Stati devono presentare al Comitato un rapporto sullo stato di attuazione alla Convenzione, due anni dopo l'entrata in vigore della stessa e successivamente ogni cinque anni.
  Per quanto riguarda l'Italia, il Comitato ha concluso tre cicli di monitoraggio sull'attuazione della Convenzione, rispettivamente nel 1995, nel 2003 e nel 2011. Pag. 12
  Nelle osservazioni, a conclusione dell'ultimo ciclo di monitoraggio del 2011, relativamente al tema delle adozioni, il Comitato ha colto positivamente l'obbligo vigente nell'ordinamento italiano di prendere in considerazione il punto di vista e le opinioni dei bambini nelle adozioni nazionali e internazionali e ha formulato al nostro Paese alcune raccomandazioni.
  La prima raccomandazione prevede di introdurre il principio del superiore interesse del bambino come principio fondamentale della legislazione.
  La seconda è concludere accordi bilaterali con i Paesi di provenienza dei minori che non hanno ratificato la Convenzione dell'Aja del 1993 sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale, ratificata – lo sottolineo – dal nostro Paese con la legge 31 dicembre 1998, n. 476.
  Come è noto, in Italia le competenze in materia di adozioni internazionali sono attribuite a un apposito organismo, la Commissione per le adozioni internazionali (CAI).
  La terza è garantire un effettivo e sistematico monitoraggio degli enti privati per le adozioni, considerare la possibilità di gestire o limitare l'ampio numero di enti privati di adozione e assicurare che i processi adottivi non ingenerino guadagni per nessuna parte.
  La quarta è verificare sistematicamente il benessere dei bambini adottati negli anni precedenti e analizzare le cause e le conseguenze del fallimento delle adozioni.
  Venendo più puntualmente al tema delle adozioni internazionali, ricordo che queste sono regolate, come sapete, dalla legge n. 184 del 1983, come modificata dalla legge n. 476 del 1998, di ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozioni internazionali firmata all'Aja il 29 maggio 1993, e dalla legge n. 149 del 2001.
  La questione delle adozioni internazionali giunse a essere valutata dalla Conferenza dell'Aja a seguito della constatazione, maturata in quegli anni, della necessità di garantire uniformemente, per quanto possibile, lo sviluppo armonioso delle personalità del minore, mirando a che le adozioni internazionali avvengano sempre tutelando i diritti fondamentali.
  A tal fine, è stato stabilito il riconoscimento di disposizioni comuni che tengano conto dei princìpi riconosciuti dagli strumenti internazionali, in particolare dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, di cui ho appena riferito, e dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite sui principi sociali e giuridici applicabili alla protezione e all'assistenza ai minori, con particolare riferimento alla prassi in materia di adozione e di affidamento familiare, sul piano nazionale e su quello internazionale (risoluzione dell'Assemblea generale n. 41 del 3 dicembre 1986).
  Credo sia utile a questa Commissione ricordare gli obiettivi principali che si prefigge la Convenzione dell'Aja: stabilire garanzie affinché le adozioni internazionali avvengano nell'interesse superiore del minore e nel rispetto delle garanzie internazionali; instaurare un sistema di cooperazione fra gli Stati contraenti, al fine di assicurare il rispetto di queste garanzie; prevenire il fenomeno della sottrazione e della vendita dei minori.
  La riforma, con la legge n. 476 del 1998, introduce il ruolo fondamentale e l'obbligatoria intermediazione di due nuovi soggetti prevedendo, all'articolo 38, la costituzione della CAI, e all'articolo 39, degli enti autorizzati, incaricati di intervenire e finalizzare le pratiche adottive.
  Le valutazioni sul provvedimento dell'autorità straniera e sulla procedura adottiva nel suo complesso sono competenza esclusiva dell'autorità centrale italiana, la CAI.
  Qual è il ruolo allora della Farnesina? Lo dico per rispondere a domande che i media e molti soggetti interessati pongono spesso senza conoscere i riferimenti procedurali.
  Le funzioni del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale sono, per legge, limitati al ruolo degli uffici consolari, come previsto dall'articolo 32, comma 4, della legge n. 184 del 1983, come modificata dalla legge n. 476 del 1998, allorquando – cito – «dopo aver ricevuto Pag. 13formale comunicazione da parte della Commissione, rilasciano il visto di ingresso per adozione a beneficio del minore adottando».
  Partendo dalla considerazione che a ogni visto rilasciato corrisponde un'adozione internazionale, rinvio ai dati sulle adozioni internazionali che vi ha già riferito, con dovizia di numeri e particolari, il Ministro Orlando, nel corso della sua audizione.
  La Farnesina – ci tengo a precisare, Presidente – si avvale della rete diplomatico-consolare e, in collaborazione con le rappresentanze diplomatico-consolari straniere a Roma, promuove contatti, intese e verifiche per facilitare l'operato della CAI, con le autorità omologhe dei Paesi di origine dei minori adottandi.
  In tal senso, se normalmente la gestione delle procedure adottive viene assicurata dalla CAI e la nostra rete diplomatico-consolare viene coinvolta solo per adempimenti ordinari nella fase finale dell'iter (controllo della documentazione di supporto e rilascio del visto d'ingresso a favore del minore adottato), diverso è il caso in cui si verifichino criticità straordinarie nei Paesi di origine dei minori, tra cui, per esempio, modifiche nella normativa interna o provvedimenti amministrativi che determinano il blocco definitivo o provvisorio delle adozioni internazionali o anche questioni concernenti la politica e le questioni sociali di un determinato Paese.
  In questi casi, la Farnesina, presente in loco con la sua rete diplomatico-consolare, è chiamata a intervenire sulle autorità straniere per propiziare e ottenere lo sblocco delle adozioni e la ripresa dei procedimenti sospesi nonché facilitare le procedure. Si tratta di richieste che divengono sempre più frequenti e nelle quali il nostro Ministero, per le evidenti implicazioni di politica estera e possibili conseguenze sui rapporti bilaterali, agisce nel suo naturale ruolo di gestore della politica estera italiana.
  Vorrei attirare la vostra attenzione – e metterlo a verbale – appunto su questa dimensione dell'azione della Farnesina che è diventata negli ultimi tempi sempre più rilevante per la soluzione positiva di criticità del Paese che a lungo ci hanno visti impegnati.
  Faccio due esempi concreti. Mi riferisco alla Bielorussia che dal gennaio 2014, grazie all'azione determinata dell'allora Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Marta Dassù, ha visto il Governo di Minsk riprendere i procedimenti adottivi (per troppo tempo bloccati). Inoltre, penso anche e soprattutto al caso della Repubblica Democratica del Congo: si tratta di una vicenda ben nota e dolorosa, trascinatasi per lungo tempo, ma che la Farnesina ha contribuito a sbloccare, grazie anche all'impegno personale dei Ministri degli affari esteri succedutisi in questi anni e ora, come citavo, del Ministro Gentiloni. Stiamo finalmente assistendo alla positiva conclusione di questa storia, appunto in queste settimane.
  Vorrei, infine, cogliere che la sottolineatura della nostro quadro operativo, giuridico e funzionale fa sì che ci permettiamo di formulare, anche qui pubblicamente, i più sentiti auguri di buon lavoro al Ministro Boschi per il conferimento del suo nuovo mandato di Presidente la CAI, assicurando che la Farnesina continuerà, così come già faceva, a sostenere la CAI in tutte le sue attività.
  Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha, infatti, un membro nella Commissione per le adozioni internazionali che, negli ultimi due anni, come citava il Ministro Lorenzin, non si è riunita.
  Tuttavia, noi continueremo, in base alle procedure, alle regole e alla responsabilità civile che ognuno di noi ha nel compiere i propri atti, a perseverare in base a un quadro giuridico e normativo nell'operato, al fine di rendere, per il nostro Paese e soprattutto per i bambini coinvolti in procedimenti di adozione internazionale, la loro vita più adeguata ai sogni che meritano. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie Sottosegretario, anche per il testo che ci trasmetterà. Questi sono tutti tasselli utili per questa indagine approfondita che poi dovrebbe portare la Commissione a elaborare almeno una informativa Pag. 14 per l'Aula e una risoluzione, se non, più avanti, anche una proposta di riforma.
  Non essendovi interventi, prima di proseguire con le nostre audizioni noi la ringraziamo molto.
  Do la parola al professore Massimo Cesare Bianca, libero docente di diritto civile, che non ha bisogno di presentazioni.

  MASSIMO CESARE BIANCA, libero docente di diritto civile. Lasciatemi, anzitutto, esprimere un profondo ringraziamento alla presidente di questa Commissione, in primo luogo per avermi invitato a partecipare a questa indagine conoscitiva, che ha già dato molti frutti e ha visto l'apporto di esperienze e di idee.
  Senza questa indagine conoscitiva sarebbe stato impensabile porre mano a una revisione della disciplina dell'adozione.
  Il merito di questa indagine conoscitiva va alla presidente, poiché si tratta di una sua iniziativa.

  PRESIDENTE. Va alla Commissione.

  MASSIMO CESARE BIANCA, libero docente di diritto civile. ...Presieduta dall'onorevole Ferranti.
  Vorrei, soprattutto, ringraziare la presidente per l'appassionata opera che lei ha sempre svolto per un più giusto diritto di famiglia.
  Vorrei qui ricordare, tra le altre, la battaglia gloriosa che ebbe a suo tempo a combattere la nostra presidente per consentire finalmente la riforma della filiazione. Senza il suo aiuto, considerate le difficoltà molto gravi che erano sorte, questa riforma non si sarebbe fatta. Ancora una volta sarebbe stato segnato il destino di una riforma, che, invece, è stata realizzata.
  Aggiungo che non c'è stata novità legislativa in materia di famiglia che non abbia visto la partecipazione, l'aiuto e l'interessamento della nostra presidente. Pertanto, cara presidente, la ringrazio.

  PRESIDENTE. Mi mette in imbarazzo.

  MASSIMO CESARE BIANCA, libero docente di diritto civile. Passando alle mie riflessioni sulla revisione dell'istituto dell'adozione, dico subito che due sono i punti fondamentali di riferimento nel considerare questa revisione. Questi due fondamentali punti di riferimento sono il diritto del minore a una famiglia e il diritto del figlio a essere amato.
  Il diritto del minore a una famiglia è un principio che è stato proclamato solennemente nella recente riforma della filiazione, ma che era stato già enunciato nella nostra legislazione. Il diritto del minore a una famiglia vuol dire, anzitutto, diritto del minore a non essere tolto dalla sua famiglia. Si tratta di un diritto che va tenuto presente tutte le volte in cui si opta facilmente per la soluzione di collocare il minore al di fuori della sua famiglia.
  Per altro verso, c'è il diritto del minore a ricevere dalla società civile quanto occorre perché la permanenza nella sua famiglia sia assicurata.
  Chiedo scusa, apro una parentesi chiedendo alla presidente quanti minuti ho a disposizione.

  PRESIDENTE. Lei faccia la sua esposizione. Noi abbiamo 15-20 minuti. Dipende da lei. In seguito abbiamo soltanto un'altra audizione.

  MASSIMO CESARE BIANCA, libero docente di diritto civile. Ho 20 minuti, in sostanza.

  PRESIDENTE. Anche mezz'ora, professore.

  MASSIMO CESARE BIANCA, libero docente di diritto civile. Cercherò di essere sintetico.

  PRESIDENTE. Peraltro, c'è anche la collega Campana, che si occupa di questo settore nella Commissione giustizia.
  Noi siamo venuti apposta per sentire lei, oltre ai Ministri e a Paola Crestani, presidente del Centro italiano aiuti all'infanzia (CIAI).
  Non dobbiamo scendere nell'Aula, quindi abbiamo tempo.

Pag. 15

  MASSIMO CESARE BIANCA, libero docente di diritto civile. Comunque, è inutile ricordare una norma che tutti conosciamo, quella enunciata nell'articolo 1 della legge sull'adozione, nella quale si afferma che «le condizioni di indigenza dei genitori non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia» e dove si afferma anche che «lo Stato, le regioni e gli enti locali [...] sostengono, con idonei interventi, [...] i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l'abbandono e di consentire al minore di essere educato nell'ambito della propria famiglia».
  Questo aspetto, preso direttamente a oggetto di questa norma, a oggi, dopo tanti anni – pensate che si parla del 2001...

  PRESIDENTE. Del 1983. Giusto?

  MASSIMO CESARE BIANCA, libero docente di diritto civile. Sì, ha origine nel 1983, ma questa norma è stata introdotta nel 2001. Sono passati tanti anni e manca ancora un regolamento di attuazione.
  L'occasione buona per arrivare finalmente a un'attuazione di questa norma era sembrata, ed era, l'ultima legge di stabilità, che, tra i suoi obiettivi principali, intendeva combattere la povertà, tenendo conto, in particolare, delle famiglie.
  Allora fu presentato un emendamento a firma della nostra presidente. Si trattava di un emendamento fondamentale, perché agganciava questa legge di stabilità proprio all'attuazione dell'articolo 1 della legge sull'adozione.
  In realtà, purtroppo, questo emendamento non fu ammesso alla votazione.

  PRESIDENTE. Non ci hanno ascoltato.

  MASSIMO CESARE BIANCA, libero docente di diritto civile. Non fu ammesso alla votazione, con una giustificazione che mi è sembrata assolutamente debole, ovvero che si sarebbe trattato di un emendamento superfluo, perché si era già previsto questo aiuto alle famiglie.
  In realtà, chi ha fatto questa osservazione non ha capito molto dell'importanza di questo emendamento.
  Sto ricordando questo perché io credo che una revisione dell'istituto dell'adozione dovrebbe riprendere questo punto e dovrebbe essere l'occasione per renderlo finalmente effettivo.
  Qualcuno dirà – se ne è parlato parecchio, anche in occasione di recenti incontri – che, tutto sommato, questa storia delle condizioni di indigenza non ha un'effettiva rilevanza sul piano pratico, cosa che in realtà non è vera, perché le condizioni economiche della famiglia sulla sorte dei figli pesano, eccome, come si evince da una sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU), che è spesso citata, la sentenza «Zhou contro Italia» del 21 gennaio 2014, che ha condannato l'Italia.
  Questo caso riguardava una povera immigrata cinese che viveva con un figlio; aveva un'occupazione, ma era un'occupazione precaria, che non le consentiva di accudire di giorno il figlio o di procurarsi persone disposte a farlo.
  In conclusione, i nostri giudici, pur riconoscendo che il comportamento della madre non era negativo per il figlio, avevano scelto la soluzione di togliere questo figlio alla madre.
  Abbiamo avuto una condanna della CEDU. Si potrebbero citare anche altri casi.
  Molto brevemente, un altro dei compiti della legge di revisione dell'adozione dovrebbe essere quello di dare piena attuazione a tutta la norma dell'articolo 1 della legge n. 184 del 1983, che aggiunge a quanto detto che la legge prevede la promozione di iniziative di formazione dell'opinione pubblica sull'affidamento e l'adozione e di sostegno all'attività delle comunità di tipo familiare, l'organizzazione di corsi di preparazione e di aggiornamento professionale degli operatori sociali, nonché incontri di formazione e preparazione per le famiglie e per le persone che intendono avere in affidamento o in adozione minori.
  Si è sentita da più parti la necessità di muovere in questa direzione, ma abbiamo già una norma che ce lo dice espressamente. Si tratta appunto di attuarla. Pag. 16
  Arriviamo a un punto scottante. Il minore ha diritto di crescere nella famiglia; lo stabilisce la legge. Perché ha diritto di crescere nella famiglia? La risposta è che è nella famiglia che il minore realizza quel diritto all'amore che è essenziale per la sua educazione e per la sua armoniosa formazione della personalità.
  Purtroppo, la famiglia può mancare o può essere assolutamente e irrimediabilmente inidonea. In quel caso, il minore ha diritto di essere adottato. Questo è un diritto del minore. Perché ha diritto di essere adottato? Perché ha diritto a una famiglia e perché solo la famiglia può dargli quell'amore di cui egli ha essenziale bisogno.
  Ripeto ciò che è stato peraltro già rilevato altre volte anche in questa sede: il discorso sulla revisione dell'adozione non deve essere impostato, come da qualche parte si afferma, sull'ipotetico diritto alla filiazione o specificamente sul diritto ad adottare. La prospettiva deve essere rovesciata, perché ciò che va tutelato in via primaria è il diritto del minore a essere adottato.
  Questo non vuol dire che non ci sia e non sia giuridicamente rilevante l'interesse ad adottare. Certamente questo è un interesse giuridicamente rilevante e tanto più importante se, come è stato detto – scusatemi, ma devo citare Mirzia Bianca – la matrice dell'adozione è una matrice solidaristica.
  In realtà, non possiamo affermare che non c'è questo diritto. Il diritto c'è, ma è un diritto che in tanto può essere tutelato in quanto sia soddisfatto in via primaria il diritto del minore a essere adottato.
  Il minore, come risulta da quello che ho detto, ha diritto di essere adottato perché solo nella famiglia può ricevere quella carica affettiva di cui l'essere umano, secondo una vecchia espressione, non può fare a meno nel tempo della sua nascita.
  In conclusione e sinteticamente, il minore ha diritto di essere adottato perché ha diritto di essere amato.
  Ci si potrebbe chiedere dov'è questo diritto. Il diritto c'è già oggi nella nostra legislazione vigente. Basti leggere l'articolo 6 della legge sull'adozione, che pone come requisito primo degli adottanti l'idoneità affettiva. Se noi riconosciamo che questo è un bisogno essenziale del minore, se riconosciamo che questo diritto all'amore è un diritto che va tutelato in maniera assoluta...
  Voglio qui citare le parole, che spesso ricordo, ma meritano di essere ricordate, di un presidente di un tribunale per i minorenni, il quale, in occasione di un convegno, mi disse pubblicamente: «Sulla base della mia esperienza, professore, le posso dire che un bambino senza l'amore dei suoi genitori è come una pianta senz'acqua».
  Se questo è l'interesse del minore, allora, a mio parere, devono cadere tutte le preclusioni che fanno riferimento in primo luogo allo stato coniugale degli adottanti.
  Vorrei qui citare un mio carissimo amico, il professor Morace Pinelli, che ha detto una cosa molto importante, cioè che la riforma della filiazione ha svincolato lo stato della filiazione dallo stato familiare. Questo è un punto che va tenuto presente.
  Non conta il fatto che gli adottanti siano coniugati. Quello che conta è che possano dare quello di cui il minore ha bisogno.
  Questo vale anche per le persone dello stesso sesso. Non dobbiamo dimenticare che più volte la CEDU ha detto: «Non potete discriminare solo sulla base del genere della persona».
  Va anche tenuto presente che, almeno per quanto mi riguarda, non ci sono dati scientifici i quali ci dicano che è obiettivamente un pregiudizio per il minore crescere in una famiglia di persone dello stesso sesso.
  Tuttavia, un requisito che secondo me dovrebbe essere mantenuto è quello di una certa durata del rapporto. Che siano coniugati o meno, ci deve essere una certa durata, che in qualche modo dovrebbe garantire un minimo di stabilità.
  Si è tanto discusso della cosiddetta «stepchild adoption». Io sono d'accordo, ancora una volta, con il professor Morace Pinelli: l'interpretazione molto forzosa dei nostri giudici nell'applicazione della legge sull'adozione in casi particolari lascia a desiderare.
  È proprio per questo, secondo me, che occorre un intervento chiaro. Questo intervento, Pag. 17 comunque, deve essere positivo, perché – esprimo una mia opinione personale – già attualmente nel nostro ordinamento deve riconoscerci un principio generale, in base al quale colui che tiene presso di sé un soggetto debole, per le sue condizioni di età o di salute, ha per ciò stesso il dovere, non morale ma giuridico, di assisterlo moralmente e materialmente.
  Oggi si dice che il compagno del genitore, siccome è un estraneo, non ha nessun rapporto o nessun dovere giuridico nei confronti del figlio di quest'ultimo. Questo non deve assolutamente ammettersi. Se questo compagno vede che il bambino ha la febbre e che ha bisogno di essere curato, può dire: «Siccome la legge non lo prevede, io non sono tenuto a farlo e non sono responsabile se il bambino si aggrava»? Una risposta del legislatore su questa stepchild, secondo me, non può mancare.
  Certamente c'è il problema del possibile ricorso alla maternità surrogata. Qui siamo, credo, tutti d'accordo, nel senso che la maternità surrogata non va bene, ma forse siamo anche d'accordo nel senso di dire che le colpe dei genitori non devono ricadere sui figli. È qui il caso di dire che le colpe degli adottanti non devono ricadere sugli adottati.
  Si è detto che non è il caso di spingere per allargare le categorie idonee all'adozione perché oggi stesso – andate a vedere – le coppie coniugate non riescono il più delle volte ad aver esaudita la loro richiesta. Quindi, in quale direzione vogliamo andare? Un discorso di questo genere, a parte tutto, non tiene conto di un fatto, che è stato peraltro già rilevato, cioè che i minori adottabili e non adottati ci sono, ma sono quei minori che, generalmente, le coppie coniugate rifiutano, per ragioni di età, per ragioni di disabilità personali o anche per altre ragioni.
  Potrei riferire l'esperienza di una persona a me molto vicina, una mia collaboratrice, che purtroppo non ha avuto figli. Le ho chiesto se avessero pensato ad adottare un bambino. Mi ha risposto che avevano fatto anche la domanda, ma purtroppo erano disponibili solamente bambini di colore quindi – ha detto – cosa avrebbero potuto fare? Ma come? Avrebbero dovuto correre!
  Comunque, questo problema purtroppo esiste, quindi bisogna fare qualche cosa. Si dirà che già la legge sull'adozione prevede l'erogazione di misure di carattere economico, di sostegno, nei casi di minori ultra dodicenni o affetti da gravi forme di handicap. La legge prevede anche l'adozione in casi particolari quando vi sia la «constatata impossibilità di affidamento preadottivo». Questa è la famosa norma sulla quale hanno fatto leva i nostri giudici. Ma occorre fare di più, in primo luogo rimuovere il divieto di adozione che attualmente esiste a carico delle coppie non coniugate. Si tratta di un divieto che definirei proprio incomprensibile, perché la stessa legge, invece, ammette che possa adottare la persona singola. Quindi, c'è questa preclusione per la coppia non coniugata.
  C'è il problema della persona singola, che oggi è tagliata fuori dall'adozione piena. Ancora una volta, io credo che si debba essere ben decisi nel togliere un divieto che non ha ragione di sussistere. Il ragionamento che oggi si fa è questo: per il minore è meglio, sicuramente, essere adottato da una coppia, perché viene rispettato il suo interesse alla cosiddetta «bi-genitorialità». Questo, certamente, è vero e si tratta di un interesse che è stato tenuto ben presente nella nostra legislazione. La riforma in tema di affidamento, nei casi di genitori separati o divorziati, ha sottolineato invece la necessità che il bambino goda del rapporto personale con entrambi i genitori.
  È stato detto che l'adozione ha una matrice solidaristica e, se questo è vero, allora, non possiamo negarla al minore al quale si offra l'occasione di essere adottato da una persona singola, quando non ci sono altre opzioni.
  Per quanto riguarda l'adozione mite – su questo punto già avevo a suo tempo espresso la mia opinione – non ci sono dubbi che questa legge di revisione dell'adozione debba introdurre questo istituto. Si è discusso e si discute sulla natura dell'adozione mite, se convenga o meno. Secondo me, intanto abbiamo un punto da Pag. 18tener presente, cioè che ancora una volta l'Europa è intervenuta. Guarda caso, proprio quella sentenza che ho citato prima, «Zhou contro Italia», è una sentenza che ha condannato l'Italia per non avere applicato, nel caso di specie, un istituto equivalente alla nostra adozione in casi particolari.
  Detto questo, devo aggiungere che, a prescindere dal pungolo dell'Europa, l'adozione mite deve essere riconosciuta perché risolve un problema che attualmente rimane completamente aperto. La legge n. 173 del 2015 ha sottolineato l'interesse alla continuità affettiva, ma non ha risolto il problema di fondo che presentano gli affidamenti familiari che si protraggono nel tempo e che poi sboccano dove? Il più delle volte il minore – si è constatato sul piano dell'esperienza – non ha del tutto reciso il legame con la famiglia di origine; c'è un rapporto affettivo che è rimasto, quindi, questo minore non può essere dichiarato in stato di adottabilità, ma al tempo stesso si trova in una situazione in cui ha bisogno di continuare quel rapporto affettivo che si è già instaurato con gli affidatari familiari.
  La legge n. 173 del 2015 non ha risolto il problema perché si applica il canale preferenziale per gli affidatari solo quando ci sia la dichiarazione dello stato di adottabilità, quindi non nei casi, che sono quelli problematici, del minore in condizione cosiddetta di «semi abbandono».
  Signor presidente, il discorso andrebbe molto avanti e riguarderebbe la direzione nella quale si dovrebbe andare intanto per venire incontro a una domanda che è frequente, quella che nasce dall'insoddisfazione per come viene applicata la legge sull'adozione. Vi è necessità di una semplificazione della procedura, sia per quanto riguarda le adozioni nazionali, sia per quanto riguarda le adozioni internazionali. Ci sono casi – ma qui manca il tempo, e comunque sarebbero solamente esempi – di norme che richiedono un percorso eccessivamente gravoso, e direi inutilmente gravoso. Secondo me, bisogna tener conto di questa esigenza di semplificazione che vale anche per le adozioni internazionali.
  C'è un punto che non è stato forse abbastanza opportunamente sottolineato, e concludo con questa citazione: noi abbiamo un articolo della legge sull'adozione, l'articolo 35, che concerne l'adozione di minori pronunziata all'estero, quando si tratti di Stati che hanno aderito alla Convenzione dell'Aja. Qui il tribunale, che ha già rilasciato il decreto di idoneità, verifica che nel provvedimento dell'autorità che ha pronunciato l'adozione risulti la sussistenza delle condizioni delle adozioni internazionali previste dall'articolo 4 della Convenzione.
  Accerta, inoltre, che l'adozione non sia contraria ai princìpi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori, valutati in relazione al superiore interesse del minore, ma in definitiva questa norma ha disatteso completamente un principio che pure sembrava ormai assolutamente accettato, quello secondo cui i provvedimenti di un'autorità straniera, se non ci siano ragioni per negarne l'efficacia, devono ritenersi direttamente efficaci nel nostro.
  Qui perché mai occorre un nuovo procedimento di adozione vero e proprio, perché bisogna verificare tutte queste condizioni? La spiegazione di questa norma si basa fondamentalmente sul timore del nostro legislatore che attraverso queste sentenze di adozione pronunciate all'estero avessero partita vinta gli adottanti che non rispondono ai nostri requisiti, quindi si voleva evitare che venisse pronunciata l'adozione. Almeno questa norma dovrebbe essere riveduta alla luce di quel principio.

  PRESIDENTE. Noi la ringraziamo moltissimo perché ha aperto una serie di squarci e ha ripreso dei percorsi che erano stati già avviati in altre audizioni, che credo meritino un nostro ulteriore approfondimento, ma che, comunque, vanno nella linea da cui era partita questa indagine conoscitiva, cioè di tener conto dell'evoluzione della società civile e quindi a fare una riforma dell'adozione che tenesse conto delle nuove esigenze nel primario interesse del minore.

Pag. 19

  MASSIMO CESARE BIANCA, libero docente di diritto civile. Ad essere amato!

  PRESIDENTE. «Ad essere amato», questa è una definizione che possiamo scolpire perché va al di là delle definizioni meramente giuridiche ed entra proprio nello scopo dell'adozione. C'è un aspetto che personalmente dovrò capire meglio perché abbiamo audito due presidenti del Tribunale dei minori e ne sentiremo altri (in prospettiva si parla di giudici della famiglia), però lei metteva in evidenza l'esigenza di semplificare il procedimento.
  L'altro giorno, sia il presidente Sceusa sia la presidente Laera davano dei tempi molto veloci, ossia un anno per definire tutto, mentre le famiglie ci parlano di tutt'altri tempi.
  Noi studieremo meglio le eventuali osservazioni che il professore vorrà mandarci anche alla luce di questa audizione, ma lei fa riferimento a un tempo sostanzialmente perentorio, a qualche termine di fase che possa garantire uniformità sul territorio nazionale e fare in modo che la tempistica sia prevedibile.
  Noi ci siamo mossi, sia pur come elementi base dell'indagine conoscitiva, dalla categoria di soggetti a cui aprire o, comunque, verificare l'apertura dell'adozione e dell'affidamento, sempre considerato l'interesse del minore, procedura e poi semplificazione della procedura. Questo è il nostro obiettivo un po'ambizioso, ma speriamo, all'esito dell'indagine conoscitiva, di aver potuto evidenziare i nodi critici, fermo restando che ci sarà poi un momento di costruzione della norma, per la quale già cominciamo a chiedere aiuto, eventuali suggerimenti tecnici specifici anche da rappresentare quando si elaborerà il testo per riferire sull'indagine conoscitiva in Aula.
  Noi faremo altre audizioni di associazioni e di esperti, ma vorremmo chiedervi se vogliate suggerirci qualche ulteriore accertamento mirato. Ad esempio, sull'operato dei servizi sociali non abbiamo modalità di accertamento, se non attraverso la Conferenza delle regioni, non riusciamo a individuare degli organismi di riferimento, mentre vorremmo individuare qualche rappresentante o riferimento territoriale di prassi più o meno virtuose, perché altrimenti quella parte rimane poco comprensibile.
  Il Tribunale si avvale, infatti, dei servizi sociali, che però sono gestiti dagli enti territoriali, quindi – mentre le associazioni sono ampiamente rappresentate, i magistrati, gli avvocati e i professori vengono auditi – su quell'aspetto non riusciamo ad incidere più di tanto nell'indagine conoscitiva, per capire quali siano le difficoltà, se, come diceva oggi il Ministro Lorenzin, sia solo una questione di squilibri di numeri territoriali, oppure, di formazione di professionalità, di un ruolo (dico una cosa che potrebbe essere smentita) decisivo e determinante che può essere di delega eccessiva, oppure sia necessario perseguire quella strada attraverso una responsabilizzazione, una professionalità, un qualcosa di più ragionato.
  Ovviamente, questo esula dalla nostra competenza specifica però, siccome la riforma dell'adozione si fa in Commissione giustizia, è ovvio che ne parleremo anche con i rappresentanti di altre Commissioni, però sapere già da che parte dobbiamo andare ci può essere utile.
  Non so se lei vuole aggiungere qualcosa.

  MASSIMO CESARE BIANCA, libero docente di diritto civile. Poche parole. La necessità di una semplificazione è stata da più parti evidenziata, ma lei, giustamente, chiede come in concreto si debba semplificare e, se permette, in due minuti vorrei citare una norma della nostra legge, che costituisce proprio uno dei talloni di Achille. Vi si prevede che, ai fini di considerare una coppia suscettibile di affidamento preadottivo, il Tribunale deve «accertare previamente (questo è l'articolo 22, comma 3) i requisiti di cui all'articolo 6».
  Poi dispone l'esecuzione delle adeguate indagini di cui al comma 4, ricorrendo ai servizi socio-assistenziali degli enti locali, poi si dice, al comma 4, che «le indagini devono comunque essere tempestivamente avviate e concludersi entro 120 giorni rinnovabili».
  Qui abbiamo un termine abbastanza ristretto, ma questo termine non è perentorio e serve ad accertare i requisiti che il Pag. 20Tribunale per i minorenni deve verificare in maniera preventiva, quindi sempre ricorrendo alla consulenza dei servizi sociali. Abbiamo, quindi, un accertamento preventivo e un accertamento successivo aventi lo stesso oggetto.
  Si dirà che alla fine però i tempi sono ristretti, ma non è vero, perché il termine di 120 giorni riguarda le indagini successive, ma non è detto entro quale termine il Tribunale per i minorenni deve avviare la procedura, non c'è scritto, quindi questo è uno dei punti critici.
  Se ne potrebbero citare altri per le adozioni internazionali, ma per rispondere al suo interrogativo considero necessario procedere in quella direzione, accertare veramente come funziona questo sistema e chiederci (questa è una domanda di fondo strettamente politica) se non debba qui favorirsi il principio della sussidiarietà orizzontale e dare largo spazio anche al privato.
  Perché la consulenza richiesta ogni volta per il decreto di idoneità non deve essere rilasciata già in via preventiva da un ente autorizzato, quando di questo si abbiano tutte le garanzie di professionalità e di serietà?
  A maggior ragione questo potrebbe portare addirittura a ipotizzare degli enti autorizzati pubblici. Questa potrebbe essere una delle tante strade da percorrere, ma credo che occorra far leva sulle professionalità per giungere a un testo largamente condiviso e rispondente alle esigenze sociali.

  PRESIDENTE. Grazie, professore, per gli spunti di riflessione che ci ha dato.
  Adesso concludiamo le audizioni con Paola Crestani, presidente del Centro italiano aiuti all'infanzia (CIAI).

  PAOLA CRESTANI, Presidente del Centro italiano aiuti all'infanzia (CIAI). Buonasera. Ringrazio la Commissione e la presidente in prima persona per avermi dato l'opportunità di portare il contributo di CIAI a questa audizione.
  Il Centro italiano aiuti all'infanzia (CIAI) è un'associazione, un ente autorizzato per le adozioni internazionali e una organizzazione non governativa che è impegnata in Italia e attualmente in altri 11 Paesi nel mondo per tutelare i diritti dei bambini.
  Siamo stati la prima organizzazione in Italia dal 1968, data della nostra fondazione, a occuparci di adozione internazionale, quando ancora non c'era una legge per l'adozione internazionale, per cui abbiamo contribuito alla formazione della legge n. 184 del 1983, siamo stati cofondatori di EurAdopt, una rete europea di associazioni che si occupano di adozione, attraverso la quale collaboriamo fattivamente con il Permanent Bureau dell'Aja, che è stato richiamato spesso in queste audizioni come l'istituzione che a livello mondiale è più autorevole per quanto riguarda l'adozione internazionale.
  Con il Permanent Bureau dell'Aja, l'anno scorso, abbiamo partecipato a un progetto di monitoraggio per la trasparenza dei costi nell'adozione internazionale, in preparazione allo Special meeting dell'Aja svoltosi a giugno del 2015.
  In Italia facciamo parte del Gruppo CRC, le cui raccomandazioni ho sentito più volte citare in queste audizioni. In questi quasi 50 anni di attività, abbiamo dedicato particolare attenzione alla correttezza e alla qualità delle pratiche adottive, alla preparazione prima dell'adozione e al sostegno post-adottivo delle famiglie, quindi abbiamo dedicato grande attenzione alle famiglie adottive perché per noi le famiglie sono degli alleati, dei partner nell'impegno di garantire ai bambini in stato di abbandono il diritto a una famiglia.
  La nostra attenzione è sempre quella di essere dalla parte dei bambini ed è con quest'ottica che abbiamo voluto analizzare lo stato di attuazione della legge n. 184 del 1983, per quanto riguarda sia l'adozione internazionale sia l'adozione nazionale e l'affido.
  Per quanto riguarda l'adozione internazionale, la legge n. 184 del 1983, con tutte le modifiche successive, è portata a modello in campo internazionale come una legge veramente molto apprezzata per l'attenzione che dedica sia ai bambini in stato Pag. 21di abbandono sia alle famiglie che li vogliono adottare, ma in particolare alla tematica della prevenzione dell'abbandono.
  È infatti l'unica legge che considera le organizzazioni che si occupano di adozione internazionale non soltanto come delle agenzie, ma anche con un ruolo effettivo nella prevenzione dell'abbandono, perché agli enti autorizzati è richiesto di attivarsi nei Paesi in cui lavorano per mettere in pratica dei progetti di prevenzione dell'abbandono. Questo è un requisito richiesto per poter avere l'autorizzazione a lavorare.
  L'Italia è molto apprezzata nel mondo (mi capita spesso quando partecipo a qualche convegno internazionale che ci venga riconosciuto un grandissimo merito nel campo delle adozioni internazionali sia perché siamo il secondo Paese al mondo come numero di adozioni, sia specialmente per la disponibilità delle nostre famiglie ad adottare bambini anche con bisogni speciali, che non è una cosa scontata. Sta cominciando a diventarlo in altri Paesi, ma l'Italia è sempre stata abbastanza all'avanguardia per questo.
  Questa disponibilità, però, un po’ sta diminuendo. Abbiamo visto, ed è già stato ricordato più volte, durante queste audizioni, che assistiamo a un calo delle famiglie disponibili ad adottare che è arrivato quasi al 50 per cento nel giro di una decina d'anni.
  Questo è causato da diversi motivi. Sicuramente i costi delle adozioni internazionali e il periodo di disagio, anche per la crisi economica, giocano la loro parte. Un'altra causa è il fatto che i bambini che vengono segnalati sono sempre più bambini con bisogni speciali. Anche questo è già stato richiamato più volte durante queste audizioni.
  I bambini con bisogni speciali sono bambini o di età scolare, quindi già grandicelli, oppure bambini con problemi di salute o di gravi maltrattamenti o bambini che fanno parte di fratrie allargate, quindi sono tre o più fratelli.
  Questa percentuale di bambini con problemi di salute è aumentata molto. Gli ultimi dati che noi abbiamo nel rapporto statistico CAI, che risale ancora al 2013 perché poi non ne abbiamo avuti più, ci dicono che, dal 2009 al 2013, la percentuale di bambini con i bisogni speciali o particolari, quindi con bambini con problemi di salute o disabilità, è raddoppiata.
  A questo, poi, si aggiunge il fatto che il 50 per cento dei bambini che vengono adottati in Italia, almeno fino al 2013, sono di età che supera i sei anni. Insomma, la percentuale di bambini con bisogni speciali è decisamente alta, però, allo stesso tempo, diminuiscono le famiglie che danno disponibilità per questi bambini.
  Non abbiamo dei dati precisi sulle necessità generali dei bambini e su quanti non riescono a trovare una famiglia. In realtà, sono anche circolati dei dati sul numero dei bambini adottabili al mondo che, però, non ci risultano attendibili perché sono dati che riguardano bambini vulnerabili che, quindi, non sono necessariamente dei bambini adottabili, ma sono dei bambini che vivono in situazioni di particolare difficoltà, che, a volte, sono bambini orfani, ma magari orfani di un solo genitore, e comunque l'equazione tra bambino vulnerabile e bambino adottabile non è così immediata.
  Ripeto che, pur non avendo dati rispetto alle necessità dei bambini, evidenziamo che mancano famiglie per bambini con bisogni speciali. Io posso riferirmi soltanto al nostro caso particolare.
  Vi porto la nostra esperienza: l'anno scorso, il CIAI ha trovato una famiglia in Italia per 54 bambini, però sono stati ben 63 i bambini che ci sono stati segnalati e dei quali abbiamo studiato la situazione e fatto ulteriori approfondimenti sulle condizioni di salute e così via, cui non siamo riusciti a trovare una famiglia, quindi c'è questa necessità.
  Allo stesso tempo, in generale diminuiscono le adozioni, cioè diminuiscono i numeri dei bambini adottati in Italia. Prendendo i dati che sono stati pubblicati in questi ultimi giorni, possiamo dire che, in cinque anni, praticamente si è dimezzato il numero dei bambini adottati.
  Ho sentito richiamare più volte durante queste audizioni, come causa, una causa positiva, cioè il fatto che in molti Paesi ci Pag. 22sia stato uno sviluppo delle situazioni socioeconomiche e anche di tutela dell'infanzia, per cui c'è meno bisogno di adozione.
  Non ho sentito sottolineare a sufficienza un altro motivo che, invece, è un motivo negativo, cioè diversi Paesi si sono chiusi alle adozioni internazionali, quindi non segnalano più bambini, a causa di problemi di mal pratiche, di compravendita dei bambini e, in alcuni casi, addirittura, se posso usare questo bruttissimo termine, quasi di «produzione» di bambini su commissione, quindi, a fronte di situazioni così terribili, alcuni Paesi non hanno trovato altra soluzione che chiudere le adozioni.
  Questo, però, non vuol dire che non esistono bambini in situazioni di abbandono in quei Paesi perché continuano a esistere e non trovano una soluzione attraverso l'adozione internazionale. Dico questo per richiamare al fatto che fare adozioni corrette e portare avanti delle pratiche trasparenti e nella più completa legalità è una cosa fondamentale per l'adozione, riguardo alla tutela dei bambini, altrimenti tanti bambini non riescono a trovare una soluzione attraverso l'adozione internazionale.
  Rispetto a questo problema di adozioni che vengono fatte in modo scorretto, vorrei anche ricordare che in Italia continuano a essere più del 50 per cento i bambini che provengono da Paesi che non hanno ratificato la Convenzione dell'Aja, dove quindi le maglie della legislazione e dei controlli sono più larghe e i rischi di pratiche poco chiare, cioè quelle di cui parlavo prima, sono maggiori.
  Il calo del numero delle adozioni, poi, genera anche – non so se è stato abbastanza evidenziato in altre audizioni – dei problemi di sostenibilità, da parte degli enti autorizzati che operano nelle adozioni. Questa è una cosa da tenere in particolare considerazione perché aumenta il rischio di fare adozioni ad ogni costo, diminuendo, di conseguenza, l'attenzione alla trasparenza e alla qualità delle adozioni, cioè porta a una minore attenzione alla tutela dei diritti dei bambini, delle famiglie di origine e anche di quelle adottive e aumenta così il rischio di provocare quelle situazioni di crisi, di cui abbiamo sentito parlare prima, o anche di fallimenti adottivi.
  Rispetto alle situazioni di crisi o di fallimenti, sottolineo che poco si sa di come stanno i bambini adottati con l'adozione internazionale. I Tribunali per i minorenni parlano di un aumento dei fallimenti adottivi, derivanti dalle adozioni internazionali, ma, purtroppo, non sono a disposizione dei dati e delle statistiche in merito e non esiste ancora, a oggi, una rilevazione sul benessere dei minori adottati.
  Tra l'altro, noi enti autorizzati siano obbligati a mandare nei Paesi, da cui provengono i bambini, dei report post-adozione che sono tutti a disposizione della Commissione per le adozioni internazionali, la quale eventualmente potrebbe utilizzarli per avere un feedback rispetto a come stanno i nostri bambini adottati.
  Sottolineo ancora il fatto che la correttezza delle adozioni è una cosa molto importante perché è una premessa indispensabile per un solido legame familiare, anche per prevenire i fallimenti adottivi.
  Per quanto riguarda la correttezza delle adozioni, un ruolo importantissimo è giocato dalla Commissione per le adozioni internazionali che ha, appunto, il compito di governare tutto il sistema delle adozioni internazionali in Italia, coordinando e collaborando con tutti gli attori del processo adottivo, cioè gli enti autorizzati che la CAI deve anche controllare, ma anche con i tribunali, con le regioni, con i servizi sociali locali di cui si parlava anche prima, e con le associazioni familiari.
  Inoltre, la CAI ha importantissimo compito di garantire che tutte le procedure di adozione siano corrette e in conformità con la Convenzione dell'Aja.
  Abbiamo visto, in questo periodo, un lavoro molto difficile della Commissione per le adozioni internazionali che ci preoccupa perché, se manca questo ruolo fondamentale, tutto il sistema delle adozioni rischia un po’ di vacillare.
  La difficoltà di questo lavoro della CAI è stata evidenziata dalla sua stessa Vice Presidente che, anche in diverse interviste, una delle quali anche pubblicata sul sito Pag. 23della CAI, ha detto che ci sono degli enti autorizzati che non lavorano in modo corretto. Questo è molto grave perché la correttezza delle adozioni deve essere, invece, assolutamente garantita.
  Purtroppo, tale correttezza non può essere garantita forse in questo momento perché, come è già stato ricordato più volte, la Commissione per le adozioni internazionali non si riunisce da più di due anni, quindi di fatto non c'è. Anche sapere chi sono i commissari in questo momento è molto difficile. Il fatto di non riunirsi, come è già stato sottolineato altre volte, comporta che non vengano verificate e analizzate le richieste di autorizzazione a lavorare nei Paesi stranieri da parte degli enti autorizzati e non vengano rispettati o rinnovati degli accordi bilaterali né mantenute le necessarie relazioni di cooperazione con i Paesi di provenienza e con gli altri Paesi d'accoglienza dei bambini che, come ha precedentemente ricordato anche il Sottosegretario Amendola, sono fondamentali e sono menzionati spesso dalla Convenzione dell'Aja.
  Dal 2013, non è più stato pubblicato l'importante rapporto statistico sulle adozioni internazionali che contiene, non solo i dati del numero delle adozioni effettuate, ma anche quelli riguardanti la provenienza dei bambini, l'ente attraverso il quale sono arrivati, se i bambini hanno eventuali problemi di salute, che età hanno e molte altre informazioni demografiche che riguardano le famiglie che adottano questi bambini. Come è già stato più volte richiamato, il rapporto statistico e i dati in generale sulle adozioni sono fondamentali.
  Non sono state verificate le rendicontazioni rispetto ai progetti di sussidiarietà che, come ho detto precedentemente, sono in realtà un fiore all'occhiello della nostra legge. Inoltre, non è stato svolto il monitoraggio degli enti autorizzati che è richiamato per legge. Vi ripeto che la legge è una legge molto buona, ma spesso non è completamente applicata. Quella del monitoraggio è una richiesta che facciamo praticamente da sempre, cioè da quando esiste la Commissione per le adozioni internazionali. Probabilmente, bisogna introdurre anche qualche correzione perché il monitoraggio sia veramente effettuato e garantito sempre.
  Ovviamente c'è anche un'ulteriore confusione che è generata dalla disomogeneità degli enti autorizzati italiani che attualmente sono 62. Prima veniva ricordato che il Comitato ONU di monitoraggio per i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza aveva raccomandato, già nel 2011, all'Italia un innalzamento dei requisiti per la qualità e la trasparenza degli enti autorizzati e una possibile diminuzione. Questo succedeva nel 2011, e vi ricordo che allora il numero delle adozioni era il doppio di quello di adesso, quindi credo che, a maggior ragione, al giorno d'oggi gli enti, per il numero di adozioni che vengono fatte, sia probabilmente eccessivo.
  Fatto un quadro su che cosa ha funzionato e cosa invece sarebbe da migliorare rispetto all'adozione internazionale, vorrei fare qualche accenno a che cosa serve per migliorare l'adozione internazionale in Italia.
  Intanto, occorre poter adeguare il sistema delle adozioni internazionali agli effettivi bisogni dei bambini che, come ho ricordato, in questo momento sono bambini cosiddetti «con bisogni speciali» per la maggior parte, cioè bambini in età scolare, che appartengono a fratrie, con problemi di salute e con problemi spesso di gravi maltrattamenti e abusi alle spalle.
  Per adeguare il sistema delle adozioni internazionali, torno a dire che, per prima cosa, servono pratiche adottive chiare, trasparenti e corrette. Questo si può raggiungere attraverso un adeguato funzionamento della CAI e introducendo dei requisiti di qualità e trasparenza più alti degli enti autorizzati che potrebbero – questo è l'auspicio – portare anche a una diminuzione generale del numero degli enti.
  La disomogeneità degli enti, così come prima ricordato anche rispetto ai servizi sociali territoriali, è sempre un problema perché è importante che le famiglie possano trovare servizi adeguati e della medesima qualità, in qualunque parte d'Italia si trovino e a qualunque ente si rivolgano. Pag. 24
  Mi soffermo ancora un po’ di più sulla necessità di garantire pratiche trasparenti e corrette perché, come dicevo, questo rappresenta non solo una necessità dal punto di vista etico, ma è anche la base fondamentale sulla quale costruire un rapporto di filiazione che sia duraturo. Un rapporto serio e forte non può basarsi su qualche cosa che è nato in modo non trasparente.
  Per questo motivo, cioè per garantire delle adozioni corrette e trasparenti, è fondamentale il ruolo della CAI che dovrebbe stabilire e mantenere dei rapporti di cooperazione e collaborazione con gli altri Paesi di accoglienza e con i Paesi di provenienza dei bambini, e che dovrebbe svolgere un'attenta e continua azione di vigilanza e controllo degli enti autorizzati, in particolare all'estero.
  Lo potrebbe fare attraverso, per esempio, un monitoraggio dei bilanci dei flussi finanziari che devono sempre essere tracciabili. Queste cose sono già contenute nelle linee guida per gli enti autorizzati, ma, anche qui, a volte disattese.
  Inoltre, la Commissione deve garantire le modalità di svolgimento della pratica adottiva e dei rapporti con i referenti esteri.
  Richiamo, quindi, al fatto che bisognerebbe applicare alla lettera le linee guida che già esistono, sia quelle italiane sia quelle del Permanent Bureau dell'Aja.
  È indispensabile che la Commissione per le adozioni internazionali, con la collaborazione degli enti autorizzati, definisca delle modalità di lavoro comuni e condivise in tutti i Paesi. In alcuni Paesi, siamo veramente tantissimi enti autorizzati. È stato ricordato il caso della Colombia, dove addirittura sono 20 gli enti autorizzati italiani. Dunque, se non ci muoviamo insieme, all'unisono, creiamo solo confusione. È importante che, sotto la regia della CAI, gli enti concordino delle modalità di lavoro comuni nei Paesi.
  La Commissione per le adozioni internazionali deve anche garantire la sussidiarietà dell'adozione internazionale, cioè il rispetto prioritario del diritto di ogni bambino a vivere nella sua famiglia e nel suo Paese di origine, attraverso l'implementazione prima, e poi anche il controllo e la verifica puntuale, dei progetti di prevenzione dell'abbandono che la CAI chiede agli enti di mettere in pratica. Poi, la Commissione per le adozioni internazionali dovrebbe favorire lo scambio di informazioni tra agli enti e con la CAI stessa.
  Abbiamo visto che in questa legge che, come vi ripeto, è una legge buona, queste ultime difficoltà hanno messo in evidenza che mancano alcune cose, specialmente per quanto riguarda il regolamento della Commissione per le adozioni internazionali.
  Vi dicevo prima che la CAI non si è mai riunita, anche se sono moltissimi i commissari. In questo momento, secondo il decreto del Presidente della Repubblica n. 108 del 2007, i commissari sono 23, ma è difficile sapere chi sono perché alcuni mandati sono scaduti e non sono stati rinnovati.
  Forse sarebbe utile tornare a una composizione della Commissione più snella, cioè con meno Commissari e così come era stato previsto all'inizio nella legge n. 476 del 1998, di ratifica della Convenzione dell'Aja, avendo la garanzia della convocazione di questa Commissione.
  Abbiamo visto quanto sia faticoso, e anch'io mi unisco a chi è felice di vedere la nomina della Ministro Boschi a Presidente della CAI. È molto difficile riuscire a gestire contemporaneamente il ruolo di Presidente e Vicepresidente perché sono due ruoli molto diversi: un ruolo politico e un ruolo tecnico. È importante che, a chi ha il ruolo tecnico, venga richiesto – parlo per possibilità future – non solo un'esperienza in campo minorile, ma anche un'esperienza in campo internazionale perché vediamo che le relazioni internazionali, per quanto riguarda le adozioni internazionali, sono fondamentali.
  È anche importante che la Commissione per le adozioni internazionali possa revocare l'autorizzazione, nel caso in cui gli enti non soddisfino i requisiti previsti dalle linee guida. Si dovrebbe anche rendere obbligatoria la pubblicazione del rapporto statistico annuale che abbiamo visto è estremamente importante. Pag. 25
  Dovrebbe anche essere previsto un tempo perentorio per la convocazione della CAI, in modo che non succeda mai più quanto accaduto in questi anni, cioè che la Commissione abbia la possibilità di andare avanti a lavorare senza che ci sia mai una convocazione collegiale della stessa, così come dovrebbero esserci dei tempi perentori, magari ogni sei mesi, anche per le riunioni con gli enti autorizzati.
  L'espletamento delle pratiche di adozione nei Paesi stranieri è concretamente affidato agli enti autorizzati che devono rendere conto alla CAI e da questa venire controllati. È indispensabile che gli enti garantiscano degli standard di correttezza e trasparenza elevati. Tali standard, se verificati attentamente, potrebbero portare alla diminuzione del numero degli enti.
  Quali potrebbero essere questi requisiti? Questi requisiti potrebbero essere, per esempio, l'obbligo della pubblicazione dei bilanci, dei dati delle adozioni, della carta dei servizi – vi ripeto che questo è già previsto nelle linee guida – e dei nomi e dei curriculum dei professionisti che seguono le pratiche adottive.
  Un altro requisito potrebbe essere quello di poter garantire la tracciabilità delle transazioni economiche, ma anche l'obbligo che i referenti per l'adozione che lavorano nei Paesi stranieri siano pagati a stipendio e non a caso, perché in questo modo avremmo maggiori garanzie di evitare pressioni nei Paesi di origine. Infatti, se un referente è pagato a caso, può avere la tentazione di andare in cerca di maggiori segnalazioni di bambini per l'adozione internazionale.
  Inoltre, è molto importante che gli enti autorizzati garantiscano dei servizi di formazione prima dell'adozione e di supporto post-adozione alle famiglie adottive, con personale professionalmente e specificatamente preparato, perché, una volta che abbiamo garantito la correttezza delle adozioni, è fondamentale che ci sia un sostegno economico alle famiglie per l'espletamento della pratica adottiva.
  Abbiamo visto che i costi sono molto alti e che gli incentivi per le adozioni, che erano previsti fino al 2011, non sono stati più mantenuti, nonostante nel 2015 il Governo abbia stanziato 15 milioni per le adozioni internazionali.
  È indispensabile una formazione adeguata e professionale alle aspiranti famiglie adottive.
  Inoltre, secondo noi, è assolutamente necessaria, a maggior ragione se si arriverà a un ampliamento delle persone che possono aspirare all'adozione, un'attenta valutazione delle effettive risorse delle famiglie disponibili all'adozione.
  È importante anche garantire un sostegno post-adottivo a lungo termine. L'adozione non finisce quando il bambino arriva in famiglia, ma lì comincia e deve durare per tutta la vita. Di conseguenza, bisogna garantire un sostegno post-adozione per tutta la vita, che sia fornito dal servizio pubblico oppure dagli enti autorizzati o da altri organismi accreditati, in modo sostenibile, ossia attraverso delle forme di convenzione oppure garantendo degli sgravi fiscali alle famiglie.
  Queste ultime attenzioni che ho ricordato (formazione, sostegno post-adozione eccetera) non valgono solo per l'adozione internazionale, ma valgono anche per l'adozione nazionale, fatta eccezione per il sostegno alle spese per la pratica adottiva, che in Italia sono tutte a carico dello Stato.
  Anche nel campo delle adozioni nazionali assistiamo a un calo del numero delle famiglie disponibili, ancorché siano molte rispetto al numero dei bambini adottati.
  Anche il Ministro Orlando qualche giorno fa aveva portato dei dati. Esistono ancora dei bambini che non sono adottati, nonostante siano adottabili. Peraltro, le stime di questi bambini sono diverse a seconda delle fonti. Il Ministero della giustizia parlava di 300 bambini, mentre l'ISTAT, riferendosi al 2013, parlava di quasi 800 bambini nelle comunità che erano adottabili e non adottati.
  In ogni caso, anche per l'adozione nazionale si assiste al fenomeno della mancanza di famiglie per i bisogni di alcuni bambini. Quello che serve, dunque, è avere la disponibilità di genitori giusti per quei bambini, che siano preparati adeguatamente. Pag. 26
  Per questo, la nostra proposta è che anche le famiglie che si rendono disponibili per l'adozione internazionale abbiano la garanzia di una formazione adeguata e professionale e di un'attenta valutazione delle effettive risorse a disposizione.
  In particolare, secondo noi, è importante che anche le famiglie che offrono disponibilità all'adozione nazionale possano avere delle informazioni e dei ritorni circa la valutazione delle proprie capacità genitoriali, cioè avere l'idoneità, come capita per l'adozione internazionale.
  Altrimenti, ci sono delle famiglie che fanno la domanda e poi restano ad attendere per un tempo infinito, senza nulla sapere rispetto al fatto che possano essere prese in considerazione o meno.
  Peraltro, specialmente in quel periodo di lunga attesa non sono assolutamente seguite, mentre quello sarebbe un periodo importante da mettere a frutto per prepararle adeguatamente alle necessità che verranno più avanti.
  È importante, anche per quanto riguarda l'adozione nazionale, fornire degli strumenti per rispondere ai bisogni specifici dei bambini fuori famiglia.
  A questo proposito, ritorno alle proposte che sono state fatte di un altro tipo di adozione, che noi chiamiamo «adozione aperta», cioè la possibilità, per quei bambini per i quali questo può essere di beneficio, di mantenere i rapporti positivi con alcuni componenti della famiglia di origine anche con l'adozione piena.
  Prevedere la possibilità dell'adozione aperta permetterebbe semplicemente di avere uno strumento in più a disposizione, per dare delle risposte ai bambini che non hanno probabilità di ritornare in famiglia, ma per i quali è comunque importante un rapporto con la famiglia di origine.
  Peraltro, questa possibilità potrebbe consentire anche di dare risposta a quei bambini che sono in affido a lunghissimo termine.
  Anche rispetto all'affido non abbiamo dei dati sempre concordanti, però sappiamo che sono molti (circa 15.000) i bambini in affido. La metà di questi hanno degli affidi che durano più dei due anni previsti e un 30 per cento di questi ha affidi che sono chiamati «affidi sine die», cioè rientrano in famiglia per dei brevissimi periodi oppure, quando va bene, restano sempre nella stessa famiglia per tutta la vita e, quando non va bene, cambiano continuamente situazione: dalla famiglia affidataria tornano in famiglia, poi vanno in comunità e poi vanno in un'altra famiglia affidataria.
  Pensare a un'adozione aperta potrebbe anche offrire a questi bambini una soluzione che garantisca una stabilità degli affetti, che è fondamentale.
  Vorrei concludere con tre considerazioni generali rispetto alla legge n. 184 del 1983, che valgono sia per l'affido sia per l'adozione nazionale sia per l'adozione internazionale e che sono state già richiamate.
  La prima concerne il criterio generale da applicare in ogni decisione che riguarda il bambino, che è il superiore interesse del minore, soprattutto se questa decisione modifica radicalmente il corso della vita del bambino.
  Il principio che, come si ricordava prima, è enunciato nella Convenzione ONU del 1989 non ci sembra ancora adeguatamente esplicitato nella legge come criterio generale, così come ha richiesto all'Italia il comitato ONU.
  Il secondo punto che vorrei portare alla vostra attenzione per concludere è che garantire il supremo interesse del minore significa anche garantire il diritto all'ascolto.
  In diversi passaggi della legge n. 184 del 1983 viene previsto l'ascolto per il bambino che ha più di dodici anni. Secondo noi, è importante garantire l'ascolto al bambino sempre, qualunque sia la sua età, ovviamente nei modi adatti alla sua età. Crediamo che sia fondamentale che tutti i bambini che sono coinvolti nel processo dell'adozione, anche quelli che già sono in famiglia, siano ascoltati.
  Ascoltare, peraltro, significa anche promuovere la partecipazione dei bambini in questo processo che cambierà per sempre il loro futuro. Pag. 27
  Infine, vorrei ricordare la necessità di avere sempre in mente l'obiettivo di aiutare i bambini a rimanere nelle loro famiglie di origine e nei loro Paesi di nascita. Questo aiuto non deve essere un'eccezione, ma deve essere reso concreto, prevedendo per legge un maggiore sostegno alle famiglie di origine in Italia e anche lo stanziamento di risorse per implementare progetti di prevenzione dell'abbandono nei Paesi di origine dei bambini.
  Infatti, in realtà, l'obiettivo di tutti noi che abbiamo a cuore l'interesse dei bambini è che non ci sia più bisogno del nostro impegno, né per l'adozione né per l'affido.

  PRESIDENTE. Grazie, anche di questa ulteriore acquisizione. Abbiamo il testo?

  PAOLA CRESTANI, Presidente del Centro italiano aiuti all'infanzia (CIAI). Sì, ho lasciato un testo.

  PRESIDENTE. È già in distribuzione. La ringraziamo, anche per questo insieme di proposte. Oggi chiudiamo la nostra audizione. In seguito abbiamo varie altre tappe di questa indagine conoscitiva.
  Ringrazio la dottoressa Crestani per il contributo e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.35.

Pag. 28