XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Lunedì 11 aprile 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ATTUAZIONE DELLA LEGISLAZIONE IN MATERIA DI ADOZIONI ED AFFIDO

Audizione di rappresentanti dell'Associazione amici dei bambini (Ai.Bi.), del Coordinamento Oltre l'adozione, dell'Associazione La Gabbianella e altri animali-onlus, dell'Associazione Network aiuto assistenza accoglienza-onlus (NAAA), del Coordinamento delle Associazioni familiari adottive e affidatarie in rete (CARE), del Forum delle Associazioni familiari, della Comunità Papa Giovanni XXIII, del Centro internazionale per l'infanzia e la famiglia (CIFA) e dell'Unione famiglie adottive italiane.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 ,
Griffini Marco , Presidente dell'Associazione amici dei bambini (Ai.Bi.) ... 4 ,
Cianflone Elena , Presidente dell'Unione famiglie adottive italiane (UFAI) ... 6 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 9 ,
Forcolin Carla , Presidente dell'Associazione La Gabbianella e altri animali-Onlus ... 9 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 11 ,
Luccitelli Luca , Componente del Servizio Diritti umani e Giustizia della Comunità Papa Giovanni XXIII ... 11 ,
Martini Valter , Componente del Servizio accoglienza e condivisione della Comunità Papa Giovanni XXIII ... 12 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 ,
Ardizzi Pietro , Portavoce del coordinamento «Oltre l'adozione» ... 14 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 17 ,
Maccanti Maria Teresa , Presidente dell'associazione Network aiuto assistenza accoglienza-Onlus (NAAA) ... 17 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 17 ,
Maccanti Maria Teresa , Presidente dell'associazione Network aiuto assistenza accoglienza-Onlus (NAAA) ... 17 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 20 ,
Ferritti Monya , Presidente del Coordinamento delle Associazioni familiari adottive e affidatarie in rete (CARE) ... 20 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 20 ,
Ferritti Monya , Presidente del Coordinamento delle Associazioni familiari adottive e affidatarie in rete (CARE) ... 20 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 22 ,
Ferritti Monya , Presidente del Coordinamento delle Associazioni familiari adottive e affidatarie in rete (CARE) ... 22 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 22 ,
Nasazzi Colombo Maria Grazia , Vicepresidente del Forum delle Associazioni familiari ... 22 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 23 ,
Mazzi Marco , Presidente dell'Associazione Famiglie per l'accoglienza ... 23 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 25 ,
Arnoletti Gianfranco , Presidente del Centro internazionale per l'infanzia e la famiglia (CIFA) ... 25 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 28 ,
Zampa Sandra (PD)  ... 28 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 28 ,
Forcolin Carla , Presidente dell'Associazione La Gabbianella e altri animali-onlus ... 29 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 29 ,
Ferritti Monya , Presidente del Coordinamento delle Associazioni familiari adottive e affidatarie in rete (CARE) ... 29 ,
Griffini Marco , Presidente dell'Associazione amici dei bambini (Ai.Bi.) ... 30 ,
Arnoletti Gianfranco , Presidente del Centro internazionale per l'infanzia e la famiglia (CIFA) ... 31 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 31 ,
Arnoletti Gianfranco , Presidente del Centro internazionale per l'infanzia e la famiglia (CIFA) ... 31 ,
Luccitelli Luca , Componente del Servizio Diritti umani e Giustizia della Comunità Papa Giovanni XXIII ... 31 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 31 ,
Scagliusi Emanuele (M5S)  ... 31 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 32

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 15.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e la trasmissione sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'Associazione amici dei bambini (Ai.Bi.), del Coordinamento Oltre l'adozione, dell'Associazione La Gabbianella e altri animali-onlus, dell'Associazione Network aiuto assistenza accoglienza-onlus (NAAA), del Coordinamento delle Associazioni familiari adottive e affidatarie in rete (CARE), del Forum delle Associazioni familiari, della Comunità Papa Giovanni XXIII, del Centro internazionale per l'infanzia e la famiglia (CIFA) e dell'Unione famiglie adottive italiane.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'attuazione della legislazione in materia di adozioni ed affido, l'audizione di rappresentanti dell'Associazione amici dei bambini (Ai.Bi.), del Coordinamento Oltre l'adozione, dell'Unione famiglie adottive italiane, dell'Associazione La Gabbianella e altri animali-Onlus; dell'Associazione Network aiuto assistenza accoglienza-Onlus (NAAA), del Coordinamento delle Associazioni familiari adottive e affidatarie in rete (CARE), del Forum delle Associazioni familiari, della Comunità Papa Giovanni XXIII e del Centro internazionale per l'infanzia e la famiglia (CIFA).
  Sono presenti Marco Griffini, presidente dell'Associazione amici dei bambini (Ai.Bi.), accompagnato da Marzia Masiello, responsabile Coordinamento e relazioni istituzionali dell'Ai.Bi.; Elena Cianflone, presidente dell'Unione famiglie adottive italiane, accompagnata da Gianluca Rocchi, Francesca Maria Bangrazi e Nicola Stufano; Carla Forcolin, presidente dell'associazione La Gabbianella e altri animali-Onlus; Valter Martini, componente del servizio Accoglienza e condivisione della Comunità Papa Giovanni XXIII, accompagnato da Luca Luccitelli del servizio Diritti umani e giustizia; Pietro Ardizzi, portavoce del Coordinamento Oltre l'adozione, accompagnato da Luciano Vanti, presidente dell'ente Nadia, e da Andrea Zoletto, direttore dell'ente International Adoption; Maria Teresa Maccanti, presidente dell'Associazione Network aiuto assistenza accoglienza-Onlus; Monya Ferritti, presidente del Coordinamento delle Associazioni familiari adottive e affidatarie in rete, accompagnata da Anna Guerrieri; Maria Grazia Nasazzi Colombo, Vicepresidente del Forum delle Associazioni familiari, accompagnata da Marco Mazzi, Presidente dell'Associazione Famiglie per l'accoglienza, e da Andrea Sabbadini, socio del Forum delle Associazioni familiari; e Gianfranco Arnoletti, Presidente del Centro internazionale per l'infanzia e la famiglia, accompagnato da Franca Milano, responsabile di Comunicazione e socialmedia.
  Oggi si svolge la prima seduta dell'indagine conoscitiva sullo stato di attuazione delle disposizioni legislative in materia di adozioni e affido, che è stata deliberata dalla Commissione giustizia in quanto, a distanza di ventitré anni dall'approvazione Pag. 4della legge fondamentale in materia di adozioni e affido (legge n. 184 del 1983) e di quindici anni dal primo e unico rilevante intervento modificativo (legge n. 149 del 2001), non è più rinviabile un'attenta verifica, da parte del Parlamento, delle eventuali criticità concernenti l'applicazione concreta della normativa vigente.
  Nell'ambito dell'indagine conoscitiva saranno sentiti il Ministro della giustizia, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della salute, il Ministro con delega alle politiche della famiglia, la Conferenza delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano, l'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), magistrati, avvocati, docenti universitari esperti della materia, associazioni che operano nel settore delle adozioni e dell'affido, operatori dei servizi sociali, rappresentanti di comunità per i minori e rappresentanti delle case famiglia.
  Do ora la parola ai nostri ospiti affinché svolgano la loro relazione.

  MARCO GRIFFINI, Presidente dell'Associazione amici dei bambini (Ai.Bi.). Grazie, presidente. Amici dei bambini è una associazione che lavora da trent'anni sulle tematiche dell'adozione internazionale e dell'affido in Italia, attualmente impegnata in trenta Paesi.
  Ci siamo posti la domanda se ci sia bisogno di una riforma dell'adozione. Sono quasi cinque anni che Ai.Bi. tempesta i parlamentari di richieste per mettere mano alla legge n. 184 del 1983. Il 94 per cento delle adozioni internazionali e nazionali riguarda coppie che non hanno figli, per la maggior parte coppie sterili. I dati dell'ultimo rilevamento Istat del 2011 ci dicono che un terzo delle coppie coniugate eterosessuali è senza figli. Parliamo di 5,43 milioni di coppie eterosessuali.
  Da questo derivano due considerazioni. Da un lato, non è necessario allargare la rosa delle disponibilità. Il dibattito in Senato sulle unioni civili non ci trovava d'accordo laddove si diceva di allargare le disponibilità, per esempio, alle coppie omosessuali perché c'è un esercito di coppie che potrebbero adottare un bambino. Dall'altro, sembra paradossale ma dal 2008 assistiamo a una crisi di disponibilità delle coppie.
  I dati ci dicono che nel 2008 8.000 coppie avevano chiesto un'adozione internazionale e 16.000 un'adozione nazionale. Nel 2014, ultimo dato disponibile, queste 8.000 coppie sono scese a 3.800. Abbiamo perso, quindi, 500 coppie all'anno. Le richieste di affido nazionale, invece, sono scese da 16.000 a 9.000. È sotto gli occhi di tutti il crollo dell'adozione internazionale. Dal tetto del 2011 di 4.050 adozioni siamo passati a una stima – sono due anni che non vengono pubblicati i dati – di circa 2.000 adozioni. È un crollo del 50 per cento.
  Ci siamo chiesti quali siano le cause. Leggiamo sui giornali che non ci sarebbero più bambini. Per la verità – e mi piacerebbe sentire i colleghi – in base ai dati che ci arrivano dai Paesi di origine, questo non è vero. Il Perù, ad esempio, ha chiesto agli enti autorizzati di raddoppiare il numero delle copie disponibili. Noi potevamo depositare dieci famiglie per volta; ci hanno chiesto di raddoppiarle. La Bolivia dopo sette anni ha riaperto le adozioni. La Cambogia ci sta chiedendo, da due anni a questa parte, di mettere in esecuzione l'accordo bilaterale e così il Nepal o l'Africa.
  Dobbiamo dire che da quattro anni, purtroppo, non ci sono state aperture di nuovi Paesi. Mi sembra, quindi, che non sia vero che non ci sono più bambini adottabili nel mondo, senza contare che nel 2009 l'UNICEF parlava di 168 milioni di bambini abbandonati.
  Una delle cause di questo crollo è indubbiamente la paralisi della Commissione per le adozioni internazionali, che da due anni non si riunisce più e non incontra più gli enti. Essendo stato riferito da molti media, penso che ne siate a conoscenza. Il motore si è inceppato. L'adozione internazionale è come una macchina: la Commissione è il motore e noi enti autorizzati siamo le ruote. Apriamo le portiere per fare entrare le famiglie e incontrare i bambini, ma se il motore non funziona è difficile riuscire a spingere la macchina a mano. Pag. 5
  Anche l'adozione nazionale è un punto di domanda. Il paradosso, tutto italiano, è che non sappiamo nemmeno quanti siano i minori fuori famiglia in Italia perché manca la banca dati prevista dalla legge n. 149 del 2000. Non è stata ancora realizzata e mi piacerebbe che voi approfondiste la spiegazione che viene data perché è preoccupante.
  Questa banca dati è semplicissima da creare perché si tratta di mettere in rete ventinove tribunali per i minorenni. C'è stato anche un finanziamento di 100.000 euro. Nonostante abbiamo vinto contro il Ministero della giustizia di fronte al Tribunale amministrativo regionale nel 2012, la banca dati non si fa perché, da quanto ci viene detto, e io vorrei che si aprisse un'inchiesta al riguardo, dei ventinove tribunali per i minorenni solamente otto sono informatizzati. Se è vero questo, c'è davvero da preoccuparsi perché tutte le stime che facciamo sui minori fuori famiglia sono fantasiose.
  Il vero problema pensiamo che sia culturale. Le famiglie in Italia non vedono più l'adozione nazionale e internazionale come una possibilità per diventare genitori. Si è creata una cultura totalmente negativa. Io immagino che gli onorevoli deputati e la stessa presidente abbiano parenti, amici o conoscenti che ritengono l'adozione internazionale un calvario senza fine che è meglio evitare. Si è creata una cultura del tutto negativa.
  Le nostre proposte, che sono contenute nel documento che abbiamo depositato in Commissione, partono da questo aspetto. Oggi è necessario cominciare da una cultura dell'accoglienza, lasciando alle spalle quella che, purtroppo, è la cultura della selezione. L'Italia è l'unico Paese europeo, accanto al piccolo Belgio, che ancora prevede un ricorso al tribunale per i minorenni per ottenere l'idoneità. L'adozione non è un giudizio, né un processo. Si tratta di passare da questa selezione a un accompagnamento, da parte dei servizi sociali, delle associazioni famigliari e degli enti autorizzati, che faccia prendere coscienza alla coppia di quali siano le difficoltà e le bellezze dell'adozione internazionale.
  Altre proposte le vedrete. Uno dei punti fondamentali, visto che sentiamo da tutte le parti che bisogna abbreviare i procedimenti delle adozioni, è che la legge attuale prevede termini che non sono perentori e non servono a niente. I sei mesi previsti dalla legge n. 149 del 2001 per compiere l'iter dell'adozione non vengono mai rispettati. La media mi pare che sia un anno e mezzo o due anni.
  Una cosa che le famiglie non capiscono è per quale ragione specificatamente l'adozione internazionale sia l'unica forma di genitorialità a pagamento. Parliamo di diritti, ma questo è assurdo. Tutti diciamo che un bambino abbandonato ha il diritto di essere figlio, ma questo diritto non viene realizzato senza una famiglia che paghi, e tanto, per dare un papà e una mamma a questo bambino. Non voglio entrare nei budget dello Stato ma, facendo due conti, basterebbero circa 60 milioni di euro per rendere gratuita l'adozione internazionale. Non penso sia una cifra folle.
  Tra le nostre proposte chiediamo, per esempio, di trasferire la Commissione per le adozioni internazionali al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Specialmente nel corso della crisi in Congo abbiamo visto che il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha esercitato tutte le sue potenzialità e tutta la sua preparazione.
  Non va dimenticato che l'Italia è sempre stata uno dei fiori all'occhiello nel campo dell'adozione internazionale dell'Italia, applaudita da Paesi di origine come Russia, Cambogia e Bielorussia, con cui sono stati fatti accordi bilaterali. L'Italia non faceva solo adozioni internazionali, ma anche progetti di cooperazione internazionale finalizzati alla sussidiarietà per mettere in attuazione il principio secondo cui è possibile adottare un bambino straniero se, non a parole ma nei fatti, si fa in modo che i bambini abbandonati restino nel loro Paese d'origine e che a essere adottati siano solamente i bambini «scartati» due volte dalle famiglie di origine. Il termine è brutto, ma molto realistico.
  Prevediamo anche un «canale verde» per i bambini special need e, infine, prevediamo Pag. 6 un'accoglienza innovativa. Siamo soddisfatti del riconoscimento della kafala da parte dello Stato italiano, ma mancano i regolamenti attuativi. È un tema spinoso, ma l'Italia è rimasto l'unico Paese europeo a non avere un regolamento.
  Sosteniamo i soggiorni a scopo adottivo e chiediamo di inserire in questa legge le cosiddette «vacanze pre-adottive». Ce lo chiedono la Cina, la Colombia e parecchi Paesi europei. È una formula molto bella che permette di adottare bambini grandi e che viene attuata da molti Paesi. Abbiamo avuto modo di verificarne l'andamento negli Stati Uniti e lì addirittura si registra il 78 per cento di successo delle vacanze pre-adottive. Un'altra formula innovativa che potrebbe essere presa in considerazione è l'adozione del nascituro, la cosiddetta «adozione in pancia», che dovrebbe essere regolamentata.
  Per quanto riguarda l'affido, ho già parlato della banca dati. Una cosa che chiediamo a gran voce è l'istituzione dell'avvocato del minore e so che ci sono molte proposte di legge, presentate anche nelle passate legislature. Questa figura permetterebbe di sanare un altro scandalo e cioè il fatto che il bambino è l'unica persona al mondo a non avere diritto alla difesa. Il giudice dei minorenni non è il suo difensore e tanto meno lo sono i suoi genitori naturali. Noi chiediamo pertanto l'istituzione di questa figura. Vediamo che nei Paesi stranieri sono effettivamente aumentate le possibilità di accoglienza dei minori.
  Chiediamo, inoltre, che l'affido sia davvero temporaneo perché un bambino non può vivere nella temporaneità degli affetti. Un bambino, per la sua salute e il suo sviluppo, ha bisogno di avere, oltre che un papà e una mamma, la definitività degli affetti. Infine, chiediamo – è un'eredità che ha lasciato Don Benzi a tutti noi che operiamo nel sociale – il riconoscimento delle case famiglia.
  La casa famiglia è una realtà totalmente differente dalla comunità educativa, ma ne parleranno meglio i colleghi dell'Associazione Papa Giovanni XXIII.

  ELENA CIANFLONE, Presidente dell'Unione famiglie adottive italiane (UFAI). Saluto la presidente e tutti gli onorevoli. Permettetemi di ringraziarvi per l'invito a essere qui oggi nell'ambito di questa indagine conoscitiva sull'adozione e sull'affido, che, come Unione delle famiglie adottive italiane, consideriamo molto importante per arrivare a una eventuale riforma del sistema.
  La riforma di questo sistema è uno dei motivi per cui esiste UFAI. Vorrei spiegare chi siamo perché siamo un soggetto nuovo. UFAI è nata da un gruppo di genitori adottivi conosciutisi in rete, uniti dall'idea che l'adozione sia un percorso ricchissimo e un esempio di accoglienza per la società. Un percorso, però, difficile da sostenere emotivamente, psicologicamente ed economicamente, soprattutto perché spesso siamo inascoltati dagli enti e dalle istituzioni.
  Le coppie continuano a essere totalmente sole anche dopo l'arrivo del figlio. Il bene dei bambini, sbandierato da tutti, nella realtà viene dopo la burocrazia e dopo gli interessi che nulla hanno a che fare con la famiglia. Abbiamo deciso di metterci insieme per dare voce alle famiglie e alle loro esigenze.
  Siamo un comitato perché è nella natura giuridica del comitato smettere di esistere con l'ottenimento della mission. La nostra mission è quella di smuovere le acque e promuovere una riforma della legge n. 184 del 1983. Per questo abbiamo redatto un primo manifesto delle famiglie adottive, che si chiama L'adozione che vorremmo e che abbiamo depositato. Questo documento, a un anno dalla sua pubblicazione, ha raccolto più di 10.000 firme, un numero di adesioni che ci dice come sia sentita l'esigenza di un maggior controllo sulle procedure, sui tempi e sul sostegno alle famiglie.
  Prima di entrare nel merito delle proposte, aggiungo solo che, in attesa delle riforme e vista la necessità delle famiglie, abbiamo organizzato una sorta di rete di mutuo soccorso, che offre aiuto legale, sostegno psicologico e consulenza medica, totalmente gratuiti, alle coppie in procedura sia nel pre sia nel post-adozione. Basta pensare a quanta fatica fanno le famiglie adottive una volta che il bambino Pag. 7arriva a casa, soprattutto con l'inserimento scolastico e l'accoglienza.
  Tutte queste consulenze sono offerte da professionisti, a loro volta genitori adottivi molto sensibili, oppure da genitori che si sono avvicinati alla tematica dell'adozione. È una sorta di banca del tempo che mette insieme il know how di tutte le famiglie e offre gratuitamente quei servizi che a volte non ci sono o che, se ci sono, offerti da enti o da altri organismi associativi, sono molto spesso a pagamento, diventando un ricarico ulteriore per le famiglie.
  Passando alle nostre proposte per la riforma, abbiamo elaborato, in seguito al manifesto, un documento di sintesi per punti che riassume gli interventi, a nostro avviso, necessari per la riforma. Per quanto riguarda le adozioni nazionali, riteniamo che bisogna prima di tutto creare un database, cioè una banca dati nazionale, che contenga i dati aggiornati relativi al numero di minori adottati nel nostro Paese e che sia collegato a tutti i tribunali dei minori, nonché una banca dati nazionale per i minori che necessitano di affidamento.
  Bisogna dare la possibilità alle coppie di trasmettere un'unica domanda di adozione in tutti i tribunali dei minori, che siano loro a volta collegati in rete, e, magari, suddividere i bambini per elenchi in base a età, fratrie, special need eccetera.
  Bisogna uniformare a livello nazionale i criteri di chiamata da parte dei giudici e dei tribunali in merito a diversi aspetti. È mia esperienza personale di mamma, per esempio, che presso il tribunale di Milano non sono ben viste le coppie che hanno figli biologici.
  Bisogna istituire un controllo per il rispetto della precedenza delle coppie. Nell'adozione nazionale non c'è un decreto e la coppia, quindi, non sa mai se sarà ritenuta idonea. Si ripresentano i documenti dopo un certo periodo di tempo in tutti i tribunali dove è stata depositata la domanda, quando magari è già stato dato giudizio negativo.
  Bisogna elaborare una procedura di chiamata e di selezione che tuteli il rispetto dei sentimenti delle famiglie. Le famiglie vengono chiamate in gruppo e selezionate. Il procedimento assomiglia a quello di una selezione a teatro. Dopo il famoso «le faremo sapere», a volte non vengono più richiamate e il carico emotivo di essere chiamati, dopo anni, per un figlio è alto. Una minima risposta, con una motivazione in caso di rifiuto, ci sembra giusta.
  Bisogna istituire l'idoneità anche per l'adozione nazionale e per l'affido, in previsione di quella che noi chiamiamo «adozione aperta», direttamente sancita dal parere dei servizi sociali. I servizi sociali dovrebbero, quindi, assumere un ruolo maggiore ed essere potenziati, istituendo équipe ad hoc a sostegno dell'adozione, con professionisti specializzati che lavorino con le famiglie adottive e affidatarie in sinergia con le ASL e con il sistema scolastico territoriale. Quanto ai fondi, pensiamo siano da reperire sulla quantità di fondi che attualmente vengono investiti nella casa famiglia. Se i bambini possono uscire prima dalla casa famiglia, le energie economiche risparmiate si dovrebbero investire in posti di lavoro e nella specializzazione di uffici territoriali delle ASL specializzati nell'adozione.
  Bisogna estendere il concetto della continuità affettiva di cui alla legge n. 173 del 2015 anche all'adozione nazionale, riducendo il rischio giuridico dei bambini, che può andare fino a tre anni. Un bambino non è un pacco. Nel momento in cui entra in una casa, dovrebbe restarci definitivamente. Non si può aspettare che il bambino subisca un'altra lacerazione e un altro lutto.
  Per quanto riguarda le adozioni aperte, torniamo al parallelismo con la continuità affettiva. I tempi dei bambini sono tempi limitati, nel senso che la fanciullezza dura solo per un certo periodo. L'affido di durata molto lunga toglie al bambino le necessarie qualità della coerenza, della continuità dei tempi e della sicurezza della continuità affettiva.
  L'adozione aperta permetterebbe l'unione e la facilità di creare una famiglia, dando sicurezza al bambino, ma nello stesso tempo manterrebbe un legame, dove fosse possibile, con la famiglia biologica. Posso dire, da mamma di un bambino adolescente, Pag. 8 che la conoscenza delle origini è una ricchezza. Certo, bisogna preparare le coppie perché l'adozione aperta presenta aspetti diversi da quelli dell'adozione.
  Per quanto riguarda le adozioni internazionali, riteniamo che si debbano ridurre i tempi, equiparandoli a quelli europei. In alcuni Paesi, nel tempo in cui noi facciamo l'istruttoria per avere il decreto, si arriva all'adozione.
  Riteniamo che gli enti debbano rispettare standard minimi di accreditamento, tra cui il corretto rapporto tra numero di mandati acquisiti e adozioni effettivamente concluse e la garanzia di tempi massimi di attesa.
  Pensiamo che si debbano prevedere criteri che assicurino servizi efficienti e trasparenza nell'accesso alle informazioni contabili e procedurali della pratica adottiva.
  Reputiamo che si debba garantire una sorta di liste consultabili di attesa, chiare e aggiornate periodicamente, che nel rispetto della privacy indichino non soltanto i numeri indistinti, ma anche la data del conferimento del mandato di ciascun soggetto in lista d'attesa e gli abbinamenti effettuati. Capita a volte – ormai la rete mette in comunicazione un mucchio di informazioni – che, a parità di mandato e di Paese e con un decreto simile, una coppia adotti in due anni e un'altra ne aspetti quattro o cinque.
  Riteniamo che si debba istituire un effettivo controllo della pratica adottiva e del rispetto, da parte dell'ente, di procedure corrette e non discriminatorie. Ogni coppia che dà mandato a un ente firma una carta dei servizi, che di fatto è un contratto. Come famiglie chiediamo che questo contratto non abbia clausole vessatorie.
  Crediamo che si debba prevedere, nel caso in cui l'ente, per cause non imputabili al suo operato, non possa portare a termine una pratica adottiva, un meccanismo di garanzia che consenta alle coppie di essere prese in carico, magari istituendo un fondo, da un nuovo ente senza ricominciare da capo in termini di costi e di denaro. Nella vicenda «Airone» duecento coppie hanno dovuto ricominciare da capo e molte di queste hanno abbandonato l'adozione perché avrebbero dovuto pagare per la terza volta.
  Riteniamo che si debba prevedere la possibilità di un commissariamento dell'ente nel caso in cui la Commissione per le adozioni internazionali (CAI) decida di revocare l'autorizzazione per lo stesso motivo, in modo da consentire a chi ha pagato la pratica di finire l'adozione.
  Pensiamo che si debba far sì che gli enti verifichino le informazioni riguardanti il minore non prima che l'abbinamento venga proposto alla copia, ma prima che la coppia compia il viaggio.
  Riteniamo che si debba portare al 100 per cento la detraibilità delle spese sostenute per la procedura di adozione internazionale, inserendo in detrazione anche il post-adozione e diluendola negli anni nonché istituire un prestito d'onore a tasso zero per la famiglia, in modo che lo possa restituire in rate molto diluite.
  Pensiamo che si debbano costituire uffici di consulenza territoriale della CAI che accompagnino le coppie nel periodo pre-adozione e che le famiglie rientrate a casa siano debbano essere affidate, nel periodo post-adottivo, alla consulenza dei servizi territoriali. Sia nel pre sia nel post-adozione i servizi territoriali dovrebbero sostenere le famiglie. Riteniamo soprattutto che si debba istituire un protocollo sanitario uguale in tutte le regioni e che per i genitori adottivi siano previsti permessi di assenza per malattia del minore non in base all'età, ma in base agli anni in cui il minore è arrivato in Italia.
  Per finire, chiediamo la riforma della CAI. In quanto organo di controllo di tutto il sistema adottivo, riteniamo che la sua attività debba essere implementata e supportata da contatti diretti con il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e le ambasciate e soprattutto – perché mancante – che debba assicurare la sua funzione di controllo a garanzia di tutte le famiglie in procedura.
  Bisogna prevedere, quindi, a garanzia di un maggiore ed effettivo controllo del sistema, una revisione del ruolo e delle regole costitutive della Commissione per le adozioni internazionali. Un modello a cui Pag. 9ispirarsi pensiamo che potrebbe essere quello della Conferenza Stato-regioni, un'assemblea di commissari, estratti sul modello della chiamata delle giurie popolari, composta da magistrati, esperti di diritto internazionale e diritto dei minori e legata al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
  All'interno dell'assemblea, inoltre, dovrebbe essere presente una rappresentanza delle famiglie in procedura, non legate a enti e associazioni. Per questo motivo, proponiamo che i commissari delle famiglie vengano selezionati a estrazione, sul modello nordeuropeo, tra le coppie in procedura e che venga inserita anche la rappresentanza dei figli adottivi, due voci che sarebbero in grado di portare un contributo innovativo.
  L'assemblea dei commissari dovrebbe interfacciarsi – in questo momento se ne sente molto il bisogno – con le varie commissioni degli enti, delle associazioni familiari e dei loro rappresentanti e con i servizi sociali. Lo scopo è garantire un monitoraggio del sistema senza conflitti di interesse tra controllato e controllore.
  Occorre, infine, istituire un questionario da compilare, a cura delle famiglie, una volta conclusa la procedura e da consegnare alla CAI, che relazioni vari aspetti di questa (tempi, chiarezza, assistenza in loco, costi, trasparenza, efficienza, rapporto con il proprio ente). La rilettura di questi report potrebbe essere molto utile sia per evidenziare criticità sia per monitorare il comportamento virtuoso degli enti.
  Per quanto riguarda l'accoglienza e la promozione della cultura adottiva, riteniamo che per diffondere questa cultura potremmo partire da una giornata nazionale dell'adozione, prevedendo, inoltre, incontri nelle scuole e iniziative atte a promuovere la famiglia adottiva come modello accogliente per una società moderna. Sull'accoglienza insistiamo moltissimo perché è uno dei maggiori problemi per il bambino che arriva a casa.
  Insieme al nostro studio legale, stiamo preparando una elaborazione di queste proposte. Appena conclusa, ci piacerebbe inviarvela.

  PRESIDENTE. Grazie sia del documento che, come il precedente, risulta già agli atti, sia di quelli che vorrete mandare anche ad integrazione. Questo vale per tutti.

  CARLA FORCOLIN, Presidente dell'Associazione La Gabbianella e altri animali-Onlus. L'Associazione La Gabbianella ha cominciato la sua azione occupandosi di adozione. Ha proseguito occupandosi, soprattutto, di affidamento e ora la maggior parte delle sue energie se ne va nella cura dei bambini del carcere. Ciò nonostante, quando sono stata invitata, sono andata a recuperare il libro che scrissi nel 2001, I figli che aspettano, e ho cercato di confrontare i dati che c'erano in quel libro con i dati di oggi.
  Ho potuto vedere che, nonostante il calo progressivo della disponibilità all'adozione internazionale, l'Italia è comunque il secondo Paese del mondo nella graduatoria dei Paesi adottanti. Mi risulta – correggetemi se sbaglio – che nel 2014 ci siano state 2.200 adozioni internazionali. Questo sta a dimostrare un grande desiderio di genitorialità, un desiderio che in realtà è anche un bisogno, dato il continuo calo dei cosiddetti «bambini fatti in casa».
  Eppure, al 31 dicembre 2011, risulta che i minori fuori famiglia erano 29.388, di cui 14.397 in affidamento e 14.991 nei servizi residenziali. Dal 2001, il numero di questi ragazzini è aumentato in gran parte per l'arrivo di minori stranieri, soprattutto non accompagnati, ed è aumentato evidentemente per la crisi. Dalla relazione del Centro studi dell'Istituto degli innocenti risulta che questi ragazzini sono soprattutto adolescenti. Superano i 12 anni e, quindi, sono difficilmente adottabili. Per quanto riguarda i minori stranieri, c'è un minore straniero ogni tre ragazzini che si trovano in questi centri.
  Ciò nonostante, rimane la contraddizione tra il numero delle famiglie disponibili all'adozione nazionale, che, benché calate, sono circa 11.000, e il numero di ragazzi presenti nelle nostre strutture residenziali. Il punto è che i minori delle nostre strutture non sono tutti dichiarati adottabili. Quelli dichiarati adottabili trovano famiglia facilmente. Per quanto il Pag. 10nostro sistema sia lento sotto tanti punti di vista, i bambini sotto i 12 anni adottabili vengono adottati in tempi relativamente brevi. Quelli che non vengono adottati sono ragazzini troppo grandi per trovare genitori oppure sono ragazzini particolarmente difficili, in quanto portano con sé qualche disabilità.
  Come disse una volta il membro di una delegazione internazionale venuto a un convegno organizzato da Ai.Bi., come mai noi che abbiamo tutti questi ragazzini nelle nostre strutture andiamo ad adottare all'estero? Evidentemente i ragazzini nelle nostre strutture devono superare, o noi dobbiamo superare rispetto a loro, alcuni problemi. Io credo che questi problemi siano profondi. Il fatto è che per dichiarare adottabile un bambino bisogna che si possa stabilire che è in stato di abbandono morale e materiale non provvisorio, ma definitivo.
  Questi ragazzini, una volta che sono dichiarati adottabili, perdono, secondo la nostra legge attuale, il rapporto con la famiglia d'origine. Sul sito del Ministero della giustizia c'è scritto che l'adozione spezza ogni vincolo di parentela tra il minore e i familiari naturali, conferendo al bambino lo status di figlio legittimo.
  Dichiarare l'adottabilità di un bambino significa fare qualcosa di estremamente impegnativo, cioè tagliare tutti i suoi rapporti con la famiglia naturale e consegnarlo a un'altra famiglia dicendo a quest'altra famiglia che da quel momento è suo. Io credo che sia questo il punto. I bambini non sono di nessuno, per quanto mi riguarda. Sono esseri umani. La famiglia che li accoglie e la famiglia biologica hanno il compito di crescerli, di far sì che le loro potenzialità si sviluppino e che questi bambini diventino degli adulti responsabili ed educati che daranno il loro contributo al mondo. Questo vale anche per i bambini adottati.
  Io credo che dovremmo arrivare a garantire ai ragazzini che vengono tolti dalle famiglie naturali perché le stesse non sono in grado di crescerli sia la continuità degli affetti sia la solidità della vita. In questo anch'io mi rifaccio alla riforma avvenuta nel novembre dello scorso anno con la legge n. 173, che titola sul diritto alla continuità degli affetti per i bambini in affidamento. Non solo i bambini in affidamento, ma tutti i bambini fuori dalla famiglia d'origine hanno diritto alla continuità degli affetti.
  È chiaro che, se sono in qualche struttura, vuol dire che nella famiglia dove erano subivano o incuria o maltrattamento ed è, quindi, stato necessario provvedere a tutelarli e a proteggerli. Anche in quella famiglia d'origine ci potevano, però, essere rapporti positivi, se non con i genitori, forse con i nonni o con fratelli eccetera. Tagliare quei rapporti è estremamente difficile e impegnativo e non sempre è giusto.
  Tra l'altro, per quanto riguarda i bambini in affidamento, capita che anche i bambini si affezionino alla famiglia affidataria che li ha nel suo seno da tanto tempo. Di nuovo, per il giudice è estremamente impegnativo spezzare quei legami che si sono dimostrati positivi.
  Ma perché dobbiamo spezzare quei legami? È la domanda che mi pongo. Perché c'è questa concezione dell'adozione come «seconda nascita». Ma questa «seconda nascita» implica che non si accetta la creatura che ci arriva a casa con tutto quello che ha vissuto fino a quel giorno. Si pretende che nasca nel momento in cui l'accogliamo, e invece quei bambini, essendo persone, hanno vissuto fin dal momento in cui hanno aperto gli occhi in questo mondo. Allora, dobbiamo accoglierli per quel che sono, non solo nell'affidamento, ma anche nell'adozione.
  Sono convinta che, se non si passa a un'adozione che tenga conto della realtà vera di questi bambini, ci ritroveremo sempre nella contraddizione dei servizi residenziali stracarichi e di pochissimi bambini adottabili realmente a disposizione.
  Marco Griffini diceva che le coppie senza figli sono tantissime, e che quindi non è necessario allargare, nel benessere dei bambini, la possibilità di adottare, per esempio, a persone sole. Guardando i dati nuovi, mi sono accorta che, invece, le cose non stanno così. Se dei circa 30.000 presenti nelle strutture, tolto un terzo dei minori stranieri non accompagnati – rimangono circa Pag. 1120.000 ragazzini nelle strutture – abbiamo circa 11.000 disponibilità all'adozione nazionale, vuol dire che, tutto sommato, non siamo poi così ben messi.
  Inoltre, se si passa a quest'idea dell'adozione che sto cercando di ventilare non come seconda nascita, ma come sostegno ai ragazzini così come essi sono – potrebbero essere grandi e averne vissute di tutti i colori – più che la necessità di un matrimonio, che dovrebbe dimostrare che la coppia è eterosessuale – e non dimostra proprio niente – che la coppia è moralmente sana – ed è pieno di padri di famiglia che vanno in Paesi lontani a fare azioni assolutamente immorali con altri bambini – e via di questo passo, ripeto, più che questo matrimonio che non dimostra niente ci sono altri requisiti importantissimi: quello della disponibilità ad accogliere, non nella certezza di fare proprio un figlio, ma in quella di aiutarlo a crescere. Secondo me, è ampiamente arrivato il momento di aggiungere tra coloro che debbono adottare anche le persone sole.
  Credo che tutto il dibattito che su questi temi si è scatenato, e che a me ha perfino infastidito, sia puramente ideologico. Il punto non è se devono adottare omosessuali, eterosessuali e chi altro; il punto è proprio quello di trovare il modo di sciogliere i mille legami che tengono i bambini magari dai due anni, quando vengono tolti a una famiglia di tossicodipendenti, ai 18, in qualche struttura. È lì che dobbiamo davvero intervenire se vogliamo pensare al benessere dei bambini. Certo, non possiamo sottrarci alla necessità di stabilire chi può adottarli, ma il punto numero uno è proprio quello di capire come possiamo fare a dare davvero una famiglia a chi non ce l'ha.
  L'ideologia, invece, è così forte in merito a questi temi che anche per quanto riguarda la legge 173 del 2015 questa ha potuto passare dando la garanzia della continuità degli affetti soltanto a quei bambini che venivano accolti da coppie sposate. Questo principio della tutela degli affetti, qualora un ragazzino sia stato accolto da un single, è diverso che per gli altri: chi è preso in affidamento da una coppia sposata può anche essere adottato da quella coppia, non automaticamente, con tutti i distinguo del caso, ma può essere adottato; chi è preso in affidamento da una singola persona non può essere adottato.
  Se tutti i bambini sono uguali davanti alla legge, questa mi sembra una disparità che non ha motivo di essere. Inoltre, se nessuno prendeva quel bambino o quella bambina in un momento di bisogno e l'ha preso una persona sola, e loro sono stati bene e si è dimostrato che stavano bene, è mai possibile che le cose non possano continuare anche successivamente? Questi sono inchini proprio ad atteggiamenti e volontà che hanno poco a che fare con la tranquillità dei bambini.
  Elena Cianflone faceva qualche riferimento alla sua esperienza personale. Io ho avuto dei legami fortissimi con bambini non miei, che erano attaccati fortemente a me e che non ho potuto adottare semplicemente perché ero divorziata. Credo che il loro superiore interesse non sarebbe stato toccato dal fatto di stare con me, che vivo in un ambiente ricco di affetti e di amicizie, piuttosto che nell'essere stati adottati da una coppia, quando poi le coppie si separano ormai in sei mesi, secondo l'ultima legge, e l'incidenza delle coppie che si separano dopo l'adozione non è diversa da quelle che si separano dopo aver avuto figli naturali.

  PRESIDENTE. Prima di dare la parola a Valter Martini, componente del servizio accoglienza e condivisione della comunità Papa Giovanni XXIII, interverrà Luca Luccitelli, del servizio diritti umani e giustizia Della Comunità Papa Giovanni XXIII.

  LUCA LUCCITELLI, Componente del Servizio Diritti umani e Giustizia della Comunità Papa Giovanni XXIII. Ringrazio la Commissione per quest'invito e gli onorevoli deputati per la loro presenza.
  Noi apparteniamo alla Comunità Papa Giovanni XXIII, un ente fondato da don Oreste Benzi più di quarant'anni fa, la cui caratteristica è quella di condividere la propria vita con la vita degli ultimi, come noi diciamo, e di cercare di rimuovere le cause che portano a fabbricare croci, di Pag. 12rimuovere le cause che creano le ingiustizie. Questa missione, questa metodologia della condivisione diretta, è esportata in tutti i campi dell'emarginazione sociale. Oggi ci troviamo qui per parlare dei bambini in affido, ma il modo in cui accogliamo è lo stesso per le persone senza fissa dimora, le persone disabili, all'estero, i tossicodipendenti e via dicendo.
  La pupilla della nostra comunità è la casa famiglia, che don Oreste fondò nel 1973. Effettivamente, è un presidio socio-assistenziale riconosciuto e regolamentato, ma in realtà è una vera famiglia allargata all'accoglienza. Queste sono le case famiglia. Oggi ne abbiamo circa 250 in tutto il territorio nazionale e accogliamo quasi 700 minori nelle nostre case famiglia.
  Nel merito di quello che fa la casa famiglia si deve sottolineare che, la profonda intuizione di don Oreste fu quella di comprendere che tutte le forme di disagio, i problemi che abbiamo, che hanno in questo caso i bambini che sono in affido, possono essere guariti in una famiglia, che è il sistema relazionale per eccellenza. I sociologi relazionali della scuola bolognese direbbero, ad esempio, che un bambino viene educato non dalla singola persona, ma dalla relazione tra il papà e la mamma. È lì che nasce l'educazione del bambino, ed è in questa relazione che tutte le ferite vengono guarite.
  Noi definiamo poi le nostre case famiglia complementari e multiutenza. Accogliamo, infatti, indifferentemente bambini piccoli, disabili, e, magari, ci facciamo dare l'appoggio anche di un ragazzo che ha vissuto la tossicodipendenza, che ha finito il programma terapeutico. Don Oreste diceva che quello che può dare un bambino disabile o un ragazzo tossicodipendente non può darlo nessuno. Questa è la complementarità armoniosa che respiriamo nelle nostre case, per cui invito tutti voi onorevoli deputati e deputate e la presidente a venire a visitare una delle nostre case famiglia, che sono un po’ in tutta Italia, quindi, sicuramente anche vicino a voi.
  Quello che, però, vogliamo sottolineare anche in questa sede con forza è che la complementarietà di base è quella di un papà e di una mamma. In una famiglia, anche la differenza dei ruoli sociali è questa, il papà e la mamma. Questa complementarità di base è quella che garantiamo all'interno delle nostre case.
  Con il permesso della presidente, lascio la parola al mio collega Valter Martini. Molti degli amici delle altre associazioni ci conoscono bene perché da tanti anni ci occupiamo, nello specifico, di affidamento.

  VALTER MARTINI, Componente del Servizio accoglienza e condivisione della Comunità Papa Giovanni XXIII. Faccio una breve premessa sul tema di affido e adozione, poi avanzerò cinque o sei proposte. Sono un po’ di più, ma sintetizzerò e presenterò solo le più importanti.
  La premessa è questa. Oggi la legge 184 del 1983 di cui andiamo a discutere ha un titolo: diritto del minore a una famiglia. Per noi, questo è un titolo attualissimo, validissimo ancora oggi, perché spiega bene il senso della legge.
  Innanzitutto, i diritti vanno posti dalla parte dei bambini. Allora sono diritti. Non devono essere desideri degli adulti. Come punto di partenza ci sono i bisogni dei bambini. In secondo luogo, il titolo sottolinea che il diritto dei bambini collocati fuori famiglia è quello di avere un'altra famiglia: principalmente, quindi, la famiglia d'origine, ma quando questo non è possibile, occorre assicurare al bambino una famiglia affidataria o, come noi diciamo, una comunità familiare se la difficoltà è temporanea.
  Questo punto non è stato raggiunto, perché ci sono ancora in Italia 14.000, ma il numero non è corretto, minori chiamati a vivere in un contesto etero-familiare fatto di accoglienza in strutture che non sono familiari, ma sono classificate di tipo familiare, dove sono presenti operatori validi e competenti dal punto di vista professionale ed educativo, ma che non rispondono ai bisogni di relazione familiare di cui necessitano bambini e ragazzi oggi allontanati dalle loro famiglie.
  A noi sembra che tutta la normativa sui diritti dei minori che il Parlamento ha emanato negli ultimi anni abbia questa stella polare importante: riconosce i diritti Pag. 13dei bambini. Se partiamo dalla 149 del 2001, ma se pensiamo anche alla legge n. 54 del 2006 che ha come scopo proprio quello di affermare la bigenitorialità – si educa in due, papà e mamma – se pensiamo a tutta la riforma della filiazione, la legge n. 219 del 2012, che va proprio in direzione dell'interesse del minore, il quale diventa prioritario, fino alla legge n. 173 del 2015, citata da Carla Forcolin, che parla di diritto alla continuità affettiva dei minori in affido, ci sembra che tutta questa normativa, di cui siamo grati al Parlamento, sia iscritta in quest'ottica di riconoscere il diritto ai bambini come priorità ad avere e vivere in una famiglia.
  Detto questo, avanzo alcune proposte. Crediamo che l'affido familiare oggi sia un intervento ancora validissimo, ma il fine è quello di dare un papà e una mamma a un bambino temporaneamente in difficoltà, non deve diventare una scorciatoia per le adozioni. In questo senso, riteniamo che anche gli affidi lunghi, che non devono essere «affibbiamenti», allontanamenti, ma affidamenti programmati, siano validissimi. Perché questo? Perché le famiglie affidatarie sono vere famiglie, e i bambini che sono nelle famiglie affidatarie non sono senza famiglia. Ho sentito molto in questo periodo dire che ci sono 20-30.000 bambini senza famiglia. Non è vero. I bambini che sono nelle famiglie affidatarie una famiglia ce l'hanno, alternativa, sostitutiva, complementare alla famiglie d'origine, ma una famiglia vera ce l'hanno.
  Certo, l'affido deve essere migliorato. Penso al fatto che debba essere, ad esempio, riconosciuto il contributo economico effettivo alle famiglie. Alcune regioni danno un contributo di 150 euro al mese per un bambino in affido, quando l'ISTAT dice che crescere un figlio naturale costa 500 euro.
  In secondo luogo, bisogna riconoscere in tutta la realtà il ruolo delle associazioni complementare di aiuto al servizio pubblico, ma il ruolo delle associazioni va riconosciuto oggi sul territorio nazionale.
  Ancora, bisogna prevedere soprattutto il prosieguo amministrativo per i ragazzi che raggiungono la maggiore età e sono in affido e anche nelle case famiglia. Ripeto che dire «fuori famiglia» non significa dire «senza famiglia». I bambini che sono in famiglie affidatarie e che sono nelle case famiglia dove c'è una coppia, sono bambini che hanno una famiglia. Qui vengo al secondo punto, che è già stato anticipato.
  Chiediamo il giusto riconoscimento delle comunità dove vi è una famiglia effettiva. La denominazione di casa famiglia deve essere prevista, se ci fosse una riforma della legge, solo per quelle strutture dove vi è una famiglia, con un papà e una mamma. Oggi la caratteristica è riconosciuta indistintamente dappertutto, tutto è casa famiglia: non è corretto questo. Vi chiediamo una normativa precisa in tal senso. Proponiamo che si preveda che il minore temporaneamente allontanato dalla sua famiglia sia collocato in una famiglia, o in una casa famiglia dove c'è una coppia o, come terza opzione, in una comunità educativa se non sono possibili le altre vie, anche con una gradualità e una specificità.
  Abbiamo proposto un'iniziativa legislativa alla Commissione bicamerale dell'infanzia e dell'adolescenza, lo scorso anno, che è scaturita nella proposta di legge C. 2852, in materia di accoglienza in casa-famiglia. Vi chiediamo di prenderla in esame; se ci sarà una riforma della legge sull'adozione, di incorporarvelo. Chiediamo il riconoscimento della casa famiglia per quello che è e anche una gradualità.
  Non posso fare a meno, inoltre, di pensare ai bambini piccolissimi. La legge dice che i bambini sotto i 6 anni devono andare in comunità di tipo familiare. A nostro avviso, invece, i bambini sotto i 6 anni allontanati dalle proprie famiglie devono andare in famiglie o in case famiglia dove ci sono un papà e una mamma. Questo va reso obbligatorio. I dati ci dicono che c'è un trend altissimo di bambini piccoli, da 0 a 2 anni, collocati oggi in Italia nelle comunità educative, con operatori validi, ma che turnano. Non è possibile, si creano dei legami che ogni 6-8 ore vengono spezzati perché per il bambino cambia la figura di riferimento.
  Faccio un accenno veloce all'adozione. Noi riteniamo che l'adozione non sia un diritto, sia quella nazionale sia quella internazionale. Pag. 14 È un gesto gratuito, un dono di sé che fa una famiglia nel rendersi disponibile ad accogliere un bambino che ha bisogno. È un gesto gratuito. Per noi, adottare non è assolutamente un diritto.
  In questo senso, non crediamo che debba essere aumentato il numero delle famiglie disponibili all'adozione. Occorre, invece, sostenere molto quelle famiglie e quelle comunità che sono disponibili ad accogliere bambini disabili gravissimi, che nessuno vuole. Molti sono nelle nostre case famiglia. L'unica regione che ha attivato qualcosa è il Piemonte, che ha la delibera di sostegno effettivo a chi addotta bambini disabili o superiori ai 12 anni. Andrebbe estesa in tutte le regioni. Non parliamo solo di aiuti economici, ma di sostegni effettivi e riconoscimento di un valore e di un dono grande che si fa come famiglia.
  Nel tema dell'adozione internazionale non vogliamo entrare più di tanto, perché non siamo neanche autorizzati, ma vogliamo comunque dire qualcosa. Avanziamo la proposta che sia reso obbligatorio il sostegno post-adottivo alle famiglie che adottano, ma non solo il primo anno dell'affido pre-adottivo, quando tutto va bene, quando sono tutte rose e fiori, ma quando i ragazzi arrivano alla fase adolescenziale. Riceviamo molte richieste d'accoglienza. Le raccolgo io a livello nazionale: famiglie che non ce la fanno più con i ragazzi adolescenti adottati. Anche le famiglie normali fanno fatica con i figli adolescenti.
  Chiedo sempre a tutti se sono andati dall'ente presso cui hanno fatto l'adozione, e mi rispondono che sì, che hanno risposto che non è più competenza loro. È troppo facile così. Chiederemmo che il sostengo post-adottivo sia posto a carico degli enti autorizzati, non solo nella fase precedenti, anche sostenendo l'adozione fino alla maggiore età.
  Infine, sono stato contento perché ho sentito parlare oggi pomeriggio di adozione aperta. Posso ricordare che l'adozione aperta, cioè la non interruzione dei rapporti tra quel bambino e la sua famiglia d'origine quando va in adozione, quest'opportunità, questa possibilità la lanciò per primo don Oreste Benzi nel 1996. In Italia ne parlò per primo. Fu subissato di fischi, di critiche. Dissero che era pazzo. Sono contento perché adesso ne sento parlare da tutte le parti.
  Andiamo a vedere il cuore, il bene di quel bambino. Se per quel bambino il bene è l'affido, benissimo, anche l'affido per tempi lunghi, perché gli dai un papà e una mamma o una casa famiglia. Se è bene l'adozione, bene. Se è bene non interrompere, bene. Guardiamo caso per caso, a partire da quel bambino specifico. Sono contento perché mi sembra si individui una possibilità che centra il cuore del bisogno dei bambini. Vi ringraziamo per il servizio che offrite.

  PRESIDENTE. La ringraziamo.
  Do ora la parola a Pietro Ardizzi, portavoce del coordinamento «Oltre l'adozione», accompagnato da Luciano Vanti, presidente dell'ente NADIA, e da Andrea Zoletto, direttore dell'ente «International adoption».

  PIETRO ARDIZZI, Portavoce del coordinamento «Oltre l'adozione». Ringrazio la presidente, i parlamentari e i colleghi che ci ascoltano per l'opportunità che ci è stata offerta. Parlo a nome di «Oltre l'adozione», un coordinamento nato nel 2004 che raggruppa dodici enti autorizzati, tuttora iscritti all'albo.
  Parto velocemente da una premessa e da qualche punto decisamente operativo. L'adozione, che sia nazionale o internazionale, è e resta un'avventura straordinaria, che permette a un bambino in situazione di abbandono di crescere nell'amore di una famiglia e a due coniugi di sperimentare l'incredibile esperienza di essere genitori di un figlio non nato da loro. Questa è la premessa, perché sempre più frequentemente l'approccio all'avventura adottiva nazionale e internazionale è colorato e segnato da criticità, problematicità e non dalla bellezza e dal valore che esso porta.
  L'adozione, appunto, porta in sé una dimensione privata, ma anche una dimensione pubblica, di altissimo valore umano, culturale e sociale, che deve essere valorizzato e promosso e non ostacolato.
  Le famiglie italiane hanno sempre manifestato una grande disponibilità all'accoglienza, Pag. 15 tanto che il sistema italiano delle adozioni internazionali è stato a lungo portato a modello dalla comunità internazionale. La legge italiana sull'adozione internazionale è apprezzata all'estero per la centralità che assicura ai bimbi in stato di abbandono e alle famiglie che si rendono disponibili ad adottarli e per la sussidiarietà negli interventi di prevenzione dell'abbandono, perché l'adozione sia e resti l'ultimo intervento residuale di protezione del minore.
  Dal 2011, anche in Italia si è registrato il progressivo e costante calo delle adozioni internazionali, che oggi ha raggiunto il 50 per cento. Questo consistente calo è avvenuto in un periodo di crisi economica che sicuramente ha pesato sulle famiglie, ma hanno pesato anche una serie di gravi criticità che hanno reso sempre più difficile sia il lavoro degli operatori del percorso adottivo sia l'accesso delle famiglie al percorso adottivo stesso.
  Crediamo, però, che l'Italia – ne siamo convinti – abbia tutte le carte in regola per essere un modello di eccellenza per l'adozione internazionale, e che possa garantire adozioni di qualità nel reale interesse dei bambini in stato di abbandono e nel prioritario rispetto dei loro diritti, ma dedicando attenzione e sostegno alle famiglie che si rendono disponibili.
  Riteniamo che la legge n. 184 del 1983 e le successive modifiche (la legge n. 476 del 1998 e la legge n. 149 del 2001) siano complessivamente un ottimo impianto normativo di disciplina dell'adozione e tutela dei minori. Per tornare, però, a essere veramente un modello di eccellenza, riteniamo che alcuni interventi correttivi siano urgenti e non più rinviabili.
  Anzitutto, è già stato detto, serve una banca dati nazionale. Da quindici anni non è operativa la banca dati nazionale dei minori adottabili e delle coppie disponibili ad adottare già prevista con la legge n. 149 del 2001. A tutt'oggi, non è monitorabile la situazione dei minorenni adottabili in Italia inseriti in comunità alloggio o in affidamento familiare. Non è operativa la messa in rete dei dati tra i tribunali per i minorenni italiani, e questo a grave discapito di una maggior celerità ed efficacia del sistema di abbinamento tra coppie e bambini, una procedura in il cui fattore tempo è fortemente determinante.
  In secondo luogo, quanto ai tempi dell'adozione internazionale, è vero che quelli maggiormente incidenti sul percorso adottivo sono a carico delle procedure nel Paese di origine, ma è altrettanto vero che la procedura italiana per la valutazione dell'idoneità della coppia si prolunga ben oltre il tempo fissato dalla legge n. 184 del 1983 e dalle sue successive modificazioni, tempo previsto in sei mesi o poco più.
  In Italia, si impegna anche più di un anno tra l'attività istruttoria dei servizi socio-sanitari e l'emanazione del decreto di idoneità delle coppie. È un tempo eccessivo, che va assolutamente corretto. Inoltre, le coppie hanno a disposizione un anno, secondo la legge, dall'ottenimento del decreto per dare mandato a un ente autorizzato, ma questo tempo potrebbe essere tranquillamente ridotto a sei mesi.
  È vero, inoltre, che i tempi di trascrizione, altro punto critico, della sentenza straniera nei registri italiani a volte si protraggono eccessivamente, con tutti i rischi per il minore. È necessario allora rendere perentori i tempi indicati dalla normativa per l'espletamento della procedura, sia per la valutazione dell'idoneità sia per la trascrizione della sentenza.
  Il terzo punto riguarda i sostegni e gli incentivi alle famiglie. Relativamente all'adozione internazionale – è già stato detto, ma lo sottolineiamo – da anni direi la quasi totalità degli enti o la totalità degli enti riconosce questa criticità: l'adozione internazionale è l'unica forma di genitorialità completamente a carico delle famiglie che la scelgono, e che, quindi, si trovano discriminate rispetto a tutte le altre. Le politiche di incentivi e di sostegno alle famiglie che accolgono i bambini in stato di abbandono continuano a diminuire.
  Nonostante l'articolo 6, comma 8, della legge n. 184 del 1983, e successive modificazioni, preveda sostegni economici per le adozioni di minori di età superiore a 12 anni o con handicap accertato, solo poche regioni hanno reso operativa questa disposizione Pag. 16 di legge. I rimborsi delle spese sostenute dalle famiglie sono fermi al 2011, e non sono stati ancora approvati provvedimenti attuativi per impegnare i fondi messi a disposizione della CAI con l'ultima legge di stabilità.
  È necessario prevedere ulteriori sgravi fiscali per le spese di adozione, cioè un percorso che, ormai a tappe, ma decisamente vada verso la gratuità dell'adozione internazionale. È necessario prevedere, dicevo, ulteriori sgravi fiscali per le spese di adozione, per esempio passare dal 50 per cento previsto attualmente al 100 per cento della deducibilità delle spese sostenute dai genitori adottivi; rendere effettivi gli incentivi all'adozione dei bambini con bisogni speciali.
  Il quarto punto riguarda la Commissione adozioni internazionali, che ha un ruolo di guida e di regia fondamentale per il funzionamento di tutto il sistema delle adozioni internazionali a livello sia nazionale, sia internazionale. Parliamo di un ruolo che, come previsto dalla legge, dovrebbe favorire il coinvolgimento alla collaborazione di tutti gli attori del processo adottivo. Si tratta, in particolare, di supportare i 62 enti autorizzati nel costante rapporto con le autorità centrali dei Paesi stranieri.
  Purtroppo, dal 2014, la CAI, organo collegiale, non si è mai riunita per deliberare, non ha organizzato alcun incontro periodico di indirizzo e coinvolgimento degli enti autorizzati, non ha promosso nessuna consultazione semestrale, come prevede la legge, con le associazioni familiari, non ha attivato nessun rimborso agli enti per i progetti di prevenzione dell'abbandono, di sussidiarietà, progetti già realizzati e rendicontati nel 2014. Ha quasi del tutto interrotto le comunicazioni e il rapporto con le famiglie. Prima le famiglie erano agevolate da una linea telefonica dedicata, ma che da due anni è stata soppressa.
  Riteniamo sia indispensabile prevedere dei tempi perentori per le convocazioni della Commissione adozioni, per esempio ogni mese, e che per legge si prevedano incontri con gli enti autorizzati almeno ogni sei mesi, come con le associazioni familiari a carattere nazionale. Per promuovere sinergia tra i soggetti che operano nel campo dell'adozione internazionale, occorre prevedere almeno un incontro annuale con tutti gli attori del mondo delle adozioni, enti autorizzati, servizi sociali, regioni, tribunali per i minorenni, associazioni familiari.
  In sintesi, è fondamentale che sia garantita la piena applicazione della legge n. 184 del 1983 e del decreto del Presidente della Repubblica n. 108 del 2007 per il pieno svolgimento dei compiti previsti. Tra l'altro, riteniamo utile prevedere una composizione della CAI più snella, attualmente costituita da 21 commissari più presidente e vicepresidente. Forse, appunto, un processo di dimagrimento non farebbe male.
  Riteniamo che il regolamento di riordino della CAI debba prevedere l'obbligo della separazione tra la funzione del presidente e quella del vicepresidente, evitando assolutamente che i due ruoli, diversi e distinti, possano trovarsi a coincidere permanentemente, come accade ora.
  Occorre ripristinare la completa composizione dei commissari, come previsto dalla legge, e in particolare i rappresentanti dell'associazionismo familiare a carattere nazionale, per dar voce alle famiglie, che sono le protagoniste dell'adozione.
  Quanto al monitoraggio e alla trasparenza delle adozioni, dal 2001 al 2013 la CAI ha semestralmente pubblicato un rapporto molto dettagliato sulle caratteristiche dei bambini, delle coppie, dei Paesi di origine. Per il 2014-2015, non è stato pubblicato nessun rapporto.
  È indispensabile verificare e monitorare il lavoro svolto nelle adozioni per individuare precocemente eventuali criticità e programmare opportune politiche correttive. Tali dati servono in modo diretto a informare gli operatori del percorso adottivo e le coppie che decidono di percorrerlo. Servono soprattutto a mettere a punto politiche di sostegno ai bambini che sono arrivati spesso con caratteristiche particolari, età e condizioni di salute, e quelli che arriveranno. Servono alla scuola, servono alla sanità. Pag. 17
  Neanche il dato sui casi di crisi o fallimento adottivo, fenomeno segnalato in crescita dagli operatori di comunità e di accoglienza, viene più rilevato e messo a disposizione degli operatori. È necessario che la CAI verifichi ogni due anni, come stabilito dalla legge, l'operato degli enti autorizzati e renda conto di queste verifiche in Parlamento.
  Quanto a regioni e protocolli, la legge 31 dicembre 1998, n. 476, conferisce alle regioni il compito di realizzare protocolli operativi e convenzioni tra enti e servizi. Oggi, in Italia i protocolli sono operativi in sei regioni su venti. Dopo quindici anni di esperienza, riteniamo che i protocolli debbano prevedere un minimo di operatività e servizi uguali e comuni in tutte le regioni, per garantire un minimo di servizi a tutte le famiglie italiane sul territorio nazionale, per evitare disparità di trattamento. Poi le regioni più virtuose potranno aggiungere ulteriori servizi in funzione delle proprie risorse economiche.
  L'ultimo punto è quello del sostegno alle famiglie. La realtà dell'adozione nazionale e internazionale è sempre più complessa. Aumentano le adozioni di bambini con special needs, con problemi. La legge n. 184 del 1983 prevede un sostegno post-adozione obbligatorio e gratuito da parte dei servizi sociali solo per il primo anno dopo l'arrivo del bambino in famiglia. L'esperienza evidenzia che le famiglie adottive, molto più che in passato, hanno bisogno di essere supportate da un adeguato e duraturo sostegno nel post-adozione. È importante, quindi, prevedere forme di sostegno continuative nel tempo, in forma gratuita, sia per prestazioni sanitarie sia per il sostegno psicologico.
  Vi ringrazio per l'ascolto.

  PRESIDENTE. La ringraziamo. Abbiamo anche il documento agli atti.
  Do ora la parola a Maria Teresa Maccanti, presidente dell'associazione Network aiuto assistenza accoglienza-Onlus.

  MARIA TERESA MACCANTI, Presidente dell'associazione Network aiuto assistenza accoglienza-Onlus (NAAA). Ringrazio la Commissione giustizia, la presidente e i parlamentari presenti.
  Come ente autorizzato, ho focalizzato il mio intervento sul titolo III della legge n. 184 del 1983, appunto perché è la parte della normativa che ci interessa di più.
  Crediamo che lo stato di attuazione delle norme dipenda anche molto dall'interpretazione che gli attori danno delle norme stesse. Con riferimento alla legge n. 476 del 1998, la legge di ratifica della Convenzione dell'Aja, il legislatore ha identificato quattro attori principali in tutto il processo adottivo dell'adozione internazionale: la Commissione adozioni internazionali, un organo collegiale – tutte le cose che dirò sono le stesse che i miei colleghi hanno già detto, quindi mi sembra che abbiano copiato il mio intervento, che vuol dire che siamo tutti sulla stessa linea d'onda.

  PRESIDENTE. La sinergia è importante.

  MARIA TERESA MACCANTI, Presidente dell'associazione Network aiuto assistenza accoglienza-Onlus (NAAA). Dicevo dei quattro attori principali: la Commissione adozioni internazionali; il tribunale per i minorenni, che dichiara l'idoneità all'adozione delle coppie residenti sul territorio italiano o degli italiani all'estero; i servizi territoriali degli enti locali; gli enti autorizzati. Tra il tribunale per i minorenni e i servizi territoriali c'è una diretta interazione. La coppia, per ottenere il decreto di idoneità, deve presentare un'istanza, una disponibilità al tribunale per i minorenni. I tribunali sono 29 in Italia.
  Entro 15 giorni dalla presentazione dell'istanza, il tribunale deve trasmettere la copia ai servizi territoriali, i quali hanno quattro mesi per fare lo studio di coppia, scrivere una relazione psicosociale e trasmetterla al tribunale per i minorenni. Il tribunale per i minorenni a quel punto ha due mesi per sentire la coppia in un'audizione con un giudice non togato, in genere un assistente sociale o uno psicologo emettere il decreto di idoneità. È per questo che arriviamo a sei mesi e mezzo, come citavano i colleghi. Se la copia non è idonea, Pag. 18può fare ricorso in Corte d'appello. Questo è l'iter, dopodiché, quando hanno ottenuto l'idoneità, possono scegliere un ente autorizzato, e per fare questo hanno un anno di tempo.
  Posto che l'obiettivo è sempre il superiore interesse del bambino e, ovviamente, il ripristino del suo diritto a crescere in una famiglia, dobbiamo però capire in tutto questo percorso che ho brevemente semplificato quali sono le sofferenze dell'adozione internazionale. Per ogni attore ho rilevato delle criticità.
  La CAI, non da me, ma viene contestata in questo periodo in particolare, perché non è più un organo collegiale, ma un organo con notevole opacità, metodi polizieschi, difficoltà con il Ministero degli esteri e della cooperazione internazionale, che per noi è importantissimo – lavorando molto all'estero, c'è molta interazione. Ciò determina il mancato sostegno alla cooperazione, un elemento quest'ultimo importante per la realizzazione dei princìpi sanciti nella Convenzione dell'Aja.
  C'è, come è già stato detto dal collega, il conflitto tra il ruolo di vicepresidente e quello del presidente. In pratica, il controllato e il controllore non possono essere la stessa persona. C'è un difficile accesso alla Commissione da parte delle coppie in particolare, ma vale lo stesso per gli enti. C'è il mancato sostegno economico per le famiglie che hanno già realizzato l'adozione. Gli ultimi rimborsi sono del 2011. Certo, non è colpa della CAI, che però è comunque l'ente interlocutore attraverso il quale il Governo sostiene le coppie.
  Ci sono più di 40 atti di sindacato ispettivo presentati solo alla Camera dei deputati, e questo ci lascia molto perplessi. Con tutti gli altri vicepresidenti e presidenti ciò non è mai avvenuto. Ci sono difficoltà con i Paesi esteri; difficoltà a ottenere, per la parte operativa, le attestazioni per la prosecuzione delle adozioni internazionali, a danno dei bambini, perché prolungano la permanenza in istituto. Le statistiche non sono aggiornate. Tra l'altro, c'è stato anche un richiamo da parte del Permanent Bureau dell'Aja. Tutte queste criticità producono l'allontanamento delle coppie dall'adozione come strumento per completare la propria famiglia.
  Parliamo dei tribunali. Il tribunale nell'adozione internazionale deve emettere il decreto di idoneità sui contenuti della relazione psicosociale stesa dai servizi territoriali. L'iter presso il tribunale è complesso e, probabilmente, anche costoso. Solo il Belgio prevede l'emissione di un decreto da parte del tribunale. Tutti gli altri Paesi di accoglienza presentano solo la relazione psico-sociale della coppia, con al massimo una certificazione dell'organo di controllo dei servizi incaricati per lo studio della coppia. Con questo non si vuole criticare il tribunale, ma si potrebbe pensare a una commissione regionale come a un'opzione più snella per ridurre tempi e forse anche costi.
  I servizi territoriali funzionano a macchia di leopardo. Attualmente, crediamo che le criticità maggiori siano dovute al turnover del personale. Questo comporta che le professioniste con competenza specifica eseguono lo studio di coppia con pochi incontri, mentre assistiamo a studi di coppia fatti dopo dieci o dodici incontri con le famiglie. Questo incide sui tempi e sui costi. Un team con una specifica professionalità e competenza fa una relazione psicosociale in un tempo giusto di quattro mesi, e fa magari solo quattro incontri con la coppia, mentre se deve farne dieci o dodici il tempo triplica, e anche i costi. I servizi territoriali avrebbero anche il compito di formare e informare la coppia, ma questo non sempre avviene.
  Passiamo agli enti autorizzati. Anche qui ce n'è una lista. La Commissione aveva scritto in premessa nelle linee guida del 2005: «Gli enti autorizzati alla data del 31 dicembre 2004 – dodici anni fa – sono 70». Il numero è significativamente lievitato, divenendo in alcuni Paesi non equilibrato in rapporto a quello più elevato di minori disponibili per l'adozione internazionale, specie se si confrontano con il numero di enti autorizzati di altri Paesi d'accoglienza.
  Relativamente ai costi di gestione, il riferimento esplicito è al rapporto tra enti autorizzati e appunto costi di gestione. Questo Pag. 19 farebbe pensare che la riduzione del numero degli enti è importantissima, obbligatoria, ma, dal 2004, praticamente nulla è stato fatto. Da 70 enti siamo arrivati a 62. Penso che servirebbe un supporto istituzionale per favorire le fusioni tra enti, senza le quali la situazione andrà sempre peggiorando, soprattutto dal punto di vista dei costi, perché i costi fissi ci sono. Non è tutto.
  Non tutti gli enti autorizzati sembrano rispettare le indicazioni della normativa o delle linee guida. Relativamente alle scelta del Paese, per esempio, l'ente può orientare verso un determinato Paese, ma non può rifiutare la scelta operata dalla coppia. Talora le coppie si lamentano del fatto che gli enti non permettono di scegliere il Paese in cui candidarsi per l'adozione.
  Quanto al decreto di idoneità, l'ente deve rispettare le indicazioni contenute nel decreto di idoneità. Ci risulta che alcuni enti forzino le coppie ad adottare minori più grandi o gruppi di fratelli quando il decreto è stato emesso per uno solo minore, e chiedono al tribunale l'estensione del decreto ad abbinamento già formalizzato o, peggio ancora, dopo che la coppia ha incontrato il bambino.
  Sulle linee guida gli enti dovrebbero dare notizie dettagliate sul minore. In alcuni Paesi ciò non è possibile. Se la CAI prevede nelle sue linee guida quest'aspetto, deve avviare contatti con questi Paesi perché ciò avvenga, ad esempio la Russia. Le informazioni devono essere trasparenti e accessibili, e mi riferisco all'intervento del Fondo per le adozioni internazionali. Sempre le linee guida prevedono la capacità di gestione e accettazione dell'incarico e, inoltre, la previsione del numero di procedure che si definiranno nell'intervallo di un tempo considerato, in genere due anni. Per molti enti, questo è disatteso, ma tale opacità si rileva anche rispetto alla nostra autorità centrale. L'autorità centrale già opaca non può pretendere che gli enti siano trasparenti da questo punto di vista.
  Quanto alla cooperazione, non deve essere una voce inconsistente del bilancio dell'ente. La Convenzione dell'Aja ha un titolo ben specifico. Qui la CAI è in parte responsabile, perché il mancato sostegno dipende anche dalla nostra Commissione. Dopo il 2012, infatti, non è più stato fatto il bando per la cooperazione e, peggio di tutto il resto, le somme che gli enti hanno impiegato per sostenere la cooperazione vincendo alcuni progetti con il bando sono state rendicontate, ma non sono state corrisposte. Abbiamo uno scoperto di più di un milione di euro. Queste sono le criticità anche nostre, degli enti.
  Dopo aver elencato tutte queste criticità, comunque sono ancora del parere che la norma in vigore è ottima, anche se mal interpretata. È possibile uno snellimento, come ho citato, attraverso non la sostituzione ma l'utilizzo di una commissione regionale al posto del tribunale, che possa ridurre tempi e costi.
  Voglio solo citare una cosa. Il tribunale per i minorenni che emette un decreto generalmente lo emette su un prestampato, dove cambia di volta in volta i nomi. Non sempre li cambia, a volte se ne dimentica, e quindi abbiamo una persona sposata con un altro in un decreto di idoneità. Nella seconda parte, dove dà qualche informazione sulla coppia, queste informazioni alcune volte non si combinano bene con la relazione psicosociale. Mi è venuto in mente l'esempio di un caso che ho visto: nella relazione psicosociale si citava che la coppia era idonea a adottare minori fino a otto o dieci anni e sul decreto prestampato ovviamente era indicato «minori in età prescolare» perché si erano dimenticati di cambiarlo con la copia precedente.
  Per concludere, vorrei dire che sicuramente dobbiamo prevedere una maggiore apertura rispetto alla tipologia di coppie che possono candidarsi all'adozione, ma non dobbiamo illudere le persone. Dobbiamo essere corretti nel dare le informazioni rispetto alla possibilità di concretizzare l'adozione internazionale. Lo dico perché, se alcuni Paesi d'origine sono aperti all'adozione dei single, rari sono i Paesi d'origine aperti all'adozione delle coppie dello stesso sesso. Questo è scritto nella loro normativa. Rari sono anche i Paesi che accettano le candidature di coppie senza il vincolo del matrimonio. Pag. 20
  Un altro problema potrebbe essere rappresentato dalla Federazione russa che oggi è il Paese da cui proviene il maggior numero di bambini adottati in Italia. La Federazione russa ha, di fatto, bloccato l'adozione per alcuni Paesi d'accoglienza perché prevedevano l'adozione per le coppie dello stesso sesso. Anche per l'adozione dei single, i russi hanno espresso dissenso perché nel Paese d'accoglienza il single può trasformare l'adozione, se ha un rapporto di partenariato con uno dello stesso sesso, quindi questo ha frenato molto l'adozione con alcuni Paesi d'accoglienza.
  A mio avviso, il vincolo del matrimonio non deve essere tralasciato e bisogna valutare bene le considerazioni che io ho appena presentato, altrimenti rischiamo di paralizzare ulteriormente l'adozione internazionale. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei. Do la parola a Monya Ferritti, Presidente del CARE, che è accompagnata da Anna Guerrieri.

  MONYA FERRITTI, Presidente del Coordinamento delle Associazioni familiari adottive e affidatarie in rete (CARE). Stavo notando, mentre parlavano i colleghi, che stiamo più o meno dicendo tutti le stesse cose, anche se poi il problema è realizzarle.
  Fra le cose che tutti siamo dicendo e che chiederemo anche noi con il mio discorso, c'è quella della banca dati per le adozioni nazionali delle coppie...

  PRESIDENTE. Mi scusi se la interrompo per dire che ovviamente questa è una seduta dove noi abbiamo dato spazio, nell'organizzarla, alle richieste che sono venute da tanti gruppi, quindi intanto credo che potrebbe avere un valore importante il fatto che ci sia un comune denominatore su tante cose.

  MONYA FERRITTI, Presidente del Coordinamento delle Associazioni familiari adottive e affidatarie in rete (CARE). Le rispondo a questo dicendo che non stavo criticando, anzi tutt'altro. Il fatto che molti di noi stiano esattamente dicendo le stesse cose significa che, se ci sarà da costruire l'impianto di questa legge, sarà più facile farlo, alla luce del fatto appunto che molti temi sono sovrapponibili.
  Tra questi, mi viene in mente quello relativo alla banca dati che ho sentito citare più volte, ma che è già nella legge, cioè noi stiamo chiedendo una cosa che, di fatto, non dovremmo chiedere perché è già prevista dalla legge n. 149 del 2001, quindi da circa quindici anni. La raccomandazione è che i buoni propositi poi si tramutino in gesti concreti e realtà.
  Vorrei dire due parole sul coordinamento CARE. Il coordinamento CARE è un coordinamento di 33 associazioni familiari. Abbiamo sedi in 17 diverse regioni e circa 5.000 soci. Raccogliamo circa 25.000 famiglie adottive e affidatarie, lungo tutta la dorsale appenninica, mi verrebbe da dire, ma in realtà andiamo dalla Valle d'Aosta alla Sicilia. Inoltre, grazie alla nostra capillarizzazione e localizzazione, riusciamo a intercettare i bisogni delle famiglie adottive e affidatarie.
  Vi ripeto che noi siamo associazioni familiari perché le nostre attività caratterizzanti sono soprattutto i gruppi di auto mutuo aiuto e di mutuo aiuto che fanno tutte le nostre associazioni. Si tratta di gruppi di sostegno alle famiglie adottive e in parte anche alle famiglie affidatarie. In questi gruppi di sostegno, emergono i problemi e si intercettano i bisogni che noi riusciamo poi a portare in situazioni come questa.
  Vorrei dire anche che molte delle nostre associazioni fanno dei gruppi con i ragazzi, gli adolescenti e i giovani adulti che sono stati adottati, quindi riusciamo anche a intercettare i bisogni espressi da questa categoria di persone che sono oggetto della legge. Le famiglie adottive sono, di fatto, lo strumento con cui si realizza il diritto primario del bambino ad avere una famiglia.
  Le famiglie adottive italiane, in particolare, sono estremamente accoglienti e lo sono perché ce lo dicono i numeri. Abbiamo fatto, in passato, circa 4.000 adozioni, anche se, come è stato rilevato giustamente, siamo enormemente in discesa e riusciamo a fare circa 1.000 adozioni l'anno. Pag. 21Per quanto riguarda le adozioni nazionali, il dato è costante ormai da molti anni: 300 di queste sono di bambini abbandonati già dalla nascita. Non ce lo dicono solo i numeri, ma ce lo dice anche la tipologia di adozioni che facciamo. Nel caso delle famiglie adottive italiane, diversamente da quelle degli altri Paesi, adottiamo bambini grandi. L'età media dell'adozione internazionale è sei anni, ma questo significa che ci sono anche ragazzi di dieci o dodici o quattordici anni e oltre.
  Il fatto di non poter avere i dati che è stato accennato e che ribadisco anch'io è determinante, non perché ci piacciono i numeri, ma perché senza i dati non si può fare programmazione: non si può fare programmazione nella scuola e nella sanità e non la possono fare i servizi sociali e così via.
  I dati del 2013 ci dicono che sono arrivati quasi 300 ragazzi oltre i quattordici anni, quindi si tratta di un'accoglienza considerevole. Per il 50 per cento delle adozioni internazionali, arrivano bambini e ragazzi con special needs, cioè con bisogni speciali o particolari, anche se il numero è sottostimato.
  Questa caratteristica dà la dimensione dell'enorme accoglienza delle famiglie che va, però, supportata in diversi modi.
  Noi abbiamo sintetizzato quest'aspetto in tre punti. Poi, lascerò i documenti sia per quanto riguarda l'adozione che l'affido, per cui non mi dilungo troppo e prenderò molto meno di quindici minuti.
  L'accoglienza va supportata per quanto riguarda i costi. Si parla spesso – e siamo assolutamente d'accordo – del fatto che i costi vanno limitati e contenuti e trovate delle garanzie per quanto riguarda il costo per fare un'adozione. Bisogna sapere che, quando parliamo di adozione internazionale, arriviamo a 20.000 o a 30.000 o a 40.000 euro. Questi sono costi ingenti che non tutte le famiglie si possono permettere. Quello dell'esborso economico è un gesto che si fa perché è l'unico modo a volte per poter costruire una famiglia, ma questi sono evidentemente costi eccessivi e troppo alti che andrebbero rivisti, calmierati e supportati in qualche modo.
  Ci concentriamo moltissimo anche nella fase del post-adozione. Le famiglie supportano costi notevoli soprattutto nella gestione del post-adozione. I servizi difficilmente riescono a realizzare, soprattutto nelle regioni del centro-sud, un sostegno qualificato post-adottivo. Le famiglie possono farlo nelle associazioni familiari. Tuttavia, noi non siamo ovunque, quindi si rivolgono a servizi che sono a pagamento. In merito, servirebbero dei voucher.
  Questo sarebbe anche a garanzia del recupero delle possibili crisi adottive che ci possono essere e che sono notevoli. Noi, come associazioni familiari, registriamo tantissime crisi adottive che non sono i fallimenti, cioè questo non è un dato sui fallimenti con le restituzioni e la revoca della patria potestà, ma su crisi dovute a violenze intrafamiliari, anche grosse.
  I ragazzi si avvicinano, per esempio, all'azzardo, per cui anche questo è un grosso problema. Per quanto riguarda la microcriminalità, abbiamo il dato del Tribunale per i minorenni di Milano che registra il dato sui minori adottati che hanno avuto problemi con la giustizia.
  Insomma, seguire le famiglie nel post-adozione significa poter fare prevenzione del disagio. Questo per noi è assolutamente importante e prioritario.
  Va inserita la scuola negli snodi della rete che sono attorno appunto all'adozione. Lo dico perché, quand'è stata fatta la legge che per noi – ci tengo a dirlo – è un ottimo ed eccellente impianto soprattutto nei principi ispiratori, la scuola non era prevista. C'erano adozioni di bambini piccolissimi, ma in questo momento è completamente cambiata la situazione, per cui la scuola deve avere un proprio ruolo nella parte diacronica della legge.
  Per quanto riguarda i costi, vanno supportate le famiglie che si rendono disponibili alle adozioni difficili, cioè alle adozioni di ragazzi grandi o di bambini o ragazzi con delle patologie particolari. Chiediamo soprattutto trasparenza e vorremmo gli open data sia per quanto riguarda gli enti autorizzati e sia per quanto riguarda la Commissione per le adozioni internazionali che in questo momento sta attraversando una Pag. 22fase di crisi istituzionale evidente. Ne parliamo, conoscendo dal di dentro la Commissione per le adozioni internazionali, e non nascondiamo che la revisione deve essere ingente, soprattutto a partire dalla sua costituzione. Su questo, non dilungo perché vorrei anche fare una parentesi sull'affido.
  Per quanto riguarda l'affido familiare, vorremmo che fosse normato l'affido sine die. La premessa è che la maggior parte degli affidi dovrebbero essere fatti nelle famiglie e non in comunità o in casa famiglia, anche se è presente una famiglia. Deve essere privilegiata la forma delle famiglie, specialmente per quello che riguarda l'affido dei piccolissimi (0-2 anni) e dei bambini fino a sei anni.
  La maggior parte degli affidi, se si guardano i dati, sono affidi che non prevedono un rientro in famiglia. Inoltre, quando questi ragazzi nelle nostre case e nelle nostre famiglie compiono i diciotto anni, non si possono mettere alla porta perché questi rapporti continuano a esserci. Io credo che, se ci fosse una normativa rispetto a questi affidi, si darebbero delle garanzie maggiori alle famiglie e ai ragazzi appunto che sono in affido.
  Andrebbe anche qui intercettata la scuola per quanto riguarda l'inserimento scolastico dei bambini in affidamento familiare e dei ragazzi e dei bambini fuori famiglia, esattamente come è stato fatto per le linee guida sulla scuola dei minori in adozione. Va fatta rete, come ha sottolineato molto bene Valter Martini, per quanto riguarda l'associazionismo familiare che deve essere considerato una risorsa. Vanno sostenute non solo le famiglie che si rendono disponibili all'affido, incentivando la platea, visto che sono pochissime le famiglie che lo fanno, ma va fatta anche una seria politica di recupero delle famiglie di origine.
  Lo dico perché, finché queste risorse economiche e umane non vengono messe in campo per il recupero delle famiglie di origine, sono difficili i nostri discorsi sull'affido. Con questo chiudo. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Acquisiremo il suo documento perché mi pare che non ci sia.

  MONYA FERRITTI, Presidente del Coordinamento delle Associazioni familiari adottive e affidatarie in rete (CARE). Al momento non c'è, ma lo invieremo in seguito.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola a Maria Grazia Nasazzi Colombo, Vicepresidente del Forum delle Associazioni familiari, che è accompagnata da Marco Mazzi e da Andrea Sabbadini.

  MARIA GRAZIA NASAZZI COLOMBO, Vicepresidente del Forum delle Associazioni familiari. Io introduco il discorso e poi lascio la parola a Marco Mazzi, Presidente dell'Associazione famiglie per l'accoglienza.
  Prima di tutto vi ringrazio per questa occasione che è estremamente interessante. Anche il ripetere, da un certo punto di vista, crea una maggiore attenzione, per cui quest'occasione è veramente molto interessante.
  Il nostro chiaramente è un forum di associazioni familiari che rappresenta 300 associazioni familiari a livello nazionale e locale. Dentro il Forum, ci sono delle associazioni che si interessano e che seguono queste situazioni in modo specifico. Lo fanno «con serietà e professionalità», tra virgolette, nel senso che ci vuole una professionalità, anche se non è tutto, come prima abbiamo sentito dire dai rappresentanti di Ai.Bi. e della Comunità Papa Giovanni XXIII. Queste professionalità sono appunto più specifiche. Ecco perché poi lascio la parola a Marco Mazzi che entrerà meglio e con precisione nella questione.
  Mi interessa portare tre punti alla vostra attenzione. Siamo d'accordo – lo hanno detto in tanti – sull'importanza di mettere al centro l'interesse del minore, il che sembra una cosa scontata, ma non lo è purtroppo. Quest'interesse è: non più dare a un minore una famiglia, ma dare una famiglia a un minore perché non è la stessa cosa. Noi crediamo veramente a una famiglia con un padre e una madre. Sulla complementarietà tra un uomo e donna, che non è solo biologica ma affettiva e comportamentale, vediamo una certezza del rapporto educativo, per cui questa non è assolutamente una bandiera ideologica, ma una posizione educativa. Pag. 23
  L'altro punto è creare e potenziare la cultura dell'accoglienza, su cui tutti qui si sono espressi in modo molto particolare. Il nostro è un invito che facciamo a tutte le nostre associazioni a creare questa cultura dell'accoglienza perché fa bene evidentemente non solo a chi viene adottato e a chi adotta, ma a tutta la nostra realtà sociale, anche perché l'educazione e l'adozione o comunque l'affido sono dei beni pubblici e dei beni sociali, cioè dei beni che fanno bene a tutti.
  L'ultimo punto riguarda la questione delle famiglie, anzi mi viene da dire «delle famiglie con famiglie» perché la famiglia da sola è fragile, non solo per quanto riguarda l'adozione. Noi, come Forum delle Associazioni familiari, vediamo questa cosa in modo trasversale. La vediamo nelle scuole e siamo d'accordo con il CARE. Noi lavoriamo molto, nell'Ufficio scolastico regionale della Lombardia, con questa federazione.
  La questione della scuola e della famiglia è nel cercare una trasversalità e un coordinamento. Questa non è una questione solo organizzativa per superare quella fragilità, ma è molto di più. Lo dico perché la fragilità è presente non solo nel gesto dell'adozione, ma è di per se stessa dentro l'esperienza che si fa giornalmente.
  Da questo punto di vista, noi faremo tutto un lavoro di sensibilizzazione. Vi ripeto che il nostro intento non è quello di sensibilizzare le famiglie a diventare adottive, il che è importantissimo, ma è quello di portare avanti un lavoro che fa bene a tutti.

  PRESIDENTE. Do la parola a Marco Mazzi, Presidente dell'Associazione Famiglie per l'accoglienza.

  MARCO MAZZI, Presidente dell'Associazione Famiglie per l'accoglienza. Anch'io vi ringrazio di questa opportunità: guardare quello che di positivo accade dentro la società è fondamentale affinché le norme migliorino l'esperienza della società.
  L'Associazione Famiglie per l'accoglienza è un'amicizia di famiglie che fanno accoglienza. Ci sono circa 500 esperienze di affido e, negli anni, sono state fatte migliaia di esperienze di adozione. Questo documenta che dentro la società esiste una realtà buona e capace di tipo portare avanti l'accoglienza e la gratuità.
  Di questo, per me, sono segno le famiglie che adottano bambini con handicap. Ne abbiamo decine e, tante volte, mi sono chiesto perché lo fanno. Lo fanno perché hanno visto altri che l'hanno fatto e hanno capito che quella strada poteva essere un'esperienza buona, non solo per il minore accolto, ma anche per la famiglia che lo faceva.
  Come si diceva prima, queste esperienze non si fanno da soli perché è importante che vengano accompagnate. Inoltre, è un popolo di famiglie quello che permette l'accadere di queste esperienze che, a guardarle, fanno venire i brividi a volte, ma riempiono anche il cuore. È importante che questa testimonianza ci sia e che la normativa possa sostenere.
  Anche noi diciamo che la legge è buona perché è frutto di un percorso che è stato fatto e in cui è stato messo al centro il bambino.
  Vorrei entrare anche nel merito di alcuni aspetti di questa legge. Ci sembra che, visto che si tiene presente il preminente diritto dei minori a crescere in una famiglia, sia importante mantenere i requisiti previsti dall'articolo 6.
  Lo dico perché la nostra lunga esperienza, come quella di tante altre associazioni, e molti autorevoli pensatori e studi dimostrano che il bene per un bambino è quello di avere la stabilità e di entrare dentro un rapporto stabile, ma anche dentro un rapporto differenziato, per cui il fatto che un bambino abbia un papà e una mamma ci sembra importante soprattutto per i bambini che hanno una storia dolorosa alle spalle e che hanno dei bisogni enormi.
  Li vediamo, quando arrivano nell'adolescenza, con tutta la loro conflittualità e con tutta la fatica che si assomma a quella che fanno normalmente gli adolescenti, quindi vediamo anche quanto sia interessante che la famiglia e chi se ne prende cura ponga questa differenza. È bello che ci Pag. 24siano dei fratelli ed è bello che ci siano un padre e una madre che hanno loro diversità di funzioni e di modalità. Ci sembra importante che lo Stato, visto che ha la prerogativa di attivare l'adozione pro minore, si preoccupi, quando lo fa, di dare il massimo e tutto quello di cui il minore può avere bisogno.
  Sulla questione dell'adozione sono state dette molte cose che noi condividiamo in buona parte. Certo, si deve attivare un miglior funzionamento del sistema delle adozioni nel percorso pre-adottivo, riguardo a tempi e costi, affinché questo tempo non sia soltanto speso per il controllo della famiglia, ma per l'accompagnamento di una scelta che è importante per la famiglia e anche per l'intera società. Il fatto che ci sia qualcuno che, oggi, si rende disponibile a prendere in casa una persona estranea come un figlio non è soltanto un interesse per quella persona, ma è un bene per tutta la società.
  È chiaro che qui, come si diceva, vale innanzitutto il desiderio. Certo, il desiderio può essere il punto di partenza, ma poi deve guardare in faccia al bisogno di quel singolo bambino perché, se non ci sono l'incontro tra questo desiderio e l'adesione rispetto a quel singolo bambino con il suo problema e con la sua storia, si creeranno soltanto dei guai.
  Noi accompagniamo tante famiglie che hanno fatto adozione e posso dirvi che il periodo più critico è quello del post-adozione. Certo, si potrà chiedere agli enti di prendersene cura, ma noi crediamo che sia importante che le famiglie abbiano qualcuno con cui condividere questo percorso e che non siano da sole.
  Questo vale sia per avere delle istituzioni nei servizi sociali, ma anche per favorire tutte quelle trame di reti di famiglie associate che ci sono. Queste vanno favorite. Oggi, in Italia a chi ci segue i minori e a chi accompagna le famiglie nell'accoglienza spesso non viene riconosciuto il merito, anche economicamente. Io dico che, invece, sia giusto salvaguardare questo patrimonio rappresentato dalle famiglie associate.
  Sulla CAI, come è stato detto, c'è il bisogno che ritorni a essere lo strumento che era, soprattutto per quanto riguarda: la gestione collegiale; il riattivare la comunicazione e lo scambio di dati e le esperienze con enti e famiglie; il pubblicare i rapporti statistici sulle adozioni; il rinnovare il patto di fiducia e di collaborazione con gli enti autorizzati; l'esaminare istanze di apertura e di collaborazione di nuovi Paesi. Ci sono tutta una serie di tematiche che sono tipiche e specifiche della CAI.
  Sulla questione dell'affido che è un gesto totalmente gratuito, noi vorremmo che l'affido fosse messo dentro i livelli essenziali delle prestazioni sociali, anche nelle forme nuove che sono oggi sempre più diffuse, come l'affido diurno o la prossimità familiare.
  Anche qui, è importante l'esperienza delle associazioni. Come è riconosciuto tra l'altro dalle linee guida fatte nel 2012, l'affido ha una buona legge, ma è scarsamente applicata. Ci sono delle regioni in cui – mi rifaccio a quanto si diceva prima sul compenso basso – non viene dato nulla alle famiglie affidatarie. In alcune regioni, ci sono percorsi di studio per operatori sociali in cui dell'affido si parla sempre di meno, come se le istituzioni non credessero più in questo istituto. Noi chiediamo, invece, che questo venga rilanciato.
  Il ruolo delle associazioni dentro l'affido è fondamentale ed è previsto dalla normativa. Noi vogliamo che venga messo in tutte le fasi, soprattutto nella promozione e nell'accompagnamento.
  Sulla questione della durata di cui si parlava prima, noi pensiamo che la legge sia stata pensata per una famiglia in difficoltà, quindi la provvisorietà fa parte dell'affido. Tuttavia, è anche vero che nell'esperienza concreta questo non accade perché ci sono famiglie con una fragilità che non è stata superata e l'affido viene continuato, diventando sine die.
  Noi crediamo che questo non debba essere il punto di partenza dell'affido, soprattutto se si parla di bambini piccoli, ma può essere la realtà che la norma riconosce. È importante, anche se rimane una delle opzioni non usuali, che si possa continuare, Pag. 25 nel bene del minore, a prolungare l'affido, quando ce n'è bisogno.
  Le cattive prassi, per cui i minori vengono messi ancora nelle istituzioni, esistono. Vi abbiamo lasciato un documento sulle case famiglia, elaborato dalle Associazioni che, all'interno della struttura del Forum, si interessano di affido. Come è stato già detto, viene prima la famiglia, come luogo da scegliere, poi la comunità in cui esiste la famiglia. Noi vorremmo che tale comunità si chiamasse «casa famiglia» e che avesse un riconoscimento giuridico. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola, per l'ultimo intervento, a Giancarlo Arnoletti, Presidente del Centro internazionale per l'infanzia e la famiglia (CIFA), che è accompagnato da Franca Milano di Comunicazione socialmedia.

  GIANFRANCO ARNOLETTI, Presidente del Centro internazionale per l'infanzia e la famiglia (CIFA). Presidente, la ringrazio per il gentile invito. Ringrazio i parlamentari presenti perché vuol dire che in Parlamento c'è una sensibilità sulla materia che non può che essere da noi apprezzata. Spero che la mia organizzazione, che ormai questo mese compie 36 anni, quindi non è nata ieri, possa con la sua esperienza portare qualche suggerimento e qualche momento di spunto di riflessione.
  Sul calo delle adozioni, condivido quanto hanno detto gli altri e immagino, come dimostrano anche le nostre stime, che il 2016 non sia un anno fantastico, quindi molto probabilmente continuerà questo calo.
  Ho provato a esaminare alcuni motivi esterni, cioè quelli che dipendono dagli attori delle adozioni in Italia e che ci troviamo addosso e ci prendiamo così come sono. Tra questi, quello della crisi economica è il più facile da dire. Anche il tema dei tassi di sviluppo è conosciuto da tutti. Arrivando ai problemi all'interno della famiglia, possiamo dire che il modello tradizionale è saltato, cioè sta cambiando rapidamente. Altri motivi sono: la disoccupazione, gli stipendi bassi, i tagli al sistema del welfare, la scarsa fiducia nel futuro.
  Mia moglie, a volte, mi dice che solo due matti potrebbero pensare oggi di cominciare un percorso del genere, visti tutti gli ostacoli che si trovano davanti.
  Il facile accesso alle nuove metodologie riproduttive evidentemente qualcosa fa, anche come tentativo, poi magari noi recuperiamo delle coppie che sono reduci da quei tentativi, quindi, probabilmente anche più logorate.
  Tuttavia, vorrei mettere in questi fenomeni, in qualche maniera non guidabili dal sistema delle adozioni italiano, anche i bambini con bisogni speciali, come è stato già detto, e i bambini grandicelli che sono il contrario del sogno di ogni coppia, cioè quello di un bambino piccolo e sano. Ovviamente credo che i sogni ci permettano anche di andare avanti, però questa è la realtà, quindi anche con questo dobbiamo fare i conti.
  Questa negatività nasce anche da motivi interni al sistema delle adozioni italiano. Sto parlando della comunicazione in chiave negativa di questi periodi. Questo non credo di doverlo ribadire, altrimenti non sarei convinto della vostra intelligenza. Si tratta di alcune comunicazioni molto discutibili, secondo me, sui bambini comprati. Qui, apro una parentesi: credo che la legalità non sia una cosa da auspicare, ma che ci deve essere, quindi credo che tutti i presenti siano d'accordo sul fatto che le adozioni internazionali debbano svolgersi nella massima legalità. Chi ha fatto qualcosa deve essere preso, tolto di mezzo eccetera, come si dice in questi casi.
  In contrapposizione è mancata una promozione, nel senso che, anche se molti soggetti e enti e la Commissione stessa sono deputati a farla, la promozione positiva sull'adozione internazionale è assolutamente mancata.
  Manca la parificazione con le altre forme di genitorialità in termini economici. Come hanno detto tutti i colleghi, siamo tutti d'accordo che è uno dei modi di diventare genitori che costa di più, quindi qualcosa vorrà dire.
  Inoltre, c'è un sostanziale immobilismo della Commissione per le adozioni internazionali, facente parte del metodo. Pag. 26
  Provo a analizzare le principali problematiche, tanto per dare alcuni esempi di cosa succede e di cosa comporta.
  Riguardo all'autorizzazione dei Paesi stranieri, gli enti allargano o comunque esplorano dei Paesi con cui c'è una cooperazione internazionale e chiedono di poter essere autorizzati a svolgere pratiche adottive in quei Paesi. Questa cosa non avviene più, nel senso che la risposta prevede 120 giorni, ma poi, in realtà, passano tre anni, o qualcosa del genere.
  Che cosa comporta questo? Comporta investimenti in persone, in tempo, in viaggi, in acquisizione di strutture e in assunzione di dipendenti, che naturalmente non servono proprio a niente, perché, quando arriverà – se mai arriverà – l'autorizzazione, non ci sarà neanche più il soggetto, ma comporta anche una mancanza di alternativa per le famiglie. Con riguardo alle famiglie che sono bloccate in qualche Paese, se l'ente ha altri Paesi in cui ha tali relazioni, naturalmente può poterle canalizzare diversamente.
  Passo alle missioni all'estero della nostra Istituzione, della nostra autorità centrale, per conoscere gli istituti. È difficile che l'ente che ha degli occhi proprio sul Paese riesca a dialogare in modo proficuo con un soggetto che l'occhio su questo Paese non l'ha mai messo. Credo che questo determini come risultato un deterioramento dei rapporti con l'autorità.
  È di due o tre giorni fa, sul sito Russia.it, la minaccia della Federazione russa di chiudere l'adozione con l'Italia. Questo significa che chi è competente per queste relazioni internazionali, ossia il Governo e la Commissione, deve assolutamente curare questi aspetti, altrimenti loro «chiudono il rubinetto». Adesso vediamo poi cosa succede a chi ha tutto il procedimento in iter.
  È qui presente una collega deputata che è stata recentemente in un Paese del Sud-Est asiatico che ha ricevuto una sollecitazione per l'Italia a rispettare gli impegni presi due anni fa dall'Italia. Credo che potrebbe essere testimone. Questo comporta un mancato sviluppo di rapporti con altri Paesi.
  Con riferimento al pagamento dei progetti CAI, l'abbiamo già detto: non sono stati pagati i progetti finiti tre anni fa. Che cosa vuol dire questo? Vuol dire che sono mancate risorse oggi per fare altri progetti di cooperazione in questi Paesi. Se si dice che l'adozione deve essere l'ultima azione di cooperazione – viene qualificata così internazionalmente – dovremmo prima occuparci dei bambini che devono stare in un dato Paese, perché hanno una possibilità di essere recuperati nel loro Paese. Senza fondi, però, non si fa nulla, soprattutto senza fondi già spesi. In quel caso, si fa ancora di meno.
  La chiusura dei rapporti scritti e orali – ci metto entrambi – con la nostra autorità di riferimento, la CAI, è la dimostrazione di una mancanza di fiducia reciproca che è molto pesante per il sistema. Faccio qualche esempio anche qui. Quando ci sono accordi bilaterali con qualche altro Paese, oppure si incontrano delegazioni di altri Paesi, se l'ente non sa (normalmente, veniamo a saperlo dall'estero, quando succede questo) che cosa si è deciso e che cosa si è scritto – dovrebbe essere sui siti, al limite – non riesce neanche ad applicarlo. Ricordo un Paese che ha chiesto su un documento, durante un incontro qui in Italia, di modificare la cadenza delle relazioni post. Se questo non si dice a nessuno, diventa difficile che l'ente lo possa fare.
  Cito di passaggio il contrasto che c'è oggi tra la nostra autorità centrale e il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Basta guardare i due siti con le comunicazioni. Non è che ci voglia molta intelligenza. Questo, dal punto di vista istituzionale, proprio non passa messaggi rassicuranti al sistema.
  La mancata trasparenza, ovviamente, è quella che ci fa guardare con molta più difficoltà al futuro. Per esempio, mi riferisco al non conoscere gli obiettivi su qualsiasi cosa. Penso che la società civile abbia tutto il diritto di esprimere le proprie posizioni e di perorarle con tutti i mezzi democratici che sono a disposizione.
  La scelta di che cosa fare delle adozioni internazionali e l'obiettivo finale di questi anni saranno poi, ovviamente, una scelta Pag. 27politica, che non sta a noi. Se, però, non la conosciamo neanche, diventa difficile pianificare qualsiasi tipo di attività di sviluppo. Sembrerà stupido, ma anche le organizzazioni di volontariato hanno bisogno di sapere che cosa faranno il prossimo anno o fra due anni, o quanto meno di ipotizzarlo, altrimenti non saranno mai preparate a quello che può succedere.
  Fa parte della trasparenza la mancata convocazione dei tavoli costi, di cui parlava una collega, e dei tavoli Paese. Questo vuol dire che il problema costi e il problema strategia di intervento nel Paese hanno sostanzialmente una deregulation: ognuno fa quello che vuole, anche in termini di costi. Non raggiungiamo, quindi, neanche quell'uniformità che rassicurerebbe, tra le altre parti, la famiglia.
  Che cosa può succedere se mettete le mani su una legge, il cui impianto, lo confermo, come i colleghi e altri hanno detto, è buono, essendo molto centrato sull'interesse del bambino, come deve essere? Auspicheremmo che quanto detto, ovviamente, non accada più, altrimenti, prima di farne una nuova, magari facciamo funzionare quella che c'è, altrimenti tutto diventa veramente difficile.
  Con riferimento all'ampliamento della platea degli interessati, sottolineo solo – ovviamente, sono disposto a confrontarmi con chiunque – il discorso che in Italia il 50 per cento delle famiglie che hanno figli e che li mandano a scuola non è sposato. Prenderei in considerazione la possibilità che queste famiglie possano adottare, ovviamente nel rispetto delle normative degli altri Paesi.
  L'adozione aperta è per trasformare gli affidi che durano da tanti anni per dare un senso di continuità affettiva, come è già stato detto.
  Suggerirei un Piano di formazione per l'adozione nazionale. Mentre per l'internazionale viene fatto, perché fa parte dei compiti dell'ente – ci sono Paesi che ci chiedono nei programmi il numero di ore che abbiamo impiegato per formare una famiglia – sulla nazionale sembrerebbe che tutto sia lasciato un po’ alla fantasia del singolo tribunale o del singolo servizio sociale. Credo che questo potrebbe diminuire il numero dei fallimenti adottivi, se non altro, o le restituzioni, perché a livello nazionale è un po’ più facile, evidentemente, rinunciare poi all'adozione.
  Secondo noi, l'ente autorizzato deve avere una forma di cooperazione – o sussidiarietà, come si chiama sulla legge – obbligatoria, che abbia un peso significativo (penso a un terzo) sul suo bilancio. Questo qualificherebbe l'ente e la sua reputazione, tanto per cominciare, perché non si tratta di un'agenzia che va a prendere i bambini e sparisce, e renderebbe più stringente la trasparenza economica. Comunque chi fa cooperazione è abituato agli ordini delle organizzazioni internazionali e sa come deve rispettarli.
  Una definizione finale della natura giuridica dell'ente non c'è mai stata. Ognuno qui – io, la Commissione – interpreta la natura giuridica dell'ente come gli viene in quel momento. Questo servirebbe a definire senza equivoci obblighi e diritti per tutti, perché capiremmo che cosa deve fare l'ente.
  Del contenimento del numero degli enti è stato detto. Indubbiamente bisogna porre condizioni di favore per poterli raggruppare. Che cosa comporterebbe ciò? Che vantaggio porterebbe? Porterebbe un aumento della professionalità e una sostenibilità nel lungo periodo maggiore di quella di adesso.
  Sul post-adozione attribuito all'ente fino all'adolescenza, ci stanno chiedendo addirittura le organizzazioni sovranazionali, come Euradopt e il Permanent Bureau, di organizzarci perché l'ente non molli. Anche in quel caso non deve accadere che l'agenzia faccia adottare il bambino e poi molli tutti, ma deve proseguire nel momento in cui ce n'è bisogno.
  Della deducibilità della procedura e dei costi relativi hanno già detto in molti. Parliamo di trasparenza. La trasparenza della CAI sarebbe rassicurante per l'intero sistema e la trasparenza dell'ente sarebbe rassicurante per le famiglie. Dell'immediata efficacia della sentenza straniera non ha detto ancora nessuno, ma c'è e aleggia da molto tempo. Il bambino, come negli Pag. 28Stati Uniti, diventa cittadino italiano il giorno in cui entra in Italia. Questo rassicurerebbe molto le famiglie.
  Vediamo con favore anche il fatto che la Commissione sia in qualche maniera coinvolta dentro il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Comunque, checché se ne dica e checché uno abbia deleghe o quanto può avere, a parlare con il Primo ministro di un Paese ci va l'ambasciatore, non un organo amministrativo.
  Sulla governance della CAI collegiale abbiamo già parlato dei consensi. Quanto all'introduzione di un sistema se non c'è una risposta – questo credo sia un argomento che in Parlamento aleggia da un po’ – quando si chiede qualcosa alla pubblica amministrazione e non c'è una risposta, la scappatoia per gli enti non è di andare al TAR ogni cinque minuti. Non ne hanno neanche i mezzi e comunque non dovrebbe essere questo il modello di un pezzo del sistema nei confronti di un altro pezzo. Il silenzio-assenso o altre modalità del genere potrebbero sicuramente dare una mano.
  Quanto al ripristino del numero verde, credo che il numero verde vada ripristinato in modo che chiunque possa telefonare in Commissione e avere risposte. Parlo soprattutto delle coppie. La stessa indagine sulla qualità del servizio che la Commissione fino a qualche anno fa svolgeva, cioè il questionario mandato alle famiglie, era molto importante anche per l'ente stesso, perché riusciva ad avere delle informazioni, che la CAI, naturalmente, forniva solo sotto forma sintetica, proprio sulla qualità del servizio che aveva offerto e su come la famiglia avesse vissuto il periodo trascorso con l'ente. Questa è una banalità. Non è che ci voglia molto a farlo, visto il diminuire del numero. Basta spedire un po’ di formulari.
  La ringrazio.

  PRESIDENTE. Grazie a lei.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  SANDRA ZAMPA. Grazie, signora presidente. Fatico a dire a chi vada rivolta la domanda – decidete voi eventualmente chi vuole rispondere – ma non ho sentito alcun cenno al tasso di fallimento delle adozioni, sul quale non siete intervenuti. Poiché c'è una percentuale di fallimenti abbastanza alta, occorrerebbe che anche questa, almeno dal mio punto di vista, fosse una delle questioni su cui soffermarsi per capire.
  Voi avete detto quello che non va quando si aspetta. È stata da tutti, o dalla gran parte di voi, sottolineata la necessità di accompagnare più lungamente l'adozione, una volta compiuta. C'è stato anche chi ha suggerito che debba essere l'ente a farsene carico anche successivamente. Tuttavia, questo punto in particolare mi sembra abbastanza rilevante per i numeri.

  PRESIDENTE. Desidero svolgere una considerazione. Più di uno di voi ha portato avanti il discorso della cosiddetta adozione mite, dell'adozione aperta, con il potenziamento dell'affidamento. Va bene. Tuttavia, Carla Forcolin ha lanciato l'idea di ampliare alcune categorie di soggetti adottandi, soprattutto i singoli.
  Ho capito la questione dal punto di vista delle adozioni internazionali. Pongo un tema che è un mio quesito. Lo faccio a titolo personale, non come presidente. Parlo proprio nell'interesse dei minori, perché quello deve essere il nostro riferimento, e, soprattutto, dal punto di vista dell'adozione nazionale. Nell'adozione internazionale lo capisco, perché ovviamente dobbiamo tener d'occhio quali sono i sistemi in alcuni Paesi. Pongo questo quesito, però, perché voglio capire quali sono le controindicazioni che vengono mosse.
  Poiché rispetto a un minore che potrebbe essere affidato a un istituto o comunque essere in stato di abbandono e, quindi, rimanere in quello stato se non c'è una coppia disponibile, soprattutto un minore di età non piccolissimo, magari superiore agli anni otto, vorrei sapere qual è il problema rispetto all'adozione ad ampliare i requisiti dell'adozione nazionale, laddove si dice che il minore ha bisogno di un papà e di una mamma e che anche la casa famiglia rappresenta il ruolo della madre e del padre. Pag. 29
  Nella nostra società vediamo come normalmente anche una mamma singola, una mamma rimasta vedova o un papà rimasto vedovo portino avanti il ruolo di genitore. Certo, è tendenzialmente preferibile avere un nucleo familiare completo e armonioso, ma di fronte a una situazione di minori, o comunque di ragazzi, la cui alternativa è l'abbandono, la solitudine o il non avere una guida – ricordo che la società si è evoluta e che ci sono sempre più persone singole, o perché hanno fatto questa scelta prima, o perché l'hanno fatta dopo, ma che comunque sarebbero in grado di dare qualcosa a questi ragazzi.
  Vorrei capire quali sono le vostre opinioni. Chi ritiene di rispondere potrebbe esporre quali sono gli elementi a favore o contro. Questa è la mia opinione personale. Condivido molto quello che avete detto, ossia che l'adozione è un percorso di grande generosità e di grande disponibilità, in cui l'unico interesse è, ovviamente, quello del minore.
  L'altra considerazione che condivido appieno – credo che questo sia venuto fuori – è che non c'è un diritto né al figlio naturale, né, tanto meno, al figlio adottato, ma una grande disponibilità. Volevo, se possibile, avere questo ampliamento.

  CARLA FORCOLIN, Presidente dell'Associazione La Gabbianella e altri animali-onlus. Io non vado alla ricerca dell'interesse di nessuno, se non quello del minore, per l'appunto. È ovvio che, se c'è una coppia stabile, solida e felice – mi viene da dire – che si prende cura di un minore, magari circondata da una famiglia ampia e tutta disponibile, quella è la situazione ideale.
  Tuttavia, succede – e non succede tanto raramente – che ci siano dei bambini o delle bambine che magari non vuole nessuno e anche che ci siano delle ragazzine che abbiano subìto delle violenze nella loro vita tali per cui i servizi sociali ritengono, a un certo punto, preferibile per la ragazzina stessa essere posta in affidamento presso una donna sola, anziché presso una coppia. Anche queste sono situazioni capitate, che ho visto più volte.
  L'affidamento è un istituto a termine. Leggevo i dati dell'Istituto degli Innocenti. Non è un caso che i minori fuori famiglia comprendano sia i bambini e i minori in affidamento, sia quelli nelle comunità, perché questi ragazzi non hanno ufficialmente una loro famiglia. Concordo, però, pienamente con tutti coloro che hanno detto che è ben diversa la situazione di chi è in affidamento rispetto a quella di chi è in una qualche struttura in cui il personale si turna.
  Tuttavia, se questo ragazzino in affidamento, a un certo punto, dopo un tempo in cui è lì, viene dichiarato adottabile, la soluzione che a me sembra più logica, proprio nel rispetto della continuità degli affetti, è quella che possa rimanere presso la persona che l'ha accolto quando nessuno lo voleva, o quando quella era considerata la persona più idonea per lui.
  L'articolo 44 della legge n. 184 del 1983 prevede questo, ma la lettera a) del comma 1 del medesimo articolo, che prevede proprio la continuità degli affetti, porta con sé una limitazione: si può applicare solo nel caso in cui il bambino sia orfano di padre e di madre. Questo valeva un tempo. Al giorno d'oggi, però, impedisce di fatto che quelle situazioni che si sono fortunatamente create per alcuni bambini si possano concludere con quella stabilità di cui i bambini hanno bisogno.

  PRESIDENTE. Adesso alcuni auditi volevano rispondere all'onorevole Zampa, che tra l'altro è la vicepresidente della Commissione bicamerale per l'infanzia e per l'adolescenza. La ringraziamo. Peraltro, ci sono tanti colleghi che non sono della Commissione giustizia, ma sono venuti proprio per la particolarità del tema. Ovviamente, quest'argomento è incardinato qui, ma richiama tante altre competenze.
  Do la parola a Monya Ferritti.

  MONYA FERRITTI, Presidente del Coordinamento delle Associazioni familiari adottive e affidatarie in rete (CARE). Sul tema dei fallimenti avevo fatto un accenno, dicendo che i dati parlavano del 2 per cento, ma in realtà non ci sono veri studi. A noi Pag. 30interessano non solo i fallimenti delle adozioni, che comprendono la rescissione dei legami, ma anche e soprattutto le crisi adottive, che sono molto più numerose e di cui non si sanno i numeri.
  Abbiamo chiesto numerosissime volte, e continuiamo a chiederlo, un monitoraggio longitudinale delle famiglie adottive nel tempo. Ormai abbiamo una storia. Sono trenta, quaranta, cinquant'anni che facciamo adozioni, con una storia. Sarebbe opportuno farlo.
  Con la Commissione adozioni internazionali nel 2013 abbiamo approntato un questionario che entrava proprio nello specifico di questo tema con tutte quelle famiglie che avevano al 2013 ragazzi dai 14 anni in poi. Non ho più saputo nulla di questo studio che avrebbe dovuto effettuare l'Istituto degli Innocenti. Quello sarebbe stato sicuramente il primo passo per cominciare a capire non solo se i ragazzi fossero ancora a casa ma come stessero e che cosa stesse succedendo.
  Le famiglie nei nostri gruppi raccontano che, arrivati in adolescenza – questo non c'entra nulla con il Paese di provenienza, con il fatto che si tratti di un'adozione nazionale o internazionale o con il fatto che i ragazzi siano stati adottati a tre mesi o a tredici anni – le crisi, lo sappiamo bene, si acuiscono. Le crisi adottive, però, possono essere particolarmente violente, con episodi violenti molto forti, che mettono a durissima prova le famiglie. A volte non per un senso di fallimento, ma proprio per preservare il legame, i ragazzi vengono allontanati, per poi cercare di recuperare il legame familiare. Sono situazioni drammatiche, su cui chiediamo un intervento e un monitoraggio.

  MARCO GRIFFINI, Presidente dell'Associazione amici dei bambini (Ai.Bi.). Rispondo all'onorevole Zampa e alla domanda che ha fatto lei, signora presidente. Sui fallimenti adottivi dire che sono tanti o sono pochi è quasi un azzardo, perché purtroppo dati non ne abbiamo. Recentemente c'è stata un'inchiesta che ha condotto il quotidiano La Stampa a livello nazionale. Dopo aver sentito vari servizi in varie regioni porta il dato del 3 per cento. Se fosse il 3 per cento, saremmo tutti contenti, perché vorrebbe dire che il 97 per cento delle adozioni è riuscito.
  In merito sarebbe interessante fare anche una cosa che noi facciamo sempre, come genitori adottivi, ossia mettere in raffronto i fallimenti adottivi rispetto ai fallimenti, per esempio, dei figli biologici. La ricerca che ha fatto l'Innocenti portava solamente un dato, dicendo che i fallimenti delle adozioni internazionali sono il 50 per cento in meno dei fallimenti adottivi nazionali. Tuttavia, veramente qui manca qualsiasi dato.
  Possiamo dire – almeno lo posso dire come genitore adottivo – che a me sembra corretto offrire a ogni bambino abbandonato l'ultima possibilità della sua vita. Il problema è sempre culturale, perché si ritiene che l'adozione internazionale sia un fatto di quella coppia e non un fatto sociale.
  Ricordiamo la battaglia fatta da CARE per quanto riguarda il discorso di introdurre le linee-guida dell'adozione all'interno della scuola. Io ho tre figli adottati e devo dire che due hanno passato le pene dell'inferno, perché la scuola non è accogliente e la società non è accogliente. Le strutture educative non sono accoglienti. Il problema è culturale: l'adozione non è un fatto di quella coppia o di quel padre e di quella madre, ma è un fatto che ci coinvolge tutti a livello sociale. Dovremmo partire da qui.
  Per rispondere alla sua domanda, signora presidente, innanzitutto l'affido lo possono fare anche i single, ragion per cui non c'è problema. Lei parlava di adozione. Abbiamo detto che tutti siamo d'accordo che siano preferibili un padre e una madre rispetto a un single. Effettivamente, se ci fosse un bambino abbandonato in tutto il mondo per cui non ci fosse una famiglia disponibile, questo andrebbe bene, ma il problema è che non è così.
  Arriviamo all'Italia. Per l'Italia c'è un dato abbastanza interessante, perché vediamo che da quindici anni a questa parte le adozioni nazionali sono sempre le stesse: 950-1.000-1.050. L'ultimo dato – purtroppo, è del 2014 – ci dice che rispetto a 1.050- Pag. 311.060 adozioni nazionali c'erano 9.000 richieste. Pertanto, ci sono ancora 8.000 famiglie che ogni anno arrivano e che si metterebbero a disposizione.
  Se non ci fossero gli italiani, ricordiamo che l'Italia, avendo ratificato la Convenzione dell'Aja, ammette le coppie straniere. Potremmo tranquillamente fare l'adozione internazionale nei confronti delle coppie straniere. Per esempio, abbiamo delle richieste di famiglie italoamericane che sarebbero interessate anche ad adottare dei bambini abbandonati italiani.
  Il problema è sempre quello che si diceva all'inizio. Purtroppo, il problema dell'infanzia fuori famiglia in Italia è una grande macchia nera. È un grande mistero. Finché non ci sarà questa banca dati, saremo qui a parlare solamente di ipotesi.

  GIANFRANCO ARNOLETTI, Presidente del Centro internazionale per l'infanzia e la famiglia (CIFA). Sarò velocissimo, presidente. La categoria delle coppie non sposate lei la lascia proprio da parte.

  PRESIDENTE. No, la mettevo insieme a...

  GIANFRANCO ARNOLETTI, Presidente del Centro internazionale per l'infanzia e la famiglia (CIFA). Io credo che si debba cercare di avere la migliore proposta tra l'offerta delle coppie di disponibilità e il bisogno di un bambino. Credo che veramente si debba trovare uno strumento che ci consenta di fare questo.
  Circa i fallimenti, CIFA l'anno scorso ha fatto circa 1.800 relazioni post. È l'unico strumento che abbiamo per poter misurare lo stato di salute dei bambini. L'informatizzazione l'abbiamo cominciata in anni molto più recenti.
  Sui fallimenti conclamati la percentuale che abbiamo è decisamente ragionevole, perché è al di sotto del 2 per cento. Non siamo ancora riusciti, però, a quantificare evidentemente, se non nelle varie patologie, il livello di benessere delle coppie. Lo vorremmo fare. Ripeto, se l'ente fosse responsabile di tutto l'iter della coppia, a un certo punto probabilmente anche questa misurazione si riuscirebbe a fare, anche senza grosse spese.

  LUCA LUCCITELLI, Componente del Servizio Diritti umani e Giustizia della Comunità Papa Giovanni XXIII. Onorevole presidente, cerco di rispondere alla sua domanda per come riesco. Il tema sarebbe molto ampio, perché questo è un po’ il centro della questione che credo anche voi dovrete affrontare nelle prossime settimane.
  Qui non si tratta di esprimere un giudizio sulla singola persona, che può essere single, come diceva poco fa la mia collega, può essere divorziata, oppure potrebbe anche essere una coppia omosessuale. Non si tratta di esprimere un giudizio sulla singola persona. Si tratta di dire che un bambino ha bisogno di una relazione di qualità. Se estendessimo le categorie delle persone che possono adottare dei bambini, rischieremmo di discriminare quei bambini che andrebbero, per esempio, a un single, rinunciando a priori alla complementarietà di un papà e di una mamma. È questo il punto.
  Dopodiché, è ovvio ed evidente, ma questo già oggi è presente, che, laddove un giudice individui una situazione particolare, dispone già dell'articolo 44 della legge n. 184 del 1983, che già prevede dei casi speciali che possono essere visti particolarmente. Tuttavia, il rischio è quello di discriminare i bambini.

  PRESIDENTE. Grazie. L'onorevole Scagliusi aveva un'osservazione da fare.

  EMANUELE SCAGLIUSI. Grazie, presidente. Ringrazio tutti gli auditi per i concetti espressi e per averci reso partecipi della situazione delle adozioni, sia nazionali, sia internazionali. Molti dei problemi che sono stati sollevati erano già di nostra conoscenza. Infatti, io stesso ho presentato alcune interrogazioni parlamentari per chiarire alcuni di questi aspetti.
  L'aspetto preoccupante, però, è che stiamo facendo un'indagine conoscitiva per modificare la legge sulle adozioni senza avere i dati della banca dati nazionale o i Pag. 32dati delle adozioni internazionali. Infatti, come è stato denunciato anche da enti e associazioni, la CAI non si riunisce da due anni. Pertanto, non abbiamo i dati delle adozioni, né di quelle andate a buon fine, né di quelle magari non andate a buon fine. Spero che nel prosieguo di questa indagine conoscitiva riusciremo ad audire il presidente della CAI e i Ministeri competenti.
  Questo è tutto. Ringrazio ancora gli auditi.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole. Lo dico anche per gli auditi: ci saranno le audizioni dei Ministri competenti. Alcuni hanno già indicato le loro disponibilità per le date. Inoltre, ovviamente, terremo conto di questa vostra segnalazione e di quella che viene anche da varie interpellanze parlamentari. Sicuramente sentiremo anche il presidente della CAI e i Ministri competenti per quanto riguarda la banca dati.
  Vediamo i punti critici. La nostra idea è proprio di non partire da un testo preconcetto, ma di fare emergere le criticità, per poi cercare di risolverle e di fornire l'indirizzo opportuno, o attraverso proposte di legge, o attraverso una risoluzione. Questo lo valuteremo con i colleghi.
  Vi ringrazio molto per questo contributo. Abbiamo iniziato con voi. Abbiamo voluto darvi questa possibilità. Grazie di nuovo.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 18.