Sulla pubblicità dei lavori:
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DEL PROGETTO DI LEGGE C. 3-35-182-358-551-632-718-746-747-749-876-894-932-998-1025-1026-1116-1143-1401-1452-1453-1511-1514-1657-1704-1794-1914-1946-1947-1977-2038-bis-B , APPROVATO, IN UN TESTO UNIFICATO, DALLA CAMERA E MODIFICATO DAL SENATO, RECANTE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI ELEZIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
Audizione di esperti.
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 3
Luciani Massimo , Professore ordinario di Diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza» ... 3
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 4
Luciani Massimo , Professore ordinario di Diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza» ... 4
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 5
D'Alimonte Roberto , Professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università Luiss Guido Carli di Roma ... 6
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 8
Mazziotti Di Celso Andrea (SCpI) ... 8
Migliore Gennaro (PD) , Relatore ... 8
D'Attorre Alfredo (PD) ... 9
Mucci Mara (Misto-AL) ... 9
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 10
Bianchi Dorina (AP) ... 10
Cuperlo Giovanni (PD) ... 10
Fiano Emanuele (PD) ... 10
Giorgis Andrea (PD) ... 11
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 12
D'Alimonte Roberto , Professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università Luiss Guido Carli di Roma ... 13
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 14
D'Alimonte Roberto , Professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università Luiss Guido Carli di Roma ... 14
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 14
D'Alimonte Roberto , Professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università Luiss Guido Carli di Roma ... 14
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 14
D'Alimonte Roberto , Professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università Luiss Guido Carli di Roma ... 14
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 14
D'Attorre Alfredo (PD) ... 14
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 14
D'Alimonte Roberto , Professore ordinario di Sistema politico italiano presso l'Università LUISS Guido Carli di Roma ... 14
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 15
Luciani Massimo , Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza» ... 15
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 16
Nicotra Ida , Professoressa ordinaria di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Catania ... 17
Zaccaria Roberto , già Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Firenze ... 19
Barbera Augusto , Professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università di Bologna ... 22
Scalfarotto Ivan (PD) , Sottosegretario per le riforme costituzionali e per i rapporti con il Parlamento ... 24
Barbera Augusto , Professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università di Bologna ... 24
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 25
Marini Francesco Saverio , Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata ... 25
Storace Francesco , Esperto della materia ... 27
Barbera Augusto , Professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università di Bologna ... 29
Storace Francesco , Esperto della materia ... 29
Tondi Della Mura Vincenzo , Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università del Salento ... 29
Barbera Augusto , Professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università di Bologna ... 30
Tondi Della Mura Vincenzo , Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università del Salento ... 30
Agostini Roberta , Presidente ... 31
Tondi Della Mura Vincenzo , Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università del Salento ... 31
Barbera Augusto , Professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università di Bologna ... 31
Tondi Della Mura Vincenzo , Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università del Salento ... 31
Trucco Lara , Professoressa associata di diritto costituzionale presso l'Università di Genova ... 31
Villone Massimo , Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II ... 34
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 34
Villone Massimo , Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II ... 34
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 37
Lattuca Enzo (PD) ... 37
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 38
Lattuca Enzo (PD) ... 38
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 38
Lauricella Giuseppe (PD) ... 38
Cuperlo Giovanni (PD) ... 39
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 40
D'Attorre Alfredo (PD) ... 40
Mucci Mara (Misto-AL) ... 41
Fiano Emanuele (PD) ... 42
Pisicchio Pino (Misto) ... 43
Migliore Gennaro (PD) , Relatore ... 44
Agostini Roberta , Presidente ... 45
Zaccaria Roberto , già Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Firenze ... 45
Barbera Augusto , Professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università di Bologna ... 46
Tondi Della Mura Vincenzo , Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università del Salento ... 48
Barbera Augusto , Professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università di Bologna ... 49
Tondi Della Mura Vincenzo , Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università del Salento ... 49
Trucco Lara , Professoressa associata di diritto costituzionale presso l'Università di Genova ... 49
Villone Massimo , Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II ... 49
Agostini Roberta , Presidente ... 50
Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FRANCESCO PAOLO SISTO
La seduta comincia alle 9.25.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.
Audizione di esperti.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame dei progetti di legge C. 3-35-182-358-551-632-718-746-747-749-876-894-932-998-1025-1026-1116-1143-1401-1452-1453-1511-1514-1657-1704-1794-1914-1946-1947-1977-2038-bis-B, approvata, in un testo unificato, dalla Camera e modificata dal Senato, recante disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati, l'audizione di esperti.
Saluto, in rigoroso ordine alfabetico, il professor Augusto Barbera, professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università di Bologna, il professor Roberto D'Alimonte, ordinario di Sistema politico italiano presso l'Università LUISS Guido Carli di Roma, il professor Massimo Luciani, ordinario di diritto costituzionale presso l'Università di Roma «La Sapienza», il professor Francesco Saverio Marini, ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata», la professoressa Ida Nicotra, ordinaria di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Catania, Francesco Storace, il professor Vincenzo Tondi Della Mura, professore ordinario di Diritto costituzionale presso l'Università del Salento, la professoressa Lara Trucco, associata di diritto costituzionale presso l'Università di Genova, il professor Massimo Villone, ordinario di Diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Napoli «Federico II», e il professor Roberto Zaccaria, già professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Firenze.
I professori Luciani, Nicotra, D'Alimonte e Zaccaria hanno chiesto, per impegni pregressi, di poter intervenire per primi. Nel ringraziare i nostri ospiti per la loro presenza, do la parola, se non vi sono obiezioni, al professor Luciani, che ha rappresentato un'esigenza di particolare urgenza.
Sui tempi mi rimetto al prudente apprezzamento dei nostri ospiti. Se riuscissimo a contenere l'intervento nei 7-8 minuti sarebbe auspicabile, per consentire poi ai componenti della Commissione di porre in essere un proficuo dibattito sui temi non irrilevanti, ma anzi fondanti, su cui discutere.
Chiedo ai nostri ospiti di mettere a disposizione della Commissione eventuali contributi scritti, anche successivamente all'audizione.
Do la parola al professor Luciani.
MASSIMO LUCIANI, Professore ordinario di Diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza». La ringrazio molto, presidente, anche per la sua cortesia. Cercherò di essere estremamente sintetico, manifestando innanzitutto un certo imbarazzo. In questa fase della discussione politico-parlamentare per gli esperti è difficile intervenire, perché ogni affermazione entra in una discussione che ha l'elevata temperatura del dibattito politico nell'imminenza di una decisione. Io sarò molto sintetico, toccando pochi punti.Pag. 4
Il primo è l'interpretazione della sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014. Sarò veramente telegrafico, perché questa, se non ricordo male, è forse la quarta audizione alla quale ho l'onore di essere chiamato, di cui una alla Camera, una al Senato e un'altra presso la Giunta per le elezioni, sugli effetti della sentenza n. 1 del 2014.
Che cosa ci dice la sentenza e in che termini deve guidare il lavoro parlamentare ? Innanzitutto esclude che ci sia «un modello di sistema elettorale imposto dalla Carta costituzionale». Sono parole della Corte. È certamente illegittima, però, la previsione di un premio di maggioranza sine causa, cioè senza una ragione per poter essere attribuito.
La Corte richiama i princìpi di logicità, proporzionalità e ragionevolezza. Sono sottolineati, inoltre, con molta forza l'esigenza della funzione rappresentativa dell'Assemblea e anche il principio della libertà del voto, che deve consentire agli elettori di – cito testualmente – «incidere sull'elezione dei propri rappresentanti».
Questa è, in sintesi estrema, la sostanza della sentenza della Corte costituzionale, che concede, dunque, un grande margine di apprezzamento e di discrezionalità politica, come è ovvio che sia, alle Camere del Parlamento, ma definisce anche dei limiti.
Vediamo le questioni, alla luce della sentenza della Corte. La prima è la questione dell'attribuzione del premio. Personalmente, sono da sempre favorevole al premio di maggioranza. La questione che si pone rispetto al testo in esame è il problema di questo ulteriore turno, che io non chiamerei un secondo turno elettorale. Si tratta di un turno diverso per una competizione che ha una logica diversa da quella del primo turno.
Al riguardo sussistono un problema di apprezzamento politico-istituzionale e un problema di osservanza dei limiti fissati dalla sentenza della Corte costituzionale. In particolare, il problema si pone in ragione della struttura del sistema politico partitico italiano. È evidente che i sistemi elettorali hanno effetti sul sistema politico partitico, ma questo, a sua volta, determina sia la scelta dell'uno o dell'altro sistema, sia il suo concreto funzionamento. Si tratta di effetti bidirezionali, di backlash reciproco, diciamo così.
In questo caso noi abbiamo un sistema politico partitico che potrebbe anche evolversi verso forme di tipo quadripolare. Potremmo avere, dunque, ipotesi di liste – non è previsto qui l'apparentamento – di non amplissima consistenza che si presentano tutte all'ulteriore turno elettorale.
PRESIDENTE. Chiedo scusa se la interrompo, professore, ma è doveroso che io saluti il ministro Boschi, che è venuto ad ascoltare.
Prego, professore, continui.
MASSIMO LUCIANI, Professore ordinario di Diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza». Ringrazio il ministro e mi scuso con lei, perché stavo guardando i miei appunti e non mi sono accorto del suo ingresso in aula.
Dicevo che si tratta di capire se non sia, invece, opportuno stabilire che il premio all'ulteriore turno elettorale venga assegnato in dipendenza di un determinato turnout elettorale, ossia di una determinata partecipazione al secondo turno.
Del problema della partecipazione si è fatto carico il disegno di legge di riforma costituzionale nell'articolo 75 novellato, con una previsione, in realtà singolare, di una doppia soglia di partecipazione a seconda dell'iniziativa referendaria. L'idea di ancorare la validità dell'elezione a una partecipazione è radicata in quell'articolo 75 anche per come emendato.
È evidente che un sistema di questo tipo può determinare i risultati più vari. Potrebbe anche determinare il risultato che il primo partito al primo turno elettorale venga sconfitto in occasione del turno di ballottaggio, ma questo è un problema di apprezzamento politico-istituzionale che ovviamente non mi compete.
Un punto che attiene alla legittimità, invece, è quello del divieto di apparentamento, non tanto per la scelta in favore o Pag. 5contro questa soluzione, che è eminentemente politica e sulla quale non mi pronuncio, quanto per la questione delle liste rappresentative delle minoranze linguistiche.
Se le liste rappresentative delle minoranze linguistiche non si possono apparentare, è abbastanza evidente che tali liste non potranno mai partecipare sostanzialmente al Governo del Paese, perché la logica di questo sistema elettorale è che chi consegue il premio di maggioranza non si apra poi alla coalizione. Questo potrebbe porre un problema dal punto di vista del rispetto dei paletti stabiliti dalla Corte costituzionale.
Sono note le altre questioni, ossia la questione del voto di preferenza e degli effetti della distribuzione del premio, cioè della sostanziale impossibilità per gli elettori delle liste minori di poter esprimere voti di preferenza che abbiano un esito effettivamente positivo.
Da questo punto di vista tutto si collega evidentemente alla taglia delle circoscrizioni e dei collegi elettorali, perché è chiaro che, più grandi sono i collegi, meno questo effetto si determina. È altrettanto vero, però, che più grandi sono i collegi, meno si determinano taluni effetti di concentrazione del voto che sono, invece, auspicati dalla proposta.
Salterei una serie di altre considerazioni e menzionerei soltanto l'ultimo punto, la vexata questione della clausola di salvaguardia. Si sa che nelle audizioni si mettono in luce i problemi che si spera siano risolti e che, quindi, magari non si parla dei dati positivi. Ripeto che, per quanto mi riguarda, io condivido la scelta di prevedere un premio di maggioranza, ma soprattutto condivido la scelta di normare, e questo per due ragioni.
In primo luogo, perché non è detto affatto che il sistema uscito dalla sentenza n. 1 del 2014 sia effettivamente e perfettamente auto-applicativo. Su questo molti esperti hanno espresso dei dubbi che, a mio avviso, andrebbero vagliati con grande attenzione.
La seconda considerazione è che è altamente opportuno che le Camere del Parlamento si diano il loro sistema elettorale e che non sia la Corte costituzionale a scriverlo, ovviamente. L'idea che si normi mi trova, quindi, particolarmente consenziente.
Detto questo, però, il problema del raccordo tra questa legge elettorale e la riforma costituzionale resta per un profilo che ho citato inizialmente, quello per cui, in assenza di una sua logica, il premio di maggioranza sine causa non può essere un premio di maggioranza costituzionalmente legittimo. Questo è un punto molto delicato, me ne rendo conto, anche politicamente, ma che non posso non mettere in luce dal punto di vista tecnico, perché è abbastanza il cuore della sentenza della Corte costituzionale.
Tutti gli interventi che si fanno sul sistema elettorale in qualche modo modificando la sua struttura tendenzialmente proporzionale sono benvenuti da parte della Corte. La Corte dice che vanno benissimo se servono per aumentare la governabilità e per far sì che effettivamente il Paese si dia un governo efficiente, stabile, visibile e via discorrendo. Tuttavia, tutto questo deve essere fatto a condizione che le soluzioni istituzionali siano vere soluzioni.
Se noi avessimo un sistema elettorale di questo genere soltanto per la Camera dei deputati e non per il Senato della Repubblica e il Senato della Repubblica non venisse riformato, come auspicabilmente dovrebbe avvenire con l'approvazione del disegno di legge costituzionale, avremmo uno sbilanciamento che forse non reggerebbe al vaglio della giurisprudenza costituzionale, perlomeno per come si è maturata sino alla sentenza n. 1 del 2014.
Nel rispetto del limite di tempo che lei, Presidente, mi ha concesso, mi arresterei qui, con riserva di argomentare più dettagliatamente le poche cose che ho detto in un testo scritto.
PRESIDENTE. La ringrazio per la puntualità e per la rapidità. Poiché il professor Luciani e il professor D'Alimonte hanno comunicato di avere degli impegni, proporrei ai colleghi di ascoltare il professor Pag. 6D'Alimonte, quindi di rivolgere le domande a questi due esperti, per poi proseguire con gli interventi degli altri auditi.
Do la parola al professor D'Alimonte.
ROBERTO D'ALIMONTE, Professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università Luiss Guido Carli di Roma. Presidente, ringrazio per l'invito, che mi offre l'occasione di parlare di una questione sola, in realtà, ossia della favola del gigante e dei cespugli. Sono venuto qui a raccontarvi questa favola.
Prima, però, faccio una premessa. Io ritengo che questo sistema elettorale sia un buon sistema elettorale. Il pregio di questo sistema elettorale è che realizza un equilibrio convincente tra governabilità e rappresentatività: 340 seggi sono appannaggio del partito vincitore e 277 seggi sono appannaggio dei perdenti – questo è il punto centrale – che vengono ammessi alla ripartizione dei seggi col 3 per cento dei voti. Questo equilibrio può non realizzarsi con sistemi maggioritari di collegio.
Da questo punto di vista un sistema maggioritario di lista, come quello di cui stiamo discutendo, è addirittura migliore di un sistema maggioritario di collegio, perché in un sistema maggioritario di collegio nominale, che pure a me piace, in linea teorica, questo equilibrio potrebbe non essere realizzato, come abbiamo visto nelle elezioni dipartimentali francesi e come vedremo fra due anni di nuovo in Francia.
Con un sistema maggioritario di collegio può succedere che la ripartizione dei seggi tra chi vince e chi perde non sia di 55 a 45, ma di 70 a 30, come è avvenuto in Francia già in un'altra occasione. Anche da questo punto di vista, quindi, io ritengo che questo sia un buon sistema elettorale.
L'elemento centrale di questo sistema elettorale è il ballottaggio. Io sono convinto che sarà non il premio, ma il ballottaggio il meccanismo grazie al quale verrà deciso il Governo del Paese. Il premio è giusto che ci sia, ma io trovo difficile immaginare che a lungo andare, ma anche a breve andare, ci sia un partito capace di arrivare al 40 per cento dei voti. Quindi, il governo del Paese sarà deciso in una sfida a due.
Questa sarà la norma, ed è una buona cosa da un punto di vista politico e anche teorico, perché in questo modo gli italiani saranno costretti a utilizzare le proprie seconde preferenze e non solo le prime preferenze. Si tratta di un esercizio di democrazia salutare.
Non lasciatevi fuorviare da chi vi dice che con il ballottaggio la gente vada meno a votare. Sono falsità messe in giro da chi non conosce la realtà, da chi pensa che un fenomeno che si manifesta a livello locale si debba necessariamente manifestare a livello nazionale.
È vero che a livello locale, per i sindaci, la gente tende ad andare meno a votare, ma guardate i dati francesi. Sistematicamente in Francia al secondo turno delle presidenziali vanno a votare più elettori che al primo turno. Questo si spiega perché la gente non è stupida e capisce quando la posta in gioco è rilevante. Con una posta in gioco rilevante l'affluenza aumenta. Anche questo argomento, quindi, è un argomento fallace.
Veniamo ora alla favola del gigante e dei cespugli. Questa favola è stata inventata in via Solferino a Milano. Mi dispiace che l'inventore di questa favola sia un collega, Angelo Panebianco, una persona che ha scritto un libro molto importante sui partiti, ma che, secondo me, ha dimenticato le lezioni basilari sulla teoria dei sistemi elettorali.
Naturalmente, questa favola è stata ripresa, sempre in via Solferino, ad esempio da Polito e da Ainis. Cosa dice questa favola ? La favola dice che un sistema elettorale come l’Italicum, con una soglia del 3 per cento, condanna l'opposizione a restare un'opposizione frammentata e che, quindi, contiene un incentivo strutturale – strutturale, non contingente – a favore del Partito Democratico, il quale è attualmente sopra il 30 per cento dei voti, che gli consentirebbe di rimanere al potere a lungo andare.Pag. 7
Questa è assolutamente una favola, che mi fa molto piacere poter smentire in questa sede. Questa favola contiene tre errori sostanziali.
Faccio una premessa: io sono un nemico mortale della frammentazione. Negli ultimi vent'anni ho scritto sistematicamente contro la frammentazione. Considero la frammentazione il cancro della democrazia italiana e di ogni democrazia. Eppure la soglia del 3 per cento a me sta bene. Io non chiedo una soglia del 4 o del 5. Mi sta bene il 3.
Questo perché – e questo è il primo errore della favola – una soglia del 3 per cento non può essere valutata all'interno di un sistema elettorale majority assuring, ossia che garantisce la maggioranza, allo stesso modo in cui viene valutata dentro il sistema tedesco o dentro il sistema della Prima Repubblica.
In altre parole, a me non importa nulla che in Parlamento ci siano partiti con il 3 per cento, anzi, ne sono contento, perché ciò mi consente di dire che questo sistema garantisce il pluralismo, la rappresentanza. Non me ne importa nulla perché i partiti col 3 per cento hanno perso il loro potere di ricatto. Questo è il punto, il male della frammentazione: concedere a piccoli partiti un potere di ricatto che è una funzione del loro potere di coalizione. Noi togliamo loro il potere di coalizione, e quindi il potere di ricatto e li lasciamo stare in Parlamento, rappresentati in Parlamento. Va benissimo così. Mi sta bene.
Il secondo errore contenuto nella favola fa riferimento a degli studi che dovrebbero essere ben conosciuti e che, invece, evidentemente non lo sono, che fanno riferimento al nome di Duverger e, più recentemente, in maniera molto più approfondita, al nome di Cox. La regola di Cox – mi fa piacere poterne parlare in questa sede, e perdonatemi se faccio il professore – è la regola di M + 1. È una regola matematica dimostrata scientificamente.
La regola di Cox dice che, quando la dimensione dei collegi è pari a 1, e qui siamo in una situazione in cui la dimensione del collegio è pari a 1 perché questo sistema elettorale è un sistema, da un certo punto di vista, sostanziale, un sistema in cui la vittoria viene assegnata in un collegio uninominale pari alla dimensione territoriale del Paese, quindi M è uguale a 1.
La regola di Cox dice, quindi, che la situazione di equilibrio partitico in un contesto del genere è M + 1, ossia 2. Sono due alla lunga, o alla corta – dipende – i partiti che si contenderanno la vittoria in questo unico collegio uninominale che è l'Italia, grazie al premio e al ballottaggio. Due partiti alla fine emergeranno dalla competizione, grazie a quelli che Duverger chiamava gli effetti psicologici. Alla fine, sui due partiti capaci di competere si concentreranno i voti. Alla fine, il sistema – altro che incentivo strutturale – tende verso questo equilibrio, con un partito di centrodestra e un partito di centrosinistra.
Poi ci sono altri partiti. Io sto parlando di meccanica e non di formato. Ci saranno altri partiti, ma i partiti su cui si incentrerà la competizione saranno due, perché alla fine il centrodestra di oggi non sarà il centrodestra di domani. Proprio grazie a questo sistema elettorale e alla regola di Cox (M + 1), i voti si concentreranno, alla fine, su uno dei partiti del centrodestra, che diventerà competitivo. Altro che la permanenza strutturale della frammentazione dovuta alla soglia bassa del 3 per cento. Non c'entra nulla la soglia bassa del 3 per cento. Alla fine, partiti ed elettori si muoveranno nella direzione di favorire un processo di concentrazione del voto anche nel centrodestra, mentre a sinistra non è detto che il Partito Democratico resti permanentemente sopra il 30 per cento. Chi l'ha detto ?
Qui vengo al terzo errore contenuto nella favola del gigante e dei cespugli. Il terzo errore è che chi parla di queste cose non conosce, di nuovo, la realtà. La realtà di oggi è la realtà di una volatilità del voto eccezionale. Questa è la caratteristica fondamentale del sistema politico italiano oggi, la mutevolezza dei comportamenti di voto, la volatilità. Quello che è vero oggi a sinistra potrebbe non essere vero domani. Quello che è vero oggi a destra potrebbe non essere vero domani. Tutto cambia Pag. 8rapidamente in questa situazione. Non siamo più nella Prima Repubblica, nella Repubblica delle ideologie. Siamo nella Repubblica dei comportamenti mutevoli. Ecco perché un sistema elettorale di questo genere, calato in questa realtà, in un periodo non lungo produrrà l'equilibrio di Cox. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie, professor D'Alimonte. Come già preannunciato, do ora la parola ai colleghi che intendono porre domande al professor Luciani e al professor D'Alimonte, in modo da poterli liberare per gli impegni che hanno rappresentato.
ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. Vorrei porre al professor Luciani una domanda in relazione al tema della legge incompleta, nel senso di condizionata, nella sua piena applicabilità, all'approvazione delle riforme.
Questo è un tema di cui si è parlato molto e spesso si è discusso del fatto che, se non dovessero passare le riforme, sarebbe molto semplice procedere intervenendo per decreto, per apportare dei minimi correttivi alla legge elettorale tali da consentirne l'applicabilità, o in qualche modo l'applicabilità al Senato, questione che io trovo piuttosto complessa. Chiedo al professor Luciani se ritiene che un simile intervento sia anche solo astrattamente concepibile.
Al professor D'Alimonte pongo, invece, una domanda più di principio. Ho capito la sua analisi, che nasce dalla regola di Cox, che lei ci ha così ben illustrato, ma chiedo se ritiene che sia coerente anche con la storia degli altri Paesi partire da una situazione politica per introdurre una legge elettorale che tendenzialmente porta a un'altra. Mi spiego. È giustissima l'analisi, anch'io penso che si arriverà a un accorpamento del centrodestra o delle forze politiche, ma noi oggi partiamo da una situazione sostanzialmente tripartita, in questo momento. Si sta stabilendo un meccanismo elettorale in una condizione di volatilità del voto che porta, o che potrebbe portare, di fatto a tendere verso il bipartitismo.
Normalmente le leggi elettorali sono state fatte seguendo in parte la situazione politica dei Paesi in cui sono state introdotte, per non alterarne la condizione immediata. Questo è un caso abbastanza raro. Volevo sapere se ci sono situazioni o casi a sua conoscenza nei quali si è intervenuti in questo modo, ossia direzionando la struttura del Parlamento in maniera leggermente diversa da quella che è effettivamente la situazione politica di un Paese.
GENNARO MIGLIORE, Relatore. Ho una domanda per il professor Luciani. Poiché lei ha espresso dei dubbi sul divieto di apparentamento al secondo turno, mi chiedevo, al di là della legittimità eventuale di un apparentamento al secondo turno, se questa possibilità la ritenga valida nel momento in cui c’è una rappresentazione, come peraltro è stato anche ampiamente spiegato dal professor D'Alimonte, di opzioni politiche molto distinte rappresentate dalla presenza di partiti o di liste che maturano la loro presenza programmatica nel corso di una campagna elettorale e precedentemente.
Inoltre, le chiedo se il tempo dell'apparentamento sul piano semplicemente politico sia sufficiente, a suo giudizio – sul piano politico, non della legittimità – per giustificare un'eventuale convergenza che non sia semplicemente una convergenza di comodo.
Come seconda domanda, poiché lei ha detto che è favorevole al premio di maggioranza, le chiedo se condivide il fatto che questo premio di maggioranza venga attribuito alla lista e non a una coalizione. Nella versione precedente, quando c'era la coalizione, si poteva dare il caso che ci fossero dei partiti che non raggiungevano neppure il quorum per la rappresentanza e che contribuivano al premio di maggioranza.
Le chiedo, quindi, se lei ritiene, visto che su questo non ha espresso un giudizio, che sia meglio attribuire comunque il premio alla lista e non a una coalizione di liste, anche per evitare che ci siano dei voti raccolti da determinate liste che non generano Pag. 9rappresentanza, ma che poi attribuiscono il premio di maggioranza magari all'unico partito che supera lo sbarramento.
ALFREDO D'ATTORRE. Vorrei porre due rapide questioni ai professori che sono intervenuti.
La prima riguarda il fatto che questa legge elettorale si applicherà soltanto alla Camera. Come si ricorderanno, in sede di prima lettura alla Camera fu decisa questa soluzione, preferendola a quella di un'entrata in vigore differita della legge elettorale successiva all'approvazione della riforma costituzionale. Questo sulla base anche di una valutazione politica che all'epoca fu fatta in merito al fatto che l’iter delle due riforme sarebbe marciato parallelamente e che, quindi, presumibilmente esse sarebbero arrivate a destinazione contemporaneamente.
Lo sfalsamento nell’iter tra le due riforme è stato già rilevato in sede di audizioni al Senato, dove diversi costituzionalisti hanno sollevato la preoccupazione per una legge elettorale che entrerebbe in vigore per la Camera molto prima di una successiva ed eventuale approvazione della riforma costituzionale.
In merito volevo chiedere una valutazione, considerando anche che il quadro politico di fronte al quale siamo, un quadro politico in cui la base di sostegno alle riforme si è molto ristretta e in cui vi è anche una discussione molto aperta e accesa all'interno dei partiti di maggioranza, solleva qualche legittimo dubbio sulla prosecuzione anche dell’iter della riforma costituzionale.
Mi chiedevo, quindi, anche rispetto ad argomentazioni che sono state sollevate nella sentenza della Corte costituzionale, quanto sia sostenibile questo fortissimo premio di maggioranza con il meccanismo del ballottaggio di una legge elettorale che entra in vigore solo per la Camera e che per un periodo non breve, nella migliore delle ipotesi, varrà soltanto per la Camera, senza alcuna certezza che questo premio di maggioranza poi trovi una corrispondenza nell'esito elettorale che emergerà nell'altra Camera, sia nel caso in cui si voti nel periodo precedente l'approvazione della riforma costituzionale, sia nell'ipotesi, che non possiamo più considerare un'ipotesi di scuola, che la riforma costituzionale, purtroppo, non concluda il suo iter.
La seconda questione riguarda, più specificamente, quanto detto dal professor D'Alimonte. Io faccio fatica, francamente, a condividere le certezze, che qui ci sono state rappresentate con granitica e scultorea sicurezza, circa il fatto che in Italia il ballottaggio farà segnare una partecipazione superiore al primo turno. Ogni Paese ha la sua storia. Quello francese è un sistema presidenziale, che ha tutt'altro radicamento nella storia costituzionale e nella cultura politica di quel Paese.
Francamente, mi sembra un'astrazione modellistica immaginare che quel dato della Francia si traduca immediatamente in Italia, in un sistema che, nonostante la torsione che questa legge elettorale introduce, rimane un sistema elettorale in cui, sebbene nella legge elettorale venga reintrodotto il concetto di capo del partito, rimane una competizione tra liste. Al secondo turno comunque, i cittadini si troveranno a scegliere tra due liste all'interno di un'offerta politica che al primo turno era stata molto ampia.
Tutti i dati che abbiamo sulle elezioni amministrative ci dicono che, contrariamente alle previsioni e agli auspici del professor D'Alimonte, si va accentuando uno scarto molto forte tra i dati della partecipazione al primo turno e i dati della partecipazione al secondo turno. I risultati, che sicuramente il professor D'Alimonte conoscerà, sono che molto spesso al secondo turno si hanno sorprese clamorose e il ribaltamento dei dati del primo turno, per effetto anche di una base elettorale di partecipazione che si restringe e che, quindi, determina una situazione del tutto nuova.
MARA MUCCI. Posto che io personalmente non credo che le elezioni amministrative siano potenzialmente paragonabili con quelle politiche anche a livello di Pag. 10sentimento della popolazione e che, quindi, do il beneficio del dubbio al professor D'Alimonte, chiedo al professor Luciani, che ha introdotto il tema del secondo turno, se ha un'idea di come risolvere la situazione che potrebbe palesarsi nel caso della scarsa partecipazione.
Vorrei sapere se ha da proporre un'idea – io credo che annullare le votazioni possa essere una soluzione poco plausibile – di ripartizione dei seggi nel caso in cui si vada al secondo turno e ci sia effettivamente una scarsa partecipazione, tale per cui l'assegnazione di un premio di maggioranza possa diventare un qualcosa di non proponibile.
PRESIDENTE. Prima di dare la parola alla collega Bianchi, prego gli altri esperti di prendere nota di queste domande perché ne facciano già patrimonio dei loro interventi, in modo che le altre domande siano diverse e ulteriori rispetto a quelle che abbiamo già ascoltato.
DORINA BIANCHI. Io farò un'unica domanda, visto che i colleghi ne hanno fatte già molte, tra cui alcune che avrei rivolto anch'io.
Il professor Luciani ci parlava di voto di preferenza e di partiti, questione problematica soprattutto nei partiti piccoli. Faccio la stessa domanda anche al professor D'Alimonte. Vorrei sapere se conoscono dei meccanismi che tendono a bilanciare il problema dei capilista e delle preferenze, soprattutto per quanto riguarda i piccoli partiti, non i grandi.
GIOVANNI CUPERLO. Ringrazio i professori intervenuti. Anch'io ho molto apprezzato lo spirito problematico con il quale il professor D'Alimonte ha approcciato la tematica della nostra legge elettorale. Può darsi – io non ho elementi per contestarlo – che l'impostazione della legge spingerà verso una tendenza sostanzialmente bipartitica, anche se in me vi è la sensazione che l'impostazione per cui la regola elettorale sia in grado di condizionare l'evoluzione del sistema politico, almeno in un Paese con la nostra cultura e tradizione, abbia subìto non poche smentite nel corso degli ultimi due decenni. Quanto all'analisi dell'evoluzione del campo del centrodestra, mi sembra alquanto interessante, ma al momento piuttosto virtuale.
La domanda specifica che pongo a entrambi gli interlocutori è sul divieto di apparentamento. Chiedo se non pensano che quella che il professor D'Alimonte ha definito la fine del ricatto dei piccoli partiti sulle coalizioni, su cui lui ha espresso un giudizio certamente positivo, possa trasferirsi con questo impianto in un altro meccanismo di trattativa, proiettato non sull'alleanza elettorale, ma, per esempio, sulla composizione del futuro Governo, facendo così rientrare dalla finestra quello che si fa allegramente uscire dalla porta principale e, di fatto, proponendo uno schema che riproduce alcune delle strutture che abbiamo conosciuto in questi vent'anni, ma in modo molto meno trasparente.
EMANUELE FIANO. Volevo ringraziare i due professori e soffermarmi su un aspetto affrontato dal professor Luciani, ossia su una possibile patologia del secondo turno di ballottaggio in ordine alla partecipazione a questo secondo turno e, più in generale, su presunte o possibili illegittimità.
Giustamente il professor Luciani ha iniziato la sua comunicazione citando gli aspetti derivanti dalla lettura della sentenza della Corte costituzionale. Volevo ricordare a me stesso che noi abbiamo introdotto nella riforma costituzionale un principio nuovo molto particolare, sia in senso ordinario, ossia il sindacato preventivo di costituzionalità della legge, sia una norma transitoria che prevede il sindacato di costituzionalità anche sulla legge attualmente in votazione.
Pertanto, lo dico tra parentesi, l'insieme delle considerazioni che noi possiamo fare qui oggi in ordine a possibili e ipotizzabili – a seconda di chi li esprime – elementi di illegittimità di questa legge sarà sottoposto a un vaglio che chiarirà questi elementi prima dell'applicabilità della legge.Pag. 11
Peraltro, a questo proposito – questo è un passaggio che è stato fatto e che fa parte della riforma – ha destato in me interesse e stupore, decidete voi la parola, il fatto che il presidente della Corte costituzionale, invero in modo un po’ particolare, sia intervenuto criticamente su questa norma che è stata introdotta, ossia sulla clausola di sindacato preventivo nel caso ordinario di costituzionalità o successivo, nel caso della legge attualmente approvanda.
Purtuttavia, a prescindere da questa considerazione – se vuole, il professor Luciani mi dirà cosa pensa di questo intervento della Corte costituzionale – ricordo a tutti noi che la legge di cui stiamo parlando sarà sottoposta, cosa eccezionale nella nostra storia, a un vaglio di costituzionalità prima della sua applicazione.
ANDREA GIORGIS. Il professor Luciani ha iniziato il suo intervento richiamando la sentenza della Corte e ragionando, come è inevitabile che noi qui in questa sede si debba fare, sulla relazione e sulla conformità del testo in oggetto con la decisione della Corte. Naturalmente, la Corte si potrà criticare e molti dubbi sono stati avanzati sulla decisione, ma di certo quella decisione ha enunciato una serie di princìpi. Secondo me, i nostri esperti dovrebbero aiutarci a capire se questo testo rispetti le indicazioni della Corte.
Io capisco l'auspicio che al momento elettorale tutti, con determinazione e spirito civico, prendano parte alla consultazione. Personalmente, spero anche che ci siano forze politiche così tanto riconosciute e così tanto capaci di rappresentare i cittadini da conseguire percentuali tali da governare bene il Paese. Il punto, però, non è se ciò avverrà o non avverrà. Il punto è che cosa deve prevedere una legge elettorale qualora la partecipazione dei cittadini fosse limitata.
Noi dobbiamo chiederci questo. Io non mi appassiono a una discussione sull'afflato partecipativo che sicuramente ci sarà o sicuramente non ci sarà. Ciò è del tutto irrilevante, quando si predispone un quadro normativo che cerca di rispettare princìpi costituzionali.
La domanda è: se al secondo turno non parteciperà un numero significativo di cittadini, il testo vigente rispetta l'indicazione della Corte ? Questo è il punto. Io vorrei saperlo dai nostri esperti. Io credo che noi dobbiamo mettere in termini prescrittivi un meccanismo, che io mi auguro non debba mai funzionare, ma che, se dovesse verificarsi quella condizione, è necessario prevedere.
Chiedo anche al professor D'Alimonte come lui considera opportuno porre rimedio a questa eventualità. Se per un attimo assumesse l'ipotesi contraria alle proprie convinzioni e immaginasse una significativa astensione, cosa sarebbe opportuno che prevedesse la regola giuridica ?
Faccio questa domanda perché sono molto preoccupato da istituzioni rappresentative chiamate a esercitare una funzione di governo che non siano dai cittadini riconosciute come rappresentative. Si ha un cancro ancora peggiore quando noi abbiamo istituzioni di governo che non sono riconosciute da un numero adeguato di cittadini. Questa è la grande questione della democrazia rappresentativa.
I meccanismi elettorali devono tenere insieme queste due esigenze. Da un lato, devono sostenere la costruzione artificiale di una maggioranza che in natura non c’è e, quindi, la costruzione di un Governo che spontaneamente non si realizza. Dall'altro, devono fare in modo che questa costruzione artificiale del Governo sia riconosciuta dai cittadini come legittima e che, quindi, sia sufficientemente in grado di corrispondere alla realtà naturale del pluralismo e dei rapporti di forza.
In questo delicato equilibrio le prescrizioni giuridiche che cosa fanno ? Delineano una cornice che cerca di scongiurare le ipotesi estreme. Nell'eventualità, non auspicabile, che non si dovesse avere al secondo turno un'adeguata partecipazione, come si può evitare che i princìpi della Corte siano violati ? Questa è la domanda che pongo.
La seconda questione è come questo difficile, ma importante rapporto tra eletto Pag. 12ed elettore, che la Corte per la prima volta ha enunciato in maniera molto chiara, possa essere ragionevolmente garantito sia per quanto riguarda le forze politiche che non conseguono il premio, sia per quanto riguarda il rapporto tra elettori di una circoscrizione ed eletti di quella circoscrizione.
Forse mi sbaglio, ma mi sembra che il testo continui a prevedere la possibilità che seggi attribuiti a una circoscrizione in realtà vengano attribuiti a un'altra circoscrizione. Questa eventualità, di nuovo, si concilia e, se sì, in che modo con il rapporto che deve ragionevolmente esserci tra elettore ed eletto ?
Questo è il principale contributo che io chiederei ai nostri ospiti: aiutarci a mettere per iscritto delle prescrizioni che scongiurino eventualità non desiderabili, ovviamente. Questa è, in ultima analisi, la funzione di ogni prescrizione giuridica: porre dei rimedi nell'eventualità che non si determini una situazione come quella che noi vorremmo si determinasse.
PRESIDENTE. Vorrei rivolgere anche io qualche domanda ai nostri esperti. Innanzitutto – questa domanda la rivolgo essenzialmente al professor D'Alimonte, ma andrò in ordine sparso per argomenti e non per destinatari – vorrei sapere se siamo proprio sicuri che un riferimento un po’ eccessivo all'esperienza europea o di altri Paesi sia salvifico, soprattutto quando si fa riferimento a Paesi diversi, come Francia e Germania, per dare una regola equilibrata al nostro sistema elettorale.
Spesso, un po’ per temi o per microtemi, si dice di guardare quello che accade in Francia o in Germania. Io ho l'impressione, ma è una curiosità quasi nel senso letterale del termine, che molte volte questo possa essere un modo per giustificare talune scelte, assumendone la coerenza da dati che poi tanto coerenti tra di loro non sono. Questo è il primo punto. Questa è un po’ la caratteristica dell'uso del diritto comparato, una sorta di diritto salvifico per giustificare talune scelte.
Ho un'altra questione, rivolta sempre al professor D'Alimonte, che so essere particolarmente attento a questi temi. L'articolo 56 della Costituzione, al quarto comma, fa riferimento alla ripartizione dei seggi fra le circoscrizioni – mi riferisco alla Camera, ovviamente – che «si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica quale risulta dall'ultimo censimento generale della popolazione per 618 e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti».
Dico una cosa sbagliata se dico che questo è un sistema che può fare in modo che un seggio possa andare oltre questo criterio dell'articolo 56 ? Vorrei sapere se questo è vero o non è vero. Vorrei un chiarimento sul punto perché mi sembra che il rischio di una violazione dell'articolo 56 della Costituzione debba essere messo nel conto per esorcizzarlo, oppure per prendere atto che vi possa essere questa possibilità.
Della clausola di salvaguardia è già stato detto, ma aggiungerei un passaggio. Qual è, in concreto, il rischio – questo quesito è rivolto anche al professor Luciani, che ne ha parlato analiticamente – dell'entrata in vigore di una legge elettorale soltanto per la Camera, a riforma costituzionale soltanto per fatto temporale non conclusa ? Qual è la compatibilità costituzionale di un dato di questo genere e quali rischi concreti si correrebbero nell'ipotesi in cui il sistema elettorale entrasse in vigore prima che il Senato fosse riformato in sintonia con quanto noi abbiamo già avviato, sempre dal punto di vista costituzionale ?
Ancora, con riferimento al premio sine causa e al divieto di apparentamento al ballottaggio, vorrei sapere se c’è un rapporto fra questi due passaggi, ossia se il premio sine causa trova una sua ragione di ulteriore rischio di patologia nel fatto che al secondo turno non siano consentiti gli apparentamenti.
Su questo punto – faccio la domanda una volta sola – io sulle tre regole del professor D'Alimonte muovo alcune osservazioni. Pag. 13Innanzitutto, io sono legato anche affettivamente alla prima versione dell’Italicum. Lo confesso subito, senza infingimenti. Dire che sicuramente, per la regola di Cox e gli effetti psicologici, vi sarà una concentrazione fra due aree, una di centrosinistra e una di centrodestra, variegate a me sembra una previsione che può non verificarsi. Non mi sembra un dato scientificamente certificato e soprattutto non mi sembra un criterio per dire che una scelta sia giusta o meno.
Soprattutto mi lascia perplesso, dal punto di vista sempre del metodo, il richiamo alla volatilità del voto nel nostro Paese come a un criterio di fondamento di stabilità di questo sistema. Dire che il voto è volatile può mai essere un modo per rappresentare la stabilità del sistema ? A me sembra proprio il contrario. È proprio la volatilità del voto che dovrebbe indurre a un criterio più certificato, o comunque – vado ancora oltre – prendere atto che non c’è un voto stabilizzato e che destra e sinistra si rincorrono non mi sembra un criterio attuale. Può essere una valutazione da attimo fuggente, in qualche modo, ma non capace, a mio avviso, di offrire un punto di riferimento.
Quanto, invece, al tema del ballottaggio e della frequenza al voto, mentre mi sembra di capire da qualche intervento che le richieste di quorum andrebbero attentamente vagliate, perché anche oggi non c’è alcun quorum, come non c’è mai stato, non mi sembra pacifico dire che, quando vi è la sensibilità di una posta rilevante, la gente vada a votare.
Io credo che l'esperienza di questo Paese insegni esattamente il contrario, ossia che non c’è un rapporto fra posta e affluenza, perché molte volte per poste rilevanti vi sono delle presenze elettorali certamente non incoraggianti. Anche questa è una valutazione un po’ random. Certo, può accadere che si sviluppi una maggiore sensibilità, ma non mi sembra neanche questo un criterio.
Un'ultima osservazione riguarda il richiamo alla sentenza della Corte costituzionale che il professor Luciani ha fatto nel suo incipit. Io formulo un'ipotesi pratica. Ammettiamo che nel primo turno vi sia un partito che raccoglie il 15 per cento dei consensi e un secondo partito che prende il 14 per cento. Al ballottaggio, quindi, vanno un partito che ha il 15 per cento e un partito che ha il 14 per cento. Il badge di accesso al ballottaggio per ottenere un premio di maggioranza così elevato è in linea con i princìpi della Corte per cui un partito che guadagna il 15 per cento al primo turno può ricevere 340 seggi nel ballottaggio ?
Non parlo del ballottaggio, ma dell'accesso al ballottaggio, per poter ricevere 340 seggi con un consenso del 15 per cento. Io credo che da questo punto di vista la sentenza della Corte – posso averla letta male – nel cosiddetto premio sine causa, per rubare le parole del professor Luciani, meriti una qualche riflessione. Questo, ripeto, per essere noi tranquilli che questo modulo rispetti puntualmente il dettato della Consulta. Vi chiedo scusa se mi sono intrattenuto, ma capite bene che il tema non è di scarsa rilevanza.
Do la parola ai nostri esperti per la replica. Inizierei dal professor D'Alimonte, per passare poi al professor Luciani, in ordine inverso rispetto agli interventi.
ROBERTO D'ALIMONTE, Professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università Luiss Guido Carli di Roma. Le domande che sono state fatte sono talmente tante che dubito che riusciremo a venirne a capo. Comunque, parto dall'ultima.
Presidente Sisto, ragionando per ipotesi estreme, io posso fare l'ipotesi che in Gran Bretagna alle prossime elezioni un partito con il 25 per cento dei voti conquisti il 100 per cento dei seggi. Se ragioniamo per ipotesi estreme, tutto è possibile. Invece da noi, guarda caso, questa ipotesi non si può verificare, perché comunque un partito, come ho già detto all'inizio, conquisterà il 55 e l'altro il 45. Anche ragionando per ipotesi estreme, questo sistema elettorale è migliore di quello britannico, di quello francese, di quello australiano e via discorrendo.Pag. 14
Mi dispiace di essere stato frainteso, Presidente Sisto. Quando io parlavo di volatilità, non ne parlavo in funzione di stabilità. Io parlavo del fatto che, in una situazione di estrema volatilità, tutto è possibile. Pertanto, il fatto che mi si venga a raccontare che il centrodestra, grazie alla soglia del 3 per cento, rimarrà nella posizione precaria in cui è attualmente, è una favola, proprio perché siamo in una situazione di estrema volatilità, in cui l'emergere di un leader e di un progetto può cambiare drasticamente le cose. Questo è il senso di quello che io ho detto, non quello che lei mi ha attribuito.
Dico questo per contestare l'idea che il 3 per cento sia la condanna.
PRESIDENTE. Erano domande senza appartenenza. Voglio essere chiaro. Erano sul meccanismo.
ROBERTO D'ALIMONTE, Professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università Luiss Guido Carli di Roma. È ridicolo pensare che la clausola del 3 per cento – lo dico in maniera apodittica – condanni il centrodestra a una minorità e a uno squilibrio competitivo.
PRESIDENTE. Rivolgo solo una preghiera sui tempi. Pregherei i due auditi di restringere i tempi per poter sentire gli altri.
ROBERTO D'ALIMONTE, Professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università Luiss Guido Carli di Roma. In tal caso, devo saltare alcune risposte.
Lo slittamento tra le circoscrizioni non è possibile. Non si fidi di me, si rivolga agli Uffici studi della Camera e del Senato. Quello che, invece, sarà possibile è lo slittamento tra collegi all'interno della stessa circoscrizione. Su questa materia abbiamo sgombrato il terreno.
Sulla questione della partecipazione elettorale e del ballottaggio mi occorrerebbero un'ora e qualche slide, ma sono venuto senza slide e non ho un'ora a disposizione.
La partecipazione elettorale è in calo in tutto il mondo per fattori strutturali e contingenti. Da noi si vota ancora tantissimo. Io mi sorprendo di quanto si voti da noi. Mi stupisco non di quanto poco, ma di quanto si voti da noi.
All'onorevole D'Attorre e a tutti coloro che hanno parlato di un ballottaggio in cui andrà a votare pochissima gente dico che questa è una scommessa. Onorevole, lei ha la sua opinione e io ho la mia. Io ho studiato per una vita i dati elettorali. Lei ha fatto altro nella sua, credo. Comunque, io dico che è una scommessa. Può avere ragione lei e posso avere ragione io.
A lei, Presidente Sisto, dico che io credo al fatto che gli italiani non siano stupidi e che, quando la posta in gioco è elevata, andranno a votare.
Dico all'onorevole D'Attorre che, in realtà, questo sistema elettorale introduce l'elezione diretta del Capo del Governo, cosa che lei un giorno critica e il giorno dopo nega.
PRESIDENTE. Professore, se le risposte fossero più asettiche e non personalizzate, gliene sarei grato.
ROBERTO D'ALIMONTE, Professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università Luiss Guido Carli di Roma. Io non sono asettico, lo confesso.
PRESIDENTE. No, ma dire a un componente della Commissione «cosa che lei un giorno dice e l'altro critica» non è nelle abitudini di questa Commissione.
ALFREDO D'ATTORRE. Presidente, la ringrazio, ma io vorrei ringraziare il professor D'Alimonte per l'importante conferma che ci ha dato.
PRESIDENTE. Scusate, le audizioni non sono un dibattito né politico, né personale. Professore, se lei potesse brevemente concludere il suo intervento, gliene sarei grato.
ROBERTO D'ALIMONTE, Professore ordinario di Sistema politico italiano presso l'Università LUISS Guido Carli di Roma. Io finisco qui, allora.
Pag. 15PRESIDENTE. Grazie. Do la parola al professor Luciani.
MASSIMO LUCIANI, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza». Grazie, presidente. Sono state rivolte moltissime domande, ma cercherò di rispettare il suo invito alla sintesi.
Io prenderei le mosse dall'osservazione dell'onorevole Fiano sul fatto che questo progetto di legge elettorale dovrebbe essere poi sottoposto a un controllo preventivo di costituzionalità. In realtà, questo è un circolo non necessariamente virtuoso, perché questo controllo preventivo di costituzionalità è previsto dal disegno di legge costituzionale. Se il disegno di legge costituzionale non venisse approvato, ci troveremmo nella condizione di partenza.
Mi permetto di dire poi che io ho preso le mosse dalla sentenza della Corte n. 1 del 2014 non perché rappresenti le tavole della legge, ovviamente. In una recente sentenza della Corte, la n. 49 del 2015, si afferma che il giudice italiano sarebbe vincolato all'interpretazione della Convenzione della Corte europea dei diritti dell'uomo, quando questa interpretazione diventa definitiva.
Io non condivido questo approccio, per la ragione semplicissima che non esistono indirizzi giurisprudenziali definitivi. È noto che la giurisprudenza cambia. Tuttavia, allo stato attuale, noi costituzionalisti, e anche il Parlamento della Repubblica, non possiamo fare altro che contare sulla sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014. Questo è il punto di riferimento. Non sappiamo se questa giurisprudenza cambierà e se diventerà più restrittiva o meno restrittiva, ma allo stato attuale dobbiamo partire da quella.
Sul sindacato preventivo di costituzionalità io non ho alcuna certezza, per la ragione semplicissima che, allo stato attuale del diritto positivo, non è previsto. In ogni caso, immagino che per le Camere del Parlamento non sarebbe certo positivo sentirsi dichiarare l'illegittimità costituzionale di una legge, ancorché non ancora promulgata. Immagino che il tentativo che la Commissione affari costituzionali sta qui perseguendo sia quello di strutturare un testo che non si presti al dubbio di costituzionalità.
Detto questo, veniamo alla questione del raccordo con il disegno di legge costituzionale e alla questione della clausola di salvaguardia. Sono state poste varie domande. L'onorevole D'Attorre forse non aveva sentito il mio intervento. Io mi ero già soffermato su questo punto.
L'onorevole Mazziotti di Celso chiedeva che cosa ne pensi dell'ipotesi di un intervento con un decreto-legge. In merito io ho delle grandi perplessità, per due ragioni. La prima è che non sembra proprio il dominio tipico del decreto-legge riscrivere completamente la legge elettorale. Invito a riflettere sul fatto che nel disegno di legge costituzionale è previsto che i decreti-legge siano ammessi in materia elettorale soltanto per aspetti particolari, se non sbaglio per lo svolgimento delle elezioni e per modesti profili organizzativi. Questo mi sembra molto saggio. Inizialmente si era previsto addirittura di cancellare il decreto-legge, il che era imprudente. Confinandolo in questo spazio, ci siamo.
Perché poi il decreto-legge non può funzionare ? Perché il decreto-legge, come diceva prima l'onorevole Mazziotti di Celso, dovrebbe sostanzialmente estendere lo stesso sistema della legge sulla Camera al Senato, nell'ipotesi in cui il Senato non fosse riformato. Questo non basterebbe, però, per la ragione semplicissima che in un sistema bicamerale con due premi di maggioranza distinti è ben possibile che alla Camera il premio di maggioranza sia conquistato da una forza politica e al Senato da un'altra forza politica. Pertanto, il premio di maggioranza resterebbe sine causa.
Per questo motivo chi la pensa come me e, quindi, ritiene che sia opportuno che al Senato sia sottratto il rapporto di fiducia e che il nostro diventi un bicameralismo non più perfetto, trova la quadratura del circolo nell'inserimento in questa proposta di legge elettorale di una clausola Pag. 16di salvaguardia. Con questo, presidente, penso di aver risposto anche al suo dubbio.
L'altra questione è la questione del secondo turno, che non è, secondo me, un secondo turno. Questo turno di ballottaggio e questa ulteriore votazione sono questioni poste dall'onorevole Migliore. Che cosa penso dell'apparentamento e del premio alla lista oppure alla coalizione ? In realtà, in tempi non sospetti, discutendo nel Comitato di esperti che era stato costituito dal Governo Letta, io mi ero pronunciato a favore del premio di maggioranza a turno unico, per ragioni di carattere politico-istituzionale che, però, non voglio ripetere in questa sede, presidente, per la ragione semplicissima che qui la mia legittimazione è relativa soltanto ai profili di legittimità costituzionale. Gli aspetti di rendimento del sistema non li posso toccare. Pertanto, mi permetto di non sentirmi legittimato a rispondere al quesito dell'onorevole Migliore in questa fase.
Su capilista e preferenze l'onorevole Bianchi chiede come si può fare. Anche in questo caso le soluzioni sono le più varie. Accennavo precedentemente alla taglia dei collegi elettorali. Attualmente, se non ricordo male, è stato previsto che ci siano un minimo di 3 e un massimo di 9 seggi. È chiaro che, ampliando il collegio, questo problema dell'impossibilità per gli elettori dei partiti minori di votare degli eletti al di là dei capilista tende a essere ridotta.
Mi rendo conto, però, e lo dicevo prima – forse il ministro Boschi non era ancora presente – che, se si allarga la taglia del collegio elettorale, si ottengono dei risultati politici diversi probabilmente da quelli che sono stati immaginati.
Infine, vengo alle ultime due questioni. Sulla questione delicata della scarsa partecipazione si è intrattenuta l'onorevole Mucci, chiedendo che cosa si propone. Ha posto – mi permetto di dire – correttamente la questione l'onorevole Giorgis: nei termini della legittimità costituzionale, e solo in questi termini.
Non se ne abbia a male il professor D'Alimonte, ma a noi costituzionalisti si applica un antico detto, probabilmente tardo-medievale più che luterano: Juristen böse Christen, ossia i giuristi sono cattivi cristiani. Noi pensiamo sempre piuttosto male e abbiamo la tendenza a pensare che gli scienziati politici, che peraltro studiamo, possano sbagliare e che, quindi, le loro previsioni, che possono realizzarsi, possono in realtà anche non realizzarsi. Il tentativo del giurista è quello di prevedere degli strumenti per far sì che, nell'ipotesi di errore della previsione dello scienziato politico, non si determinino conseguenze giuridicamente imbarazzanti.
Questo è proprio un problema di prospettiva. Che cosa accade ? Io, francamente, più modestamente del professor D'Alimonte, non so che cosa potrà accadere. Sono talmente tanti gli elementi di incertezza in questa fase politico-istituzionale che io non so quale potrà essere la partecipazione a quest'ulteriore turno elettorale. Effettivamente ritengo che sarebbe opportuno prevedere un qualche aggiustamento che calibri l'accesso al premio al turnout elettorale.
Ripeto, nell'articolo 75 del testo attuale della riforma, si prevede un sistema che era stato suggerito a suo tempo da Augusto Barbera, che io condivido, che mi sembra convincente e che si potrebbe estendere.
Con riguardo all'ultima questione, che non avevo sollevato io, invece, la legge prevede alcuni strumenti in caso di parità di voti. Attenzione, non è prevista l'ipotesi della parità di voti quando si parla del ballottaggio. Questo è un problema tecnicamente molto delicato. Se due liste dovessero, per avventura, ottenere esattamente il medesimo numero di voti, non è previsto da questo punto di vista alcunché.
PRESIDENTE. Ringrazio i professori D'Alimonte e Luciani per l'accurato adempimento a quanto era stato loro chiesto.
Do la parola alla professoressa Nicotra. Seguiranno i professori Zaccaria, Barbera, Marini, Storace, Tondi Della Mura, Trucco e Villone. Faremo il dibattito quando tutti Pag. 17gli interventi saranno esauriti, per consentire a tutti gli auditi di poter ricevere domande dai deputati.
IDA NICOTRA, Professoressa ordinaria di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Catania. Grazie, presidente. Io mi atterrò a quanto si diceva prima, ossia cercherò di scrutinare la proposta di legge alla luce della giurisprudenza costituzionale e segnatamente della pronuncia n. 1 del 2014, non perché sia un testo sacro, ma perché, come è stato già ricordato, è un punto di riferimento fondamentale soprattutto per il Parlamento.
Vorrei subito accennare a una delle questioni che sono state poste, ossia all'inserimento nel progetto di revisione costituzionale della possibilità che la Corte si pronunci in via preventiva sulla legge elettorale.
Io sono dell'idea che questa norma sia abbastanza inopportuna. Ritengo non tanto che, se la Corte si dovesse pronunciare nel senso di illegittimità, metterebbe in una condizione difficile il Parlamento, quando la Corte dovrebbe rimanere al di fuori del gioco politico. Si dovrebbe quindi evitare che la stessa Corte possa essere trascinata, quando ancora si discute di una legge, dai vari orientamenti, dalle varie forze politiche a prendere una decisione sulla legge elettorale. Ritengo, quindi, che questa norma sia assolutamente inopportuna.
La legge elettorale, come ho più volte detto – sono profondamente convinta di questo – è una legge che deve trovare la massima condivisione possibile fra gli esponenti dei partiti politici, perché è una vera e propria legge di struttura dell'ordinamento. Pertanto, l'aspetto della condivisione è fondamentale perché essa sia una legge che duri nel tempo e perché coniughi due aspetti fondamentali, anche questi sottolineati dalla giurisprudenza della Corte, cioè la governabilità e la rappresentanza.
Andiamo alle questioni pratiche che pone questo testo. La prima riguarda il meccanismo premiale. Stando a quanto ha detto la Corte, il meccanismo premiale di per sé non è uno strumento che si pone in violazione di norme costituzionali. La Corte ha detto una cosa molto diversa, ossia che un meccanismo premiale che sia assolutamente sganciato da una soglia minima di voti raccolti, in quel caso, fa venire meno il principio di uguaglianza del voto e, quindi, comporta una distorsione tanto più ingiustificata, quanto più forte.
Nel momento in cui le Camere fissano un numero, ossia una percentuale, di voti che i partiti devono ottenere per accedere al premio, io ritengo che questo aspetto che la Corte sottolinea dovrebbe essere superato, anche perché il 40 per cento, che è stato rimodulato, dopo che nel testo approvato dalla Camera la soglia era del 37 per cento, mi sembra un numero, se così si può dire, congruo.
Un'altra questione riguarda la soglia per accedere in Parlamento. Su questo punto io ho un'idea differente da quella di molti colleghi. Anche la soglia di accesso non può essere valutata isolatamente dal quadro complessivo della legge di riferimento, perché la legge elettorale è un unicum e non si può spezzettare, per valutarne le norme singolarmente.
La soglia del 3 per cento, che è la soglia individuata attualmente, mi sembra una soglia alta rispetto al meccanismo premiale che consente un numero di seggi necessari a chi poi deve governare e portare avanti l'azione politica.
Del resto, l'articolo 49 della Costituzione dice chiaramente che tutti i partiti devono concorrere alla determinazione della politica nazionale. Pertanto, lasciare partiti politici e gruppi della società fuori dal Parlamento e non dare loro questo diritto di tribuna, quando comunque la governabilità è garantita, mi sembrerebbe un fatto negativo non dal punto di vista soltanto dell'opportunità politica, che lascio alle valutazioni ovviamente dei parlamentari, ma anche dal punto di vista della prospettiva della Corte. La soglia, in questo caso del 3 per cento, sommata al meccanismo premiale al partito che vince costituiscono insieme un quadro distorsivo della rappresentanza, che potrebbe essere valutato non positivamente dalla Corte Pag. 18costituzionale. Più il meccanismo premia le forze di governo e, quindi, garantisce la governabilità, più è necessario che la rappresentanza sia altrettanto garantita.
Questo aspetto va legato a un fatto che non è di carattere secondario nell'analisi che noi dobbiamo fare della legge dal punto di vista delle norme costituzionali, ed è il fatto che la legge prevede che il premio venga attribuito alla lista.
Premetto che dal mio punto di vista il premio attribuito alla lista è un fatto positivo nell'ordinamento giuridico italiano. È positivo perché il passato ci ha consegnato con il premio alla coalizione una situazione di ingovernabilità endemica del nostro Paese.
Si tratta di un'ingovernabilità endemica che a volte è divenuta incapacità del Governo anche di poter andare avanti e proseguire la sua linea politica con uno scioglimento anticipato delle Camere. Altre volte, anche quando la coalizione non è venuta meno, di fatto all'interno del Governo si sono verificate situazioni di ricatto dei piccoli partiti nei confronti di una linea politica che i Governi non hanno potuto portare a termine. Il premio attribuito alla lista da questo punto di vista è, quindi, un fatto positivo.
Tornando al problema dell'accesso in Parlamento, se il premio viene attribuito alla lista, cosa significa ciò in sostanza, banalizzando ? Significa che i partiti più grandi non avranno bisogno dei partiti più piccoli e che, quindi, per evitare che il partito più grande cannibalizzi quello più piccolo, bisogna evitare di mettere la soglia. Solo così noi daremo la possibilità a tutti, o a quasi tutti, di entrare in Parlamento.
È probabile, ma qui evidentemente siamo a fare delle previsioni e non abbiamo la prova del contrario, che anche con l'attribuzione del premio alla lista si possano verificare accordi raccogliticci che possono poi mettere a repentaglio il Governo in un momento successivo, ma le probabilità che questo accada sono più basse. Parliamo di probabilità. Nessuno di noi ha la sfera di cristallo e può sapere cosa succede domani. L'implementazione di una nuova legge elettorale si sperimenta nel tempo. Nessuno, secondo me, ha la possibilità di fare previsioni assolute. Io vi consegno, quindi, le mie impressioni circa le probabilità che questa legge abbia determinati effetti e ricadute nel sistema.
Passo alla questione del ballottaggio. Molti di voi – io mi scuso, ma non ero presente dall'inizio della seduta – hanno paventato il rischio che il sistema a doppio turno possa essere un sistema che, in realtà, alimenta l'astensionismo. Questo l'ho detto e l'ho scritto anch'io in passato. Perché alimenta l'astensionismo ? Perché, nel momento in cui escono il partito o il candidato per cui si ritiene di dover votare, rimangono in campo i leader meno osteggiabili e questo potrebbe scoraggiare dall'andare al voto.
Anche questa è una questione di probabilità. Non possiamo essere sicuri che al ballottaggio si verifichi quell'astensionismo che certamente è un male per una democrazia rappresentativa. Io azzardo una previsione: nella prima applicazione della legge, ossia nelle prossime elezioni, è probabile che l'effetto novità di questo sistema possa garantire un'alta partecipazione alle urne, ma chiaramente non abbiamo la possibilità di dire come andrà a finire.
Sul divieto degli apparentamenti io, francamente, sono d'accordo. Anche qui si fanno coalizioni raccogliticce per vincere le elezioni e poi si va al «liberi tutti» che non consente la governabilità. In altre occasioni io ho detto che la legge elettorale non serve per vincere, per essere certi che ci sia un vincitore la sera delle elezioni, ma per poter governare e portare avanti una linea politica. È questo l'obiettivo che la legge elettorale deve avere, insieme, ripeto, alla più ampia rappresentanza delle forze politiche.
Passo alla questione della selezione dei parlamentari. Anche su questo punto viene sempre citata la Corte costituzionale e la sentenza n. 1 del 2014. Ebbene, la Corte costituzionale non ha bocciato le liste bloccate. Non l'ha detto da nessuna parte. Non possiamo far dire alla Corte una cosa che la Corte non ha detto.Pag. 19
La Corte ha fatto un discorso molto più circostanziato e ha affermato che le liste lunghe con circoscrizioni ampie, che erano quelle contenute nella legge del 2005, fossero in realtà delle liste e, quindi, un sistema elettorale che annullava la capacità di scelta dell'elettore, perché l'elettore non era messo nelle condizioni di conoscere effettivamente i candidati. Questo ha detto la Corte.
Nella motivazione la Corte dice che ci sono sistemi diversi di tipo comparato. Non per voler venire meno al monito del Presidente Sisto, che giustamente aveva i suoi dubbi sulla comparazione con esempi stranieri, ma, in questo caso, a parer mio, è molto opportuno, invece, citare quel riferimento. La Corte fa un accenno importante alla legge spagnola, che prevede la lista corta bloccata, come è noto, e anche al sistema tedesco, che prevede un mix di lista bloccata e di sistema con le preferenze.
Pertanto, l'illegittimità riguarda quel modello e non tutte le liste bloccate, e quindi non le liste bloccate corte. Oltretutto, con la modifica apportata al Senato, vi è una lista bloccata solo per i capilista.
Inoltre, c’è una norma per me molto significativa, che accolgo con favore, che è il doppio voto con la preferenza di genere. È stato accolto il modello della legge della Regione Campania, ossia la possibilità di votare due candidati solo se il secondo è di sesso diverso. Il secondo voto può essere attribuito a un candidato di sesso diverso. Io ritengo non ci siano vizi della legge elettorale dal punto di vista della tenuta costituzionale.
Sul problema dei capilista ho sentito da più parti muovere l'obiezione per cui nei partiti piccoli il corpo elettorale non sarebbe nelle condizioni di poter esprimere delle preferenze, o meglio di vedere eletti i candidati con le preferenze, perché sarebbero eletti solo i capilista.
Mi permetto di dire che questo non è vero e che non è vero soprattutto per i partiti piccoli. Essendo presente nella legge l'opzione delle pluricandidature, in un partito piccolo è più probabile che i cosiddetti big faranno di tutto per entrare in Parlamento. Se 4 big – faccio per dire – di un partito piccolo presentano 10 candidature e, quindi, in tutto 40, essendo 4, 4 saranno i capilista e gli altri 36 saranno eletti con le preferenze. Quindi, è esattamente il contrario di quello che si dice, laddove probabilmente nei partiti grandi i capilista potrebbero avere una parte cospicua dei seggi in Parlamento a danno del sistema con le preferenze.
Chiudo dicendo forse una cosa ovvia: non esiste un sistema elettorale perfetto. Tutto è perfettibile. Questo è un sistema elettorale che ha più luci che ombre. Chiaramente tutto si può migliorare, però ritengo che, dal punto di vista della sua tenuta costituzionale, non presenti quanto meno evidenti vizi di costituzionalità.
ROBERTO ZACCARIA, già Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Firenze. Io parlerò da costituzionalista. Non sono un grandissimo esperto di sistemi elettorali, ma sono in grado di valutare anche questi sistemi dal punto di vista costituzionale. Farò osservazioni che sono tutte legate a questa terza lettura, quindi compatibili con lo stato del procedimento in cui siamo. Siccome ho poco tempo, non posso fare soltanto le lodi, ma mi limiterò alle critiche, così almeno il mio intervento vi è più utile.
Come costituzionalista vorrei fare una premessa. Abbiamo tutti citato la sentenza n. 1 del 2014; io vorrei dire che la mia chiave di lettura è che, in quella sentenza, tra il principio di rappresentanza e il principio di governabilità, che vengono enunciati, non c’è da fare un bilanciamento paritario. Molti costituzionalisti sostengono che in una legge elettorale prima viene, come regola, il principio della rappresentanza e solo come eccezione quello della governabilità, altrimenti si arriverebbe a risultati paradossali.
Parlerò poi dell'articolo 3 della Costituzione, nonché degli articoli 48 e 51.
In pratica, farò una premessa, quattro osservazioni puntuali, poi lascerò un emendamento che risolve due delle quattro osservazioni. La premessa è la costruzione Pag. 20del premio di maggioranza, che abbiamo esplorato. Certamente la soglia del 40 per cento va incontro in parte a quello che ha detto la Corte costituzionale, ma un secondo turno senza nessuna soglia, senza nessun limite, senza nessuna regola rischia di confliggere con quel principio. È stato già detto molto su questo.
Il professor Luciani ha parlato della possibilità che al secondo turno si chieda un quorum di partecipazione. Io credo che sarebbe giusto, al secondo turno, mettere un quorum che riguardi il raggiungimento di una certa percentuale di voti, quindi occupandoci non soltanto di chi partecipa al voto, ma dei voti che sono stati espressi.
Certo, al di sotto di questa soglia io credo che si dovrebbero distribuire i seggi con criterio proporzionale. Quindi, partendo dal 40 per cento al primo turno, al secondo turno c’è una soglia «x» – questo rispetta l'indicazione della Corte costituzionale – e se non si raggiunge si distribuiscono i seggi con criterio proporzionale. Mi ricollegherò a questo quando formulerò la quarta osservazione.
Devo dire che questa osservazione in merito alla seconda soglia la fanno molti costituzionalisti, perché ritengono che il momento di osservazione più significativo a questo punto diventi proprio il secondo passaggio, quello che alcuni chiamano «ballottaggio» o «secondo turno».
Il concetto molto importante è anche legare questa soluzione elettorale con la riforma costituzionale. Io non ho tempo per farlo, ma è elementare tra i costituzionalisti che queste connessioni vi siano, anche se le fonti sono diverse come natura. Parlando solo della forma di governo, è sicuro che la forma di governo che viene fuori dalla riforma costituzionale dà un peso all'esecutivo in Parlamento molto maggiore, con una serie di strumenti come la corsia preferenziale, la clausola di supremazia, il mantenimento dei decreti-legge; quindi il Governo è più forte in Parlamento, ma il problema è che l'accesso a questa forza con una legge elettorale di un certo tipo diventa più facile, quindi è più facile arrivare a quel traguardo.
Se mettiamo insieme che in alcuni partiti alcuni leader hanno una forte legittimazione e anche la riforma dei media – che non è fuori luogo citare, dato che dà una forte concentrazione al potere esecutivo nella scelta di chi amministra sostanzialmente il media pubblico – da tutto questo l'impressione, come ha detto il professor D'Alimonte, che di fatto si vada a una sorta di presidenzialismo, di elezione diretta, dove però naturalmente i contrappesi non ci sono, è forte.
Le quattro osservazioni che intendo fare sono abbastanza semplici e le faccio perché non le ho sentite fare in precedenza.
Credo che si dovrebbe aumentare il numero dei collegi per renderli più piccoli. L'attuale legge ne prevede cento, che equivalgono a una popolazione tra 400 mila e 800 mila elettori. Ricordo che la Corte ha esplicitamente parlato di «circoscrizioni elettorali di dimensioni territorialmente ridotte, nelle quali il numero dei candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire l'effettiva conoscibilità degli stessi e con essa l'effettività della scelta e la libertà del voto (al pari di quanto accade nel caso dei collegi uninominali)».
Se questo è, cento è un numero che nella nostra tradizione non c’è. È in riferimento alle province, ma mi pare che queste non godano di buona salute, quindi, tutto sommato, prendiamo come parametro qualcosa che vogliamo espungere dall'ordinamento.
Credo dunque che i collegi debbano essere aumentati di numero, per fare in modo che la Corte costituzionale ci si ritrovi, altrimenti in questi collegi un po’ spuri si ritrova poco.
Seconda osservazione: ridurre il numero dei nominati almeno al di sotto del 50 per cento dell'Assemblea e individuare una diversa modalità di scelta. Attualmente l’Italicum adotta la soluzione secondo la quale i capilista non sono sottoponibili a preferenze, come avviene per tutti gli altri candidati.
Io ho letto previsioni di varia natura, però si parla che nella Camera ci potrebbero essere tra 55 e 60 per cento di Pag. 21nominati. Non mi voglio misurare su questo punto, però mi pare che molti lo dicano. Ebbene, se questo fosse, il sistema renderebbe il voto sostanzialmente indiretto, cosa che la Corte ha stigmatizzato. Andate a leggere la sentenza n. 203 del 1975 richiamata dalla Corte, in cui si sottolinea, con specifico riferimento ai capilista, che la piena libertà dell'elettore sarebbe garantita attraverso il voto di preferenza, un principio che sarebbe qui intaccato in presenza di un numero così rilevante di capilista bloccati.
Ma c’è un'ulteriore considerazione che non dovrebbe sfuggire. Qui c’è una sorta di alchimia tra la parte preelettorale e il voto: le liste che vengono affisse e che i cittadini leggono le mettono insieme i capilista e gli altri partecipanti alla lista; poi sulla scheda c’è un meccanismo diverso, perché il nome del capolista viene stampato sulla scheda e gli altri vengono messi eventualmente. Io penso che in questo modo noi facciamo un'operazione molto discutibile, perché praticamente l'identificazione della scheda avviene proprio con quelli che non si possono votare.
Ci sono candidati di serie A e di serie B, inevitabilmente, perché evidentemente per alcuni c’è la competizione e per altri no. C’è il rischio che ci sia un trasferimento di pacchetti di voti – questa è un'eventualità – da chi è già sicuro di essere eletto, che può in qualche modo anche determinare il suo delfino, il numero due o il numero tre, spostando i suoi voti sull'altro.
Penso che si debba ridurre il numero dei nominati e l'emendamento che io presenterò – ma non posso illustrare per ragioni di tempo – ha la finalità di ridurre mettendo una percentuale, quindi una soglia, un meccanismo tipo quello del Mattarellum, che dica che questi nominati non possono essere più del 20-30 per cento. Questo meccanismo porterebbe la soglia di nominati al di sotto della maggioranza nella Camera dei deputati.
Bisogna adottare un sistema – mi spiace quello che diceva la professoressa Nicotra – che vieti le pluricandidature o le riduca fortemente. Questa è una fortissima anomalia nel sistema elettorale, perché consegna a quelli che sono eletti la decisione di dove optare. Nell'emendamento che io vi suggerisco sostanzialmente ci sarebbe un meccanismo automatico, ammesso che non si possano ridurre le candidature, un meccanismo obiettivo in cui chi vince lo fa solo nei collegi dove il suo partito ha avuto un risultato migliore, quindi si toglie la discrezionalità. Ricordo scene terrificanti dei Parlamenti passati quando metà deputati erano in Aula e metà erano fuori ad aspettare che ci fossero le opzioni per poter entrare.
Questo meccanismo delle corsie separate di competizione elettorale è molto brutto, viola sostanzialmente il meccanismo dell'uguaglianza del voto. Ma le pluricandidature rischiano di violare anche il principio dell'articolo 51 della Costituzione, dell'accesso alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza. Se io, che partecipo alla competizione, rispetto a quello che non partecipa ed è già al traguardo, devo vedere deciso il mio destino da una scelta discrezionale di un altro, questo proprio non funziona.
La Corte non si è occupata di questo problema delle pluricandidature, ma guardate bene che, avendo affrontato adesso alcuni problemi, potrebbe affrontarne altri.
Ultima osservazione: consentire gli apparentamenti in sede di ballottaggio. Io invidio la certezza di alcuni che dicono che al secondo turno ci sarà una quantità di elettori che va a votare, quelli che dicono che il ballottaggio rende più pulita la lista; viene invocato il sistema francese, ma il sistema francese, che qui non è assolutamente realizzato, prevede questa fase.
Allora, qual è l'unica ragione per cui si può dire che si lascia la purezza della lista, ammesso che sia pura ? È quella di dire che dopo, avendo vinto il premio di maggioranza, essa non rischia di doversi ripartire il premio di maggioranza con altri soggetti che potrebbero condizionare l'esercizio del Governo. È quello che è successo nei Governi di coalizione, che non sono poi un'eresia.Pag. 22
Io dico che se noi consentiamo, in seconda battuta, di fare gli apparentamenti, abbiamo tanti vantaggi: alcuni sono quelli del sistema francese e il professor Luciani ha parlato delle liste di minoranze linguistiche, ma si può realmente pensare che ci siano delle affinità che nel secondo passaggio si possono rilevare. Credo che questo meccanismo incentivi anche il voto. Ecco, questo sì direi al professor D'Alimonte: se noi nel secondo turno portiamo un maggior numero di soggetti a partecipare alla gara è più facile che il secondo turno sia più partecipato.
Dico inoltre in maniera conclusiva che se si accetta come ho detto in premessa – fatto per me fondamentale per non incorrere nell'incostituzionalità – di mettere una seconda soglia al ballottaggio e si consentono le alleanze, è vero che da un lato il partito più forte pensa al rischio di dover dividere il premio con altri; però se ci fosse una soglia del 45 per cento o similare da raggiungere, il partito più forte dovrebbe riconoscere che da un lato c’è il rischio di dividere i suoi voti con altri partner, ma dall'altro avrebbe il vantaggio di poter arrivare a quel 45 per cento che gli consente di non ricorrere al sistema proporzionale di ripartizione che io ho ipotizzato.
Su questo insisto fortemente: guardate che se questo sistema ci fosse probabilmente la Corte giudicherebbe meno criticamente la mancanza del secondo tetto; ma in mancanza di apparentamento e di secondo tetto, io credo che il rischio di incostituzionalità sia molto forte.
AUGUSTO BARBERA, Professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università di Bologna. Signor Presidente, io la ringrazio e ringrazio la Commissione per l'onore che mi viene fatto di tornare in quest'Aula. In realtà, per cinque legislature sono stato in Commissione affari costituzionali, ma era da tutt'altra parte. Credo, tuttavia, che il clima e lo spirito siano i medesimi.
Apro una brevissima parentesi per ricordare – mi rivolgo soprattutto ai miei giovani colleghi costituzionalisti presenti – che la prima volta nella legislatura 1976-1979 si diede vita nell'ambito della Commissione a un Comitato per il seguito delle sentenze della Corte costituzionale.
Tale Comitato non era volto a cercare immediatamente il modo per modificare la legislazione per venire incontro alle decisioni della Corte ma, al contrario, a sottoporre a dibattito pubblico le decisioni della Corte. Era un altro periodo: era il periodo in cui la Corte costituzionale giustificava la diversa disciplina dell'adulterio femminile e quello maschile; era il periodo in cui la Corte riteneva contraria alla Costituzione la propaganda anticoncezionale; era il periodo in cui la Corte bocciava tutte le tendenze che si manifestavano all'interno di alcuni partiti per una seria legge urbanistica (la famosa sentenza Sandulli, che è stata la rovina del territorio italiano, con riferimento ai palazzoni che vediamo in giro).
Questo era lo spirito con cui il Parlamento allora guardava a un importantissimo organo di garanzia qual è la Corte costituzionale ! Sentir dire qual è il seguito che dobbiamo dare a questa sentenza, senza l'orgoglio di una classe politica che ritiene di dover guardare direttamente alla Costituzione, sapendo che ci può essere anche la Corte costituzionale che può dire che non va bene la strada che si è scelta: è un orgoglio che, secondo me, andrebbe ripreso.
Senza infingimenti, io sono perché questo progetto venga approvato così com’è, anche se non mi nascondo che ci sono aspetti criticabili. Tutti i sistemi elettorali, rimessi in discussione, presentano aspetti criticabili.
Io sono rimasto fermo all'idea del collegio uninominale, del doppio turno e via dicendo, ma è come la squadra di calcio della Nazionale: se ognuno di noi comincia a tirar fuori il sistema che ha in testa non si finisce più, e non si finisce più con il discredito possibile delle istituzioni e del nostro Paese. Se questa legge non venisse approvata in tempi rapidi, il discredito delle istituzioni potrebbe essere alto, e non soltanto in questo Paese.Pag. 23
Lo ripeto, è una legge che presenta aspetti criticabili, alcuni dei quali non mi convincono.
Per esempio, il premio alla lista più votata e non alla coalizione. Io sono stato tra i protagonisti, insieme a Mario Segni, della riforma maggioritaria e ho avuto due complessi di colpa. Uno derivava dal fatto che mi si diceva che da quando ci sono i sistemi maggioritari si dà vita a coalizioni eterogenee, che possono vincere ma che non sono poi in grado di governare, e questo è stato un leit motiv della critica al maggioritario. Ebbene, la lista più votata, che può anche essere una lista di coalizione, consente di evitare questa eterogeneità delle alleanze.
Non possiamo dimenticare, tra l'altro, che c’è stato un secondo meno fortunato referendum, il referendum Guzzetta, che ottenne l'87 per cento dei voti ma non raggiunse il quorum, firmato da un larghissimo schieramento. Ricordo che l'allora segretario dei DS Veltroni lo appoggiò e raccogliemmo le firme; Berlusconi disse che lo avrebbe appoggiato, ma la Lega non lo avrebbe consentito. Insomma, ci fu un larghissimo schieramento perché venisse dato il premio alla lista più votata.
La Corte costituzionale – lo dico a quanti invocano la Corte costituzionale a ogni piè sospinto – in quell'occasione disse che quel metodo era legittimo. La Corte dice, in quella decisione di ammissibilità, che non esiste (lo sottolineo con particolare forza) l'uguaglianza del voto in uscita, ma l'uguaglianza del voto è in entrata. Non so perché adesso è venuta fuori questa affermazione che non è neanche contenuta nella sentenza n. 1 del 2014.
Il referendum Guzzetta non raggiunse il quorum. Faccio un'obiezione a me stesso: nelle elezioni comunali è prevista la possibilità di cambiare le coalizioni tra primo e secondo turno. Sì, ma nelle elezioni comunali c’è l'elezione diretta del Sindaco, il quale Sindaco garantisce tendenzialmente l'omogeneità della coalizione e, con il principio del simul stabunt simul cadent, può contenere quei pericoli di eterogeneità delle coalizioni che vengono indicati.
Inoltre, quando ci fu il referendum Guzzetta un altro complesso di colpa mi sfiorò appena. Si disse che quel sistema sarebbe stato a favore del PdL, perché il PdL era il partito più forte, invece il PD era alle primissime armi, quindi era un regalo che si faceva al PdL (detto, tra l'altro, da un commentatore autorevole, che non cito, del Corriere della Sera, che oggi dice il contrario). In realtà, non si tratta di un regalo fatto a nessuno se si guarda con occhio non basato sul contingente.
Secondo punto. Si dice che in questo modo questa legge incide anche sulla forma di governo e si ripete una frase – mi sia consentito dire – ormai un po’ logora, cioè che si tratta di un presidenzialismo di fatto senza i contrappesi del presidenzialismo.
Attenzione: che il sistema a doppio turno, ma non soltanto a doppio turno, porti a una legittimazione politica del leader della coalizione è implicito in tutti i sistemi a doppio turno. Tutto questo è anche positivo. Non è una personalizzazione, tenuto conto che ormai la personalizzazione della leadership è una tendenza di tutti i regimi democratici.
Presidenzialismo significa una cosa ben precisa: quando si danno poteri di governo a un Presidente della Repubblica. Questo è il presidenzialismo. Tant’è che all'inizio del movimento referendario ci fu il neoparlamentarismo, la legittimazione politica del Primo Ministro come alternativa al presidenzialismo allora portato avanti dal Partito Socialista, da Craxi e dal Presidente Cossiga. Quindi non è presidenzialismo.
Si parla dei contrappesi, ma bisogna fare attenzione. Nel sistema inglese, ad esempio, patria del regime parlamentare, quali sono i contrappesi ? C’è una Camera praticamente unica, dato che la Camera dei Lords ha solo una funzione di moderazione, c’è un sistema maggioritario che talvolta dà effetti appunto maggioritari e che consente di conoscere subito chi è il leader e la formazione di governo che il leader porterà avanti. Ma quali sono i contrappesi ?Pag. 24
L'Inghilterra è un Paese dove il Primo Ministro decide i due terzi dell'ordine del giorno del Parlamento. L'ordine del giorno di Westminster è redatto dal Primo Ministro – attenzione, non propongo questo, ci mancherebbe altro ! – sia pure con alcune sedute che devono essere attribuite, invece, all'opposizione.
Inoltre, il Primo Ministro, attraverso il Cancelliere dello Scacchiere, può porre il veto su qualunque emendamento che aumenti la spesa o diminuisca l'entrata. Non propongo questo per il Ministro dell'economia italiano.
Il Capo dello Stato in Italia può essere anche un potere di garanzia; che la Regina in Inghilterra sia un contropotere questo non l'ha scritto ancora nessuno.
Noi abbiamo la Corte costituzionale, che quel Paese non ha, anche se sta cercando di darsi una specie di Corte suprema.
Noi abbiamo sottoscritto i trattati europei, che l'Inghilterra non ha sottoscritto.
Non esistono in quel Paese i referendum abrogativi, che noi abbiamo e che possono essere un contrappeso.
Il Senato italiano potrebbe essere un contrappeso almeno quanto la Camera dei Lords, ma forse nessuno dei due lo sarebbe efficacemente.
Non vedo quindi quali dovrebbero essere i contrappesi in un Paese come il nostro, in cui mancano i pesi.
IVAN SCALFAROTTO, Sottosegretario per le riforme costituzionali e per i rapporti con il Parlamento. Il Ministro per i rapporti con il Parlamento in Gran Bretagna si chiama leader of the house.
AUGUSTO BARBERA, Professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università di Bologna. Benissimo. Il contrappeso dovrebbe esserci, però, ed è in uno statuto dell'opposizione, questo sì. Il contrappeso non può essere il Parlamento, perché in un sistema parlamentare il Parlamento, cioè la maggioranza parlamentare deve fare blocco comune con il Governo, anzi, come diceva Leopoldo Elia, non sospettabile di simpatie neoautoritarie, il Governo è il leader della maggioranza parlamentare, anzi – questa era l'espressione usata – è il comitato direttivo della maggioranza parlamentare.
Allora, dove trovare i contrappesi ? Nell'opposizione, in uno statuto dell'opposizione che viene previsto nel progetto di legge costituzionale – forse è sbagliato usare «le opposizioni», ma comunque va bene – e nei regolamenti parlamentari. Ma non ho visto in questi anni un'efficace azione per costruire uno statuto dell'opposizione nei regolamenti parlamentari.
Tra l'altro, non dobbiamo dimenticare che la riforma costituzionale prevede già alcuni contrappesi. Come è stato già ricordato, i decreti-legge vengono limitati, come materia, recependo la giurisprudenza della Corte costituzionale. Inoltre, viene valorizzata la partecipazione popolare riducendo il quorum per i referendum che abbiamo ottenuto 800 mila firme; prevedendo la discussione entro tempi certi dei progetti di iniziativa popolare; elevando le soglie per l'elezione del Capo dello Stato. A quest'ultimo riguardo, va bene elevare le soglie, ma andrebbe fatta un'altra cosa, che il regolamento del Parlamento in seduta comune forse – e sottolineo forse – potrebbe fare: prevedere l'obbligo del deposito preventivo delle candidature, se si vuol sottrarre al partito di maggioranza relativa l'indicazione, e assegnare ai deputati un voto alternativo, la possibilità di disporre di più voti (prima preferenza, seconda preferenza), il che scompaginerebbe il metodo di elezioni che finora si è seguito, che porta all'accordo previo tra i partiti, che soltanto i franchi tiratori riescono a superare nella storia della Repubblica. Questo si potrebbe fare.
Ci sarebbero tante cose da dire, ma le riservo per altra occasione. Mi limito a riferirne una sola, cioè la discrasia tra questo progetto e la riforma costituzionale.
A parte il fatto che io, di fronte all'opinione pubblica, di fronte agli elettori, di fronte agli altri Paesi, spingerei per dire che arriveremo presto alla riforma costituzionale. Pag. 25Si dovrebbe mandare questo messaggio, invece di cominciare a porsi il problema «se succede se...».
In secondo luogo, se anche si dovesse arrivare al voto con questa legge per la Camera dei deputati e se si dovesse andare – sarebbe la cosa più realistica – con il cosiddetto «Consultellum» all'elezione del Senato (il decreto-legge è un'ipotesi quasi da colpo di Stato), ebbene, se si dovesse andare a questo, dove sarebbe l'incostituzionalità ? Sarebbe un buco nel sistema, sarebbe una non coerenza. Ma dove sarebbe l'incostituzionalità, se lo stesso costituente aveva previsto sei anni per la durata del Senato e cinque anni per la durata della Camera; se anche oggi i due elettorati sono diversi, con il limite rispettivamente di diciotto e venticinque anni; se era stato votato quasi all'unanimità un ordine del giorno in Assemblea costituente, l'ordine del giorno Nitti, che diceva che la Camera doveva essere votata con il sistema proporzionale e il Senato con il sistema uninominale maggioritario ?
Tutto questo è sbagliato, poiché stiamo andando verso una forma unicamerale, ma che eventualmente questa discrasia sarebbe un grave vulnus inferto alla Costituzione non mi pare che si possa dire.
Signor Presidente, vi ringrazio. Depositerò anche uno scritto così potrò riportare più puntualmente alcuni aspetti.
PRESIDENTE. Sarà sempre gradito.
Prima di chiedere alla vicepresidente Roberta Agostini di sostituirmi do la parola al professor Marini.
PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE ROBERTA AGOSTINI
FRANCESCO SAVERIO MARINI, Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata. Grazie, Presidente. Ringrazio la Commissione per il gradito invito all'odierna audizione.
Prima di analizzare alcuni aspetti potenzialmente problematici della proposta di legge, mi sembra opportuna una premessa di carattere generale. Come è noto, benché il sistema proporzionale non sia stato costituzionalizzato, esso forse è in qualche modo presupposto da diverse disposizioni della Carta che prevedono, a tutela delle opposizioni, maggioranze assolute o qualificate. Dunque, se da un lato la Costituzione non impone – l'abbiamo già sentito anche dal professor Luciani – il proporzionale, dall'altro esige però una particolare attenzione per la rappresentatività degli organi e per la tutela delle minoranze.
Da ciò discende che sia pienamente legittima una riforma elettorale attenta al profilo della governabilità, la quale – non ne dubita nessuno e la Corte l'ha confermato – è un interesse di rango costituzionale. Tuttavia, essa deve accompagnarsi a un adeguamento dei congegni di garanzia e delle maggioranze in grado di preservare il pluralismo politico.
L'esigenza di un tale adeguamento, peraltro, si fa tanto più forte in quanto la riforma in senso maggioritario della legge elettorale non è isolata, ma fa sistema con una riforma costituzionale che accentua i poteri di direzione politica dello Stato rispetto alle regioni e del Governo rispetto al Parlamento, senza dimenticare poi il ridisegno dell'assetto istituzionale degli enti locali che ha introdotto meccanismi di investitura di secondo grado e ha diminuito il numero dei rappresentanti espressi dalle realtà territoriali, anche se meno popolose.
Congiungendo questi aspetti, il rischio è che si crei uno squilibrio sistemico, eccessivamente sbilanciato a favore della centralizzazione dell'indirizzo politico. In questo non sono d'accordo con il professor Barbera, perché a mio avviso mancano adeguati contrappesi a livello nazionale e locale, anche perché, quanto al paragone con il Regno Unito, l'Italia ha una storia parlamentare molto diversa rispetto a quella del Regno Unito.
Fatta questa premessa, mi soffermo brevemente su alcuni aspetti della legge elettorale. Il primo punto riguarda – lo abbiamo già sentito da molti interventi – la stretta connessione tra riforma elettorale Pag. 26e riforma costituzionale. L'introduzione, infatti, di forti correttivi maggioritari del sistema dell'elezione della sola Camera dei deputati intanto ha senso in quanto si giunga effettivamente al superamento del bicameralismo perfetto e all'esclusione del Senato dal circuito fiduciario. Vi è il rischio che, in caso di mancato compimento della riforma costituzionale, la legge elettorale si potrebbe invece trovare inficiata da un vizio sopravvenuto, perché essa introduce degli effetti distorsivi che dovrebbero essere funzionali alla governabilità, ma questa governabilità non si raggiungerebbe perché la legge finisce per operare solo per la Camera dei deputati, operando al Senato il proporzionale puro del cosiddetto «Consultellum».
Non credo – su questo sono d'accordo – che sarebbe legittimo un intervento per decreto, se non altro anche perché la riserva di assemblea del quarto comma dell'articolo 72 implicitamente impone nella materia elettorale una partecipazione di tutte le forze politiche e la massima rappresentanza nell'approvazione di leggi in queste materie.
Per evitare tale pericolo si potrebbe, piuttosto, forse condizionare l'entrata in vigore della legge elettorale all'approvazione della riforma costituzionale. Questo rafforzerebbe anche, come messaggio, il fatto che la riforma costituzionale poi verrà effettivamente approvata.
Il secondo aspetto da analizzare riguarda il meccanismo per l'assegnazione del premio di maggioranza alla lista. Il problema è ovviamente se la previsione del ballottaggio sia sufficiente a conformare la legge elettorale a quanto stabilito dalla Corte costituzionale nella più volte richiamata sentenza n. 1 del 2014.
Ebbene, ritengo che sotto due profili qualche perplessità residui. In primo luogo, nella pronuncia sopra citata la Corte costituzionale ha rilevato come l'opzione del legislatore per formule proporzionali ingeneri nell'elettore una legittima aspettativa a che gli effetti cosiddetti «in uscita» del suo voto non vengano distorti oltre una certa soglia. In altre parole, votando con il sistema proporzionale e non con l'uninominale, l'elettore si aspetta una proiezione tendenzialmente fotografica dei voti espressi nella composizione dell'arco parlamentare.
La perplessità risiede in particolare nel fatto che il ballottaggio fra le due liste più votate è un congegno tipico di sistemi uninominali o tendenzialmente uninominali, e proprio per questo il ballottaggio, come accade in Francia, è di solito di collegio, non dà luogo a un premio nazionale. Esso costituisce, dunque, un elemento per certi versi estraneo rispetto all'impianto proporzionale della legge elettorale, nella cui logica il cittadino esercita il proprio voto.
In secondo luogo, il ballottaggio, posto che il premio è attribuito alla lista singola, non sembra del tutto in grado di scongiurare il rischio che una minoranza anche ristretta si trasformi in maggioranza. In altri termini, il meccanismo potrebbe consentire, anche a un partito con il 25 o il 20 per cento dei consensi, di ottenere la maggioranza dei seggi alla Camera.
Tale eventualità potrebbe scongiurarsi ad esempio – l'abbiamo sentito nella proposta del professor Zaccaria – prevedendo un quorum minimo al secondo turno, in modo da assicurare il premio a una lista effettivamente votata da una quota maggioritaria di suffragi. In alternativa, potrebbe immaginarsi al secondo turno il ritorno al precedente sistema del premio di coalizione, con possibilità di apparentamento, almeno nell'ipotesi in cui, all'esito del primo turno, tutti i partiti rimangono al di sotto di una certa soglia.
Non sembra superfluo precisare che le perplessità qui avanzate non paiono del tutto superate da una recente sentenza, la n. 275 del 2014 della Corte costituzionale, nella quale il giudice costituzionale ha ritenuto legittima l'attribuzione del premio nelle elezioni comunali all'esito del ballottaggio, ma è anche vero che non ha mancato di sottolineare a più riprese la marcata differenza fra livello nazionale e livello locale.
Il terzo punto da esaminare è quello delle preferenze. Anche qui si tratta di Pag. 27verificare se la proposta di legge supera i profili di incostituzionalità già evidenziati dalla Corte.
Nella menzionata sentenza n. 1 del 2014 la Corte aveva, tra l'altro, prefigurato la legittimità di liste bloccate corte, presentate in collegi ristretti, le quali consentono agli elettori l'astratta conoscibilità dei candidati. In tale prospettiva, il progetto di legge in esame non solo accorcia la lista e restringe i collegi, ma muove un ulteriore passo nella direzione indicata dalla Corte introducendo le preferenze.
Si può dunque ritenere che in parte qua i paletti posti dalla giurisprudenza costituzionale siano rispettati. Ma anche sul punto è necessario fare due osservazioni. Innanzitutto, vista la dimensione ristretta dei collegi, è del tutto verosimile che la quota dei candidati eletti con le preferenze sia piuttosto contenuta; dei pochi seggi in palio, la maggior parte sarà infatti appannaggio dei capilista bloccati.
In secondo luogo, sempre a motivo della dimensione ridotta dei collegi, ad essere eletti con le preferenze saranno in prevalenza candidati del partito che otterrà il premio e, dunque, paradossalmente, proprio della forza politica che maggiormente necessita della coesione interna e della disciplina di partito, che il congegno della lista bloccata è appunto volto a preservare.
In senso contrario, però, è anche vero che proprio il partito premiato, godendo di una rappresentanza in qualche modo distorta, ha maggiore necessità del surplus di legittimazione che viene dalle preferenze.
Più di una perplessità desta, invece, la possibilità di una candidatura multipla, soprattutto se riferita ai capilista bloccati che, attraverso le loro opzioni (lo diceva molto efficacemente il professor Zaccaria), possono decidere quale candidato sarà eletto. Va ricordato che nella sentenza n. 1 del 2014 la pluricandidatura era stata considerata dalla Corte uno dei fattori ostativi alla conoscibilità del candidato e al relativo potere di scelta dell'elettore. C’è un passaggio, anche se molto rapido, tuttavia critico sulla pluricandidatura.
Un ultimo aspetto al quale accenno riguarda la clausola che fissa il termine iniziale di applicabilità della nuova disciplina elettorale dal 1o luglio 2016. Il differimento del termine di efficacia potrebbe infatti essere utilizzato per favorire controlli di legittimità e di merito sull'atto legislativo. Da un lato, infatti, potrebbe giungersi alla Corte costituzionale attraverso azioni di accertamento, anticipando in fondo quella che ritengo una norma apprezzabile sul sindacato preventivo di costituzionalità. Dall'altro lato, la formulazione della legge, soprattutto nella parte in cui disciplina il ballottaggio e le preferenze, la espone a iniziative referendarie tese ad esempio a eliminare il secondo turno. Simili iniziative non incontrerebbero ostacolo insormontabile in sede di ammissibilità perché facilmente potrebbero tradursi in quesiti omogenei, chiari, univoci e completi, secondo la giurisprudenza di costituzionalità.
Queste forme di controllo anteriore, al momento in cui l'atto diverrà efficace, sia da parte della Corte costituzionale che da parte dell'elettorato, potrebbero anche avere il pregio, sul piano del metodo e degli equilibri istituzionali, di coagulare una forte legittimazione democratica sul contenuto della legge elettorale.
FRANCESCO STORACE, Esperto della materia. Grazie dell'invito che, mi è stato riferito, è dovuto anche all'esperienza proveniente dal territorio riguardante la legge elettorale in vigore nei sistemi regionali, o almeno la maggior parte, per fare un raffronto rispetto alle esigenze che il legislatore pone affrontando la questione del cosiddetto «Italicum».
Sono entrato in questo ramo del Parlamento per due volte quando era in vigore un sistema elettorale che consentiva all'elettore di scegliere nei collegi il proprio rappresentante e mi è capitato di essere ministro nell'unica occasione in cui sono stato nominato. Faccio questo esempio perché può servire per seguire una linea di ragionamento che propongo alla Commissione.Pag. 28
Il tema della rappresentanza, il tema della governabilità e il tema della nomina delle competenze che possono servire a livello di governo sono tre questioni che vengono affrontate e risolte nella maggior parte delle leggi elettorali regionali, su intuizione dell'allora Presidente Pinuccio Tatarella, quando si varò il cosiddetto «Tatarellum».
Quella fu una norma approvata a larga maggioranza, come indicazione di principio dal Parlamento alle regioni, che poi erano libere di attuarla o di modificarla. Nel Lazio decidemmo di attuarla e vi dico anche con risultati positivi, da questo punto di vista.
Il tema che affronto della larga maggioranza con cui viene approvata una legge elettorale, secondo me, non è ininfluente rispetto anche agli esiti positivi del risultato finale. Ricordo che il cosiddetto «Italicum» parte dalla necessità di consentire alle grandi forze politiche di trovare un punto di sintesi nella legge elettorale da approvare. Ora si arriva alla stretta maggioranza con cui si vuole approvare questa legge elettorale e non è indifferente rispetto alla valutazione di partenza.
Il tema che avete posto – lo dico ai costituzionalisti che sono intervenuti, ma anche agli onorevoli parlamentari che hanno esposto la loro opinione nel dibattito precedente il mio intervento – è soprattutto (credo di poterlo dire) quello della partecipazione. Su questo risponde anche la legge elettorale regionale. La partecipazione è determinata da un insieme di elementi.
Uno di questi – non è indifferente – è anche la capacità di raccolta delle preferenze individuali dei singoli candidati. Venendo all'assetto del sistema, la legge che il Parlamento sta per approvare, se il testo approvato sarà quello oggi noto, probabilmente non indurrà – qui ho una visione differente rispetto a quanto ho ascoltato poc'anzi – una larghissima partecipazione. In altre parole, se la partita è già sostanzialmente scontata, dato che si immette una legge dal sapore bipartitico in un assetto tripolare o addirittura quadripolare, credo che andranno a votare semplicemente gli elettori del partito che si dà per vincitore, tanto più che non ci sarà la possibilità di scegliere i candidati.
Tutto questo meccanismo perverso rischia di ridurre l'affluenza alle urne per gli elettori che saranno chiamati, anche in prima applicazione, al voto per la nuova legge elettorale. Aiutano – lo diceva benissimo il professor Zaccaria – le candidature multiple ? Evidentemente no. Le candidature multiple rischiano di essere un trucco per poter fingere di favorire l'elettore quando vuol decidere chi deve essere eletto.
Alla fine, è sempre l'eletto nei collegi che deciderà a chi lasciare il seggio, e anche questo è un punto che secondo me il legislatore farebbe bene a risolvere.
Qual è il tema che è stato proposto – lo dico se il ragionamento è in buona fede – da chi dice che dobbiamo nominare una quota di parlamentari ? Servono competenze tecniche. Nelle regioni questo è stato risolto con il cosiddetto «listino», laddove ancora vige.
Parliamo del 20 per cento, non del 55 per cento degli eletti. Cito l'esempio attuale del Lazio, dove le elezioni sono state vinte dal mio competitore, che ha inserito personalità importanti nel listino, che probabilmente non sarebbero state elette al vaglio delle preferenze, ma si è limitato al 20 per cento il numero di eletti al Consiglio regionale con il listino bloccato.
Invece qual è il paradosso di questa legge, dell’Italicum ? I nominati non saranno nella quota della maggioranza che avrebbe bisogno di competenze per governare, ma saranno tutti nella quota di opposizione. I pochi eletti con le preferenze saranno nella quota di maggioranza, ossia esattamente il contrario di quello che accade nel sistema regionale.
Credo che questo sia un altro problema che occorrerà affrontare per evitare che il cittadino sia dissuaso dall'andare a votare. Questo è il problema principale che mi pongo.
Lo stesso discorso – ma è stato affrontato e lo cito semplicemente come esempio, lasciando poi alla Commissione l'appunto scritto che ho preparato – riguarda Pag. 29anche la questione del premio di lista o del premio di coalizione. Le coalizioni possono indurre a portare più elettori al voto, e anche qui mi rifaccio all'argomento che ha usato il professor Zaccaria poc'anzi.
Pongo a voi una questione: è davvero giusto attribuire la difficoltà di governo, nelle coalizioni che si sono succedute in questi anni al governo del Paese, alla responsabilità o all'irresponsabilità dei partiti più piccoli o le crisi di sistema sono state determinate dai partiti più grandi ?
Credo che oggi il tema sia questo. Quando si propone il premio di lista, bisogna sempre tener presente anche quello che è successo, quella che è stata l'esperienza in questi anni, la grande crisi del PdL e la crisi che si intravede all'interno del partito che oggi governa il Paese, il Partito Democratico. Il Governo, se rischia, non rischia per un piccolo gruppo della maggioranza, ma per l'implosione del grande partito di maggioranza. Non è sempre sinonimo di governabilità il premio di lista, questo voglio intendere.
Infine, pongo alla vostra attenzione una questione che, lo riconosco, sarebbe più giusto calare nella discussione sulla legge costituzionale. Posso comprendere che appaia provocatoria, ma secondo me la politica oggi non può ignorare il grande tema della scarsa affluenza alle urne. Anche su questo si tende a minimizzare. È accaduto anche in recenti elezioni amministrative, dove c’è stata una partecipazione al voto pari al 37-38 per cento (mi riferisco all'Emilia-Romagna), ma anche in altre occasioni.
È giusto continuare a ignorare in Costituzione la necessità di adeguare il numero dei seggi all'effettiva affluenza al voto ? Questo è un tema che ho proposto, nella mia regione, nella revisione della riforma dello statuto del governo del territorio, perché incomincia a diventare inaccettabile che si possa essere eletti per cinque anni alla guida di una regione, con i poteri che ha un Presidente di regione, sostanzialmente dal 20-22 per cento dei cittadini.
È un tema che riguarda la rappresentanza, riguarda il diritto alla governabilità di una regione e soprattutto il diritto dei cittadini a scegliere effettivamente da chi essere governati.
AUGUSTO BARBERA, Professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università di Bologna. La stessa percentuale con cui è stato eletto Obama. Si tratta di una grande democrazia.
FRANCESCO STORACE, Esperto della materia. Parliamo di una democrazia molto diversa rispetto alla nostra. C’è anche un presidente eletto dal popolo. Qui no.
VINCENZO TONDI DELLA MURA, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università del Salento. Grazie, Presidente. Molte cose sono state già dette, anche perché l'ordine alfabetico costringe sempre le ultime lettere ad intervenire alla fine.
Vorrei evidenziare una continuità che ho rinvenuto, ma una continuità in peius, fra l'impianto del Porcellum (per comodità espositiva) e quello dell’Italicum. Vi è una continuità in peius nel modo con cui, in entrambi i casi, il legislatore si è approcciato alla realtà politica e al sistema dei partiti.
In verità, a mio avviso, il Porcellum alla fine usava lo strumento legislativo, pregiudicava in via legislativa la futura governabilità della forza vincitrice, impedendo il formarsi di un'effettiva maggioranza parlamentare fra le due Camere, e tuttavia non solo garantiva la tenuta del sistema bipolare, ma scoraggiava la frammentazione delle minoranze, in modo da mantenere ferma la contesa fra le poche e chiare forze politiche. Invece, nel caso dell’Italicum, lo strumento legislativo è impiegato per garantire la governabilità della forza vincitrice e, al contrario, per pregiudicare la tenuta dell'attuale sistema, che – si è visto anche prima – è quanto meno tripolare, favorendo la frammentazione.Pag. 30
Insomma, l'intervento legislativo nel Porcellum diventava una sorta di «polpetta avvelenata» nei confronti della lista o della coalizione vincitrice, mentre l'intervento legislativo in questo ambito dell’Italicum rischia di risolversi in un intervento a gamba tesa ai danni delle minoranze. Questo è ancora più grave perché viene a manipolare in via chirurgica, artificiale, la realtà politica, per di più, si teme, con la richiesta di fiducia, vanificando ogni possibilità di patto non solo fra le parti politiche ma anche fra popolo e Governo, il tutto con gli ulteriori correttivi di cui si è già ampiamente detto.
Farò brevi riferimenti alle singole questioni che sono presenti in entrambi gli impianti. A mio avviso, l’Italicum prende a riferimento dei dati indicati dalla Corte ma sostanzialmente per raggirare le previsioni della Consulta. Prendiamo il problema delle soglie, su cui già si è detto. In verità, a mio avviso, si tratta di due soglie molto virtuali. La prima – l'ha detto il professor D'Alimonte – che prevede il raggiungimento del 40 per centro è ardua, quindi è inutiliter data, è scritta come specchietto per le allodole.
Quanto alla seconda, implicita, quella che riguarda il ballottaggio, che è il vero fulcro della questione, osservo che alla fine l'assenza di una soglia provoca un effetto analogo a quello del Porcellum, vale a dire un premio della maggioranza assoluta dei seggi alla minoranza più votata. Questo provoca appunto dei problemi.
Della questione del 40 per cento già si è detto che è arduo raggiungere il premio. Poi si è ampiamente parlato dei raffronti con la vecchia legge «truffa», quindi sono cose già conosciute.
Vorrei soffermarmi sul problema del ballottaggio. Anzitutto, non è stata richiamata la pronuncia della Corte n. 275 del 2014, in cui si dice che il ballottaggio può andare. Il meccanismo di attribuzione del premio e la conseguente alterazione della rappresentanza non sono irragionevoli, ma funzionali alle esigenze di governabilità dell'ente locale, che nel turno di ballottaggio vengono più fortemente in rilievo.
Tuttavia, questi rilievi sono riferiti a una legge che riguarda non il sistema elettorale nazionale, ma quello locale. Nella medesima sentenza, la Corte spiega che non si può impiegare a parametro le legislazioni elettorali locali. Per quella nazionale, infatti, c’è la sovranità popolare, che invece nelle altre non c’è. Credo che il problema risieda nel fatto, come è stato ampiamente detto, che l'assenza di una soglia nel ballottaggio presenta rischi che sono stati ampiamente rilevati, specialmente in un ambito di questo genere, consentendo a un'assoluta minoranza di ottenere un premio molto superiore al 15 per cento.
Qui vorrei indicare un altro punto che non è stato toccato sino adesso nel dibattito, vale a dire un paradosso. Nell'articolo 75 della Costituzione, nel caso di abrogazione referendaria, è previsto un quorum e questo significa che il popolo, per abrogare un singolo intervento legislativo, deve pronunciarsi in massa con un quorum del 50+1. Il paradosso, viceversa, sta nel fatto che, se per abrogare un minimo intervento legislativo è necessario un quorum così alto, per costituire l'organo legislativo non è previsto nessun quorum.
Il professor Zaccaria evidenziava delle alternative, come quella dell'apparentamento, quella della seconda soglia: un'altra alternativa può essere quella di indicare un quorum, non raggiunto il quale i seggi vadano ripartiti tra le forze che hanno partecipato. Questo serve per assicurare una partecipazione, argomento su cui col professor Barbera dissentiamo...
AUGUSTO BARBERA, Professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università di Bologna. Se il presidente me lo consente, sono ipotesi pericolosissime, come quando il cardinal Ruini disse di non andare a votare e non si raggiunse il quorum. Questo significa che si dà a una minoranza la possibilità di boicottare.
VINCENZO TONDI DELLA MURA, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università del Salento. Non è una questione di minoranza. Si impedisce che...
Pag. 31PRESIDENTE. Francamente, eviterei il dibattito.
VINCENZO TONDI DELLA MURA, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università del Salento. Si impedisce, però, a una minoranza del 25 per cento – di questo stiamo parlando – di tenere per cinque anni una maggioranza assoluta e di governare in una situazione nella quale ci sono tutte le conseguenze che sono state ampiamente descritte.
AUGUSTO BARBERA, Professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università di Bologna. Con quella disciplina, presidente, anziché il cardinal Ruini, avremmo Grillo.
VINCENZO TONDI DELLA MURA, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università del Salento. Della questione dei capilista si è ampiamente detto, ma c’è una violazione del principio di eguaglianza nel diritto di voto, perché vi sono i capilista nominati e i candidati votati. Riprendendo i richiami della Corte, questa mi sembra una violazione del principio di uguaglianza.
Allo stesso modo, anche nella questione delle candidature multiple vi è un inganno sulla preferenza, una violazione sulla preferenza dell'elettore verso il capolista bloccato: cambiando collegio, consente ancora una volta una frode elettorale, nel senso che l'elettorato ha indicato una persona che non potrà rappresentarlo.
In definitiva, a mio avviso una serie di elementi presenti in entrambi i sistemi elettorali sono ripresentati furbescamente dall’Italicum così da aggirare, in modo apparente, i dettami della Corte. In questo senso, rafforza la leadership del capo della forza politica rivelatasi di minoranza, frantuma l'opposizione, assoggetta gran parte del Parlamento ai voleri delle segreterie politiche, comprime la rappresentatività dell'Assemblea parlamentare incidendo sull'eguaglianza di voto, vanifica la responsabilità politica dissolvendo il controllo popolare, incentiva l'astensione. In definitiva, cambiando l'ordine dei fattori, il risultato non cambia e, anzi, peggiora.
LARA TRUCCO, Professoressa associata di diritto costituzionale presso l'Università di Genova. Ringrazio il Presidente e la Commissione per l'invito. Cercherò di «inserirmi» tra le poche cose che non sono state dette, proponendomi, a tal fine, di intervenire su alcuni punti tematici.
Questi punti riguardano: circoscrizioni e collegi; liste; candidature multiple; preferenza di genere; soglie di sbarramento; doppio turno; premio di maggioranza. Sulle circoscrizioni ed i collegi è già stato detto molto da chi mi ha preceduta. Tra la prima e la seconda bozza di Italicum sono intervenute modifiche, a mio avviso migliorative della proposta di legge.
Il profilo su cui porterei l'attenzione e che potrebbe rivelarsi problematico riguarda quei collegi, che, come è stato accennato, hanno un numero di seggi non inferiore a tre e non superiore a sei, quelli più piccoli insomma, dato che qui il voto verrebbe dato non a una lista composta da un certo numero di candidati, ma fondamentalmente a un ticket uomo/donna, quindi con una grande personalizzazione del voto a scapito, però, del versante preferenziale del suffragio. Penso che ciò potrebbe rivelarsi problematico perché la presenza di «liste variabili» finirebbe per produrre una certa disparità di trattamento tra situazioni analoghe, concernenti gli elettori, tra un collegio e l'altro.
In ogni caso, non penso che un tale elemento problematico potrebbe, in un ipotetico sindacato della Corte costituzionale, portare a una dichiarazione di incostituzionalità. D'altronde, è stato detto che si è cercato di contemperare i due elementi che emergono dalla sentenza n.1 del 2014 su cui la Corte ha portato l'attenzione, e, cioè, per l'appunto, l'elemento della «preferenzialità» e quello della «personalizzazione» del suffragio. Si tratta di due profili che vanno trattati diversamente. Le liste corte assecondano la personalizzazione del voto, ma offrono poca gamma di scelta all'elettore e viceversa. Nella proposta di legge si è cercato Pag. 32di contemperare questi due elementi, ma, come dicevo, il problema riguarda i collegi più piccoli, in cui (a differenza di quanto avviene nei collegi più grandi) non c’è possibilità per l'elettore, di votare nell'ambito di un'offerta elettorale di una certa consistenza.
Venendo ora alle candidature multiple, è già stato ricordato come un tale meccanismo non sia stato censurato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 1 del 2014. In ogni caso, è opportuno osservare come la loro riproposizione nell'ambito della proposta di legge in discussione finisca per (continuare a) produrre un effetto di disorientamento degli elettori, specie a causa del gioco delle opzioni multiple, cosa che non succederebbe, invece, può pensarsi, con una specie di classifica avulsa dei capilista, per cui questi dovrebbero correre a sé, eventualmente valorizzando il ticket con i supplenti. Detto altrimenti, le candidature preferenziali non dovrebbero essere correlate con le prime scelte blindate. Ciò, infatti, garantirebbe una maggiore stabilità degli esiti del suffragio ed una maggiore certezza dell'elettore nel sapere che fine farà il suo voto per le une e per le altre candidature.
In ogni caso, neanche un tale profilo pare destare particolari problemi in un ipotetico sindacato di costituzionalità. Anzi, all'atto «pratico», come è stato opportunamente evidenziato dalla professoressa Nicotra, siamo nella situazione per cui, in modo per certi versi paradossale, l’«utilizzazione» di tutte le (dieci) possibilità di candidatura multipla consentite dalla normativa da parte dei capilista, potrebbe contribuire a sminuire l'altro problema del voto bloccato. Ciò, infatti, comporterebbe una riduzione del numero complessivo di candidati blindati (che sarebbero sempre gli stessi che si ripresentano nei vari collegi), e, per questa strada, si darebbe più potere di voto al corpo elettorale nel suo insieme, dal momento che ne risulterebbero valorizzate le scelte preferenziali (successive alle prime scelte blindate).
Certo, bisognerà vedere che cosa decideranno di fare i partiti, come stabiliranno di comporre le liste. Tuttavia, resta il fatto che, in ogni caso, ampia parte dei seggi parlamentari verrebbero attribuiti in modo blindato. Ciò che potrebbe risultare (ulteriormente) problematico, specie se si considera che una tale blindatura andrebbe ad aggiungersi ad altre «ingessature» del sistema, segnatamente i meccanismi volti a favorire il cosiddetto «riequilibrio di genere». Tali meccanismi, infatti, sono stati perfezionati nella seconda bozza dell'Italicum al fine di meglio garantire il conseguimento del risultato (di riequilibrio, per l'appunto). In questo modo, certamente si favorisce il riequilibrio di genere nell'ambito della rappresentanza politica, ma l'altra faccia della medaglia è data dalla contestuale valorizzazione di un elemento di blindatura del sistema di elezione, con la conseguenza di produrre un'ulteriore compressione del potere di voto individuale. Comunque, anche da questo punto di vista, specie la considerazione della proposta di legge nel suo insieme, mi porta a non ravvisare particolari problemi (alla luce, qui, anche della sentenza n. 4 del 2010 della Corte costituzionale).
Un ulteriore miglioramento introdotto dal testo in discussione lo si deve alla scelta di eliminare le famigerate soglie multiple che fotografavano ex ante la situazione politica per riproporla in Parlamento. Per quanto, come ogni tipo di scelta, anche questa non sia esente da critiche (specie sul piano politico), una soglia unica al 3 per cento potrebbe ritenersi infatti «decorosa»: del resto, è significativo che, in chiave comparata, sia difficile trovare un sistema che (come fa l’Italicum in prima battuta) prescriva l'applicazione di una formula proporzionale senza, al fine di disincentivare la frammentazione dell'organo rappresentativo, prevedere, nel contempo, una soglia pari, per l'appunto, ad almeno il 3 per cento dei voti.
Vengo ora ai punti più delicati: il doppio turno e, soprattutto, il premio di maggioranza. Quanto al primo, è indubbio che si ha che fare con un doppio turno sui generis. In nessun ordinamento a mia Pag. 33conoscenza, del resto, è prevista una formula elettorale simile: segnatamente, un doppio turno non tra candidati, ma tra liste di candidati (nella precedente versione della proposta di legge, tra coalizioni di liste). In questo modo, si potrà probabilmente superare la censura formulata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 1 del 2014 nei confronti del Porcellum, in ragione del fatto che tale sistema avrebbe rovesciato la ratio della formula elettorale prescelta dal legislatore del 2005, basata su di una logica proporzionale. La formula a «doppio turno» prevista dalla proposta di legge, infatti, introduce un elemento idoneo a caratterizzare il sistema elettorale in senso non proporzionale ma «maggioritario». In analoga direzione, poi, interviene, altresì, come evidenziato dal professor D'Alimonte, l'ulteriore congegno «maggioritarizzante» costituito dal premio di maggioranza.
È stato detto che sicuramente si garantirà in questo modo la governabilità, perché la concomitante applicazione di doppio turno e premio consentirà di sapere chi vincerà e governerà. La domanda che mi pongo, al di là dei problemi del premio di maggioranza, su cui a breve tornerò, è se sia proprio la legge elettorale il luogo adatto in cui affrontare il «tema» della «governabilità». Si stanno facendo le riforme istituzionali: a mio avviso e dovrebbe essere quello il luogo più appropriato in cui discutere su come dar seguito al famoso ordine del giorno Perassi dell'Assemblea costituente rimasto a tutt'oggi senza seguito. Ciò che invece si deve domandare alla legge elettorale è soprattutto che sia in grado di assicurare una certa rappresentatività dell'organo.
D'altronde, abbiamo potuto renderci conto nelle scorse legislature che un premio di maggioranza che «in solitudine» voglia garantire la governabilità è un'utopia, un meccanismo che nel breve periodo sembra dare forma all'illusione, ma che nel lungo periodo palesa assai di frequente la debolezza delle compagini che contribuisce a creare. Altro sarebbe una legittimazione dal basso delle alleanze politico-elettorali, in grado di favorirne l'aggregazione intorno ad un programma di Governo; altro è creare raggruppamenti fittizi (anche nell'ambito di una medesima lista, non necessariamente in «coalizioni»), elettoralmente finalizzati solo (o comunque in modo preponderante) ad acquisire il premio, dato che, in questo secondo caso, anche sotto lo schermo del divieto di mandato imperativo, può risultare debole il «collante» tra «i componenti», ed invece forte e financo irresistibile la possibilità, dei medesimi, all'indomani delle elezioni di liberamente svincolarsi e trasmigrare da un gruppo parlamentare all'altro.
Ma, soprattutto, in una prospettiva di tipo costituzionalistico rileva la criticità, per così dire, «strutturale» del meccanismo premiale in quanto tale, data dal fatto che la sua applicazione finisce per lasciare ben poco al caso, assistendosi, in buona sostanza, ad una pianificazione ex ante della geografia politica delle Camere elettive (così, si sa già che in applicazione dell’Italicum la Camera dei deputati risulterà sistematicamente composta da una maggioranza del 55 per cento e da una opposizione del 45 per cento), a detrimento dei reali rapporti di forza emersi dall'elezione ed, in ultima analisi, dell'effettiva incidenza del voto individuale.
Con più specifico riguardo al premio previsto dall’Italicum, ritengo che il punctum dolens sia dato dalla mancanza, a ben vedere, di una soglia di voti validi, superata la quale il premio possa essere elargito, contravvenendosi così a quanto stabilito dalla Corte costituzionale (secondo cui, invece, come è stato più volte detto, una soglia deve e non può non esserci). Del resto, se davvero una soglia fosse prevista, nell’Italicum dovrebbe essere altresì contemplata l'ipotesi che il premio possa non scattare, e, dunque, non essere attribuito. Ricordiamo, al proposito, che la legge elettorale del 1953 aveva previsto un premio di maggioranza che (nella sola occasione di vigenza del meccanismo) non entrò in funzione (e, dunque, non fu attribuito) per poche migliaia di voti. Che cosa significa ragionare di una soglia con un quorum di voti, se non è Pag. 34previsto che possa non essere raggiunto ? Che soglia sarebbe ? Solo un quorum elettorale artificioso, costruito matematicamente in modo indipendente dai risultati di voto effettivi e che, pertanto, in realtà non c’è. Ciò, del resto, lo si può vedere per così dire «ai piani bassi» dei possibili esiti elettorali dell’Italicum. Come è emerso, infatti, anche da precedenti interventi, nelle situazioni più delicate in cui ci vorrebbe un quorum, potrebbe invece accadere che una forza politica con una percentuale elettorale risicata possa acquistare un premio estremamente alto in termini di seggi ottenuti.
Non voglio soffermarmi su precedenti piuttosto problematici: mi limito ad osservare come la stessa legge Acerbo, che prevedeva un premio alla lista vincente, lo condizionasse, comunque, al conseguimento di una soglia del 25 per cento dei voti validi.
Quanto, poi, all'altro profilo emerso dagli interventi di chi mi ha preceduta, quello, cioè, concernente il quorum dei votanti, certamente sarebbe un problema se ci fosse un elevato astensionismo, non solo con riguardo, specificamente, all'elargizione del premio ma anche, più ampiamente, in termini di legittimazione dell'esito dell'elezione. In Francia, del resto, si sono dimostrati consapevoli dell'importanza della questione, stabilendo che per vincere il seggio al primo turno, è necessario, tra l'altro, che partecipi al voto almeno un quarto degli iscritti nelle liste elettorali nel collegio di riferimento. In quest'ottica, sarebbe opportuno ed anzi necessario che, oltre alla suddetta soglia dei voti validi in vista dell'attivazione del meccanismo premiale, nella proposta di legge di cui qui si discute fosse introdotto anche un quorum dei votanti, con la previsione di un eventuale «ritorno» alla proporzionale nel caso di mancato traguardo dell'uno o dell'altro (o, a maggior ragione, di entrambi).
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FRANCESCO PAOLO SISTO
MASSIMO VILLONE, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II. Noi ci occupiamo oggi soltanto delle diversità introdotte al testo rispetto al primo passaggio Camera. Ce ne occupiamo, quindi, soltanto da un punto di vista mirato, poi naturalmente, se ci saranno considerazioni che, attraverso le parti modificate, si richiamano a profili più generali, ci si potrà arrivare.
I parametri di riferimento sono gli stessi più volte citati, per cui non mi diffonderò su questo. Sono quelli della sentenza n. 1 del 2014: essenzialmente, il voto libero eguale come diritto fondamentale, il più fondamentale dei diritti; la rappresentatività come principio...
PRESIDENTE. Professore, mi scusi, mi consenta di salutare la professoressa Nicotra, che deve lasciare i nostri lavori.
MASSIMO VILLONE, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II. Salutiamo tutti la collega Nicotra.
Dicevo della rappresentatività come principio fondativo della democrazia; della stabilità e governabilità come valori costituzionalmente rilevanti; del bilanciamento tra questi valori fondato su un principio di proporzionalità. Vorrei sottolineare, perché è un punto che non possiamo pretermettere, che la proporzionalità non ha niente a che fare con l'opportunità. Ovviamente, non lo dico ai colleghi, che lo sanno benissimo, ma ha a che fare con la necessità che sia da fare sui diritti una compressione nell'ambito del bilanciamento, la quale sia strettamente indispensabile e che non vi siano strumenti meno invasivi per raggiungere lo stesso fine. Questo è il concetto che la Corte chiaramente afferma nella sentenza n. 1 del 2014.
Veniamo adesso alle modifiche. Ovviamente, non mi occupo dell'articolo 1 della legge, perché lì abbiamo una mera superfetazione normativa. È privo di contenuto normativo, è descrittivo e riassuntivo del testo. Tra l'altro, è detto dalla formulazione esplicita che, se fosse abrogato, nulla cambierebbe. Devo dire che, se fosse accaduta Pag. 35questa vicenda, notoriamente finalizzata a stroncare l'ostruzionismo negli anni, non pochi, di permanenza in Senato, l'avrei considerata fatta in frode al regolamento. Il regolamento del Senato consente, infatti, alla Presidenza di dichiarare l'inammissibilità degli emendamenti privi di contenuto normativo e la Presidenza avrebbe dovuto farlo, ma comunque non l'ha fatto. Non ce ne occuperemo.
Sappiamo che il premio di maggioranza nasce al 35 per cento con l'originario «Patto del Nazareno», passa al 37 con la prima versione Camera e arriva oggi al 40. Il 35 per cento era molto vicino a quello che, di fatto, accadde nelle elezioni del 2013, quindi era facile l'ipotesi che la Corte avesse quell'esempio davanti quando dichiarò l'incostituzionalità. Adesso ci si può chiedere se il 40 per cento basti. È opinabile che basti. È un «premione» comunque passare dal 40 al 55 per cento.
Penso comunque che quello che veramente non si può accettare è la distorsione della rappresentatività, che non deriva in nessun modo dalla volontà degli elettori. Prima il professor, D'Alimonte faceva riferimento al caso del 25 per cento della Gran Bretagna. È verissimo, ma quello di cui discutiamo non sarà mai come il sistema elettorale inglese, perché in Gran Bretagna è l'elettore, senza artificiose sovrapposizioni, che determina l'esito. Qui abbiamo, invece, l'artificiosa sovrapposizione della volontà legislativa, che toglie seggi ad alcuni e ne aggiunge ad altri. Che cosa ha a che fare questo col sistema della Gran Bretagna ?
Qui abbiamo una palese distorsione alla rappresentatività, che è introdotta dopo il voto dal legislatore, con violazione anche del principio del voto eguale, tanto che lo troviamo sancito nella legge, che parla esplicitamente di un quoziente elettorale di maggioranza e uno di minoranza. Non vedo come potrebbe essere più diseguale di così una disparità artificiosamente introdotta dal legislatore.
Quanto al premio alla singola lista, a parte il fatto che certe virtù taumaturgiche che alcuni colleghi sembrano assegnargli sicuramente non ci saranno, perché è chiaro che la politica anticipa quello che viene dopo. Laddove ce ne fossero le condizioni e le cose fossero vicine, supponendo ad esempio che il PD scenda di un paio di punti e il centrodestra salga di un paio, si costituirebbero sicuramente dei listoni. Non credo, infatti, che nel PD qualcuno voglia ripetere il devastante esperimento di Veltroni del 2008. Penso che sia bastata una volta.
Si vedrà se il premio a singole liste funzionerà o meno e cosa farà la politica, ma da un punto di vista tecnico giuridico comunque aumenta la distorsione della rappresentatività. Non c’è dubbio alcuno. È vero che si può dire che anche prima poteva accadere: prima poteva accadere per scelte delle forze politiche; adesso deve accadere perché il legislatore lo impone. Mi pare, quindi, che dal punto di vista giuridico la situazione sia notevolmente aggravata, forse con riflessi anche sull'articolo 49 della Costituzione. Tenderei a pensare, infatti, che anche lì verrebbe meno un principio di par condicio delle forze politiche che l'articolo 49 sicuramente suggerisce.
Relativamente al ballottaggio, giustamente si diceva che probabilmente questo è il vero fulcro dell'impianto legislativo, ma credo che non possiamo essere certi su cosa faranno le forze politiche o se la gente voterà. Per avere un terreno giuridicamente un po’ più solido, credo che si debba ragionare diversamente.
Inoltre, col ballottaggio abbiamo in realtà due sub-procedimenti concatenati. Al ballottaggio si arriva se nel primo sub-procedimento non si giunge al 40 per cento. Non ci si arriva diversamente. Ci sono, quindi, due sub-procedimenti necessariamente concatenati che determinano un continuum procedimentale. Nel momento in cui non si raggiunge il 40 per cento, il secondo sub-procedimento si salda con il primo. Come si entra, però, in questo continuum procedimentale ? Si entra senza soglia, che è solo del 3 per cento. Credo che sia questo a portare il modello legislativo nell'area di sospetto di incostituzionalità.Pag. 36
Qui abbiamo la possibilità tecnica non superabile di effetti che sono stati anche richiamati di un esito fortemente minoritario, quindi fortemente distorsivo, aggravato dal divieto di collegamento e di apparentamento. Qui vediamo proprio la volontà della distorsione della rappresentanza, perché il legislatore vuole focalizzare sulla singola lista, ovviamente a danno di tutte le altre. Non è a costo zero, infatti, che si mette in atto questo meccanismo. Anche qui, quindi, forse un riflesso sull'articolo 49 della Costituzione c’è, magari da approfondire, ma c’è. Soprattutto, vedo una sovrabbondanza rispetto al fine della stabilità e della governabilità. Abbiamo qui soglie, premio di maggioranza e ballottaggio: se con il premio di maggioranza e il ballottaggio si dà la certezza numerica della governabilità, che è tecnicamente impossibile che non ci sia, allora a che cosa serve la soglia ?
Allora, quel principio di proporzionalità che la Corte pone come riferimento necessario e centrale probabilmente aggrava il dubbio di costituzionalità quanto alla concomitanza di questi strumenti, che sono tutti lesivi della rappresentanza. Come i miei colleghi sanno benissimo, quando la Corte tedesca ha dichiarato l'incostituzionalità della soglia prima del 5 e poi del 3 per la legge europea, ha detto che non ce n’è bisogno perché lì non c’è l'esigenza di stabilità e di governabilità. Se, però, dico che l'esigenza è comunque pienamente soddisfatta in altro modo, il ragionamento si applica lo stesso: non c’è bisogno. Allora, niente soglia ? Mi pare che anche qui abbiamo un'incidenza inutile sull'articolo 49 della Costituzione.
Sui capilista, credo che ci sia un meccanismo di violazione del voto libero. In realtà, si vota necessariamente anche il capolista anche se non lo si volesse votare. Per capirci, è un meccanismo analogo a quello per cui la Corte dichiara inammissibile il quesito referendario quando non è omogeneo: in realtà, si può volere pro parte e non volere per un'altra. Allo stesso modo, si può voler votare con la preferenza Tizio e non volere affatto Caio capolista, ma si deve votarlo per forza. Semmai, riserverò questa considerazione al testo scritto.
Sulla questione della fiducia, che è importante e che so essere uno dei punti nodali del confronto, abbiamo gli articoli 49 e 116 del regolamento Camera. Per il primo, abbiamo il voto come principio generale, poi ci sono materie a voto segreto comunque e materie a voto segreto a richiesta, tra cui la legge elettorale. L'articolo 116 recita che, laddove sia prescritto il voto segreto, non è ammessa la questione di fiducia. Il combinato disposto deve darci una risposta.
Secondo me, il punto nodale e giuridico è questo. La modalità di votazione in Parlamento, in Senato come alla Camera, è sempre prescritta, non c’è mai la possibilità di una scelta discrezionale sulla modalità di votazione – questo è il principio generalissimo – per ovvi motivi di garanzia dei singoli parlamentari e delle forze politiche. Quella obbligatorietà a richiesta, quindi, è sempre prescritta, nella quale l'obbligatorietà scatta al verificarsi della condizione della richiesta. Una volta, però, che c’è la richiesta, è obbligatoria tal quale a tutte le altre materie per le quali è obbligatoria senza richiesta.
Questo vuol dire che il Presidente non può scegliere liberamente se far porre la questione di fiducia o meno. La questione di fiducia non deve essere ammessa dalla Presidenza, che in quel contesto deve tutelare i diritti del singolo parlamentare e delle forze politiche, che non possono essere prevaricati da una decisione maggioritaria che pone la questione di fiducia. Credo che questo sia un punto assolutamente serio da guardare.
In questa vicenda di riforma, di legge elettorale, sono state fatte parecchie forzature. Ho apprezzato i richiami dall'amico Barbera, ma voglio fargli notare che Elia parlava di un Parlamento eletto col proporzionale, come è ovvio. Lo statuto dell'opposizione non ha funzionato e non funzionerà mai: se c’è qualcosa di elettoralmente pagante, la maggioranza se lo «piglia» e lo fa proprio, magari con un disegno di legge governativo o con un Pag. 37decreto. È inutile, quindi, farsi l'illusione che queste cose funzionino. Gli equilibri vanno trovati anche altrove e anche con rispetto del regolamento.
PRESIDENTE. Ringrazio tutti i nostri esperti.
Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni, se possibile con interventi brevi.
ENZO LATTUCA. Vorrei esprimerle, presidente, la mia intenzione di svolgere questo lavoro in Commissione sentendo una responsabilità. Nel 1993, quando fu approvata la legge elettorale che porta il nome dell'attuale capo dello Stato, si disse che lo fu sotto dettatura del referendum. Ora, non credo che sia opportuno che approviamo una legge elettorale sotto dettatura della sentenza n. 1 del 2014, ma sarei orgoglioso di contribuire ad approvarne una che non rischi di correre gli stessi pericoli e di riprodurre gli stessi vizi di incostituzionalità della famosa legge Calderoli. Questo è il mio intento.
Ho seguìto la prima parte delle audizioni attraverso i mezzi telematici dalla Camera e devo dire che ho provato particolare sorpresa per l'affermazione di uno degli auditi, che è anche, almeno da quanto raccontano le cronache, uno degli ideatori di questa legge elettorale: ho sentito dire che questa legge elettorale nella sostanza consente l'elezione diretta del capo del Governo. Questa tesi mi è sembrata una sorta di coming out per come è stata esposta.
È una tesi che sicuramente coinvolge un ragionamento sulla compatibilità di questo tipo di legge elettorale, se è questo davvero ciò che porta, con la forma di Governo parlamentare e il fatto che questa forma di Governo sia rimasta sostanzialmente identica nel disegno di legge di riforma costituzionale che abbiamo affrontato. Su questo chiedo una prima opinione ai nostri esperti.
La seconda osservazione riguarda il punto del cosiddetto principio del majority assuring. Chiedo ai nostri esperti se risulti loro esistere un Paese a forma di Governo parlamentare, aggiungo presidenziale, che garantisca al 100 per cento, a tenuta stagna, al primo o al secondo turno che chi vince le elezioni, semplicemente chi arriva primo, che ottiene più voti o più seggi, abbia da solo la maggioranza per costituire un Governo.
Dalle ricerche modeste che ho svolto non esiste una legge elettorale che garantisca questo principio per l'elezione delle Assemblee parlamentari nazionali, per intenderci, mentre è diversa la situazione per quella degli enti locali e altro. L'unica cosa simile esiste nella Repubblica di San Marino, un doppio turno di lista se non si raggiunge una soglia per il premio di maggioranza al primo turno. Non so se questo sia diventato il nostro riferimento.
Credo che da questo principio del volere assicurare al 100 per cento che ci sia una maggioranza autosufficiente derivino alcune conseguenze potenzialmente positive. Ne citerò una. Come diceva da ultimo il professor Villone, al secondo turno, cosiddetto di ballottaggio, può accedere anche una lista che ha raggiunto il 15, il 16, il 17, il 18, anche il 10 per cento: guardando i sondaggi di oggi, per arrivare secondi, forse basta il 20 o anche il 18. È ovvio che, se quella lista si aggiudica il premio, l'effetto di sproporzione rispetto alla fotografia del primo turno è molto superiore al 15 per cento di cui abbiamo parlato. Quanto alle altre considerazioni su questo premio, in caso di mancato raggiungimento al primo, c’è comunque al secondo attraverso l’escamotage del ballottaggio, sono già state svolte, quindi su quelle non mi soffermerò.
A questo proposito, ritengo opportuno suggerire un'ipotesi: è così scandaloso che, come in tutti gli altri sistemi europei, se chi arriva primo non ottiene un numero di seggi sufficiente per governare da solo, si preveda, magari come ipotesi non auspicabile, non favorita dalla legge elettorale, che il Governo si costituisca in Parlamento attraverso un'alleanza post-elettorale ? Prima veniva citato l'esempio sicuramente forte di indicazione dell'esecutivo del sistema inglese: Cameron l'ultima volta è Pag. 38stato «costretto», senza lamentarsene, a costruire un Governo di coalizione. Con i voti raggiunti e i seggi ottenuti, infatti, non aveva la possibilità di formare Governi da solo. Questo avviene dappertutto.
Inoltre, ritengo che sia necessario ragionare sulla compatibilità, o meglio sulla razionalità di un sistema ipotetico di elezione della Camera col cosiddetto «Italicum» e del Senato ancora elettivo e ancora col potere dare la fiducia in questo scenario ipotetico, con un sistema che non garantisce la governabilità.
In un sistema bicamerale perfetto, la governabilità è avere la stessa maggioranza sia alla Camera sia al Senato, e quindi il premio di maggioranza alla Camera, senza che a ciò corrisponda un identico premio al Senato, non garantisce il principio per cui è stato pensato, ovvero la governabilità. Applicare il premio di maggioranza in una sola Camera e non nell'altra produce un effetto sproporzionalizzante rispetto ai risultati della Camera, ma il bilanciamento non vale la pena. Credo di essere stato chiaro. Si rinuncia alla proporzionalità e al principio della rappresentatività senza garantire quello della rappresentanza.
Vengo all'ultima questione, le scelte degli elettori. Non parlo delle pluricandidature o dei capilista bloccati singolarmente, ma del sistema nel suo complesso.
PRESIDENTE. Collega Lattuca, mi permetta. Se sono domande, ben vengano, anche articolate, ma se diventano interventi, non è questa la sede per svolgerli.
ENZO LATTUCA. Pongo il punto interrogativo: il combinato disposto di collegio unico nazionale, un'altra eccezione, al di là del caso Grecia come sistema elettorale, capolista bloccati, preferenze doppie per il secondo e il terzo, pluricandidature, quanto garantisce che il cittadino sia libero di fare un'effettiva scelta del proprio rappresentante ? Secondo me, poco. Questa è la mia risposta. Naturalmente, chiedo la risposta ai professori.
Cito un esempio per concretizzare il caso. Sono un elettore del collegio di Milano 1, voto in una scheda dove è scritto il nome di un capolista e aggiungo due mie preferenze nella stessa lista; succede che il mio partito, che malauguratamente non raggiunge il premio di maggioranza, elegga 50 dei 100 capilista che ha, magari candidati multipli: il mio voto, dato a una persona col nome stampato sulla scheda e a due che ho aggiunto con la preferenza, può tranquillamente tradursi nell'elezione di Caio, candidato al collegio Milano 2, di cui ignoro anche l'esistenza. Questo è il punto.
PRESIDENTE. Sta andando via il presidente Storace. Mi consentirete di ringraziarlo perché – forse pochi lo sanno – quando è stato ministro mi ha iniziato alla politica nominandomi commissario di un ospedale. È stata una grandissima esperienza. Quando si sta vicino alla gente che soffre, si ha soltanto da imparare.
GIUSEPPE LAURICELLA. Non farò un discorso articolato, che riserverò per la Commissione, ma mi limiterò a fare dei salti prendendo spunto proprio dalle considerazioni dei professori che ci hanno illustrato le loro posizioni.
Per quanto riguarda il tema del ballottaggio, potrebbero andare bene gli aggiustamenti e i quorum sia per la partecipazione sia per i voti espressi, ma mi chiedo, anche per una ragione egoistica dal punto di vista del partito cui appartengo, se non sarebbe il caso forse di eliminare il ballottaggio e aggiudicarsi il premio qualora si raggiunga il 40 per cento al primo turno. Diversamente, il ballottaggio aprirebbe a «rischi imponderabili».
Come avviene, d'altronde, nell'esperienza delle amministrazioni locali, il ballottaggio è un'altra partita, che non riguarda più quelle stesse espressioni che invece abbiamo avuto al primo turno. In un contesto come il nostro, il ballottaggio potrebbe addirittura attrarre al secondo turno il voto di una buona fetta di coloro che si astengono al primo turno proprio per il «piacere» di votare contro il sistema. Oggi, il sistema è rappresentato dal Partito Democratico, dal centrosinistra e così via.Pag. 39
Come dice anche il professor Zaccaria, se non si dovesse neanche in quel modo, con gli aggiustamenti dei quorum, arrivare a una conclusione, la soluzione sarebbe un Governo di coalizione distribuito sulla base del proporzionale. Potremmo allora evitare tutto questo e arrivare a una soluzione forse anche più democratica da questo punto di vista. Se vogliamo mantenere la percentuale per la soglia per il premio di maggioranza, facciamolo, ma nel momento in cui la si raggiunge, altrimenti si apre a un Governo di coalizione. Questa è una prima considerazione.
Per quanto riguarda il numero dei collegi, tornando ancora a un'osservazione del professor Zaccaria, mi permetterei di vederla in maniera contraria. Così com’è, la formulazione del sistema ha un candidato bloccato e gli altri con le preferenze. Relativamente a queste ultime, stiamo parlando di liste ragionevolmente di sei o sette candidature. È già così. In un'ipotetica simulazione, qualora avessimo i numeri che oggi sembrano riscontrarsi nei sondaggi, solo il Partito Democratico eleggerebbe il capolista bloccato più uno o due vincendo col premio di maggioranza.
Cosa succederebbe, invece, in liste ancora più piccole ? Aumentando il numero dei collegi, infatti, ovviamente diminuirebbe il numero dei candidati.
Allora, bisogna chiarire quest'aspetto. Se lasciamo il capolista bloccato e poi rimane un margine ristrettissimo per le preferenze, a quel punto facciamoli tutti bloccati e forse è meglio. Questa è una prima provocazione. Al contrario, se vogliamo lasciare il candidato bloccato, ampliamo le liste, diminuendo il numero dei collegi. Questa è un'altra ipotesi.
Ancora, sulle pluricandidature la Corte costituzionale si è espressa in maniera chiara, dichiarandole incostituzionali. Ora, il sistema di cui stiamo discutendo lo ha previsto nel limite dei dieci collegi. Sono d'accordo, qualora si dovessero lasciare, qualora non dovessero esserci dubbi di costituzionalità, nel presentare emendamenti: al Senato, per esempio, era stato presentato un emendamento correttivo per evitare, sostanzialmente, la discrezionalità di chi vince di scegliere chi far entrare alla Camera; quindi avere un automatismo nel senso di assegnare il collegio laddove il secondo avesse acquisito voti di preferenza percentualmente minori rispetto agli altri in cui c'era da optare.
Oggi, senza correttivo, pur avendo il primo dei non eletti in queste liste, soprattutto in quelle più piccole, preso 30.000 voti, può verificarsi paradossalmente che il capolista, optando per un certo collegio, avvantaggi magari un altro candidato, che invece come primo dei non eletti ha preso 3.000 voti. Non mi sembra corretto dal punto di vista dello sforzo e del consenso ricevuto all'interno della competizione elettorale.
Infine, quanto al premio di lista o alla coalizione – mi riferisco ancora al professor Barbera – non l'argomento trattato qui, ma quello trattato sul piano politico mi sembra un po’ di lana caprina, nel senso di andare a cercare, qui sì, il pelo nell'uovo. Se dovesse rimanere il sistema con il premio alla lista, nulla vieterebbe a qualsiasi forza di coalizzarsi e presentarsi in un'unica lista, quindi aggirando in qualche modo l'ostacolo della mancanza della coalizione, e quindi del premio alla coalizione.
GIOVANNI CUPERLO. Anzitutto vorrei esprimere il mio ringraziamento agli esperti che abbiamo ascoltato questa mattina, per i contributi molto utili dal mio punto di vista e anche molto rigorosi che sono stati qui portati. Mi permetto solo di dire a margine che mi auguro che la mattinata, oltre che essere occasione preziosa di ascolto e approfondimento, possa anche avere una produttività dal punto di vista della sua ricaduta. Se l'approccio rimane quello che tende ad ascoltare tutte le voci, ma per non cambiare nulla, è evidente che rischiamo un po’ di trasformare una preziosa mattinata in un esercizio di retorica o di dottrina, mentre questa è una sede parlamentare che dovrebbe avere l'obiettivo di elaborare buone riforme.
Quanto al merito, sono state dette moltissime cose che secondo me andrebbero raccolte, da ultimo il professor Villone sull'accesso al ballottaggio senza soglia con Pag. 40gli effetti distorsivi che ha ricordato, prima di lui il professor Zaccaria quando ha posto il tema di un tetto percentuale ai parlamentari nominati e si è soffermato sulle candidature plurime, il ballottaggio e l'apparentamento. Non voglio fare adesso l'elenco, ma è solo per dire quanti spunti sono venuti dalle relazioni di stamane.
Un aspetto, però, mi ha colpito e ho chiesto la parola solamente in relazione a questo: il passaggio iniziale dell'intervento, come sempre lucido ed estremamente puntuale, del professor Barbera. All'inizio della sua breve ma molto puntuale relazione, il professor Barbera ha teso a indicare quelle che a suo avviso sono alcune criticità di questo testo di legge, anche se a premessa ha auspicato un'approvazione rapida e senza modifiche di questo testo così come oggi è, motivando quest'esigenza con la necessità di evitare, di prevenire un'ulteriore – mi correggerà se ho interpretato male, mi pare di ricordare che questa fosse l'espressione – grave perdita di credibilità da parte delle istituzioni.
Siccome è stato il professore a sollevare la questione in certi termini, mi permetto di rivolgermi a lui con una questione specifica, anche se un po’ laterale rispetto alla dinamica più di merito del testo, ma comunque abbastanza conseguente. La scadenza naturale, formale di questa legislatura è fissata al 2018 ed è stata più volte richiamata come da rispettare da parte del Presidente del Consiglio nonché segretario del primo partito oggi del Paese: quale logica porta a sostenere, in questo caso non esponenti del Governo che siedono al banco della presidenza di questa Commissione, ma un autorevolissimo esperto che siede di fronte a noi, che la legge va approvata così o si azzera tutto e si compie un balzo nel vuoto ?
Perché evitare che la Camera, nel passaggio a cui è chiamata nelle prossime settimane, possa apportare delle correzioni migliorative a questo testo, prevedendo nelle settimane e nei mesi successivi un ultimo passaggio al Senato teso a migliorare questa proposta di legge, questa riforma ? Perché quest'ultimo passaggio dovrebbe compromettere il traguardo conclusivo ? Mi permetto solo di aggiungere che tanto più oggi la legge sarebbe approvata ragionevolmente dall'Aula della Camera senza il contributo delle opposizioni e, come si evince anche dall'ascolto di questa mattinata, con alcuni dubbi interni alla stessa maggioranza che sostiene oggi il Governo e la riforma.
Non è stato detto qui, ma lo riporto, riferendomi a polemiche di questi giorni, che a cercare la perfezione non si arriva mai in fondo. È vero, ma mi pare di capire che qui vi sono delle criticità molto serie che personalità assai autorevoli hanno segnalato. Credo che dovremmo affrontare queste criticità avendo tutto il modo e il tempo per poterlo fare. Cosa lo impedisce alla luce delle condizioni nelle quali ci troviamo ?
Infine, arrivando alla questione più di merito, il professor Barbera concludeva il suo intervento riferendosi alla possibilità di giungere a un voto differenziato alla Camera dei deputati con l’Italicum e al Senato con il testo uscito dalla sentenza n. 1 del 2014 della Consulta. Chiedeva perché e dove vi sarebbe una presunta incostituzionalità da questo punto di vista.
Vorrei chiedergli se, avendo anche lui ascoltato stamane il primo intervento del professor Luciani, non ritenga che quest'elemento di incostituzionalità potrebbe esserci nel cosiddetto «premio sine causa» assegnato alla Camera dei deputati in caso di una maggioranza di segno politico diverso che dovesse emergere dal voto al Senato; se, inoltre, al netto delle considerazioni più politiche che mi sono permesso di fare, lo giudichi o meno un problema.
PRESIDENTE. Chiedo scusa ai nostri ospiti, ma il gruppo di Forza Italia ha una riunione alle 12.30 alla quale non posso non partecipare; quindi pregherei la vicepresidente Agostini di sostituirmi.
PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE ROBERTA AGOSTINI
ALFREDO D'ATTORRE. Mi associo anch'io sia alla valutazione del collega Cuperlo Pag. 41sull'utilità di queste audizioni, per la parte che ho potuto ascoltare, sia per l'auspicio che esse possano lasciare una qualche traccia e incidenza nel nostro lavoro e nelle nostre decisioni parlamentari.
Sarò molto breve. Condivido molte delle osservazioni che ho sentito nel corso degli interventi, a partire da quello del collega Lattuca. Vorrei soffermarmi su un solo aspetto in relazione all'intervento del professor Barbera. Nel suo intervento il professor D'Alimonte – a cui riconosco, anche nel dissenso che ho con lui sulla valutazione di questa legge elettorale, una dose di onestà intellettuale e di lucidità – ha detto che con questa legge elettorale di fatto si introduce l'elezione diretta del premier e si incide in maniera significativa e importante sulla legge di governo.
D'altra parte, come avrà visto, in questa legge elettorale torna il concetto di capo, presente già nel Porcellum come capo della coalizione, che poi era strato fortunatamente espunto nella prima versione dell’Italicum e che adesso, invece, torna. Le liste indicano il proprio capo e quel capo è, evidentemente, il candidato alla Presidenza del Consiglio, tanto che poi c’è un richiamo abbastanza di maniera che fa salvi i poteri del Presidente della Repubblica, con riferimento alla norma dell'articolo 92 della Costituzione. È evidente che stiamo discutendo di una modifica di rango costituzionale dal punto di vista sostanziale, con tutto ciò che naturalmente ne consegue in ordine anche ai caratteri che dovrebbe avere il nostro dibattito parlamentare, la libertà e l'autonomia di valutazione anche dei singoli parlamentari.
La questione che, però, vorrei porle è questa. Obiettivamente, il tipo di premierato introdotto è qualcosa di assolutamente inedito nel quadro delle democrazie occidentali. Trovo abbastanza sorprendente il parallelo che lei, professor Barbera, ha fatto con il parlamentarismo britannico. È vero che lì il Parlamento è eletto su base maggioritaria, ma in primo luogo i cittadini eleggono i parlamentari con un voto maggioritario nei singoli collegi, come sottolineato dal professor Villone, senza alcun meccanismo distorsivo che opera in un collegio unico nazionale.
In secondo luogo, il funzionamento di quel sistema rimane integralmente nei canoni del parlamentarismo: non un'elezione diretta del capo dell'esecutivo, sostanzialmente inamovibile, ma l'elezione di un Parlamento, anche con un meccanismo fortemente maggioritario, in cui il Parlamento ha sempre la facoltà di rivedere il proprio rapporto fiduciario con il Governo e, all'occorrenza, come è accaduto, anche di determinare un cambiamento della guida politica nell'ambito della stessa legislatura. In alternativa, come è accaduto l'ultima volta, si dà al Parlamento la possibilità di costruire delle coalizioni dopo il voto.
L'esempio britannico ci dice, cioè, che anche la torsione più maggioritaria che si può dare a una legge elettorale nell'ambito di un sistema parlamentare deve far salva la possibilità del Parlamento di decidere della formazione, della fine dei Governi e di chi guida quel Governo. Qui siamo dentro un ibrido, in cui di fatto vi è l'assunzione del principio presidenziale, cioè l'elezione diretta del capo dell'esecutivo, senza che l'elemento di contrappeso essenziale di regimi presidenziali, ossia un Parlamento eletto con una base di legittimazione autonoma e distinta rispetto a quella del capo dell'esecutivo, sia garantito.
Questo ibrido, a giudizio di molti, determina un presidenzialismo surrettizio, mascherato, di fatto privo di contrappesi e tale da sbilanciare, in maniera non accettabile, il rapporto tra Parlamento e Governo, con una legge elettorale che configura sostanzialmente un tipo di impianto non compatibile con i fondamenti del regime parlamentare.
MARA MUCCI. Si è parlato tanto di ballottaggio, di numeri e di impostare delle soglie per legittimare il premio di maggioranza che verrà attribuito in seguito al ballottaggio. Si è parlato anche di impostare una soglia in ingresso al ballottaggio, ma su questo aspetto ho alcuni dubbi.Pag. 42
Se infatti impostassimo un livello abbastanza elevato per legittimare il premio di maggioranza, immagino che si potrebbe stabilire una soglia del 25 per cento, visto che si dice che potenzialmente anche chi accede al ballottaggio con un risultato del 15 per cento può vincere il ballottaggio stesso, acquisire un premio di maggioranza e quindi avere un largo consenso che in teoria non sarebbe nelle sue corde. Tuttavia, se impostassimo una soglia per l'ingresso al ballottaggio del 25 per cento, potrebbe anche darsi che un solo partito raggiunga questa soglia, e non due. In questo caso, allora, come faccio a superare il livello del ballottaggio ?
Forse mi è venuto un dubbio non consistente, però bisognerà introdurre una soglia in ingresso, se proprio vogliamo farlo, che sia bassa, anche per consentire a due partiti di partecipare al ballottaggio. Posto che stiamo parlando sempre di ballottaggio, se vogliamo impostare una soglia in ingresso che legittimi il premio di maggioranza, difficilmente si potrà procedere e a questo punto resta il tema dell'affluenza in sede di ballottaggio.
Mi chiedo cosa pensiate in merito.
EMANUELE FIANO. Mi scuso, ma sono dovuto intervenire in un'altra discussione e non ho sentito tutti gli interventi.
In generale, anche sulla base di alcune domande formulate dagli ultimi autorevoli colleghi del mio gruppo che hanno parlato, suggerisco, o considero perlomeno, che si debba distinguere tra certezza scientifica e opportunità politica di alcune scelte.
Nella mattina di oggi ho sentito esprimere opinioni molto significative, alcune favorevoli e alcune contrarie al testo in esame, le quali insistono su aspetti opinabili, sui quali la storia si pronuncerà. Penso a un punto sollevato dal professor Luciani – mi dispiace che non sia presente, ma avremo altre occasioni per parlarne – sulla questione certamente importante, che ha ripreso anche il collega Giorgis, se non vado errato, dell'affluenza al secondo turno e quindi della potenzialità di rappresentanza nel secondo decisivo turno di scelta, qualora nessuna lista raggiunga il 40 per cento.
È una scelta di opportunità politica quella che porta a dire alcuni di noi, quelli che considerano buono questo testo, che la scelta affidata agli elettori al secondo turno abbia una certa valenza. Oltre all'opinione espressa dal professor Luciani nella prima parte di queste audizioni, il professor D'Alimonte faceva esempi di altri sistemi elettorali, nei quali l'affluenza è maggiore al secondo turno, vista la considerazione che una parte di elettori farà, circa il fatto che quel secondo turno è decisivo, a prescindere dalla scelta di prima istanza che gli stessi avevano fatto su partiti che magari non partecipano al secondo turno. Insomma, è un argomento certamente molto degno di nota, che però poggia su delle basi la cui certezza non esiste.
L'aspetto più rilevante è stato toccato dal collega D'Attorre, sulla base di una frase del professor D'Alimonte, detta nel suo secondo intervento. Non penso che sia giusto dire che cambia la forma di governo, perché il cambiamento reale della forma di governo deve essere codificato.
Qui voi state dicendo – non so se sia incluso anche il professor D'Alimonte, che poi non ha specificato la portata della sua frase – che l'affidamento che questo sistema elettorale fa ad un'unica compagine maggioritaria, coesa, di una lista, conferisce (mi pare che fossero le ultime parole del collega D'Attorre e in questo consiste la mia domanda finale, che rivolgo al professor Barbera) una sorta di mandato inossidabile, nel quale altra dinamica parlamentare non può intervenire, per cui il leader della lista che vince e ottiene la maggioranza assoluta al Parlamento si configura, per la nostra Repubblica, come una nuova forma di governo, nella quale l'aspetto parlamentare di quella forma di governo non è più esistente. Tuttavia, questo non è vero. Lo dimostrano gli ultimi decenni di vita del nostro Parlamento.
Certo, stiamo parlando di liste, ma sappiamo che le stesse possono essere Pag. 43composite e lo saranno, come accade sempre nella vicenda politico-elettorale italiana. Non è vero che la coesione di una lista che raggiunge la sua maggioranza assoluta, conferendo al leader di quel partito, o di quella lista, la possibilità di governare si configuri esattamente come una nuova forma di governo extra parlamentare.
La dinamica parlamentare rimane tutta. Quanti esempi abbiamo negli ultimi anni che compagini molto coese, in cui quasi un solo partito aveva la garanzia dalla maggioranza – ovviamente parlo di un'altra legge elettorale, quella con cui sono stati eletti gli ultimi tre Parlamenti –, non hanno affatto dimostrato che il governo di quella legislatura era dato per sempre ? Insomma, secondo me non è vero. C’è un vizio nel ragionamento. Non stiamo cambiando la forma di governo. Capisco che il combinato disposto astratto della sovrapposizione della riforma costituzionale e della legge elettorale possa essere indirizzato in quel disegno, ma non è così. Non è cambiata la forma di governo.
Non è neanche vero – mi corregga di nuovo, la domanda va al professor Barbera – come ho sentito dire da altri tra cui il collega Lattuca, ma magari mi sbaglio, che abbiamo eliminato dei contrappesi.
Ovviamente devo parlare nel combinato disposto tra legge elettorale e riforma costituzionale, che non è stata ancora approvata, ma qualora venisse approvata, non è vero che sono stati eliminati dei contrappesi e degli enti di garanzia e controllo. Anzi, nella riforma costituzionale, se verrà approvata, quegli enti di garanzia e controllo parlamentare, di giudizio extra parlamentare – la funzione del Presidente della Repubblica e la sua modalità elettiva, la funzione della Corte costituzionale e la sua modalità elettiva – rimangono, al di là del premio maggioritario, quindi al di là della compagine che si è costituita con il premio maggioritario, elementi di garanzia e controllo che sono extra le possibilità della maggioranza che si è configurata.
Penso che la mattinata di oggi – mi dispiace non aver potuto ascoltare tutto, ma parlo per le parti che ho ascoltato – abbia presentato punti di vista tutti autorevoli, anche diversi tra loro. Se la mattinata di oggi fosse stata univoca, capirei che qualcuno dicesse che il distillato di quanto detto è che dobbiamo andare in una determinata direzione di cambiamento. In realtà, oggi vi è stata la sovrapposizione di opinioni diverse tra di loro, molto autorevoli, sulle quali certamente riflettere e molto significanti, ma non univoche.
PINO PISICCHIO. Aggiungerò solo qualche brevissima battuta, anche perché devo chiedere scusa ai nostri ospiti. Non sono riuscito ad ascoltarli tutti. Tuttavia, vorrei consegnare, perché credo che questo sia il senso di queste audizioni, un punto di domanda; altrimenti, come è stato già osservato, entriamo nel dibattito politico, che invece sarà riservato ad una sede diversa, dialogica, all'interno della Commissione.
Abbiamo di fronte, illustri ospiti, un impianto della formula elettorale, denominato Italicum che viene presentato alla Camera in una veste del tutto diversa da quella che abbiamo valutato e votato lo scorso anno. Quindi, è come se avessimo un impatto originario, il primo impatto, con un Italicum - uso il termine che è stato mediatizzato – totalmente altro rispetto a quello votato lo scorso anno.
Per rendercene conto, basta far riferimento ad un aspetto: l’Italicum 1 si reggeva sull'impianto coalizionale, il che evidentemente ha un suo significato dirimente, mentre l’Italicum 2 regge sull'impianto di lista, quindi dà il premio alla lista. Mi pare evidente che anche solo questo aspetto sia tale da rendere completamente diverse le formule elettorali che predispongono il passo successivo della rappresentanza.
Tra gli aspetti che la Commissione affari costituzionali prima e l'Aula poi si troveranno a valutare – è evidente che tutto questo lavoro trae origine da un documento stringente, concreto, ossia la Pag. 44sentenza della Corte costituzionale del gennaio 2014 –, vi è la verifica della compatibilità dell’Italicum 2 con l'impianto della sentenza della Corte costituzionale. Del resto, è questo il motivo per cui è stato messo in campo un articolato marchingegno, appunto definito Italicum.
Questa mattina – mi è parso di capire – sono state esposte diverse ragioni di criticità che suggerirebbero un approfondimento ed un percorso migliorativo, dunque fuori dalle valutazioni politiche, per stabilire se questo sia davvero il momento finale, perché per qualche ragione la pubblica opinione potrebbe non gradire un percorso di approfondimento; oppure se debba essere sviluppato un percorso di modifica, volto a creare le condizioni ottimali, o comunque le più condivise, visto che si tratta della regola del gioco di tutti. Come è stato più volte sottolineato, infatti, è evidente che la legge elettorale non è espressione di una maggioranza, ma deve essere la regola del gioco di tutto il Parlamento.
In questo quadro, mi sentirei di porre una domanda ai nostri esperti, al netto delle valutazioni politiche. Sul piano della compatibilità dell’Italicum 2 con la sentenza della Corte costituzionale, che valutazione viene fatta rispetto alla questione delle candidature plurime, che vengono considerate elemento non compatibile nell'ambito delle valutazioni che fa la Corte costituzionale, con un'accettabile possibilità di individuare le candidature e quindi il rappresentante ?
GENNARO MIGLIORE, Relatore. Innanzitutto ringrazio gli esperti per i preziosi contributi.
Mi limiterò a fare delle domande per quanto possibile circoscritte, visto che molti dei contributi venuti dagli altri colleghi – penso per esempio a quello del collega Fiano – mi trovano concorde sul piano del ragionamento.
La prima domanda riguarda la questione del divieto di apparentamento. Ho colto, dai vari interventi, che si tratta di una scelta di opportunità politica che non ha nessun pregiudizio rispetto alla possibilità di essere considerata incostituzionale. Peraltro, voglio dire a coloro i quali sostengono che si può aggirare questa esigenza attraverso una lista composita, che ciò rientra nell'ambito di una volontà politica e che quindi è una scelta che viene rimessa al Parlamento.
Preciso poi la domanda che ho posto prima al professor Luciani, perché ritengo che possa essere formulato un emendamento in questo senso. Ritenendo che è preferibile attribuire il premio alla lista, la previsione di una coalizione non incorre in un maggiore rischio di incostituzionalità, per l'effetto che ci possano essere partiti sotto soglia che contribuiscono a fornire i voti necessari a dare eletti ad un altro partito, che è quello sopra soglia, nel caso in cui si raggiunga il premio di maggioranza ? Questa è una domanda precisa, di legittimità.
Chiedo se questa previsione può essere configurata. All'epoca dell’Italicum 1, infatti, si discusse per stabilire se fosse costituzionale il fatto che per raggiungere il premio di maggioranza valessero anche i contributi dei partiti sotto soglia che non avevano rappresentanza, ma trasferivano la volontà dell'elettore addirittura ad un altro partito. Qui si è parlato di slittamento tra circoscrizioni e collegi, figuriamoci tra partiti. La coalizione, dunque, presenta un maggiore rischio di incostituzionalità in questo senso ?
La seconda domanda riguarda la soglia di accesso dei partecipanti, se capisco bene, per il ballottaggio. Si dice che se non partecipa un numero sufficiente di persone al secondo turno, si ripassa al regime proporzionale, perché non viene attribuito il premio di maggioranza.
In proposito, faccio una considerazione con riferimento al comportamento che deve tenere l'elettore e al rapporto che la legge prevede nei confronti dell'elettore. Prima di tutto, penso che sia consolidata la volontà di essere pienamente in un sistema maggioritario, come confermato dai referendum popolari, e che qui sostanzialmente non è stata messa in discussione, se non en passant.Pag. 45
Nel momento in cui si determinasse un voto al secondo turno con una soglia di accesso per la partecipazione, si potrebbe avere il caso per cui c’è un elettore che pensa di partecipare ad una competizione maggioritaria e un altro elettore che non partecipa, e non è che semplicemente sceglie un candidato piuttosto che un altro, o un programma politico al posto di un altro, ma sceglie addirittura il sistema elettorale, perché la mancata partecipazione, il mancato raggiungimento di un quorum, addirittura modificherebbe il sistema elettorale.
È trasparente nei confronti dell'elettore, è leggibile – e reggibile – dal punto di vista costituzionale che la partecipazione o meno ad un voto in una legge elettorale preveda la modificazione del sistema elettorale, passando da un sistema maggioritario a uno proporzionale ? Sinceramente ho dei dubbi su questo punto ed è per questo motivo che ritengo che la campagna per l'astensionismo, in questo caso, non renderebbe nullo l'effetto, come accade nel caso dei referendum abrogativi, ma addirittura prevede un altro tipo di impianto di rappresentanza.
Questo non corrisponderebbe ad una uguaglianza da parte dei cittadini nel partecipare o meno alla competizione elettorale, perché non sarebbe più fissato il sistema, ma sarebbe semplicemente messa in ordine la possibilità di passare da un sistema maggioritario a uno proporzionale.
PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica, iniziando dal professor Zaccaria, che ha fatto presente di avere problemi di tempo.
ROBERTO ZACCARIA, già Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Firenze. Chiedo scusa ai colleghi. Comunque, rispondo rapidamente per non togliere tempo agli altri interventi.
Sulla questione della forma di governo codificata, di cui parlava l'onorevole Fiano, ahimè le cose non stanno proprio così. La forma di governo scaturisce da una serie di elementi di Costituzione sostanziale e materiale. Durante il fascismo, quando c'era lo Statuto Albertino, si sono aggiunti la legge Acerbo e il Gran Consiglio del fascismo, che non erano in Costituzione, ma che pure hanno influito sul modello di forma di governo. Questo è un caso di scuola, però scordiamoci di pensare che la forma di governo la si decide con un compitino, poiché questa deriva da una serie di fattori complementari, compresi l'assetto dei partiti e il regime dell'informazione.
Per quanto riguarda il discorso della soglia, giustamente le domande toccano molto questo punto. Ci interroghiamo per sapere se l'ossequio alla Corte costituzionale, che scaturisce dall'avere portato il 35 per cento, al 37 e poi al 40 per cento per il primo turno, sia sufficiente, visto che, come dicevano i colleghi Villone e Luciani, il secondo turno è una partita autonoma, in qualche modo.
Il rischio reale è quello di cui ha parlato Onida, così come Scalfari l'altro giorno, ma anche De Gasperi, il quale ha affermato che non si sarebbe mai sognato di avere un premio di maggioranza, senza avere la maggioranza.
Il professor Luciani ha parlato di un quorum di partecipazione; io credo che ci vorrebbero eventualmente dei quorum omogenei. Come al primo turno l'avevamo posto al 40 per cento dei voti, così al secondo turno potremmo porlo al 45 per cento dei voti. Non è la maggioranza che avrebbe voluto De Gasperi, ma almeno è una maggioranza che garantisce dei passi in avanti; è un adattamento, ma è una soglia.
Dico questo nel vostro interesse, perché se la Corte non si ritrova nelle cose che ha detto, il rischio è per tutti. Pensiamo con terrore al fatto che la Corte debba intervenire una seconda volta.
Rapidamente, mi riferisco all'intervento fatto da ultimo dall'onorevole Lauricella, ma anche da altri, tra cui l'onorevole Pisicchio, sulle pluricandidature. In merito, insisto su un dato. Parlando di collegi che devono essere più piccoli, ho citato prima – e non ve le ripeto – le testuali Pag. 46parole della Corte che si riferisce a collegi molto piccoli, perché ci deve essere la possibilità della conoscenza; e io vi dico anche perché si risparmia sulle spese elettorali.
L'onorevole Lauricella obietta che se si tengono i nominati non è possibile procedere in una certa direzione, ma infatti l'emendamento che ho inserito come esercitazione, a corredo dell'intervento di stamane, che non ho illustrato, è stato difficile da costruire, soprattutto dopo le due deliberazioni Camera e Senato e il consolidamento di alcune parti.
Ad ogni modo, l'emendamento è un'esercitazione, quindi ogni parlamentare lo può utilizzare o meno, e sostanzialmente sostiene che occorrono collegi più piccoli – i cento collegi sono una realtà anacronistica nel nostro sistema costituzionale ed elettorale – e naturalmente la riduzione del numero dei nominati, che io porto al 20 per cento. Naturalmente, si può spostare al 30 per cento, ma si garantisce che il 50 più 1 per cento della Camera deputati non sia fatta dai nominati, con questo emendamento.
In più, mi dà un meccanismo oggettivo di soluzione delle pluricandidature. Ne è stato citato uno collegato alle preferenze; io ne indico un altro collegato a un meccanismo che non lascia discrezionalità alle pluricandidature. Vengono assegnate direttamente prima, in relazione al numero dei voti che ha riportato quella lista, al miglior risultato di quella lista. Quindi, si toglie discrezionalità. È un pannicello caldo, ma almeno serve per evitare possibili e più forti obiezioni.
AUGUSTO BARBERA, Professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università di Bologna. Probabilmente devo farmi perdonare l'iniziale invito ad approvare il testo così come è, ma voglio spiegare perché l'ho fatto. I motivi sono due. Intanto, vi è la passione politica, preoccupato per l'immagine di inconcludenza possibile che viene data all'elettorato. Non dobbiamo dimenticare che molti dei voti dati a taluni partiti, o le astensioni, erano espressione di questa sensazione dell'elettorato.
Inoltre, devo confessare un'altra cosa, ossia che è un problema di deontologia professionale. È una polemica interna all'associazione dei costituzionalisti che spesso – ed è una cosa che mi irrita fortemente – nascondiamo le nostre legittime preferenze politiche dietro richiami alla Costituzione e alla Corte costituzionale. Questo succede e secondo me è sbagliato, anche deontologicamente.
Questa legge s'ha da approvare o non s'ha da approvare, con tanti richiami alla Corte costituzionale e così via. Quindi, ho voluto subito, fin dall'inizio, per motivi di chiarezza e senza infingimenti, dire qual è la mia posizione. Tutto ciò premesso, è chiaro che si tratta di una scelta politica che va fatta politicamente.
Aggiungo un breve accenno ai problemi di opportunità politica. A me non piace che il leader di un partito, dei partiti minori, decida chi deve essere eletto sulla base delle sue opzioni. La trovo una cosa sgradevole, accaduta tante volte.
Si potrebbe porre rimedio a questo, per esempio prevedendo una sorta di automaticità, per cui chi è eletto in più candidature deve optare per un determinato collegio. Del resto, ci può essere il miglior perdente, chi ha avuto la maggiore percentuale che può anche avere dei diritti in merito e questo potrebbe essere un aspetto da cambiare.
Cambiare invece, come qualcuno ha detto in questa sede, il sistema della pluralità delle candidature significa, da un punto di vista politico – dico espressamente politico e non mi appello alla Costituzione –, ridurre ulteriormente la base di sostegno a questo progetto di legge. Al Senato aveva una base molto più larga per via del famoso, o famigerato, «Patto del Nazareno».
Adesso è rimasta soltanto l'attuale maggioranza. Dunque, andare a cambiare questo aspetto, sapendo che ci sono alcuni partiti che sostengono questo testo e che la maggioranza lo ritiene un punto importante, secondo me sarebbe politicamente Pag. 47sbagliato. Non c'entra nulla la Costituzione. Semmai si potrebbe fare il correttivo di cui parlavo prima.
Vengo ora alle domande dell'onorevole Cuperlo. Forse non sono stato chiaro quando dicevo che se non si dovesse arrivare in tempo con la riforma costituzionale nel 2018, per avere la sola Camera che dà la fiducia, e si dovesse votare anche per il Senato, con il Consultellum, avremmo una situazione certamente non desiderabile. Sarebbe ai limiti del grottesco se vogliamo, ma non c'entra nulla la Costituzione, la quale, anzi, aveva voluto che il Senato durasse sei anni e la Camera cinque anni; che il Senato fosse eletto – Ruini – con il metodo uninominale e la Camera con il proporzionale. Solo Dossetti riuscì a correggere questa anomalia prevedendo che il Collegio nominale del Senato scattasse soltanto con il 65 per cento dei voti, ma questo aveva voluto il costituente.
Era sbagliato. Lo si sta correggendo con il superamento del bicameralismo paritario, ma non richiamerei la Costituzione, quanto piuttosto l'opportunità, il senso del ridicolo, se volete. Ad ogni modo, non c'entra nulla la Costituzione.
Passo al terzo punto, ossia il coming out del professor D'Alimonte, il quale ha usato un'espressione sbagliata, quale quella di elezione diretta del Primo Ministro. Se l'avesse sostituita con quella di legittimazione politica diretta del Primo Ministro, si sarebbe mantenuto all'interno delle maggiori democrazie europee – lo dico anche per l'onorevole D'Attorre – che prevedono, con altri sistemi elettorali, una democrazia di investitura. Vale a dire che quando i cittadini vanno a votare non scelgono solo un partito, ma anche un programma, un orientamento e via dicendo. Sono democrazie di investitura, con altri sistemi elettorali e senza il premio di maggioranza.
Ad ogni modo, l'argomento su cui abbiamo discusso – ed ecco l'inconcludenza di tutti noi, forse – fin dall'inizio degli anni Novanta, dai tempi dei referendum elettorali, qual era ? Abbiamo sempre detto – lo ha detto l'Ulivo tra l'altro, lo richiamo per chi fosse interessato a questa archeologia politica – che non possiamo importare i partiti inglesi, né il sistema tedesco che tende al bipartitismo, né il sistema spagnolo. Dunque, dobbiamo trovare, attraverso il sistema elettorale, il modo per passare da una democrazia di tipo assembleare a una democrazia di investitura.
Non si vuole una democrazia di investitura, ma un altro tipo di democrazia ? Benissimo. È una scelta politica importante, però non si può dire che questo avvenga all'improvviso. Ricordo benissimo che Rutelli, allora leader della formazione di centrosinistra, fece una scelta discutibile, ma comunque mise il suo simbolo, il suo nome, costringendo anche Berlusconi a farlo – non è stato viceversa – nella coalizione che concorreva per le elezioni del 2001. Tutto questo provoca incidenze sulla forma di governo. Come diceva Zaccaria molto bene, la forma di governo non è solo il frutto di norme costituzionali, ma è frutto dei vari equilibri che si mettono insieme, tra cui anche la legge elettorale.
Quanto alla necessità di contrappesi, l'ho detto prima e forse è opportuno che lo ripeta, non capisco quali altri contrappesi dobbiamo trovare in Italia. Ce ne sono tantissimi. Gli unici contrappesi che mancano – prima citavo il sistema inglese che non ha affatto i contrappesi italiani: non ha la Corte costituzionale, né i referendum abrogativi, né il Capo dello Stato come il nostro – sono quelli della garanzia per l'opposizione. Fermo restando che maggioranza e Governo devono essere investiti insieme di un mandato, c’è un problema per l'opposizione; e questo lo si può affrontare nelle sedi opportune, compresi i Regolamenti parlamentari.
Vengo al problema delle preferenze. Non ho toccato questo aspetto, però nel dibattito politico italiano non si può passare dalle preferenze come male assoluto, alle preferenze come bene assoluto. Ci sono vantaggi e svantaggi nel sistema delle preferenze.
Per i capilista nominati – aiutatemi a ricordare, è una domanda vera –, nella Pag. 48cosiddetta Prima Repubblica, con il sistema proporzionale, ci sono mai stati dei capilista non eletti ?
È successo qualche volta, ma il capolista aveva quella rendita di posizione perché la direzione del partito lo nominava come capolista.
Intendiamoci, non è un sistema che mi piace. Le preferenze non mi sono mai piaciute. Sono stato uno di quelli che hanno sostenuto il referendum del 9 giugno nel 1991, però secondo me non viene considerato esattamente l'articolo 416-ter del codice penale, approvato dal Senato nella scorsa primavera, ossia il voto di scambio politico elettorale. La ricerca delle preferenze, nelle forme tradizionali in cui avveniva, ma può darsi che nel futuro cambi, può anche attivare, eccitare, le procure della Repubblica.
Passo alle domande dell'onorevole Migliore sul divieto di apparentamento, o per meglio dire sul non dare un premio a liste apparentate. Come è stato messo in rilievo diverse volte, ci potrebbero essere delle liste di coalizione, ma questo significa avere una lista in cui il partito più forte ha una capacità di motivare la presenza in quella lista che non è la stessa della coalizione di lista. Sono due cose diverse.
Ebbene, il divieto di apparentamento è costituzionale o incostituzionale ? Secondo me è una scelta politica che può essere fatta, per il sì o per il no. Quando prima ho fatto riferimento a scelte che considero soddisfacenti, come il premio di maggioranza alla lista, lo facevo per un motivo molto semplice. È da anni, infatti, che diciamo che il sistema maggioritario porta a correzioni insincere, rabberciate, per poter vincere, ma non per poter governare.
Da un punto vista politico, si può fare una scelta diversa, cioè dare il voto alla lista. Se non piace, si fa un'altra scelta, ma la Costituzione non c'entra. Lo dico per qualche intervento di qualche mio collega. Non nascondiamoci dietro la Costituzione. L'una o l'altra cosa possono essere fatte, come dicevo all'inizio del mio intervento, con l'orgoglio della politica che deve decidere.
Come ha detto molto bene l'onorevole Lattuca, bisogna sapere quali possono essere le conseguenze di una scelta sbagliata, ma non bisogna farsi condizionare dalla Costituzione, né dalla Corte costituzionale, né tanto meno dai costituzionalisti.
Metterei sull'avviso, ma soltanto sul piano delle opportunità, quanti vogliono prevedere un quorum per il secondo turno. Non dimentichiamoci le manovre che sono state fatte con il referendum, perché c’è una naturale tendenza all'astensione da parte degli elettori che è normalissima; anzi, in Italia meno che in altri Paesi.
La conseguenza sarebbe che chi vuol far fallire il sistema finirebbe per aggiungere la propria astensione politica alla naturale astensione. È uno scenario già visto e mi meraviglio che sia stato riproposto.
VINCENZO TONDI DELLA MURA, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università del Salento. Intervengo su un solo profilo che riguarda la vicenda del quorum e tengo conto delle osservazioni del professor Barbera. Quanto al fatto che la Costituzione non c'entra, in parte è giusto quello che dice, nel senso che è un problema di deontologia e non si può usare a pretesto la Costituzione per mascherare le proprie opzioni politiche.
D'altra parte, è anche vero che un'audizione come quella di oggi, o come altre che sono state fatte, serve a evidenziare i profili di criticità per evitare che la Consulta bocci per una seconda volta una legge elettorale. Questo sì che sarebbe un danno imperdonabile, non solo di immagine, ma di credibilità delle istituzioni.
Quindi, i riferimenti che sono stati fatti verso la pronuncia della Consulta erano finalizzati a evitare un danno più grave di perdita di credibilità delle istituzioni, non ad usare la Costituzione come foglia di fico.
Per quanto riguarda la vicenda del quorum, per un verso è vera la preoccupazione del professor Barbera, ma è anche Pag. 49vero che diversamente il rischio è che vi sia un partito con un 25-30 per cento che a quel punto lucra il 25 per cento di premio. Questa non è una cosa da poco.
AUGUSTO BARBERA, Professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università di Bologna. Solo per capire: al secondo turno, essendo in due, uno supererà il 50 per cento.
VINCENZO TONDI DELLA MURA, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università del Salento. Ma non è vero.
Non è vero che in questo caso l'elettore modificherebbe la ratio del sistema elettorale, intanto perché questa, come è scritto all'inizio, è proporzionale. Si fa riferimento a un impianto proporzionale.
L'assenza del raggiungimento del quorum non annullerebbe le elezioni, ma attesterebbe il fatto che gli elettori non trovano un'offerta politica convincente nel partito di minoranza assoluta. In questo senso, non essendoci un gradimento verso nessun partito di minoranza assoluta, si tornerebbe ad una distribuzione.
Del resto, si parla del caso dell'Inghilterra, ma lì il premio viene dato alla maggioranza, non alla minoranza. Quindi, credo che debbano essere maggiormente calibrati i due profili.
LARA TRUCCO, Professoressa associata di diritto costituzionale presso l'Università di Genova. Desidero nuovamente puntualizzare che il mio intervento ha avuto come punto di riferimento (esclusivo) la giurisprudenza costituzionale: in quest'ottica non ho ragionato del sistema di elezione che ritengo più adeguato per il nostro ordinamento, ma dei principali meccanismi elettorali che caratterizzano l’Italicum, in rapporto, specialmente alla sentenza n. 1 del 2014. È, pertanto, su di una tale base che mi sento di dire che il testo ha subito migliorie sotto diversi profili rispetto alla prima versione. Come ho cercato di evidenziare, restano, peraltro, forti ed evidenti criticità, ma come abbiamo detto non esiste un sistema elettorale perfetto, anzi.
Tuttavia ritengo che la criticità più difficilmente superabile in un ipotetico sindacato di costituzionalità sia data dalla costruzione artificiosa della soglia, essendo (solo) attraverso la previsione legislativa del meccanismo del ballottaggio che vengono create le condizioni per l'acquisizione di almeno il 50 per cento dei voti (dato che al secondo turno di voto partecipano due sole forze politiche, le quali per forza di cose sono chiamate a spartirsi il 100 per cento dei voti) e l'ottenimento, conseguentemente – in ogni caso – del premio. Ma, ribadisco, come si fa a dire che c’è una soglia, quando il meccanismo premiale scatta sempre ? Ciò è quanto tenevo ad ulteriormente sottolineare. Vi ringrazio per l'attenzione.
MASSIMO VILLONE, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II. Credo che dobbiamo anzitutto una chiarificazione all'amico e collega Barbera al quale mi lega una lunghissima amicizia e un altrettanto lungo dissenso sulle questioni di diritto costituzionale. Penso che la legge non dovrebbe essere approvata perché è pessima, ed anche incostituzionale. Non copre proprio nulla l'argomento dell'incostituzionalità. È pessima di suo, e poi accade che sia anche incostituzionale.
Ieri, un autorevolissimo testimone, che non desidero nominare, ci ha detto che è stato un errore devastante abbandonare il Mattarellum; affermazione che leggo intendendo che, uscendo dal Porcellum, sarebbe stato meglio tornare al Mattarellum, piuttosto che passare all’Italicum.
Non capisco perché non si possa correggere quando la vigenza è al 2016. Mi sembra proprio una stranezza; tanto più che tutto questo non capita all'improvviso, ma deriva da errori di lunga data. Su questo ha ragione Augusto Barbera. È dall'inizio degli anni Novanta che abbiamo cominciato a sbagliare. Lui ovviamente sosteneva una tesi e io ne sostenevo un'altra, all'epoca, per arrivare all'esito che dicevano gli onorevoli Cuperlo e D'Attorre prima, per cui abbiamo un unicum.Pag. 50
Ciò che abbiamo messo in piedi è espressione di un provincialismo costituzionale terribile, che nessun altro ha – bisogna dirlo chiaro – perché assume di avere chi vince, al governo, la sera del voto, con una maggioranza parlamentare garantita. Eppure, nessun sistema può assicurarlo in maniera compatibile con i canoni della democrazia. Certamente non succede in Gran Bretagna, né in Francia, né in Germania, né in Spagna e nemmeno negli Stati Uniti, dove può accadere che sia eletto il Presidente, ma anche che si trovi con un Congresso di colore politico esattamente opposto.
Quindi, non succede e noi invece vogliamo che succeda con questi meccanismi artificiali. È chiaro che questo assunto sbagliato incide per forza sulla forma di governo che cambia anche con la legge elettorale, come dicono i costituzionalisti, a bassa maggioranza. Per molti è già cambiata, poi che funzioni o meno è un'altra questione.
Alcuni di coloro che hanno rilevato il cambiamento hanno anche avvertito dell'impossibilità di un funzionamento normale di quello che si sta mettendo in piedi, ma i sostenitori del cambiamento insistono.
Insomma, vi sono aspetti che palesemente non vanno bene. Quanto al divieto di apparentamento e all'ipotesi che vi sia o meno un aggravamento, ovviamente si crea una ulteriore distorsione tra le liste e i soggetti politici, a danno per esempio delle new entries che probabilmente hanno la migliore possibilità di entrare nella dialettica politica, appunto non uscendo direttamente in prima persona, in un sistema come quello che si mette in piedi che ingessa completamente sull'esistente il sistema politico; e questo è un danno ulteriore.
L'onorevole Migliore parlava del partito sotto soglia che dona il sangue a chi sta sopra la soglia; il che ovviamente non va bene. Che dubbio c’è ? È palesemente incostituzionale anche questo, ma la risposta è dare a ognuno il suo litro di sangue, mi sembra piuttosto ovvio, piuttosto che non creare artificiosi meccanismi.
Credo che vi sia una differenza di filosofia di fondo, che sta dividendo anche i costituzionalisti; su questo il professor Barbera ha assolutamente ragione.
Come si affrontano il cambiamento e la crisi in cui ci troviamo ? Con quale filosofia politica istituzionale che investe anche le scelte di riforma che si mettono in campo ? Ci sono due fedi, due filosofie, due filoni di pensiero, due convinzioni. Per una parte, secondo la convinzione di alcuni, si affrontano investendo sulla partecipazione e sulla rappresentanza; secondo altri invece si affrontano investendo sulla concentrazione di poteri su chi governa e sul principio che non debba essere disturbato il manovratore. Queste sono due filosofie alternative. C’è chi crede all'una e c’è chi crede all'altra. Io credo a quella che investe sulla partecipazione e sulla rappresentanza.
PRESIDENTE. Nel ringraziare gli intervenuti per la disponibilità manifestata, dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 13.30.