ALLEGATO 1
Schema di decreto legislativo recante codice del Terzo settore (Atto n. 417).
PROPOSTA DI RILIEVI DEL RELATORE
La VI Commissione Finanze della Camera dei deputati,
esaminato, ai sensi dell'articolo 96-ter, comma 4, del Regolamento, per gli aspetti di propria competenza, lo schema di decreto legislativo recante codice del Terzo settore (Atto n. 417);
rilevato come lo schema di decreto legislativo attua l'articolo 1, comma 2, lettera b) della legge delega n. 106 del 2016, provvedendo al riordino e alla revisione organica della disciplina speciale e delle altre disposizioni vigenti relative agli enti del Terzo settore, compresa la disciplina tributaria applicabile a tali enti, mediante la redazione di un apposito codice del Terzo settore;
evidenziato come detto codice intende configurarsi come uno strumento unitario, in grado di garantire la coerenza giuridica, logica e sistematica di tutte le componenti del Terzo settore;
sottolineato in particolare che il Titolo VI del provvedimento (artt. 45-54) disciplina l'istituzione ed il funzionamento a regime, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Registro unico nazionale del Terzo settore, suddiviso in specifiche sezioni, ciascuna delle quali è dedicata ad una delle categorie di enti definite dal Codice;
considerato che il Titolo VII (artt. 55-57) dispone dei rapporti degli enti del Terzo settore con gli enti pubblici, confermando di fondo la disciplina prevista a normativa vigente, salvo alcuni adattamenti conseguenti alla regolamentazione unitaria del settore. Il tema viene affrontato nelle diverse fasi in cui si possono concretizzare forme relazionali tra la pubblica amministrazione e gli enti del Terzo settore, dalla fase di programmazione, a quella di progettazione fino a quella di attuazione dell'intervento;
considerato, altresì, che il Titolo IX del provvedimento (artt. 77-78) disciplina i titoli di solidarietà degli enti del terzo settore, nonché le altre forme di finanza sociale, in particolare consentendo alle banche autorizzate ad operare in Italia di emettere obbligazioni e altri titoli aventi l'obiettivo di sostenere le attività istituzionali degli enti del Terzo settore e recando una specifica normativa in tema di social lending, per favorire la raccolta di capitale di rischio equiparando la tassazione di tali forme di investimento a quella prevista per i titoli di Stato;
tenuto conto che il Titolo X (artt. 79-89) dello schema di decreto disciplina il regime fiscale degli enti del Terzo settore, in attuazione della disposizione di delega di cui all'articolo 9, comma 1, della legge n. 106/1989, allo scopo di operare, una semplificazione ed armonizzazione, nel rispetto della normativa dell'Unione europea, del quadro legislativo attuale, caratterizzato da un'estrema frammentazione, con una pluralità di disposizioni che si sono stratificate nel tempo. Detto Titolo X, tra l'altro: individua dettagliati criteri per determinare la natura commerciale o non commerciale degli enti del Terzo settore, tenendo conto delle attività da essi svolte e delle modalità operative concretamente impiegate; introduce un regime fiscale opzionale Pag. 81per la determinazione del reddito d'impresa degli enti non commerciali del Terzo settore (vale a dire quegli enti che svolgono in via esclusiva o prevalente attività di interesse generale), basato sui coefficienti di redditività, ossia una percentuale variabile che si applica al reddito imponibile su cui viene poi calcolata l'imposta. Inoltre si prevede un credito d'imposta per coloro che effettuano erogazioni liberali in denaro a favore degli enti del Terzo settore non commerciali, che abbiano presentato al Ministero del lavoro e delle politiche sociali un progetto per sostenere il recupero degli immobili pubblici inutilizzati e dei beni confiscati alla criminalità organizzata, assegnati ai suddetti enti; introduce una disciplina unitaria per le deduzioni e detrazioni previste per chi effettua erogazioni liberali a favore di enti del Terzo settore non commerciali e di cooperative sociali; disciplina il regime tributario delle associazioni di promozione sociale, iscritte nell'apposita sezione speciale del Registro unico nazionale del Terzo settore, in sostanziale continuità con le vigenti norme, con alcuni interventi di aggiornamento e razionalizzazione. Inoltre, si esentano dall'IRES i redditi degli immobili destinati esclusivamente allo svolgimento di attività non commerciale da parte delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni di volontariato. È inoltre disciplinato il regime tributario delle associazioni di promozione sociale, iscritte nell'apposita sezione speciale del Registro unico nazionale del Terzo settore, in sostanziale continuità con le vigenti norme, con alcuni interventi di aggiornamento e razionalizzazione. Per le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale si prevede la possibilità di applicare un regime forfettario, con contabilità semplificata, per le attività commerciali esercitate, a condizione di non superare il limite di ricavi di 130.000 euro nel periodo d'imposta precedente;
considerato inoltre il parere espresso dal Consiglio di Stato nell'adunanza della Commissione speciale del 31 maggio 2017;
ritenuto imprescindibile al fine di una valutazione favorevole del provvedimento ed alla luce del rilevante numero di disposizioni contenute nel testo che investono le competenze della Commissione Finanze, che nel parere parlamentare che sarà espresso sullo schema di decreto dalla Commissione Affari sociali siano integralmente recepiti i rilievi di seguito indicati,
delibera quindi i seguenti rilievi sullo schema di decreto legislativo:
a) con riferimento all'articolo 4, comma 1, dello schema di decreto, si rileva la necessità di prevedere l'inserimento della formula già utilizzata all'articolo 10 del D. lgs 460 del 1997 per le ONLUS, al fine di consentire ai Trust (costituiti anche in forma di ONLUS), ove rispondano ai requisiti introdotti dallo schema in esame, di iscriversi nel Registro unico. In considerazione di quanto sopra, si rileva come nella richiamata norma occorra sostituire le parole: «ed ogni altro ente costituito in forma di associazione, riconosciuta o non riconosciuta, o di fondazione» con le parole: «le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti»;
b) con riferimento all'articolo 35, comma 3, dello schema di decreto, si rileva la necessità di specificare che la disposizione consente in ogni caso l'ammissione come associati, ove previsto dagli Statuti e dagli Atti Costitutivi delle Associazioni di promozione sociale, di altri enti no-profit che non siano enti del Terzo settore;
c) con riferimento all'articolo 46, comma 2, dello schema di decreto, il quale vieta l'iscrizione contemporanea in due o più sezioni del Registro, si rileva la necessità di sopprimere il predetto comma, in quanto molte delle attività in campo sociosanitario e socioassistenziale sono interconnesse allo scopo di raggiungere il miglior risultato nei confronti della persona assistita;
d) con riferimento all'articolo 50, comma 3, dello schema di decreto, si Pag. 82rileva la necessità di sopprimere l'ultimo periodo, in quanto il passaggio da una ad altra sezione del Registro unico non muta né il soggetto giuridico, né le finalità e le attività, che restano quelle di interesse generale fissate dal Codice, né la sua configurazione di ente del Terzo settore (ETS);
e) con riferimento all'articolo 56 dello schema di decreto, si rileva la necessità di sostituire, ovunque ricorrano, le parole: «le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale» con: «gli enti del terzo settore». Risulta infatti difficilmente comprensibile la limitazione delle convenzioni a organizzazioni di volontariato (OdV) e associazioni di promozione sociale (APS);
f) con riferimento all'articolo 63 dello schema di decreto, si rileva la necessità di sopprimere la lett. g), la quale consente ai Centri di Servizio per il Volontariato (CSV) di svolgere attività riconducibili ai servizi relativi al controllo degli enti del Terzo settore, ovvero la necessità di prevedere che il controllo possa essere esercitato soltanto sugli enti aderenti al Centro di Servizio per il Volontariato, al fine di escludere un eccesso di delega. La legge n.106 del 2016, infatti, all'articolo 7, comma 2, attribuisce al Ministero del lavoro e delle politiche sociali il compito di «promuovere» forme adeguate ed efficaci di «autocontrollo»; di conseguenza, i CSV non possono esercitare il controllo su enti non loro aderenti;
g) con riferimento all'articolo 72 dello schema di decreto, si rileva la necessità di sostituire il comma 1 con il seguente: «Il Fondo previsto dall'articolo 9, comma 1, lettera g), della legge 6 giugno 2016, n.106, è destinato a sostenere, anche attraverso le reti associative di cui all'articolo 41, lo svolgimento di attività di interesse generale di cui all'articolo 5, costituenti oggetto di iniziative e progetti promossi dagli Enti del Terzo settore, iscritti nel Registro unico nazionale». Detto Fondo riguarda tutti gli ETS, mentre il comma 1 lo limita a ODV, APS e Fondazioni, che costituiscono appena il 20 per cento del terzo settore;
h) con riferimento all'articolo 77 dello schema di decreto, si rileva la necessità di sostituire il comma 2 con il seguente: «2. I titoli sono obbligazioni ed altri titoli di debito, non subordinati e non convertibili, che non conferiscono il diritto di sottoscrivere o acquisire altri tipi di strumenti finanziari e che non sono collegati ad uno strumento derivato, nonché certificati di deposito consistenti in titoli individuali non negoziati nel mercato monetario.»;
i) con riferimento al TITOLO X, relativo al Regime fiscale degli enti del terzo settore, CAPO I (Disposizioni Generali) dello schema di decreto, si rileva la necessità di sostituire l'articolo 79 con il seguente:
«ARTICOLO 79. (Disposizioni in materia di imposte sui redditi).
1. Agli enti del Terzo settore, diversi dalle imprese sociali, si applicano le disposizioni di cui al presente titolo nonché le norme del titolo II del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, in quanto compatibili.
2. Le attività di interesse generale di cui all'articolo 5, ivi incluse quelle accreditate o contrattualizzate o convenzionate con le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, l'Unione europea ed altri organismi pubblici di diritto internazionale, si considerano di natura non commerciale quando le stesse sono svolte a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi che non superano i costi effettivi, tenuto anche conto degli apporti economici delle amministrazioni di cui sopra e salvo eventuali importi di partecipazione alla spesa previsti dall'ordinamento. Ai fini del calcolo del costo effettivo si tiene conto anche del valore normale delle attività di cui all'articolo 17 e delle erogazioni gratuite di beni o servizi.Pag. 83
3. Sono altresì considerate non commerciali:
a) le attività di cui all'articolo 5, comma 1, lettera h), se svolte direttamente dagli enti di cui al comma 1 la cui finalità principale consiste nello svolgere attività di ricerca scientifica di particolare interesse sociale e purché tutti gli utili siano interamente reinvestiti nelle attività di ricerca e nella diffusione gratuita dei loro risultati e non vi sia alcun accesso preferenziale da parte di altri soggetti privati alle capacità di ricerca dell'ente medesimo nonché ai risultati prodotti;
b) le attività di cui all'articolo 5, comma 1, lettera h), affidate dagli enti di cui al comma 1 ad università e altri organismi di ricerca che la svolgono direttamente in ambiti e secondo modalità definite dal decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2003, n. 135.
4. Non concorrono, in ogni caso, alla formazione del reddito degli enti del Terzo settore di cui al comma 5:
a. i fondi pervenuti a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente anche mediante offerte di beni di modico valore o di servizi ai sovventori, in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione;
b. i contributi e gli apporti erogati da parte delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo l, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, per lo svolgimento delle attività di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo.
5. Si considerano non commerciali gli enti del Terzo settore di cui al comma 1 che svolgono in via esclusiva o prevalente le attività di cui all'articolo 5 in conformità ai criteri indicati nei commi 2 e 3 del presente articolo. Indipendentemente dalle previsioni statutarie gli enti del Terzo settore assumono fiscalmente la qualifica di enti commerciali qualora i proventi delle attività di cui all'articolo 5, svolte in forma d'impresa non in conformità ai criteri indicati nei commi 2 e 3 del presente articolo nonché le attività di cui all'articolo 6, fatta eccezione per le attività di sponsorizzazione svolte nel rispetto dei criteri di cui al decreto previsto all'articolo 6, superano, nel medesimo periodo d'imposta, le entrate derivanti da attività non commerciali, intendendo per queste ultime i contributi, le sovvenzioni, le liberalità, le quote associative dell'ente e ogni altra entrata assimilabile alle precedenti, ivi compresi i proventi e le entrate considerate non commerciali ai sensi dei commi 2, 3 e 4, tenuto conto altresì del valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti le attività svolte con modalità non commerciali. Il mutamento della qualifica opera a partire dal periodo d'imposta in cui l'ente assume natura commerciale.
6. Si considera non commerciale l'attività svolta dalle associazioni del Terzo settore nei confronti dei propri associati, familiari o conviventi degli associati in conformità alle finalità istituzionali dell'ente. Non concorrono alla formazione del reddito delle associazioni del Terzo settore le somme versate dagli associati, a titolo di quote o contributi associativi. Si considerano, tuttavia, attività di natura commerciale le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nei confronti degli associati, familiari o conviventi degli associati, verso pagamento di corrispettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto. Detti corrispettivi concorrono alla formazione del reddito complessivo come componenti del reddito di impresa o come redditi diversi a seconda che le relative operazioni abbiano carattere di abitualità o di occasionalità»;
l) con riferimento all'articolo 79 comma 5, dello schema di decreto, si rileva la necessità, a fini interpretativi, di chiarire che devono essere considerate afferenti alla parte non commerciale le entrate relative ad operazioni di cause related marketing (marketing sociale), quali quelle di cessione gratuita del marchio, e le «entrate gratuite» (valorizzazione dei beni donati e dei servizi erogati a titolo gratuito);Pag. 84
m) con riferimento agli articoli 80 e 86 dello schema di decreto, e all'incompatibilità del regime di tenuta delle scritture contabili semplificato con quello settoriale previsto per le società e associazioni sportive dilettantistiche, regolato dall'articolo 90 del decreto legislativo n. 289 del 2002, in deroga a quanto previsto nei successivi articoli dello schema di decreto, per le società e associazioni sportive dilettantistiche che si iscrivono al Registro unico nazionale del Terzo settore, si rileva la necessità di introdurre una norma interpretativa volta a chiarire che continuano, in ogni caso, a trovare applicazione le norme contenute nel citato articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289;
n) con riferimento all'articolo 80, dello schema di decreto, si rileva la necessità di inserire dopo il comma 4 il seguente: «5. Gli Enti che optano per la determinazione forfetaria del reddito di impresa ai sensi del presente articolo sono esclusi dall'applicazione degli studi di settore di cui all'articolo 62-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427 e dei parametri di cui all'articolo 3, comma 184, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, nonché degli indici sistematici di affidabilità di cui all'articolo 7-bis del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193 convertito con modificazioni dalla legge 1 dicembre 2016, n. 225»;
o) con riferimento all'articolo 80 dello schema di decreto, si rileva la necessità di specificare con norma interpretativa che le perdite fiscali degli Enti che optano per la determinazione forfetaria del reddito di impresa, generatesi nei periodi d'imposta anteriori a quello da cui decorre il regime forfetario, possono essere computate in diminuzione del reddito determinato ai sensi dell'articolo 80, secondo le regole ordinarie stabilite dal testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917;
p) con riferimento all'esenzione dall'imposta sulle successioni e donazioni e dalle imposte ipotecaria e catastale, di cui all'articolo 82, comma 2, dello schema di decreto, si rileva la necessità di modificare la predetta norma eliminando la subordinazione dei benefici fiscali previsti per il trasferimento a titolo gratuito alla condizione che i beni o i diritti ricevuti, o la somma ricavata dalla loro alienazione, siano direttamente utilizzati, entro cinque anni dal trasferimento, in attuazione degli scopi istituzionali. Pertanto, si rileva la necessità di sostituire il citato articolo 82, comma 2, con il seguente: «2. Non sono soggetti all'imposta sulle successioni e donazioni e alle imposte ipotecaria e catastale i trasferimenti a titolo gratuito, effettuati a favore degli enti di cui al comma 1 del presente articolo.»;
q) con riferimento all'articolo 82 comma 3, dello schema di decreto, e all'applicazione in misura fissa delle imposte di registro, ipotecarie e catastali agli atti costitutivi e alle modifiche statutarie, si rileva la necessità di ricomprendere nel medesimo regime anche le operazioni di fusione, scissione o trasformazione poste in essere da enti del Terzo settore di cui al comma 1, o dagli Enti di cui all'articolo 4 comma 3 che, ai sensi e alle condizioni di cui al medesimo articolo, esercitano le attività di cui all'articolo 5. Si rileva inoltre la necessità di prevedere che le modifiche statutarie per adeguamenti normativi non scontino imposta di registro;
r) con riferimento all'articolo 82, comma 10, dello schema di decreto, si rileva la necessità di chiarire con norma interpretativa che alle cessioni di beni e alle relative prestazioni accessorie, effettuate nei confronti delle amministrazioni dello Stato e dei soggetti della cooperazione allo sviluppo iscritti nell'elenco di cui all'articolo 26 comma 3 della Legge 125/2014, destinati ad essere trasportati o spediti fuori dell'Unione Europea in attuazione di finalità umanitarie, comprese quelle dirette a realizzare programmi di cooperazione allo sviluppo, si applica l'articolo 8-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633;Pag. 85
s) con riferimento all'articolo 82 dello schema di decreto, si rileva la necessità di sostituire il comma 5 con il seguente: «Gli atti, le istanze, i contratti, nonché le copie anche se dichiarate conformi, gli estratti, le certificazioni, le dichiarazioni, le attestazioni e ogni altro documento cartaceo e informatico in qualunque modo denominato, posti in essere o richiesti dagli enti di cui al comma 1 sono esenti dall'imposta di bollo.»;
t) con riferimento all'articolo 83 comma 1, dello schema di decreto, si rileva la necessità di prevedere, in luogo della detrazione d'imposta delle liberalità erogate a favore degli enti del Terzo settore da persone fisiche, la deducibilità dal reddito complessivo netto del soggetto erogatore, nel limite del 10 per cento del reddito complessivo dichiarato;
u) con riferimento all'articolo 83 dello schema di decreto, considerato che la materia delle cessioni per solidarietà sociale senza scopo di lucro di prodotti alimentari, farmaceutici e prodotti diversi agli enti del terzo settore – così come definiti al titolo II del presente schema di decreto legislativo – risulta già disciplinata dalla specifica legge del 19 agosto 2016, n. 166, si rileva la necessità di sopprimere i commi 3, 4 e 5 del medesimo articolo 83, inserendo una disposizione di coordinamento tra la riforma del terzo settore e la citata legge n. 166 del 2016;
v) con riferimento all'articolo 87 comma 1, dello schema di decreto, si rileva la necessità di inserire tra gli enti del Terzo settore non commerciali di cui all'articolo 79, comma 5, che non applicano il regime forfetario di cui all'articolo 86, anche quelli di cui all'articolo 80, prevedendo per questi ultimi il regime contabile «commerciale» semplificato, di cui all'articolo 2 della legge n. 398 del 1991;
z) con riferimento all'articolo 87 comma 1, dello schema di decreto, si rileva la necessità di sostituire la lettera a) con la seguente: «a) in relazione all'attività complessivamente svolta, redigere scritture contabili cronologiche e sistematiche atte ad esprimere con compiutezza e analiticità le operazioni poste in essere in ogni periodo di gestione, e rappresentare adeguatamente in apposito documento, da redigere entro quattro mesi dalla chiusura dell'esercizio annuale, ovvero entro il maggior termine previsto dallo statuto qualora particolari esigenze lo richiedano, la situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'ente, distinguendo le attività indicate all'articolo 6 da quelle di cui all'articolo 5, con obbligo di conservare le stesse scritture e la relativa documentazione per un periodo non inferiore a quello indicato dall'articolo 22 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600»;
aa) con riferimento all'articolo 87, dello schema di decreto, dopo il comma 2 si rileva la necessità di inserire il seguente: «2-bis. Per gli enti del Terzo settore non commerciali di cui all'articolo 79, comma 5, le cui rendite e proventi non superino i limiti previsti dall'articolo 13 comma 2, gli obblighi di cui al comma 1 si intendono assolti in presenza di rendiconto di cui al medesimo articolo 13, comma 2»;
bb) con riferimento all'articolo 87, comma 3, dello schema di decreto, si rileva la necessità di chiarire con norma interpretativa che trovano in ogni caso applicazione i commi 3, 4 e 5 dell'articolo 144 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi – TUIR, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 in tema di determinazione dei redditi degli enti non commerciali;
cc) con riferimento all'articolo 89, comma 6, dello schema di decreto, si rileva la necessità di prevedere il riferimento agli enti di cui all'articolo 82 comma 1, in luogo degli enti non commerciali di cui all'articolo 79, comma 5, in quanto le attuali ONLUS confluiranno in imprese sociali non societarie, già comprese negli enti del Terzo settore, e altre rimarranno cooperative sociali;
dd) con riferimento all'articolo 89 dello schema di decreto, si rileva la necessità di sopprimere il comma 15;Pag. 86
ee) con riferimento all'articolo 100 dello schema di decreto, si rileva la necessità di sopprimere l'articolo;
ff) con riferimento ai decreti di cui agli articoli 6 comma 1, 7 comma 2, 13 comma 3, 14 comma 1, 18 comma 2, 19 comma 2, 46 comma 3, 47 comma 5, 53 comma 1, 59 comma 3, 62 comma 6, 54 comma 1, 64 comma 3, 65 comma 4, 76 comma 4, 77 comma 15, 81 comma 7, 83 comma 2, 92 comma 5 e 96 comma 1 dello schema di decreto, si rileva la necessità di prevedere che, ove non diversamente disposto, essi siano emanati entro un anno dall'entrata in vigore del presente decreto.
ALLEGATO 2
Schema di decreto legislativo recante codice del Terzo settore (Atto n. 417).
PROPOSTA ALTERNATIVA DI RILIEVI DEL GRUPPO M5S.
La VI Commissione,
premesso che:
lo schema di decreto legislativo all'esame è attuativo dell'articolo 1, comma 2, lettera b) della legge delega che ha previsto il riordino e la revisione organica della disciplina speciale e delle altre disposizioni vigenti sul Terzo settore, ivi inclusa la disciplina tributaria, mediante la redazione di un apposito Codice del terzo settore;
il provvedimento all'esame è estremamente complesso con notevoli implicazioni di natura fiscale, tributaria, civilistica e bancaria; è un provvedimento che interessa uno dei settori più dinamici dell'economia nazionale, più di 300 mila organizzazioni, circa 1 milione di addetti/lavoratori e oltre 5 mila lavoratori temporanei e che, considerato l'indotto, coinvolge circa 10 milioni di persone, con un volume di entrate che supera i 60 miliardi di euro l'anno. A fronte di tale complessità, sia la platea degli enti e delle associazioni interessate, sia il M5S, hanno chiesto, purtroppo senza successo, una proroga del termine per l'espressione dei pareri. A tale comprensibile richiesta, il Governo ha opposto, senza valide motivazioni, una tempistica stringente ed improrogabile che appare a tutti gli effetti uno sgarbo istituzionale: ciò anche in quanto – pur prevedendo la legge delega che i decreti delegati siano presentati alle Camere entro il 45o giorno antecedente il termine previsto per l'esercizio della delega, che scade il 3 luglio prossimo – il Governo ha presentato il decreto all'esame di questa camera esattamente 45 giorni prima;
il provvedimento all'esame non si limita a riordinare gli enti del terzo settore ma di fatto si presta ad una progressiva ed inesorabile modifica del codice genetico del nostro welfare, traghettando, nel nostro paese, un modello di finanziarizzazione e privatizzazione dei servizi sociali, assistenziali, sanitari e socio sanitari, nonché dei servizi culturali e formativi, che deriva da esperienze anglosassoni (Regno Unito e Stati Uniti), quale risposta alla imponente crisi finanziaria e bancaria e alla esiguità delle risorse pubbliche, sempre più insufficienti a rispondere alle esigenze sociali e sanitarie dei cittadini. Sul punto sopra accennato, si ribadisce con forza la contrarietà del M5S ad un modello di welfare che non garantisca pienamente l'uniformità delle prestazioni e l'uguaglianza di trattamento di tutte le persone, collettività e territori;
l'apertura al contributo dei privati non può in nessun caso, nemmeno per assuefazione, sostituirsi all'impegno dello stato e degli enti territoriali nella tutela di bisogni fondamentali quali la salute, l'istruzione, la sicurezza, solo per citarne alcuni. Il ruolo del terzo settore in comparti delicati come questi deve conservare, invece, la logica della sussidiarietà: l'azione dei privati deve, dunque, accompagnare, fortificare ad amplificare quella del pubblico ma non sostituirsi ad essa; in tale contesto all'articolo 2 dove s'introducono i principi della valorizzazione degli enti del terzo settore, dell'associazionismo, della volontariato, appare strumentale il richiamo Pag. 88alla valorizzazione della «cultura e pratica del dono» che, contestualizzato nel provvedimento all'esame, non richiama alla mente un principio di per sé nobile ed altruistico, quanto piuttosto il crowndfounding applicato alla finanza sociale;
considerato che:
all'articolo 3, dove si indicano i soggetti cui si applicano le norme del Codice, se ne esclude (giustamente) l'applicabilità alle fondazioni bancarie «fatta eccezione per la parte in cui si disciplinano i centri di servizio per il volontariato»; al riguardo appare opportuno verificare se tale eccezione sia compatibile con quanto previsto nella legge delega nella misura in cui dal complesso del provvedimento si evince che proprio le Fondazioni bancarie avranno un ruolo di dominus nell'ambito dell'associazionismo e del volontariato;
in tema di qualifica di ente del terzo settore, sarebbe stato opportuno stabilire, con chiarezza, che essa non dipende solo dalle finalità e dalle attività enunciate negli atti costitutivi e negli statuti e dall'iscrizione al Registro unico (articolo 4), ma anche – come previsto dalla legge di delega – dalle attività effettivamente svolte, intese – quest'ultime – come elemento genuinamente qualificante degli enti, da esercitarsi in coerenza con le disposizioni e i principi dei rispettivi statuti o atti costitutivi;
in riferimento all'esclusione, dal terzo settore, di quegli enti che discendono da amministrazioni pubbliche, partiti, sindacati ecc., appare fortemente critico che si faccia riferimento solo «agli enti sottoposti a direzione e coordinamento o controllati da tali enti», tenuto conto che tale precisazione non è sufficiente ad evitare comportamenti elusivi finalizzati ad esercitare forme di controllo «indiretto». In tale prospettiva, sarebbe stato salutare escludere del terzo settore anche tutti quegli enti che siano stati creati o istituiti o che abbiano qualsiasi forma di collegamento, diretto o indiretto, con amministrazioni pubbliche, partiti, sindacati ecc.;
reca non poche perplessità l'elenco delle attività d'interesse generale (articolo 5) per la massiva presenza, in esso, di attività di precipuo interesse pubblico e costituzionalmente garantite, quali, ad esempio, le prestazioni sanitarie inserite nei LEA e le prestazioni socio-sanitarie essenziali, l'ambiente, il patrimonio culturale, l'educazione, l'istruzione e la formazione, la formazione universitaria, la ricerca scientifica, le attività culturali, la riqualificazione dei beni pubblici o dei beni confiscati alla criminalità organizzata. Non appare condivisibile che l'attribuzione di tali attività avvenga senza far riferimento al principio informatore della sussidiarietà, soprattutto alla luce delle disposizioni successive del provvedimento all'esame, che rivelano un progetto complessivo di finanziarizzazione del sistema di welfare; appare dunque opportuno chiarire in riferimento all'elencazione delle attività d'interesse generale che tali attività siano svolte compatibilmente con gli enunciati della Costituzione;
parimenti, altrettanti dubbi desta l'inclusione – tra le attività d'interesse generale – di talune che, ad onor del vero, si pongono al limite con quelle tipiche dell'iniziativa economica di mercato, come ad esempio attività di carattere residenziale temporanee o di erogazione di denaro, beni e servizi a sostegno di attività di interesse generale. Ad ogni buon conto sarebbe stato necessario correlare tutte le attività di interesse generale al simmetrico soddisfacimento di finalità di solidarietà sociale. Ciò in quanto lo svolgimento in sé di attività di interesse generale non è criterio sufficiente per qualificare un ente del terzo settore se tale erogazione non è supportata da un autentico e genuino sforzo altruistico, ferma restando, in ogni caso lo spirito di collaborazione sussidiaria con la Pubblica Amministrazione;
si consente agli enti del Terzo settore di svolgere attività diverse da quelle di interesse generale (articolo 6) senza che Pag. 89siano indicati criteri e principi direttivi che circostanzino, già nel provvedimento all'esame, gli elementi qualitativi o quantitativi per svolgere tali ulteriori attività, indicando ad esempio percentuali ammissibili in rapporto all'attività principale. Il rinvio a norme di grado inferiore, per la disciplina dei suddetti criteri e limiti risulta inaccettabile;
parimenti, il rinvio a successive linee guida per definire le modalità dell'attività di raccolta fondi (articolo 7) sembra configurarsi come un'ulteriore delega surrettizia, al di fuori del perimetro definito dalla legge delega, che, laddove mantenuto, dovrebbe essere meglio accompagnato da criteri e principi direttivi che circostanzino, già nel provvedimento, gli elementi qualitativi o quantitativi che consentano di svolgere tale attività di raccolta fondi, indicando ad esempio che esse debbano risultare strumentali all'attività principale, nonché soggette a sistemi di pubblicazione e rendicontazione «on line» ispirate a principi di trasparenza e rispetto dello spirito e delle finalità dei soggetti donanti;
in relazione all'assenza di scopo di lucro, dove si indicano alcune casistiche da considerarsi in ogni caso distribuzione indiretta, la corresponsione di emolumenti ad amministratori, sindaci ecc., viene proditoriamente innalzata fino ad 80 mila euro, ossia in misura pressoché doppia rispetto al limite vigente di circa 42 mila euro (corrispondente al compenso massimo previsto per il presidente del collegio sindacale delle SpA) e ugualmente sono consentiti, anche oltre il limite del 20 per cento – rispetto ai minimi sindacali prescritti dalla contrattazione collettiva – le retribuzioni riservate ai lavoratori con specifiche competenze per lo svolgimento delle prestazioni sanitarie, per la formazione universitaria e post-universitaria e per la ricerca scientifica. Con riferimento a tale ultimo punto v’è da osservare che la norma è scritta in maniera così controversa da risultare, allo stesso tempo, inefficace nel sanzionare taluni casi eclatanti di distribuzione indiretta degli utili e burocraticamente oppressiva nei confronti degli enti che necessitano realmente di acquisire professionalità di alto profilo: in sintesi, un caso paradigmatico di inefficienza allocativa. La disposizione avrebbe dovuto prevedere, in linea con i precedenti già sperimentati (cfr. Legge 383 del 2000 in materia di associazionismo di promozione sociale) il divieto di procedere ad assunzioni per lavoro dipendente, parasubordinato e autonomo, se non per reali e comprovate necessità dell'ente stesso, da misurarsi in rapporto al conseguimento delle finalità istituzionali e dell'attività principale di interesse generale, secondo un principio sostanziale che vale per tutti gli enti del terzo settore e per tutti lavoratori da essi impiegati, a prescindere dalla natura formale dell'inquadramento, delle mansioni, del livello e della qualifica di assunzione. Fermo restando che costituisce distribuzione indiretta di utili anche l'artificiosa collocazione dei lavoratori a qualifiche o livelli superiori alle mansioni effettivamente svolte, sarebbe stato opportuno conservare la possibilità – seppure in casi eccezionali e adeguatamente comprovati – di corrispondere stipendi superiori anche del venti per cento ai minimi sindacali a tutti gli enti che necessitano realmente di professionalità più elevate e non solo a quelli menzionati dalla norma, che sul punto sconfina in profili di dubbia costituzionalità;
sempre in tema di fattispecie identificative della distribuzione indiretta di utili sorprende che il provvedimento non consideri tali anche le donazioni o erogazioni in denaro che un ente del terzo settore fa ad un altro ente del terzo settore soprattutto se di importi significativi (rispetto al patrimonio netto dell'ente) e se sistematiche o ricorrenti;
si consente agli enti del terzo settore di assicurare prestazioni sanitarie o formative o di ricerca a condizioni di mercato sicuramente alterate talché, ad esempio, come si verifica già usualmente, nelle diverse strutture sanitarie ci saranno medesimi professionisti che svolgono lo stesso lavoro ma pagati differentemente a Pag. 90seconda se siano dipendenti della struttura o dipendenti di una associazione di volontariato convenzionata; infine appare critica, per l'implicita e possibile alterazione del mercato, in riferimento al divieto di cessione di beni e servizi, la precisazione che fa salva (quindi consente) la cessione o prestazione, anche a condizioni inferiori al loro valore normale di beni o servizi, laddove riguardi l'attiva d'interesse generale;
la devoluzione del patrimonio in caso di scioglimento degli enti del terzo settore, ai sensi dell'articolo 9, è effettuata, in mancanza di diversa disposizione, alla Fondazione Italia Sociale; a riguardo si esprime netta contrarietà su tale disposizione poiché sembra di fatto «forzare» la devoluzione verso la Fondazione Italia sociale, istituita dalla medesima legge delega e il cui statuto, di recente approvazione, la definisce una fondazione di natura giuridica privata. È chiaro che tale disposizione presenta profili di dubbia legittimità sia perché non contemplata dalla legge delega e sia perché sembra configurarsi come un indebito aiuto di Stato verso una specifica Fondazione (che tra l'altro ha già ricevuto una dotazione iniziale di 1 milione di euro); il silenzio che legittima l'atto di devoluzione comporterà che tanti e numerosi enti (soprattutto quelli che non avranno i requisiti per essere iscritti nel registro unico nazionale) vedranno trasferire il loro patrimonio alla Fondazione Italia sociale; inoltre tale disposizione deve essere coordinata con quanto previsto ai successivi articoli 49 e 50 laddove si disciplina l'estinzione o lo scioglimento (anche d'ufficio) dell'ente nonché la cancellazione dal Registro unico ove si prevede che l'ente cancellato per mancanza dei requisiti e che vuole continuare ad operare ai sensi del codice civile deve devolvere il patrimonio proprio in base alla disposizione che per l'appunto prevede anche la devoluzione del patrimonio, in mancanza di altre disposizioni, alla Fondazione Italia Sociale; la disposizione, si ribadisce, presenta forti profili di legittimità ed esula dalla legge delega;
si esprimono perplessità anche in relazione all'articolo 10 che consente agli enti del Terzo dotati di costituire patrimoni con destinazione specifica (separati quindi dalla parte restante del patrimonio), possibilità oggi consentita solo alle società per azioni. Profili di criticità, in particolare, si manifestano circa il rischio che una simile disposizione consenta la sottrazione di quote di patrimonio (alla cui costituzione contribuiscono spesso le provvidenze fiscali) alla destinazione istituzionale stabilita negli statuti o atti costitutivi;
l'articolo 11, relativo all'iscrizione degli enti del Terzo settore nel Registro unico nazionale, andrebbe meglio chiarito laddove sembra più delineare una prescrizione atta a definire il requisito di ente del terzo settore e non appare condivisibile l'eccezione che esenta le imprese sociali dall'iscrizione al Registro unico nazionale tenuto conto che proprio le imprese sociali, più di altri enti del terzo settore, richiedono la massima trasparenza; in buona sostanza se da un lato non si condivide che il Registro unico sostituisca il registro delle imprese, viceversa si ritiene opportuna invece l'iscrizione al medesimo da parte di tutti gli enti, nell'ottica che questo debba essere concepito più come strumento idoneo a garantire pubblicità e trasparenza piuttosto che come un albo produttivo di meri effetti civilistici;
in riferimento all'articolo 13 che disciplina le scritture contabili e il bilancio degli enti del terzo appare necessario verificare se la soglia di 220.000,00 dei proventi sia da ritenersi congrua rispetto alla necessita di redigere lo stato patrimoniale, il rendiconto gestionale e la relazione di missione ecc.; inoltre non appare condivisibile la previsione che i bilanci debbano essere depositati nel registro unico solo dagli enti del terzo settore che non siano iscritti nel registro delle imprese tenuto conto che la pubblicità e l'accesso al registro delle imprese dovrebbe avere una diversa finalità; Pag. 91
l'articolo 14 prevede che solo gli enti del Terzo settore con ricavi/rendite/proventi o entrate superiori ad 1 milione di euro dovranno depositare presso il Registro unico nazionale del Terzo settore, e pubblicare nel proprio sito internet, il bilancio sociale mentre gli enti con ricavi/rendite/proventi o entrate superiori a cinquantamila euro devono pubblicare sul loro sito internet o su quello delle reti associative solo gli emolumenti, compensi o corrispettivi dati a qualsiasi titolo agli amministratori, ai dirigenti o agli associati; a riguardo si esprimono perplessità poiché si consente ad enti del terzo settore, anche di notevoli dimensioni (con ricavi fino a 1 milione di euro), di non essere sufficientemente trasparenti come invece si converrebbe; inoltre laddove si prevede che il Ministro definisca le linee guida sulla redazione del bilancio non si pone alcuna scadenza; in buona sostanza nell'istituendo Registro unico dovranno pubblicare i bilanci solo le imprese con ricavi superiori a 1 milione sempre che siano emanate le linee guida e sempre che non siano iscritte al registro delle imprese: praticamente un numero ridotto di enti del terzo settore;
in riferimento all'articolo 15 dove si indicano quali siano i libri sociali che gli enti del terzo settore devono tenere, nell'evidenziare che la tenuta dei libri sociali non significa pubblicità dei medesimi, sarebbe stato opportuno inserire alcune norme di pubblicità e trasparenza (nel rispetto della tutela dei dati personali) quanto meno per alcune parti dei libri sociali (ad esempio deliberazioni di rilevanza generale) o forme agevolate di accesso da parte degli associati; inoltre non appare condivisibile la disposizione che non consente tale accesso agli associati di enti di ecclesiastici e delle confessioni religiose;
la bontà della disposizione (articolo 16) atta a circoscrivere il dumping contrattuale ovvero lo sfruttamento sistematico di manodopera del mondo del terzo settore sconta i rilevanti limiti posti agli articoli 13 e 14 che da un lato prevedono l'obbligo di redazione del bilancio che si compone anche della relazione di missione solo per gli enti con ricavi superiori ai 220.000,00 e dall'altro prevedono che solo gli enti con ricavi superiori ad un milione devono pubblicare il bilancio sociale sul sito internet e depositarlo presso il Registro unico mentre per gli enti con ricavi superiori ai 50 mila euro è fatto obbligo di pubblicare sul sito internet solo la corresponsione di emolumenti/compensi e corrispettivi; in buona sostanza questa norma rischia di essere elusa attraverso un sistema carente di pubblicità e trasparenza dei bilanci per tutti gli enti del terzo settore;
in riferimento alla figura e all'attività del volontario (articolo 17), oltre alla necessità di verificare l'ammissibilità/opportunità dell'autocertificazione (anche ai fini fiscali) dei rimborsi sostenuti, crea qualche perplessità l'eccezione riferita all'associato che, non è considerato volontario, laddove occasionalmente coadiuvi gli organi sociali nello svolgimento delle loro funzioni», tenuto conto che «l'occasionalità» potrebbe caratterizzarsi da discrezionalità o diversità interpretativa tale da eludere, in taluni casi, i divieti imposti dalla presente disposizione e agevolare quindi forme di «lavoro in nero»; inoltre, andrebbe precisato che l'attività di volontario è incompatibile anche con ogni altro rapporto di contenuto patrimoniale con l'organizzazione di cui fa parte (com’è nella legislazione vigente);
riguardo alla promozione della cultura del volontariato da parte delle pubbliche amministrazioni, all'articolo 19, si prevede che con successivo decreto siano definiti i criteri per il riconoscimento in ambito scolastico e lavorativo delle competenze acquisite nello svolgimento di attività o percorsi di volontariato; a riguardo sarebbe stato opportuno porre dei limiti o requisiti precisi onde evitare casi di sfruttamento sistematico di mano d'opera nella speranza, per giovani disoccupati, di acquisire migliori possibilità di lavoro o di studio; Pag. 92
l'articolo 22 disciplina l'acquisto della personalità giuridica per le associazioni e fondazioni del Terzo settore ed in deroga alla disciplina vigente prevede che la personalità giuridica possa essere acquisita mediante l'iscrizione nel Registro unico nazionale del Terzo settore. La previsione di un Registro nazionale unico, quale requisito per poter avere la personalità giuridica, in alternativa al sistema di cui al decreto del Presidente della Repubblica 361/1990, lascia alquanto perplessi. Tale registro non ha poteri di conferire quel «riconoscimento» degli enti ad oggi disciplinati dal libro I del codice civile. Sembra, piuttosto, che svolga una funzione meramente burocratica di controllo dei documenti richiesti (documenti che devono comunque essere valutati a monte dal notaio rogante, (come attualmente avviene per le società di cui al libro V del codice civile e alla stregua della vecchia «omologa» del tribunale). Ci si chiede se tale valutazione sia sufficiente per poter accedere a tutti quei benefici, soprattutto di natura fiscale, di cui godono gli enti, quali ad esempio le fondazioni. Inoltre, il fatto stesso che sia richiesta tale iscrizione con tutta la necessaria documentazione rischia di essere un'inutile e costosa burocratizzazione dell'iter procedurale. Altra perplessità è nel fatto che tali enti, per come disciplinati sembrano più simili a società (per azioni per giunta !) che a enti del I libro del Codice civile. Si pensi ad esempio alla necessità di un capitale minimo e alla conseguente necessità di intervenire con operazioni su capitale ogni qual volta dovesse verificarsi una perdita parziale o totale dello stesso. Oppure, ancora alla possibilità di ricorrere a patrimoni destinati (articolo 10) ad uno specifico affare e, dunque, alla possibilità di creare un patrimonio separato all'interno dello stesso ente. Nasce inevitabilmente il dubbio che si stia intervenendo sulla natura giuridica degli enti in oggetto. Si sottolinea altresì quanto disposto dall'articolo 22 del testo laddove viene previsto l'obbligo per il notaio di depositare l'atto costitutivo non lasciando di fatto alcuna possibilità di scelta alle associazioni non riconosciute di non essere nel registro;
in riferimento al funzionamento dell'assemblea nelle associazioni (articolo 24-), seppure appare positiva la possibilità di partecipare alle assemblee ed esprimere il voto con modalità elettroniche e/o per corrispondenza (è un segno di adeguamento ai tempi ma anche uno strumento per ridurre i non pochi costi) si evidenzia una notevole confusione laddove si fa riferimento alle assemblee separate senza riferirsi chiaramente alle assemblee dei delegati né eventualmente ad un sistema di elezione dei delegati, mentre invece al successivo articolo 25 si parla di «delegati eletti dalle assemblee»; altresì si rileva qualche perplessità in merito alla deroga delle competenze assembleari nelle reti associative che rischia di fatto di condizionare la vita delle singole associazioni aderenti laddove ad esempio i componenti siano soggetti ad azioni di responsabilità da parte della rete associativa fanno parte;
in relazione alle disposizioni che disciplinano le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale si rileva l'assenza di un chiaro riferimento allo scopo solidaristico e all'assenza di scopo di lucro che dovrebbero caratterizzare l'organizzazione di volontariato, prevedendolo espressamente nell'atto costitutivo o nello statuto; inoltre si esprimo alcune perplessità sui limiti introdotti relativamente al numero minimo di 9 associati o di 5 associazioni aderenti, limiti introdotti con il presumibile fine di incentivare le reti associative o comunque di limitarne la libera costituzione; parimenti si esprimono talune perplessità sulla disposizione che attraverso la locuzione «in ogni caso» sembra di fatto consentire il lavoro dipendente, seppur nel limite del 20 per cento del numero dei volontari o del 5 per cento degli associati, non già per il funzionamento dell'organizzazione ma per lo svolgimento delle attività d'interesse generale; a riguardo sarebbe forse utile valutare se la percentuale entro la quale è consentito il lavoro dipendente sia diversamente stabilita, eventualmente intorno Pag. 93al 12 per cento degli associati, per quelle associazioni di volontariato, che svolgono interventi fondamentali in caso di calamità naturali;
in riferimento agli enti filantropici (articoli 37-39) si rileva, come già evidenziato in occasione dell'esame dello Statuto relativo alla Fondazione Italia sociale (che sembra ricalcare in qualche misura la natura di ente filantropico), che questa nuova tipologia di ente del terzo settore è di derivazione anglosassone e si colloca nell'ambito di nuovo sistema di finanza sociale; come si evince dalla disposizione all'esame gli enti filantropici possono erogare servizi di investimento (chiaramente finanziario) a sostegno delle attività di interesse generale (quindi anche, ad esempio, in relazione alle attività sanitarie inserita nei LEA) e laddove si usa il termine eufemistico di «investimento di solidarietà» si fa riferimento a strumenti meramente finanziari rispetto ai quali è comunque sempre previsto un ritorno finanziario per l'investitore che, in tal maniera, può influenzare l'offerta di servizi sociali e mistificare i reali bisogni sottesi dei cittadini e che uno Stato civile avrebbe invece il dovere di garantire al di fuori e a prescindere da ogni logica di profitto;
questi investimenti finanziari sono remunerati sulla base dell'impatto sociale conseguito, dopo essere opportunamente e necessariamente misurato; l'impatto sociale non va inteso come forma di valutazione della efficacia ed efficienza dei servizi resi ma come strumento di misurazione per il ritorno dell'investimento finanziario e, tenuto conto che i bisogni dei cittadini, soprattutto sanitari e sociali, sono caratterizzati da una complessità tale che ne rende difficile la misurazione, questo sistema di finanza «creativa» e di misurazione e/o valutazione finanziarizzata, rischia di penalizzare proprio i bisogni più complessi che generalmente riguardano i soggetti più vulnerabili; è facile presumere che la complessità sarà meno appetibile per gli investitori e allora si escluderanno i servizi sociali meno remunerativi e di difficile soluzione. Sconcerta l'idea che i bisogni dei cittadini siano «contrattualizzati» con investitori, tenuto conto che «le politiche di inclusione sociale non sono leve meccaniche ma processi molto più complessi, che comportano la riconfigurazione di interazioni sociali articolate con conseguenze spesso non prevedibili» (Sanderson, 2000);
non appare condivisibile che si demandi agli atti costitutivi degli enti filantropici la possibilità di determinare i principi ai quali attenersi in merito alla gestione del patrimonio, alla raccolta di fondi e risorse in genere, alla destinazione, alle modalità di erogazione di denaro, beni o servizi e alle attività di investimento a sostegno degli enti di terzo settore; lasciare piena autonomia e piena autodeterminazione equivale derogare ai principi cui invece devono attenersi gli enti del terzo settore previsti in altre parti del provvedimento; riguardo alla pubblicità delle erogazioni deliberate ed effettuate si esprimono perplessità per il fatto che non sia previsto un limite in riferimento alla singola erogazione o indicazioni di trasparenza anche in riferimento ai soggetti beneficiari delle erogazioni oppure indicazioni riguardo criteri di imparzialità, pubblicità e concorrenzialità nelle erogazioni;
in relazione alle le reti associative, disciplinate all'articolo 41, non se ne comprende esattamente la necessità/finalità e sembrano piuttosto introdotte per scoraggiare la costituzione di piccole associazioni o fondazioni e per privilegiare invece le grandi reti associative; si evidenzia che dal combinato disposto dell'articolo 41 e del successivo articolo 72, si evince che l'accesso alle risorse per il finanziamento dei progetti e delle attività d'interesse generale nel terzo settore, sembra avvenire in maniera privilegiata, proprio tramite tali reti associative; inoltre si evidenzia la necessità di comprendere meglio la compatibilità della forma associativa di tale ente del terzo settore laddove sia costituito anche da Fondazioni aderenti e/o associate;
sulla pubblicità e accessibilità del Registro unico nazionale appare opportuno Pag. 94specificare che lo stesso sia reso pubblico sul sito del Ministero del lavoro e in relazione all'accesso è necessario specificare chi debbano intendersi per «interessati» che hanno diritto all'accesso; in mancanza di ulteriori specificazioni infatti potrebbe ritenersi che in realtà tale accesso non sia esteso a chiunque e la pubblicità non necessariamente coincida con la pubblicazione sul sito internet;
si esprimono perplessità sulla possibilità per le reti associative di essere iscritte in più sezioni del Registro tenuto conto che le stesse dovrebbero in realtà svolgere una funzione di raccordo, supporto, monitoraggio ecc. Si pone dunque la questione se sia opportuno prevedere, all'articolo 41, che le reti associative siano da costituirsi tra enti omogenei quanto meno in relazione alla forma giuridica adottata; non è condivisibile e comunque appare un eccesso rispetto alla delega conferita la possibilità per il Ministro del lavoro di modificare, con decreto di natura non regolamentare, le sezioni del registro;
si esprimono perplessità sul fatto che in relazione ai bilanci e rendiconti ed in relazione ai fondi e contributi raccolti o percepiti si preveda un mero deposito nel Registro unico e non anche la pubblicità né si prevede la pubblicità degli atti costitutivi e dello statuto; non appare condivisibile che l'informativa antimafia sia prevista solo per enti di enorme dimensione e peraltro sembra coinvolgere solo le associazioni e le fondazioni escludendo ad esempio, così sembra, quegli enti che abbiano costituito patrimoni separati per i quali invece si prevede la revisione legale. È importante altresì chiarire se tale misura si applica anche alle imprese sociali e alle cooperative sociali;
dinanzi ad un accertamento, anche d'ufficio, sulla carenza dei requisiti che comporta anche la cancellazione dell'ente dal Registro o il suo trasferimento in altra sezione c’è un meccanismo di devoluzione che, salvo diversa indicazione, andrà a beneficiare una fondazione specifica di natura giuridica privata (Fondazione Italia sociale); tale disposizione a vantaggio di tale fondazione rischia di configurarsi come un indebito aiuto di Stato posto che peraltro tale Fondazione opera in concorrenza con altre analoghe Fondazioni anche su attività finanziarie;
si ritiene che il procedimento per rendere operativo il registro sia eccessivo laddove ad esempio si prevede che le procedure per l'iscrizione siano definite dal decreto del Ministero mentre con leggi regionali siano disciplinate le procedure per l'emanazione dei provvedimenti d'iscrizione e cancellazione; sarebbe invece opportuno che sia il medesimo decreto a disciplinare anche le procedure che le regioni poi dovranno recepire con atti regolamentari; inoltre il termine di 6 mesi dalla predisposizione della struttura informatica entro il quale le Regioni devono rendere operativo il registro appare aleatorio tenuto conto che non è individuato il soggetto che dovrà realizzare tale struttura informatica e né indicato il termine entro il quale dovrà essere realizzata;
le amministrazioni pubbliche, nell'esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi nelle attività di interesse generale, assicurano il coinvolgimento degli enti del Terzo settore mediante forme di co-programmazione e co-progettazione e possono sottoscrivere con le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale; a riguardo si evidenzia l'opportunità di richiamare anche i principi della concorrenzialità, dell'economicità, dell'efficacia, dell'evidenza pubblica e di richiamare la disciplina del nuovo Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016) laddove applicabile ed in ogni caso il rispetto dei principi in essa riportati; appare inoltre necessario richiamare l'applicabilità della disciplina sulla tracciabilità dei flussi finanziari di cui all'articolo 3, comma 1, della legge 13 agosto 2010 n. 136;
si esprimono rilevanti perplessità in ordine al fatto che si amplia la possibilità Pag. 95di fare convenzioni a tutte le attività di interesse generale indicate all'articolo 5 (es. prestazioni sanitarie inserite nei LEA) rispetto alla situazione vigente che invece limita tale possibilità solo per gli interventi e servizi sociali. La convenzione è uno strumento che consente di derogare alla disciplina generale dei contratti della pubblica amministrazione e, quindi, consente di affidare alle associazioni iscritte nel Registro l'esecuzione di servizi pubblici, senza dover passare da gare di appalto o altre procedure (ristrette od allargate) di affidamento/concorsuali; si esprimono dunque rilevanti dubbi di legittimità e di compatibilità con le direttive europee che regolano il mercato e la concorrenza;
in relazione ai servizi di trasporto sanitario e di emergenza urgenza rispetto alla situazione vigente, l'affidamento diretto e quindi la deroga alla disciplina generale dei contratti della Pubblica amministrazione e, quindi, di affidare il servizio senza dover passare da gare di appalto o altre procedure (ristrette od allargate) di affidamento/concorsuali. Si precisa che in taluni casi tali servizi sono oggi affidati, in alternativa, a società in house providing che, come noto, devono però svolgere la loro attività prevalentemente solo nei confronti delle amministrazioni pubbliche partecipanti; con il provvedimento all'esame si consentirebbe quindi l'affidamento diretto anche in deroga o al di fuori dell’house providing; con rilevanti dubbi di legittimità e di compatibilità con le direttive europee che regolano il mercato e la concorrenza;
la disciplina del Consiglio nazionale del Terzo settore (articoli 58-60) prevede che designazione dei 6 rappresentanti delle associazioni del terzo settore sia fatta da parte dell'associazione più rappresentativa, senza che sia contemplato alcun meccanismo elettivo o di candidatura né si comprende in che maniera sono designati i 12 rappresentanti delle reti associative; infine stupisce il riferimento al CNEL che pure il Governo (e la sua maggioranza) volevano abolire con la nota riforma della Costituzione;
in relazione ai centri di servizio per il volontariato (CSV), disciplinati dall'articolo 61, si prevede l'istituzione di un Organismo nazionale di controllo (ONC) che stabilisce il numero di enti accreditabili come CSV e a riguardo sarebbe stato opportuno richiamare l'applicabilità del decreto 33/2013 (trasparenza) e del decreto 39/2013 (inconferibilità e incompatibilità d'incarichi) tenuto conto che tali CSV percepiscono contributi in forza di un potere «impositivo» comunque derivato da legge dello Stato e per il tramite delle Regioni; si ricorda infatti che l'articolo 15 della L. 266/1991 prevede che per il tramite delle Regioni e degli enti locali siano destinati ai CSV fondi speciali, costituiti con una quota non inferiore ad 1/15 dei proventi delle fondazioni bancarie;
si esprimono forti perplessità sulla nuova disciplina dei CSV che sembra eccedere dalla delega conferita laddove non era in alcun modo contemplata l'istituzione di un'altra fondazione giuridica privata né che la programmazione e il controllo dei CSV fosse affidato, di fatto, alle fondazioni bancarie che deterranno la maggioranza in tali Organismo nazionale di controllo e in quelli territoriali;
appare sconcertate che tale Organismo nazionale, controllato dalle fondazioni bancarie, debba accreditare i CSV e debba definire gli indirizzi strategici generali da perseguire a valere sulle risorse del Fondo unico nazionale. Questa disposizione, unitamente ad altre che seguono (sulle obbligazioni sociali), rappresenta l'emblema della finanziarizzazione non già e non solo dei servizi sociali ma di tutte quelle attività d'interesse generale che, come descritti all'articolo 5 del provvedimento all'esame, riguardano precipuamente attività d'interesse pubblico che lo Stato dovrebbe garantire in via principale, coadiuvato, solo in via sussidiaria, dagli enti del terzo settore; il finanziamento dei Centri di servizio per il volontariato avviene tramite il Fondo unico nazionale (FUN) alimentato da contributi annuali (obbligatori) delle fondazioni di origine bancaria (FOB) ed amministrato dall'Organismo Pag. 96nazionale di controllo (ONC) ossia la succitata Fondazione giuridica privata, controllata dalle fondazioni bancarie e le risorse saranno destinate anche per il funzionamento dell'Organismo nazionale di controllo e degli Organismi territoriali di controllo; di fatto si duplica un sistema di coordinamento nell'ambito del volontariato prevedendone diversi livelli che certamente non semplificano il sistema ma lo rendono estremamente farraginoso (reti associative, CVS, ONC, OTC ecc.) con una diffusa duplicazione di ruoli e competenze ed un ulteriore impiego di risorse;
appare critica la previsione che il credito d'imposta riconosciuto alle fondazioni bancaria sia da queste cedibile anche alle banche, agli intermediari finanziari e assicurativi, ravvisandosi in tal senso un aiuto indiretto alle banche;
non è assolutamente condivisibile il riconoscimento di emolumenti a componenti e dirigenti dell'Organismo nazionale di controllo e degli Organismi territoriali di controllo, emolumenti che saranno finanzianti dalle Fondazioni bancaria nella misura che riterranno opportuna; è evidente che in tal maniera organismi deputati all'accreditamento dei CSV e al controllo (che quindi dovrebbero essere indipendenti) saranno invece essi stessi controllati dalle Fondazioni bancarie che assumono, nel provvedimento all'esame, un ruolo di dominus del nuovo sistema di welfare; si esprimono perplessità nella parte in cui si prevede che l'ONC (che ricordiamo è una fondazione giuridica privata) dia indicazioni «non ben identificate» riguardo il trasferimento dei beni mobili o immobili di un CSV sciolto o non più accreditato e al riguardo sarebbe stato opportuno indicare quale debba essere la destinazione dei beni mobili e immobili onde evitare il rischio di arbitrarietà;
le specifiche misure agevolative per gli enti del terzo settore previste agli articoli 67-71 sembrano delineare un sistema di agevolazioni eccessivo laddove rivolto indistintamente a tutti gli enti del terzo settore, senza adeguati requisiti e presupposti e peraltro alcune agevolazioni, come le provvidenze fideiussorie e creditizie (per agevolare il ricorso al credito), l'accesso al fondo sociale europeo, la possibilità di utilizzare immobili con qualunque destinazione urbanistica, i fondi per i progetti sociali seppur apprezzabili sono rimasti, nel passato, spesso, «lettera morta» a causa della mancanza di regolamentazione amministrativa da parte degli enti pubblici competenti, difficoltà di interpretazione, complicazione amministrativa, carenza di fondi;
è sconcertante la disciplina dei «titoli di solidarietà» che, al di là del termine eufemistico utilizzato, riguarda mere obbligazioni finanziarie e tende a realizzare la cosiddetta «finanza sociale». In buona sostanza si permette alle banche di emettere strumenti finanziari con rilevanti agevolazioni in cambio di «liberalità» agli enti del terzo settore iscritti nel Registro e per le attività di interesse generale (tra i quali ricordiamo ci sono anche attività di precipuo interesse pubblico come le attività sanitarie inserite nei LEA). Peraltro tali liberalità come suindicate e descritte implicano un'aleatorietà e/o discrezionalità sconcertate laddove si prevede ad esempio che le banche «possono erogare, a titolo di liberalità, una somma non inferiore allo 0,60 per cento» per il sostegno delle attività degli enti, «ritenute meritevoli sulla base di un progetto predisposto dagli enti richiedenti»; in buona sostanza sono le banche che valutano se le attività di un ente è meritevole o meno ! Oppure in riferimento alla destinazione di una somma pari all'intera raccolta effettuata attraverso l'emissione dei titoli in realtà si precisa «compatibilmente con le esigenze di rispetto delle regole di sana e prudente gestione bancaria». È forte il sospetto che queste misure agevolative nei confronti degli istituiti finanziari rischiano di rappresentare un indebito aiuto di Stato;
anche la disciplina relativa al regime fiscale del c.d. social lending reca rilevanti perplessità in ordine alla compatibilità con la legge delega tenuto conto Pag. 97che introduce una mera misura fiscale su uno strumento finanziario, peraltro usato anche dalle banche, senza che sia chiaro se e in che misura l'agevolazione sia correlata al terzo settore o alle attività d'interesse generale;
ultime, ma non certo in ordine di importanza, le considerazioni in ordine alle cosiddette «misure di sostegno» che lo schema di decreto prevede per gli enti del terzo settore. Ad un esame approfondito del testo, risulta evidente che il Legislatore – nello sforzo di razionalizzare la materia e di armonizzarla, anche con le disposizioni comunitarie – ha trascurato di portare a compimento gli altri obiettivi immanenti nella Legge di delega: la semplificazione e la certezza applicativa. Nel disegnare i contorni generali della fiscalità non profit, l'articolo 79 dispone che le attività di interesse generale svolte dagli enti del Terzo settore si considerano di natura non commerciale quando sono esercitate a titolo gratuito ovvero «dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e, comunque, non superiori alla metà dei corrispettivi medi previsti per analoghe attività svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito territoriale». È intuitivo che l'applicazione della citata disposizione, diverrà foriera di un elevato numero di contenziosi ove non verranno forniti adeguati strumenti di compliance finalizzati a spiegare cosa si intenda con una simile espressione e come se ne possa ragionevolmente determinare una quantificazione numerica, nelle diverse ipotesi merceologiche e territoriali;
per gli enti di natura associativa, lo schema di decreto stabilisce, in via generale, un trattamento fiscale peggiorativo rispetto a quello già previsto dal Decreto legislativo 460 del 1997: continueranno a fruire della detassazione, ai fini delle imposte sul reddito, solo le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi. Al contrario, diverranno fiscalmente imponibili le attività su pagamento specifico da parte dei soci, anche se rese in conformità con gli scopi statutari, senza scopo di lucro e nel rispetto dei principi di democraticità della governance associativa;
non è chiaro, peraltro, se le disposizioni agevolative previste ai fini delle imposte sui redditi si estendano anche all'imposta sul valore aggiunto ed è questo un punto di grave incertezza normativa. Elementi di semplificazione sono introdotti con il nuovo regime fiscale opzionale per la determinazione del reddito d'impresa degli enti non commerciali del Terzo settore (articolo 80), basato sull'applicazione di coefficienti di redditività proporzionali al volume dei ricavi e dunque sostitutivi della deduzione analitica dei costi. Tuttavia tale disposizione non sembra estendersi all'IVA, per la quale, dunque, non sembra prospettarsi un sistema di liquidazione forfettaria alla stregua di quello previsto dalla legge 398 del 1991, norma – quest'ultima – la cui fruizione sarà inibita alla maggior parte degli enti a carattere associativo. Fatto sta che la liquidazione analitica dell'imposta del valore aggiunto, comporta, inevitabilmente, la soggezione a un complesso sistema adempimentale (registrazioni, liquidazioni telematiche, spesometro, dichiarazione iva) rispetto al quale è ragionevole assumere che la vasta platea degli enti interessati sia largamente impreparata;
unico regime realmente semplificato è quello recato dall'articolo 86 dello schema di decreto sulla falsariga del regime forfetario agevolato per i lavoratori autonomi di ridotte dimensioni (ex minimi) con il vantaggio, pertanto, dell'esclusione da iva e da relativi adempimenti: peccato che esso si applichi esclusivamente alle organizzazioni di volontariato e alle associazioni di promozione sociale il cui volume di ricavi commerciali non supera il plafond annuale di 130.000 euro. L'estensione del beneficio anche ad altre categorie di enti non commerciali, sarebbe risultata provvidenziale nell'ottica di salvaguardare le piccole realtà del terzo settore dall'incremento dei costi di conformità i;
nel complesso il provvedimento inocula nel sistema del terzo settore una Pag. 98quantità impressionante di complicazioni amministrative e burocratiche, delle quali è lecito diffidare che possano realmente contribuire a migliorarne le performance di trasparenza ed affidabilità mentre è pressoché certo che ne determineranno la lievitazione dei costi amministrativi, con connessa sottrazione di preziose risorse al conseguimento delle attività di interesse generale. Tale critica non investe solo il profilo tributario in precedenza descritto, ma anche quello della governance, in ragione dei rilevanti adempimenti introdotti come l'obbligo di redazione del bilancio in sostituzione di quello del rendiconto, l'applicazione del principio di competenza al posto di quello di cassa, l'adozione obbligatoria dell'organo di controllo. Non è in discussione l'esigenza che il settore si doti di adeguati presidi per fronteggiare i fenomeni di elusione ed eterovestizione, ma il fatto che tale obiettivo sia perseguito trasponendo, sic et simpliciter norme e modelli dedotti aprioristicamente dal comparto del privato commerciale, ove già risultano in parte superati e disfunzionanti. D'altro canto, il provvedimento fallisce nel tentativo di colmare le molte lacune che la precedente normativa presentava, generando la mefitica attesa che esse verranno affrontate e risolte attraverso la prassi degli enti impositori e il dibattito nelle aule giudiziarie;
considerato infine che:
il Consiglio di Stato in data 14 giugno 2017 ha reso il proprio parere sul provvedimento all'esame e la maggior parte dei rilevi espressi dal consesso trovano riscontro nelle diverse considerazione riportate nel presente parere,
tutto ciò premesso e considerato, esprime
UNA VALUTAZIONE NEGATIVA
Sibilia, Alberti, Fico, Pesco, Pisano, Ruocco, Villarosa.
Pag. 99ALLEGATO 3
Schema di decreto legislativo recante codice del Terzo settore. (Atto n. 417).
RILIEVI APPROVATI DALLA COMMISSIONE
La VI Commissione Finanze della Camera dei deputati,
esaminato, ai sensi dell'articolo 96-ter, comma 4, del Regolamento, per gli aspetti di propria competenza, lo schema di decreto legislativo recante codice del Terzo settore (Atto n. 417);
rilevato come lo schema di decreto legislativo attui l'articolo 1, comma 2, lettera b), della legge delega n. 106 del 2016, provvedendo al riordino e alla revisione organica della disciplina speciale e delle altre disposizioni vigenti relative agli enti del Terzo settore, compresa la disciplina tributaria applicabile a tali enti, mediante la redazione di un apposito codice del Terzo settore;
evidenziato come detto codice intenda configurarsi come uno strumento unitario, in grado di garantire la coerenza giuridica, logica e sistematica di tutte le componenti del Terzo settore;
sottolineato in particolare come il Titolo VI del provvedimento (articoli 45-54) disciplini l'istituzione e il funzionamento a regime, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Registro unico nazionale del Terzo settore, suddiviso in specifiche sezioni, ciascuna delle quali è dedicata ad una delle categorie di enti definite dal Codice;
considerato che il Titolo VII (articoli 55-57) dispone dei rapporti degli enti del Terzo settore con gli enti pubblici, confermando di fondo la disciplina prevista a normativa vigente, salvo alcuni adattamenti conseguenti alla regolamentazione unitaria del settore. Il tema viene affrontato nelle diverse fasi in cui si possono concretizzare forme relazionali tra la pubblica amministrazione e gli enti del Terzo settore, dalla fase di programmazione, a quella di progettazione fino a quella di attuazione dell'intervento;
considerato, altresì, che il Titolo IX del provvedimento (articoli 77-78) disciplina i titoli di solidarietà degli enti del terzo settore, nonché le altre forme di finanza sociale, in particolare consentendo alle banche autorizzate a operare in Italia di emettere obbligazioni e altri titoli aventi l'obiettivo di sostenere le attività istituzionali degli enti del Terzo settore e recando una specifica normativa in tema di social lending, per favorire la raccolta di capitale di rischio attraverso l'equiparazione della tassazione di tali forme di investimento a quella prevista per i titoli di Stato;
tenuto conto che il Titolo X (articoli 79-89) dello schema di decreto disciplina il regime fiscale degli enti del Terzo settore, in attuazione della disposizione di delega di cui all'articolo 9, comma 1, della legge n. 106 del 1989, allo scopo di operare una semplificazione ed armonizzazione, nel rispetto della normativa dell'Unione europea, del quadro legislativo attuale, caratterizzato da un'estrema frammentazione, con una pluralità di disposizioni che si sono stratificate nel tempo. Il predetto Titolo X, tra l'altro: individua dettagliati criteri per determinare la natura commerciale o non commerciale degli enti del Terzo settore, tenendo conto delle attività da essi svolte e delle modalità operative concretamente impiegate; introduce un regime Pag. 100fiscale opzionale per la determinazione del reddito d'impresa degli enti non commerciali del Terzo settore (vale a dire quegli enti che svolgono in via esclusiva o prevalente attività di interesse generale), basato sui coefficienti di redditività, ossia una percentuale variabile che si applica al reddito imponibile su cui viene poi calcolata l'imposta. Esso prevede inoltre un credito d'imposta per coloro che effettuano erogazioni liberali in denaro a favore degli enti del Terzo settore non commerciali, che abbiano presentato al Ministero del lavoro e delle politiche sociali un progetto per sostenere il recupero degli immobili pubblici inutilizzati e dei beni confiscati alla criminalità organizzata, assegnati ai suddetti enti; introduce una disciplina unitaria per le deduzioni e detrazioni previste per chi effettua erogazioni liberali a favore di enti del Terzo settore non commerciali e di cooperative sociali; disciplina il regime tributario delle associazioni di promozione sociale, iscritte nell'apposita sezione speciale del Registro unico nazionale del Terzo settore, in sostanziale continuità con le vigenti norme, con alcuni interventi di aggiornamento e razionalizzazione. Si esentano inoltre dall'IRES i redditi degli immobili destinati esclusivamente allo svolgimento di attività non commerciale da parte delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni di volontariato. È inoltre disciplinato il regime tributario delle associazioni di promozione sociale, iscritte nell'apposita sezione speciale del Registro unico nazionale del Terzo settore, in sostanziale continuità con le vigenti norme, con alcuni interventi di aggiornamento e razionalizzazione. Per le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale si prevede la possibilità di applicare un regime forfettario, con contabilità semplificata, per le attività commerciali esercitate, a condizione di non superare il limite di ricavi di 130.000 euro nel periodo d'imposta precedente;
considerato inoltre il parere espresso dal Consiglio di Stato nell'adunanza della Commissione speciale del 31 maggio 2017;
delibera i seguenti rilievi sullo schema di decreto legislativo, ritenendo imprescindibile, al fine di una valutazione favorevole sul provvedimento ed alla luce del rilevante numero di disposizioni contenute nel testo che investono le competenze della Commissione Finanze, che nel parere parlamentare che sarà espresso sullo schema di decreto dalla Commissione Affari sociali essi siano integralmente recepiti:
a) con riferimento all'articolo 4, comma 1, dello schema di decreto, si rileva la necessità di prevedere l'inserimento della formula già utilizzata all'articolo 10 del decreto legislativo n. 460 del 1997 per le ONLUS, al fine di consentire ai trust (costituiti anche in forma di ONLUS), ove rispondano ai requisiti introdotti dallo schema in esame, di iscriversi nel Registro unico. In considerazione di quanto sopra, si rileva come, nella richiamata norma, occorra sostituire le parole: «ed ogni altro ente costituito in forma di associazione, riconosciuta o non riconosciuta, o di fondazione» con le seguenti: «le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti»;
b) con riferimento all'articolo 35, comma 3, dello schema di decreto, si rileva la necessità di specificare che la disposizione consente in ogni caso l'ammissione come associati, ove previsto dagli Statuti e dagli Atti Costitutivi delle Associazioni di promozione sociale, di altri enti no-profit che non siano enti del Terzo settore;
c) con riferimento al comma 2 dell'articolo 46 dello schema di decreto, il quale vieta l'iscrizione contemporanea in due o più sezioni del Registro, si rileva la necessità di sopprimere il predetto comma, in quanto molte delle attività in campo sociosanitario e socioassistenziale sono interconnesse allo scopo di raggiungere il miglior risultato nei confronti della persona assistita;
d) con riferimento all'articolo 50, comma 3, dello schema di decreto, si Pag. 101rileva la necessità di sopprimere l'ultimo periodo, in quanto il passaggio da una ad altra sezione del Registro unico non muta né il soggetto giuridico, né le finalità e le attività, che restano quelle di interesse generale fissate dal Codice, né la sua configurazione di ente del Terzo settore (ETS);
e) con riferimento all'articolo 56 dello schema di decreto, si rileva la necessità di sostituire, ovunque ricorrano, le parole: «le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale» con le seguenti: «gli enti del terzo settore». Risulta infatti difficilmente comprensibile la limitazione delle convenzioni a organizzazioni di volontariato (OdV) e associazioni di promozione sociale (APS);
f) con riferimento all'articolo 63 dello schema di decreto, si rileva la necessità di sopprimere la lett. g), la quale consente ai Centri di Servizio per il Volontariato (CSV) di svolgere attività riconducibili ai servizi relativi al controllo degli enti del Terzo settore, ovvero la necessità di prevedere che il controllo possa essere esercitato soltanto sugli enti aderenti al Centro di Servizio per il Volontariato, al fine di escludere un eccesso di delega. La legge n. 106 del 2016, infatti, all'articolo 7, comma 2, attribuisce al Ministero del lavoro e delle politiche sociali il compito di «promuovere» forme adeguate ed efficaci di «autocontrollo»; di conseguenza, i CSV non possono esercitare il controllo su enti non loro aderenti;
g) con riferimento all'articolo 72 dello schema di decreto, si rileva la necessità di sostituire il comma 1 con il seguente: «Il Fondo previsto dall'articolo 9, comma 1, lettera g), della legge 6 giugno 2016, n. 106, è destinato a sostenere, anche attraverso le reti associative di cui all'articolo 41, lo svolgimento di attività di interesse generale di cui all'articolo 5, costituenti oggetto di iniziative e progetti promossi dagli Enti del Terzo settore, iscritti nel Registro unico nazionale». Detto Fondo riguarda tutti gli ETS, mentre il comma 1 lo limita a ODV, APS e Fondazioni, che costituiscono appena il 20 per cento del terzo settore;
h) con riferimento all'articolo 77 dello schema di decreto, si rileva la necessità di sostituire il comma 2 con il seguente: «2. I titoli sono obbligazioni ed altri titoli di debito, non subordinati e non convertibili, che non conferiscono il diritto di sottoscrivere o acquisire altri tipi di strumenti finanziari e che non sono collegati ad uno strumento derivato, nonché certificati di deposito consistenti in titoli individuali non negoziati nel mercato monetario.»;
i) con riferimento all'articolo 77, comma 4, al fine di non ingenerare dubbi in merito all'effettivo campo di applicazione della norma in presenza di tassi di rendimento che superano i parametri di cui sopra, con un favor evidente per il risparmiatore, si rileva la necessità di inserire la parola «almeno» prima delle seguenti: «pari al maggiore». Medesimo discorso vale con riferimento al periodo successivo relativo ai certificati di deposito con scadenza non inferiore a 12 mesi;
l) con riferimento all'articolo 77, comma 8, dello schema di decreto legislativo, si rileva la necessità di chiarire a livello interpretativo che l'esonero della contribuzione di vigilanza a favore della CONSOB da parte degli istituti di credito è limitato alle contribuzioni relative alle attività concernenti la sola emissione dei titoli di solidarietà di cui al medesimo articolo 77;
m) con riferimento al TITOLO X, relativo al Regime fiscale degli enti del terzo settore, CAPO I (Disposizioni Generali) dello schema di decreto, si rileva la necessità di sostituire l'articolo 79 con il seguente:
«ARTICOLO 79. (Disposizioni in materia di imposte sui redditi).
1. Agli enti del Terzo settore, diversi dalle imprese sociali, si applicano le disposizioni di cui al presente titolo nonché le norme del titolo II del testo unico delle Pag. 102imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, in quanto compatibili.
2. Le attività di interesse generale di cui all'articolo 5, ivi incluse quelle autorizzate, accreditate o contrattualizzate o convenzionate con le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, l'Unione europea ed altri organismi pubblici di diritto internazionale, si considerano di natura non commerciale quando le stesse sono svolte a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi che non superano i costi effettivi, tenuto anche conto degli apporti economici delle amministrazioni di cui sopra e salvo eventuali importi di partecipazione alla spesa previsti dall'ordinamento. Ai fini del calcolo del costo effettivo si tiene conto anche del valore normale delle attività di cui all'articolo 17 e delle erogazioni gratuite di beni o servizi.
3. Sono altresì considerate non commerciali:
a) le attività di cui all'articolo 5, comma 1, lettera h), se svolte direttamente dagli enti di cui al comma 1 la cui finalità principale consiste nello svolgere attività di ricerca scientifica di particolare interesse sociale e purché tutti gli utili siano interamente reinvestiti nelle attività di ricerca e nella diffusione gratuita dei loro risultati e non vi sia alcun accesso preferenziale da parte di altri soggetti privati alle capacita’ di ricerca dell'ente medesimo nonché ai risultati prodotti;
b) le attività di cui all'articolo 5, comma 1, lettera h), affidate dagli enti di cui al comma 1 ad università e altri organismi di ricerca che la svolgono direttamente in ambiti e secondo modalità definite dal decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2003, n. 135.
4. Non concorrono, in ogni caso, alla formazione del reddito degli enti del Terzo settore di cui al comma 5:
a. i fondi pervenuti a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente anche mediante offerte di beni di modico valore o di servizi ai sovventori, in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione;
b. i contributi e gli apporti erogati da parte delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, per lo svolgimento delle attività di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo.
5. Si considerano non commerciali gli enti del Terzo settore di cui al comma 1 che svolgono in via esclusiva o prevalente le attività di cui all'articolo 5 in conformità ai criteri indicati nei commi 2 e 3 del presente articolo. Indipendentemente dalle previsioni statutarie gli enti del Terzo settore assumono fiscalmente la qualifica di enti commerciali qualora i proventi delle attività di cui all'articolo 5, svolte in forma d'impresa non in conformità ai criteri indicati nei commi 2 e 3 del presente articolo nonché le attività di cui all'articolo 6, fatta eccezione per le attività di sponsorizzazione svolte nel rispetto dei criteri di cui al decreto previsto all'articolo 6, superano, nel medesimo periodo d'imposta, le entrate derivanti da attività non commerciali, intendendo per queste ultime i contributi, le sovvenzioni, le liberalità, le quote associative dell'ente e ogni altra entrata assimilabile alle precedenti, ivi compresi i proventi e le entrate considerate non commerciali ai sensi dei commi 2, 3 e 4, tenuto conto altresì del valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti le attività svolte con modalità non commerciali. Il mutamento della qualifica opera a partire dal periodo d'imposta in cui l'ente assume natura commerciale.
6. Si considera non commerciale l'attività svolta dalle associazioni del Terzo settore nei confronti dei propri associati, familiari o conviventi degli associati in conformità alle finalità istituzionali dell'ente. Non concorrono alla formazione del reddito delle associazioni del Terzo settore le somme versate dagli associati, a titolo di quote o contributi associativi. Si considerano, tuttavia, attività di natura commerciale le cessioni di beni e le prestazioni di Pag. 103servizi effettuate nei confronti degli associati, familiari o conviventi degli associati, verso pagamento di corrispettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto. Detti corrispettivi concorrono alla formazione del reddito complessivo come componenti del reddito di impresa o come redditi diversi a seconda che le relative operazioni abbiano carattere di abitualità o di occasionalità»;
n) con riferimento all'articolo 79 comma 5, dello schema di decreto, si rileva la necessità, a fini interpretativi, di chiarire che devono essere considerate afferenti alla parte non commerciale le entrate relative ad operazioni di cause related marketing (marketing sociale), quali quelle di cessione gratuita del marchio, e le «entrate gratuite» (valorizzazione dei beni donati e dei servizi erogati a titolo gratuito);
o) con riferimento agli articoli 80 e 86 dello schema di decreto e all'incompatibilità del regime di tenuta delle scritture contabili semplificato con quello settoriale previsto per le società e associazioni sportive dilettantistiche, regolato dall'articolo 90 del decreto legislativo n. 289 del 2002, in deroga a quanto previsto nei successivi articoli dello schema di decreto, per le società e associazioni sportive dilettantistiche che si iscrivono al Registro unico nazionale del Terzo settore, si rileva la necessità di introdurre una norma interpretativa volta a chiarire che continuano, in ogni caso, a trovare applicazione le norme contenute nel citato articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289;
p) con riferimento all'articolo 80 dello schema di decreto, si rileva la necessità di inserire, dopo il comma 4, il seguente: «5. Gli Enti che optano per la determinazione forfetaria del reddito di impresa ai sensi del presente articolo sono esclusi dall'applicazione degli studi di settore di cui all'articolo 62-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427 e dei parametri di cui all'articolo 3, comma 184, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, nonché degli indici sistematici di affidabilità di cui all'articolo 7-bis del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193 convertito con modificazioni dalla legge 1 dicembre 2016, n. 225»;
q) con riferimento all'articolo 80 dello schema di decreto, si rileva la necessità di specificare con norma interpretativa che le perdite fiscali degli Enti che optano per la determinazione forfetaria del reddito di impresa, generatesi nei periodi d'imposta anteriori a quello da cui decorre il regime forfetario, possono essere computate in diminuzione del reddito determinato ai sensi del medesimo articolo 80, secondo le regole ordinarie stabilite dal testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917;
r) con riferimento all'articolo 81 dello schema di decreto, si rileva la necessità di integrare il comma 1 prevedendo che il bonus possa spettare anche per erogazioni a favore di enti del Terzo settore in senso ampio, ricomprendendo quindi anche le imprese sociali. Al fine di evitare profili di incompatibilità comunitaria, l'assegnazione del beneficio fiscale va limitato alla condizione che l'immobile sia dedicato in via esclusiva allo svolgimento di attività di natura non commerciale;
s) con riferimento all'articolo 81, comma 1, dello schema di decreto, relativamente ai soggetti eroganti, si rileva la necessità di chiarire che il credito può essere fruito da enti o società, senza fare riferimento alla loro soggettività ai fini dell'IRES, in modo tale da assicurare il beneficio anche alle società di persone e agli altri enti tassati per trasparenza;
t) con riferimento all'esenzione dall'imposta sulle successioni e donazioni e dalle imposte ipotecaria e catastale, di cui all'articolo 82, comma 2, dello schema di decreto, si rileva la necessità di modificare la predetta norma eliminando la subordinazione dei benefici fiscali previsti per il trasferimento a titolo gratuito alla condizione Pag. 104che i beni o i diritti ricevuti, o la somma ricavata dalla loro alienazione, siano direttamente utilizzati, entro cinque anni dal trasferimento, in attuazione degli scopi istituzionali. Pertanto, si rileva la necessità di sostituire il citato articolo 82, comma 2, con il seguente: «2. Non sono soggetti all'imposta sulle successioni e donazioni e alle imposte ipotecaria e catastale i trasferimenti a titolo gratuito, effettuati a favore degli enti di cui al comma 1 del presente articolo.»;
u) con riferimento all'articolo 82, comma 3, dello schema di decreto, e all'applicazione in misura fissa delle imposte di registro, ipotecarie e catastali agli atti costitutivi e alle modifiche statutarie, si rileva la necessità di ricomprendere nel medesimo regime anche le operazioni di fusione, scissione o trasformazione poste in essere da enti del Terzo settore di cui al comma 1 del medesimo articolo 82, o dagli Enti di cui all'articolo 4, comma 3, che, ai sensi e alle condizioni di cui al medesimo articolo 4, esercitano le attività di cui all'articolo 5. Si rileva inoltre la necessità di prevedere che le modifiche statutarie per adeguamenti normativi non scontino imposta di registro;
v) con riferimento all'articolo 82, comma 6, dello schema di decreto, si rileva la necessità di limitare l'esenzione IMU e TASI agli immobili posseduti e utilizzati dagli enti non commerciali del Terzo settore di cui all'articolo 79, comma 5, destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive. Questo al fine di non ampliare l'ambito dell'esenzione rispetto a quanto attualmente previsto con perdita di gettito per gli enti locali;
z) con riferimento all'articolo 82, comma 10, dello schema di decreto, si rileva la necessità di chiarire con norma interpretativa che alle cessioni di beni e alle relative prestazioni accessorie, effettuate nei confronti delle amministrazioni dello Stato e dei soggetti della cooperazione allo sviluppo iscritti nell'elenco di cui all'articolo 26, comma 3, della legge n. 125 del 2014, destinati a essere trasportati o spediti fuori dell'Unione europea in attuazione di finalità umanitarie, comprese quelle dirette a realizzare programmi di cooperazione allo sviluppo, si applica l'articolo 8-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633;
aa) con riferimento all'articolo 82 dello schema di decreto, si rileva la necessità di sostituire il comma 5 con il seguente: «Gli atti, le istanze, i contratti, nonché le copie anche se dichiarate conformi, gli estratti, le certificazioni, le dichiarazioni, le attestazioni e ogni altro documento cartaceo e informatico in qualunque modo denominato, posti in essere o richiesti dagli enti di cui al comma 1 sono esenti dall'imposta di bollo.»;
bb) con riferimento all'articolo 83, comma 1, dello schema di decreto, si rileva la necessità di prevedere, in luogo della detrazione d'imposta delle liberalità erogate a favore degli enti del Terzo settore da persone fisiche, la deducibilità delle predette liberalità dal reddito complessivo netto del soggetto erogatore, nel limite del 10 per cento del reddito complessivo dichiarato;
cc) con riferimento all'articolo 83 dello schema di decreto, considerato che la materia delle cessioni per solidarietà sociale senza scopo di lucro di prodotti alimentari, farmaceutici e prodotti diversi agli enti del terzo settore – così come definiti al titolo II del presente schema di decreto legislativo – risulta già disciplinata dalla legge 19 agosto 2016, n. 166, si rileva la necessità di sopprimere i commi 3, 4 e 5 del medesimo articolo 83, inserendo una disposizione di coordinamento tra la riforma del terzo settore e la citata legge n. 166 del 2016;
dd) con riferimento all'articolo 83 dello schema di decreto, si rileva la necessità di inserire un nuovo comma per fare salva la detrazione al 19 per Pag. 105cento dei contributi associativi di importo non superiore ad euro 1.291,14 versati dai soci alle società di mutuo soccorso che operano esclusivamente nei settori di cui all'articolo 1 della legge 15 aprile 1886, n. 3818; ciò al fine di assicurare ai soci un sussidio nei casi di malattia, di impotenza al lavoro o di vecchiaia, ovvero, in caso di decesso, un aiuto alle loro famiglie. Contestualmente si rileva la necessità di abrogare l'articolo 15, comma 1, lettera i-bis) del TUIR da inserirsi all'articolo 102 comma 1;
ee) con riferimento all'articolo 84, comma 1, dello schema di decreto, in conseguenza della modifica dell'articolo 79 di cui alla lettera m) come sopra indicato, si rileva la necessità di eliminare la lettera d) al fine di non penalizzare le ODV rispetto al nuovo tenore dell'articolo 79, comma 2;
ff) con riferimento all'articolo 85, comma 1, ultimo periodo, dello schema di decreto, si rileva la necessità di eliminare il riferimento agli enti del terzo settore dopo le parole «nonché nei confronti di enti», per rendere conforme il testo con la lettera m);
gg) con riferimento all'articolo 86, comma 1, dello schema di decreto, si rileva la necessità di specificare che si tratta di regime opzionale sostituendo le parole: «applicano» con le seguenti: «possono applicare»;
hh) con riferimento all'articolo 86, comma 2, dello schema di decreto, al fine di un migliore coordinamento delle procedure, si rileva la necessità di specificare che gli enti non di nuova costituzione potranno comunicare l'opzione nella dichiarazione annuale; conseguentemente si rileva la necessità di inserire dopo le parole: «regime forfetario comunicando» le seguenti: «nella dichiarazione annuale o»;
ii) con riferimento all'articolo 86, comma 15, dello schema di decreto, si rileva la necessità di eliminare il richiamo alle condizioni di esclusione di cui al comma 3;
ll) con riferimento all'articolo 87 comma 1, dello schema di decreto, si rileva la necessità di inserire tra gli enti del Terzo settore non commerciali di cui all'articolo 79, comma 5, che non applicano il regime forfetario di cui all'articolo 86, anche quelli di cui all'articolo 80, prevedendo per questi ultimi il regime contabile «commerciale» semplificato, di cui all'articolo 2 della legge n. 398 del 1991;
mm) con riferimento all'articolo 87, comma 1, dello schema di decreto, si rileva la necessità di sostituire la lettera a) con la seguente: «a) in relazione all'attività complessivamente svolta, redigere scritture contabili cronologiche e sistematiche atte ad esprimere con compiutezza e analiticità le operazioni poste in essere in ogni periodo di gestione, e rappresentare adeguatamente in apposito documento, da redigere entro quattro mesi dalla chiusura dell'esercizio annuale, ovvero entro il maggior termine previsto dallo statuto qualora particolari esigenze lo richiedano, la situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'ente, distinguendo le attività indicate all'articolo 6 da quelle di cui all'articolo 5, con obbligo di conservare le stesse scritture e la relativa documentazione per un periodo non inferiore a quello indicato dall'articolo 22 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600»;
nn) con riferimento all'articolo 87 dello schema di decreto, dopo il comma 2, si rileva la necessità di inserire il seguente: «2-bis. Per gli enti del Terzo settore non commerciali di cui all'articolo 79, comma 5, le cui rendite e proventi non superino i limiti previsti dall'articolo 13 comma 2, gli obblighi di cui al comma 1 si intendono assolti in presenza di rendiconto di cui al medesimo articolo 13, comma 2»;
oo) con riferimento all'articolo 87, comma 3, dello schema di decreto, si rileva la necessità di chiarire, con norma interpretativa, che trovano in ogni caso applicazione i commi 3, 4 e 5 dell'articolo 144 del Testo Unico delle Imposte sui Pag. 106Redditi – TUIR, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 in tema di determinazione dei redditi degli enti non commerciali;
pp) con riferimento all'articolo 89, comma 6, dello schema di decreto, si rileva la necessità di prevedere il riferimento agli enti di cui all'articolo 82 comma 1, in luogo degli enti non commerciali di cui all'articolo 79, comma 5, in quanto le attuali ONLUS confluiranno in imprese sociali non societarie, già comprese negli enti del Terzo settore, e altre rimarranno cooperative sociali;
qq) con riferimento all'articolo 89 dello schema di decreto, si rileva la necessità di sopprimere il comma 15;
rr) con riferimento all'articolo 100 dello schema di decreto, si rileva la necessità di sopprimerlo;
ss) con riferimento all'articolo 102, comma 1, lettera e), dello schema di decreto, si rileva la necessità di non abrogare la lettera «i) dell'articolo 100, comma 2, del TUIR» dal momento che tale disposizione agevolativa consente la deducibilità del costo dei lavoratori distaccati presso le ONLUS;
tt) con riferimento ai decreti di cui agli articoli 6 comma 1, 7 comma 2, 13 comma 3, 14 comma 1, 18 comma 2, 19 comma 2, 46 comma 3, 47 comma 5, 53 comma 1, 59 comma 3, 62 comma 6, 54 comma 1, 64 comma 3, 65 comma 4, 76 comma 4, 77 comma 15, 81 comma 7, 83 comma 2, 92 comma 5 e 96 comma 1 dello schema di decreto, si rileva la necessità di prevedere che, ove non diversamente disposto, essi siano emanati entro un anno dall'entrata in vigore del presente decreto.