ALLEGATO 1
5-04812 Causi: Chiarimenti in merito al regime di detrazione IVA degli acquisti applicabile ai contratti di soccida agraria.
TESTO DELLA RISPOSTA
Con il documento di sindacato ispettivo in esame, gli Onorevoli interroganti chiedono chiarimenti in merito al diritto alla detrazione dell'IVA relativa agli acquisti di bestiame nell'ambito del contratto di soccida.
In particolare, gli interroganti riferiscono che l'Agenzia delle entrate avrebbe emesso diversi atti di accertamento (in particolare la Direzione provinciale di Viterbo, di seguito DP) che, disconoscendo l'IVA sugli acquisti del soccidario, recuperano l'imposta esposta in dichiarazione come IVA a credito (nel presupposto che la commercializzazione degli animali era effettuata esclusivamente dal soccidante), anche se precedentemente la stessa IVA era stata oggetto di rimborso da parte dello stesso ufficio che ha emesso l'atto di accertamento.
Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
Nel corso degli anni 2013/2014 sono stati accertati n. 27 soggetti nella provincia di Viterbo.
Degli accertamenti emessi due si sono conclusi con acquiescenza dei contribuenti, dieci con adesioni già concluse e due con adesione attualmente in corso, dieci con ricorso presentato da parte dei contribuenti e, infine, due si sono resi definitivi per mancata opposizione. Con riguardo ai ricorsi, sono state ad oggi depositate quattro sentenze, di cui tre a favore dei ricorrenti (oggetto di impugnazione da parte dell'ufficio) ed una a favore dell'Agenzia (ultima ad essere stata depositata in ordine temporale).
Con riferimento alle motivazioni degli atti accertativi, l'ufficio ha riesaminato la richiesta di rimborsi IVA da parte di soggetti che esercitano l'attività di allevamento di bestiame in regime di soccida solo relativamente ai contratti che prevedevano l'intera monetizzazione della quota spettante al soccidario. Tale integrale monetizzazione trova riscontro nel fatto che non risultavano emesse da parte dei soccidari, fatture di vendita a seguito di una eventuale autonoma cessione dei capi spettanti. Ai sensi dell'articolo 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, i soggetti passivi d'imposta, che operano in regime ordinario, hanno diritto a detrarre integralmente l'IVA relativa agli acquisti di beni e servizi solo se destinati ad operazioni imponibili o ad esse assimilate: è, invece, indetraibile l'imposta assolta a monte relativa a beni e servizi destinati esclusivamente ad operazioni esenti, ovvero ad operazioni comunque non soggette all'imposta. Nei casi oggetto di accertamento i soggetti non avevano effettuato alcuna operazione attiva imponibile ai fini IVA pertanto nessuna detrazione dell'imposta assolta sugli acquisti poteva essere operata dagli stessi.
Al fine di non penalizzare i soggetti che in buona fede avevano fatto affidamento sulla possibilità di richiedere a rimborso l'IVA pagata, l'ufficio ha provveduto a disapplicare le sanzioni ai soggetti accertati.
La DP di Viterbo ha anche richiesto parere alla Direzione Regionale – Settore Servizi e Consulenza – Ufficio Fiscalità, la quale ha confermato che nei casi esaminati dalla DP istante, al soccidario non spetta la detrazione dell'IVA sugli acquisti Pag. 94(e quindi nessun rimborso), in quanto non effettua alcuna operazione attiva imponibile.
La DP di Viterbo rappresenta, infine. che sebbene le Commissioni di merito non hanno una posizione univoca in materia, le sentenze emesse dalla Cassazione hanno accolto, ad oggi, la tesi dell'Amministrazione Finanziaria (Cassazione 21491/2005; 8727/2013; 27715/2013).
Per quanto riguarda il merito della questione, si fa presente che, con la circolare del 9 febbraio 1995, n. 48/E, è stato precisato che gli atti generatori il contratto di soccida (ad esempio gli atti di conferimento del bestiame) non sono fattispecie rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, non rappresentando atti traslativi della proprietà.
Con la citata circolare n. 48/E del 1995, è stato, altresì, chiarito che anche la restituzione del bestiame, alla fine del contratto, non costituisce operazione rilevante ai fini dell'IVA, riassumendo il conferente la materiale disponibilità del proprio bestiame inizialmente conferito.
Per quanto attiene alla divisione degli accrescimenti, è stato, inoltre, specificato che questa è solo un atto dichiarativo dell'acquisto originario degli stessi, che altro non sono che una fruttificazione del diritto di proprietà del bestiame oggetto del contratto di soccida.
Ciò posto, nonostante sia il conferimento che la divisione del bestiame siano atti non assoggettati ad IVA, la circolare n. 48/E chiarisce che è comunque ammessa la detrazione forfettizzata per le successive cessioni, ovviamente con riferimento all'IVA corrisposta per gli acquisti antecedenti il conferimento.
Al riguardo, come chiarito con la circolare n. 32 del 27 aprile 1973 (richiamata successivamente dalla risoluzione n. 381861 del 28 maggio 1980), «possono essere considerati produttori agricoli, ai fini dell'articolo 34, in quanto partecipi dell'attività di allevamento di cui si assumono i rischi in proporzione alle quote conferite, sia il soccidario che il soccidante il quale svolga in proprio l'attività di allevatore.
Ne deriva che alle cessioni aventi per oggetto i frutti dell'allevamento, può essere applicato il regime di cui al primo comma del richiamato articolo 34; nell'accennata ipotesi, la veste di contribuente viene assunta dal solo soccidante qualora provveda alla vendita dell'intero prodotto, ovvero anche dal soccidario per la parte di sua spettanza che venga da esso direttamente ceduta».
In altre parole, affinché il soccidario possa esercitare il diritto alla detrazione dell'IVA sugli acquisti, ancorché in misura forfettizzata ai sensi dell'articolo 34 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, è necessario che lo stesso svolga in proprio l'attività di allevatore, e provveda direttamente alla vendita dei prodotti in questione.
Da ultimo, per quanto riguarda il contenzioso pendente, si segnala che dall'interrogazione della banca dati del contenzioso, abbinati alla questione controversa specifica si rilevano 18 ricorsi presentati in Commissione Tributaria Provinciale, 12 in Commissione Tributaria Regionale e 4 in Cassazione.
Allo stato attuale risultano emesse diverse sentenze di merito, con esito sfavorevole all'Ufficio: per alcune risulta presentato appello.
Il contenzioso si concentra, in particolare, nel Lazio (e nella provincia di Viterbo, come evidenziato dagli interroganti), in Piemonte e in Umbria.
Dagli scritti difensivi emerge che si tratta, di regola, di contratti di cd. soccida semplice per allevamento di animali (pollame, bovini, e altro), in cui il soccidante si obbliga a conferire una certa quantità di bestiame, mentre il soccidario presta l'attività necessaria alla custodia e all'allevamento; in seguito, il soccidante rivende il bestiame riconoscendo al soccidario una quota di «utili» (monetizzata e liquidata in denaro), determinata in base alle condizioni contrattuali che si riferiscono alla ripartizione degli accrescimenti.
Si fa presente, infine, che la questione ha costituito oggetto dell'istanza di consulenza giuridica n. 913-30/2012 presentata dall'Ufficio Territoriale di Viterbo in data Pag. 9528 novembre 2012, in relazione alla quale la Direzione Regionale del Lazio ha espresso il parere secondo cui «Nel caso di specie il soccidario non effettua alcuna operazione attiva imponibile o ad essa assimilata che avrebbe legittimato da parte sua la detrazione d'imposta. Ne consegue che allo stesso non spetta la detrazione IVA sugli acquisti e, dunque, neanche il rimborso che l'Ufficio vorrebbe riconoscere».
ALLEGATO 2
5-04813 Barbanti: Elementi informativi in merito alla retribuzione dell'Amministratore delegato della Banca Monte dei Paschi di Siena.
TESTO DELLA RISPOSTA
Con l'interrogazione a risposta immediata in Commissione l'On. Barbanti ed altri pongono quesiti in ordine alla retribuzione percepita nel 2013 dall'Amministratore del Monte dei Paschi di Siena dott. Fabrizio Viola.
Al riguardo, la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa ha comunicato che, nell'ambito dello svolgimento dell'attività di vigilanza svolta nel luglio 2014, la Commissione ha rivolto alla Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. alcune richieste istruttorie con riferimento alle modalità di determinazione del compenso percepito nell'anno 2013 dal Dott. Viola.
Peraltro, nel mese di novembre 2013, la Commissione Europea ha approvato il Piano di Ristrutturazione 2013-2017 della Banca, approvazione che ha comportato l'applicazione di un limite massimo di euro 500.000 alla remunerazione individuale complessiva dei Top Manager, «a decorrere dal mese di dicembre 2013» e fino al completamento dell'aumento di capitale previsto per il 2014, quest'ultimo effettivamente conclusosi entro il primo semestre 2014, e che ha permesso il rimborso integrale dei Nuovi Strumenti Finanziari (c.d. salary cap) il 1o luglio 2014.
Infine, la medesima decisione autorizzava MPS a stipulare transazioni con i componenti del CDA o esponenti dell'alta direzione la cui remunerazione fosse oltre la soglia al momento della decisione della Commissione, al fine consentire a MPS di rispettare l'impegno nel pieno rispetto del diritto privato italiano, stabilendo dei precisi paletti al contenuto dell'accordo transattivo.
Pertanto, in applicazione dei citati limiti massimi di remunerazione, in data 28 novembre 2013, la Banca ha stipulato con il dott. Viola un Accordo transattivo in modo, da un lato, di ottemperare alla richiesta della Commissione Europea e, dall'altro, di proseguire il rapporto di lavoro con il dott. Viola ancorché alle nuove condizioni, al fine di scongiurare le ricadute fortemente negative – sia in termini di continuità gestionale che di oneri da sostenere – a cui la stessa sarebbe andata incontro in caso di scioglimento del rapporto di lavoro senza giusta causa». In proposito, sul sito Internet di Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. è disponibile la relazione sulle remunerazioni attribuite per l'esercizio 2013.
Secondo i termini del citato Accordo transattivo riferiti dalla Banca sia nella documentazione diffusa al mercato che nelle note inviate alla Consob, il dott. Viola ha accettato la riduzione della Retribuzione Totale a 500.000 euro rinunciando al compenso stipulato nel contratto di assunzione (Euro 1,4 milioni di retribuzione fissa più Euro 2,1 milioni di variabile massimo potenziale) oltre alla sospensione della corresponsione degli emolumenti per la carica di A.D. (euro 400.000). A fronte di tale rinuncia, al dott. Viola veniva riconosciuto un up-front una tantum pari a Euro 1.200.000. Tale somma è stata corrisposta al dott. Viola nel mese di luglio 2014.
A seguito dell'applicazione dell'Accordo transattivo, la Banca ha precisato che il dott. Viola nel 2013 ha percepito i seguenti compensi:
1) 402.438 Euro per la carica di Amministratore Delegato (di cui solo Pag. 97332.838 relativi al 2013 a seguito della sospensione della corresponsione dell'emolumento fisso a far data dal 31 ottobre 2013). Il raggiungimento della somma di 402.438 euro è dovuto alla corresponsione di 60.000 euro quale emolumento fisso stabilito dall'Assemblea per i componenti del Consiglio di Amministrazione e di 9.600 euro per gettoni di presenza alle riunioni dell'Organo Collegiale.
2) 1.325.000 Euro per la carica di Direttore generale. Tale compenso è stato calcolato sommando 11/12 dell'originario importo stipulato contrattualmente al momento dell'assunzione della carica e 1/12 dell'importo massimo concordato con la Commissione Europea, pari a 500.000 Euro, limite applicato al mese di dicembre 2013 a seguito della stipula dell'Accordo transattivo del 28 novembre 2013. Sono esclusi dal computo i benefici non monetari (assicurazione e previdenza complementare) e i compensi per la partecipazione al Comitato esecutivo.
Si precisa, infine, che nell'ambito del Piano di Ristrutturazione l'Italia si è impegnata nei confronti della Commissione Europea affinché Monte dei Paschi di Siena rispetti i Commitments medesimi. Il monitoraggio sul rispetto dei Commitments viene svolto da un Monitoring Trustee indipendente, designato dalla banca previa approvazione della Commissione Europea.
ALLEGATO 3
5-04814 Paglia: Utilizzo da parte dell'Agenzia delle entrate dei dati contenuti nella cosiddetta «lista Falciani».
TESTO DELLA RISPOSTA
Con il documento in esame l'Onorevole interrogante sollecita il Governo a fornire chiarimenti in ordine ai controlli espletati dall'Agenzia delle entrate in base alla cosiddetta «Lista Falciani».
In particolare, l'Onorevole interrogante chiede di conoscere:
a) se è stata verificata la corrispondenza dei contribuenti indicati nella lista citata, ottenuta dalle autorità francesi con quelli indicati come facenti parte della lista in un articolo apparso sul settimanale l'Espresso, in data 9 febbraio 2015;
b) quale impiego sia stato fatto della lista, alla luce della sentenza dell'agosto 2014 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che ne ha sancito l'inutilizzabilità;
c) come intenda procedere l'Agenzia delle Entrate per reperire le informazioni mancanti, nel caso in cui non vi sia corrispondenza tra la lista in possesso dell'Amministrazione finanziaria e quella pubblicata dal citato settimanale;
d) se i contribuenti indicati nella lista possano usufruire della procedura di voluntary disclosure.
Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
Preliminarmente, deve precisarsi che le informazioni relative alla cd. «Lista Falciani» sono state a suo tempo acquisite dal Comando Generale della Guardia di Finanza che ha curato le conseguenti attività di controllo.
L'Agenzia delle entrate riferisce di non esser mai venuta in possesso della citata «Lista Falciani» e, pertanto, di non essere in grado di effettuare quella verifica di corrispondenza dei contribuenti indicati nella lista stessa, richiesta dall'Onorevole interrogante.
Ciò premesso, il Comando Generale della Guardia di Finanza precisa che la c.d. «Lista Falciani» concerne contribuenti italiani (sia persone fisiche che persone giuridiche) risultati detentori di disponibilità finanziarie presso la HSBC Private Bank di Ginevra.
Tale elenco è stato acquisito nel maggio 2010 dal Comando Generale presso la Direzione Generale delle Finanze Pubbliche del Ministero del Bilancio, dei Conti Pubblici e della Riforma dello Stato francese mediante i canali di mutua assistenza amministrativa internazionale ai fini delle imposte sui redditi, previsti dall'articolo 2 della Direttiva n. 77/799/CEE del Consiglio del 19 dicembre 1977 (all'epoca vigente) e dall'articolo 27 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Francia stipulata il 5 ottobre 1989 e ratificata con la legge 7 gennaio 1992, n. 20.
All'esito dell'acquisizione, sono state successivamente fornite disposizioni ai reparti interessati per i necessari approfondimenti operativi.
Alla data del 29 gennaio 2015, a fronte di 5.439 nominativi oggetto di segnalazione ai predetti reparti sono stati conclusi 3.276 interventi ispettivi, con la constatazione di elementi positivi di reddito non dichiarati per 741.755.879 euro, IVA dovuta per 4.363.748 euro, IVA non versata per 156.981 euro, ritenute operate e non versate Pag. 99per 10.066 euro, il tutto segnalato all'Agenzia delle entrate per il recupero a tassazione mediante le ordinarie procedure di accertamento e riscossione.
Le restanti posizioni non sono state approfondite poiché i soggetti indicati non risultano aver effettuato movimentazioni.
Parallelamente al canale di mutua assistenza amministrativa, le informazioni in argomento sono state acquisite, per il tramite dei canali della cooperazione giudiziaria, anche dalla Procura della Repubblica di Torino, nell'ambito di apposito procedimento penale per i reati di frode fiscale e riciclaggio; in particolare, l'Autorità Giudiziaria di Nizza, all'esito di apposita rogatoria, ha consegnato alla predetta Procura dati bancari concernenti circa 7.700 nominativi.
Tale lista coincide in larga parte con quella acquisita in via amministrativa dal Comando Generale, sia con riguardo ai nominativi che al periodo di riferimento dei dati bancari.
L'Autorità Giudiziaria di Torino ha delegato al Nucleo di Polizia Tributaria alla sede le indagini nei confronti dei soggetti residenti nel territorio di competenza e ha trasmesso alle competenti procure della Repubblica le restanti posizioni.
Infine, occorre evidenziare che il Comando Generale non ha mai fornito agli organi di informazione, né in altro modo, alcuna notizia in merito agli estremi identificativi delle persone inserite nella lista in argomento, nel pieno rispetto della vigente normativa in tema di segreto d'ufficio.
In ordine, poi, al legittimo utilizzo dei dati contenuti nella citata «lista» da parte dell'Agenzia delle Entrate nell'attività di accertamento fiscale, deve registrarsi un orientamento non univoco delle Commissioni tributarie provinciali e regionali, che hanno talvolta sostenuto la radicale inutilizzabilità dei dati contenuti nella lista; altre volte, invece, hanno ammesso la piena legittimità del loro uso ai fini della verifica della sussistenza della pretesa fiscale da parte dell'Agenzia delle Entrate.
Si evidenzia comunque che, come più volte chiarito dalla Corte di Cassazione, anche l'eventuale acquisizione irrituale di elementi rilevanti ai fini dell'accertamento fiscale non comporta la inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso (sentenza n. 8344 del 19 giugno 2001). Nello stesso senso anche la sentenza della Suprema Corte n. 3852 del 16 marzo 2001, la cui massima afferma: «... l'inutilizzabilità è categoria giuridica valida solo per il processo penale», e la sentenza n. 8273 del 26 maggio 2003 la cui massima afferma: «In materia tributaria non vige il principio, presente invece nel codice di procedura penale, secondo cui è inutilizzabile la prova acquisita irritualmente, pertanto gli organi di controllo possono utilizzare tutti i documenti dei quali siano venuti in possesso salvo la verifica della attendibilità, in considerazione della natura e del contenuto dei documenti stessi».
In attesa di un arresto definitivo della Suprema Corte di Cassazione sulla questione, è opportuno richiamare comunque anche la sentenza n. 29433 del 10 luglio 2013, nella quale i giudici di legittimità confermano l'orientamento che riconosce all'Amministrazione finanziaria il potere/dovere di accertare la posizione del contribuente con tutti i dati conosciuti e comunque in suo possesso indipendentemente dalla provenienza, e stabiliscono che: «l'inutilizzabilità degli atti illegalmente formati a mente dell'articolo 240 c.p.p., comma 2, nella attuale formulazione non preclude che gli stessi possano valere come spunto di indagine, così come accade per gli scritti anonimi.
E, conclude la Corte, affermando che «Peraltro l'inutilizzabilità degli atti illegalmente formati a mente dell'articolo 240 c.p.p., comma 2, nella attuale formulazione non preclude che gli stessi possano valere come spunto di indagine, ... (cfr. Sez. 1 sentenza del 5 dicembre 2007 n. 45566 RV 238143)».
Infine, si rappresenta che il prossimo 15 aprile ci sarà sulla questione l'udienza delle Sezioni Unite della Cassazione, che si pronuncerà definitivamente sulla utilizzabilità delle prove in esame. L'esito del giudizio sembra del resto che sarà favorevole Pag. 100all'Amministrazione, visto che, peraltro, il giudice relatore ha attivato la procedura di decisione semplificata vista l'asserita manifesta fondatezza del ricorso presentato dall'Agenzia delle Entrate.
Con riferimento alla possibilità per i contribuenti indicati nella lista di usufruire della procedura di voluntary disclosure, si rappresenta che la procedura di collaborazione volontaria, introdotta dalla legge 15 dicembre 2014, n. 186, prevede che la stessa non può essere attivata dai contribuenti che abbiano avuto la formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, per violazione di norme tributarie, relativi all'ambito oggettivo di applicazione della procedura.
Alla luce di ciò, i contribuenti facenti parte della cd. «Lista Falciani» che si trovino nella suddette condizioni non possono essere ammessi alla procedura di collaborazione volontaria e, qualora richiedessero indebitamente di essere ammessi, attestando falsamente la propria situazione, si configurerebbe il delitto previsto e punito dall'articolo 5-septies del decreto legge n. 167/1990 introdotto dalla richiamata legge n. 186/2014.
ALLEGATO 4
5-04815 Busin: Irregolarità nella determinazione dell'accisa sulle sigarette elettroniche.
TESTO DELLA RISPOSTA
Con il documento di sindacato ispettivo in esame, l'Onorevole interrogante chiede l'adozione di provvedimenti volti ad equiparare il trattamento fiscale delle sigarette elettroniche con liquido da inalazione e dei prodotti da tabacco da inalazione senza combustione.
In particolare, l'interrogante rileva che, con provvedimento n. 394 del 2015, l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha erroneamente determinato nella misura di euro 0,37344 il millilitro, anziché nella misura di euro 0,003925 il millilitro, l'imposta applicabile al consumo di sigarette elettroniche con liquido da inalazione di cui all'articolo 62-quater, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 504 del 1995, così come modificato dall'articolo 1 del decreto legislativo del 15 dicembre 2014, n. 188.
Al riguardo, sentita l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, si rappresenta quanto segue.
Gli articoli 39-terdecies, comma 3, e 62-quater, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 504 del 1995, prevedono che con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli si definiscano le procedure tecniche per la determinazione dell'equivalenza di consumo convenzionale relativamente:
a) ai prodotti di cui all'articolo 39-bis, comma 1, lettera e-bis, in ragione del tempo medio necessario per il consumo di un campione composto dalle cinque marche di sigarette più vendute, in condizioni di aspirazione conformi a quelle adottate per l'analisi dei contenuti delle sigarette ed utilizzando, per i prodotti senza combustione, il dispositivo specificamente previsto per il consumo, fornito dal produttore:
b) ai prodotti di cui all'articolo 62-quater, comma 1-bis, in ragione del tempo medio necessario, in condizioni di aspirazione conformi a quelle adottate per l'analisi dei contenuti delle sigarette, per il consumo di un campione composto da almeno dieci tipologie di prodotto tra quelle in commercio, di cui sette contenenti diverse gradazioni di nicotina e tre con contenuti diversi dalla nicotina, mediante tre dispositivi per inalazione di potenza non inferiore a 10 watt.
I prodotti di cui alla lettera a) (articolo 39-bis, comma 1 lettera e-bis) sono costituiti da prodotti del tabacco da inalazione senza combustione, cioè prodotti del tabacco non da fumo che possono essere consumati senza processo di combustione.
I prodotti di cui alla lettera b) (articolo 62-quater, comma 1-bis) sono costituiti da sostanze liquide contenenti o meno nicotina, diversi dal tabacco (si tratta dei liquidi commercialmente noti come destinati alle c.d. «sigarette elettroniche»).
Si tratta di prodotti tra loro molto differenti e per i quali la procedura tecnica di misurazione non può essere raffrontata, anche perché, come detto, per i prodotti del tabacco l'equivalenza deve essere misurata utilizzando il dispositivo specificamente previsto per il consumo, fornito dal produttore e misurando il singolo prodotto, mentre per i liquidi l'equivalenza è prevista come media valida per tutte le categorie merceologiche in commercio.Pag. 102
Il provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, prot. 0104859 del 24 dicembre 2014, con il quale sono state definite le procedure tecniche per la determinazione dell'equivalenza di consumo convenzionale per i prodotti del tabacco da inalazione e per i liquidi per sigarette elettroniche, in tale ottica, distingue le modalità tecniche per la misura dell'equivalenza a seconda che si tratti dei prodotti del tabacco ovvero dei liquidi per sigaretta elettronica.
In particolare, per quanto concerne i prodotti del tabacco da inalazione, le relative procedure sono stabilite dall'articolo 1 del provvedimento: quelle relative ai liquidi dall'articolo 2.
Infatti, come risulta dal «Considerando» di tale provvedimento, per quanto concerne i liquidi per sigaretta elettronica è necessario tenere conto del fatto che tali prodotti non si consumano in assenza di aspirazione invece, sia le sigarette tradizionali – che costituiscono il riferimento legislativo per la misurazione dell'equivalenza – sia i prodotti del tabacco da inalazione si consumano anche in assenza di aspirazione (autoconsumo).
Anche per tale motivo – oltreché per quanto già anzidetto – le disposizioni sono di contenuto diverso (e non possono, quindi, essere confrontate).
Il citato provvedimento del 24 dicembre 2014, al fine di non penalizzare i liquidi per sigarette elettronica, ha previsto una metodologia che tenesse conto solo dei tempi di consumo delle sigarette durante la fase delle aspirazioni, abbattendo i tempi dell'autoconsumo.
Per meglio lumeggiare le procedure tecniche in argomento, si deve partire da un presupposto: il raffronto tra consumo di sigarette tradizionali e di liquidi deve essere effettuato utilizzando la stessa procedura.
In particolare, secondo i parametri definiti dalla norma EN 150 3308/2012, per il consumo di una sigaretta tradizionale occorre seguire il seguente procedimento:
2 secondi di aspirazione;
58 secondi di intervallo (durante i quali la sigaretta si autoconsuma);
2 secondi di aspirazione:
58 secondi di intervallo;
ecc., fino al consumo della sigaretta.
Utilizzando questo procedimento, una sigaretta tradizionale si consuma, mediamente, nel giro di 385 secondi.
Applicando tali parametri al consumo di liquidi per sigaretta elettronica il risultato sarebbe stato molto più penalizzante, perché in 385 secondi, applicando gli stessi parametri EN ISO 3308/2012:
2 secondi di aspirazione;
58 secondi di intervallo (durante i quali il liquido NON si autoconsuma);
2 secondi di aspirazione;
58 secondi di intervallo;
ecc.
il consumo di liquidi sarebbe stato molto più esiguo, tale da risolversi in una equivalenza di un millilitro per 18/20 sigarette (e non, come emerge dal provvedimento del 20 gennaio 2015, di un millilitro per 5,63 sigarette). Infatti, il consumo dei liquidi si verifica solo durante la fase delle aspirazioni che, nel tempo indicato (385 sec.), sono pari a circa 6/7 (in 2 sec. il consumo di liquidi è di circa 0,009365 ml, cioè 0,065555 ml per il tempo necessario a consumare una sigaretta).
Allo scopo di tenere conto del fatto che i liquidi per sigarette elettroniche non si autoconsumano durante gli intervalli, il citato provvedimento del 24 dicembre 2014 prevede l'applicazione dei parametri 150 con un «correttivo», secondo la seguente procedura:
a) si determina la lunghezza media delle sigarette consumata solo nella fase di aspirazione (2 sec. + 2 sec., ecc.), senza considerare cioè la parte autoconsumata;Pag. 103
b) si determina quanti secondi sarebbero necessari per il consumo della sigaretta tradizionale abbattendo l'autoconsumo.
Lo stesso procedimento si applica ai liquidi per sigarette elettronica, misurando, cioè, solo la quantità di liquido consumata durante la fase di aspirazione, applicando, quindi, la medesima metodologia, ovvero conteggiando solo il consumo dei liquidi durante le aspirazioni.
In tal modo viene messo a raffronto il tempo necessario per il consumo di una intera sigaretta (conteggiando solo le aspirazioni) ed il tempo necessario per il consumo di un millilitro di liquido, ottenendo l'equivalenza indicata nel provvedimento (1 ml = 5,7 sigarette).
Quindi, mentre utilizzando il procedimento senza correttivi, in 385 sec. si avrebbe un consumo pari a 0,065555 ml (in quanto si dovrebbe tenere conto degli intervalli), con la procedura utilizzata dall'Agenzia in 37 secondi il consumo di liquidi è pari a circa 0,2 ml. (cioè quasi 3 volte superiore rispetto al raffronto con la sigaretta tradizionale), poiché non si tiene conto dell'autoconsumo.
Invece, per l'equivalenza dei prodotti del tabacco da inalazione, che come le sigarette tradizionali si autoconsumano anche negli intervalli, è stato applicato il tempo totale di consumo della sigaretta, raffrontandolo con il tempo totale del consumo della quantità di tabacco.
Si precisa, a tal riguardo, che ove si considerasse, quale consumo delle sigarette tradizionali, il tempo indicato nel provvedimento relativo ai prodotti del tabacco, si assumerebbe una unità di misura ottenuta con una procedura che, però, se applicata anche al consumo dei liquidi (2 sec di aspirazione + 58 sec, di intervallo), darebbe un risultato di gran lunga più penalizzante proprio per gli stessi liquidi.
Prova ne sia che nei siti internet dei soggetti che commercializzano i liquidi per sigarette elettroniche, si afferma che un millilitro equivale a circa 15/20 sigarette tradizionali mentre il provvedimento dell'Agenzia ha dato luogo ad un risultato di gran lunga meno penalizzante proprio perché è stato ritenuto opportuno abbattere l'autoconsumo durante gli intervalli.
Infine, giova evidenziare che anche il Portogallo ha stabilito l'equivalenza dei liquidi per sigarette elettroniche in misura pari ad un millilitro per 20 sigarette.
ALLEGATO 5
5-04816 Bernardo: Parità di trattamento sul territorio nazionale rispetto al regime delle tasse automobilistiche applicabile alle auto storiche di età compresa tra i 20 e i 30 anni.
TESTO DELLA RISPOSTA
Con il documento in esame gli Onorevoli interroganti evidenziano le criticità connesse alla soppressione ai sensi del comma 666 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 della tassazione ridotta per le auto di interesse storico di età compresa tra i venti ed i trent'anni prevista dall'articolo 63 della legge 21 novembre 2000, n. 342, che consentiva di non pagare il «bollo auto», qualora il veicolo – iscritto in determinati elenchi speciali costituiti dall'Auto moto club storico italiano o dalla Federazione motociclistica italiana – non circolasse, o di pagarlo forfetariamente in caso di circolazione.
In particolare viene chiesto per quali motivi il presunto gettito dovuto alla modifica apportata dall'articolo 1, comma 666, della legge n. 190 del 2014, previsto di 78,5 milioni di euro a decorrere dal 2015, sia stato iscritto nel bilancio dello Stato, dal momento che il gettito delle tasse automobilistiche è riscosso ed attribuito alle regioni ai sensi dell'articolo 23, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504.
Inoltre, gli Onorevoli interroganti auspicano l'adozione di provvedimenti atti a garantire la parità di trattamento fiscale tra i cittadini.
Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
Le problematiche evidenziate dagli Onorevoli scaturiscono dal fatto che alcune regioni, prima dell'entrata in vigore della disposizione di cui al citato articolo 1, comma 666, della legge n. 190 del 2014, avevano introdotto l'esenzione dal pagamento della tassa automobilistica per autoveicoli e motoveicoli di particolare interesse storico e collezionistico ed avevano assoggettato tali veicoli ad una tassa di possesso forfetaria.
Con l'entrata in vigore della legge di stabilità 2015 tali regioni hanno sostenuto che le norme di favore da esse introdotte continuino a trovare applicazione, nonostante la legge statale abbia disposto l'eliminazione dell'esenzione dal pagamento delle tasse automobilistiche per autoveicoli e motoveicoli di particolare interesse storico e collezionistico.
Tanto premesso è opportuno richiamare il quadro normativo di riferimento.
La tassa automobilistica, disciplinata dal Decreto del Presidente della Repubblica 5 febbraio 1953. n. 39 (recante il Testo unico delle leggi sulle tasse automobilistiche), è stata «attribuita» per intero alle regioni a statuto ordinario dal sopra citato articolo 23, comma 1, del decreto legislativo n. 504 del 1992, assumendo contestualmente la denominazione di tassa automobilistica regionale, e che l'articolo 17, comma 10, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, ha, altresì, demandato alle regioni «la riscossione, l'accertamento, il recupero, i rimborsi, l'applicazione delle sanzioni ed il contenzioso amministrativo relativo» alla suddetta tassa.
Come affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 296 del 26 settembre 2003, alle regioni a statuto ordinario, in definitiva, è stato attribuito dal legislatore statale il gettito della tassa, unitamente all'attività amministrativa connessa Pag. 105alla sua riscossione, nonché un limitato potere di variazione dell'importo originariamente stabilito con decreto ministeriale, «restando invece ferma la competenza esclusiva dello Stato per ogni altro aspetto della disciplina sostanziale della tassa stessa».
La Corte al riguardo conclude sostenendo che nemmeno la tassa automobilistica può, dunque, allo stato, qualificarsi «tributo proprio della regione», nel senso oggi fatto proprio dall'articolo 119, secondo comma. Cost., e conseguentemente va escluso che la Regione ... abbia il potere di disporre esenzioni dalla tassa ovvero di modificare i termini di prescrizione del relativo accertamento, rientrando la relativa materia nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi del citato articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione (cfr. anche Corte Cost. n. 455 del 2005).
Pertanto non può essere oggetto di sindacato la scelta operata dal legislatore nazionale di rivisitare alcuni aspetti della disciplina delle tasse automobilistiche, razionalizzando determinate fattispecie di agevolazione, in quanto le tasse automobilistiche, in base all'articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, rientrano nell'ambito della sfera di competenza esclusiva dello Stato, che, come sostenuto dalla Corte costituzionale, per finalità di interesse generale può modificare il proprio sistema tributario, o addirittura sopprimere tributi già esistenti e anche sostituirli con altri ritenuti più idonei per il conseguimento degli obiettivi prefissati.
Né a conclusioni diverse può giungersi a seguito dell'emanazione delle disposizioni in materia di federalismo fiscale contenute nel decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, che al comma 2 dell'articolo 8 prevede che «Fermi restando i limiti massimi di manovrabilità previsti dalla legislazione attuale, le regioni disciplinano la tassa automobilistica regionale».
La tassa automobilistica, infatti, anche dopo quest'ultimo intervento normativo non può essere annoverata tra i «tributi propri» della regione, ma tra i «tributi regionali derivati», giacché è istituita e regolata da legge statale.
Tale conclusione è stata avallata dalla Corte Costituzionale che con la sentenza n. 288 del 19 dicembre 2012, dopo aver richiamato le nozioni di «tributo proprio» e di «tributo proprio derivato» della Regione, contenute nell'articolo 7, comma 1, della legge n. 42 del 2009, ha affermato che la tassa automobilistica «si qualifica come tributo proprio derivato»: infatti la regione: a), non può modificarne il presupposto ed i soggetti di imposta (attivi e passivi); b) può modificarne le aliquote nel limite massimo fissato dal comma 1 dell'articolo 24 del d.lgs. n. 504 del 1992 (tra il 90 ed il 110 per cento degli importi vigenti nell'anno precedente): c) può disporre esenzioni, detrazioni e deduzioni nei limiti di legge e, quindi, non può escludere esenzioni, detrazioni e deduzioni già previste dalla legge statale».
La Corte esaminando, poi, l'articolo 8 del citato decreto legislativo n. 68 del 2011, ha precisato che «La diversificazione operata tra i citati commi 2 e 3 induce alla conclusione che la tassa in questione non ha acquisito, nel nuovo regime, la natura di tributo regionale proprio dalla formulazione del comma 2 si riferisce, infatti, non già la natura di tributo proprio della tassa automobilistica regionale ma solo la volontà del legislatore di riservare ad essa un regime diverso rispetto a quello stabilito per gli altri tributi derivati, attribuendone la disciplina alle Regioni, senza che questo comporti una modifica radicale di quel tributo, come anche confermato dall'inciso «fermi restando i limiti massimi di manovrabilità previsti dalla legislazione statale».
Alla luce delle suddette considerazioni è evidente che le regioni non possano intervenire nella disciplina delle tasse automobilistiche modificando la soggettività passiva del tributo, introducendo – o mantenendo in vigore – esenzioni che non sono previste dalla legislazione statale.
Inoltre non è possibile assoggettare i veicoli in questione ad una tassa di possesso forfettaria, come sostenuto da alcune Pag. 106Regioni, poiché la legge statale prevede che detti veicoli siano assoggettati alle regole ordinarie del pagamento della tassa automobilistica di possesso.
Nessun rilievo assume, a tal fine, la considerazione che le leggi regionali che disciplinano la materia continuino a produrre effetti a causa del fatto che la legge statale non ha disposto la loro abrogazione.
Infatti, la norma statale non avrebbe in alcun modo potuto abrogare espressamente le norme regionali che comunque diventano, in concreto, incompatibili con la sopravvenuta disciplina statale.
Le regioni, in ossequio al principio di leale cooperazione ed al fine di garantire chiarezza e uniformità alla materia, dovrebbero invece adeguare le proprie norme alla legge statale.
Con riguardo agli aspetti connessi alla contabilizzazione nel bilancio dello Stato del maggior gettito recato dalla disposizione in argomento il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato precisa quanto segue.
Il maggior gettito derivante dal comma 666 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014 non è stato considerato dal punto di vista del saldo netto da finanziare – e pertanto non è stato iscritto nel bilancio dello Stato – bensì è stato considerato solo in termini di fabbisogno ed indebitamento netto della P.A., in quanto trattasi di gettito sostanzialmente di spettanza regionale.
I menzionati maggiori introiti sono stati comunque computati fini dei due saldi di finanza pubblica sopra indicati a seguito di una valutazione obiettiva degli stessi effettuata sulla base del tenore della norma di cui al citato comma 666 dell'articolo 1 della legge di stabilità per 2015.
ALLEGATO 6
5-04817 Ruocco: Chiarimenti circa l'applicazione dell'esonero dall'adempimento dell'obbligo di invio telematico della certificazione unica da parte del sostituto d'imposta.
TESTO DELLA RISPOSTA
Con il documento in esame, gli Onorevoli interroganti chiedono chiarimenti in ordine alle modalità di presentazione della Certificazione Unica 2015 per comprendere se la presenza di percipienti di redditi imponibili (ovvero di redditi imponibili o esenti), e contemporaneamente di percipienti con redditi esenti, obblighi il sostituto d'imposta ad inviare le certificazioni uniche anche in relazione a tali ultimi soggetti.
Al riguardo, sentiti gli Uffici competenti dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
La trasmissione all'Agenzia delle Entrate delle certificazioni Uniche da parte dei sostituti d'imposta, come stabilito dall'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 21 novembre 2014 n. 175, è finalizzata all'elaborazione della dichiarazione dei redditi precompilata.
Poiché i redditi esenti non devono essere riportati in dichiarazione, le certificazioni uniche contenenti esclusivamente tali tipologie reddituali possono non essere inviate all'Agenzia delle Entrate, come riportato nel comunicato stampa del 12 febbraio 2015.
Nell'ipotesi in cui un medesimo sostituto d'imposta abbia rilasciato ai diversi percipienti certiticazioni attestanti sia redditi imponibili che redditi esenti, quest'ultimo dovrà procedere, nei termini stabiliti, all'invio di tutte le certificazioni contenenti i redditi imponibili, mentre potrà scegliere se inviare o meno la certificazione relativa al sostituito che abbia percepito esclusivamente redditi esenti.
ALLEGATO 7
5-04818 Sandra Savino: Chiarimenti in merito all'applicazione del «ravvedimento operoso lunghissimo» di cui all'articolo 1, commi da 634 a 637, della legge di stabilità 2015.
TESTO DELLA RISPOSTA
Con il documento in esame, l'Onorevole interrogante sollecita chiarimenti interpretativi in merito all'applicazione del cosiddetto «ravvedimento operoso lunghissimo», introdotto ai sensi dei commi 634-637 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Legge di stabilità per il 2015).
In particolare, l'Onorevole chiede di conoscere quali iniziative intenda intraprendere il Governo «per evitare che un avviso o una notifica, di liquidazione o di accertamento, sia causa ostativa del procedimento di ravvedimento operoso».
Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue. Giova evidenziare che come ribadito nella circolare n. 6/E del 19 febbraio 2015 dell'Agenzia delle entrate, già prima della modifica introdotta con la Legge di Stabilità 2015 al ravvedimento operoso – la comunicazione degli esiti del controllo automatizzato e del controllo formale rappresentava un ostacolo alla possibilità di avvalersi dell'istituto, facendo venir meno il carattere spontaneo (e, dunque, premiale) dello stesso.
Con la Circolare n. 18/E del 10 maggio 2011 è stato infatti chiarito che la preclusione al ravvedimento opera con riferimento alle irregolarità riscontrabili nell'ambito di questi controlli.
Pertanto il contribuente che abbia ricevuto la comunicazione degli esiti del controllo automatizzato e/o di quello formale può avvalersi del ravvedimento per sanare altre violazioni che non gli siano state contestate con tale procedura.
Gli stessi chiarimenti trovano applicazione con riferimento al nuovo ravvedimento operoso.
La comunicazione di irregolarità, quindi, non preclude il ravvedimento per altre violazioni che non siano state contestate con la procedura di liquidazione. È evidente che, allo stesso modo, il fatto che il contribuente si sia avvalso dell'istituto del ravvedimento con riguardo a specifiche violazioni non può precludere l'azione di controllo dell'Amministrazione finanziaria con riguardo a violazioni diverse, non interessate dal ravvedimento.
Tali successive attività di controllo non faranno comunque venir meno gli effetti del ravvedimento, se correttamente eseguito in precedenza.
In sostanza, dal dettato normativo così come dalla prassi in materia di ravvedimento operoso non è possibile estrapolare una lettura per cui la notifica degli atti di liquidazione e di accertamento, comprese le comunicazioni recanti le somme dovute ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, e 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, sia causa ostativa rispetto al procedimento di ravvedimento operoso intrapreso dal contribuente, così come paventato dall'Onorevole interrogante.
È opportuno precisare, infine, che non è normativamente prevista la possibilità di rateizzare le somme dovute a titolo di Pag. 109ravvedimento. L'istituto si perfeziona nel momento esatto in cui il contribuente esegue il pagamento del tributo, della sanzione ridotta e degli interessi. La regolarizzazione della violazione, pertanto, non avviene gradualmente nel tempo (come sarebbe in ipotesi di rateizzazione), ma è invece istantanea.
Da quanto sopra consegue che l'eventuale notifica di un atto di liquidazione o di accertamento, intervenuta successivamente al pagamento delle somme dovute a titolo di ravvedimento, non pregiudica assolutamente la regolarizzazione già eseguita dal contribuente, che si intende comunque perfezionata.