ATTI DI CONTROLLO E DI INDIRIZZO

Seduta n. 540 di sabato 19 dicembre 2015

INDICE


ATTI DI INDIRIZZO:

Risoluzione in Commissione:
 XIII Commissione:
  Taricco  7-00872  32125

ATTI DI CONTROLLO:

Presidenza del Consiglio dei ministri.

Interrogazioni a risposta scritta:
  Nesci  4-11516  32127
  Maestri Andrea  4-11522  32128
  Spessotto  4-11523  32131

Affari esteri e cooperazione internazionale.

Interrogazione a risposta scritta:
  Tidei  4-11521  32131

Ambiente e tutela del territorio e del mare.

Interrogazione a risposta scritta:
  Palazzotto  4-11515  32133

Beni e attività culturali e turismo.

Interrogazioni a risposta scritta:
  Micillo  4-11513  32135
  Marroni  4-11519  32136

Difesa.

Interrogazioni a risposta scritta:
  Basilio  4-11520  32137
  Barbanti  4-11525  32138

Economia e finanze.

Interrogazioni a risposta in Commissione:
  Gallo Luigi  5-07268  32139
  Vacca  5-07271  32141

Interrogazione a risposta scritta:
  Marcolin  4-11508  32142

Giustizia.

Interrogazioni a risposta scritta:
  Vargiu  4-11511  32143
  Fratoianni  4-11526  32145

Infrastrutture e trasporti.

Interrogazione a risposta orale:
  Terzoni  3-01907  32145

Interrogazioni a risposta in Commissione:
  Spessotto  5-07266  32147
  Spessotto  5-07267  32149

Interno.

Interrogazione a risposta orale:
  Preziosi  3-01908  32150

Interrogazioni a risposta scritta:
  Bragantini Matteo  4-11512  32151
  Paglia  4-11518  32151

Istruzione, università e ricerca.

Interrogazioni a risposta in Commissione:
  Chimienti  5-07263  32152
  Chimienti  5-07264  32154
  Chimienti  5-07269  32155

Interrogazioni a risposta scritta:
  Micillo  4-11509  32156
  Ciracì  4-11510  32157
  D'Uva  4-11524  32158

Lavoro e politiche sociali.

Interrogazione a risposta in Commissione:
  Zardini  5-07270  32159

Politiche agricole alimentari e forestali.

Interrogazione a risposta scritta:
  Spessotto  4-11517  32160

Salute.

Interrogazione a risposta in Commissione:
  Di Vita  5-07265  32161

Semplificazione e pubblica amministrazione.

Interrogazione a risposta in Commissione:
  Zardini  5-07262  32166

Sviluppo economico.

Interpellanza:
  Vallascas  2-01212  32167

Interrogazione a risposta scritta:
  Alberti  4-11514  32168

Apposizione di firme ad interrogazioni  32170

Interrogazioni per le quali è pervenuta risposta scritta alla Presidenza:
  Bernini Massimiliano  4-09817  I
  Caparini  4-08764  III
  Cirielli  4-05299  VI
  Crippa  4-10328  VIII
  D'Incà  4-05753  X
  Di Gioia  4-03606  XII
  Di Stefano Manlio  4-11321  XIII
  Dieni  4-08883  XIV
  Fedriga  4-09653  XVI
  Latronico  4-04655  XVII
  Melilla  4-09964  XVIII
  Meloni Giorgia  4-04910  XX
  Meloni Giorgia  4-08433  XXII
  Merlo  4-08983  XXV
  Oliverio  4-09109  XXVI
  Pastorelli  4-06190  XXVIII
  Pini Gianluca  4-09221  XXXI
  Prodani  4-09211  XXXII
  Rosato  4-08042  XXXIII
  Russo  4-09168  XXXVI
  Scotto  4-05487  XXXIX
  Sibilia  4-09533  XL
  Zanin  4-09985  XLI
  

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:

   La XIII Commissione,
   premesso che:
    la Popilia japonica è un coleottero parassita originario del Giappone, lungo circa 12 millimetri, con torace verde dorato, quest'insetto per i gravi danni che può arrecare è inserito tra gli organismi da quarantena compresi nell'allegato A, Parte II della direttiva del Consiglio dell'8 maggio 2000, n. 2000/29/CE e nella lista A2 dell'EPPO, di cui è vietata l'introduzione e la diffusione nel territorio dell'Unione europea;
    si tratta di un specie estremamente polifaga, segnalata negli Stati Uniti su circa 300 specie vegetali e considerata dannosa su oltre 100 piante, sia spontanee che coltivate, comprendenti alberi da frutto (pomacee, drupacee), vite, nocciolo, piccoli frutti, essenze forestali (tiglio, noce nero, acero, faggio, betulla, ontano), colture di pieno campo (mais, soia, erba medica), ortive (ad esempio pomodoro, fagiolo, asparago, zucchino) e ornamentali (ad esempio rosa, dalia);
    il danno causato dai soggetti adulti è costituito da erosioni più o meno intense a carico delle foglie (sono risparmiate in genere le nervature), dei fiori e anche dei frutti. Le larve invece, nutrendosi a spese delle radici, preferibilmente di graminacee, in presenza di infestazioni elevate risultano particolarmente nocive ai tappeti erbosi (ad esempio campi da golf, giardini) e ai prati e pascoli, sia per la comparsa di estese aree di vegetazione che ingialliscono per poi seccare, sia per i danni provocati dalle escavazioni di talpe e uccelli che si nutrono delle larve nel terreno;
    nel corso del 2014, la presenza di Popilia japonica è stata accertata per la prima volta in Italia ed in particolare in Lombardia dove è stata rinvenuta e identificata nel mese di luglio lungo il Naviglio Vecchio a Turbigo nel territorio del Parco del Ticino, e in Piemonte nel comune di Bellinzago Novarese, lungo la sponda piemontese del Ticino;
    nel corso del 2015, le attività di monitoraggio attivate sia dalla regione Lombardia che dalla regione Piemonte hanno evidenziato una crescita esponenziale delle popolazioni, infatti le catture nel corso del 2015 hanno riguardato, in Lombardia, circa 1 milione di insetti, in Piemonte circa 10 milioni, inoltre si è registrata una forte presenza di larve nei terreni campionati in Piemonte. L'area interessata dalla presenza dell'insetto è cresciuta in modo significativo in entrambe le regioni;
    il trend di incremento dell'insetto fa prevedere, per il 2016, una crescita ulteriore della popolazione di Popilia japonica, con prevedibile diffusione dei danni alle coltivazioni e alla flora spontanea e gravi conseguenze per le aziende vivaistiche delle zone infestate, in quanto potrebbero essere soggette a misure di blocco della commercializzazione;
    anche a livello nazionale potrebbero verificarsi ricadute molto negative, malgrado l'impegno finora profuso dai servizi fitosanitari regionali, in quanto non è possibile escludere il rischio di diffusione del coleottero nel resto della Unione europea;
    alla già critica situazione determinata dalla presenza della Popilia japonica, è stata segnalata la comparsa, in un'area compresa tra le province di Reggio Emilia, Modena e Bologna, di un altro insetto di origine asiatica, ovvero la cimice Halyomorpha halys, dalla quale nessuna coltura parrebbe essere immune, originaria dell'Asia orientale che sta diventando l'ennesima emergenza fitosanitaria per l'agricoltura italiana;
    il Piemonte, insieme all'Emilia-Romagna, regioni a fortissima vocazione frutticola,
parrebbero essere tra le prime regioni a riscontrare una presenza preoccupante della succitata cimice in quantità tali da rappresentare una grandissima preoccupazione: individuata nell'agosto 2013 in pescheti; in questi ultimi due anni la popolazione non ha fatto che aumentare, estendendosi sul territorio e ampliando i danni a moltissime colture, oltre a frutta fresca e secca, l'insetto colpisce infatti ortaggi e seminativi, dal mais alla soia;
    inizialmente questa specie aliena non ha provocato problemi particolari ad esclusione del disturbo arrecato alla popolazione per la tendenza degli adulti a riunirsi, per svernare, in gruppi consistenti all'interno di abitazioni e di altri fabbricati;
    tuttavia, dopo soli due anni dalla comparsa di questo fitofago – caratterizzato da una notevole polifagia, dalla mancanza, nel nostro ambiente, di efficaci antagonisti naturali e da una grande resistenza nei confronti dei metodi di lotta attualmente consentiti – sono stati riscontrati danni significativi, rappresentati da malformazioni dei frutti provocati dalle punture, su diverse colture ed in particolare sul pero;
    nel corso della campagna frutticola 2015 in alcune aziende emiliano-romagnole l'incidenza di pere malformate, e quindi non commercializzabili sul mercato del fresco, ha raggiunto il 50 per cento della produzione totale;
    la Halyomorpha halys sta inoltre evidenziando una elevatissima capacità di adattamento al nostro ambiente testimoniata anche dalla forte tendenza all'espansione in nuovi territori;
    alla luce di queste evidenze è altamente probabile, entro un periodo di tempo limitato, una diffusione dei danni anche a carico di altre colture di fondamentale importanza per la nostra ortofrutticoltura quali pesco, melo, susino, albicocco, vite, pomodoro da industria, unitamente all'estensione dei danni alle regioni confinanti dove la cimice è già stata segnalata;
    il Comitato fitosanitario nazionale nella seduta del 28 settembre 2015 ha preso atto dei livelli di dannosità e di pericolosità dovuti allo sviluppo di questo insetto e espresso, in modo unanime, il proprio parere favorevole affinché siano rafforzati il coordinamento delle informazioni tra le regioni interessate a questa emergenza fitopatologica e sia dato sostegno e collaborazione ai programmi di studio intrapresi;
    alla luce di queste considerazioni è assolutamente necessario che tutte le componenti del sistema agricolo italiano pongano in essere specifiche iniziative per bloccare la diffusione di queste specie aliene e per individuare e sviluppare, sul piano operativo, strategie di lotta in grado di contenere entro limiti sostenibili – con riferimento sia alla salvaguardia dell'ambiente, della salute degli agricoltori e dei consumatori sia agli aspetti sociali ed economici – la presenza di Popilia japonica e di Halyomorpha halys nel nostro ecosistema;
    i coltivatori sono molto preoccupati dalla globalizzazione dei parassiti, in quanto si trovano a fare i conti con specie originarie dell'Asia o delle Americhe, per le quali il nostro ambiente non è preparato e non ha predatori naturali;
    è fondamentale trovare un antagonista naturale, così come si è fatto con l'insetto parassitoide Torymus contro il cinipide galligeno del castagno, per tentare di ricostruire un equilibrio ecologico;
    è necessario, inoltre, che la ricerca e la sperimentazione di nuove tecniche di monitoraggio e di prevenzione ad ampio raggio, tutelino i territori da queste nuove specie aggressive di parassiti, in tempi utili ad evitare la propagazione e a preservare raccolti e frutti;

    nella malaugurata ipotesi, infatti, che l'agricoltura italiana debba perdere questa sfida verrebbe ulteriormente compromessa la credibilità del sistema fitosanitario italiano nei confronti della Commissione europea, degli Stati membri e dei Paesi terzi che importano i nostri prodotti vegetali, credibilità già messa a dura prova dalle recenti emergenze fitosanitarie,

impegna il Governo:

   ad avviare tutte le iniziative necessarie per gestire le emergenze fitosanitarie esposte in premessa che, stante il potenziale di crescita manifestato, l'estrema adattabilità dei due insetti agli ambienti infestati e l'elevato numero di specie vegetali attaccabili, rischia di provocare gravi danni alle produzioni agricole ed alle attività vivaistiche, ed in particolare:
     a) ad assumere il coordinamento delle ricerche e delle azioni di monitoraggio per affrontare i rischi ed i potenziali danni a colture e territori provocati dai due aggressivi parassiti anche valutando i dati raccolti e i risultati fino ad oggi raggiunti dalle regioni colpite;
     b) a stanziare adeguate risorse finalizzate al potenziamento degli interventi di monitoraggio, di controllo e di lotta fitosanitaria obbligatoria da parte delle regioni interessate, al fine di evitare che l'emergenza si allarghi alle regioni limitrofe e all'intero Paese;
     c) a prevedere un sostegno finanziario per il risarcimento dei danni alle imprese agricole e vivaistiche oggetto di provvedimenti fitosanitari obbligatori da parte delle regioni, avvalendosi degli strumenti ritenuti più opportuni quali forme di credito specializzato, supportati dagli strumenti pubblici a disposizione (ISMEA);
     d) a raccordarsi con la Commissione europea per prevenire l'adozione di misure di emergenza eccessivamente penalizzanti per i territori coinvolti e per attivare specifici piani di lotta che possano beneficiare del finanziamento comunitario;
     e) a implementare, sia sotto il profilo finanziario che tecnico-organizzativo, i programmi di ricerca sulla Popilia japonica e sulla Halyomorpha halys, attualmente in corso, per approfondire la conoscenza del ciclo biologico di queste specie alloctone e condividere le strategie di lotta disponibili per contenerne la diffusione anche con l'obiettivo di fornire ai frutticoltori che hanno subito danni nel 2015 le necessarie indicazioni operative per la prossima campagna produttiva;
     f) a individuare e sperimentare efficaci metodi di controllo alternativi o di integrazione all'utilizzo di prodotti chimici per gestire la fase successiva alla comparsa ed all'insediamento degli insetti, con particolare riferimento alla possibilità di testare – nel completo rispetto di tutte la cautele necessarie per evitare la diffusione di specie aliene difficilmente controllabili e potenzialmente dannose – l'efficacia dell'introduzione anche nel nostro ambiente, di antagonisti naturali ai due parassiti, secondo modelli di intervento che, come nel caso della lotta alla vespa cinese del castagno, stanno fornendo risultati particolarmente incoraggianti.
(7-00872) «
Taricco, Lavagno, Romanini, Prina, Carra, Dal Moro, Oliverio, Tentori, Zanin».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:

   NESCI e DIENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si legge su un articolo di Francesca Lagatta sulla testata web «Laspiapress.com», l'azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria non rifornirebbe di ricettari i medici operanti nella provincia reggina;
   stando alla ricostruzione giornalistica, in diverse sale d'attesa degli studi di medicina di base di Reggio Calabria e provincia è affisso infatti il cartello: «Si comunica che per mancanza dei ricettari non è possibile prescrivere alcunché»;
   tale situazione, peraltro, andrebbe avanti «dallo scorso mese di gennaio»: da allora, infatti, «numerosi pazienti hanno dovuto rinunciare alle cure perché le "ricette rosse" non sono state consegnate con regolarità, costringendo i medici all'impossibilità di prescrivere i farmaci. Senza che nessuno sapesse neppure spiegare loro il motivo. Chi doveva prenotare una visita, un esame, o comprare un medicinale con le esenzioni previste, si è visto rifilare il due di picche, con rinvio a data da destinarsi. Compresi i pazienti con sospette malattie gravi o in corso»;
   a parere delle interroganti, quanto descritto richiede una soluzione immediata stante il fatto che, come segnalato nello stesso articolo, a rimetterci sono le persone indigenti, che rinunciano a cure o farmaci, non potendo, senza ricetta medica, usufruire delle previste esenzioni, col rischio concreto, dunque, che venga meno il riconoscimento di quanto previsto all'articolo 32 della Costituzione, che specifica, per l'appunto, che «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della, collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti» –:
   se siano a conoscenza dei fatti suesposti;
   quali iniziative urgenti di competenza intendano assumere, anche per il tramite del Commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali, per favorire la risoluzione del problema evidenziato in premessa, in applicazione del succitato articolo della Costituzione (4-11516)

   ANDREA MAESTRI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 10 dicembre 2015, il settimanale L'Espresso ha pubblicato un'inchiesta relativa alle malformazioni, malattie e morti che colpiscono i bambini di Gela, in provincia di Caltanissetta, legate, secondo una perizia medica pubblicata in esclusiva dal giornale, all'inquinamento del territorio causato dal Petrolchimico di Eni;
   nell'ambito di un procedimento civile che una trentina di famiglie di Gela hanno promosso contro Eni, il tribunale civile di Gela ha incaricato una commissione di cinque esperti tra medici e tecnici, di fama nazionale e internazionale, presieduta da Pierpaolo Mastroiacovo, ex ordinario di pediatria all'università Cattolica e tra i massimi esperti al mondo di malformazioni congenite, di verificare l'eventuale relazione tra le patologie e l'attività industriale dello stabilimento;
   per due anni la Commissione ha visitato i bambini malati e studiato il territorio gelese e, nel luglio 2015, ha depositato il proprio parere scientifico confermando una precedente perizia che affermava l'esistenza di un nesso di casualità tra inquinamento industriale e taluni tipi di malformazioni neonatali riscontrate sui bambini gelesi (spina bifida, palatoschisi, e altro);
   il primo studio del 2006 sulle deformità dei piccoli abitanti della città, mostrava come il tasso di ipospadie (una rara malattia degli organi genitali) fosse tra i più alti al mondo, dato confermato da un aggiornamento del progetto Sentieri (Rapporto sugli insediamenti a rischio da inquinamento, finanziato dai Ministero della salute e coordinato dall'Istituto superiore di sanità), pubblicato nel 2014 e firmato da Fabrizio Bianchi, epidemiologo del CNR, che scoprì come nel sangue dei gelesi scorra una grande quantità di arsenico. A Gela non sono solo i minori a rischiare gravi danni alla salute: la ricerca ha dimostrato che nel comune si muore più facilmente rispetto al resto della Sicilia per tutti i tipi di tumore (+18,3 per cento), per il cancro infantile (+159,2 per cento), per il tumore allo stomaco (+47,5 per cento), alla pleura (+67,3 per cento), alla vescica (+9,6 per cento), per il morbo di Hodgkin (+72,4 per cento);
   secondo l'epidemiologo del CNR Bianchi, intervistato da L'Espresso sugli ultimi dati diffusi a luglio 2015: «Anche per altri tipi di malformazione i tassi sono elevati. La responsabilità dell'Eni ? La relazione di Mastroiacovo per numerosi bambini malformati fornisce prove persuasive di una altamente probabile causa ambientale. Io penso che in processi di questo tipo l'onere della prova del nesso di causalità non spetta a chi sta dalla parte pubblica, cioè di chi è stato danneggiato, ma da chi sostiene la sua inesistenza, o da coloro che abbiano un'altra ipotesi convincente che spieghi il perché di malattie e deformità. Di certo più passa il tempo, più si aspetta a bonificare, più sarà difficile evitare nuovi casi di malattia e morti precoci»;
   nelle centinaia di pagine della perizia della commissione dello Luglio 2015, medici, scienziati e ingegneri confermano quello che molti studi già segnalavano da tempo: a Gela, uno dei 39 siti d'interesse nazionale ancora da bonificare, ci sono in giro quantità enormi di metalli pesanti, benzene e altri composti cancerogeni, interferenti endocrini e diossine che hanno compromesso acque di falda, suolo e sottosuolo, i cui effetti nocivi concreti giungono all'uomo attraverso la catena alimentare. Nella falda sotto uno degli impianti hanno trovato ben il 97 per cento di idrocarburi e acqua solo per l'1 per cento. Si conclude pertanto che l'acqua è contaminata di veleni, come anche il suolo che contiene 3 milioni di mg di cloroetano (agente chimico altamente cancerogeno) invece di 3 mg, inquinanti che hanno prima devastato la natura e poi causato, «con ogni probabilità», le malattie neonatali;
   Kimberly, Nicolò, Marco, Marta, Francesco, Giuseppe, Chiara, Mary sono soltanto alcuni dei bambini nati con gravi malformazioni riguardanti il midollo spinale, gli organi genitali o i piedi, le mani o il midollo spinale, il cervello o la bocca;
   nella relazione sul caso di Kimberly è scritto nel rapporto della commissione che la stessa «si rammarica che – nell'ampio lasso di tempo intercorso tra l'allarme indicato dai primi studi condotti a Gela, le crescenti preoccupazioni sollevate dalla popolazione e dalla comunità scientifica e il presente non sia mai stato condotto uno studio di elevata qualità per poter stabilire in modo definitivo la possibile esistenza della relazione causale tra sostanze chimiche prevalenti nel comune e alcune malformazioni. Ritiene che la possibilità che la spina bifida di Kimberly ... sia stata favorita dalla presenza nell'ambiente (aria, acqua, alimentazione) di sostanze chimiche prodotte dal polo industriale sia del tutto concreta, sia per effetto individuale che per effetto sinergico tra loro». La spina bifida è una malattia che riguarda molti bambini di Gela, e sono 800 i casi in città, 6 volte in più rispetto alla media nazionale, come alti sono i tassi anche per altri tipi di malformazione;
   la perizia pubblicata da L'Espresso è rivoluzionaria perché il petrolchimico dell'Eni, per la prima volta, finisce ufficialmente sul banco degli imputati e viene accusato di aver disseminato per sessant'anni veleni ovunque, ammorbando terra, acque e aria, come accaduto per l'acciaieria Ilva a Taranto;
   l'obiettivo principale delle procedimento civile contro Eni, era di ottenere risarcimenti economici e rimborso delle enormi spese mediche per le piccole vittime dell'inquinamento, ma la causa s’è conclusa con un nulla di fatto, il colosso energetico non ha fatto alcuna proposta di risarcimento. Dichiara Luigi Fontanella, l'avvocato siciliano che da anni sta combattendo a fianco dei genitori dei bambini. «L'azienda non riconosce alcun danno psicofisico: per loro il nesso tra inquinamento e malformazioni non esiste»;

   immediatamente dopo la pubblicazione dell'inchiesta su L'Espresso, sono arrivate le solerti dichiarazioni del professor Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell'ospedale Bambin Gesù di Roma e autorevole genetista, che come perito di parte di Eni, nell'ambito dei procedimenti sulle malformazioni, ha affermato che: «Non è dimostrabile la tesi secondo cui i casi ai malformazione e di alcune patologie siano da ricondurre alla presenza, a Gela, dello stabilimento petrolchimico di Eni. C’è sicuramente una componente genetica, ma per nessuno di questi casi esiste un fattore ambientale noto, sicuro, certo, che agisca da agente causale. Forse l'unica eccezione è il rapporto tra la spina bifida, c gli anticrittogamici, e cioè le sostanze che vengono usate in agricoltura, cui si fa appunto molto ricorso a Gela ... non è dimostrabile alcun rapporto di causa preciso di un fattore che agisca con nesso di causalità»;
   le sue tesi però si discostano nettamente da quanto emerso dalla perizia redatta dagli esperti nominati direttamente dal tribunale civile di Gela e potrebbero quindi peccare di imparzialità secondo l'interrogante;
   nella puntata del 13 dicembre 2015 della trasmissione Report, l'avvocato Luigi Fontanella, ha dichiarato di aver recentemente presentato al tribunale gelese la richiesta di provvedimento d'urgenza della magistratura (ai sensi dell'articolo 700 del codice di procedura civile) per fermare ogni impianto della raffineria ancora in marcia ed impedire che «continui a inquinare e a creare danni»;
   il 13 gennaio 2016 si svolgerà la prima udienza presso il tribunale civile di Gela per la trattazione del ricorso cautelare d'urgenza contro le società del colosso Eni: Syndial, Raffineria di Gela, Enimed;
   il Governo secondo l'interrogante continua a tenersi a distanza da qualsiasi intervento e polemica e non si è mai finora espresso sulla vicenda delle malformazioni. A questo proposito è bene ricordare che la quota di partecipazione diretta del Ministero dell'economia e delle finanze in Eni, è pari al 4,34 per cento e quella della Cassa depositi e prestiti S.p.A. è pari al 25,76 per cento;
   il Presidente del Consiglio dei ministri nell'agosto 2015 ha parlato della raffineria solo per applaudire alla sua futura riconversione «green» degli impianti prevista nel 2017, grazie a un accordo che prevede la costruzione di una «bioraffineria» e investimenti (su tutta la Sicilia) pari a due miliardi di euro, con cui il gruppo petrolifero potrà avviare nuove attività di esplorazione e produzione di idrocarburi sia su terra che su mare;
   nell'articolo de L'Espresso precedentemente richiamato è evidenziato che la magistratura, per ora, resta in attesa: ma non è un dettaglio che sia stata proprio la procura a costituirsi in sede civile e che i P.M. gelesi abbiano aiutato, attraverso il deposito di vari studi e report scientifici compilati negli anni su loro impulso, a scrivere l'ultimo, drammatico studio”;
   in Italia esistono limiti enormi all'accertamento penale, come ha dimostrato anche il recente caso dell'Eternit di Casale Monferrato, in occasione del quale la Corte di cassazione ha segnalato che il reato era prescritto. La nostra giurisprudenza prevede inoltre che i danni vadano addebitati a singole persone fisiche: a differenza di Taranto, dove la famiglia Riva e i dirigenti che gestivano l'Ilva erano facilmente identificabili, alla guida del petrolchimico di Gela, in sei decenni, si sono succedute decine di manager, ed è molto difficile individuarne le singole ed eventuali responsabilità –:
   se il Governo non ritenga opportuno approntare iniziative normative volte a favorire un più rapido accertamento delle responsabilità penali in fattispecie come quella descritta in premessa, che possano determinare gravi danni ambientali e per la salute dei cittadini, e se non intenda adottare ogni iniziativa di competenza, in specie di carattere organizzativo, a supporto del tribunale di Gela. (4-11522)

   SPESSOTTO e DE LORENZIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 698 del codice della navigazione è stato presentato, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, lo schema di decreto del Presidente della Repubblica recante l'individuazione degli aeroporti di interesse nazionale;
   tale schema di decreto, indicato come piano nazionale degli aeroporti, è stato sottoposto al parere delle competenti Commissioni parlamentari che si sono espresse favorevolmente sul provvedimento, con l'indicazione di una serie di condizioni e osservazioni riferite al medesimo schema di decreto;
   il MoVimento Cinque Stelle, nel parere di minoranza reso sullo schema di decreto, ha fortemente criticato sia il contenuto sia l’iter di approvazione dello stesso provvedimento;
   il Consiglio dei ministri ha approvato il piano, in esame definitivo, d'intesa con la Conferenza Stato regioni, sentita l'Agenzia del demanio, con il parere del Consiglio di Stato e delle Commissioni parlamentari competenti, il 27 agosto;
   a quattro mesi dalla sua approvazione definitiva in sede di Consiglio dei ministri, il decreto non risulta essere stato ancora registrato alla Corte dei Conti, né pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana –:
   se il Governo possa chiarire i motivi della mancata registrazione e pubblicazione del piano nazionale degli aeroporti, a quattro mesi dalla sua approvazione definitiva in sede di Consiglio dei ministri, e le conseguenze della mancata efficacia del piano sulla attuale gestione aeroportuale degli scali italiani. (4-11523)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:

   TIDEI, PIAZZONI, IACONO, ROSTELLATO, BRUNO BOSSIO, PIRAS, QUARANTA, RICCIATTI, DANIELE FARINA, MANFREDI, MANZI, ARLOTTI, FOSSATI, FRAGOMELI, MINNUCCI, CARELLA, BRIGNONE, CARNEVALI, LAFORGIA, GIUDITTA PINI, NICCHI, FRANCO BORDO, ZAN, PRINA, GALPERTI e PAOLO ROSSI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   con la risoluzione dell'Assemblea generale n. 181 del 29 novembre 1947 si è posto fine al mandato britannico sulla Palestina e, contestualmente, è stata sancita la nascita di due Stati indipendenti, uno ebraico e uno arabo, oltre al regime internazionale speciale per la città di Gerusalemme;
   la suddetta risoluzione, nella parte II, ha definito i confini del futuro Stato arabo. All'interno di essi era presente la città di Hebron, una delle più importanti e grandi della Cisgiordania. Luogo di straordinaria valenza religiosa, essendo una delle quattro città sante del Talmud, la città santa di Hebron, tra le più antiche del mondo con singolari tradizioni storiche e culturali, è un luogo di pellegrinaggio per ebrei, cristiani e musulmani: qui è sepolto Abramo, il padre fondatore delle tre più importanti religioni monoteistiche;
   oltre al grandissimo significato religioso, Hebron ha una vivacità economica di non poco conto. Lo sviluppo delle attività economiche nella città legate al settore dell'agricoltura, della produzione di scarpe e pietre costituisce un elemento fondamentale per lo Stato palestinese, per la sua crescita economica, sociale ed occupazionale. Arrestare le opportunità di sviluppo significa arrestare il percorso politico verso la pace tra i due popoli;
   l'occupazione ebraica, nei territori palestinesi della Cisgiordania, ed in particolare nella città di Hebron ha avuto il suo momento iniziale a seguito del conflitto del 1967, meglio noto come la guerra dei sei giorni. Da allora gli insediamenti ebraici sono cresciuti in misura esponenziale e con essi è aumentata notevolmente la conflittualità tra coloni ebrei e residenti palestinesi;
   l'odio, la violenza e le aggressioni nella città di Hebron sono culminati con il massacro, nel 1994, di 29 cittadini palestinesi e con il ferimento di altri 60 da parte di un colono israeliano davanti alla Tomba dei patriarchi. Temendo operazioni di rappresaglia, il Governo israeliano ha adottato una serie di misure volte a proteggere i coloni, rafforzando così la presenza militare nella città. Intere aree limitrofe alle colonie sono state completamente interdette ai palestinesi. Importanti strade e il mercato ortofrutticolo, i principali centri di incontro e di commerci di Hebron, sono stati chiusi, e centinaia di commercianti palestinesi sono stati sfrattati. Quel massacro ha accentuato la presenza di cotoni all'interno della città vecchia e l'espulsione di palestinesi con l'impossibilità per quest'ultimi di viverci e lavorare rendendo la città vecchia di Herbon una città vuota, spenta;
   il massacro di Hebron ha determinato fratture a continui attriti tra israeliani e palestinesi con preoccupanti interruzioni al processo di pace. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite con la risoluzione del 18 marzo 1994, n. 904, oltre a condannare fortemente l'atto di violenza e ad invitare il Governo israeliano, potenza occupante, a continuare ad adottare misure, tra cui il sequestro delle armi per evitare ulteriori atti di violenza sui civili palestinesi, ha chiesto l'adozione di misure necessarie per garantire la sicurezza e la protezione dei civili palestinesi nei territori occupati, tra cui la realizzazione, nella città di Hebron di una presenza temporanea internazionale, nel contesto del processo di pace;
   sulla scorta della risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, rappresentanti dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) e il Governo israeliano hanno sottoscritto un accordo con il quale si stabiliva la realizzazione di una Temporary International Presence in Hebron (TIPH), con il mandato di assistere e promuovere la sicurezza, la stabilità e migliori condizioni di vita nella città di Hebron. L'Italia, la Norvegia e la Danimarca sono stati accettati dalle parti come osservatori. Tuttavia, la missione, iniziata l'8 maggio del 1994, è durata soltanto tre mesi e, a causa di divergenze e contrasti continui, le parti non sono riuscite a trovare un accordo per estendere la durata del mandato della missione. La presenza temporanea internazionale si è così ritirata da Hebron nell'agosto del 1994;
   il 28 settembre del 1995, nell'ambito del processo di pace, è stato firmato un accordo interinale sulla Cisgiordania (West Bank) e sulla Striscia di Gaza (Oslo II). L'Accordo prevede, oltre ad un ridispiegato delle forze militari israeliane nella città di Hebron, la realizzazione di una nuova presenza temporanea internazionale da stabilirsi sempre ad Hebron, come la precedente;
   nel gennaio del 1997 il Governo israeliano e l'Organizzazione per la liberazione della Palestina hanno firmato l'accordo sulla «presenza temporanea internazionale nella città di Hebron». La TIPH 2 è composta, oltre che dall'Italia, dalla Norvegia e dalla Danimarca, Paesi già chiamati a far parte della TIPH, anche dalla Turchia, dalla Svizzera e dalla Svezia;
   relativamente alla copertura di alcune spese, opportunamente individuate nell'Accordo, a carico dello Stato parte della missione, l'Italia, per restare all'anno corrente, con i due decreti-legge di proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione
alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione (decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni dalla legge 17 aprile 2015 n. 43; e decreto-legge 30 ottobre 2015, n. 174 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 198 del 2015) ha autorizzato la spesa complessiva di 2.495.779 euro per il finanziamento dell'impiego del personale militare in attività di addestramento delle forze di sicurezza palestinesi;
   il paragrafo 7 dell'accordo con il quale è stata istituita la TIPH 2, tuttora in vigore, prevede, inter alia, che ogni Paese parte della missione elabora relazioni sulla situazione quotidiana, con specifico riferimento al rispetto dei diritti umani. Sintesi delle suddette relazioni possono essere trasmesse ai Governi dei rispettivi Paesi partecipanti;
   ai sensi decreto-legge 31 gennaio 2008, n. 8, convertito, con modificazione, dalla legge 13 marzo 2008, n. 45, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, entro il 31 dicembre di ogni anno, riferisce alle Commissioni parlamentari competenti sulla situazione, i risultati e le prospettive delle attività relative agli impegni italiani, militari e civili, nell'ambito delle varie missioni sotto le varie egide: ONU, Unione europea, NATO ed internazionale;
   con riferimento alla missione oggetto del presente atto di sindacato ispettivo nelle relazioni, e segnatamente nella relazione di cui al Doc. LXXXII, n. 2, riferita all'anno 2013 e comunicata alla presidenza del Senato in data 30 gennaio 2015, come in quella di cui al Doc. LXX, n. 4 presentata dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale e predisposta congiuntamente con il Ministro della difesa, ai sensi dell'articolo 14, comma 1, della legge n. 231 del 2003, e trasmessa alla Presidenza della Camera in data 29 dicembre 2014 e riferita al periodo tra il 1o gennaio 2014 e il 30 giugno 2014, si procede con una descrizione della missione con riferimento esclusivo alla natura della stessa, agli obiettivi che essa si intende raggiungere, e all'impiego delle risorse nazionali impegnate. Nulla invece si dice circa la situazione nella città di Hebron, precipuamente sotto il profilo dei risultati raggiunti relativamente al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione palestinese residente, al rispetto dei diritti umani e civili, nonché alle prospettive di sviluppo socio-economico –:
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno fornire dettagliati elementi in ordine alla missione TIPH2, con particolare riferimento alle violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali nella città di Hebron.  (4-11521)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:

   PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'area del SIC/ZPS (Siti di importanza comunitaria/Zone di protezione speciale) Biviere e Macconi di Gela, ricadente nei territori dei comuni di Gela, Niscemi e Butera in provincia di Caltanissetta, è stata dichiarata con delibera del Consiglio dei ministri del 30 novembre 1990 «area ad elevato rischio di crisi ambientale»;
   con decreto del Presidente della Repubblica del 17 gennaio 1995 è stato approvato il piano di risanamento, finalizzato alla riduzione ed eliminazione dei fenomeni di squilibrio ambientale;
   lo studio conoscitivo del piano aveva già evidenziato tra le principali fonti di inquinamento delle componenti ambientali, oltre agli insediamenti industriali del petrolchimico, anche la produzione agricola intensiva sotto serra;
   alla data odierna quasi nulla di quanto previsto dal piano di risanamento risulta essere stato attuato;
   in particolare, si deve segnalare il mancato avvio del processo di bonifica da parte di ENI nonché i gravi ritardi da parte della regione siciliana nell'adempiere alle misure di propria competenza;
   nell'area è attivo da ottobre 2012 il progetto «Life11 NAT/IT/000232- Leopoldia», finalizzato al ripristino del sistema dunale per la tutela della Leopoldia gussonei, una specie vegetale presente esclusivamente nelle aree del golfo di Gela;
   i risultati conseguiti dal progetto «Life Leopoldia» rendono ancora più incomprensibile il mancato utilizzo dei fondi previsti dal citato piano di risanamento ambientale del territorio della provincia di Caltanissetta (decreto del Presidente della Repubblica 17 gennaio 1995);
   il menzionato progetto Life ha richiesto interventi strutturali per la tutela e il ripristino delle aree interessate; in particolare, viene richiesto:
    il trasferimento dei demani statali situati nelle aree dunali di Macconi di Gela, attualmente occupati abusivamente o in concessione a serricoltori, al dipartimento regionale ambiente — demanio marittimo, per assicurarne la tutela e proteggere la linea di costa;
    l'approvazione del piano di gestione del SIC/ZPS Biviere di Gela;
    l'intervento del Dipartimento regionale rifiuti, per risolvere lo straordinario inquinamento di materiali plastici nella zona;
    l'attribuzione della scheda G «Biviere di Gela» del piano di risanamento, attribuita genericamente alla regione siciliana, all'ente gestore del Biviere di Gela, che da anni persegue gli obiettivi del piano di risanamento senza, però, averne, i fondi;
   l'ufficio piano di risanamento (dipartimento regionale ambiente — servizio VI), interpellato attraverso riunioni informali e tavoli tecnici interdipartimentali (29 luglio 2015-21 ottobre 2015), sostiene di non avere le risorse umane necessarie per l'aggiornamento del piano e che, in ogni caso, è necessario un decreto dell'assessore regionale;
   la Lipu Ente gestore, ha quindi richiesto ufficialmente l'attribuzione della titolarità della scheda per procedere all'aggiornamento e attuazione ma, dopo diversi mesi, a quanto consta all'interrogante non è riuscita ad ottenere una risposta né un appuntamento con il dirigente generale o l'assessore regionale;
   il decreto del Presidente della Repubblica 17 gennaio 1995 prevede il controllo da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sulle misure realizzate in attuazione degli obiettivi del piano di risanamento;
   non appare oltremodo rinviabile l'attuazione del piano di risanamento nel suo complesso, tanto per i significativi danni recati alla salute di chi vive nel territorio interessato quanto per consentire un'ipotesi di recupero anche a fini turistici e uno sviluppo economico e fruizione sostenibile dell'area –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere per promuovere l'attuazione delle misure previste nel piano di risanamento;
   in che modo e con quali risultati il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia svolto il compito di vigilanza e monitoraggio, assegnato dal decreto del Presidente della Repubblica 17 gennaio 1995;
   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per avviare il programma di risanamento dell'area indicata nella parte di competenza di Eni.
(4-11515)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:

   MICILLO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   all'interno del comune di Bacoli (NA) vi è un importante monumento archeologico romano conosciuto come complesso «Cento Camerelle», immobile costruito in età repubblicana a Miseno, a picco sul mare del golfo di Napoli e posto in una cornice di ineguagliabile bellezza; il sito è anche conosciuto come «Prigioni di Nerone»;
   come si legge all'interno del sito internet del circuito informativo regionale della Campania per i beni culturali e paesaggistici, il monumento consiste in una serie cisterne, composte da due parti sovrapposte, del tutto indipendenti, orientate diversamente e risalenti ad epoche diverse. Esse erano in realtà pertinenti ad una villa, i cui ruderi si osservano in parte scavati nel banco tufaceo della collina sottostante ed a peschiere semisommerse nello specchio d'acqua antistante. Secondo una delle ipotesi, la villa sarebbe appartenuta ad Ortensio e poi passata ad Antonia moglie di Druso, da questi a Nerone, ed infine a Vespasiano della dinastia flavia. L'edificio superiore, posto a metri 3,00 dall'attuale piano di campagna, è un ampio serbatoio di età imperiale, diviso in quattro navate, coperte da volta a botte e sorrette da tre file di pilastri, con uno degli estradossi a terrazza, rivestito di pavimento in signinum. L'aula è scavata nel tufo fino a metri 2,00 di profondità e foderata di muratura con paramento in opus reticulatum ed ammorsature a tufelli, recante un rivestimento idraulico di cocciopesto di notevole spessore. Al centro di ogni volta vi sono pozzetti di ispezione quadrati; mentre nell'angolo nord si apre una nicchia recante traccia di rivestimento di intonaco. Al livello inferiore, più in basso di metri 6,00 rispetto al precedente, vi è una rete di cunicoli per l'approvvigionamento idrico, databili all'età repubblicana e solo parzialmente esplorati. Orientati est-sud-est/ovest-sud-ovest e disposti ortogonalmente, alti circa metri 4,00, sono coperti a volta e collegati da stretti e bassi passaggi di comunicazione, ora con tetto di tegole a due spioventi, ora con tetto copertura piano. Gli ambienti sono scavati nel tufo e foderati di opus coementicium e rivestiti di cocciopesto. La presenza di questo tipo di intonaco idraulico ed il cordolo alla base delle pareti dimostra che anche questi cunicoli erano adibiti a cisterna. In essi si conservano ancora sulle pareti i nomi dei visitatori dei secoli scorsi scritti a carboncino;
   il sito archeologico risulta chiuso da circa dieci anni ed attualmente versa in uno stato di preoccupante incuria e abbandono;
   la situazione in cui versa un siffatto sito archeologico è ben descritta in un risalente articolo on line del 2010 (http://www.montediprocida.com); dalla data dell'articolo, ad oggi, poco è cambiato;
   un sito archeologico di tale importanza rischia di scomparire, lasciato da sempre alle intemperie;
   il complesso, nel corso degli anni, è stato infatti interessato da crolli, vi sono problemi strutturali e cedimento di intonaco e manca personale addetto;
   innumerevoli sono i vantaggi che l'apertura di un siffatto sito archeologico potrebbe portare, sia dal punto di vista economico che dal punto di vista culturale e di valorizzazione del territorio –:
   se il Ministro interrogato, sia a conoscenza della situazione nella quale si trova il sito archeologico in questione, quale sia il suo orientamento al riguardo e quali iniziative intenda portare avanti al fine di rendere fruibile ai visitatori tale luogo;
   se il Ministro interrogato intenda finanziare il restauro del sito e quali e quanti fondi intenda stanziare per valorizzare il citato sito archeologico.
(4-11513)

   MARRONI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 23 dicembre 2014 CDP «Investimenti Sgr» ha bandito, d'intesa con il comune di Roma, un concorso di progettazione urbana in due fasi per il quartiere della città della scienza, con la previsione di spazi e servizi pubblici, funzioni private prevalentemente residenziali e la realizzazione della città della scienza nell'area dell'ex stabilimento macchine elettriche di precisione dell'Agenzia del demanio collocato tra via Guido Reni e viale del Vignola a Roma;
   gli indirizzi programmatici dell'accordo e della consultazione concorsuale prevedevano un importante processo di trasformazione urbana, assumendo come criterio anche la conservazione e reinterpretazione dell'impianto urbano originale attraverso una metodologia di intervento che privilegiasse il recupero degli edifici esistenti, il massimo contenimento dell'occupazione di suolo da parte dei nuovi edifici, la massima estensione degli spazi pubblici;
   il complesso dell'ex stabilimento macchine elettriche rappresenta un significativo esempio di archeologia industriale del Novecento, con una struttura a viali delimitati da platani che costeggiano l'impianto a padiglioni, inserito in un brano di tessuto urbano qualitativamente eccellente per la presenza di architetture novecentesche, moderne e contemporanee;
   la riconversione dei grandi contenitori dismessi pubblici e industriali della città del Novecento occupa un ruolo di primo piano per procedere a una rapida inversione nel consumo di suolo e tendere radicalmente alla rigenerazione urbana quale strumento prioritario, dato che queste funzioni urbane, sino a ieri essenzialmente pubbliche, possono essere sostituite con nuove funzioni di prioritario interesse pubblico che tutelino l'identità storico culturale del territorio;
   il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, «Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137», detta il principio secondo il quale, in attuazione dell'articolo 9 della Costituzione, la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura e che lo Stato, le regioni, le città metropolitane, le province e i comuni assicurano e sostengono la conservazione del patrimonio culturale e ne favoriscono la pubblica fruizione e la valorizzazione;
   in particolare, l'articolo 10 del citato decreto dispone che siano considerati beni culturali, quando sia intervenuta la dichiarazione di interesse culturale, le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose;
   tutelare sia il territorio sia l'identità storico-culturale delle aree urbane da trasformare sia – non ultimi – i cittadini che le abitano, impone atteggiamenti progettuali prudenti volti a concentrare gli sforzi su di un'attenta e delicata, attività di recupero e reinterpretazione del patrimonio edilizio esistente;
   l'esito della procedura concorsuale citata, di cui l'amministrazione comunale di Roma è stata a tutti gli effetti soggetto attivo, ha invece privilegiato una soluzione progettuale che prevede la totale demolizione del complesso di archeologia industriale a favore di un impianto urbano che assegna priorità agli insediamenti residenziali privati, penalizzando in modo significativo la tutela identitaria dei luoghi, l'articolazione dello spazio pubblico e la riqualificazione e riorganizzazione dell'ambiente costruito e dell'assetto urbano –:
   per quale motivo non sia stato ancora avviato l'urgente e necessario procedimento di dichiarazione di interesse culturale ai sensi dell'articolo 10, comma 3, lettera d) del decreto legislativo n. 42 del 2004 sopra richiamato e successive modificazioni, per il complesso di archeologia industriale dell'ex stabilimento macchine elettriche di precisione dell'Agenzia del demanio collocato tra via Guido Reni e viale del Vignola in Roma, in quanto rappresenta un'opera di indiscusso valore per il suo riferimento alla storia e alla cultura del XX secolo;
   quando tale urgente e necessaria procedura verrà avviata al fine di tutelare un importante bene culturale di archeologia industriale del Novecento e di evitare o modificare un intervento edilizio che appare all'interrogante di tipo speculativo a favore invece di progetti conservativi e di rigenerazione dei manufatti di interesse storico nazionali presenti sull'area.
(4-11519)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:

   BASILIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il tragico incidente che, il 24 maggio 2012, ha causato la morte del Nocchiere Alessandro Nasta, mentre era a bordo della nave Amerigo Vespucci è noto a tutti, non solo per il clamore mediatico della vicenda, ma anche per una inchiesta della procura della Repubblica di Civitavecchia, che ha generato un processo penale, tuttora in corso presso il competente tribunale, con rinvio a giudizio degli imputati e udienza di apertura del dibattimento fissata per il 16 marzo 2016;
   l'interrogante, con l'atto di sindacato ispettivo n. 4-08896 presentato in data 22 aprile 2015 ancora senza risposta, ha esplicitamente chiesto al Ministro della difesa dettagli relativi al giudizio di idoneità al servizio del Nocchiere Nasta, al mancato sequestro della nave a seguito dell'incidente, al mancato utilizzo dei dispositivi anticaduta da parte della Marina militare;
   con la predetta interrogazione, si chiedeva al Ministro anche l'eventuale sospensione precauzionale dal servizio per i vertici della Marina militare rinviati a giudizio nell'ambito del processo penale attualmente pendente innanzi al tribunale di Civitavecchia;
   successivamente alla predetta interrogazione, attraverso formale richiesta di accesso ai documenti amministrativi, indirizzata all'ufficio rapporti con il Parlamento del Ministero della difesa, l'interrogante ha tentato di reperire ulteriori informazioni in relazione ai fatti di cui sopra, chiedendo la trasmissione dei documenti relativi alla Nave Scuola Amerigo Vespucci e dei processi verbali del consiglio di sicurezza e servizio di prevenzione e protezione;
   sia il predetto ufficio che la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi hanno esplicitamente negato la trasmissione dei documenti richiesti, affermando che l'esercizio del mandato parlamentare non rappresenta condizione di per sé sufficiente per motivare l'istanza e rinviando ogni ulteriore iniziativa al potere di sindacato ispettivo;
   i predetti quesiti, ancora di stringente attualità, necessitano pertanto di dettagliate e puntuali risposte da parte del Ministro interrogato;
   il processo penale che si celebra presso il tribunale di Civitavecchia e che conta numerosi imputati, tra cui esponenti al vertice della Marina militare, in caso di condanna degli stessi potrebbe comportare un notevole danno di immagine al prestigio ed al decoro della Marina e dell'intero comparto difesa;
   l'udienza di apertura del dibattimento è fissata per il 16 marzo 2016 ed, entro tale data, è possibile formalizzare la costituzione di parte civile nel processo penale –:
   quali siano gli orientamenti del Governo in relazione a quanto esposto in premessa;
   se considerato il clamore, l'impatto mediatico e soprattutto il danno d'immagine al decoro ed al prestigio della Difesa nell'ipotesi di eventuale condanna degli imputati, si intenda valutare l'ipotesi della costituzione di parte civile del Ministero della difesa nel processo penale, entro l'udienza prevista per il 16 marzo 2016 presso il tribunale di Civitavecchia.
(4-11520)

   BARBANTI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da una nota stampa diramata dal comune di Catania, si è appreso che durante l'incontro avvenuto il 21 novembre nella città etnea, il Ministro interrogato e il sindaco Enzo Bianco avrebbero disquisito circa la possibilità di impiegare l'ex caserma Sommaruga, già dismessa dal Ministero, come nuova, sede della questura e di altri uffici. È stato altresì riportato che tale ipotesi ha suscitato grande interesse da parte del Ministro, tanto da aver garantito l'invio di funzionari del dicastero per seguire la vicenda;
   nell'interrogazione presentata dall'On. Walter Rizzetto, il 6 ottobre 2015, rivolta al Ministro dell'interno in merito alle spese della parata organizzata in occasione della festa del patrono della polizia di Stato, veniva registrata l'indignazione degli agenti di polizia i quali, a fronte di tale investimento, tramite il comunicato stampa diramato dalle organizzazioni sindacali SIULP, SIAP e UGL-Polizia, evidenziavano e contestavano la riduzione delle spese per l'acquisto delle divise, i tagli sugli straordinari dei poliziotti, le diminuzioni delle somme destinate alla riparazione dei veicoli utilizzati per il controllo del territorio, il decremento della spesa per le pulizie effettuate presso gli uffici e l'esigenza di trovare una struttura che potesse unificare gli uffici di polizia della città di Catania attualmente dislocati, le cui spese annuali ammontano a circa quattro milioni di euro, per sanare gli sprechi;
   nel 2004 fu presentato il progetto della nuova questura di Catania che si sarebbe dovuta realizzare nel quartiere di Librino e finanziata con fondi CIPE per un costo pari a 31.000.000 di euro + 30.000.000 di euro per tre blocchi di edifici: nel 2008, l'allora prefetto Iurato annunciò l'avvio dei lavori di realizzazione del primo lotto dal costo pari a 31.000.000 di euro, e nel 2010 il questore inviava la nota con la quale annunciava l'avvio dei lavori di costruzione ma, a oggi, i suddetti lavori non sono ancora iniziati;
   contestualmente, negli anni 2000, la prima amministrazione Bianco acquistò con i finanziamenti ottenuti dal Ministero della giustizia l'ex palazzo delle poste sito in Viale Africa per realizzare la nuova cittadella giudiziaria e concentrare tutti gli uffici presso l'immobile, sparsi per la città: le somme già versate ammontano a euro 27.888.627, mentre quelle necessarie per terminare i lavori sono pari a euro 25.000.000; la struttura risulta attualmente in condizioni fatiscenti, ed è divenuta un riparo dei senzatetto;
   durante un'intervista rilasciata al giornale «La Sicilia» il 19 luglio 2010, l'ex sindaco e già senatore Enzo Bianco, in riferimento all'ex palazzo delle poste, dichiarò: «Questo edificio, oggi così malridotto, è un patrimonio per la città. Nacque come sede delle Poste, ma poi fu ritenuto sovradimensionato. Nel 1999, quando ero sindaco, la mia idea era quella di riunire tutti gli uffici dell'amministrazione della giustizia (oggi disseminati in una decina di edifici con costi ingenti e disservizi per i cittadini e per gli stessi impiegati) in un'unica cittadella giudiziaria. Avevo pensato alla caserma Sommaruga, ma non era una soluzione praticabile nel breve periodo. Così pensammo di suddividere gli uffici giudiziari in due sole strutture: palazzo di Giustizia e l'ex Palazzo delle Poste in viale Africa. Il Comune avviò la pratica per acquisire l'immobile dalle Poste a un prezzo conveniente. L'edificio fu acquistato con rogito del notaio Attaguile. Poi gli uffici comunali fecero un pre-progetto per la ristrutturazione e sulla base di questo pre-progetto la delibera di giunta del 9 luglio 2001 stabilì che per ristrutturare l'edificio ci sarebbero voluti 7 miliardi delle vecchie lire, 3 milioni e 700 mila euro. Fu fatta la gara per la progettazione esecutiva. La ditta che se l'aggiudicò, disse che occorrevano 31 milioni e 250 mila euro per la ristrutturazione. Dieci volte di più della stima fatta dal Comune ! I conti non tornano. Adesso sappiamo che c’è un contenzioso in corso con la ditta e che il sindaco (Umberto Scapagnini) sta cercando un accordo. Ma i problemi riguardano anche la continua rimodulazione del progetto, in particolare sull'ubicazione di archivi, garage, sistemi di sicurezza»; si evince dunque che la caserma Sommaruga nel 2010 era stata individuata come possibile cittadella giudiziaria e non come sede della questura. In quell'occasione, l'attuale primo cittadino di Catania, esortò il sindaco in carica Umberto Scapagnini e la sua giunta ad accendere un mutuo per ristrutturare l'edificio che dopo dieci anni risultava l'ennesima opera incompiuta, garantendo che tale soluzione non avrebbe inciso sulle casse comunali poiché le rate potevano essere ripagate dai canoni di locazione corrisposti dal Ministero della giustizia. In ultima istanza ha anche avanzato l'ipotesi di vendita dell'immobile, pur di sollecitare una soluzione definendola una situazione inaccettabile;
   il 2 gennaio 2015, a mezzo stampa, l'ex sottosegretario di Stato per la giustizia On. Giuseppe Berretta, ha confermato un vincolo che può essere sciolto a condizione che si venda il palazzo delle poste e si acquisti un altro immobile utilizzato per una sede giudiziaria. Nel caso in cui si procedesse alla vendita dell'edificio per investire in un immobile della regione si dovrà procedere alla restituzione del finanziamento erogato dal Ministero della giustizia per non ristrutturare un immobile altrui –:
   se i fatti narrati in premessa trovino conferma e, nell'eventualità positiva, se il Governo non ritenga opportuno ridimensionare il grande interesse espresso in favore dell'ipotesi di impiegare, ove fosse possibile, l'ex caserma Sommaruga come nuova sede della questura della città di Catania;
   quali iniziative intendano intraprendere, di concerto, per accertare lo stato dei lavori dei progetti già finanziati e verificare, per quanto di competenza, eventuali responsabilità e cause rispetto alla mancata realizzazione della nuova cittadella giudiziaria e della nuova sede della questura della città di Catania con l'accorpamento di altri uffici;
   se non si ritenga necessario un solerte completamento delle opere ancora incompiute, rispondendo concretamente alle esigenze note e segnalate dai sindacati di polizia, prima di procedere a ulteriori concessioni da parte del Ministero della difesa. (4-11525)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:

   LUIGI GALLO, PESCO, D'UVA, VACCA, DI BENEDETTO, BRESCIA e SIBILIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la vicenda che sta interessando gli obbligazionisti di Banca Marche, Carife, Carichieti e Banca Etruria e l'introduzione nel nostro ordinamento di uno strumento normativo quale il decreto-legge 183 del 2015 (cosiddetto «decreto salva-banche»), rende impellente richiamare l'attenzione del Governo anche su altri disastri finanziari che, negli ultimi anni, hanno analogamente funestato le finanze di decine di migliaia di piccoli risparmiatori e che ad oggi non hanno trovato nessun risarcimento;
   l'oramai noto decreto n. 183 anticipa di qualche mese l'introduzione nel nostro ordinamento del bail-in, già previsto per il 1o gennaio 2016, che trova immediata applicazione per quattro banche (Banca Marche, Carife, Carichieti, Banca Etruria) e per i loro amministratori uscenti. Il sistema di salvataggio previsto, che si sostanzia nella creazione per ciascuno dei quattro istituti di una good bank cui affidare la prosecuzione delle relative attività bancarie e di una bad bank comune in cui lasciare tutti i crediti non riscossi cosiddetti «sofferenze» implica il sacrificio degli obbligazionisti che attraverso l'azzeramento del valore dei titoli subordinati perdono i loro risparmi;
   inoltre, la separazione tra la parte buona e la parte «cattiva» che, attraverso la monetizzazione delle sofferenze, può creare nuovi utili, vede gli stessi obbligazionisti affrancati anche da questa opportunità di essere ristorati;
   il mezzo con il quale si sta tentando di attenuare questo enorme sacrificio a carico degli obbligazionisti è rappresentato da un fondo di solidarietà da destinare al risarcimento, anche solo parziale, da versare solo nel caso in cui gli obbligazionisti siano persone fisiche, piccoli imprenditori, imprenditori agricoli e coltivatori diretti e attraverso un arbitrato venga inoltre stabilito che siano stati vittime di raggiri o cattive informazioni da parte dell'istituto di credito che ha venduto loro i suddetti titoli;
   tale strumento è secondo gli interroganti assolutamente non sufficiente per riparare il danno creato ai risparmiatori per i quali sarebbe necessario un risarcimento integrale pari alle risorse effettivamente impegnate;
   da tempo la posizione degli interroganti è quella di prevedere strumenti di salvaguardia più generalizzati a tutela dei piccoli risparmiatori che possano attivarsi in tutte le vicende finanziarie dove a far le spese di gestioni truffaldine o scellerate siano principalmente persone che hanno creduto di tutelare i risparmi di una vita. In tale ottica si ritiene plausibile l'istituzione immediata di un fondo di solidarietà utilizzando il 3 per cento dei dividendi della Banca d'Italia, da attivare per il risarcimento dei piccoli risparmiatori coinvolti in frodi finanziare e bancarie;
   uno strumento del genere andrebbe certamente applicato anche alla disastrosa vicenda finanziaria, configuratasi come vera e propria truffa in danno di centinaia di famiglie di risparmiatori, quale è l'oramai famigerato fallimento della «Deiulemar Compagnia di Navigazione s.p.a.» di Torre del Greco dichiarato dal tribunale di Torre Annunziata il 2 maggio 2012 e della «società di fatto» costituita dai suoi fondatori e dai loro più stretti familiari, dichiarato il 10 maggio 2013;
   anche detta clamorosa vicenda difatti, è stata causata dalla totale inefficacia dei sistemi di controllo e segnalazione previsti dal nostro ordinamento se si pensa che la procura della Repubblica presso il tribunale di Torre Annunziata ha accertato che, dal 2005 al 2012, sui conti correnti dell'ex amministratore delegato Michele Iuliano e dei suddetti soggetti riconducibili alla «società di fatto», si sono riscontrati flussi finanziari per circa 400 milioni di euro, una raccolta di credito per somme pari a quindici volte il valore delle riserve legali e riserve disponibili risultati dall'ultimo bilancio approvato della società, l'incameramento nelle casse sociali di oltre 684 milioni di euro, un patrimonio netto negativo di oltre 858 milioni di euro e dodicimila persone truffate. Peraltro, la quarta sezione penale del
tribunale di Roma, nel luglio del 2014 ha già comminato complessivi 86 anni di carcere a seguito della condanna di tutti i soci di fatto della Deiulemar giudicati colpevoli, tra l'altro, per i reati di raccolta abusiva del credito, associazione a delinquere per reati di bancarotta fraudolenta e false comunicazioni sociali e truffa aggravata;
   ha del clamoroso, poi, ciò che sta emergendo da inchieste giornalistiche ed in particolare da quanto ha riportato di recente il Sole24ore) che ha evidenziato collegamenti tra la società «Deiulemar» ed i suoi soci di fatto al Fondo immobili pubblici, promosso dalla Repubblica italiana nell'ambito di un più ampio processo di valorizzazione operato dal Ministero dell'economia e delle finanze, attualmente gestito da InvestiReSgrda;
   e difatti, da quanto risulterebbe accertato, numerosi beni immobili, allocati in tutta Italia e spesso con destinazione d'uso di natura istituzionale (sede dell'Agenzia delle entrate, della motorizzazione civile, della guardia costiera, della commissione tributaria, dell'Agenzia delle dogane, del comando provinciale della Guardia di finanza) sarebbero confluiti dal FIP a società (per lo più società a responsabilità limitata a bassa capitalizzazione) riconducibili, direttamente o indirettamente, ai soci Deiulemar;
   inaccettabile, laddove effettivamente sussistente, risulterebbe un collegamento finanziario tra gli artefici di una tale colossale truffa ed un fondo pubblico composto da immobili destinati al perseguimento di fini istituzionali;
   taluni di detti immobili sarebbero attualmente oggetto di provvedimenti di custodia giudiziaria conseguenti proprio il coinvolgimento delle società dove sono confluiti con il fallimento della Deiulemar –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda porre in essere per far luce su eventuali omissioni nei controlli da parte delle autorità amministrative statali allocate negli immobili aventi destinazione istituzionale in relazione alle società coinvolte nel fallimento Deiulemar proprietarie degli stessi immobili;
   quali iniziative, anche normative, intenda assumere affinché le migliaia di persone truffate dai soci di fatto della Deiulemar possano trovare parziale risarcimento nei proventi della gestione e nella vendita dei beni a destinazione istituzionale, già di proprietà del Fip, confluiti nella disponibilità dei soci di fatto della fallita Compagnia di navigazione;
   quali iniziative intenda assumere affinché gli strumenti di salvaguardia dei piccoli risparmiatori che si stanno mettendo a punto possano trovare applicazione per analoghe vicende di collasso finanziario in danno di piccoli risparmiatori come quella della Deiulemar.
(5-07268)

   VACCA, PESCO, BRUGNEROTTO, COLLETTI, DEL GROSSO, DI BATTISTA, SIBILIA, MANLIO DI STEFANO, D'INCÀ, TRIPIEDI, RUOCCO, DE LORENZIS, SPESSOTTO e LIUZZI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 22 novembre 2015 il Consiglio dei ministri si è riunito, su proposta del Presidente Matteo Renzi e del Ministro dell'economia e delle finanze Pietro Carlo Padoan, e ha approvato un decreto legge che contiene alcune norme procedimentali volte a agevolare la tempestiva ed efficace implementazione delle procedure di risoluzione di Cassa di risparmio di Ferrara s.p.a., Banca delle Marche s.p.a., Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società cooperativa e Cassa di risparmio della provincia di Chieti s.p.a. Il provvedimento consente di dare continuità all'attività creditizia — e ai rapporti di lavoro — tutelando pienamente i correntisti;
   il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 22 novembre 2015 ha approvato il provvedimento di avvio della risoluzione della Cassa di risparmio della provincia di Chieti s.p.a. in amministrazione straordinaria, di cui alla deliberazione n. 556/2015 del 21 novembre 2015 della Banca d'Italia (i «provvedimenti di avvio della risoluzione»);
   la Banca d'Italia, con provvedimento del 22 novembre 2015, ha disposto la cessione di tutti i diritti, le attività e le passività costituenti l'azienda bancaria Cassa di Risparmio della provincia di Chieti S.p.a., in amministrazione straordinaria, con sede in Chieti, posta in risoluzione con provvedimento della Banca d'Italia del 21 novembre 2015 — approvata dal Ministro dell'economia e delle finanze con decreto del 22 novembre 2015 – (ente in risoluzione) a favore della Nuova Cassa di Risparmio di Chieti S.p.a., con sede in Roma (ente ponte);
   il Ministero dell'economia e delle finanze, con decreto del 5 settembre 2014, ha disposto, su proposta di Banca d'Italia, lo scioglimento degli organi con funzione di amministrazione e di controllo della la Cassa di Risparmio della provincia Chieti spa con sede legale in Chieti e la sottoposizione della stessa alla procedura di amministrazione straordinaria;
   il commissariamento era avvenuto in seguito a gravi irregolarità nella gestione stessa della banca e, secondo la relazione di Bankitalia, vi sarebbero state ingerenze vietate ed intrecci con personaggi della Fondazione, rischi in materia di antiriciclaggio, «fidi facili» ad amici imprenditori e nomi noti a livello locale, lacune nella gestione di crediti per 109 milioni di euro ad alcuni imprenditori dell'area Chieti-Pescara, e poi ancora 5 milioni di euro concessi a una società riconducibile a un consigliere della banca, la mancata azione di responsabilità verso l'ex dg della Cassa, Francesco Di Tizio, per finire con la storia che avrebbe guidato la banca, non senza suggeritori;
   dalla stampa nazionale e locale si apprende che l'Anas Spa ha aperto il conto nel 2008 nella Cassa di Risparmio di Chieti depositando 280 milioni di euro e, nonostante il commissariamento del 2014, non è stata avviata alcuna iniziativa per salvaguardare l'ingente quantità di fondi depositati nella Cassa di Risparmio di Chieti;
   l'Anas Spa è una società controllata al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   il decreto legge del 22 novembre 2015 del Governo ha, di fatto, salvato il capitale dell'ANAS, che, fino ad allora, è stato fortemente a rischio –:
   per quale motivo l'Anas Spa abbia depositato, e successivamente mantenuto, una somma tanto ingente presso un istituto di credito locale a condizioni svantaggiose rispetto ad altri istituti di credito;
   se il Ministro dell'economia e delle finanze fosse a conoscenza del deposito di 280 milioni di euro dell'Anas Spa presso Cassa di Risparmio di Chieti;
   se il Ministro interrogato intenda accertare eventuali responsabilità e in che modo sia stata maturata la decisione dell'ANAS di aprire il conto ed effettuare il deposito di 280 milioni di euro. (5-07271)

Interrogazione a risposta scritta:

   MARCOLIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni si è assistito ad un intervento del Governo su alcuni istituti bancari che si trovano in gravi difficoltà;
   una simile situazione si sta verificando anche per l'istituto Veneto Banca che, il 19 dicembre 2015 data di convocazione dell'assemblea dei soci, o vedrà l'approvazione dei tre punti all'ordine del giorno trasformazione in società per azioni, aumento di capitale fino a un miliardo di euro e quotazione in borsa, o potrà subire conseguenze dirompenti;
   tale nefasta previsione non sta più solo nelle lettere che il presidente della popolare di Montebelluna, ha inviato ai soci in vista dell'assemblea, ma viene ribadita nella lettera del 9 dicembre che la Banca centrale europea ha inviato al consiglio di amministrazione della popolare di Montebelluna;
   nella missiva la Banca centrale europea ribadisce la preoccupazione per «la riduzione dei coefficienti patrimoniali attribuibile alle perdite finanziarie degli ultimi tre anni», quasi 1,9 miliardi tra dicembre 2012 e settembre 2015. E ripete che su trasformazione in società per azioni, aumento di capitale e quotazione, «l'approvazione di tutti e tre gli elementi da parte dell'assemblea e la tempestiva attuazione del piano sono ritenuti della massima importanza al fine di ripristinare il rispetto dei requisiti patrimoniali secondo le modalità rappresentate dal cda (...) Veneto Banca è a un bivio. Nel caso in cui uno qualsiasi degli elementi del progetto Serenissima non fosse approvato e la banca non rispettasse i suddetti requisiti, si renderebbe necessario adottare idonee misure di vigilanza»;
   in altre parole si prevede il commissariamento dell'istituto in quanto Veneto Banca non avrebbe più il patrimonio necessario per svolgere la sua attività. «In tali circostanze – analizzano i tecnici di Mario Draghi – Veneto Banca potrebbe trovarsi in una situazione di crisi o dissesto, con conseguente sottoposizione del gruppo a provvedimenti da parte delle competenti autorità» –:
   quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, il Ministro interrogato abbia intenzione di porre in essere affinché si possa risolvere in termini positivi la vicenda esposta in premessa, onde evitare che Veneto Banca si venga a trovare in una situazione di crisi o dissesto, con conseguente sottoposizione del gruppo a provvedimenti da parte delle competenti autorità. (4-11508)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:

   VARGIU. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 23 novembre 2014 è stato completato il trasferimento presso la nuova casa circondariale di Uta dei detenuti precedentemente reclusi nel carcere di Buoncammino in Cagliari;
   la struttura carceraria cagliaritana è stata edificata nel colle di Buoncammino, tra il 1887 e il 1897, con una superficie coperta di oltre 15000 metri quadri, in una sede considerata periferica e sicura nella città di allora, in adiacenza ai quartieri militari;
   tale sede periferica, nel successivo sviluppo urbanistico della città di Cagliari, ha acquisito una nuova centralità, oggi incompatibile con la destinazione carceraria, al punto di rappresentare uno dei motivi che ha indotto l'innesco del percorso di attuale dismissione;
   in particolare, l'attuale carcere di Buoncammino occupa una posizione strategica in relazione alle strutture universitarie contigue alla piazza d'Armi e del complesso scientifico e dell'ospedale militare ed è pienamente inserita nel contesto dei percorsi turistico-archeologici dell'Anfiteatro romano, dell'Orto dei Cappuccini, della villa di Tigellio, dell'orto botanico e dei giardini pubblici;
   il carcere è inoltre contiguo agli insediamenti militari dello stesso Colle di Buoncammino, alcuni dei quali sono (o potrebbero essere) in dismissione;
   il carcere occupa una delle posizioni maggiormente panoramiche della città di Cagliari, con affaccio su entrambi i versanti del Golfo, è prossimo allo storico quartiere di Castello ed è contornato dalla passeggiata del Buon Cammino e dal colle di San Lorenzo, con la suggestiva chiesetta Vittorina;
   è dunque del tutto naturale affermare che il carcere di Buoncammino rappresenta un asset strategico del futuro sviluppo turistico ed economico della città di Cagliari, rappresentando un elemento indispensabile della narrazione identitaria che deve costituire l'investimento fondamentale per il futuro della città;
   all'atto del trasferimento della popolazione carceraria, si è registrato il grande interesse della città nei confronti della struttura che, in varie occasioni, è stata visitata da migliaia di cagliaritani che hanno certificato quanto lo stabile sia considerato un elemento imprescindibile della storia recente e dell'anima profonda della città;
   successivamente all'abbandono della originaria destinazione di uso carceraria, è iniziato a Cagliari un intenso dibattito sulla destinazione futura della struttura, in coerenza con le esigenze della memoria, ma anche dello sviluppo economico futuro della città;
   mentre tale dibattito è in corso, i giornali locali hanno pubblicato notizie sull'utilizzo del bene da parte dell'Agenzia del demanio che ne detiene l'uso, tali da precludere qualsiasi disponibilità per finalità di interesse generale;
   in particolare, il quotidiano locale l'Unione Sarda, in data 29 novembre 2015, riferisce che la stessa Agenzia del demanio avrebbe trasferito nella sede del vecchio carcere gli uffici del DAP (dipartimento dell'amministrazione penitenziaria), dell'UEPE (ufficio per l'esecuzione penale esterna), gli archivi della corte d'appello e della prefettura e la sede della Commissione per l'immigrazione;
   l'ordine del giorno n. 52 del consiglio comunale di Cagliari, approvato in data 4 novembre 2014, paventerebbe invece il possibile riuso del carcere di Buoncammino come sede di detenzione dei minori attualmente ospitati presso l'Istituto di pena minorile di Quartucciu;
   tali trasferimenti, che verrebbero definiti «temporanei» dalla stessa Agenzia del demanio, avrebbero comportato la disdetta dei contratti di affitto degli stabili che ospitavano le strutture statali trasferite;
   la disdetta dei contratti d'affitto comporterebbe significativi risparmi (nell'ordine di qualche centinaia di migliaia di euro all'anno) per la stessa Agenzia del demanio, andando a configurare situazioni che, sia sotto il profilo economico, che sotto quello logistico, rischiano di essere difficilmente reversibili;
   sembra dunque sostanzialmente definito un percorso statale di riutilizzo del bene, che avrebbe escluso da qualsiasi concertazione delle scelte sia la regione Autonoma della Sardegna, che il comune di Cagliari e che non avrebbe più alcuna caratteristica di «temporaneità»;
   mentre la precedente attività carceraria appare sicuramente ascrivibile alle competenze statali che giustificavano la detenzione del bene, non altrettanto si può dire per l'eventuale occupazione della struttura da parte di uffici decentrati dello Stato, che possono sicuramente essere allogati in strutture urbanistiche di pregio assolutamente differente;
   in particolare, tale «ripensamento» della destinazione del bene, sembra avvenire in spregio all'articolo 14, del titolo terzo dello statuto regionale sardo (avente una valenza costituzionale) che prevede la acquisizione al patrimonio regionale di tutti i beni dismessi, di cui non sia più dimostrabile la valenza strategica per lo Stato;
   tale eventuale destinazione dell'ex carcere di Buoncammino ad uso di uffici statali offenderebbe l'intera città di Cagliari, sottraendole una opportunità di sviluppo, in uno specifico contesto urbano
che appare invece strategico per l'economia e l'identità del capoluogo della Sardegna;
   il danno di immagine per lo Stato, derivante dal riutilizzo dell'ex carcere in modo non coerente rispetto alle aspettative della cittadinanza, sarebbe imponente e tale da rendere assolutamente negativo il saldo con i modesti risparmi economici eventualmente ottenuti –:
   in quale modo il comune di Cagliari e la regione autonoma della Sardegna abbiano interloquito con il Ministero della giustizia per esporre le ragioni giuridiche e di opportunità che rendono indispensabile la riacquisizione al patrimonio regionale dell'ex carcere di Buoncammino in Cagliari;
   quali progetti di riutilizzo abbiano prospettato il comune di Cagliari e la regione autonoma della Sardegna per supportare l'eventuale richiesta di riacquisizione della struttura carceraria al patrimonio regionale;
   se, in quali tempi e con quali, eventuali condizioni, il Ministero di giustizia intenda ottemperare alla richiesta della regione autonoma della Sardegna di trasferimento al patrimonio regionale dell'ex casa circondariale di Buoncammino, in Cagliari. (4-11511)

   FRATOIANNI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si è appreso che l'associazione «A Buon Diritto», insieme ad un detenuto di nome Rachid Assarag, stanno conducendo una battaglia per la tutela dei diritti dei carcerati. La battaglia si basa sulla registrazione di frasi dette da appartenenti al corpo di polizia penitenziaria, all'interno delle carceri, direttamente al detenuto Assarag;
   come si è potuto leggere, spesso uomini della polizia penitenziaria di diverse carceri italiane in cui Assarag è stato detenuto, esprimono pareri sulle modalità di rieducazione dei detenuti che non rispondono per nulla alla Costituzione e alle leggi che disciplinano le pene e la detenzione. Fra le frasi riportate c’è quella di un agente penitenziario che avrebbe detto che con i detenuti «ci vogliono il bastone e la carota», e che «così si ottengono risultati ottimi»;
   Assarag e «A buon diritto» denunciano che gli abusi sui detenuti sono una atroce prassi abituale nei penitenziari italiani. Per questo da anni Rachid Assarag registra e fa esposti, al momento senza aver ottenuto alcun risultato. Assarag, inoltre, da un mese è in sciopero della fame e ha perso 18 chili –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa;
   se non ritenga che esistano i presupposti per avviare una ispezione accurata per appurare i fatti e assumere i provvedimenti conseguenti. (4-11526)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:

   TERZONI, AGOSTINELLI, CECCONI, DAGA, DE ROSA, MANNINO, ZOLEZZI, BUSTO, MICILLO, VIGNAROLI, SPESSOTTO, DE LORENZIS, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI e CARINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   sono state pubblicate alcune anticipazioni del rapporto annuale curato da Legambiente per la Campagna Pendolaria che verrà pubblicato a gennaio 2016;
   queste anticipazioni riguardano l'analisi della situazione di maggiore disagio sulle linee ferroviarie italiane;
   a livello nazionale, dal rapporto emerge un'Italia sempre più divisa in due, tra un'alta velocità davvero veloce e un servizio locale fatto di pochi treni, troppo vecchi ma sempre più costosi, che spingono i pendolari a ricorrere all'auto privata;
   nel report si legge come «Le ragioni della situazione che vivono i pendolari sono chiare. I treni sono troppo vecchi. In Italia attualmente sono circa 3.300 i treni in servizio nelle regioni con convogli di età media pari a 18,6 anni, con differenze però rilevanti da regione a regione. I treni sono pochi. Dal 2010 a oggi, complessivamente, si possono stimare tagli pari al 6,5 per cento nel servizio ferroviario regionale proprio quando nel momento di crisi è aumentata la domanda di mobilità alternativa più economica rispetto all'auto, anche se con differenze tra le diverse regioni. Tra il 2010 e il 2015 il taglio ai servizi ferroviari è stato pari al 26 per cento in Calabria, 19 per cento in Basilicata, 15 per cento in Campania, 12 per cento in Sicilia. Mentre il record di aumento del costo dei biglietti è stato in Piemonte con +47 per cento, mentre è stato del 41 per cento in Liguria e del 25 per cento in Abruzzo e Umbria, a fronte di un servizio che non ha avuto alcun miglioramento. Manca totalmente una regia nazionale rispetto a un tema che non può essere delegato alle regioni senza controlli. Anche perché da Berlusconi a Renzi, chi è stato al Governo in questi anni ha una forte responsabilità rispetto alla situazione che vivono i pendolari. Rispetto al 2009 le risorse da parte dello Stato per il trasporto pubblico su ferro e su gomma sono diminuite del 25 per cento con la conseguenza che le regioni, a cui sono state trasferite nel 2001 le competenze sui treni pendolari, hanno effettuato in larga parte dei casi tagli al servizio e aumento delle tariffe»;
   del rapporto sono state diffuse anche alcune anticipazioni con la classifica delle peggiori dieci linee ferroviaria di Italia: il collegamento Orte-Fabriano, che rappresenta una grossa fetta del collegamento tra Roma e Ancona, figura al nono posto;
   la direttrice Orte-Falconara è una delle poche linee trasversali della rete ferroviaria italiana, l'unica nel Centro Italia che, attraversando l'Appennino centrale lungo un itinerario che va da est ad ovest, collega la linea Roma-Firenze con la direttrice adriatica rispettivamente in corrispondenza di Orte e di Falconara Marittima e intercetta il collegamento umbro verso Perugia, che prosegue verso la Toscana, nella stazione di Foligno;
   oltre ad essere una linea ad alta frequentazione per il trasporto passeggeri è anche una via strategica per il traffico delle merci che arrivano nel porto di Ancona;
   nel rapporto di Legambiente riguardo a questa linea si legge che: «Su questa linea i pendolari lamentano da anni i continui disagi a causa di guasti dei treni, quelli agli scambi prima della stazione di Orte e poi di Terni ed i ritardi accumulati spesso per i problemi alla linea direttissima Firenze-Roma che si ripercuotono in Umbria. La linea di 140 chilometri mostra le maggiori criticità durante l'inverno, per la pioggia, il gelo ed in alcuni casi a causa delle foglie che creano problemi di aderenza delle ruote del locomotore sulla rotaia. Ma ciò è impensabile se immaginiamo la potenza che hanno oggi i locomotori in servizio. Tutto questo scatena una serie di ritardi in particolare sui treni diretti verso Roma durante la mattina (che viaggiano a una media di velocità di 70 km/h), e di conseguenza pieni di pendolari, con i gravissimi disagi che si possono immaginare per migliaia di persone. Ad esempio il RV 2477, primo treno verso la Capitale, vede la massiccia presenza di pendolari tra Terni e Narni, ma quando il transito avviene in ritardo, i viaggiatori si trovano con il convoglio affollato ed in condizioni di viaggio critiche. Notevoli problemi sono creati dall'inadeguatezza della infrastruttura ferroviaria in Umbria ed in particolare di questa linea che in alcuni tratti è a binario unico. I lavori di raddoppio sono in ritardo cronico, ormai da anni, specialmente nel tratto Spoleto/Campello del Clitunno, mentre dal punto di vista del materiale rotabile i vagoni risultano obsoleti, creando ritardi assurdi e tempi di percorrenza lunghissimi. Bisogna
poi procedere col raddoppio della Foligno-Terontola e velocizzare così gli attuali treni regionali. Questi interventi renderanno possibile un collegamento, tramite interscambio a Perugia, Terontola, Ponte San Giovanni, Foligno, Terni e Orte, con i servizi che si svolgono sulla altre linee ferroviarie (UmbriaMobilità inclusa) per raggiungere Umbertide, Città di Castello, Marsciano, Todi e altre città dell'Umbria. Infine va segnalata una serie di disagi alla stazione di Spoleto che è una delle poche su questa linea con il marciapiede tra il secondo e il terzo binario non dotato di pensilina, con gli annunci sonori spesso non sono funzionanti e senza parcheggio di scambio per chi raggiunge la stazione in auto»;
   l'inizio dei lavori lungo la tratta in alcuni casi risale al 2000 e gli stessi si protraggono tra una sospensione e l'altra a causa delle difficoltà finanziarie delle ditte che si sono succedute nel tempo. Dal 2011 esiste un progetto preliminare approvato da CIPE per il potenziamento di tale direttrice che, si legge dal sito di Rete ferroviaria italiana, passa attraverso l'aumento della capacità di trasporto, la riduzione dei tempi di percorrenza e l'eliminazione delle interferenze con la viabilità stradale, ha l'obiettivo di consentire il rafforzamento dell'offerta ferroviaria. Tutto ciò affinché il trasporto su rotaia possa diventare una valida alternativa al trasporto su gomma, con i conseguenti benefici sia per l'utente finale che per l'ambiente;
   ad essere in grave ritardo sono soprattutto i lavori di raddoppio della tratta Spoleto-Campello, il raddoppio della tratta Foligno-Fabriano e il raddoppio della tratta PM228-Castelplanio –:
   se il Ministro interrogato intenda fornire ogni elemento utile circa lo stato di avanzamento dei cantieri dei lavori dei diversi lotti che interessano la tratta ferroviaria Falconara-Orte;
   se sia in grado di ipotizzare un cronoprogramma rispetto agli interventi che ancora devono essere avviati sulla stessa tratta;
   quali siano le iniziative di competenza che il Ministro intende mettere in atto, anche in accordo con le regioni interessate, per ovviare ai continui disagi che i viaggiatori della tratta sono costretti a subire con cadenza quasi quotidiana. (3-01907)

Interrogazioni a risposta in Commissione:

   SPESSOTTO e DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con nota protocollo n. 126434 del 1o dicembre 2015, l'Ente nazionale per l'aviazione civile – ENAC ha comunicato, a pochi giorni dalla scadenza dei termini per la presentazione delle osservazioni della fase pubblica, il ritiro dell'istanza per lo svolgimento della procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) di tipo speciale, ai sensi degli articoli 165 e 183 del decreto legislativo n. 163 del 2006, presentata in data 6 novembre 2015 e relativa al piano di sviluppo dell'aeroporto «G.B. Pastine» di Ciampino (Roma);
   con la medesima nota, ENAC ha altresì comunicato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare l'intenzione di presentare, in qualità di proponente, «una nuova richiesta di avvio della procedura di VIA secondo la modalità ordinaria», a seguito di «alcune recenti variazioni normative»;
   diversamente da tutti i masterplan aeroportuali presentati fino ad oggi, la procedura di VIA avanzata da ENAC per l'aeroporto di Ciampino è stata proposta in base alla legge 21 dicembre 2001, n. 443 (cosiddetta legge obiettivo), probabilmente per giungere ad una più rapida approvazione della stessa procedura, ma riducendo in questo modo a soli 30 giorni il termine concesso a soggetti terzi, ad esempio i cittadini e le istituzioni locali, per presentare le proprie osservazioni;
   tra gli aeroporti interessati dall'articolo 71 della legge n. 27 del 2012, che classificava come opere strategiche gli interventi ricompresi nei piani di sviluppo degli aeroporti gestiti dalle società che hanno sottoscritto contratti di programma in deroga, articolo poi abrogato dal decreto-legge n. 185 del 2015, rientrava anche l'aeroporto di Roma Ciampino, per il quale l'ENAC aveva chiesto, in data 6 novembre 2015, l'attivazione della procedura di valutazione di impatto ambientale di tipo speciale;
   nonostante l'assenza di una valutazione di impatto ambientale approvata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per l'Aeroporto di Ciampino, ENAC avrebbe comunque autorizzato il gestore aeroportuale a procedere, in questi ultimi quindici anni, ad una serie di incrementi del traffico aereo presso lo scalo romano – oggi attestato ad oltre 5 milioni di passeggeri l'anno contro il milione del 2001 – anche mediante la realizzazione di diverse opere infrastrutturali, che hanno riconfigurato l'aeroporto in maniera determinante;
   in particolare, l'aeroporto di «G. B. Pastine» ha conosciuto con il passare degli anni un continuo ed esponenziale aumento del traffico aereo, senza che gli ampliamenti infrastrutturali, conseguenti allo sviluppo dello scalo aeroportuale, venissero sottoposti ad adeguata valutazione ambientale, in contrasto con la normativa nazionale e comunitaria in materia di VIA e di VAS per i progetti pubblici e privati e con quella sul contenimento dell'inquinamento acustico;
   tale situazione di irregolarità è stata peraltro denunciata anche dal comitato per la riduzione dell'impatto ambientale dell'Aeroporto di Ciampino – CRIAAC che ha anche presentato un esposto alla procura di Velletri contro l'attività del Pastine ritenuta al di fuori degli standard di legge;
   inoltre, come confermato anche dalla direzione generale ambiente della Commissione europea, per le modifiche progettuali rientranti nell'ambito di applicazione della direttiva 2011/92/UE sarebbe stata riscontrata nel caso dell'aeroporto di Ciampino una potenziale violazione della suddetta direttiva, dal momento che tali modifiche non sembrano essere state sottoposte a una procedura di screening di valutazione di impatto ambientale;
   si rileva altresì come sia tuttora aperta contro l'Italia una procedura di indagine comunitaria EU Pilot numero 6876/14/ENVI riguardante proprio le opere di sviluppo infrastrutturale dell'aeroporto di Ciampino, realizzate a partire dal 2002;
   come già rilevato in precedenza nell'interrogazione n. 5-06889 presentata dall'interrogante, anche nel caso dell'aeroporto di A. Canova di Treviso, come accaduto ora per lo scalo di Ciampino, ENAC ha ritirato l'istanza di VIA già presentata per l'aeroporto, per poi procedere ad ampliamenti delle strutture di volo senza la necessaria valutazione di impatto ambientale;
   tra gli interventi previsti nel masterplan dell'aeroporto di Roma Ciampino, approvato tecnicamente dall'ENAC nel mese di ottobre 2015, desta particolare preoccupazione la realizzazione di una nuova pista di rullaggio per gli aerei, nei pressi della vecchia via di rullaggio dell'antica pista di Ciampino e a ridosso della città, a soli 35 metri di distanza dai palazzi;
   oltre alla pista di rullaggio, tra gli interventi di potenziamento dell'aeroscalo descritti da Enac come esenti da Via e riportati sulle mappe allegate al masterplan, rientrerebbero anche la realizzazione di una nuova recinzione e strada perimetrale e di una nuova viabilità petrolieri, a ristrutturazione e separazione dei sotto servizi, la manutenzione e il ripristino dei fabbricati ex AMI, oltre all'adeguamento normativo al regolamento ENAC/EASA del runway strip lato est della pista di volo RWY 15/33;
   è evidente ad avviso degli interroganti come questi interventi siano da considerarsi
potenzialmente responsabili di un inquinamento acustico e ambientale nella zona circostante che va ben oltre i limiti di legge e che dovranno pertanto essere sottoposti alla normale procedura di valutazione ambientale, in conformità con la normative vigente in materia di VIA/VAS –:
   alla luce delle criticità evidenziate in premessa, se non ritenga opportuno respingere la proposta di masterplan dell'aeroporto G.B. Pastine di Ciampino presentato e approvato da ENAC nella sua veste di autorità nazionale e procedere con la richiesta di un nuova proposta di piano di sviluppo aeroportuale per lo scalo romano, che garantisca il rispetto delle leggi nazionali e comunitarie in materia;
   quali urgenti iniziative il Ministro interrogato intenda assumere nei confronti di ENAC per quella che gli interroganti giudicano una mancata corretta applicazione della «direttiva VIA» per l'aeroporto «G. B. Pastine» di Ciampino e con quali modalità intenda procedere al fine di escludere la possibilità che futuri interventi di potenziamento dello scalo, come quelli descritti in premessa, non vengano sottoposti alla normale procedura di VIA, secondo le normative nazionali e comunitarie vigenti in materia. (5-07266)

   SPESSOTTO e DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 178 del 2012, recante «Riorganizzazione dell'Associazione italiana della Croce Rossa a norma dell'articolo 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro (10G0209)», ha avuto inizio il graduale processo di privatizzazione dell'ente pubblico Croce rossa italiana;
   tale processo, che se completerà il suo iter porterà alla completa privatizzazione dell'ente CRI, ha apportato alcuni rilevanti modifiche, non prive di criticità, alla normativa amministrativa tecnica relativa all'immatricolazione dei veicoli targati CRI, al rilascio delle relative patenti, e alla conduzione e gestione degli stessi veicoli;
   nello specifico, i mezzi dell'ente CRI sono stati ceduti in comodato d'uso gratuito ai comitati locali e provinciali della Croce rossa, che dal 1o gennaio 2014 hanno assunto natura giuridica privatistica di interesse pubblico, mentre i nuovi veicoli, acquistati dalle associazioni di Croce rossa italiana, risultano immatricolati, comunque, nel registro della CRI pubblica presso il comitato centrale, con targa ministeriale;
   conseguentemente, le associazioni di natura privatistica CRI, una volta entrate in possesso dei mezzi di trasporto, possono poi immatricolarli nei registri della motorizzazione dell'ente pubblico CRI e godere pertanto delle agevolazioni derivanti da tale iscrizione, come l'esonero dal pagamento del bollo per l'immatricolazione di ogni mezzo e per la trascrizione al pubblico registro automobilistico, oltre alle agevolazioni sul costo del carburante e su quello del pedaggio autostradale;
   in caso di necessità da parte dell'ente pubblico CRI di ricorrere all'utilizzo dei mezzi già ceduti in comodato d'uso gratuito dal pubblico alle associazioni private, i comitati regionali, che non possiedono più mezzi di soccorso, sono tenuti perfino a corrispondere un canone per l'utilizzo dei suddetti mezzi da chiedersi in «prestito» a un comitato privatizzato, nonostante questi mezzi risultino targati ed immatricolati nei registri pubblici CRI;
   come noto, la patente di servizio «CRI» non è soggetta alle disposizioni del codice della strada in materia di abilitazione alla guida, per cui gli autisti delle associazioni private, utilizzando una patente ministeriale e non la propria, non incorrono nella perdita, ad esempio, dei «punti» in caso di infrazione, o nella sospensione/revoca della patente;
   inoltre, dal 1o gennaio 2015, i dipendenti dell'ente pubblico CRI, in possesso di regolare patente di servizio modello 138/05, non risultano più autorizzati ad utilizzare i mezzi di trasporto di proprietà dell'associazione privata CRI, nonostante questi ultimi risultino targati ed immatricolati presso il registro pubblico CRI –:
   se, alla luce di quanto sopra premesso, possa ritenersi conforme alle norme in materia di sicurezza e circolazione stradale la possibilità per i comitati locali e provinciali CRI, una volta acquistato o ricevuto in donazione dall'ente pubblico un mezzo di trasporto, di immatricolare i suddetti mezzi nei registri della motorizzazione dell'ente pubblico CRI e beneficiare pertanto delle agevolazioni derivanti da tale status, stante la loro natura privatistica di associazione;
   sulla base di quali presupposti si giustifichi l'utilizzo dei veicoli recanti targa CRI da parte dei citati Comitati aventi natura giuridica di diritto privato e se non ritenga altresì sussistente l'obbligo per i suddetti comitati di procedere con la conseguente reimmatricolazione con targa civile italiana dei mezzi CRI, assoggettandoli all'ordinario regime fiscale per i predetti veicoli;
   se il Governo possa illustrare i motivi che sottendono alla sopravvenuta mancata autorizzazione per i dipendenti dell'ente pubblico CRI, in possesso di regolare patente di servizio modello 138/05, di utilizzare i numerosi mezzi ora di «proprietà» dei comitati privati CRI, cosa che costringe i suddetti dipendenti a essere privi degli strumenti per lo svolgimento dell'attività istituzionale. (5-07267)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:

   PREZIOSI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   le cronache dei principali quotidiani riportano la notizia di una serie di intimidazioni effettuate ai danni delle sedi Caritas in dieci diocesi del nord Italia, come reazione all'impegno per l'accoglienza e integrazione che la Caritas declina quotidianamente;
   sagome tricolori di morti e manifesti funebri contro lo «ius soli» che condannano «il favoreggiamento di un'invasione pianificata di orde di immigrati extracomunitari», sono stati esposti dagli estremisti di Veneto Fronte Skinheads;
   l'azione intimidatoria ha una matrice inequivocabile ed è stata condotta contro le sedi della Caritas diocesane di Como, Brescia, Crema, Lodi, Reggio Emilia-Guastalla, Piacenza-Bobbio, Trento, Mestre, Vicenza e Treviso;
   la rivendicazione è stata pubblicata sul sito del gruppo Veneto Fronte Skinheads in un comunicato intitolato «Guerra ai nemici della nostra terra;
   il comunicato di rivendicazione è inquietante per la terminologia usata e per i riferimenti all'impegno della Caritas e necessita ad avviso dell'interrogante di un'attenzione adeguata dagli organi inquirenti e dalle istituzioni preposte alla sicurezza ed alla tutela dell'ordine pubblico –:
   se il Ministro sia a conoscenza di tali episodi e se intenda adottare ogni iniziativa di competenza per contrastare inquietanti manifestazioni d'odio, come quelle condotte dall'associazione di estrema destra di cui in premessa, nonché per assicurare la piena sicurezza delle sedi Caritas e di chi in esse vi opera e ad esse si rivolge. (3-01908)

Interrogazioni a risposta scritta:

   MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 16 dicembre 2015 era in programma l'incontro di Tim Cup Napoli-Hellas Verona, partita valevole per l'accesso ai quarti di finale della competizione;
   ai tifosi ospiti, ai quali inizialmente era stata vietata la trasferta dall'Osservatorio del Viminale, era stato poi comunicato il via libera alla presenza sugli spalti dello stadio «San Paolo» soltanto la sera prima dell'incontro, con pesanti ripercussioni sull'organizzazione del viaggio, tanto che dei numerosissimi sostenitori che avrebbero dovuto assistere all'incontro, nel capoluogo campano, ne sono arrivati soltanto meno di 150, peraltro con mezzi propri, vista l'impossibilità forzata di acquistare biglietti aerei o ferroviari; i sostenitori dell'Hellas Verona, spesso e volentieri nel mirino della stampa nazionale, in tempi recenti non hanno mai creato situazioni tali da mettere a rischio l'ordine pubblico e che anzi, in parecchie occasioni sono stati vittime di episodi di violenza senza che i media accendessero i riflettori sull'accaduto –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e per quale motivo l'Osservatorio del Viminale abbia tenuto questo atteggiamento ad avviso dell'interrogante ondivago;
   se il Ministro sia a conoscenza dei motivi che inizialmente avevano spinto l'Osservatorio a vietare la trasferta ai sostenitori veronesi ed, eventualmente, sia in grado di esporre le motivazioni;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza del motivo per il quale è stato impedito ai sostenitori dell'Hellas Verona di assistere al primo tempo dell'incontro;
   quali eventuali iniziative intenda intraprendere per evitare che in futuro, e non solo alla tifoseria del Verona, venga riservato un simile trattamento. (4-11512)

   PAGLIA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dal 17 febbraio 2014 Stemi Logistica Soc.Coop. acquisisce l'appalto per la movimentazione merci all'interno del magazzino Artoni, sito in Cesena, via Rondani 450;
   Stemi subentrava a Futurlog, prendendo in carico i 32 lavoratori impiegati nel cantiere;
   nei successivi mesi del 2014 si instauravano relazioni industriali problematiche, a seguito della decisione di Stemi Logistica di dichiarare aperta una crisi, con conseguente alternativa tra cassa integrazione e riduzione delle ore lavorate, senza che i lavoratori riconoscessero l'effettivo calo dei carichi di lavoro;
   a partire da novembre 2014, la situazione si aggravava, a seguito della denuncia di alcuni lavoratori iscritti al sindacato Adl Cobas di essere discriminati nell'attribuzione di ore di lavoro, e dell'introduzione di una nuova merce da movimentare, gli pneumatici, senza che questo comportasse l'introduzione di diversi e adeguati ritmi di lavoro o di attrezzature apposite, come un rullo trasportatore;
   la stessa Asl di Cesena, intervenuta nel cantiere il 4 dicembre 2014, rilevava l'insalubrità delle modalità di movimentazione pneumatici adottate da Stemi Logistica, senza che tuttavia le prescrizioni indicate venissero mai pienamente recepite;
   il 14 luglio 2015, visto il perdurare di condizioni di lavoro ritenute dannose per la salute e non rispettose dei contratti, i lavoratori hanno proclamato uno sciopero;
   il 5 agosto 2015 Stemi Soc.Coop. annunciò la revoca dell'appalto da parte di Artoni, con conseguente licenziamento dei 28 lavoratori rimasti nel cantiere di Cesena;
   segue una lunga fase di lotte organizzate dai lavoratori licenziati con il supporto del sindacato Adl Cobas, finalizzate al reintegro nel posto di lavoro, dato che Artoni non ha dismesso l'attività del cantiere di Cesena, ma si è invece rivolta ad agenzie di lavoro interinale;
   si arriva ai presidi con blocco del cantiere nelle giornate del 26 novembre e del 4 dicembre 2015, dopo che incontri con la proprietà, tenuti alla presenza del prefetto, non aveva i dato risultati soddisfacenti, trovando un limite nella proposta di Artoni di reintegrare dai 3 ai 5 lavoratori tramite colloquio individuale, riconoscendo parrebbe, per quanto consta all'interrogante, agli altri una buona uscita;
   in tale situazione di tensione crescente, si devono registrare alcuni fatti gravi, ovvero l'aggressione subita da due partecipanti al blocco del 6 novembre 2015 e, soprattutto, lo scontro fra uno dei lavoratori presenti al presidio del 4 dicembre 2015 e un dirigente della Stemi Logistica, conclusosi con la traduzione in ospedale del lavoratore e con l'accusa di aggressione da parte del dirigente;
   a quanto consta all'interrogante, testimonianze audiovisive dimostrerebbero che ad iniziare la colluttazione non sarebbe stato il lavoratore;
   a seguito di questi episodi, ma senza relazione con essi, bensì in richiamo a precedenti momenti di lotta presso il cantiere Artoni di Cesena, in data 30 novembre 2015 la questura di Forlì-Cesena notificava alcuni fogli di via ad altrettanti partecipanti non residenti ai picchetti;
   questo accadeva nonostante il tavolo attivato in prefettura riconosca la vertenza in essere e le sue modalità legittime, pur nella durezza della lotta sindacale, esasperata dalla condizione di disoccupazione di 28 lavoratori impiegati da 13 anni nel cantiere;
   i fogli di via rischiano peraltro, a giudizio dell'interrogante, di non avere altro effetto se non l'ulteriore esasperazione di una lotta fino a qui condotta in termini serrati ma pacifici –:
   se non ritenga di dover compiere le verifiche di competenza circa i provvedimenti di divieto di ritorno nel comune di cui in premessa, emessi dalla questura di Forlì-Cesena e promuovendo, piuttosto, un più forte ruolo di mediazione della locale prefettura, finalizzato alla conclusione positiva di una vertenza sindacale protrattasi ormai da oltre 9 mesi. (4-11518)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:

   CHIMIENTI, VACCA, SIMONE VALENTE, MARZANA, LUIGI GALLO, D'UVA, BRESCIA e DI BENEDETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge 107 del 13 luglio 2015 prevede al comma 181, lettera b) dell'articolo 1, tra le diverse deleghe, quella relativa al «Riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria»;
   come sancito al comma 114 dell'articolo 1 della riforma della scuola «il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, bandisce, entro il 1o dicembre 2015, un concorso per titoli ed esami per l'assunzione a tempo indeterminato di personale docente per le istituzioni scolastiche ed educative statali ai sensi dell'articolo 400 del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, numero 297, come modificato dal comma 113 del suddetto articolo, per la copertura, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, di tutti i posti vacanti e disponibili nell'organico dell'autonomia, nonché per i posti che si rendano tali nel triennio»;
   il concorso a cattedra sarà, quindi, rivolto a tutti i docenti abilitati, inclusi coloro che sono in possesso del diploma magistrale entro il 2001/02 e, secondo quanto più volte riferito dal Ministro Giannini e dal Sottosegretario Faraone, i posti messi a bando saranno 63.700 suddivisi tra scuola dell'infanzia, scuola primaria, scuola secondaria di I grado e di II grado e sostegno;
   nonostante le diverse rassicurazioni del Ministro Giannini sulla emanazione del bando entro il 1o dicembre 2015, tra cui quella rilasciata durante la visita a «Job&Orienta» a Verona in cui ha asserito che: «il 1o dicembre è martedì prossimo, se non sarà il 1o sarà il 2, ma siamo in dirittura d'arrivo», ad oggi il bando del concorso non è ancora stato pubblicato;
   il motivo dello slittamento del concorso a cattedra viene ricondotto al farraginoso quanto affrettato iter dello schema di regolamento recante «Disposizioni per la razionalizzazione ed accorpamento delle classi di concorso a cattedre e a posti di insegnamento» ai sensi dell'articolo 64, comma 4, lettera a), del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133;
   nel parere allegato allo schema di regolamento sull'accorpamento delle classi di concorso, il Consiglio di Stato ha richiesto ulteriori spiegazioni in merito all'iter logico che è stato alla base della redazione della succitata riforma nonché ulteriori rassicurazioni in merito alla mancanza di conseguenze negative per il personale già abilitato secondo le vecchie classi di concorso;
   lo schema di regolamento succitato, approvato a giudizio degli interroganti senza i necessari approfondimenti dalle Commissioni cultura di Camera e Senato, risulta contenere diverse imprecisioni e incongruenze che riguardano gli accorpamenti di alcune classi, i titoli di accesso e i crediti riconosciuti;
   successivamente al concorso a cattedra del 2016, secondo quanto contenuto nel testo della succitata delega inserita nella legge 107 del 2015 l'accesso alla professione di docente non avverrà più attraverso i percorsi abilitanti tuttora vigenti bensì sostenendo nuove tipologie di concorsi a cui seguiranno periodi di tirocinio a scuola di durata triennale;
   secondo quanto riportato a pagina 31 del dossier «La Buona Scuola», consultabile on-line la platea complessiva di docenti che potranno partecipare al concorso a cattedra si aggira intorno alle 196.400 unità, numero comprensivo di tutti i docenti in possesso di abilitazione e di tutti i laureati entro l'anno accademico 2001/2002 che hanno diritto a partecipare al primo concorso utile dopo l'approvazione della legge n. 124 del 1999;
   le immissioni in ruolo del 2016/17 riguarderanno prevalentemente i docenti iscritti nelle graduatorie ad esaurimento ancora in attesa di assunzione, ovvero tutti coloro che non hanno prodotto domanda o che, come nel caso del personale della scuola dell'infanzia, sono stati esclusi dalla fase C del piano assunzionale recentemente conclusosi;
   i posti messi a bando nel concorso del 2016, che produrrà una graduatoria valida per gli anni scolastici 2016/2018, saranno 63.700 a fronte di una platea di circa 200 mila partecipanti;
   a seguito dell'assunzione dei vincitori del concorso del 2016, resteranno iscritti nella seconda fascia delle graduatorie d'istituto circa 140mila docenti abilitati, selezionati e formati tramite i percorsi TFA e PAS e in possesso di numerosi anni di servizio nella scuola, per i quali ad oggi non è stato previsto dal Governo alcun periodo transitorio intercorrente tra il concorso del 2016 e l'entrata in vigore del nuovo sistema di formazione e reclutamento docenti;

   recentemente il Ministro Giannini ha pubblicamente dichiarato che nei prossimi mesi verrà attivato un terzo ciclo di Tirocinio formativo attivo;
   i docenti che si abiliteranno a seguito del terzo ciclo di Tirocinio formativo attivo non potranno neppure partecipare al concorso a cattedra del 2016 e resteranno esclusi da qualsivoglia possibilità di immissione in ruolo e di spendibilità di un titolo conseguito a seguito di una rigorosa procedura selettiva;
   stando alle norme attuali e al contenuto della legge 107 del 2005, i docenti iscritti nella seconda fascia delle graduatorie d'istituto che non risulteranno vincitori del concorso 2016 e che hanno speso una media di 3mila euro per abilitarsi, seguendo percorsi impegnativi fatti di esami e tirocinio, dovranno ripartire da zero con i nuovi concorsi insieme ai neolaureati, affrontando un ulteriore triennio di tirocinio a scuola –:
   quali siano i numeri precisi dei docenti delle graduatorie ad esaurimento ancora in attesa di immissione in ruolo, in che tempi e in che modalità si procederà alla loro assunzione;
   se il Ministro interrogato abbia stabilito un'imminente data da rispettare per l'emanazione del bando per il concorso a cattedra, già ad oggi notevolmente fuori tempo massimo stabilito per legge e fissato per il 1o dicembre 2015;
   quali urgenti e necessarie iniziative intenda intraprendere a tutela dei circa 140 mila docenti precari che resteranno esclusi dalle assunzioni a seguito del concorso a cattedra di cui in premessa;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per prevedere una fase transitoria nel periodo intercorrente tra il concorso 2016 e l'entrata in vigore del nuovo sistema di formazione e reclutamento dei docenti, al fine di tutelare i docenti in possesso di abilitazione garantendo loro nuove procedure concorsuali riservate o nuove modalità di immissione in ruolo e di valorizzare il loro titolo abilitante;
   in quali tempi e con quali prospettive per i futuri abilitati verrà emanato il bando di concorso per il III ciclo di tirocinio formativo attivo. (5-07263)

   CHIMIENTI, DELLA VALLE, CASTELLI, VACCA, MARZANA, DI BENEDETTO, D'UVA, LUIGI GALLO, BRESCIA e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'istituto di istruzione superiore «Paolo Boselli» di Torino, che ospita più di 1700 allievi, è stato oggetto di diversi articoli da parte dei quotidiani piemontesi già dal mese di febbraio 2015, quando la scuola è stata occupata dagli studenti per manifestare contro alcune gravi mancanze dell'istituto;
   in quella circostanza gli studenti, dopo un muro contro muro con il dirigente scolastico durato mesi, hanno manifestato contro le strutture fatiscenti, la mancanza di beni primari come sapone e carta igienica nei bagni e, soprattutto, contro i corsi di italiano che, stando al piano dell'offerta formativa, sarebbero dovuti iniziare a settembre ma che in realtà sono partiti solo nel secondo semestre;
   le condizioni fatiscenti dell'istituto Boselli sono salite agli onori della cronaca sia a causa dei soffitti delle aule, in particolare quello della palestra, a serio rischio di crollo, sia per l'ascensore ormai fermo dagli inizi di novembre 2015 e fondamentale per portare gli alunni diversamente abili nelle rispettive aule;
   è del 17 dicembre 2015 la notizia, riportata dall'edizione piemontese del quotidiano La Stampa, per cui in alcune classi dell'istituto di istruzione superiore «Boselli» non siano mai partite le lezioni di fisica, chimica, matematica, inglese e spagnolo a causa della mancanza di ben 40 insegnanti;
   la suddetta situazione obbliga gli studenti ad arrivare agli scrutini del primo quadrimestre con un «non classificato» in pagella, in quanto i docenti necessari allo svolgimento delle lezioni non sono mai stati nominati;
   i docenti mancanti, che durante questo anno scolastico avrebbero anche dovuto portare una classe alla maturità, non sono quelli del potenziamento coperto dalle assunzioni della fase C del piano straordinario delle immissioni in ruolo normato delle legge n. 107 del 2015, bensì sono docenti che, di ruolo o come supplenti, avrebbero dovuto occupare le cattedre fin dall'inizio dell'anno scolastico 2015/2016;
   come sempre, dopo le denunce degli studenti e delle loro famiglie, si assiste ad un «rimpallo» di responsabilità tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, la direzione scolastica regionale e il dirigente scolastico dell'istituto;
   come riportato nell'articolo apparso in data 17 dicembre 2015 sul quotidiano La Stampa edizione di Torino, il direttore scolastico regionale della regione Piemonte, Fabrizio Manca, ha chiesto un rapporto particolareggiato al provveditore Antonio Catania, il quale, a sua volta, ha richiesto chiarimenti al preside dell'istituto, Attilio Giaculli;
   il dirigente scolastico, Attilio Giaculli, discolpandosi per l'accaduto, ha dichiarato che: «si tratta di un problema legato alle nomine di inizio anno e comunque non drammatico, le nomine con le nuove assunzioni della riforma Renzi hanno dilatato i tempi [...] La colpa di tutto ciò non è nostra», come viene riportato nell'articolo del 17 dicembre 2015 pubblicato sull'edizione piemontese del quotidiano La Stampa;
   nonostante sia indiscutibile il fatto che la riforma della scuola abbia aggravato i malfunzionamenti e i ritardi in quasi tutti gli istituti scolastici, è pur vero che non è stato rispettato l'ordine imposto dalle circolari del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del settembre 2015, mediante le quali si autorizzavano i dirigenti scolastici a nominare i supplenti in mancanza del professore di ruolo, anche nel caso in cui le graduatorie fossero state esaurite;
   pertanto, in base alle suddette circolari, il dirigente scolastico dell'istituto Boselli avrebbe dovuto nominare anche supplenti impegnati in altre scuole o ricorrere alle graduatorie di altre province –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda intraprendere al fine di mettere in condizione gli studenti dell'istituto torinese Boselli di completare correttamente il ciclo di lezioni del corrente anno scolastico e al fine di accertare eventuali responsabilità del dirigente scolastico in merito alla gravissima situazione di cui in premessa. (5-07264)

   CHIMIENTI, VACCA, MARZANA, BRESCIA, SIMONE VALENTE, LUIGI GALLO, D'UVA e DI BENEDETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 17 della legge n. 128 dell'8 novembre 2013 stabilisce che il reclutamento dei dirigenti scolastici si deve realizzare mediante corso-concorso selettivo di formazione, bandito dalla Scuola nazionale dell'amministrazione. Tale corso-concorso è a cadenza annuale per tutti i posti vacanti, il cui numero è comunicato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca alla Presidenza del Consiglio dei ministri;
   può partecipare al concorso per l'accesso al corso-concorso il personale docente ed educativo delle istituzioni scolastiche ed educative statali, in possesso del relativo diploma di laurea che abbia maturato, dopo la nomina in ruolo, un periodo di servizio effettivo di almeno cinque anni;
   il concorso può comprendere una prova preselettiva, una o più prove scritte cui sono ammessi tutti coloro che superano la preselezione, e una prova orale;
   il 23 settembre 2015 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha dichiarato che il regolamento del concorso-corso per il reclutamento dei nuovi dirigenti scolastici era alla bollinatura del Ministero dell'economia e delle finanze;
   essendo la bollinatura del Ministero dell'economia e delle finanze l'ultimo passaggio prima della sua formale emanazione, la pubblicazione sarebbe dovuta avvenire entro il mese successivo;
   nonostante si tratti di un concorso molto atteso, dal momento che nell'arco di due anni circa un terzo dell'organico potrebbe risultare vacante, a tutt'oggi non è stato ancora bandito;
   durante il Consiglio nazionale DiSAL (dirigenti scolastici scuole autonome e libere), tenutosi a Palermo dal 12 al 15 novembre 2015, il sottosegretario Faraone ha comunicato che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sta riscrivendo il regolamento relativo al bando di concorso per l'assunzione dei dirigenti scolastici con l'intento di superare sia il modello che prevede forme preselettive basate su test sia la delega alla Scuola nazionale dell'amministrazione per la realizzazione del concorso e la formazione dei dirigenti scolastici;
   una sentenza del TAR Lazio, la n. 9729 del 16 settembre 2015, su ricorso del sindacato Anief, ha stabilito che il servizio pre-ruolo deve essere valutato come quello di ruolo, seguendo quanto statuito dalla Corte di giustizia europea con la sentenza emessa nel procedimento C-177/10 pubblicata in data 8 settembre 2011;
   la sentenza 5011/2014 del Tar del Lazio ha ritenuto che per partecipare al concorso per dirigenti scolastici può essere ritenuto valido anche il periodo di precariato, in quanto equivalente a quello svolto dai docenti di ruolo;
   secondo calcoli informali riportati in un articolo del 6 ottobre 2015 dalla testata on-line «Orizzonte Scuola», il numero di posti messi a bando, calcolati sui posti liberati dallo scorrimento delle graduatorie del precedente concorso, si aggireranno tra le 400 e le 600 unità;
   l'articolo 11, comma 1, lettera b), punto 1) della legge n. 124 del 2015 istituisce il ruolo unico della dirigenza pubblica con esclusione di quella scolastica;
   il comma 2-bis dell'articolo 30 del testo unico sul pubblico impiego n. 165 del 2001 prescrive l'attivazione delle procedure di mobilità tra amministrazioni prima dell'indizione di un concorso per la copertura di posti vacanti –:
   quale sia la reale situazione di fabbisogno di dirigenti scolastici su tutto il territorio nazionale;
   entro quale data il Ministro interrogato intenda procedere all'emanazione del bando di cui in premessa;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative per aprire l'accesso anche ai docenti con meno di 5 anni di servizio in ruolo, equiparando di fatto il servizio prestato da precario a quello prestato a seguito dell'immissione in ruolo;
   se sia confermata da parte del Governo la volontà di mantenere distinti i ruoli, impedendo che dirigenti di altri settori pubblici possano assumere incarichi di dirigenza scolastica, neppure pro tempore. (5-07269)

Interrogazioni a risposta scritta:

   MICILLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa (Repubblica.it del 19 novembre 2015 – Il Messaggero.it del 21 novembre 2015) si è appreso che, presso l'istituto comprensivo «Tullia Zevi» di via Pirgotele nel quartiere residenziale di Casal Palocco, zona di Roma nell'Agro Romano, un alunno disabile, Alessio, affetto da quadriplegia congenita, grave ritardo mentale, disfagia e con episodi ricorrenti di epilessia, non ricevesse adeguato sostegno e assistenza indispensabili per fare fronte alle sue necessità;
   l'aula di sostegno messa a disposizione dalla scuola risulterebbe da una foto pubblicata dalla famiglia su un noto social network, inadeguata ad ospitare un bambino con le problematiche sopra esposte;
   la legge n. 104 del 1992 disciplina e promuove l'integrazione sociale, familiare e scolastica delle persone con disabilità in tutti gli ambiti della vita sociale; la scuola è, certamente, un luogo privilegiato in tal senso;
   i genitori dell'alunno hanno deciso di denunciare la vicenda attraverso il social network Facebook (http://www.ilgiornale.it) al fine di comunicare il trattamento ricevuto dal bambino da parte della scuola e trovare una soluzione alla vicenda di Alessio, che avrebbe diritto come tutti gli altri alunni e compagni della sua scuola al riconoscimento del diritto all'istruzione scolastica e all'assistenza che la legge riconosce agli studenti disabili –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e se abbia adottato o intenda adottare iniziative, per quanto di competenza, in relazione al caso descritto;
   come intenda affrontare la problematica esposta anche in considerazione del fatto che non si tratta di una vicenda isolata ma che, non raramente, gli istituti scolastici e il personale in servizio, non sono in grado di affrontare e gestire adeguatamente la presenza e frequenza alle lezioni da parte di alunni diversamente abili. (4-11509)

   CIRACÌ, MARTI, DISTASO, FUCCI, PALESE, BIANCONI, LATRONICO, CORSARO e ALTIERI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le attuali leggi consentono a chiunque sia in possesso di una laurea magistrale o specialistica, di una qualsiasi facoltà, l'accesso diretto all'ammissione al TFA (tirocinio, formativo, attivo), percorso che, una volta completato, attribuisce l'abilitazione all'insegnamento della materia di competenza;
   il percorso di studi dei conservatori di musica italiani, attualmente riformato dal nuovo ordinamento e organizzato in tre fasi pre-accademico, triennio, biennio, è stato precedentemente regolato dal cosiddetto vecchio ordinamento, attualmente ancora in essere fino ad esaurimento; tale ordinamento prevede un percorso di studi della durata compresa fra i sei e i dieci anni, a seconda dello strumento musicale studiato, escludendo i due anni sperimentali. Il titolo conseguito nell'ambito del vecchio ordinamento, se acquisito entro la data del 31 dicembre 2012 è ritenuto a tutti gli effetti laurea magistrale, se acquisito invece a partire dal 1o gennaio 2013, è considerato laurea triennale e quindi da completare con il biennio di secondo livello, portando i già numerosi anni di studio in una fascia compresa fra gli otto e i dodici;
   tale cambiamento ha determinato l'accesso alle ammissioni del tirocinio, formativo, attivo abilitante solo all'insegnamento di educazione musicale e non dello strumento nel quale ci si è laureati, rappresentando un grave pregiudizio –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti in premessa, se intenda intervenire per sanare tale situazione per permettere ai laureati in strumento musicale di avere gli stessi diritti di tutti gli altri di qualsiasi altra facoltà, accedendo alle ammissioni al tirocinio, formativo, attivo di strumento dopo il normale conseguimento del percorso di laurea, non passando obbligatoriamente dal biennio di didattica della musica. (4-11510)

   D'UVA, BRESCIA, VACCA, COLONNESE, TOFALO, DI BENEDETTO, MICILLO e FICO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'università Federico II di Napoli è la maggiore istituzione accademica della città, nonché uno degli atenei più antichi e importanti d'Europa, la cui data di fondazione risale al 5 giugno 1224;
   dal 1992 l'università di Napoli è stata intitolata a Federico II, al fine di sottolineare le sue antichissime origini, quando l'imperatore svevo, nonché re di Sicilia, da Siracusa emanò l'editto istitutivo;
   la facoltà di medicina veterinaria, in particolare, ha sede presso il vecchio convento francescano di S. Maria degli Angeli alle Croci, eretto alle pendici della collina su cui sorge l'Osservatorio Astronomico, nei pressi dell'Orto Botanico della città;
   a partire dal diciannovesimo secolo il complesso conventuale, ha ospitato la sede della facoltà di veterinaria voluta da Ferdinando IV per scopi militari e civili, la quale ospitava un convitto per 17 militari e 33 civili, un orto per le piante necessarie alla veterinaria, un'area destinata a prato ed un ospedale per gli animali;
   nel 1935 la scuola è divenuta facoltà dell'università degli studi di Napoli, ed è oggi, in collaborazione con la facoltà di agraria di Portici, un centro di eccellenza di rilievo internazionale nella medicina veterinaria e nelle tecnologie delle produzioni animali;
   la stessa facoltà ospita oggi il museo di anatomia veterinaria, risalente ad oltre 150 anni fa, il quale raccoglie al suo interno importanti collezioni;
   in data 9 dicembre 2015, il quotidiano consultabile online «Il Fatto Quotidiano» riportava la notizia di un imponente crollo avvenuto presso i locali della facoltà di medicina veterinaria, che ha causato ingenti danni e messo in grave pericolo l'incolumità del personale universitario nonché di tutto il corpo studentesco;
   così come riportato dall'articolo, «due palazzine del complesso del Dipartimento di Veterinaria della «Federico II» sono venute giù come castelli di carta davanti alle telecamere, dopo che questa mattina erano apparse crepe sulle mura della struttura. La prima ipotesi è che il cedimento sia stato provocato da una voragine che si è aperta nel sottosuolo»;
   secondo il quotidiano «i primi scricchiolii sono stati avvertiti dal custode del dipartimento verso le 5 del mattino. Ai rumori è seguita l'apertura di diverse crepe sulle ali delle palazzine adiacenti che hanno poi portato al crollo, avvenuto verso le 13.30»;
   a causare il cedimento strutturale «sarebbe stata una parte in disuso che ha poi trascinato con sé un'area dell'edificio dove vengono svolte le lezioni e le attività di ricerca. Secondo i primi accertamenti, le spaccature sono state provocate da una voragine nel sottosuolo alle spalle di via Foria e dell'Orto Botanico, zona in cui si trova l'università»;
   benché i crolli abbiano comportato danni esclusivamente strutturali, anche attraverso la lettura delle notizie riportate in data 12 dicembre 2015 dal quotidiano consultabile online «Il Mattino», secondo il quale «nell'ala che è venuta giù sbriciolandosi dietro una enorme nuvola di polvere e detriti avevano sede uffici e aule di docenti, studenti e ricercatori», è possibile dedurre l'assoluto pericolo occorso ai frequentatori della facoltà;
   secondo lo stesso quotidiano «è stata già ingaggiata la ditta che si occuperà di recuperare tutto quanto sarà possibile salvare dalle macerie e alleggerire, se così si può dire, il peso dei danni che appaiono ingentissimi. Una parte del patrimonio di ricerca e di studi della facoltà di Veterinaria è andato distrutto. Se, e in che misura, ci sono responsabili lo stabilirà la Procura»;
   dalle pagine dello stesso quotidiano il direttore del dipartimento di medicina veterinaria e produzione animali della Federico II, Luigi Zicarelli, ha affermato che «se fosse successo a lezioni iniziate ci sarebbe stata una tragedia. La Facoltà, nei programmi, dovrebbe trasferirsi al Frullone. Gli ultimi avvenimenti rendono più urgente lo spostamento. Fino a lunedì l'Università resterà chiusa. Poi riapriremo, magari intensificando le lezioni nella parte «sana» del complesso di Santa Maria degli Angeli. Gli edifici crollati ospitavano due aule»;
   i fatti avvenuti presso l'ateneo partenopeo sono emblematici dell'attuale condizione di alcune università italiane, che vedono oggi importanti e rilevanti carenze non soltanto dal punto di vista funzionale ma anche strutturale;
   la condizione di assoluta sicurezza delle strutture universitarie italiane dovrebbe essere una priorità da garantire con ogni mezzo, affinché vengano scongiurate possibili tragedie all'interno di strutture che dovrebbero rappresentare un mezzo efficace per rilanciare in Europa e nel mondo il nostro Paese, non certamente un luogo di pericolo ovvero di inefficienza;
   a tale fine, si ricorda che all'interno del disegno di legge di stabilità 2016 è stata prevista la restituzione nelle casse dello Stato dei fondi destinati alla ristrutturazione e messa in sicurezza degli edifici che non siano stati completamente spesi entro il 2014;
   ad avviso degli interroganti necessarie e prioritarie dovrebbero essere nuove misure che consentano, piuttosto, agli atenei interventi strutturali urgenti laddove questi possano temere un possibile cedimento strutturale, ovvero una condizione di grave carenza che possa compromettere il corretto funzionamento della sede universitaria –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere, nei limiti delle sue competenze, per verificare la sussistenza delle condizioni minime di sicurezza strutturale degli atenei italiani, con particolare riferimento all'università Federico II;
   se il Governo intenda impegnarsi affinché, nei limiti delle sue competenze, possano essere stanziati nuovi ed idonei finanziamenti a garanzia della sicurezza strutturale degli atenei italiani, assicurando ai cittadini la necessaria tutela per la propria incolumità all'interno di strutture che dovrebbero essere centri di sapere e non certamente luoghi di rischio. (4-11524)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

   ZARDINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   quindici lavoratori sono stati assunti dalla società Serenissima Costruzioni spa tra il 2005 e il 2007 e, contestualmente all'assunzione, sono stati distaccati presso la società Autostrada Brescia-Verona-Vicenza-Padova spa, società controllante della prima società;
   la società Brescia-Verona-Vicenza- Padova spa è stata affidataria da parte dell'Anas di concessione di costruzione e di esercizio con pedaggio di autostrade per tratte determinate e ha appaltato, dietro corrispettivo, alla controllata società Serenissima Costruzioni spa la maggior parte dei lotti. La società appaltante per la verifica delle opere appaltate, richiedeva dunque alla Serenissima Costruzioni 15 unità con competenze tecniche e professionalità tipicamente edili (direttori operativi e ispettori di cantiere);
   tutti i lavoratori, eccetto due (Scalco e Battel), sono stati distaccati dalla Società Serenissima Costruzioni spa, dove sono stati assunti, alla società Autostrada Brescia-Verona-Vicenza-Padova spa per lo svolgimento di attività di collaborazione e funzioni interne alla direzione dei lavori, il cui compito è quello di collaborare con il direttore dei lavori nel verificare che le lavorazioni appaltate siano eseguite a regola d'arte, segnalando le eventuali difformità rispetto alle previsioni contrattuali e proponendo gli eventuali interventi correttivi;
   nell'ambito degli appalti, il direttore dei lavori, quale rappresentante del committente (società Autostrada Brescia-Verona-Vicenza-Padova spa), è colui che controlla la corretta esecuzione da parte dell'appaltatore (società Serenissima Costruzioni spa), di quanto stabilito dal capitolato di appalto e, nel caso specifico, con la collaborazione dei lavoratori a suo tempo assunti e distaccati dalla società Serenissima spa;
   le modalità di distacco, a seguito di contenzioso giudiziario introdotto dai lavoratori distaccati, sono state definite in primo grado dal tribunale di Verona con sentenza n. 497/2015, pubblicata il 10 novembre 2015, non conformi alle disposizioni dell'articolo 30, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. Infatti, non rispondendo ad un interesse proprio del datore di lavoro, ma della società utilizzatrice, il tribunale ha accertato l'illegittimità dei provvedimenti di distacco e la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con la società Autostrada Brescia-Verona- Vicenza-Padova;
   tale accertamento non ha, per il momento, avuto alcuna realizzazione da parte delle due società che si comportano come se fosse ancora operativo il distacco dei lavoratori in questione. Infatti, ne è riprova il provvedimento di messa in cassa integrazione ordinaria dei lavoratori per periodi successivi alla pubblicazione della sentenza del tribunale di Verona da parte della Società Serenissima costruzioni spa, la quale non va considerata a quanto risulta all'interrogante datore di lavoro dei soggetti interessati –:
   se non reputino urgente e necessario acquisire informazioni circa l'attuale posizione giuridica e lavorativa dei lavoratori interessati, alla luce delle sentenze sopra richiamate, con particolare riferimento alla collocazione, ad avviso dell'interrogante, di dubbia legittimità, dei medesimi in cassa integrazione ordinaria. (5-07270)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:

   SPESSOTTO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. – per sapere – premesso che:
   una recente inchiesta giornalistica della trasmissione Report, andata in onda, in due parti, il 7 giugno e il 15 novembre 2015, ha denunciato, tra i vari argomenti trattati, la presunta concessione del patrocinio del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali a favore di una società privata denominata Anyacquae Srl, oltre che l'utilizzo da parte di quest'ultima del logo istituzionale del Ministero della salute per sponsorizzare i propri prodotti;
   tale società è specializzata nella installazione di depuratori e cassette per l'acqua potabile nei comuni italiani e risulta di proprietà del figlio di Felice Maniero, alias Luca Mori, ex boss della Mala del Brenta, l'organizzazione criminale che per oltre 20 anni ha compiuto sequestri di persona, rapine, gestito traffici internazionali di droga e compiuto decine di omicidi;
   sempre dal servizio di Report, si apprende che la società Anyacquae Srl pubblicizzerebbe il patrocinio ricevuto dal Ministero delle politiche agricole attraverso la pubblicazione del marchio ministeriale sui suoi prodotti e sui contratti per le forniture, nonostante l'azienda abbia scopo di lucro;
   in aggiunta al patrocinio ministeriale, sulle cassette dell'acqua installate dalla società sarebbe apposto anche il logo del Ministero della salute e varie certificazioni, come quelle di conformità TIFQ, ente preposto alla verifica e omologazione di attrezzature, macchinari e processi che entrano in contatto con alimenti e acqua potabile;
   a seguito dello scandalo emerso dall'inchiesta della trasmissione Report, l'asl del comune di Fonte Nuova, in provincia di Roma, ha effettuato alcune analisi dell'acqua sulla cassetta installata in quel comune dall'azienda dell'ex 7 boss, da cui è risultato il superamento dei limiti di legge per l'arsenico, dovuto alla totale mancanza di manutenzione ordinaria consistente nella pulizia e cambio dei filtri della casetta dell'acqua;
   secondo quanto dichiarato dalla asl competente del comune di Fonte Nuova, nonostante la legge preveda l'obbligo di comunicazione agli organi di controllo preposti, nessuna notifica inerente all'installazione dell'impianto di acqua filtrata sarebbe stata data alla suddetta asl;
   l'azienda di riferimento di Felice Maniero avrebbe inoltre installato apparecchi per l'acqua filtrata anche nelle scuole pubbliche di altri comuni, senza che venissero effettuati tutti i necessari controlli sulla qualità dell'acqua erogata nelle scuole –:
   se sia stato o meno concesso, come affermato dallo stesso Felice Maniero, il patrocinio del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali alla società Anyacquae Srl che lo avrebbe utilizzato, insieme al logo istituzionale del Ministero della salute, per concludere affari privati con le pubbliche amministrazioni;
   se i Ministri interrogati, alla luce della gravità dei fatti esposti in premessa, non ritengano opportuno assumere per il futuro tutte le opportune iniziative atte a prestare la massima vigilanza sulla concessione del patrocinio e sull'utilizzo dell'emblema ministeriale, e a rilevare e contrastare, con l'urgenza richiesta dal caso, gli eventuali usi illeciti che vengano fatti dei suddetti simboli. (4-11517)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:

   DI VITA, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, COLONNESE, BARONI, GRILLO, MANTERO, MANNINO, NUTI, LUPO, DI BENEDETTO e CANCELLERI. — Al Ministro della salute, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il 16 aprile 2004 l'azienda ospedaliera Civico di Palermo ha approvato il bando per la realizzazione del centro di eccellenza materno-infantile (C.E.M.I.), ciò sulla scorta di un accordo di programma per il settore degli investimenti in sanità in cui il Ministero della salute, il Ministero dell'economia e delle finanze e la regione siciliana concordavano nella realizzazione di tre centri di eccellenza nei settori in cui si registrava una maggiore mobilità extraregionale;
   già in data 18 aprile 2002, il Ministero della salute, il Ministero dell'economia e finanza e la regione siciliana nell'accordo di programma per il settore degli investimenti in sanità, concordavano nella realizzazione di 3 centri di eccellenza nei settori in cui si registrava una maggiore mobilità extraregionale:
    il centro di eccellenza oncologico di Messina, con copertura finanziaria dell'opera pari a euro 40.987.413,95;
    il centro di eccellenza ortopedico di Catania, dell'importo complessivo di euro 168.000.000,00, da realizzarsi nell'ambito del più ampio progetto di realizzazione del Nuovo Ospedale di San Marco in CT;
    il centro di eccellenza materno-infantile di Palermo dell'importo complessivo di euro 61.057.879,04, veniva assicurata la seguente copertura finanziaria: quanto a euro 51.316.551,93 dall'articolo 71 della legge n. 488/98, quanto a euro 2.583.244,07 a carico della Fondazione che inoltre provvederà attraverso la partecipazione di partners privati al reperimento dell'ulteriore somma di euro 7.163.755,91 finalizzati all'acquisizione di attrezzature per la ricerca;

   la struttura ospedaliera del CEMI, appunto uno dei tre progetti, doveva costituire un centro di riferimento per la pediatria nella regione siciliana;
   da fonti stampa datate 2004 emerge che l'opera — in base a quanto allora dichiarato dai diversi protagonisti coinvolti nel progetto di realizzazione — sarebbe addirittura dovuta sorgere presso il fondo Malatacca — un'area di proprietà del Civico adiacente all'ospedale Cervello — già nel 2006, e che il centro avrebbe disposto di tutte le specialità pediatriche mancanti in Sicilia, dalla neurochirurgia alla cura delle malattie metaboliche;
   «Il Cemi — dichiarava l'allora assessore regionale alla Sanità, Ettore Cittadini — servirà soprattutto a dare un freno all'emigrazione sanitaria che colpisce duramente la nostra Isola, se si considera che nel 2003 circa 78 mila pazienti hanno lasciato la Sicilia per essere curati in altre regioni o all'estero. E che ogni anno 8.817 bambini vengono ricoverati in strutture non siciliane»;
   «Entro l'anno — sottolineava l'allora direttore generale del Civico Licata di Baucina — partiranno i lavori, per il 2006 contiamo di avere il centro già perfettamente funzionante». Aggiungeva poi il project manager Angelo Aliquò: «Approvato lo statuto, presentato lo studio di fattibilità e definiti tutti i dettagli burocratici, partiremo subito con le attività di ricerca e di assistenza. Non aspetteremo i due anni previsti per la costruzione della struttura»;
   il progetto subiva tuttavia negli anni diverse battute d'arresto che ne rimandavano conseguentemente il completamento, tutt'oggi atteso;
   successive fonti di stampa online locale del giugno 2013 riferiscono circa l'ottimistica previsione di ultimazione dei lavori di realizzazione dell'opera entro il 2015. Il progetto prevede quattro padiglioni: «A, B, C e D. I lavori vengono eseguiti dall'impresa Lungarini Spa, (capogruppo) con sede a Fano, che è subentrata alla A.T.I. CIR Costruzioni Spa. Così come da progetto il CEMI potrà contare su 162 posti letto di degenza, day hospital e terapie intensive. Nell'edificio A, ad un piano previste aule e sale convegno auditorium e cappella votiva; nell'edificio B a due elevazioni ci sarà l’hospice; nell'edificio C il Laboratorio di analisi e gli ambulatori, nell'edificio D, di sei piani, tutte le aree degenza ed operatorie. Al suo interno tutti reparti specialistici: dall'oncologia alla cardiochirurgia, dall'ortopedia, alle malattie metaboliche alla nefrologia, neurochirurgia, ed un complesso operatorio con cinque grandi sale chirurgiche.»;
   dieci anni dopo l'approvazione del bando, il 17 gennaio 2014, l'ex assessore alla salute Lucia Borsellino ha firmato il decreto n. 40 del 2014 relativo alla riorganizzazione posti letto della rete pediatrica CEMI e ARNAS P.O. Di Cristina con il quale sono state disposte una serie di varianti di una certa rilevanza rispetto all'attività sanitaria prevista nel progetto esecutivo del CEMI, tali da necessitare una revisione integrale delle scelte progettuali, compresa la realizzazione di un'elisuperficie;
   il 6 novembre 2014 veniva poi decretata la modifica del progetto iniziale del CEMI con l'approvazione di una perizia di variante. La struttura, col nuovo progetto, dovrà infatti essere traslata di 20 metri a
sud per non andare a intaccare le sottostanti condotte dell'AMAP. È stata aggiunta al progetto una pista di elisoccorso in cima all'edificio di degenza. Si prevede un costo per l'intera struttura di circa euro 51.300.000;
   successivamente il governo regionale ha adottato un provvedimento, il decreto dell'assessore per la salute 15 dicembre 2014, pubblicato sulla G.U.R.S. n. 2 del 15 gennaio 2015, che istituisce l'Istituto mediterraneo di eccellenza pediatrica (ISMEP), così di fatto sopprimendo e ribattezzando il vecchio progetto CEMI;
   oltre all'ex assessore Lucia Borsellino — si apprende dalla lettura del provvedimento nonché di recenti fonti di stampa online —, a mettere la firma in calce al suddetto decreto assessoriale sono stati il dirigente generale Salvatore Sammartano e la dirigente del «servizio IV» dell'assessorato Sanità, Rosalia Murè;
   invero, in data 31 marzo 2014 con nota prot. 27661 l'ex assessore alla salute Lucia Borsellino spediva alla commissione competente dell'assemblea regionale siciliana la bozza di decreto assessoriale e relativi allegati concernenti «la rifunzionalizzazione e la riconversione della rete ospedaliera», così come elaborato e sottoscritto dal dirigente generale Salvatore Sammartano e la dirigente del «servizio IV» dell'assessorato sanità, Rosalia Murè;
   con particolare riferimento a quest'ultima — come peraltro lamentato a più riprese dal sindacato dei medici CIMO — preme rimarcare come destino forti perplessità talune circostanze legate alla nomina di quest'ultima a direttore sanitario dell'ARNAS civico di Palermo;
   in particolare il 21 novembre 2014 con nota prot. n. 89299 la dottoressa Murè comunicava al dottor Sammartano di aver ottenuto l'incarico di direttore sanitario dell'ARNAS civico di Palermo; il 30 novembre 2014 veniva stipulata la risoluzione consensuale del contratto di lavoro con decorrenza 1o dicembre 2014, che verrà poi approvata il 17 dicembre 2014 (lo stesso giorno in cui si approvava il contratto) con D.D.G. n. 2186/2014 dallo stesso Sammartano;
   con riferimento a tali circostanze ci si chiede pertanto come sia possibile che alla data del 15 dicembre 2014 la dottoressa Murè, avendo già precedentemente firmato la risoluzione consensuale del contratto con decorrenza 1o dicembre 2014 abbia potuto continuare a firmare in qualità di responsabile del «servizio IV» programmazione ospedaliera, per di più confermando un provvedimento riguardante direttamente l'azienda della quale avrebbe appena assunto la nuova posizione lavorativa di direttore sanitario, con ogni conseguente profilo di incompatibilità;
   risulta poi che in data 30 luglio 2014 Rosalia Murè abbia accettato poi l'incarico di componente del consiglio di gestione della S.E.U.S. S.C.p.A. e, nella sezione amministrazione trasparente del sito istituzionale, risulta attualmente dimessasi (in data non ben identificata) e nel mese di giugno 2015 risulta nominato un nuovo componente del consiglio di gestione;
   dal curriculum vitae di Rosalia Murè, pubblicato nella sezione amministrazione trasparente del sito dell'ARNAS Civico di Palermo, aggiornato, sottoscritto e reso ai sensi degli articoli 46 e 47 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000 non emerge alcun riferimento al precedente incarico di componente del consiglio di gestione né tantomeno a quello, attualmente ricoperto, di membro del consiglio di sorveglianza della S.E.U.S. S.C.p.A.;
   la S.E.U.S. S.C.p.A. (Sicilia Emergenza-Urgenza Sanitaria) è una società consortile per azioni a capitale interamente pubblico, in house providing, costituita il 22 dicembre 2009 tra la regione siciliana, socio pubblico di maggioranza, e le aziende del servizio sanitario regionale, tra le quali figura anche l'azienda di rilievo nazionale ad alta specializzazione Civico-Di Cristina-Benfratelli di Palermo. Ha il compito di fornire personale e mezzi per la gestione del servizio di trasporto terrestre
con ambulanze nell'ambito del servizio di emergenza-urgenza territoriale 118 della regione siciliana. È parte integrante del servizio di emergenza urgenza sanitaria, unitamente alle centrali operative ed al servizio elisoccorso,
   la S.E.U.S. Scpa risulta essere convenzionata con l'ARNAS Civico di Palermo ed in tale senso, ad esempio, con la delibera n. 2015/0609, sottoscritta anche dalla medesima Rosalia Murè, è stata rinnovata la convenzione per l'espletamento del servizio di supporto ai trasporti sanitari intra ed inter ospedalieri, da parte di operatori con la qualifica di autisti;
   il decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39 «Disposizioni in materia di inconvertibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190» prevede specifiche cause di inconvertibilità e di incompatibilità e segnatamente anche per la carica di direttore sanitario;
   l'articolo 5 del citato decreto prevede che «gli incarichi di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo nelle aziende sanitarie locali non possono essere conferiti a coloro che, nei due anni precedenti, abbiano svolto incarichi e ricoperto cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dai servizio sanitario regionale»;
   l'articolo 10 del citato decreto prevede che «1. Gli incarichi di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo nelle aziende sanitarie locali di una medesima regione sono incompatibili: a) con gli incarichi o le cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dal servizio sanitario regionale; ...»;
   in merito, con segnalazione inviata via posta elettronica certificata il 2 novembre 2015, la prima firmataria del presente atto ha richiesto pertanto all'Autorità nazionale anticorruzione i chiarimenti ritenuti opportuni;
   secondo l'ultimo rapporto Sdo (schede di dimissioni ospedaliere) per l'anno 2014 del Ministero della salute, contenente i dati sulla mobilità sanitaria, passiva (siciliani che vanno a curarsi in altre regioni) e attiva (malati di altre regioni che vengono in Sicilia a curarsi), 60.351 malati siciliani hanno scelto l'anno scorso di curarsi in altre regioni. Primato alla Lombardia, scelta da 17.760 pazienti siciliani. A seguire Lazio (8.365), Emilia Romagna (8.186), Toscana (6.257), Veneto (5.657) e Liguria (4.969);
   in base ai dati sulla «remunerazione teorica delle prestazioni per regione di ricovero», forniti sempre dal Ministero della salute, è agevole ricostruire anche il costo di tale fenomeno. Considerata la differenza tra mobilità passiva e mobilità attiva, la regione siciliana si stima abbia perso nel 2014 ben 175,4 milioni di euro;
   il 17 aprile 2015, in occasione del convegno di presentazione dell'ISMEP, l'ex assessore Borsellino dichiarava che per realizzare il nuovo centro di eccellenza pediatrica sono stati stanziati circa 53 milioni di euro di fondi statali, trenta dei quali devono ancora essere trasferiti dal Governo centrale alla regione. «Si tratta di fondi già impegnati nel documento unico di programmazione per l'edilizia sanitaria — dichiarava l'ex assessore regionale alla Salute, Lucia Borsellino — Chiediamo al governo centrale di accedere ai finanziamenti per questo progetto che ha già avuto l'ok nell'ottobre 2012 attraverso un accordo stralcio per gli interventi prioritari». «In alternativa stiamo chiedendo di anticipare delle somme attraverso il fondo sanitario — aggiungeva — per accelerare al massimo i tempi previsti. Si sta cercando di velocizzare il trasferimento della cardiochirurgia pediatrica prima che si completi l'Istituto. Lo faremo anche attraverso la disponibilità dell'ospedale Civico e stiamo ponendo le condizioni per farlo nei prossimi mesi»;

   è riportato sul sito ufficiale dell'ISMEP: «la realizzazione dell'opera è prevista entro la fine del 2017. ISMEP sarà pianamente funzionante nei primi mesi del 2018»;
   a fronte di un tale prospettato trasferimento considerevole di fondi destinati alla realizzazione di un'opera il cui compimento, in particolare viste le importanti varianti subite dal progetto, si ritiene esser oggi di difficile previsione, d'altro canto, gli interroganti non possono sottacere la gravità della situazione in cui continua a versare oggi il principale polo pediatrico palermitano attualmente in funzione, l'ospedale dei Bambini G. di Cristina, la cui struttura ospedaliera — che il 14 novembre 2015 ha subito addirittura un'infestazione da ratti — è stata negli anni, ed è tutt'oggi, oggetto di numerosi cantieri di lavori di cui un esempio emblematico è il nuovo reparto dedicato alle malattie rare, inaugurato solo dopo circa dieci anni;
   dalla delibera n. 2015/1069 dell'Arnas Civico emerge infine che i designati della direzione aziendale, architetto Vincenzo Campo e ingegner Vittorio Cangemi, abbiano partecipato in data 5 giugno 2015 presso il Ministero della salute ad una riunione avente come oggetto specifico il progetto ISMEP;
   con l'occasione si rileva infine che in data 23 novembre 2015 i deputati regionali (ARS) del gruppo Parlamentare Movimento 5 Stelle hanno presentato due interrogazioni (ARS, Prot. nn. 3496-3497), rispettivamente in merito al progetto CEMI/ISMEP e agli incarichi ricoperti dalla dottoressa Murè –:
   se sia al corrente dei fatti esposti in premessa;
   quale sia lo stato attuale dell’iter di realizzazione dei tre centri d'eccellenza citati in premessa, in particolare del CEMI-ISMEP e quando se ne prevedano l'ultimazione ed il completo funzionamento;
   se sia verosimile che il costruendo polo pediatrico d'eccellenza possa essere ultimato entro il 2018 e quali siano gli impegni finanziari del Governo in tal senso;
   se siano al corrente della situazione critica che tutt'oggi investe l'ospedale dei Bambini G. di Cristina di Palermo, e quali iniziative di competenza intendano eventualmente intraprendere in merito;
   se si possano indicare, nel loro ordine cronologico, i provvedimenti ministeriali posti in essere in merito, in particolare nella fase di passaggio dal progetto iniziale CEMI al successivo ISMEP, con le relative varianti intervenute;
   se si possano evidenziare le ragioni specifiche che avrebbero condotto il Governo alla decisione positiva sullo sblocco degli investimenti destinati al progetto ISMEP, ciò malgrado le numerose battute d'arresto subite e le varianti di non scarsa importanza medio tempore intervenute;
   se il Ministro della salute possa indicare quali siano e a quanto ammontino le posizioni del bilancio ministeriale impiegate sino ad oggi per la realizzazione dei suddetti progetti e, in particolare, del CEMI-ISMEP;
   considerando la stagione del piano di rientro che ha interessato la Sicilia dal 2007, con il relativo regime controllato di risparmio della spesa, se possano indicare i criteri in base ai quali sia stato valutato il progetto CEMI-ISMEP, e se in tale ottica possano indicare eventuali correzioni o modifiche intervenute dal 2002 ad oggi;
   se possano indicare l'esatto ammontare dei fondi statali stanziati sino ad oggi dal Governo ed effettivamente impiegati dalla regione nella realizzazione dei citati progetti, in particolare del CEMI-ISMEP, e per quali specifiche attività;
   se possano indicare, viste le numerose criticità e le lungaggini che hanno caratterizzato sin dal 2002 la vicenda in questione, quali attività di controllo e a
tutela della trasparenza e di pubblicità del progetto il Governo abbia eventualmente condotto in collaborazione con la regione;
   se e in che termini l'Istituto ISMEP, a carattere «mediterraneo», si inserirebbe nel contesto nazionale ed europeo;
   se e per quali ragioni risulterebbe, in certi casi interrotta, in altri gravemente ritardata, la realizzazione dei citati centri d'eccellenza di cui all'accordo di programma del 2002 e se risulti per quali ragioni si sia provveduto conseguentemente allo scioglimento delle rispettive fondazioni che li avrebbero dovuti gestire e sostenere, oltretutto vista la costanza del dato preoccupante relativo alla mobilità extraregionale dei pazienti;
   se possa fornire opportuni chiarimenti e informazioni relative all'oggetto del citato incontro sull'ISMEP tenutosi presso il Ministero della salute il 5 giugno 2015, nonché l'indicazione sommaria degli incontri già tenutisi su ISMEP tra la delegazione regionale ed il Ministero della salute, con particolare riferimento al loro oggetto ed esito, e l'eventuale anticipazione dei prossimi incontri programmati.
(5-07265)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:

   ZARDINI e BARUFFI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   nonostante una netta inversione di tendenza che si è registrata nel corso dell'anno, l'alto tasso di disoccupazione dell'Italia ancora influisce negativamente sui soggetti disabili, tutelati dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, la quale si pone l'obiettivo, in particolare, di promuovere l'inserimento e l'integrazione delle persone disabili nel mondo del lavoro e disciplina conseguentemente le assunzioni obbligatorie e le quote di riserva a favore dei soggetti disabili;
   il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, ha eliminato gli ostacoli normativi che si frapponevano all'assunzione delle categorie protette nel caso in cui le pubbliche amministrazioni presentavano una situazione di soprannumerarietà di personale. Inoltre, tale decreto ha previsto l'assegnazione al dipartimento della funzione pubblica di una funzione di monitoraggio sugli adempimenti previsti dal comma 6, articolo 7, del medesimo decreto, relativi alla rideterminazione della dotazione organica e all'obbligo dell'assunzione, a tempo indeterminato, di un numero di lavoratori pari alla differenza fra il numero come rideterminato e quello allo stato esistente;
   l'articolo 7, commi 6 e 7, tuttavia, non ha previsto anche l'obbligo delle pubbliche amministrazioni di pubblicare sul proprio sito istituzionale le quote d'obbligo scoperte a favore delle categorie protette e la trasparenza del monitoraggio assegnato al dipartimento della funzione pubblica –:
   quale sia l'orientamento del Ministro interrogato sulla necessità di introdurre, a livello normativo, un vero e proprio obbligo di pubblicazione da parte della funzione pubblica dei risultati del monitoraggio di cui all'articolo 7, comma 6, del decreto-legge n. 101 del 2013 e delle pubbliche amministrazioni centrali e periferiche e degli enti territoriali dei dati e delle informazioni relative alle quote d'obbligo scoperte, al fine di mettere, da un lato, tutti i cittadini nelle condizioni di conoscere i comportamenti dei datori di lavoro pubblici, in un quadro di trasparenza delle pubbliche amministrazioni; dall'altro lato, per permettere alle pubbliche amministrazioni medesime di velocizzare gli adempimenti previsti dall'articolo 7, commi 6 e 7, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125;
   se, nelle more dell'auspicata modifica normativa, il Ministro interrogato non valuti opportuno pubblicare comunque sul sito della funzione pubblica i risultati del monitoraggio previsto dal comma 6, articolo 7, del decreto-legge n. 101 del 2013, nonché se non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, per la pubblicazione sul sito delle pubbliche amministrazioni, delle quote d'obbligo riservate a favore di queste categorie protette al fine di rendere conoscibile e trasparente ai cittadini la disponibilità di tali posti, e di facilitare così lo svolgimento degli adempimenti previsti perché essi vengano prontamente ricoperti;
   se non reputi importante assumere iniziative normative volte a prevedere l'obbligo, da parte della funzione pubblica e delle pubbliche amministrazioni della pubblicazione, rispettivamente, del monitoraggio e dei dati e delle informazioni relative alle quote d'obbligo individuate.
(5-07262)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza:

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   nel corso della trasmissione di informazione giornalistica Report, in onda domenica 13 dicembre 2015, su Rai 3, è stato trasmesso un servizio di approfondimento su alcune procedure avviate da Eni spa per la cessione di quote e di partecipazioni societarie detenute in società che operano nella chimica e nella petrolchimica;
   in particolare, ampio spazio è stato dedicato all'annunciata cessione della partecipazione di Eni spa in Versalis spa, società del comparto chimico, che conta in Italia 10 impianti e oltre 5.700 dipendenti;
   la ricostruzione giornalistica avrebbe fatto emergere modalità e procedure di cessione di Versalis che desterebbero forte inquietudine sul futuro e sulla stabilità dell'azienda, oltre a non corrispondere a quanto annunciato dai vertici Eni e dallo stesso management di Versalis, anche nel corso della recente audizione informale del 3 dicembre 2015 in Senato;
   secondo quanto riportato da Report, Eni starebbe trattando con un fondo gestito da SK Capital Partners, società con sede a New York, con 18 dipendenti (nove dei quali assunti nel 2015);
   a riprova della fondatezza della notizia, secondo l'autore del servizio, nei 9 giorni scorsi il presidente della società, Barry Siadat, avrebbe visitato il polo petrolchimico di Porto Marghera assieme ai vertici di Versalis;
   a destare forte preoccupazione sarebbero soprattutto le affermazioni sul profilo di SK Capital Partners e, in particolare, sulla qualità economica del fondo che gestisce, appena 1,2 miliardi di capitale;
   secondo alcuni intervistati, chi ha in gestione un fondo di tale entità difficilmente impiega per una singola operazione più di 200 milioni di euro;
   questo stato di cose potrebbe generare una molteplicità di rischi determinati proprio dal fondo di piccole dimensioni che, una volta definita l'operazione, potrebbe risultare inadempiente;
   la ricostruzione giornalistica farebbe emergere anche altri elementi che getterebbero ulteriori ombre sull'intera procedura, come, ad esempio, il fatto che l’advisor che sta conducendo la trattativa sarebbe la banca d'investimento Rothschild, il cui vicepresidente è Paolo Scaroni, già amministratore delegato di Eni;
   l'amministratore delegato di Versalis, Daniele Ferrari, nell'audizione al Senato del 3 dicembre 2015, aveva dichiarato che: «I partner con cui stiamo dialogando sono soggetti che per avendo una valenza finanziaria possiedono anche società chimiche nel mondo e quindi hanno come missione la costruzione di una grande holding della chimica [...] Nonostante tutti i nostri sforzi, dobbiamo renderci conto
che la nostra chimica è la numero 67 al mondo. Questo non vuol dire che siamo peggio degli altri, ma abbiamo ancora un percorso da fare»;
   secondo Ferrari, per migliorare le performance sarebbero necessari «ulteriori investimenti e una partnership che ci continui a portare tecnologie. Ci serve una partnership che ci dia entrambe queste cose in modo che noi possiamo scambiare la nostra tecnologia e partecipare in territori dove ancora oggi non siamo e loro possono scambiare la loro con noi per far crescere i nostri stabilimenti in Italia»;
   da quanto emerso nel corso dell'inchiesta giornalistica, il percorso seguito da Eni per la cessione di Versalis apparirebbe in contrasto con quanto affermato dall'amministratore delegato, oltreché desterebbe forti preoccupazioni per il futuro dell'azienda e dei lavoratori;
   Versalis è titolare in Italia di alcuni impianti oggetto di un processo di riqualificazione industriale, come ad esempio gli investimenti nella «chimica verde», con la riconversione del sito di Porto Torres, nonché di aree e siti dismessi profondamente compromessi sotto il profilo ambientale e sanitario;
   Versalis è infine titolare di un vasto patrimonio di conoscenze e competenze nel settore della chimica, che si concretizzano nella proprietà intellettuale e ne a disponibilità di una quantità considerevole di brevetti (circa 400);
   l'operazione di cessione delineata dal servizio trasmesso dalla trasmissione giornalistica Report non sembrerebbe fornire alcuna garanzia sulla salvaguardia dei livelli produttivi e occupazionali, sugli impegni assunti in questi anni da Eni e Versalis per la bonifica dei siti inquinati, sulla titolarità italiana del patrimonio brevettuale e dello sviluppo di settori strategici come la «chimica verde» –:
   di quali elementi disponga il Governo in merito al processo di cessione della quota di Eni spa in Versalis spa;
   se non ritenga opportuno, per quanto di competenza, verificare che il procedimento di cessione di Versalis da parte di Eni venga gestito nel rispetto dei livelli occupazionali e produttivi, nonché degli impegni assunti in questi anni da Eni e Versalis per la riqualificazione e bonifica delle aree dismesse di loro competenza e per lo sviluppo della «chimica verde»;
   se sia intendimento del Governo salvaguardare i processi in atto di riqualificazione e sviluppo del settore della chimica in Italia, con particolare riguardo alle potenzialità offerte da comparti come la chimica verde, nei quali Versalis, in questi anni, ha programmato consistenti investimenti;
   quali iniziative, di competenza, intenda adottare a salvaguardia della proprietà italiana del patrimonio brevettuale detenuto da Versalis.
(2-01212) «
Vallascas, Crippa, Zolezzi, Fantinati, Da Villa, Della Valle, Pesco».

Interrogazione a risposta scritta:

   ALBERTI, COMINARDI, SORIAL, BASILIO e PESCO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo LGH è una Multiutility industriale, un holding i cui soci sono società pubbliche ex municipalizzate, che gestiscono servizi pubblici quali, igiene urbana, servizio idrico integrato e servizi energetici;
   come si apprende da recenti comunicazioni a mezzo stampa ed indiscrezioni giornalistiche, A2A s.p.a. avrebbe presentato un'offerta vincolante da 127 milioni per l'acquisizione del 51 per cento di Linea Group Holding (Lgh);
   sull'operazione, Cogeme s.p.a. (socio al 31 per cento di Lgh) ha, in un primo momento, respinto l'offerta vincolante fatta da A2A s.p.a ritenendo che l’iter procedurale da seguire dovesse essere quello di una gara pubblica e non di una offerta in esclusiva;
   il parere di Cogeme è vincolante visto che la società detiene una minoranza di blocco del 31 per cento fondamentale per approvare operazioni straordinarie che, per statuto, hanno bisogno del 70 per cento del capitale;
   secondo indiscrezioni, nei giorni scorsi, Cogeme avrebbe rivisto la sua posizione e avrebbe deciso di dare il suo assenso all'operazione, in quanto anche a seguito di diversi pareri legali sulla questione, l'operazione verrebbe configurata come una partnership industriale e non più come una vendita;
   l'operazione coinvolge il comune di Brescia e di Milano (azionisti di A2A con il 25 per cento di azioni ciascuno), 70 comuni della Franciacorta (tra Bergamo e Brescia), che controllano Cogeme, oltre ai comuni di Lodi, Cremona, Crema e Pavia, per quanto riguarda Lgh;
   il risultato del referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011 in Italia, ha visto l'abrogazione della norma che avrebbe consentito di affidare la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica a soggetti scelti a seguito di bando pubblico e avrebbe consentito la gestione in house solo ove ricorressero situazioni del tutto eccezionali, che non avrebbero permesso un efficace ed utile ricorso al mercato;
   per quanto concerne la gestione del servizio idrico integrato, la risoluzione del Parlamento europeo dell'11 marzo 2004 sulla strategia per il mercato interno afferma che, «essendo l'acqua un bene comune dell'umanità, la gestione delle risorse idriche non deve essere assoggettata alle norme del mercato interno»;
   molti servizi pubblici, tra cui il servizio idrico integrato, nei comuni precedentemente citati sono gestiti con affidamento diretto, da società, in house o sulle quali gli enti locali esercitano un controllo analogo all'interno delle società;
   il controllo analogo rappresenta una delle condizioni previste dall'ordinamento comunitario e interno perché gli enti locali possano affidare un contratto di lavori pubblici o di pubblici servizi ad una società a capitale pubblico;
   A2A e Lgh operano in un mercato praticamente privo di concorrenza in virtù di questi affidamenti diretti;
   il comune di Brescia, in particolare, non detiene la maggioranza nella società A2A e pertanto non è direttamente verificabile il controllo analogo sulla stessa, così come non sarà verificabile l'effettivo controllo da parte dei comuni, sui servizi locali gestiti dalla società Lgh, a seguito dell'accordo prospettato;
   la cessione del 51 per cento della holding Lgh ad A2A, anche qualora si configuri come partnership industriale e non più come una vendita, appare agli interroganti in contrasto con la normativa vigente –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   con riferimento a operazioni come quella sopra descritta, se intenda assumere iniziative normative per:
    a) garantire la concorrenza ed evitare accordi, intese e/o cartelli che possano risultare lesivi o restrittivi della medesima;
    b) garantire il controllo analogo dell'ente pubblico sulle società che gestiscono i servizi pubblici affidati con particolare riferimento ai casi in cui il capitale della società non sia interamente pubblico;
    c) far si che l'affidamento diretto dei servizi pubblici decada nel momento in cui l'ente pubblico non esercita più il controllo analogo, anche a seguito di accordi tra diverse società o enti pubblici;
    d) rendere necessario un bando pubblico, per la cessione di qualsiasi diritto
su società pubbliche nonché per il successivo affidamento nella gestione di servizi pubblici;
   quali ulteriori iniziative, per quanto di competenza, intendano assumere in relazione a quanto esposto ed in che modo. (4-11514)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Colonnese e altri n. 4-11447, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 dicembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Micillo.

  L'interrogazione a risposta scritta Tofalo e Fico n. 4-11455, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 dicembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Micillo.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Vallascas n. 5-07258, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 dicembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Crippa, Zolezzi, Da Villa, Della Valle, Pesco.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA

   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   su «lacittà.eu», sito di informazione online viterbese, in un articolo del 12 luglio 2015 si può leggere la denuncia di un giornalista circa la perdita di un affresco del ’400 avvenuta a causa dei lavori all'intonaco della parte che lo ospitava in via San Leonardo 25 a Viterbo;
   la testimonianza dell'autore dell'articolo che aveva notato un'impalcatura di fronte alla parete ospitante gli affreschi, è la seguente: «Quei personaggi a mezzo busto con i caratteristici capelli arricciati, insomma un affresco unico a Viterbo, mai visti simili esposti sulle vie della nostra città. Sono paragonabili a quelli che si trovano in una sala del Palazzo Chigi. Incuriosito mi sono avvicinato ai muratori e ho chiesto cosa stessero facendo: “Stiamo rifacendo la facciata”. Risposta secca»;
   da quanto si apprende dalla testimonianza, il giornalista avrebbe avvisato le varie autorità competenti del comune, tra le quali il sindaco, circa il pericolo di arrecare possibili danni all'opera quattrocentesca;
   dalla descrizione dell'articolo si viene a conoscenza del fatto che il dirigente ai lavori pubblici e ambiente – manutenzioni – urbanistica – sportello unico per l'edilizia – residenziale pubblica del comune di Viterbo sarebbe intervenuto di persona sul posto prendendo visione degli affreschi;
   a metà articolo il giornalista scrive che «Alle ore 13 del 10 luglio 2015, passo ancora avanti alla casa con gli affreschi e vedo il ponteggio costruito fino al tetto e ben protetto da teli, quelli classici usati in edilizia. Tutto ben coperto. Ero ancora tranquillo, perché non ho guardato bene la facciata, non pensavo fosse accaduto l'irreparabile, e mi sono recato alla redazione e per scrupolo ho telefonato al dirigente ai Lavori Pubblici, il quale mi ha detto che quelli non erano affreschi, che non erano antichi, che l'intonaco si sbriciolava e che aveva avuto il consenso, non so da chi, e vorrei tanto saperlo, certo non dalla Soprintendenza, all'oscuro di tutto, che la facciata poteva essere privata dell'intonaco, che ripeto ha le pitture»;
   allertati dal giornalista, sia l'ispettore capo della polizia di Stato, in servizio presso la squadra di polizia giudiziaria Felice Orlandini che Fabiano Tiziano Fagliari Zeni Buchicchio, ispettore onorario del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, sono recati in via San Leonardo 23 prendendo visione di quanto accaduto e intimando «ai muratori di non abbattere l'ultimo pezzetto di affresco rimasto, posto sulla parte destra della facciata» –:
   se sia a conoscenza dei fatti in premessa;
   se la Soprintendenza sia stata tenuta all'oscuro dei fatti come si testimonia nell'articolo;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere nell'immediato per portare in evidenza eventuali responsabilità dell'accaduto (4-09817)

  Risposta. — Si riscontra l'interrogazione in esame, nella quale l'interrogante, con riferimento ad un articolo apparso su un sito di informazione online viterbese nel quale si denuncia la perdita di un affresco del'400, avvenuta a causa di lavori all'intonaco della facciata di un edificio del centro storico (via di San Leonardo), chiede di sapere se il Ministero sia a conoscenza del fatto e quali siano le iniziative che intende intraprendere per portare in evidenza eventuali responsabilità dell'accaduto.
  A tal proposito si comunica quanto segue.
  In data 8 settembre 2015 è stato effettuato un sopralluogo dell'immobile interessato dai lavori da parte di un funzionario della Soprintendenza paesaggistica territoriale, durante il quale si è potuta constatare la permanenza di parte del fregio sottostante i due spioventi del tetto a capanna.
  Quanto rimane delle due fasce sottostanti alle due falde è un elegante fregio a girali vegetali, dipinto in bianco con rinforzi di ocra rossa, eseguito su un intonachino chiaro databile tra il tardo ’400 e gli inizi del Cinquecento.
  Tale decorazione non è documentata nelle schede di catalogo «OA» (Opere e oggetto d'arte) della Soprintendenza competente, né risulta agli atti alcuna apposizione di vincolo di tutela a carico dell'edificio.
  Una documentazione fotografica relativa alla facciata dell'edificio e ad un dettaglio dell'intonaco dipinto è riportata nella pubblicazione curata da Simonetta Valtieri e Enzo Bentivoglio «Viterbo nel Rinascimento», Milano 2012, p. 87.
  In merito all'intervento di demolizione effettuato sulle decorazioni in oggetto, nessuna richiesta di rilascio di permesso è stata mai inoltrata alla Soprintendenza competente.
  Si fa presente che le risultanze del sopralluogo effettuato l'8 settembre 2015 sono state inviate dalla Soprintendenza paesaggistica con nota del 16 settembre 2015 anche alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Viterbo.
  In tale nota è stato inoltre specificato che il fregio risulta assoggettato all'articolo 11, comma a) del Codice dei beni culturali, secondo il quale sono beni culturali, in quanto oggetto di specifiche disposizioni di tutela «gli affreschi, gli stemmi, i graffiti, le lapidi, le iscrizioni, i tabernacoli e gli altri ornamenti di edifici, esposti o non alla pubblica vista, di cui all'articolo 50, comma 1».
  L'articolo 50 del Codice beni culturali, riguardante propriamente il «Distacco dei beni culturali», al comma 1 dispone che «è vietato, senza l'autorizzazione del soprintendente, disporre ed eseguire il distacco di affreschi, stemmi, graffiti, lapidi, iscrizioni, tabernacoli ed altri ornamenti, esposti o non alla pubblica vista».
  Da quanto comunicato dal dottor Felice Orlandini, Ispettore onorario del Ministero nel settore beni architettonici, storici ed etnoantropologici della provincia di Viterbo, nonché Ispettore capo della Polizia di Stato, in servizio presso la squadra di polizia giudiziaria, collaboratore del procuratore capo di Viterbo in numerose inchieste che hanno portato al recupero di opere d'arte trafugate, il palazzetto medievale in via San Leonardo è stato posto sotto sequestro preventivo.
  Il provvedimento è stato adottato dalla sezione di polizia giudiziaria della Procura della Repubblica di Viterbo in base all'articolo 321, comma 3-bis, del codice penale.
  La polizia giudiziaria è quindi intervenuta d'urgenza per evitare che la libera disponibilità dell'edificio potesse aggravare la situazione o agevolare la continuazione di eventuali reati. Resta purtroppo il fatto che degli antichi affreschi rimane solo una piccola porzione in alto a destra, in cui sono raffigurati dei girali su fondo rosso e una figura umana racchiusa in un riquadro.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo
Ilaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.

   CAPARINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   durante la campagna elettorale per le elezioni amministrative del 25 maggio 2014 nel comune di Salò (provincia di Brescia), il Comitato della lista «Progetto Salò – Lista civica Cipani» ha distribuito, durante una festa organizzata dal Comitato stesso, ai ragazzi tra i 18 e i 25 anni dei coupon da compilare con le proprie generalità per poter partecipare al «concorso a premi» dove venivano messi in palio 10 biglietti per i mondiali di calcio in Brasile, con tanto di pass per visitare la Casa degli azzurri, 4 biglietti per le partite di calcio del Milan, Inter a San Siro e Juventus a Torino, 4 biglietti per i concerti di Francesco Renga e 4 per Alessandra Amoroso e altri 2 biglietti per i concerti di Vasco Rossi e 2 per Luciano Ligabue. L'estrazione dei premi sarebbe dovuta avvenire a Gavardo (provincia di Brescia) una o due settimane dopo le elezioni;
   sembra che alcuni cittadini abbiano segnalato il caso alla Guardia di finanza chiedendo accertamenti sui fatti;
   i concorsi e le operazioni a premio, nonché le manifestazioni di sorte locali – tra le quali potrebbe figurare la suddetta manifestazione – sono disciplinate con decreto del Presidente della Repubblica del 26 ottobre 2001, n. 430. L'articolo 13 del citato decreto del Presidente della Repubblica prevede che è vietata ogni sorta di lotteria, tombola, riffa e pesca o banco di beneficenza, nonché ogni altra manifestazione avente analoghe caratteristiche ma sono, tuttavia, consentite le lotterie, le tombole e le pesche o banchi di beneficenza, promossi da enti morali, associazioni e comitati senza fini di lucro, aventi scopi assistenziali, culturali, ricreativi e sportivi e dalle organizzazioni non lucrative di utilità sociale se dette manifestazioni sono necessarie per far fronte alle esigenze finanziarie degli enti stessi nonché le lotterie, le tombole e le pesche o banchi di beneficenza, organizzate dai partiti o movimenti politici purché svolte nell'ambito di manifestazioni locali organizzate dagli stessi ed infine, le tombole effettuate in ambito familiare e privato, organizzate per fini prettamente ludici;
   l'articolo 13 continua specificando che per lotterie s'intende la manifestazione di sorte effettuata con la vendita di biglietti staccati da registri a matrice, concorrenti ad uno o più premi secondo l'ordine di estrazione, che per tombola s'intende la manifestazione di sorte effettuata con l'utilizzo di cartelle portanti una data quantità di numeri, dal numero 1 al 90, con premi assegnati alle cartelle nelle quali, all'estrazione dei numeri, per prime si sono verificate le combinazioni stabilite e che per pesche o banchi di beneficenza s'intendono le manifestazioni di sorte effettuate con vendita di biglietti, le quali, per la loro organizzazione, non si prestano per la emissione dei biglietti a matrice, una parte dei quali è abbinata ai premi in palio. L'iniziativa organizzata dal Comitato «Progetto Salò» non è ovviamente né una lotteria né tantomeno c’è stata da parte dei soggetti che hanno compilato il coupon la corresponsione di una somma;
   a parere dell'interrogante l'iniziativa promossa dal Comitato elettorale «Progetto Salò – Lista Civica Cipani» non sembra avere nessuna delle caratteristiche indicate dall'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica n. 430 del 2001, sopra indicate, e non rientrare quindi tra le categorie autorizzate alle «manifestazioni di sorte locali»;
   nel coupon è evidenziata la dicitura «Partecipa al concorso Progetto Salò», vengono date indicazioni circa il soggetto a cui consegnare il coupon compilato e si riporta la lista dei premi. Questo farebbe pensare che volessero far rientrare l'iniziativa, tra i «concorsi a premio» che vengono disciplinati dall'articolo 2 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 430 del 2001 il quale prevede che le manifestazioni pubblicitarie in cui l'attribuzione dei premi offerti, ad uno o più partecipanti ovvero a terzi, avvenga anche senza alcuna condizione di acquisto o vendita di prodotti o servizi;
   sembra che il Presidente del Comitato elettorale avesse dichiarato che l'estrazione sarebbe stata effettuata da una associazione diversa dal Comitato, peccato che il coupon riporta visibilmente il simbolo della Lista Civica «Progetto Salò». Inoltre, sembra che l'estrazione, prevista dopo la campagna elettorale, non sia più avvenuta, in quanto non è stata né organizzata né realizzata;
   l'articolo 10 del suddetto decreto del Presidente della Repubblica n. 430 del 2001 prevede che i soggetti che intendono svolgere un concorso a premio ne danno comunicazione, prima dell'inizio, al Ministero delle attività produttive mediante compilazione e trasmissione di apposito modulo, dallo stesso predisposto, fornendo altresì il regolamento del concorso nonché la documentazione comprovante l'avvenuto versamento della cauzione. Inoltre, i soggetti che intendono svolgere una operazione a premio redigono un apposito regolamento, autocertificato con dichiarazione sostitutiva di atto notorio resa dal rappresentante legale della ditta promotrice, che è conservato presso la sede di quest'ultima per tutta la durata della manifestazione e per i dodici mesi successivi alla sua conclusione;
   infine l'articolo 12 sempre del suddetto decreto del Presidente della Repubblica n. 430 del 2001 prevede che sia il Ministero dello sviluppo economico ad effettuare l'attività di controllo sui concorsi e sulle operazioni a premio e che, se vengono segnalate o individuate manifestazioni in corso che si presumono vietate, il Ministero assegna al soggetto promotore quindici giorni di tempo per presentare le proprie controdeduzioni. Entro sessanta giorni dalla predetta richiesta il Ministero, se ravvisa la sussistenza di una o più violazioni, adotta, con decreto motivato, un provvedimento di immediata cessazione della manifestazione;
   occorrerebbe inoltre verificare se i dati personali siano stati raccolti in conformità alle disposizioni di legge che prevedono che ci sia una espressa autorizzazione da parte del soggetto interessato al trattamento dei dati personali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se detta iniziativa sia stata autorizzata tramite compilazione dell'apposito modulo da parte degli organizzatori, così come previsto dall'articolo 10 del suddetto decreto del Presidente della Repubblica n. 430, e se vi sia stata attività di controllo da parte del Ministero anche dietro segnalazione così come previsto dall'articolo 12, sempre del suddetto decreto del Presidente della Repubblica. (4-08764)

  Risposta. — Occorre innanzitutto premettere che l'attività di controllo ed eventualmente sanzionatoria relativa alle manifestazioni a premio rientra nell'ambito della gestione amministrativa e non è compresa fra gli atti riservati all'indirizzo politico: pertanto gli organi di indirizzo politico ne vengono informati in termini generali e non con riferimento alle singole vicende e fattispecie, salvo che non ne emerga l'esigenza per acquisire indirizzi generali o, come è avvenuto in questo caso, per corrispondere a una richiesta parlamentare nell'ambito del sindacato ispettivo.
  Effettivamente, nel maggio 2014 la divisione competente della Direzione generale del Ministero dello sviluppo economico, preposta al controllo sulle manifestazioni a premio svolte sul territorio italiano ha ricevuto due segnalazioni da parte di alcuni cittadini del comune di Salò (BS) e, successivamente, da parte della tenenza della guardia di finanza di Salò che, a sua volta, aveva ricevuto un esposto in merito ad un'iniziativa premiale che sarebbe stata organizzata durante la campagna elettorale per le elezioni amministrative del 25 maggio 2014 nel comune di Salò (BS) dal comitato della lista «Progetto Salò – Lista civica Cipani».
  Già a seguito della prima segnalazione, verificato fra l'altro che non risultava presentata alcuna preventiva comunicazione della manifestazione in questione, ai sensi e secondo le procedure prescritte in caso di concorsi a premio dal decreto del Presidente
della Repubblica 26 ottobre 2001, n. 430, la predetta divisione competente, nell'esercizio dei propri compiti di controllo, chiedeva chiarimenti al Presidente del comitato succitato e avviava un procedimento amministrativo di contestazione preliminare. Occorreva infatti accertare se effettivamente, come affermato dalle segnalazioni acquisite, un soggetto non legittimato a svolgere una manifestazione a premio avesse posto in essere, peraltro senza la prescritta preventiva comunicazione, un'iniziativa premiale che l'articolo 5, comma 1, del regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica riserva esclusivamente alle imprese.
  Il Presidente del comitato trasmetteva al ministero le sue controdeduzioni dichiarando che in effetti non si era svolta, e che in particolare non si era svolta né la pubblicità dell'iniziativa, né la successiva estrazione dei premi, circostanza, quest'ultima, che aveva rilevato la stessa tenenza della guardia di finanza di Salò con propria e-mail trasmessa all'ufficio procedente.
  Al fine di chiudere il procedimento di contestazione, il ministero richiedeva alla guardia di finanza di riscontrare ulteriormente se l'iniziativa effettivamente non avesse avuto luogo e, con l'occasione, evidenziava anche, per la contraria ipotesi di effettivo svolgimento, quali sono le condizioni secondo cui l'iniziativa si sarebbe configurata non quale manifestazione a premio, bensì come manifestazione di sorte locale di cui alla lettera b), comma 1, dell'articolo 13 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 430 del 2001, che consente ai partiti o ai movimenti politici di organizzare lotterie, tombole, pesche o banchi di beneficenza per far fronte alle esigenze finanziarie degli stessi, con conseguente competenza locale all'accertamento di eventuali violazioni.
  Non essendosi tale accertamento concluso entro un tempo ragionevole, evidentemente per la concreta difficoltà da un lato ad accertare i fatti e dall'altro a definirne la qualificazione giuridica, e non essendo quindi più possibile effettuare entro i perentori termini prescritti la formale contestazione di eventuali violazioni, l'ufficio, tenuto conto peraltro del limitato rilievo della fattispecie in questione, ha archiviato la pratica. Non era infatti comunque più possibile adottare, con riferimento a tale iniziativa, alcun divieto di svolgimento della manifestazione, che naturalmente ha motivo di essere adottato solo prima che la manifestazione si sia conclusa o prima che vi sia stata rinuncia al suo svolgimento, né provvedimenti di applicazione di sanzioni pecuniarie amministrative, che richiedono l'accertamento e la precisa individuazione della violazione, oltre che del dolo o della colpa che ne costituisce il presupposto soggettivo, e la contestazione della stessa entro un ristretto termine stabilito.
  In conclusione, se, da un lato, non si è potuto accertare, né escludere in assoluto, che vi sia stata una violazione formale della disciplina sui concorsi a premio, ovvero di quella sulle manifestazioni di sorte locale, dall'altro, si è tuttavia constatato sul piano sostanziale che il carattere comunque gratuito della partecipazione all'iniziativa consentiva di escludere lesioni dell'interesse pubblico alla riserva statale relativa al lotto e alle lotterie, e, unitamente all'assenza di forme di pubblicità e di concrete prove di svolgimento della manifestazione, ovvero di segnalazioni di soggetti che avessero effettivamente partecipato alla stessa vedendo poi frustrata la loro aspettativa a concorrere all'assegnazione di un premio, consentiva di escludere anche il concreto verificarsi di ipotesi di lesione degli interessi dei consumatori.
  Si coglie l'occasione per evidenziare, a prescindere dal concreto caso qui considerato, che il Ministero da tempo ha allo studio e si riserva di definire quanto prima un'apposita iniziativa normativa di chiarimento e semplificazione delle norme in questione, che rendano più immediato per tutti gli operatori e i soggetti interessati individuare quale sia la disciplina effettivamente applicabile nei diversi casi e, nel contempo, renda i relativi adempimenti e, soprattutto le relative sanzioni in caso di violazioni, maggiormente proporzionati rispetto all'importanza dell'interesse tutelato. A tale fine, appare prioritario mantenere sanzioni significativamente elevate nei minimi
e nei massimi quando sia leso l'interesse erariale alla riserva statale per lotto e lotterie, consentendo invece negli altri casi sanzioni maggiormente graduate sia rispetto al grado di lesione potenziale o effettiva dell'interesse dei consumatori sia rispetto all'effettiva gravità della violazione, a fronte di una sanzione attualmente prevista con una misura minima di almeno 50.000 euro, da applicare anche in caso di manifestazione di portata limitata e con premi del valore di poche decine di euro ed anche in caso di violazioni meramente formali, quali la sola totale mancanza della comunicazione preventiva, pur in assenza di altre violazioni sostanziali.
La Sottosegretaria di Stato per lo sviluppo economico
Simona Vicari.

   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   preoccupante è la situazione in cui versano le nostre stazioni ferroviarie, prive di sufficienti controlli e di un adeguato livello di sicurezza;
   in particolare, gravissima è la situazione in cui versa la stazione centrale di Palermo, una tra le 15 più grandi stazioni d'Italia con 52 mila transiti giornalieri, per un totale di circa 19 milioni di utenti l'anno e 250 treni al giorno;
   secondo la denuncia della Consap, Confederazione Sindacale autonoma di polizia, infatti, ormai da due anni l'impianto di videosorveglianza non è più in funzione;
   si tratta di un impianto di ben 80 telecamere, installate grazie ad un progetto denominato «Stazioni Sicure», finanziato con il Programma operativo per la sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno d'Italia, cofinanziato dall'Unione europea con il Fondo europeo per lo sviluppo regionale (FESR) e con il Fondo Sociale Europeo (FSE);
   nel libro-obiettivo del Programma Operativo Nazionale «sicurezza per lo sviluppo del mezzogiorno d'Italia 2000-2006», costato complessivamente 1.225.836.000, si afferma che ben 1200 telecamere sono state installate nelle stazioni ferroviarie interessate dal progetto, di cui quella di Palermo è stata la più grande, dopo Napoli Centrale;
   nonostante l'ingente costo del progetto, il Ministero competente non avrebbe però i soldi per la manutenzione e, pertanto, sia le telecamere all'interno della stazione di Palermo, sia quelle sotto i portici sarebbero rimaste a semplice decoro della struttura;
   anche il Video-Wall, il grande schermo di regia che si trova all'interno della Sala Operativa della Polfer di Palermo, sarebbe totalmente fuori uso, così come i server utilizzati dalla Polizia e installati con gli stessi fondi, di cui solo la metà funzionanti;
   secondo la denuncia dei dirigenti del sindacato di polizia, i pezzi di ricambio del sistema sono molto cari e non è chiaro chi dovrebbe sostenere tali costi;
   lo stesso segretario provinciale della Consap di Palermo, Domenico Milazzo, ha dichiarato: «Data la gravità della cosa, ci saremmo aspettati interventi urgenti in tal senso, o almeno una forte presa di posizione da parte del Dirigente del Compartimento Polfer Sicilia. Tuttavia, oltre le sollecitazioni istituzionali di rito, nulla di concreto è stato realizzato a favore dei poliziotti, né per la sicurezza dei viaggiatori, ignari del fatto che non esiste alcun sistema di sicurezza a tutelarli. Il risultato è dunque potenzialmente catastrofico. A questo si aggiunga che, a causa di carenze di personale, le pattuglie che presidiano la stazione sono pochissime, mai più di una per turno, ossia due uomini ! Piove sul bagnato, insomma»;
   oltre al danno la beffa, se si considera che sul sito di grandistazioni.it si parla di interventi di riqualificazione con «la risistemazione delle aree urbane intorno alla stazione» di Palermo, ma nulla si dice in merito a interventi di sicurezza;
   ancora una volta, si assiste a un intollerabile spreco di denaro pubblico, con centinaia di migliaia di euro investiti inutilmente in un progetto gigantesco e costosissimo, ma inutilizzabile, poiché necessita di ulteriori investimenti per la sua manutenzione;
   tale incresciosa situazione riguarda numerose altre Stazioni ferroviarie italiane e perfino la stazione di Roma Termini con circa 50 telecamere fuori uso, alcune delle quali in luoghi strategici e sui binari;
   come se ciò non bastasse, il numero degli uomini impegnati nel pattugliamento della stazione stessa è assolutamente inadeguato, insufficiente per una delle più grandi stazioni d'Europa con 225.000 metri quadri di superficie totale, circa 480.000 frequentatori al giorno per un totale di oltre 150 milioni ogni anno e 850 treni al giorno;
   gli effetti dello spreco di denaro pubblico, unitamente alla carenza di personale Polfer, vittima dei durissimi tagli, del blocco stipendiale e del blocco del turn-over che costringe il comparto sicurezza a un organico molto al di sotto delle reali necessità, si registrano purtroppo nei recenti fatti di cronaca che hanno interessato stazioni ferroviarie sfornite di telecamere, come a Tortona dove nell'aprile scorso un tentato stupro è stato sventato solo grazie all'intervento della Polfer (che però rischia di chiudere il suo presidio) o a Milazzo dove nel dicembre 2013 ignoti hanno danneggiato la stazione, priva di telecamere di sicurezza;
   nonostante ciò, la società Ferrovie dello Stato italiane, nel sito istituzionale continua a sostenere che «gli ambienti ferroviari sono costantemente protetti dagli agenti della Polizia ferroviaria e dai più avanzati sistemi di sorveglianza e sicurezza» –:
   se i Ministri sono a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, accertata la gravità degli stessi, quali urgenti provvedimenti ritengano opportuno adottare per consentire il corretto funzionamento dei sistemi di sorveglianza nelle stazioni ferroviarie italiane, a tutela dei viaggiatori e dei cittadini, in generale, nonché se non ritengano opportuno e ormai improcrastinabile investire sull'ordine pubblico, al fine di evitare che i durissimi tagli, il blocco stipendiale e il blocco del turn-over portino al collasso del sistema. (4-05299)

  Risposta. — In riferimento alla problematica in esame, si comunica che con i fondi dei Programmi operativi nazionali (PON) obiettivo operativo 2000/2006 sono stati acquistati, per la specialità della polizia ferroviaria, dispositivi all'avanguardia sia hardware che software.
  Coi predetti fondi sono state realizzate 15 sale operative e 15 impianti di videosorveglianza presso le stazioni di Napoli Centrale, Napoli Campi Flegrei, Caserta, Salerno, Bari, Lecce, Foggia, Palermo, Catania, Messina, Reggio Calabria, Rosarno, Paola, Cagliari e Villa San Giovanni. In una fase successiva, inoltre, sono stati realizzati gli impianti di videosorveglianza nelle stazioni della linea 2 della metropolitana di Napoli.
  Attualmente, la direzione centrale per la polizia stradale, ferroviaria, delle comunicazioni e per i reparti speciali della polizia di Stato e il gruppo FS-direzione centrale protezione aziendale stanno realizzando uno studio di fattibilità per la predisposizione di un progetto di riqualificazione degli impianti tecnologici della citata specialità che include anche gli impianti di videosorveglianza realizzati coi fondi PON 2000/2006.
  Si rappresenta, infine, che il gruppo FS, d'intesa con il servizio polizia ferroviaria della citata direzione, sta attuando un progetto che consentirà l'unificazione degli impianti esistenti in un'unica «Piattaforma TVCC», con contestuale remotizzazione nelle sale operative compartimentali della polizia ferroviaria anche di quelli installati nelle stazioni non presidiate da uffici della Polfer.
Il Viceministro dell'interno
Filippo Bubbico.

   CRIPPA e DA VILLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 16 febbraio 2015 il Ministero dello sviluppo economico ha autorizzato la società petrolifera australiana Po Valley Operations ad ampliare il permesso di ricerca nel sottofondo marino già vigente A.R 94.PY riperimetrando di fatto a 526 chilometri quadrati la superficie precedentemente concessa (197,1 chilometri quadrati);
   tale riperimetrazione estenderebbe le attività di ricerca di gas e petrolio in mare entro le 12 miglia dalla costa;
   tale sconfinamento, ad avviso dell'interrogante, andrebbe in violazione del decreto legislativo aprile 2006, n. 152, articolo 6, comma 17, che di fatto vieta le attività di ricerca, prospezione e coltivazione idrocarburi nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l'intero perimetro costiero nazionale;
   la riperimetrazione parrebbe violare il decreto legislativo 11 agosto 2010, n. 186, articolo 17;
   in merito, alcune associazioni ambientaliste (in particolare FAI, Greenpeace, Legambiente, Marevivo, Touring Club Italiano e WWF) hanno provveduto a presentare ricorso presso il TAR del Lazio contro i Ministeri dello sviluppo economico, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle infrastrutture e dei trasporti, e delle politiche agricole alimentari e forestali, e nei confronti della società PO Valley Operations PTY LTD, Regione Emilia Romagna, comune di Ravenna e ISPRA, in merito alla concessione di un titolo per la ricerca in mare di petrolio e gas davanti alle coste della provincia di Ravenna;
   secondo le associazioni ricorrenti la situazione sopracitata svelerebbe, come le stesse dichiarano nella nota stampa pubblicata sul sito «www.legambiente.it», «[...] un'interpretazione abnorme dell'articolo 35 del decreto Sviluppo del 2012 [...]. Quella norma prevedeva una deroga al limite delle 12 miglia, e faceva salvi i procedimenti autorizzatori e concessori in corso alla data del 29 giugno 2010. Come ha già chiarito però il Consiglio di Stato, questa espressione («conseguenti e connessi») fa riferimento solo a titoli che costituiscono “attuazione” di provvedimenti già adottati, mentre «devono ritenersi esorbitanti [...] quelle iniziative che si risolvono nell'esistenza di un nuovo titolo abilitativo o, comunque, in una modifica del titolo già esistente [...]»;
   non traspare la ratio che ha portato a concepire l'ampliamento di un'area già concessa come rientrante nella fattispecie sopradescritta;
   se non si ponesse rimedio, la situazione sopracitata rischia di diventare un pericoloso precedente che, se utilizzato per ogni permesso già rilasciato, finirebbe per vanificare il divieto delle 12 miglia sopracitato –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   se in particolare il Ministro dello sviluppo economico non ritenga di rivedere la concessione della riperimetrazione disposta a favore della società australiana Po Valley Operations, riportando la stessa all'interno dei limiti di legge vigenti.
(4-10328)

  Risposta. — La vicenda presa in esame dagli interroganti trae origine dall'istanza di conferimento del permesso di ricerca presentata dalla società Po valley operation Pty Ltd. nel 2007, al fine di ottenere il titolo abilitativo esclusivo di ricerca di idrocarburi nel mare Adriatico (zona A).
  Nel corso del procedimento, la normativa applicabile al settore subiva tuttavia delle modifiche.
  In particolare, sulla scia dell'incidente del golfo del Messino, con il decreto legislativo n. 128 del 2010 è stato modificato l'articolo 6 del decreto legislativo n. 152 del 2006, introducendo, ai fini di tutela ambientale, dei limiti per lo svolgimento delle attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare. Le predette attività venivano infatti, vietate all'interno delle aree marine e costiere protette, nonché entro le dodici miglia dal perimetro esterno di tali aree e, per i soli idrocarburi liquidi, nella fascia marina compresa entro cinque miglia dalle linee di base delle acque territoriali, lungo l'intero perimetro costiero nazionale.
  La norma precisava altresì che le nuove disposizioni si applicavano a tutti i procedimenti autorizzatori in corso alla data di entrata in vigore delle stesse, salva «l'efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati alla stessa data».
  Al fine di chiarire alcuni dubbi interpretativi sorti in merito all'applicazione della citata normativa, è intervenuto il Consiglio di Stato che, pronunciandosi con il parere citato dagli stessi interroganti (parere del 20 ottobre 2011, n. 123), ha avuto modo di chiarire il concetto di «titoli abilitativi» fatti salvi dall'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo n. 152 del 2006, come introdotto dal decreto legislativo n. 128 del 2010.
  È stato pertanto specificato dal Consiglio di Stato che, dovendosi intendere, per «titoli abilitativi», i permessi di prospezione, i permessi di ricerca e le concessioni di coltivazione, limitatamente ai rispettivi contenuti, dovevano ritenersi coperte dalla clausola di salvaguardia prevista dal decreto legislativo n. 128 del 2010 e quindi escluse dai divieti posti dalla nuova normativa, tutte quelle misure volte a dare attuazione ai citati provvedimenti o a consentire interventi di manutenzione o di messa in sicurezza dei relativi impianti, ma non anche quelle iniziative consistenti invece in nuovi titoli abilitativi o nella modifica sostanziale dei titoli esistenti.
  In ottemperanza al nuovo disposto normativo ed essendo ancora in corso il procedimento per il rilascio del titolo abilitativo, la società istante, il 21 marzo 2012, presentava domanda di riperimetrazione, per la riduzione dell'area oggetto dell'istanza di permesso di ricerca presentata nel 2007; il 10 luglio 2012 veniva quindi conferito il permesso di ricerca, relativamente all'area ridotta (pari a 197,7 chilometri quadrati), rispetto all'area originariamente richiesta (pari a 526 chilometri quadrati).
  Nel frattempo, il parere del Consiglio di Stato, relativo al decreto legislativo n. 128 del 2010, veniva superato dalle nuove disposizioni dettate dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito (con modificazioni) dalla legge 7 agosto 2012, n. 134.
  L'articolo 35, comma 1, del citato decreto-legge n. 83 del 2012 ha infatti nuovamente apportato modifiche all'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo n. 152 del 2006, fissando un'unica fascia di rispetto per lo svolgimento delle attività upstream in materia di idrocarburi, sia olio che gas, pari a dodici miglia sia dalle linee di costa che dal perimetro esterno delle aree marine e costiere protette, oltre al divieto mantenuto all'interno di tali aree.
  Il decreto-legge n. 83 del 2012 ha inoltre previsto anch'esso una clausola di salvaguardia in base alla quale non si applicano i nuovi e più stringenti limiti, relativamente ai «procedimenti concessori in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 29 giugno 2010 n. 128 ed ai procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi», facendo altresì salva «l'efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati alla medesima data, anche ai fini della esecuzione delle attività di ricerca, sviluppo e coltivazione da autorizzare nell'ambito dei titoli stessi, delle eventuali relative proroghe e dei procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi».
  Le previgenti disposizioni, interpretate dal Consiglio di Stato, risultano dunque superate dalle nuove norme del decreto-legge n. 83 del 2012, in particolare in riferimento ai procedimenti ancora in corso al momento dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 128 del 2010, esclusi, in base alla novella normativa, dall'applicazione dei limiti delle 12 miglia, previsti dal nuovo decreto-legge n. 83 del 2012.
  Ciò anche al fine, come si legge nella relazione illustrativa che accompagna il citato provvedimento governativo, di «evitare richieste di risarcimento da parte delle
imprese allo Stato italiano per la revoca degli affidamenti fatta ad investimenti in corso».
  In base al nuovo contesto normativo, la Po valley operation Pty Ltd., nel novembre 2012, ha pertanto fatto richiesta al Ministero scrivente di estendere l'area del permesso conferito nel luglio 2012, anche alla porzione di superficie precedentemente espunta.
  In base alla precedente formulazione del decreto legislativo n. 128 del 2010, che inibiva entro determinate aree anche i procedimenti in corso, la Società aveva, infatti, richiesto la riduzione dell'area oggetto dell'istanza per il rilascio del permesso di ricerca.
  Una volta concluso il procedimento e conferito il titolo per l'area ridotta, la normativa di riferimento subiva, tuttavia, ulteriori modifiche con il decreto-legge n. 83 del 2012 che, diversamente dal precedente decreto legislativo n. 128 del 2010, prevede infatti che non siano soggetti ai limiti introdotti anche i procedimenti concessori di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge n. 9 del 1991, in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 128 del 2010. Ritenendo dunque che tra questi potesse rientrare anche il procedimento di rilascio del permesso di ricerca relativo alla Po valley, in quanto attivato nel 2007 ed ancora in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 128 del 2010, è stata accolta l'istanza con la quale la società ha manifestato il proprio interesse a vedersi attribuita l'intera area del permesso di ricerca come originariamente richiesta, al fine di salvaguardare, in applicazione della novella normativa, il procedimento e dunque il relativo provvedimento conclusivo, così come originariamente instaurato.
  Si rileva, dunque che l'accoglimento dell'istanza di riperimetrazione dell'area da parte dei competenti uffici del Ministero dello sviluppo economico è avvenuto in virtù della clausola di salvaguardia, prevista dal testo attualmente vigente dell'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo n. 152 del 2006, per i procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 128 del 2010, oltre che per «i procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi».
  Con il provvedimento in questione si è inteso, altresì, tutelare il legittimo affidamento che gli operatori interessati hanno riposto nella disciplina applicabile alle rispettive istanze, al momento della loro presentazione.
La Sottosegretaria di Stato per lo sviluppo economico
Simona Vicari.

   D'INCÀ, PETRAROLI, BRUGNEROTTO, TOFALO, DA VILLA, SPESSOTTO e BUSINAROLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 28 febbraio 2013 su disposizione della procura di Venezia la Guardia di finanza ha tratto in arresto, con l'accusa di associazione per delinquere finalizzata all'evasione delle imposte mediante emissione e utilizzo di fatture false, l'amministratore delegato dell'impresa di costruzioni ingegner E. Mantovani spa, ingegner Piergiorgio Baita, il dottor Nicolò Buson, responsabile amministrativo della stessa impresa, l'ex segretaria dell'ex governatore del Veneto Giancarlo Galan, Claudia Minutillo, ora amministratore delegato di Adria infrastrutture, e il signor William Colombelli, presidente della società sanmarinese Bmc Broke;
   il 12 luglio 2013, l'ex presidente e direttore generale del consorzio Venezia Nuova, ingegner Giovanni Mazzacurati, dimessosi dalla carica il 28 giugno 2013, è stato tratto agli arresti domiciliari insieme ad altre 7 persone con l'accusa di turbativa d'asta, nel corso di una operazione condotta dalla Guardia di finanza nei confronti del consorzio Venezia Nuova e di numerose società consorziate, impegnate nei lavori di costruzione del MOSE;
   nell'ordinanza di custodia cautelare il gip Alberto Scaramuzza definisce l'indagine che coinvolge l'ingegner Giovanni Mazzacurati come «affine ma distinta» a quella che vede già coinvolto l'ingegner Piergiorgio Baita;
   in data 17 giugno 2014 «Il Fatto Quotidiano», pubblicava un articolo in relazione alle indagini della Procura suesposte, ponendo in evidenza il fatto che in relazione ai brevetti del Mose sviluppati a spese dello Stato ma detenuti dalle imprese, la società padovana Fip Industriale spa controllata dalla famiglia Chiarotto e quindi dall'Impresa Mantovani (una delle principali imprese del Consorzio Venezia Nuova impegnate nella realizzazione del Mose), ha registrato a suo nome il brevetto per le cerniere delle paratoie mobili, le gigantesche cerniere necessarie alla movimentazione delle paratoie del Mose, il sistema di barriere mobili a protezione della laguna di Venezia;
   in data 11 ottobre 2013 «Edilizia e Territorio» de Il Sole 24 Ore pubblicava un articolo sull'amministratore delegato di Fip Industriale (Padova) Mauro Scaramuzza e un funzionario della stessa impresa, Achille Soffiato, arrestati su disposizione della direzione distrettuale antimafia della procura di Catania con la pesantissima accusa di «concorso esterno in associazione mafiosa» per aver collaborato con un clan locale che avrebbe messo gli occhi sulla costruzione della tangenziale di Caltagirone, in Sicilia. Un'opera appaltata dall'Anas, di 8,7 chilometri e del costo di 112 milioni di euro. Nell'inchiesta sono coinvolti anche alcuni funzionari Anas –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suesposti, quali iniziative intenda attuare, per quanto di competenza, per la tutela dei brevetti appartenenti allo Stato, se ritenga di assumere iniziative, per quanto di competenza, per accertare eventuali responsabilità e nel caso agire nei confronti degli autori e con quali modalità, e se intenda mettere fine a tale disinvolta gestione della spesa per le opere statali;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative per revocare, in via cautelativa e sino a compimento delle indagini, il contratto con la società FIP Industriale spa anche in merito alla registrazione del brevetto delle cerniere delle paratoie mobili. (4-05753)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
  Da una ricerca effettuata presso la banca dati della Direzione generale per la lotta alla contraffazione – Ufficio italiano brevetti e marchi, al 24 settembre 2015, emergerebbe che gli interroganti sembrerebbero riferirsi al brevetto numero 1391253 del 1o dicembre 2011, di cui risulta richiedente la Fip industriale Spa e inventore Chiaretto Renato. Tale brevetto ha come oggetto: «struttura di collegamento di un elemento meccanico ad un altro elemento posizionato su elementi di fondazione subacquea».
  La domanda, sottoposta positivamente all'esame di ricerca di anteriorità presso l'ufficio europeo dei brevetti (Epo), ha avuto un rapporto totalmente positivo con riferimento ai presupposti di registrazione del brevetto e conseguentemente i competenti uffici non potevano che concedere il titolo brevettuale in questione.
  Nel fascicolo presso la citata direzione non risultano documenti inviati da qualsiasi tribunale che evidenzino contenziosi in corso.
  Da un'ulteriore ricerca sulla banca dati dell'Epo (espacenet) non si evince che la domanda sia stata estesa a livello europeo o internazionale (pct).
  Dalle informazioni assunte presso la società Invitalia, ente gestore della misura di incentivo «Brevetti + e Brevetti + 2», la Fip industriale Spa non risulta aver presentato domanda di finanziamento a valere su entrambe le misure.
  In relazione al primo quesito si evidenzia quanto prescritto all'articolo 119, comma 1, del codice della proprietà industriale (di seguito cpi) e precisamente: «Dinnanzi l'Ufficio italiano brevetti e marchi si presume che il richiedente sia titolare del diritto alla registrazione oppure al brevetto e sia legittimato ad usarlo», di conseguenza non si hanno elementi sufficienti
per porre in essere azioni di rivendica sul brevetto de quo della Fip industriale Spa così come richiesto dagli interroganti.
La Sottosegretaria di Stato per lo sviluppo economico
Simona Vicari.

   DI GIOIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a Cagliari risultano a rischio i fondi per la messa in sicurezza del quartiere di via Peschiera, sul colle di Tuvumannu, colpito nel 2008 da crolli e smottamenti. Come annunciato dall'assessore ai trasporti Mauro Coni, in risposta ad una interrogazione presentata in consiglio comunale da tre esponenti del Pd, risulta che il Governo potrebbe dirottare parte dei finanziamenti previsti per la messa in sicurezza del quartiere di via Peschiera, per l'esattezza 1,2 milioni di euro, verso Olbia colpita il 18 novembre 2013, dal ciclone Cleopatra;
   nel 2008 in via Peschiera, si aprì un cratere così profondo da ingoiare un'auto Audi (proprietà di Gianluca Morelli); questa ed altre aree limitrofe furono in seguito evacuate e molti edifici vennero chiusi per via del pericolo. Nel 2009 si fece ricorso alla giustizia per indagare su eventuali responsabilità del comune per mancate misure di consolidamento e di Abbanoa (Ente delle acque) per le perdite idriche. Le indagini geologiche e geotermiche rivelarono un sottosuolo di voragini e caverne, colmate un tempo con della terra di riporto che torrenti, generati da perdite idriche, hanno trascinato via, lasciando un «vuoto sotterraneo»;
   la strada di via Peschiera è ancora oggi transennata costringendo gli abitanti del quartiere a vivere una quotidianità disagiata, a causa dei limiti di transito, del mancato ritiro dei rifiuti, dei parcheggi bloccati. I lavori attesi dal 2008 non hanno mai avuto inizio, nonostante la situazione di grande pericolo e il dissesto idrogeologico del territorio richiedano l'attuazione urgente di interventi strutturali e di stabilizzazione dell'intero quartiere;
   il progetto per la messa in sicurezza dell'intera area è già pronto e condiviso dagli enti interessati; il comune ha già messo a disposizione i fondi che permettono la messa in sicurezza delle vie più a rischio, ma tali fondi risultano insufficienti senza il concorso di risorse da parte della regione e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, come previsto dall'accordo di programma firmato nel 2008;
   i lavori sono rimasti bloccati a causa del mancato via libera da parte di Efisio Orrù, commissario straordinario, nominato dalla regione per gli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, che, a quanto consta all'interrogante, non si è dimostrato propenso ad autorizzare la destinazione dei fondi sulla base delle elaborazioni progettuali, col rischio che questi soldi non spesi vengano dirottati dal Governo altrove, così come sembra stia accadendo;
   alcuni mesi fa Patrizia Tramaioni, portavoce del Comitato spontaneo composto dagli abitanti del quartiere di via Peschiera, scriveva: «Questo freno dell'ultima ora non consentirebbe di mettere in sicurezza l'area come programmato e come accordato, in quanto le risorse comunali non sarebbero sufficienti, lasciando l'abitato transennato dal 2008 e privo di servizi, condannandolo alle limitazioni veicolari, all'inaccessibilità totale nelle strade dichiarate più a rischio, all'isolamento e lo stato di abbandono più totale –:
   se corrisponda al vero quanto sopra esposto e se non si ritenga urgente e necessario prendere atto delle istanze dell'assessore ai trasporti di Cagliari e dei cittadini che vivono nel quartiere di via Peschiera in condizioni di grande rischio e disagio, aprendo con essi e con tutte parti interessate un tavolo di confronto;
   se non si ritenga opportuno, in ogni caso, intervenire al fine di assicurare i finanziamenti statali previsti (1,2 milioni di euro) per la messa in sicurezza del quartiere e dei suoi abitanti, e trovare al contempo le risorse e le soluzioni necessarie per intervenire nel territorio di Olbia, drammaticamente colpito dalla terribile alluvione del novembre 2013, senza creare una incomprensibile contrapposizione tra due realtà territoriali che aspettano entrambe di veder risolte le loro istanze. (4-03606)

  Risposta. — Con riferimento ai quesiti posti dall'interrogante, si evidenzia che con la delibera Cipe n. 8 del 20 gennaio 2012, sono stati finanziati, ai fini della prevenzione e della mitigazione del rischio idrogeologico, 532 interventi di carattere strategico regionale prioritari e urgenti, per un costo di circa 648 milioni di euro contenuti all'interno di accordi di programma siglati a partire dal 2010 tra il Ministero dell'ambiente e le regioni Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna, ai sensi dell'articolo 2, comma 240, della legge 23 dicembre 2009, n. 191.
  Per l'attuazione degli interventi suddetti sono stati individuati e delegati dapprima i Commissari straordinari di nomina governativa, ai sensi dell'articolo 17 della legge n. 26 del 2010 ai quali sono subentrati, nel giugno 2014, i Presidenti di regione, ai sensi del decreto legge n. 91 del 2014, cui è stata trasferita anche la contabilità speciale.
  Per l'espletamento delle attività previste, alcuni Presidenti di regione del mezzogiorno hanno delegato un apposito soggetto attuatore che opera sulla base di specifiche indicazioni ricevute da questi.
  La regione Sardegna ha siglato un primo accordo di programma con il Ministero dell'ambiente in data 23 dicembre 2010, per 17 interventi di importo complessivo pari a euro 70.065.510,00. Successivamente sono stati sottoscritti tre atti integrativi, che hanno rimodulato il numero e gli importi degli interventi.
  Allo stato, pertanto, l'importo complessivo degli interventi risulta essere di euro 100.734.402,56, di cui euro 18.558.477,22 a valere su fondi statali e i restanti euro 82.175.925,34 a valere su fondi regionali. Questo Ministero ha provveduto a trasferire alla regione Sardegna l'intero importo di competenza.
  Tra gli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico, l'intervento CA008A/10-2 di via Peschiera, per un costo di euro 1.200.000,00 risulta ancora in programma e sarà finanziato con fondi regionali mentre, per l'intervento CA008A/10-1 per un importo di euro 800.000,00, destinato a risolvere le problematiche di subsidenza in piazza d'Armi, risultano già aggiudicati i relativi lavori.
  Infine, per quanto attiene ai danni causati dagli eventi alluvionali che nel mese di novembre 2013 hanno colpito il territorio di Olbia, sulla base degli elementi acquisiti dal Ministero dell'economia e delle finanze, si rappresenta che per far fronte alla citata emergenza, la delibera del Consiglio dei ministri del 19 novembre 2013 nel dichiarare lo stato di emergenza per la durata di 180 giorni, ha disposto l'assegnazione di risorse nel limite di 20 milioni di euro in favore dei territori colpiti dall'evento richiamato.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare
Gian Luca Galletti.

   MANLIO DI STEFANO, DEL GROSSO, DI BATTISTA, GRANDE, SCAGLIUSI, SIBILIA e SPADONI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   i sottoscrittori del presente atto di sindacato ispettivo hanno presentato, in data 19 ottobre 2015, l'interrogazione n. 4-10790 riguardante la società italiana denominata «AlmavivA» aggiudicataria dell'appalto per lo sviluppo e la gestione del sistema per il rilascio dei visti Schengen, indetto dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (MAECI), la cui risposta è stata pubblicata il 27 novembre 2015;
   a parere degli interroganti tale risposta è risultata non esaustiva, evitando soprattutto la questione relativa alla posizione del direttore delle comunicazione e relazioni esterne della stessa AlmavivA, incarico ricoperto negli ultimi anni dalla signora Elena Di Giovanni, attuale moglie dell'ambasciatore Michele Valensise, segretario generale del Ministero stesso, profilandosi, in tal modo, la possibilità di un conflitto d'interessi;
   attualmente la signora Di Giovanni lavora in qualità di «consulente di comunicazione internazionale e di promozione culturale per la “Comin & Partners”, una società di comunicazione che, tra i suoi clienti, ha anche il gruppo informatico “AlmavivA”, vincitore degli appalti di cui sopra. La Comin & Partners ha la sua sede romana a Palazzo Colonna e usufruisce di locali affittati dalla famiglia di Marco Tripi, proprietaria di AlmavivA»;
   è plausibile, quindi, a giudizio degli interroganti, ipotizzare un conflitto d'interessi di non facile composizione vista l'influente posizione rivestita dal citato Valensise in seno all'amministrazione degli affari esteri e della cooperazione internazionale nonché l'ingenza dell'appalto  –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro in ordine a quanto esposto e ribadito in premessa e quali iniziative intenda intraprendere per fare chiarezza sulla vicenda in questione e per ripristinare una situazione di piena trasparenza e legalità. (4-11321)

  Risposta. — Nel ribadire tutti i punti evidenziati nella risposta già fornita dal Governo air interrogazione 4-10790, si torna a sottolineare come la procedura di gara relativa alla fornitura dei servizi di sviluppo e gestione del sistema per il rilascio dei visti Schengen (Vis), aggiudicata alla società Almaviva, si è svolta nell'assoluto rispetto della legalità, trasparenza ed economicità, come puntualmente riconosciuto dai competenti organi giurisdizionali e di controllo.
  La gara è stata gestita in ogni sua fase dal competente centro di responsabilità della Farnesina (Direzione generale per gli affari amministrativi ed informatica), nella totale autonomia che le deriva dall'ordinamento del Ministero.
  Nell'intera vicenda il segretario generale del Ministero per gli affari esteri e la cooperazione internazionale, ambasciatore Michele Valensise non ha svolto alcun ruolo né sarebbe stato ipotizzabile un suo coinvolgimento, alla luce delle competenze che gli vengono attribuite dalle norme, che anche in questa occasione sono state rigorosamente osservate.
  Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha già fatto presente pubblicamente che la sua azione è ispirata ai principi della massima trasparenza ed economicità. Il che è puntualmente avvenuto in questo caso, attraverso il ricorso a una gara a evidenza pubblica, anziché ad affidamento diretto che avrebbe evidentemente offerto minori garanzie.
  Quanto all'incarico svolto dalla signora Elena Di Giovanni presso la società Almaviva, esso risale a un periodo (ottobre 2012-luglio 2013) molto antecedente la procedura di gara in questione. Le attività svolte a suo tempo in base a tale incarico, quello di direttore della comunicazione (senza competenze commerciali), non sono mai state collegate con quelle della Farnesina.
  Infine, i rapporti tra soggetti privati quali Almaviva e Comin&Partners non hanno avuto né hanno alcuna attinenza con l'operato dell'amministrazione degli affari esteri.
  Ogni illazione di conflitti d'interesse è pertanto priva di fondamento.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale
Benedetto Della Vedova.

   DIENI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 32 della Costituzione italiana recita «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti»;
   è in tal senso un caso che desta viva preoccupazione il caso vissuto dalla comunità di Triparni, frazione di Vibo Valentia, giunto all'attenzione della cronaca dei giornali locali già nel mese di ottobre scorso e rilanciato di recente da articoli come quello apparso sulla testata online www.calabria.web.oggi.it dal titolo «Il mistero di Triparni, il paese calabrese dei tumori», per l'altissimo tasso di neoplasie tra i residenti;
   sarebbero infatti 70 i casi di tumore nel territorio su un totale di 450 abitanti;
   non sarebbe stato filo ad oggi trovato tuttavia alcun nesso scientifico tra questo alto tasso d'insorgenza di tumori e fattori condizionanti noti come cancerogeni;
   infatti nel centro calabrese di Triparni non sarebbero presenti inceneritori, elettrodotti o industrie;
   al momento sarebbero giunti sul posto, alla luce di una petizione popolare, i tecnici Arpacal, l'Agenzia ambientale calabrese per sondare l'ambiente ma dei risultati univoci non sarebbero stati previsti a breve;
   a quanto risulta dalla stampa, in passato a Triparni sarebbero stati depositati diversi derivati di eternit e non si esclude che il territorio circostante possa essere luogo di scarico di altre sostanze illegali, anche in considerazione di altri eventi simili avvenuti in territorio calabrese per mano della criminalità organizzata –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, per quanto, di propria competenza, intenda attuare per garantire ai cittadini della frazione di Triparni (VV) il diritto alla salute e alla vita. (4-08883)

  Risposta. — In merito alla problematica segnalata nella interrogazione parlamentare in esame, la prefettura – ufficio territoriale del governo di Vibo Valentia ha segnalato che il dipartimento provinciale dell'Agenzia regionale protezione ambiente della Calabria (ARPACAL), a seguito dell'allarme ingenerato dai casi di tumore sul territorio della frazione Triparni del comune di Vibo Valentia, ha disposto i necessari approfondimenti in materia ambientale, attraverso il coinvolgimento del Centro di epidemiologia ambientale della stessa agenzia, del laboratorio fisico del dipartimento provinciale di Catanzaro, del servizio radiazione e rumore del dipartimento provinciale di Vibo Valentia.
  Per l'acquisizione e la valutazione di dati sanitari certi e affidabili, l'ARPACAL ha contattato l'azienda sanitaria provinciale di Vibo Valentia, con la quale sono stati tenuti diversi incontri sull'argomento, al fine di definire una strategia d'indagine condivisa, mettendo in campo tutti i mezzi e gli strumenti a disposizione dei due Enti per affrontare la problematica con il giusto rigore scientifico, al fine di fornire alla popolazione un'adeguata informazione sulla reale situazione sanitaria esistente, ritenendo che i «media» abbiano spesso divulgato notizie riguardanti il sospetto aumento di casi di tumore nella frazione, senza però citare fonti ufficiali e certificate.
  In attesa dei risultati dell'analisi statistica, che richiede tempi di esecuzione lunghi, si è proceduto ad avviare campagne di monitoraggio degli agenti fisici, così da individuare, nell'immediatezza, il superamento dei limiti normativi di emissione.
  L'ARPACAL ha inoltre comunicato che ulteriori indagini mirate saranno programmate e messe in atto a seguito dei risultati dell'indagine statistica, che potrà orientare le attività di controllo delle matrici ambientali.
  Dal canto suo, l'azienda sanitaria provinciale (ASP) di Vibo Valentia ha riferito che, in relazione al tema in esame, è in evidenza la difficoltà di reperire nei flussi informativi dati riguardanti la popolazione residente nella frazione interessata, atteso che gli assistiti sono registrati per comune di residenza, senza alcun riferimento alla frazione e/o alla circoscrizione di residenza, e vi è l'incoerenza dei dati finora divulgati,
per i quali non viene citata né la fonte né il periodo di osservazione.
  Inoltre, sono stati presi in considerazione i risultati preliminari dei rilievi effettuati dall'ARPACAL e i dati del registro di mortalità dell'Asp.
  Per poter monitorare il fenomeno, il registro di mortalità dell'A.s.p. ha richiesto l'elenco dei residenti di Triparni ai servizi demografici del comune di Vibo Valentia (ad ottobre 2014 risultano, in tutto, n. 717 persone residenti) e attraverso l'uso di una chiave univoca, composta da nome, cognome e data di nascita, ha individuato nel database del registro tutti i residenti di Triparni deceduti dal 2010 al 2014 e le relative cause di morte.
  In tal maniera si è appreso che nel periodo dal 2010 al 2014 risultano in tutto deceduti 26 residenti di Triparni, e in 5 casi la causa di morte è determinata da una malattia oncologica.
  Sulla base di queste osservazioni, l'Asp ha deciso di estendere tale tipo di analisi ad altri sistemi informativi sanitari, in particolare alla banca dati dell'esenzione ticket per patologia disponibile in ASP, alla banca dati delle schede di dimissione-ospedaliera completa della mobilità extra regionale dal 2009 ai dati più aggiornati, che dovrà essere richiesta al dipartimento tutela della salute della regione Calabria, e ricorrendo anche alla collaborazione dei medici di medicina generale per le informazioni necessarie alla definizione del caso.
  Si è anche stabilito che il monitoraggio dei risultati sanitari e dei determinanti ambientali sarà costantemente condiviso tra il Centro di Epidemiologia Regionale Ambientale (CERA) e l'A.S.P., al fine di poter determinare in modo completo ed esaustivo la prevalenza delle malattie oncologiche nella popolazione residente a Triparni.
La Ministra della salute
Beatrice Lorenzin.

   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 33, comma 5, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, prevede che il lavoratore cui siano stati riconosciuti i benefici di legge «ha diritto di scegliere ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo assenso»;
   apparentemente, fino al dicembre 2013, il Ministero dell'interno aveva sempre trasferito i dipendenti che lo avessero chiesto sulla base della predetta legge n. 104 del 1992;
   a quanto risulta, nel 2014 e nel 2015 nessun dipendente è stato trasferito sulla base della legge n. 104 del 1992;
   al momento, sarebbero interessati all'applicazione nei loro confronti dei benefici previsti dalla legge n. 104 del 1992 circa 70 dipendenti dell'amministrazione dell'interno su tutto il territorio nazionale, a fronte dei 19 mila in servizio, forze di polizia escluse;
   dei 70 in stato di bisogno, circa 40, elencati dall'ufficio del personale di Roma, fronteggiano patologie particolarmente gravi;
   il dirigente responsabile della direzione centrale per le risorse umane a Roma risulta aver più volte fatto aggiornare l'elenco dei dipendenti «più gravi» al fine di agevolarne il trasferimento presso le sedi richieste;
   ciò nonostante, non risulta ad oggi che sia stato firmato alcun decreto di trasferimento –:
   per quali ragioni l'amministrazione dell'interno neghi ai propri dipendenti l'applicazione dei benefìci previsti dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104. (4-09653)

  Risposta. — La legge n. 104 del 1992 tutela i diritti delle persone disabili, prevedendo alcune agevolazioni relative alla scelta e al trasferimento di sede dei lavoratori disabili o di quelli che assistono una persona con handicap. Tali agevolazioni sono ovviamente finalizzate a ridurre i disagi della lontananza tra domicilio e sede di lavoro.
  In particolare, l'articolo 33, comma 5, della legge citata – al quale fa specifico riferimento l'interrogante – prevede che il lavoratore che assiste i soggetti, individuati dalla stessa norma, con handicap in situazione di gravità possa scegliere la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere.
  Tale prerogativa, secondo la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Cassazione non costituisce un diritto pieno e incondizionato, dovendo lo stesso essere bilanciato con le specifiche esigenze funzionali dell'Amministrazione di appartenenza.
  Di conseguenza, nel valutare le istanze presentate ai sensi del citato articolo 33, l'amministrazione ha tenuto conto della necessità di garantire la funzionalità degli uffici, rispetto alla quale hanno inciso sfavorevolmente le recenti riduzioni delle dotazioni organiche disposte dall'articolo 2, comma 1, lettere a) e b), del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito dalla legge n. 135 del 2012 e il blocco del turn over del personale, nelle more dell'adozione del regolamento di riorganizzazione di cui all'articolo 2, comma 7, del decreto-legge n. 101 del 2013, convertito dalla legge n. 125 del 2013. A ciò si aggiunga, peraltro, l'impossibilità di operare i trasferimenti in questione presso sedi di servizio prive del relativo posto in organico.
  Occorre tener conto, tuttavia, del fatto che – in attesa del già citato regolamento di riorganizzazione – sono state comunque agevolate le esigenze del personale avente diritto al beneficio in questione, autorizzando l'assegnazione temporanea presso la sede di servizio richiesta, conformemente agli orientamenti espressi dal dipartimento della funzione pubblica.
  Si informa, infine, che nei mesi scorsi è stato sottoscritto uno specifico accordo con le organizzazioni sindacali (che recepisce i principi giurisprudenziali in materia) a seguito del quale, con circolare dipartimentale del 5 agosto 2015 sono stati resi noti i criteri per il trasferimento dei dipendenti contrattualizzati di livello non dirigenziale legittimati a fruire dei benefici di cui alla legge n. 104; criteri basati sul contemperamento dei diritti di questi ultimi con le esigenze funzionali dell'Amministrazione.
  Sulla base di tali atti, con ordinanze del 28 e 29 settembre 2015 sono stati disposti i trasferimenti del personale avente diritto.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno
Gianpiero Bocci.

   LATRONICO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   all'interrogante risulta che nei giorni scorsi si sono verificati nel comune di Canna (Cosenza) una serie di furti notturni in abitazioni che hanno scosso la comunità;
   nei giorni precedenti altri furti hanno interessato i comuni di Oriolo, Nocara, Rocca Imperiale per un'ondata di microcriminalità che non accenna a diminuire;
   il verificarsi di tali eventi è dovuto al fatto che nel comune di Canna non vi è un presidio di forze dell'ordine e la stazione dei carabinieri più vicina è a Rocca Imperiale;
   si fa presente che nel comune di Canna sono state installate delle telecamere di video sorveglianza con un contributo del Ministero dell'interno e queste ultime sono situate in postazioni non idonee e non sono mai entrate in funzione –:
   se sia a conoscenza dei motivi del mancato funzionamento delle telecamere di videosorveglianza citate in premessa;
   quali iniziative il Ministro intenda adottare per garantire la sicurezza e la tranquillità delle comunità dei Paesi dell'entroterra calabrese. (4-04655)

  Risposta. — Come riportato nel preambolo dell'atto di sindacato ispettivo in oggetto, nei primi mesi del 2014 – in rapporto a quanto verificatosi nello stesso periodo dell'anno precedente – si è registrato un relativo aumento di alcune tipologie di reato contro il patrimonio nei piccoli centri dell'Alto Jonio cosentino, in particolare Oriolo, Nocara, Rocca Imperiale e Canna.

Ciò ha provocato un certo allarme sociale, al quale ha fatto seguito un'intensificazione dei servizi di controllo del territorio sia da parte della Stazione dei carabinieri di Rocca Imperiale, competente nell'area, sia del commissariato di polizia di Castrovillari, coadiuvato dal Reparto prevenzione crimine Calabria.
  Attualmente, tuttavia, tale recrudescenza sembra essere in parte rientrata e gli indici di delittuosità si sono attestati sui valori consueti. L'intensificazione dell'azione di contrasto da parte delle forze dell'ordine ha quindi prodotto, come confermato anche dal questore di Cosenza, un miglioramento della situazione.
  I dati (non ancora consolidati) forniti dal servizio analisi criminale della polizia criminale relativi all'anno 2015, confrontati con quelli dello stesso periodo dell'anno precedente, confermano tale trend positivo, mostrando un'apprezzabile diminuzione della delittuosità generale nella provincia di Cosenza, come anche dei furti, in modo particolare quelli in abitazione.
  Venendo ora al funzionamento dei sistemi di sorveglianza a tutela dei cittadini dell'entroterra jonico, si ricorda che nel settembre del 2009 è stato stipulato, nell'ambito del programma operativo nazionale «Sicurezza per lo sviluppo-obiettivo convergenza 2007-2013», un contratto per la «fornitura, installazione e messa in opera di sistemi integrati di videosorveglianza territoriale nella regione Calabria» con il raggruppamento temporaneo di imprese (R.T.I.) formato da Thales Italia spa (mandataria), I.&S.I. spa (mandante) e Videotecnica srl (mandante).
  L'accordo ha consentito l'installazione nel comune di Rocca Imperiale di 4 telecamere fisse e 4 brandeggianti, mentre al comune di Canna sono state destinate 2 telecamere brandeggianti. Nell'area di Amendolara infine, all'interno della quale ricadono i comuni dell'Alto Jonio in esame, sono state installate complessivamente 32 telecamere.
  Il collaudo dei dispositivi è avvenuto nel 2013.
  Per valutare l'efficacia del sistema di videosorveglianza nel suo complesso, il 30 ottobre del 2014 si è tenuta una riunione presso la prefettura di Cosenza – alla quale hanno partecipato anche alcuni rappresentanti degli enti locali – durante la quale sono state affrontate le problematiche connesse al malfunzionamento di alcune telecamere. Nella circostanza è stato accertato che il malfunzionamento della linea di trasmissione, che aveva impedito il corretto impiego delle telecamere nel comune di Canna, è stato risolto.
  Nel corso dell'incontro, inoltre, per assicurare la continuità operativa del sistema, è stata ribadita la necessità che gli enti locali interessati sostengano sia le spese dell'alimentazione elettrica – completando il processo amministrativo di voltura dei contatori che alimentano il sistema –, sia, a partire dal 2017 (data di scadenza della garanzia contrattuale), quelle della manutenzione dei dispositivi.
Il Viceministro dell'interno
Filippo Bubbico.

   MELILLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   dagli organi di stampa si apprende che ANBIMA (Associazione bande musicali italiane autonome) e FENIARCO (Federazione nazionale italiana che riunisce le associazioni corali di tutte le regioni italiane e delle province autonome di Trento e Bolzano) sarebbero state escluse dai finanziamenti del Fondo unico per lo spettacolo per il triennio 2015-2017, nonostante le solenni promesse ricevute dal Ministero;
   in merito alla Feniarco, l'interrogante sollecita la necessità e l'urgenza di rivedere il contributo per adeguarlo alle esigenze della Federazione che rappresenta 21 associazioni territoriali, 2 associazioni partner, 2.700 cori associati, 70.000 cantori, 2.000 maestri/direttori e che ha offerto gratuitamente 25.000 concerti alla popolazione su tutto il territorio nazionale. È necessario potenziare economicamente una federazione musicale-culturale così ampia, che ha saputo fare rete sul territorio e valorizzare uno straordinario patrimonio culturale di base;
   le stesse considerazioni valgono naturalmente per il movimento bandistico che vanta nel nostro Paese una lunga storia ed una prestigiosa tradizione e che raccoglie numerose realtà musicali attive in tutti i territori, svolgendo un'azione di promozione culturale e sociale preziosissima ed irrinunciabile;
   sarebbe davvero inaccettabile e incomprensibile tale esclusione, dopo i tanti riconoscimenti avuti negli anni e dopo tutto il prezioso lavoro svolto per decenni, sia dai cori che dalle bande musicali con le rispettive organizzazioni federative, su tutto il territorio nazionale, con risultati di grande prestigio anche a livello internazionale –:
   se la notizia dell'esclusione dai finanziamenti del FUS per il triennio 2015-2017 corrisponda al vero;
   se, nel caso affermativo, non ritenga invece necessario assumere iniziative per destinare alle suddette realtà musicali un contributo di almeno 250 mila euro l'anno per ciascuna di esse, come ampiamente meritano. (4-09964)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo nel quale l'interrogante, avendo appreso da organi di stampa che l'associazione bande musicali italiane autonome (ANBIMA) e la federazione nazionale delle associazioni corali regionali (FENIARCO) sarebbero state escluse dai finanziamenti del Fondo unico per lo spettacolo (FUS) per il triennio 2015-2017, chiede se, nel caso fosse confermata tale esclusione, non si «ritenga invece necessario destinare alle suddette realtà musicali un contributo di almeno 250.000 euro l'anno per ciascuna, come ampiamente meritano».
  Prima di rispondere nel merito del quesito posto dell'interrogante, è opportuno richiamare quanto dispone l'articolo 43 del decreto ministeriale 1o luglio 2014 (Nuovi criteri per l'erogazione e modalità per la liquidazione e l'anticipazione di contributi allo spettacolo dal vivo, a valere sul Fondo unico per lo spettacolo, di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163), decreto, che, come è noto, ha introdotto un'ampia riforma dei criteri di ripartizione del FUS (Fondo unico per lo spettacolo), invero attesa da tempo.
  Tale norma prevede la concessione di contributi a soggetti pubblici e privati, anche in forma associata, che operino negli ambiti del teatro, della musica, della danza, dei circhi e dello spettacolo danzante e che realizzino progetti triennali di promozione, di rilevanza e operatività nazionale o internazionale, finalizzati:
a) al ricambio generazionale degli artisti; b) alla coesione e all'inclusione sociale; c) al perfezionamento professionale; d) alla formazione del pubblico.
  Possono essere sostenuti fino a un massimo di quindici progetti per ciascuno degli ambiti sopra elencati.
  Le domande di contributo sono oggetto di una valutazione, di carattere esclusivamente qualitativo, da parte delle commissioni consultive competenti per materia. La valutazione qualitativa è effettuata da ciascuna commissione in base agli indicatori riportati nell'allegato E del decreto ministeriale prima citato.
  Possono accedere al contributo i progetti che ottengano un punteggio minimo di sessanta punti su cento, tenuto conto del numero massimo di progetti sovvenzionabili per ogni ambito.
  Le associazioni ANBIMA e FENIARCO hanno presentato domanda di contributo per il triennio 2015-2017, con riguardo alla seconda delle finalità previste dall'articolo 43, ovvero per progetti di promozione finalizzati alla coesione e all'inclusione sociale.
  La Direzione generale spettacolo ha comunicato che la competente commissione consultiva musica, riunitasi il 1o e il 20 luglio 2015, all'esito della valutazione dei progetti e dell'attribuzione dei relativi punteggi, ha ritenuto «di non doversi accogliere nessuna domanda relativa alla seconda finalità Coesione e inclusione sociale» e, quindi, tantomeno quelle presentate da ANBIMA e da FENIARCO.
  Sulla base delle deliberazioni della commissione musica, il direttore generale dello spettacolo ha provveduto, pertanto, con proprio decreto del 31 luglio 2015, all'assegnazione
dei contributi per l'anno 2015 sulla base dei punteggi ottenuti, con l'esclusione degli organismi che non avevano ottenuto il punteggio minimo richiesto dalla normativa, adempimento cui era tenuto senza margini di discrezionalità.
  Come ha giustamente ricordato l'interrogante, le bande musicali italiane e le associazioni corali rappresentano uno straordinario patrimonio culturale di base, diffuso su tutto il territorio nazionale e svolgono una preziosa azione di promozione culturale e sociale.
  Altrettanto apprezzabile è il lavoro svolto dalle rispettive organizzazioni federative che hanno saputo fare rete, valorizzando queste realtà musicali e concorrendo al raggiungimento di risultati di rilievo.
  Per questi motivi l'Amministrazione è impegnata nel monitoraggio e nella valutazione degli effetti prodotti dalla riforma citata, sulla quale la valutazione rimane complessivamente positiva ma che indubbiamente, nella fase di prima attuazione, può aver comportato, rispetto a talune specifiche situazioni, esiti meritevoli di un aggiustamento. In tale prospettiva l'Amministrazione assicura piena attenzione ad istanze quali quella rappresentata dall'interrogante e si sta adoperando per individuare gli strumenti – eventualmente con il concorso degli organi parlamentari – più atti a recepirle.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo
Ilaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.

   GIORGIA MELONI, RAMPELLI, CIRIELLI, CORSARO, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   tra il 2010 e il 2012 l'indice dei prezzi al consumo per le famiglie genovesi è lievitato del 3,7 per cento medio annuo, contro il 2,5 per cento di Verona, il 2,7 per cento di Milano e il 3 per cento di Torino;
   la quota di mercato congiunta dei tre maggiori operatori della grande distribuzione nella regione Liguria, secondo Nielsen GNLC, è pari al 56,7 per cento, mentre in Veneto è pari al 46,7 per cento, in Lombardia al 43,1 per cento e in Piemonte al 42,3 per cento, un dato che indica fortemente la poca concorrenza che esiste sul mercato;
   la stessa spesa a La Spezia costa mediamente 124 euro e a Genova 146 euro, e Altroconsumo ha verificato che una famiglia genovese spende circa quattrocento euro in più all'anno;
   Adiconsum e Altroconsumo hanno verificato che nell'area dello spezzino i prezzi si sono abbassati del 17 per cento rispetto alla media ligure dopo che proprio a La Spezia ha aperto un altro competitore, ovvero proprio Esselunga, creando concorrenza;
   il consiglio comunale di Genova in data 13 maggio 2014 ha bocciato la mozione «Insediamento Esselunga»;
   il voto di cui sopra è giunto al termine di un lungo ciclo di tentativi di ingresso nel mercato genovese da parte di Esselunga, nonostante la stessa catena abbia già individuato ben tre siti diversi, sempre bocciati dalle giunte del capoluogo ligure che si sono susseguite negli anni;
   la mozione avrebbe impegnato sindaco e giunta a compiere ogni sforzo per consentire l'insediamento di Esselunga, anche attraverso l'individuazione di un ulteriore sito per garantire a Spazio Genova di poter esercitare la propria attività;
   ad oggi Genova conta solo un ipermercato, ed i consumatori non hanno possibilità di scelta fra i competitori –:
   quali iniziative intenda assumere, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di favorire un rafforzamento del tessuto produttivo e commerciale nella regione e promuovere una maggiore concorrenza a tutela dei consumatori.
(4-04910)

  Risposta. — Si risponde all'atto in esame per quanto di competenza, partendo pertanto dagli aspetti di analisi quantitativa e qualitativa della situazione locale della distribuzione commerciale per il comune di Genova nel 2014, rilevata sulla base dell'indagine che il Ministero dello sviluppo economico compie annualmente e i cui risultati sono resi pubblici tramite il sito dell'osservatorio nazionale sul commercio.
  Da tali dati risulta che:
   nella provincia di Genova è presente un solo ipermercato, che rappresenta il 10 per cento (il 14 per cento in termini di superficie di vendita) di quelli presenti nell'intera regione ligure (per confronto in termini di popolazione nel comune di Genova al 31 dicembre 2014 risiedeva circa il 37 per cento della popolazione della Liguria);
   in termini di supermercati vi è una maggiore presenza (il 34 per cento della regione in termini numerici ed il 32 per cento in termini di superficie di vendita). Nell'ambito dei supermercati, più del 50 per cento delle quote di mercato appartiene ai primi 5 marchi che hanno rispettivamente circa il 20 per cento di quota di mercato, il 15 per cento, il 10 per cento, il 7 per cento ed il 4 per cento, con la conseguenza che il 45 per cento delle quote di mercato è ripartito fra soli 3 marchi.
  nel comune di Genova sono presenti inoltre il 52 per cento (51 per cento in termini di superficie) dei minimercati dell'intera regione.

  Da quanto sopra descritto risulta che effettivamente nella citata provincia è operativo un solo ipermercato e che la struttura distributiva vede una maggiore presenza di supermercati e soprattutto minimercati.
  Il quadro delineato, pur manifestando una concentrazione dell'offerta, non consente, tuttavia, di concludere di per sé per l'assenza di concorrenza nel settore riguardato, né tantomeno di dedurre che la situazione determinatasi consegua ad ingiustificate restrizioni della concorrenza nella gestione delle competenze autorizzatorie delle autorità locali.
  Si rileva, infatti, che il processo di liberalizzazione finora intrapreso è stato focalizzato sull'eliminazione di limitazioni autorizzatorie con particolare riferimento alle piccole superfici di vendita (esercizi di vicinato e, in modo più graduale, media distribuzione), restando invece necessaria per le strutture della grande distribuzione, in relazione al loro maggiore impatto sul territorio, una più attenta valutazione della sostenibilità degli insediamenti dal punto di vista della programmazione territoriale (e non dell'offerta commerciale) e degli effetti sull'ambiente e sul traffico.
  Ai sensi della disciplina nazionale vigente in materia di commercio, infatti, gli ambiti di insediamento e la programmazione delle «grandi strutture di vendita» (gli esercizi commerciali di grandi dimensioni di cui all'articolo 4 comma 1 lettera f) del decreto legislativo n. 114 del 1998) sono di competenza dell'ente territoriale regionale (cfr. articoli 6 e 10 del decreto legislativo n. 114 del 1998).
  Anche la regione, ovviamente, non può non tener conto dei provvedimenti normativi di liberalizzazione e in particolar modo dell'articolo 31, comma 2, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito con legge n. 214 del 2011, in base al quale «secondo la disciplina dell'Unione europea e nazionale in materia di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi, costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali. (....)» ed ai cui principi gli enti regionali avrebbero dovuto attenersi già dal 30 settembre 2012.
  Ma tale considerazione non consente di escludere, sempre e comunque, che limitazioni all'insediamento di ulteriori e nuove strutture di grande distribuzione possono essere legittimamente adottate e giustificate dai competenti enti locali in connessione alle particolarità geomorfologiche e di viabilità dei singoli territori cui siano riferite le relative richieste di autorizzazione.
  Quanto al caso specifico segnalato, non sono stati riferiti elementi tali da poter ipotizzare un esercizio delle competenze autorizzatorie da parte delle autorità locali
distorsivo delle dinamiche competitive e non sorretto in alcun modo da idonee giustificazioni di interesse generale, quale quelle legate alla programmazione territoriale, di impatto ambientale o viabilistico.
  Si rileva, infine, che sino ad oggi l'evoluzione normativa del settore della distribuzione commerciale ha seguito un percorso articolato, ma univocamente orientato all'affermazione del principio di liberalizzazione.
  Su tale scia, in considerazione della rilevanza del tema, la disciplina dei titoli autorizzatori nel settore commerciale potrebbe ancora essere interessata da ulteriori interventi di semplificazione e razionalizzazione nell'ambito dell'attuazione della delega legislativa di cui all'articolo 21 della legge n. 124 del 2015.
La Sottosegretaria di Stato per lo sviluppo economico
Simona Vicari.

   GIORGIA MELONI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 51 del testo unico delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 1978, n. 218, ha riconosciuto ai consorzi per le aree ed i nuclei di sviluppo industriale il potere di redigere piani regolatori secondo i criteri e le direttive stabilite nella legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150;
   detti piani regolatori, una volta approvati, producono gli stessi effetti giuridici dei piani territoriali di coordinamento, definiti dalla stessa legge urbanistica nazionale;
   l'ultimo comma del citato articolo 51 precisa, inoltre, che «le norme di cui ai precedenti commi si applicano fino all'emanazione delle apposite leggi regionali in materia»;
   la regione Calabria ha disciplinato l'assetto, la costituzione ed il funzionamento dei Consorzi per le Aree, i nuclei e le zone di sviluppo industriale con propria legge del 24 dicembre 2001, n. 38;
   l'articolo 12 della legge regionale n. 38 del 2001 individua le funzioni dei consorzi ASI, tra le quali risulta preminente quella di favorire l'insediamento di imprese nelle aree attrezzate tramite la predisposizione dei piani regolatori delle aree industriali;
   l'articolo 20 della stessa legge regionale ribadisce che i suddetti piani regolatori dei consorzi ASI hanno valenza di piani territoriali di coordinamento, ai sensi dell'articolo 5 della legge n. 1150 del 1942, e pertanto, in base alle suddette norme, non vi è dubbio che gli strumenti urbanistici dei consorzi ASI debbano considerarsi sovraordinati nella scala gerarchica degli strumenti di cui al comma 2 dell'articolo 6 della stessa legge n. 1150 del 1942;
   dall'esame della vigente legge urbanistica della Calabria e delle relative linee guida attuative, è possibile constatare come non vi sia alcuna menzione della legge n. 38 del 2001 e della pianificazione di settore, quale quella dei piani regolatori territoriali dei consorzi ASI;
   pertanto, rispetto ai consorzi ASI calabresi, continua ad applicarsi, in materia di pianificazione urbanistica, la normativa derivata dal citato articolo 20 della legge regionale n. 38 del 2001;
   il consorzio di Lamezia, è stato sottoposto a vincolo inibitorio con il decreto ministeriale 7 luglio 1967, in attuazione delle previsioni di cui alla legge 29 giugno 1939, n. 1497;
   tali vincoli costituiscono oggi un anacronistico e al tempo stesso pesante ostacolo burocratico che determina prolungati ed irragionevoli ritardi per la realizzazione di opere infrastrutturali e per l'insediamento di nuove attività produttive;
   dal punto di vista urbanistico, oggi il territorio del consorzio di Lamezia è disciplinato dal piano regolatore generale adottato dallo stesso comune, che mediante le «Norme Tecniche di Attuazione», approvate con decreto del dirigente generale del quinto Dipartimento della regione Calabria del 30 gennaio 2001, n. 241, esercita il controllo sugli interventi edificatori che vengono realizzati all'interno dell'area, ed inoltre gli stessi interventi, in base alle previsioni di cui all'articolo 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, devono essere autorizzati dalla soprintendenza dei beni ambientali;
   fin dalla sua costituzione l'ASI Lamezia è stata oggetto di attenzione da parte di operatori economici nazionali ed esteri, e la regione Calabria, mediante cospicui finanziamenti a valere su fondi europei, inseriti nella programmazione 2007-2013, si è impegnata a dotare il territorio di adeguate infrastrutture, affinché possa continuare ad essere un punto nevralgico dello sviluppo della regione;
   la stessa regione Calabria nel quadro territoriale regionale a valenza paesaggistica (QTRP), strumento previsto dall'articolo 25 della legge urbanistica regionale 19/02, già approvato dalla giunta regionale con DGR n. 377 del 22 agosto 2012, integrato dalla DGR n. 476 del 6 novembre 2012 e adottato dal consiglio regionale con delibera n. 300 del 22 aprile 2013 il quale interpreta gli orientamenti della Convenzione europea del paesaggio di cui alla legge 9 gennaio 2006, n. 14, e del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e che si propone di contribuire alla formazione di una moderna cultura di governo del territorio e del paesaggio traccia una chiarissima prospettiva di sviluppo per i consorzi ASI;
   a tale proposito nel documento n. 2 «Visione Strategica», al punto 2.2.3.2. «Il sistema industriale: la produzione della ricerca e dell'innovazione», si individua un'azione finalizzata prioritariamente alla riqualificazione delle aree industriali inserite nelle ASI e nei nuclei industriali, prevedendo in particolare il potenziamento ed il miglioramento dell'offerta localizzativa e dei servizi connessi;
   alla riqualificazione delle aree industriali ed al rilancio degli agglomerati industriali vengono quindi assegnati un ruolo prioritario in quanto fattori determinanti per lo sviluppo del territorio;
   il documento, inoltre, evidenzia che la zona dell'istmo Catanzaro-Lamezia Terme e inserita come elemento importante del paesaggio regionale, e che, nonostante i limiti e le sue contraddizioni, emergono delle tipologie e dei contesti dotati di caratteri importanti da sviluppare;
   dall'analisi svolta emerge la possibilità che sia applicata al consorzio la cosiddetta conservazione dinamica, ovvero la possibilità di ridiscutere i valori originali del vincolo imposto ex lege n. 497 del 1939 attraverso lo strumento partecipativo della copianificazione che coinvolga anche il Ministero competente, ai fini di una riperimetrazione delle zone da sottoporre a vincolo di tutela paesaggistica;
   tale necessità discende dalla considerazione che con la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti industriali è venuto a mancare il principale oggetto di tutela –:
   se non ritenga di avviare l’iter previsto dalla normativa vigente per la riperimetrazione del vincolo paesaggistico apposto ai territori su cui insistono il consorzio industriale della provincia di Catanzaro e l'agglomerato industriale di Lamezia Terme. (4-08433)

  Risposta. — Si riscontra l'interrogazione in esame, con il quale l'interrogante, premesso che l'articolo 51 del decreto del Presidente della Repubblica n. 218 del 1978 ha riconosciuto ai consorzi per le aree ed i nuclei di sviluppo industriale il potere di redigere piani regolatori che producono gli stessi effetti giuridici del piano territoriale di coordinamento «i comuni, il cui territorio sia compreso in tutto o in parte nell'ambito di un piano territoriale di coordinamento, sono tenuti ad uniformare a questo il rispettivo piano regolatore comunale» articolo 6 della legge n. 1150 del 1942) e che tali effetti sono stati ribaditi dalla legge regionale n. 38 del 2001 (articolo 20), chiede se questa amministrazione non ritenga di «avviare l’iter previsto dalla normativa vigente per la riperimetrazione del vincolo paesaggistico apposto ai territori su cui insistono il consorzio industriale della provincia di Catanzaro e l'agglomerato industriale di Lametia Terme». Tale richiesta trova origine dalla considerazione che «con la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti industriali è venuto a mancare il principale oggetto di tutela» e che, pertanto, dovrebbero essere ridiscussi «i valori originali del vincolo imposto ex legge n. 1497 del 1939 attraverso lo strumento partecipativo della copianificazione».
  Al riguardo, si comunica quanto segue.
  L'articolo 145 del codice dei beni culturali e del paesaggio, contempla, al comma 3, il principio di «prevalenza dei piani paesaggistici» sugli altri strumenti urbanistici e, quindi, anche sui piani regolatori dei consorzi con valenza di piani territoriali di coordinamento.
  Il vincolo paesaggistico in questione (decreto ministeriale 7 luglio 1967 relativo all'allora comune di Sant'Eufemia Lamezia), non costituisce un «vincolo inibitorio... che determina prolungati ed irragionevoli ritardi per la realizzazione di opere infrastrutturali e per l'insediamento di nuove attività produttive», come asserito dall'interrogante, bensì ha permesso, nel tempo, diversi interventi ritenuti non contrastanti con le esigenze di tutela del bene paesaggistico tutelato, senza costituire, per definizione, un impedimento alle possibilità di sviluppo del territorio.
  Nel processo di elaborazione della pianificazione paesaggistica va ricondotto l'accertamento e la verifica dello stato attuale della permanenza dei valori che hanno determinato l'apposizione del vincolo. In tale sede, ogni area oggetto di vincolo sarà oggetto di ricognizione e approfondimento nei suoi diversi aspetti, allo scopo di individuare adeguati obiettivi di qualità, impartire le specifiche prescrizioni d'uso e formulare le direttive rivolte ai successivi livelli di pianificazione territoriale.
  L'attività suddetta, denominata «vestizione del vincolo», è già stata avviata con una prima fase di analisi dei valori e tale attività dovrà portare, si auspica a breve, alla redazione di un manuale d'uso del territorio vincolato in modo tale da semplificare, per quegli ambiti in cui il valore residuo originale si presenti in forma ridotta, le procedure necessarie per l'ottenimento dei relativi nulla osta. Tale indirizzo, che non prevede una riperimetrazione del vincolo, consentirà, con la presenza di una sorta di manuale d'uso, di sapere quali interventi sono possibili e anche l'eventuale possibilità di instaurare procedure semplificate.
  Alla realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti industriali nell'area considerata non consegue la necessità di ridefinire il perimetro dell'area tutelata, bensì, eventualmente, l'individuazione di appositi interventi di recupero e riqualificazione del territorio.
    L'attività di collaborazione con la regione Calabria volta all'elaborazione del piano paesaggistico regionale è stata già avviata con la sottoscrizione del protocollo di intesa, nel dicembre 2009, e del relativo disciplinare, nel 2012, interrompendosi nel dicembre 2014, in occasione delle trascorse scadenze elettorali. Allo stato, questa amministrazione è in attesa di riprendere l'attività di collaborazione istituzionale al fine di dotare la regione Calabria del piano paesaggistico che, perseguendo la migliore tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, contribuirà, altresì, a favorire una coerente e mirata programmazione di interventi di sviluppo sostenibile.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo
Ilaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.

   MERLO e BORGHESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   le relazioni tra l'Italia e gli Stati Uniti sono caratterizzate da un intenso dialogo politico ed economico, coadiuvato dalla definizione di un articolato partenariato in vari settori culturali, produttivi e merceologici aspetto che ha condotto diversi imprenditori e professionisti italiani ad investire sul territorio americano a tutela degli investimenti economici, anche di natura immobiliare;
   in data 28 gennaio 2015 il quotidiano di Italia Oggi pubblicava un interessante approfondimento in ordine alle tutele di cui godono, negli Stati Uniti, i proprietari nel momento in cui concedono il loro immobile in locazione;
   a New York e a Miami, che sono i luoghi di maggior interesse per gli investitori italiani all'estero, sono in atto leggi locali che prevedono essenzialmente due categorie di persone cui poter affittare: i Section 8 tenants e i Non Section tenants;
   la prima categoria è rappresentata dai residenti indigenti: persone che difficilmente potrebbero permettersi di pagare un canone di locazione e che, per questo sono inserite in apposite liste nell'ambito del cosiddetto programma Section 8;
   lo Stato pertanto concorre al pagamento del loro affitto, di norma per 80 per cento dell'importo complessivo, con la conseguente «garanzia assoluta» per i locatori di riscuotere tutti canoni;
   per le persone invece che rientrano nella categoria Non Section 8 tenants, il pezzo giornalistico evidenzia che esistono validi strumenti per avere una certa sicurezza di incassare regolarmente l'affitto; infatti, prima di consegnare le chiavi dell'immobile all'inquilino esiste la possibilità di controllarne, presso un apposito ente, il cosiddetto credit score cioè la solidità finanziaria, ivi comprese le eventuali segnalazioni negative dovute a trascorsi di morosità;
   la procedura di sfratto, se necessaria, poi, «si richiede in tempi brevissimi»: non solo si esaurisce in una giornata, ma l'inquilino moroso «ha un massimo di 30 giorni per saldare il dovuto, alla scadenza dei quali lo sfratto diventa esecutivo, senza nessun tipo di eccezione e con spesa di poche centinaia di dollari»;
   tale situazione di investimento immobiliare da parte degli investitori italiani all'estero è verificata anche in Tunisia;
   ad oggi, alcuni componenti delle comunità italiane residenti in Tunisia, proprietari di immobili, lamentano, in materia di controversie giudiziali civili instaurate a tutela dei propri diritti di proprietà, una non adeguata ed equa applicazione della legge nei loro riguardi;
   nella fattispecie, i tribunali cantonali tunisini in molte controversie giudiziali civili in materia di diritti di proprietà immobiliari che hanno visto coinvolti cittadini italiani residenti sul territorio estero si sono pronunciati con sentenze che invece di giudicare il fatto oggetto della domanda, hanno applicato disposizioni di diritto locale, rivelando un chiaro ed oggettivo errore nell'applicazione della normativa di riferimento –:
   se il Governo intenda assumere iniziative affinché, in materia di controversie civili instaurate dai cittadini italiani residenti all'estero a tutela dei propri diritti di proprietà immobiliare, possa essere applicato anche il diritto internazionale;
   se si intendano adottare iniziative per definire norme più snelle e veloci ed efficaci come quelle in atto sul territorio americano applicabili presso le rappresentanze diplomatico-consolari estere, istituendo la figura del consigliere giuridico che – fornendo consulenza legale – possa orientare i cittadini italiani, residenti sul territorio estero o domiciliati a fini economici e commerciali sul medesimo territorio, in caso di controversie giudiziarie civili e non;
   quali iniziative intenda porre in essere il Governo a tutela delle proprietà immobiliari italiane, al fine di rendere pienamente esecutivi gli accordi internazionali sul diritto di proprietà. (4-08983)

  Risposta. — In merito al quesiti sollevati dall'interrogante, si fa innanzitutto presente che il diritto internazionale pattizio permette ai nostri concittadini di proteggere i propri investimenti all'estero. Con particolare riguardo alla Tunisia, in aggiunta all'accordo di associazione UE-Tunisia del 1995, vi è il trattato Italia-Tunisia in materia di investimenti (Bilateral Investment Treaty – BIT), firmato il 17 ottobre 1985 ed entrato in vigore il 24 giugno 1989.
  Il BIT protegge gli investimenti italiani, inclusi quelli di tipo immobiliare, da comportamenti lesivi del governo tunisino, anche con riguardo a possibili atti pregiudizievoli da parte dell'organo giudiziale, attraverso la possibilità di ricorrere all'arbitrato internazionale. In caso di pretesa violazione, il connazionale può quindi direttamente intentare un'azione arbitrale nei confronti dello Stato tunisino.
  Per quanto riguarda un eventuale intervento del Governo italiano, il BIT lo consente al solo fine di chiedere di attuare misure che assicurino la protezione degli investimenti dei connazionali ed eliminino eventuali discriminazioni.
  Si segnala tuttavia che tale accordo, tuttavia, trova applicazione unicamente in caso di investimenti imprenditoriali che, benché intesi usualmente in senso ampio, non includono il caso di acquisti ai soli fini privati.
  L'istituzione di un consigliere giuridico che fornisca consulenza legale ai connazionali all'estero, suggerita dall'interrogante, risulta di difficile attuazione. Per diritto internazionale, infatti, le rappresentanze diplomatiche possono chiedere di assistere ai processi che coinvolgono cittadini italiani all'estero, compatibilmente con la normativa locale e senza poter entrare nel merito delle singole cause. Tale azione infatti ha l'obiettivo di monitorare l'applicazione imparziale dell'ordinamento straniero vigente.
  Nel caso di controversie legate alle proprietà immobiliari, è comunque sempre possibile per i connazionali rivolgersi alle rappresentanze diplomatico-consolari italiane ed ottenere una lista di legali, appartenenti al foro di riferimento, per avvalersi di servizi professionali al fine di tutelare i propri interessi.
  Può inoltre essere offerta anche assistenza in casi specifici dalle nostre Sedi. Per esempio, la nostra Ambasciata a Tunisi, su richiesta del connazionale, può sensibilizzare le Autorità locali a rendere più rapide le pratiche autorizzative di rimpatrio in Italia di capitali legati alla vendita di beni immobili di cittadini italiani residenti in Tunisia.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale
Mario Giro.

   OLIVERIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da recenti notizie stampa apparse sulla Gazzetta del Sud del 5 maggio 2015 emerge la notizia della possibile e quasi imminente chiusura del Capt, ospedale di lunga degenza di Lungro in provincia di Cosentino;
   una struttura di diecimila metri quadrati dimenticata da tutti. L'ex ospedale di Lungro assomiglia sempre più ad un pachiderma con le zampe incagliate nel fango, imbavagliato dal silenzio istituzionale;
   nell'area del Pollino gravitano due Capt, Lungro e Mormanno, e l'ospedale spoke di Castrovillari. Spesso, però, il nosocomio lungrese viene «dribblato» dalla politica e continua ad essere oggetto di riconversioni, finora rimaste solo sulla carta;
   nell'ultimo piano di riorganizzazione territoriale, che porta la firma del sub commissario, Andrea Urbani, il Capt arbëresh è stato individuato come «casa della salute» con residenza sanitaria assistenziale medicalizzata annessa, reparto di lungodegenza-geriatria, laboratorio analisi, unità operativa di dialisi, radiologia, ambulatori specialistici, punto di primo intervento e servizi di diagnostica all'avanguardia;
   la situazione è così drammatica che gli infermieri di turno, nei giorni scorsi, hanno vagato lungo corridoi e stanze completamente vuote. Lo spettro del blocco dei ricoveri si è materializzato in maniera cruda nel primo afoso lunedì di maggio, portandosi dietro tutto quel carico di inquietudine e preoccupazioni che nei mesi scorsi aveva agitato istituzioni e sindacati; 
   l'attuale blocco dei ricoveri, che pare essere stato disposto dai dirigenti del distretto, per l'impossibilità di garantire la reperibilità notturna dei medici in reparto, in passato è stato scongiurato grazie all'abnegazione personale di alcuni sanitari;
   con il blocco delle autorizzazioni, ora un intero comprensorio contraddistinto da un'alta percentuale di popolazione anziana, si ritrova senza un punto di riferimento socio-assistenziale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione nella quale versa questa struttura ospedaliera e se ritenga opportuno intervenire, per quanto di competenza e anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali, eventualmente promuovendo un tavolo di concertazione per salvaguardare i livelli essenziali di assistenza e, conseguentemente, per affrontare questi disagi che i cittadini, per lo più anziani, stanno subendo, vedendosi chiudere uno dei loro principali punti di riferimento. (4-09109)

  Risposta. — In merito alla interrogazione parlamentare in esame, la prefettura – ufficio territoriale del governo di Cosenza ha provveduto a trasmettere a questo Ministero una dettagliata relazione del direttore di unità operativa complessa del distretto sanitario Esaro-Pollino (azienda sanitaria provinciale di Cosenza).
  In base ai dati acquisiti, risulta che, attualmente, presso il centro assistenza primaria territoriale (CAPT) di Lungro (Cosenza) vi sono i seguenti servizi: residenza sanitaria per anziani medicalizzata (RSA/M), emodialisi, servizio di diagnostica per immagini, laboratorio analisi cliniche, poliambulatorio per alcune branche specialistiche, postazione di servizio 118, punti di primo intervento, punto prelievo, ufficio di prenotazioni, postazione di continuità assistenziale, ufficio scelte e revoche, ufficio protesi e ausili, ufficio autorizzazione e rilascio tickets per patologia.
  Nella RSA/M di Lungro, le attività di reparto si sono svolte regolarmente fino alla data del 4 maggio 2015, nonostante la persistenza delle problematiche strutturali, tecnologiche e soprattutto per carenza di personale sanitario.
  In tale data, il responsabile della RSA/M di Lungro comunicava alla Direzione del distretto, direzione generale e direzione sanitaria dell'A.S.P. di Cosenza, a mezzo fax, la sospensione dei ricoveri per criticità tecnologiche, strutturali ed evidenti motivi organizzativi.
  A tal proposito, la direzione distrettuale, con nota del 5 maggio 2015, chiedeva un incontro urgente al commissario straordinario, al direttore sanitario dell'A.S.P. di Cosenza e allo stesso responsabile della RSA/M, al fine di affrontare e cercare di risolvere le criticità presenti.
  In data 11 maggio 2015, presso la sala convegni del CAPT di Lungro, si è avuto un incontro con tutti gli operatori della RSA/M e del CAPT di Lungro, istituzioni locali, rappresentanti sindacali e dirigenti distrettuali, dalla quale è scaturita la volontà di tutti i presenti di affrontare congiuntamente le problematiche in questione, e di cercare la soluzione per il funzionamento della RSA/M.
  In data 14 maggio 2015, il direttore del distretto Esaro-Pollino chiedeva un incontro urgente con i vertici aziendali ed il responsabile della RSA/M, per valutare quanto discusso e trovare le soluzioni più idonee al problema, chiedendo contestualmente al responsabile della RSA/M di Lungro di esplicitare le situazioni ostative all'utilizzo del personale medico, che hanno portato al blocco dei ricoveri.

  Con nota del 25 maggio 2015 del commissario straordinario è stato trasferito il responsabile del CAPT di Lungro alla U.O.C. medicina e chirurgia d'accettazione e d'urgenza dell'ospedale «Spoke» di Castrovillari, a far data dal 1o giugno 2015.
  Il trasferimento ha determinato, inevitabilmente, difficoltà nella copertura dei turni in reperibilità notturna, in quanto tale compito veniva garantito in gran parte dallo stesso responsabile e da altre due unità mediche, di cui una ha comunicato la sua disponibilità ai turni in reperibilità solo per tre mesi (giugno, luglio ed agosto 2015).
  Dopo vari incontri avvenuti nella sede del CAPT di Lungro e in quella della direzione generale dell'A.S.P. di Cosenza, alla presenza dei vertici aziendali, istituzioni locali, rappresentanti sindacali, operatori sanitari della RSA/M e dirigenti del distretto, si è stabilito che la problematica più urgente da risolvere fosse quella di individuare unità mediche distrettuali, disponibili, da assegnare alla RSA/M per la copertura dei turni di reperibilità notturna.
  La direzione distrettuale, a tal proposito, ha contattato telefonicamente e inviato a tutti i medici di continuità assistenziale a tempo indeterminato una circolare, in cui veniva chiesta la disponibilità a prestare servizio alla RSA/M, con incarico di n. 12 ore settimanali in attività territorialmente programmata, per coprire i turni di reperibilità notturna.
  Non avendo ricevuto nessun riscontro, si è reso necessario contattare altri medici dipendenti presenti nel distretto.
  A tale richiesta hanno risposto tre medici che, autorizzati dalla direzione generale (peraltro uno ha subito dopo rinunciato all'incarico) hanno preso servizio, integrandosi nei turni insieme all'unica unità medica della RSA/M, e attualmente ne garantiscono la reperibilità.
  Pertanto, malgrado le problematiche strutturali, tecnologiche e di personale del CAPT di Lungro, le competenti autorità regionali affermano che la criticità relativa al blocco dei ricoveri può essere considerata risolta, e che la RSA/M di Lungro sta svolgendo la sua regolare attività dal giugno 2015 ad oggi.
  Inoltre, il distretto sanitario Esaro-Pollino, insieme ai vertici aziendali, agli operatori sanitari, alle istituzioni locali ed ai rappresentanti sindacali, si è adoperato tempestivamente per trovare soluzioni efficaci sia per risolvere la criticità del blocco dei ricoveri sia per affrontare le altre criticità presenti nel CAPT di Lungro.
La Ministra della salute
Beatrice Lorenzin.

   PASTORELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   come è noto, il 18 settembre è stato trasmesso a questa Assemblea il testo, approvato dal Senato con modifiche, dell'AC 1864-B (Adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea – legge europea 2013-bis);
   in particolare l'attuale, articolo 23 interviene sulla disciplina della rete di distribuzione dei carburanti, di cui al decreto-legge n. 98 del 2011, al fine di liberalizzare maggiormente i distributori cosiddetti self-service, eliminando la distinzione tra le stazioni di servizio nelle aree urbane e quelle poste al di fuori dei centri abitati;
   mediante tale novella, dunque, vengono escluse limitazioni all'utilizzo continuativo delle apparecchiature self-service, anche senza assistenza, negli impianti di distribuzione ovunque ubicati e non più solo in quelli posti fuori dai centri abitati;
   com’è altresì noto, tale disposizione trova la propria origine nella procedura EU Pilot (n. 4734/13/MARK), avviata dalla Commissione europea con lettera dell'11 marzo 2013;
   in particolare, la Commissione ha rilevato che la legislazione nazionale relativa alle stazioni di servizio ubicate nei centri urbani, limitando l'apertura degli impianti di distribuzione di carburante non presidiati nell'arco delle 24 ore, viola il principio della libertà di stabilimento, previsto dall'articolo 49 TFUE, e il divieto di restrizione territoriale previsto dell'articolo 15, paragrafo 2, lettera a) della direttiva 2006/123/CE (cosiddetta direttiva servizi);
   a tali rilievi il Governo italiano allora in carica replicava con lettera del 30 luglio 2013, che la legislazione nazionale sarebbe volta, in primo luogo, ad evitare l'esclusione delle piccole imprese dal mercato e salvaguardare l'occupazione nel settore e, in secondo luogo, a tutelare la salute e la sicurezza pubbliche;
   a fronte di ciò, la Commissione ha, tuttavia, ritenuto – in modo opinabile – che la protezione delle piccole imprese e, soprattutto, la salvaguardia dell'occupazione nel settore non siano motivi imperativi di interesse pubblico atti a giustificare restrizioni alla libertà di stabilimento. Mentre per quanto riguarda la tutela della salute e della sicurezza pubbliche, si è limitata a rovesciare l'onere della prova in ordine ai rischi per la salute e l'incolumità pubblica derivanti da stazioni di servizio, nei centri urbani, non presidiate;
   l'attuale articolo 23, dunque, costituisce al momento una scelta obbligata per l'Italia, posto che la sua adozione determina l'archiviazione della suddetta procedura di infrazione;
   tuttavia, restano irrisolti i nodi del settore – relativi alla tutela dei livelli occupazionali, delle piccole imprese, nonché della salute e dell'incolumità pubblica – derivanti dagli effetti di questa nuova disciplina, senza contare gli effetti negativi sulla ristrutturazione della rete carburanti –:
    di quali informazioni dispongano il Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministri interrogati, per quanto di loro competenza, in merito ai fatti riferiti in premessa, con specifico riguardo agli approfondimenti forniti dal precedente Governo alla Commissione sulla procedura suddetta;
   se il Governo e i Ministri interrogati non ritengano opportuno, nell'ambito delle proprie competenze, attivarsi presso le competenti sedi decisionali europee al fine di rimodulare gli obblighi gravanti sugli Stati membri in tema di liberalizzazioni, introducendo la possibilità di potervi derogare qualora dalla loro esecuzione discendano conseguenze gravi in materia di tutela dei livelli occupazionali, tutela delle piccole e medie imprese, e tutela della salute e dell'incolumità pubbliche. (4-06190)

  Risposta. — L'interrogazione in esame trae spunto dall'articolo 23 della legge 30 ottobre 2014, n. 161 recante «Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea – legge europea 2013-bis», che al momento della proposizione dell'interrogazione era ancora in corso di esame parlamentare, nella fase conclusiva dell'iter del relativo disegno di legge.
  Con tale previsione è stata eliminata la limitazione alla localizzazione degli impianti completamente automatizzati (ghost) all'interno dei centri abitati in precedenza introdotta dall'articolo 18 del decreto legge n. 1 del 2012 (convertito con legge n. 27 del 2012).
  Come peraltro riferito dal medesimo interrogante, detto intervento si è reso necessario per ovviare ai rilievi mossi dalla Commissione europea che sulla questione aveva avviato il caso Eu Pilot 4734/13/MARKT rilevando che la legislazione nazionale e regionale relativa alle stazioni di servizio ubicate nei centri urbani, limitando l'apertura di impianti di distribuzione di carburante non presidiati nell'arco delle ventiquattro ore, violava il principio della libertà di stabilimento, previsto dall'articolo 49 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, e il divieto di restrizione territoriale, previsto dall'articolo 15, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2006/123/CE (cosiddetta «direttiva servizi»).

  L'interrogante ritiene opinabili i rilievi mossi dalla Commissione europea e le giustificazioni addotte dal Governo italiano allora in carica poiché non si sarebbe tenuto in debito conto della necessità di salvaguardia delle piccole imprese e dell'occupazione nel settore nonché dei correlati rischi per la salute e l'incolumità pubblica derivanti da stazioni di servizio non presidiate, che, di contro, avrebbero costituito dei motivi imperativi di interesse pubblico atti a giustificare restrizioni alla libertà di stabilimento.
  Al riguardo si fa presente, in via preliminare, che un simile intervento era stato anche espressamente indicato come necessario per il mercato dei carburanti e più volte sollecitato da parte dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato nelle segnalazioni al Governo e al Parlamento, ai sensi degli articoli 21 e 22 della legge n. 287 del 1990, relativamente agli anni 2012 e 2013, nonché nell'audizione della stessa Autorità presso la X Commissione permanente della Camera dei deputati svolta il 4 giugno 2013.
  Il consolidato orientamento della citata Autorità, infatti, ritiene che le limitazioni alle forme di conduzione degli impianti di distribuzione si traducano in una limitazione dell'offerta a disposizione dei consumatori e possono rendere più gravoso l'ingresso sul mercato di operatori più efficienti, ostacolando in tal modo il processo di ristrutturazione della rete.
  D'altra parte, la stazione di servizio non presidiata costituisce il modello imprenditoriale standard in molti paesi dell'Unione europea trattandosi di impianti che, a parità di sicurezza rispetto agli altri, hanno costi più ridotti e possono rappresentare un efficace strumento di pressione concorrenziale, ai fini di una maggiore efficienza della rete di distribuzione.
  Tutto ciò premesso, quanto ai profili che coinvolgono la tutela della concorrenza si fa presente che la stessa direttiva servizi ammette limitazioni all'esercizio delle attività economiche solo se ed in quanto giustificabili in base a motivi imperativi di interesse generale e purché le eventuali limitazioni siano adeguate, proporzionate e coerenti con l'interesse perseguito.
  La nozione di «motivi imperativi di interesse generale» cui fa riferimento la predetta Direttiva è stata progressivamente elaborata dalla Corte di giustizia nella propria giurisprudenza relativa agli articoli 43 e 49 del Tfue e potrebbe continuare ad evolvere.
  Essa comprende almeno i motivi espressamente indicati nel considerando n. 40 della medesima direttiva tra i quali si annoverano, l'ordine pubblico, la sicurezza pubblica, la sanità pubblica, la tutela dei consumatori, la tutela dei lavoratori, e altro.
  In ogni caso la legittimità di eventuali restrizioni come quella di specie (che rappresenta una restrizione territoriale) va valutata e motivata caso per caso in quanto occorre trovare una equilibrata ponderazione tra gli interessi contrapposti.
  Nel caso di specie, così come risulta dal dossier n. 151 elaborato dall'ufficio studi del Senato della Repubblica in occasione dei lavori relativi all'AS 1533 relativo alla cosiddetta legge europea bis in questione, la Commissione (a fronte delle giustificazioni addotte secondo le quali la norma avrebbe avuto lo scopo di evitare l'esclusione delle piccole imprese dal mercato e salvaguardare l'occupazione nel settore nonché tutelare la salute e la sicurezza pubbliche) ha ritenuto che la protezione delle piccole imprese e la salvaguardia dell'occupazione nel settore sono obiettivi economici e non motivi imperativi di interesse pubblico atti a giustificare restrizioni alla libertà di stabilimento.
  Analogamente, quanto alla tutela della salute e della sicurezza pubbliche, ha ritenuto che le situazioni di pericolo per la salute e la sicurezza legate alla presenza delle stazioni di servizio non presidiate non fossero dimostrate e, in ogni caso, anche ciò fosse stato dimostrato (in aderenza al principio di proporzionalità) ha ritenuto che il rimedio non può essere costituito dal divieto assoluto imposto dalla normativa italiana.

  Tanto considerato, non sembrerebbero sussistere ulteriori margini d'intervento in sede europea.
La Sottosegretaria di Stato per lo sviluppo economico
Simona Vicari.

   GIANLUCA PINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel corso di una processione religiosa svoltasi domenica 10 maggio 2015 mattina a Conselice, in provincia di Ravenna, alcuni giovani musulmani hanno gridato ingiurie e slogan inappropriati nei confronti dei fedeli quando la statua della Madonna ha raggiunto l'edificio che ospita l'associazione culturale islamica «Attadamun» in via Dante Alighieri;
   la circostanza è stata motivo di sbigottimento per tutti i partecipanti alla processione che, ad un certo punto, si è fermata a causa del livore e della violenza verbale espressi dai giovani aderenti al centro culturale islamico;
   quanto avvenuto attesta il livello raggiunto dall'intolleranza dei giovani musulmani residenti a Conselice nei confronti delle tradizioni religiose del nostro Paese –:
   quali iniziative di competenza il Governo conti di assumere per assicurare ai cittadini di Conselice la possibilità di esercitare in futuro senza ostacoli e serenamente il proprio diritto a professare liberamente il culto cattolico, rinnovando le proprie processioni tradizionali;
   se risultino indagini già aperte in relazione a quanto esposto in premessa;
   se non ritenga opportuno effettuare, per quanto di competenza, un attento monitoraggio del suddetto centro islamico nonché avviare le opportune verifiche, in aderenza a quanto previsto dalle ultime normative in materia di antiterrorismo. (4-09221)

  Risposta. — L'episodio segnalato dall'interrogante si è verificato il 10 maggio 2015 durante la processione religiosa in omaggio alla Madonna che ha attraversato le strade del comune di Conselice, con la partecipazione di un centinaio di fedeli.
  Secondo quanto riferito dalle forze dell'ordine, nel momento in cui il corteo è giunto davanti alla sede dell'Associazione culturale islamica « Attadamun», alcuni bambini, di età compresa tra i 6 e gli 8 anni, hanno disturbato il rito con grida e frasi ingiuriose.
  Le grida hanno creato qualche attimo di imbarazzo tra i parrocchiani, dopodiché il corteo ha proseguito regolarmente il proprio cammino.
  Al termine della funzione religiosa, il responsabile del Centro islamico ha incontrato i parrocchiani scusandosi per l'accaduto.
  Nei giorni successivi alcuni rappresentanti della comunità islamica hanno consegnato una lettera di scuse al sindaco e alla parrocchia di San Martino.
  Per quanto detto, l'episodio è riconducibile solo ad una estemporanea e inconsapevole iniziativa di alcuni minori di giovanissima età.
  Comunque, per i fatti descritti, il Comando stazione dell'Arma dei carabinieri di Conselice ha trasmesso all'Autorità giudiziaria di Ravenna e al tribunale dei minorenni di Bologna un'informativa a carico di ignoti per il reato di «turbamento di funzioni religiose del culto di una confessione religiosa».
  Si rappresenta, più in generale, che l'associazione islamica « Attadamun» di Conselice è stata costituita nel marzo 2011 da alcuni cittadini di nazionalità marocchina. È un sodalizio di volontariato senza scopo di lucro, che si prefigge di diffondere la fede e la cultura islamica. Risulta iscritto alla «Conferenza islamica italiana» della quale condivide gli ideali e le posizioni allineate sui principi dell'Islam moderato.
  Dall'anno di costituzione non si sono mai verificati attriti tra la popolazione locale e gli appartenenti alla comunità islamica.
  Si rappresenta, infine, che le attività dell'associazione in parola vengono costantemente monitorate. Non sono stati ravvisati finora profili di criticità per l'ordine e la sicurezza pubblica, né tanto meno atteggiamenti di intolleranza nei confronti della comunità locale.
Il Viceministro dell'interno
Filippo Bubbico.

   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il sindaco di Gorizia Ettore Romoli, con una lettera dei giorni scorsi indirizzata alle autorità politiche di Governo e del territorio, ha voluto esporre le sue preoccupazioni in merito al problema riguardante l'immobile denominato «Caserma Massarelli»;
   tale immobile ed il relativo autoparco, di proprietà del comune di Gorizia, sono attualmente occupati dalla sede della polizia di Stato di Gorizia, ma il rapporto di locazione tra il comune ed il Ministero dell'interno è cessato il 31 maggio del 2009 per mancata stipula di un nuovo contratto;
   l'amministrazione comunale avrebbe in più occasioni sollecitato il Ministero e l'Agenzia del demanio per avviare la nuova stipula ma, malgrado la stesura di un impegno del comune a locare alle condizioni economiche ritenute congrue dall'Agenzia del demanio, anche se inferiori rispetto alle richieste iniziali, non si è ancora proceduto a regolarizzare il rapporto;
   la polizia di Stato, dunque, occuperebbe dal 1° giugno 2009 lo stabile pur non avendone alcun titolo; oltretutto, il Ministero dell'interno avrebbe versato al comune di Gorizia, a titolo di indennità per il periodo 1° giugno 2009-30 giugno 2012, una somma che l'amministrazione avrebbe accettato esclusivamente a titolo di acconto, poiché notevolmente inferiore a quanto dovuto;
   per tutelare l'amministrazione da responsabilità contabili, il comune ha agito in giudizio contro la prefettura di Gorizia ed il Ministero dell'interno, richiedendo lo sfratto per fine locazione; a seguito dell'accoglimento della richiesta del comune da parte del tribunale di Trieste, la polizia di Stato dovrebbe perentoriamente lasciare l'immobile entro la scadenza del 31 ottobre prossimo;
   il sindaco, nella missiva, auspica la stipula del nuovo contratto di locazione tra il comune ed il Ministero dell'interno ed il saldo del debito anche in modo da poter utilizzare le somme dovute dal Ministero per ristrutturare l'immobile ed effettuare i previsti lavori di ampliamento, permettendo così alla questura di occupare un unico edificio al posto dei due stabili utilizzati attualmente, di cui uno in condizioni fatiscenti. Tale prospettiva troverebbe anche il favore del questore di Gorizia, Lorenzo Pillinini –:
   se sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa;
   quali provvedimenti urgenti intenda adottare per sollecitare gli uffici ministeriali competenti ad accelerare le procedure della stipula del nuovo contratto di locazione degli spazi di proprietà del comune di Gorizia occupati dalla sede della polizia di Stato di Gorizia;
   secondo quali tempistiche il Ministro intenda regolarizzare le pendenze contabili con il comune di Gorizia relative all'occupazione degli spazi della «Caserma Massarelli». (4-09211)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si chiede quali provvedimenti urgenti intenda adottare il Ministero dell'interno per accelerare la stipula del nuovo contratto di locazione per i locali della «Caserma Massarelli» di proprietà del comune di Gorizia e sede di alcuni uffici e servizi della locale questura e dell'annesso autoparco.
  Si chiede, inoltre, con quali tempistiche si intenda regolarizzare le pendenze contabili con il comune di Gorizia relative all'occupazione degli spazi citati.
  A tale proposito, si comunica che il 10 luglio 2015 si è tenuta una riunione presso la prefettura di Gorizia con la presenza di tutte le parti interessate alla risoluzione della problematica, nonché con i rappresentanti del Dipartimento della pubblica sicurezza.
  La riunione era finalizzata, in particolare, a definire la situazione di occupazione extracontrattuale della caserma da parte della questura (il contratto di locazione era scaduto il 31 maggio 2009), nonché il contenzioso sussistente con il comune sia per ottenere il rilascio dell'immobile sia per la richiesta di una diversa quantificazione della indennità di occupazione (si rappresenta infatti che per l'utilizzo della caserma in regime extracontrattuale è stata corrisposta annualmente al comune, a titolo di indennità, la somma di 87.550 euro accettata dal comune solo quale acconto a decorrere dal 1o giugno 2009).
  Nel corso della riunione è stato, quindi, delineato il percorso per addivenire alla sanatoria del pregresso utilizzo senza titolo dell'immobile da parte della questura di Gorizia e alla sottoscrizione di un nuovo contratto di locazione, interrompendo quindi la procedura esecutiva di sfratto attivata dal comune.
  Sempre nel corso della riunione è stata anche acquisita la disponibilità da parte del comune a realizzare lavori di adeguamento ed ampliamento anche in previsione dell'accorpamento in un'unica struttura di tutti gli uffici della questura attualmente dislocati in due stabili; accorpamento che, una volta realizzato, determinerà un risparmio netto annuo di 35.000 euro e permetterà di risolvere i problemi logistici della questura con conseguente miglioramento della funzionalità nella resa dei servizi istituzionali.
  Il 24 luglio 2015, la prefettura di Gorizia, acquisita dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Trieste conferma del parere favorevole ad una soluzione conciliativa della controversia, ha inviato al Dipartimento della pubblica sicurezza la bozza di un accordo bonario da sottoscrivere con il predetto ente proprietario, sulla base del quale lo stesso si impegna a non dare esecuzione allo sfratto esecutivo a fronte di un riconoscimento, da parte di questo Ministero medesimo, di una indennità di occupazione extracontrattuale pari a 150.000 euro annui.
  Il 9 ottobre 2015, quindi, è stata autorizzata la citata prefettura al prosieguo dell’iter intrapreso per la risoluzione della problematica.
  Il 20 ottobre 2015 è stata disposta l'emissione di un ordine di accreditamento per l'importo complessivo di 371.889 euro pari alla differenza fra quanto concordato e quanto effettivamente corrisposto per l'occupazione extracontrattuale dell'immobile «Caserma Massarelli» per il periodo compreso dal 1o giugno 2009 al 31 dicembre 2015.
  Pertanto il 29 ottobre 2015, il prefetto di Gorizia ha sottoscritto l'accordo bonario raggiunto tra l'amministrazione dell'interno e il comune di Gorizia con il quale è stato definito l'accordo per il riconoscimento dell'indennità extracontrattuale per il periodo 1o giugno 2009-31 dicembre 2015 quantificata in euro 150.000 annui.
  Per quanto attiene al contratto di locazione che dovrà regolamentare il rapporto d'affitto per i prossimi sei anni a decorrere dal 1o gennaio 2016, la prefettura ha già avviato i contatti con l'Agenzia del demanio di Udine per un aggiornamento della determinazione della congruità del canone.
Il Viceministro dell'interno
Filippo Bubbico.

   ROSATO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea – richiamata dai Trattati – dispone il divieto di qualsiasi forma di discriminazione fondata «, in particolare, su... (omissis) l'età ...» e l'articolo 2, paragrafo 2 della direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000 definisce come «discriminazione diretta» quando «sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all'articolo 1 [religione, convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali], una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una situazione analoga»;
   la medesima direttiva ha fatto salva, all'articolo 4, paragrafo 1, la possibilità agli Stati di stabilire una disparità di trattamento basata su una «caratteristica correlata a uno qualunque dei motivi di cui all'articolo 1» laddove essa costituisca «requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell'attività lavorativa»; all'articolo 6, paragrafo 1, ha fatto salva la possibilità agli Stati membri di prevedere differenze di trattamento in ragione dell'età per il raggiungimento di finalità legittime, compresi «giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale»;
   l'interpretazione di dette clausole eccezionali deve essere necessariamente restrittiva e deve consentire disparità solo qualora siano «oggettivamente e ragionevolmente giustificate» e purché il requisito sia «proporzionato», in quanto la giurisprudenza e la dottrina europea hanno riconosciuto il principio di non discriminazione in base all'età quale principio generale del diritto dell'Unione europea, cui la direttiva in argomento dà concreta attuazione;
   se, da un lato, a livello europeo si è più volte sancito la illegittimità delle normative che fanno espressamente riferimento a limiti d'età per l'accesso ai concorsi pubblici nella pubblica amministrazione, dall'altro, si è convenuto, con alcune sentenze note, di ritenere legittima apposizione di un limite d'età per l'accesso a particolari professioni, quali le Forze armate e di polizia e i Corpi dei vigili del fuoco, se questa è atta a «garantire il carattere operativo ed il buon funzionamento». A tal fine, il considerando 18 della direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000 testualmente poneva come limite alla propria applicazione, l'effetto di «costringere le forze armate nonché i servizi di polizia, penitenziari o di soccorso ad assumere o mantenere nel posto di lavoro persone che non possiedano i requisiti necessari per svolgere l'insieme delle funzioni che possono essere chiamate ad esercitare, in considerazione dell'obiettivo legittimo di salvaguardare il carattere operativo di siffatti servizi»;
   tuttavia, è recente la sentenza della Corte di Giustizia europea nella causa C-416/13 che innova, per certi versi, l'interpretazione che fin qui si è fatta del principio di non discriminazione e delle clausole eccezionali richiamate sopra;
   la Corte infatti, ha rilevato che sebbene «secondo una costante giurisprudenza, il possesso di capacità fisiche particolari è una caratteristica legata all'età», nulla consente di affermare che l'obiettivo di garantire il carattere operativo e il buon funzionamento dei Corpi di polizia (nel caso di specie) sia raggiunto dal mantenimento di un simile limite per l'accesso ai concorsi pubblici, e nulla dimostra che le capacità fisiche richieste siano necessariamente collegate ad una fascia predeterminata d'età;
   nella sentenza si pone in rilievo la circostanza che l'iter della selezione concorsuale preveda già il superamento di «prove fisiche rigorose ed eliminatorie» sufficienti a raggiungere l'obiettivo di garantire piena operatività ai Corpi e si richiama, in riferimento al caso di specie, al diritto spagnolo il quale non presenta una omogeneità di comportamento, essendo questa materia regolamentata dalle comunità autonome, e nel quale, quindi, figurano – all'interno del medesimo Stato – comunità che prevedono limiti d'età più stringenti, comunità che dispongono limiti di età più ampi, ed infine comunità che non hanno stabilito alcun limite;
   anche l'ordinamento italiano per l'accesso ai ruoli iniziali della polizia di Stato,
dell'Arma dei carabinieri, della polizia penitenziaria, del Corpo forestale dello Stato, della Guardia di finanza e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco prevede – al pari di quello spagnolo sanzionato dalla Corte di giustizia europea – limiti di età più o meno stringenti, nonostante l’iter di selezione concorsuale preveda l'espletamento di esami e prove di idoneità psico-fisiche, e nonostante il personale assunto sia costantemente sottoposto a corsi periodici di addestramento, formazione o aggiornamento;
   in assenza, quindi, di una ragionevole giustificazione, le norme che impongono un limite d'età all'accesso ai concorsi realizzano, secondo la Corte, una manifesta disparità di trattamento basata sull'età;
   a detta dell'interrogante, quindi, l'emissione della sentenza della Corte di giustizia europea del 13 novembre 2014, dovrebbe esortare il nostro Paese a superare l'attuale impostazione, adeguandola all'orientamento della Corte che pare essere, secondo l'interrogante, coerente con i principi europei e che comunque consente il raggiungimento degli obiettivi di tutela della sicurezza e dell'ordine pubblico;
   l'adeguamento pare necessario in via di autotutela, onde evitare che il nostro Paese possa essere sanzionato dalla Corte di giustizia europea o possa essere, alla luce del nuovo orientamento, raggiunta da notifica dell'apertura di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea –:
   se i Ministri, per i Corpi di competenza, ritengano di dover adottare fin da subito tutte le iniziative utili ad adeguare l'ordinamento italiano agli orientamenti della Corte di giustizia europea in materia di limiti d'età nell'accesso ai concorsi pubblici per i ruoli iniziali;
   se, nel caso vi fosse necessità di un intervento di natura normativa, sia intendimento del Governo inserire disposizioni per l'adeguamento del nostro ordinamento alla sentenza emessa nella causa C-416/13 nel prossimo disegno di legge europea.
(4-08042)

  Risposta. — L'interrogante chiede se i ministri competenti non ritengano di dover adeguare la normativa in tema di limiti di età per l'accesso ai ruoli iniziali delle forze di polizia, delle forze armate e del corpo nazionale dei vigili del fuoco al nuovo orientarne presso dalla Corte di giustizia europea con la sentenza del 13 novembre 2014 relativa alla causa C-416/13.
  Con tale pronuncia, la Corte, chiamata da un giudice spagnolo a esprimersi in via pregiudiziale sulla interpretazione della direttiva 2000/78/CE del Consiglio dell'Unione europea, ha stabilito che le relative disposizioni «devono essere interpretate nel senso che ostano ad una normativa nazionale (...) che fissa a 30 anni l'età massima per l'assunzione degli agenti di polizia locale».
  In proposito, è noto che le sentenze emesse dalla Corte di giustizia nei procedimenti di rinvio pregiudiziale non sono vincolanti solo per il giudice nazionale che ha sollevato la questione, ma dispiegano i loro effetti cogenti erga omnes, cioè anche rispetto a qualsiasi altro caso in cui si faccia applicazione, nel territorio dell'Unione europea, della medesima disposizione di diritto comunitario interpretata dalla Corte.
  È opportuno quindi – e in tal senso si condivide l'esortazione contenuta nell'interrogazione – che, in presenza di sentenze come quella oggetto dell'interrogazione, i legislatori nazionali effettuino le necessarie verifiche dei rispettivi ordinamenti giuridici e, se del caso, agiscano in autotutela promuovendone l'adeguamento a quello comunitario, anche al fine di prevenire l'instaurazione di procedimenti contenziosi e l'attivazione di procedure di infrazione da parte della Commissione europea.
  Ciò detto in linea generale e venendo alla specifica questione posta dall'interrogante, si esprime l'avviso che le conclusioni della sentenza della Corte di giustizia C-416/13, riguardanti esclusivamente gli organi di polizia locale, non siano suscettibili di applicazione analogica alle forze armate, a quelle di polizia e al corpo nazionale dei vigili del fuoco.

  Si ritiene, infatti, che il livello di operatività di cui debbono disporre gli agenti di polizia municipale non sia sempre paragonabile a quello molto elevato sistematicamente richiesto alle forze di polizia, specie nelle operazioni di prevenzione e repressione dei crimini, alle forze armate, segnatamente nelle missioni internazionali di peacekeeping, e ai vigili del fuoco, soprattutto negli interventi di spegnimento degli incendi.
  Con riferimento a tali corpi statuali, quindi, l'apposizione del limite di 30 anni di età per l'accesso ai ruoli iniziali appare una misura proporzionata all'obiettivo di salvaguardare il carattere operativo e il buon funzionamento dei servizi di competenza.
  Questa posizione è conforme ai principi informatori della citata direttiva 2000/78/CE (articoli 2, comma 5, 3, comma 4, e 6, comma 1) e, inoltre, si fonda sulla normativa nazionale che ha recepito la direttiva medesima (articolo 3, commi 2, lettere c) ed e), e 3 del decreto legislativo n. 216/2003).
  E trova sostegno nella giurisprudenza della stessa Corte di giustizia europea. Si fa riferimento, in particolare alle sentenze Prigge C-477/09 e Wolf C-229/08, quest'ultima confermata nella validità proprio dalla più volte richiamata sentenza C-416/13.
  Nello stesso senso è orientata la copiosa giurisprudenza nazionale di merito intervenuta sia prima che dopo la sentenza C-416/13.
Il Viceministro dell'interno
Filippo Bubbico.

   RUSSO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la stazione sperimentale Industria Pelli di Napoli (SSIP) nacque nel 1885, come ente pubblico;
   dal 1923, in forza di un regio decreto, ottenne dalle industrie del settore pelli il pagamento di un contributo (imposizione parafiscale), che attualmente consiste nella duplice forma di importo in base al numero dei dipendenti dell'azienda e di trattenuta a dogana sulle importazioni extra Unione europea pari all'1 per mille;
   nel maggio 2010, con decreto-legge n. 78 (articolo 7, comma 20), tutte le stazioni sperimentali sono state soppresse e le relative attribuzioni conferite alle camere di commercio; quelle della SSIP alla CCIAA di Napoli;
   quest'ultima, come le altre camere di commercio, ha istituito un'azienda speciale ad hoc, cui ha trasferito attribuzioni e patrimonio del soppresso ente;
   essendo il settore contribuente basato sostanzialmente su distretti, la legge di stabilità 2014 ha stabilito che i compiti della soppressa SSIP spettino, in aggiunta a Napoli, a Pisa e Vicenza (cfr. comma 442 della legge n. 147 del 2013), ma ha tralasciato il distretto di Solofra in provincia di Avellino;
   le tre camere di commercio di Pisa, Vicenza e Napoli, a dicembre 2014, hanno costituito un nuovo soggetto (s.r.l.) il cui capitale sociale, formato integralmente dal patrimonio del precedente ente soppresso (euro 9.500.000) è stato assegnato per un terzo a ciascuna delle predette camere di commercio;
   è interessante evidenziare come, di recente, il Consiglio di Stato ha, con sentenza 5027 del 9 ottobre 2014, rinviato alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 7, comma 20, decreto-legge n. 78 del 2010 con cui sono state trasferite le funzioni nazionali delle stazioni sperimentali alle camere di commercio, enti gestori di interessi locali parziali e non in grado, ai fini della tutela dei diritti costituzionali, di tutelare gli interessi nazionali (o di altre province) –:
   secondo i dati in possesso del Governo, su quali basi, nell'attribuire le funzioni dell'ex stazione sperimentale Industria Pelli alle sole tre camere di commercio di Vicenza, Pisa e Napoli, siano state escluse altre province con forte presenza produttiva nel settore contribuente, tra cui Avellino;
   come si concili la forma societaria a responsabilità limitata di tipo privatistico (gestita da tre enti meramente locali) con il potere pubblico, in capo alla stessa società, di riscuotere obbligatoriamente a livello nazionale contributi e imposte parafiscali. (4-09168)

  Risposta. — Come noto l'articolo 7 comma 20 del decreto legge n. 7 del 2010 convertito con modificazioni dalla legge n. 122 del 2010 ha previsto la soppressione di tutte le stazioni sperimentali, trasferendo i relativi compiti e attribuzioni alle Camere di commercio; nel caso specifico della Stazione sperimentale industria delle pelli (Ssip) i compiti e le attribuzioni sono state trasferite alla Camera di commercio di Napoli.
  Successivamente l'articolo 1, comma 442, della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014) ha stabilito che i compiti della soppressa Ssip fossero trasferite, in aggiunta a Napoli, anche alle camere di commercio di Pisa e Vicenza.
  Ciò premesso relativamente al primo quesito ovvero: «su quali basi, nell'attribuire le funzioni dell'ex stazione sperimentale Industria Pelli alle sole tre camere di commercio di Vicenza, Pisa e Napoli, siano state escluse altre province con forte presenza produttiva nel settore contribuente, tra cui Avellino», occorre prioritariamente evidenziare che la scelta di collocazione delle funzioni e compiti presso le tre Camere di commercio di Napoli, Vicenza e Pisa, è stata effettuata dallo stesso legislatore in ragione del fatto che Napoli è la città in cui aveva sede la soppressa Stazione sperimentale mentre le camere di commercio di Pisa e Vicenza rappresenterebbero le circoscrizioni in cui l'industria delle pelli è particolarmente diffusa. A tal riguardo, occorre precisare, inoltre, che tale scelta non costituisce la prova che lo Stato, con la norma in questione, abbia inteso eliminare una competenza «nazionale» per trasformarla in una competenza con valenza «locale».
  Le Camere di commercio, infatti, non sono enti locali e le funzioni che svolgono, seppure organizzate territorialmente, fanno riferimento ad interessi generali e non particolari. Il modello delle «autonomie funzionali», proprio anche delle università, costituisce un modello di organizzazione delle funzioni precedentemente assolte dallo Stato, diverso da quello realizzato attraverso il «decentramento» o la localizzazione nei confronti di enti locali o territoriali e, si accompagna alla sussidiarietà orizzontale ed a quella verticale.
  Ne è riprova la stessa riforma in atto del sistema camerale che non consente più il riconoscimento delle Camere di commercio nei confini territoriali delle province. Ne è riprova inoltre proprio lo stesso assetto organizzativo che le diverse stazioni sperimentali dell'industria hanno man mano assunto in attuazione delle disposizioni del contenute nel decreto ministeriale 1o aprile 2011, emanato ai sensi dell'articolo 7 comma 20 del decreto-legge n. 78 del 2010, invertito con modificazioni dalla legge n. 122 del 2010.
  Il citato decreto ministeriale, infatti, all'articolo 1 comma 2 recita. «Le Camere di Commercio destinatarie completano le attività necessarie per assicurare la più efficace gestione attraverso l'utilizzo di forme organizzative camerali, anche in forma associata tra loro, utilizzando eventualmente schemi consortili anche aperti alla partecipazione di soggetti pubblici e privati...».
  Sulla base di tale disposizione normativa le tre camere di commercio di Napoli, Pisa e Vicenza, a dicembre 2014 hanno costituito un nuovo soggetto nella forma di società a responsabilità limitata, il cui capitale sociale, formato integralmente dal patrimonio del precedente ente soppresso è stato assegnato per un terzo a ciascuna.
  Occorre, altresì, segnalare che tale strutturazione in forma di società della Stazione sperimentale dell'industria delle pelli (che vede la partecipazione delle Camere di commercio di Napoli, Pisa e Vicenza) non costituisce il primo caso di nuovo assetto organizzativo delle stazioni sperimentali, anche la Camera di commercio di Milano, infatti, ha riunificato in un'azienda speciale unica, una sua preesistente struttura di ricerca con le funzioni di quattro stazioni
sperimentali (idrocarburi, per la carta e cellulosa, per la seta, per i grassi e gli olii).
  Nello specifico, la funzione nazionale della Stazione sperimentale industria pelli e materie concianti – Ssip Srl, si esplica in diversi modi:
   gli investimenti in ricerca, formazione, informazione e certificazione sono destinati a beneficiare imprese di tutti i territori (non solo quelli in cui hanno sede le tre Cciaa formalmente proprietarie e i distretti principali);
   il territorio di Solofra è, in ogni caso, oggetto di attenzioni specifiche, grazie alla presenza di importante distretto, nella forma di supporto alle istituzioni formative locali e agli enti di certificazione, anche se formalmente è fuori dal territorio della Cciaa di Napoli;
   il Consiglio di amministrazione della Ssip è, per statuto, totalmente espressione di associazioni nazionali come Unic – Unione nazionale industrie conciarie ed include tra i propri membri consiglieri che non appartengono alle province/regioni formalmente proprietarie;
   l'eventuale rappresentanza del territorio di Avellino può dunque avvenire anche attraverso l'allargamento del Cda.

  La Ssip srl ha natura, quindi, di centro nazionale di ricerca e riguardo all'impegno della stessa ad investire sui territori nazionali interessati, va precisato quanto segue:
   la destinazione di risorse territoriali, nella formazione superiore, avviene attraverso accordi con le regioni, che hanno competenza in materia di sviluppo; così come anche l'eventuale istituzione di una rete di Its – Istituti tecnici superiori, elaboratori di prova avviene attraverso il passaggio con le regioni;
   la scelta di attribuire alle Cciaa di Vicenza e Pisa le responsabilità gestionali delle strategie di investimento nell'industria della pelle è stata pienamente condivisa in quanto sia il Veneto che la Toscana hanno recepito (con leggi specifiche) l'importanza dei distretti, e delle reti locali, per la competitività dell'industria;
   la scelta di lasciare la sede amministrativa nella sede storica di Napoli è stata condivisa anche dalla regione Lombardia, sebbene Milano abbia importanti strutture di appoggio al settore (fiera Lineapelle e la sede di Unic), riconoscendo pertanto il ruolo dominante, in termini di fatturato, dei distretti di Arzignano, Santa Croce e Solofra.

  Con riferimento invece al secondo quesito posto nell'atto in esame ovvero: «come si concili la forma societaria a responsabilità limitata di tipo privatistico (gestita da Ire enti meramente locali) con il potere pubblico, in capo alla stessa società, di riscuotere obbligatoriamente a livello nazionale contributi e imposte parafiscali.», si esprimono le seguenti considerazioni.
  La compagine proprietaria e la forma giuridica della Stazione sperimentale industria pelli e materie concianti – Ssip, individuata ai sensi del citato decreto ministeriale 1o aprile 2011, risponde all'esigenza di consentire il concreto funzionamento della stessa Ssip in coerenza con la sua storia passata, quale azienda speciale della Cciaa di Napoli, e con la necessità di aumentare il ruolo delle amministrazioni pubbliche più vicine ai distretti e alle imprese che formano l'industria nazionale della pelle.
  In merito alla riscossione dei contributi si evidenzia, altresì, che l'articolo 4 comma 1 del citato decreto ministeriale del 1o aprile 2011 prevede:» ... i contributi obbligatori a carico delle imprese che esercitano le attività produttive nei settori di competenza e i commerci di importazione corrispondenti di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999 n. 540, confluiscono nei bilanci delle organizzazioni costituite ai sensi dell'articolo 1 comma 2 dalle Camere di commercio interessate all'esercizio delle funzioni delle soppresse stazioni sperimentali dell'industria...»;
  La ragione sociale della Ssip è, pertanto, strumentale all'obiettivo di allocare i contributi riscossi a favore dello sviluppo dell'industria
della pelle (investimenti in ricerca, formazione di risorse umane, servizi per il migliore funzionamento del mercato, ad esempio con prove di laboratorio e norme tecniche). Lo stesso statuto della Ssip srl, peraltro, specifica all'articolo 3 che gli utili della società siano reinvestiti nelle attività di ricerca, nella diffusione dei loro risultati e nella condivisione delle attività di ricerca svolte e dei risultati prodotti e quindi a vantaggio delle stesse imprese del settore, ciò a tutela proprio della funzione pubblica di riscossione obbligatoria, dei contributi presso le aziende del settore operanti a livello nazionale.
La Sottosegretaria di Stato per lo sviluppo economico
Simona Vicari.

   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   dal 4 al 6 luglio 2014 si è tenuta a Bologna il Festival eritreo, gestito ed organizzato direttamente dal Governo eritreo;
   attualmente è al potere in Eritrea una sanguinaria dittatura guidata da Isaias Afewerki, autonominatosi Presidente a vita;
   ciò è denunciato da numerosi report di organizzazioni umanitarie come Amnesty International e Human Rights Watch;
   il regime eritreo è sotto osservazione del Consiglio dei diritti umani dell'ONU, che ha dato il via libera all'apertura di un'inchiesta sulle massicce violazioni dei diritti umani commesse dalle autorità in Eritrea;
   la risoluzione approvata in merito condanna le violazioni generalizzate e sistematiche dei diritti umani e delle libertà fondamentali, tra cui si ricordano le esecuzioni extragiudiziarie, le sparizioni forzate, le torture, le detenzioni arbitrarie e finanche le gravi restrizioni ai danni di capi religiosi, giornalisti ed attivisti in sostegno dei diritti umani;
   sempre la risoluzione approvata dall'ONU sollecita la fine del regime del servizio militare a durata indeterminata e denuncia il ricorso alla forza lungo i confini del Paese per impedire ai cittadini eritrei di lasciare il Paese;
   la risoluzione condanna anche l'uso da parte del Governo eritreo della cosiddetta «diaspora tax», ovvero una tassa del 2 per cento sul reddito estero dei cittadini eritrei non residenti nel Paese, imposta attraverso minacce ai familiari ancora residenti in Eritrea, la negazione del rilascio di passaporti, il divieto di entrare o uscire dal Paese e la confisca dei beni in Eritrea;
   in base ai rapporti dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati sono decine di migliaia i cittadini eritrei che ogni anno cercano di lasciare il Paese per sfuggire alla repressione, trovandosi fin troppo spesso ad affrontare viaggi pericolosissimi che più volte si sono trasformati in terribili tragedie, come nel caso della strage del 3 ottobre del 2013, quando persero la vita al largo di Lampedusa 366 persone, perlopiù di cittadinanza eritrea;
   il Festival ha rappresentato anche un'occasione per raccolte fondi promosse dagli organizzatori dell'evento, strettamente legato al Pdfj, il partito unico guidato da Afewerki;
   il Coordinamento Eritrea Democratica, che riunisce le organizzazioni che denunciano da tempo sia le gravi brutalità e violazioni dei diritti umani in atto nel Paese, sia le pressioni e le minacce che vengono esercitate su chi è riuscito ad uscire dal Paese affinché mantenga il silenzio su quanto avviene in Eritrea, ha deciso di promuovere negli stessi giorni della Festa organizzata dal Governo eritreo iniziative di informazione e di protesta sul territorio bolognese;
   la tensione è, come prevedibile, cresciuta nel corso dei giorni, con aggressioni a danno dei manifestanti contro il Festival;
   accettando di ospitare il Festival Bologna, città medaglia d'oro della Resistenza, ha offerto la sua immagine a sostegno di quella che è una delle dittature più sanguinarie del nostro tempo;
   appare inopportuna la concessione al regime eritreo di organizzare una manifestazione di propaganda così evidente sul suolo italiano –:
   quali misure intendano prendere per evitare che incresciosi episodi di questo tipo si ripetano in futuro, prendendo immediatamente le distanze del sanguinario regime eritreo. (4-05487)

  Risposta. — Come rappresentato dall'interrogante, dal 4 al 6 luglio 2014 si è svolto, presso l'area del parco nord di Bologna, il festival europeo della cultura Eritrea 2014, che ha visto una notevole ed ordinata partecipazione di cittadini eritrei provenienti da varie parti d'Italia e dall'estero, oltre alla presenza del Ministro degli affari esteri dell'Eritrea.
  Nei giorni precedenti lo svolgimento del festival, il «Coordinamento Eritrea Democratica» ha pubblicizzato un'iniziativa di opposizione, ritenendo l'evento in questione uno strumento di propaganda organizzato dal governo eritreo al fine di ottenere un avallo internazionale al regime, responsabile, a dire degli oppositori, di detenzioni arbitrarie, servizio militare a tempo indeterminato, casi documentati di tortura e sistematica negazione della libertà di stampa, di opinione e di credo religioso.
  Le locali realtà antagoniste, in particolare il centro sociale teatro polivalente occupato, hanno promosso, a loro volta, una mobilitazione contro il festival, definito «celebrazione di un governo fascista». In particolare, si evidenzia che nella mattinata del 4 luglio 2014, una trentina di cittadini eritrei, sostenuti da altrettanti attivisti del TPG, sono giunti all'esterno dell'area del parco nord, in prossimità di un ingresso secondario, dando luogo per circa tre ore ad una vivace protesta verbale, con una serie di interventi e slogan contro il governo eritreo e contro l'iniziativa in corso di svolgimento.
  Anche nella mattinata successiva, nei pressi del medesimo varco secondario, si sono riuniti circa duecento manifestanti, in prevalenza cittadini eritrei, che successivamente si sono allontanati in corteo per raggiungere piazza Maggiore, ove nel pomeriggio si è svolto un altro presidio di protesta sui medesimi temi con la partecipazione di esponenti dell'Amministrazione comunale.
  Durante il corteo, un gruppo di dissidenti, staccandosi dal resto dei manifestanti, ha raggiunto il parcheggio di un albergo ove una cittadina eritrea dell'area filo governativa ha riferito di essere stata aggredita senza riportare lesioni. Nella notte tra il 4 e il 5 luglio 2014, due appartenenti al «Coordinamento Eritrea Democratica» hanno denunciato di essere stati aggrediti da connazionali indossanti magliette con la sigla « Eriblood», simili a quelle utilizzate dal personale dell'organizzazione del festival, riportando lesioni lievissime.
  Il 6 luglio 2014 non si sono registrate ulteriori contestazioni o episodi di contrasto.
  Quanto all'organizzazione dell'evento, l'Amministrazione comunale ha riferito di non aver partecipato né alla progettazione né all'attuazione del festival, che è stato organizzato autonomamente dalla locale comunità eritrea in un'area pubblica del Parco nord della città, data in concessione ad un soggetto privato.
Il Viceministro dell'interno
Filippo Bubbico.

   SIBILIA, DE LORENZIS e COLONNESE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sulla base di una segnalazione pervenuta via mail agli interroganti, sembra che giovedì 16 aprile 2015 sul treno delle Ferrovie dello Stato partito dalla stazione di Bologna alle ore 11,52 e diretto a Monaco di Baviera Ost (con arrivo previsto alle ore 18),10), a Trento un agente di polizia federale, di sesso femminile, abbia iniziato a controllare i documenti di identità di tutti i passeggeri non-bianchi insieme a due poliziotti italiani e ad uno austriaco;
   in particolare, questa poliziotta tedesca avrebbe confiscato i documenti di identità ad una famiglia nigeriana, composta da uomo, una donna e un bambino di tenera età;
   arrivati in territorio austriaco, il controllore del treno ha chiesto alla famiglia in questione di mostrare le carte di identità quali documenti di accompagnamento ai titoli di viaggio al fine della regolarità degli stessi biglietti. Carte di identità che, tuttavia, erano state confiscate dalla poliziotta tedesca, mentre il treno transitava per Trento e che sarebbero state restituite solo all'arrivo a Monaco di Baviera Ost –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza del fatto esposto in premessa e se esistano trattati internazionali in vigore che disciplinano il controllo sui treni italiani da parte di polizia non italiana e, in caso affermativo, quale sia l'autorità di controllo e se intendano valutare l'opportunità di ridefinire il contenuto affinché il controllo sia di competenza degli organi di polizia italiana. (4-09533)

   ZANIN. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   le bande musicali nel nostro Paese sono presenti sull'intero territorio nazionale, anche nella forma di bande da giro specializzate in repertori liricosinfonici; quelle che aderiscono all'Anbima, articolate in organizzazioni regionali e provinciali, sono 1500 con 70.000 soci, oltre 3.000 maestri impegnati nella formazione e nella direzione che realizzano, interpretano ed eseguono gratuitamente oltre 20.000 concerti l'anno su tutto il territorio nazionale e all'estero, offrendo un'importante opportunità formativa nell'educazione musicale e per l'apprendimento strumentale;
   i cori rappresentano una realtà importante nel panorama musicale italiano. I concerti offerti gratuitamente alla popolazione dalla Feniarco, associazione con respiro europeo articolata in tutte le regioni italiane, sono circa 25.000 ogni anno e si svolgono anche nei luoghi più remoti e meno raggiunti dalla cultura di massa, contribuendo alla vivificazione della musica e dando opportunità anche sul piano sociale alla popolazione di tutte le età;
   le attività di spettacolo dal vivo sono beneficiarie di contributi statali derivanti dal Fondo unico per Io spettacolo (FUS) di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163, che sostiene iniziative di produzione e programmazione nell'ambito della musica, del teatro, della danza, del circo e dello spettacolo viaggiante;
   i contributi del Fondo unico dello spettacolo vengono concessi in generale per progetti triennali su programmi annuali secondo i criteri e le modalità disciplinati, a partire dall'esercizio 2015, dal decreto ministeriale 1° luglio 2014;
   dagli organi di stampa si apprende che ANBIMA (Associazione bande musicali italiane autonome) e FENIARCO (Federazione nazionale italiana che riunisce le associazioni corali di tutte le regioni italiane e delle province autonome di Trento e Bolzano) sarebbero state escluse dai finanziamenti del Fondo unico per lo spettacolo per il triennio 2015-2017;
   qualora tale notizia fosse fondata, implicherebbe un forte impatto negativo nella sfera culturale dello spettacolo dal vivo che, grazie alle migliaia di gruppi di bande musicali e cori e al loro prezioso lavoro su tutto il territorio nazionale, da decenni riscontra risultati di grande prestigio sia a livello nazionale che internazionale –:
   se ANBIMA e FENIARCO siano state effettivamente escluse dal FUS 2015-2017;
   se non si ritenga viceversa di destinare alle suddette realtà musicali un contributo assolutamente in grado di assicurare la realizzazione e lo sviluppo della loro comprovata attività di rilievo nel mondo dello spettacolo dal vivo. (4-09985)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo nel quale l'interrogante, avendo appreso da organi di stampa che l'Associazione bande musicali italiane autonome (ANBIMA) e la Federazione nazionale delle associazioni corali regionali (FENIARCO) sarebbero state escluse dai finanziamenti del fondo unico per lo spettacolo (FUS) per il triennio 2015-2017, chiede se, nel caso fosse confermata tale esclusione, non si «ritenga invece necessario destinare alle suddette realtà musicali un contributo di almeno 250.000 euro l'anno per ciascuna, come ampiamente meritano».
  Prima di rispondere nel merito del quesito posto dell'interrogante, è opportuno richiamare quanto dispone l'articolo 43 del decreto ministeriale 1o luglio 2014 (Nuovi criteri per l'erogazione e modalità per la liquidazione e l'anticipazione di contributi allo spettacolo dal vivo, a valere sul Fondo unico per lo spettacolo, di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163) decreto, che, come è noto, ha introdotto un'ampia riforma dei criteri di ripartizione del FUS (Fondo unico per lo spettacolo), invero attesa da tempo.
  Tale norma prevede la concessione di contributi a soggetti pubblici e privati, anche in forma associata, che operino negli ambiti del teatro, della musica, della danza, dei circhi e dello spettacolo danzante e che realizzino progetti triennali di promozione, di rilevanza e operatività nazionale o internazionale, finalizzati: a) al ricambio generazionale degli artisti; b) alla coesione e all'inclusione sociale; c) al perfezionamento professionale; d) alla formazione del pubblico.
  Possono essere sostenuti fino a un massimo di quindici progetti per ciascuno degli ambiti sopra elencati.
  Le domande di contributo sono oggetto di una valutazione, di carattere esclusivamente qualitativo, da parte delle commissioni consultive competenti per materia. La valutazione qualitativa è effettuata da ciascuna commissione in base agli indicatori riportati nell'allegato E del decreto ministeriale prima citato.
  Possono accedere al contributo i progetti che ottengano un punteggio minimo di sessanta punti su cento, tenuto conto del numero massimo di progetti sovvenzionabili per ogni ambito.
  Le associazioni ANBIMA e FENIARCO hanno presentato domanda di contributo per il triennio 2015-2017, con riguardo alla seconda delle finalità previste dall'articolo 43, ovvero per progetti di promozione finalizzati alla coesione e all'inclusione sociale.
  La Direzione generale spettacolo ha comunicato che la competente commissione consultiva musica, riunitasi il 1o e il 20
luglio 2015, all'esito della valutazione dei progetti e dell'attribuzione dei relativi punteggi, ha ritenuto «di non doversi accogliere nessuna domanda relativa alla seconda finalità Coesione e inclusione sociale» e, quindi, tantomeno quelle presentate da ANBIMA e da FENIARCO.
  Sulla base delle deliberazioni della commissione musica, il direttore generale dello spettacolo ha provveduto, pertanto, con proprio decreto del 31 luglio 2015, all'assegnazione dei contributi per l'anno 2015 sulla base dei punteggi ottenuti, con l'esclusione degli organismi che non avevano ottenuto il punteggio minimo richiesto dalla normativa, adempimento cui era tenuto senza margini di discrezionalità.
  Come ha giustamente ricordato l'interrogante, le bande musicali italiane e le associazioni corali rappresentano uno straordinario patrimonio culturale di base, diffuso su tutto il territorio nazionale e svolgono una preziosa azione di promozione culturale e sociale.
  Altrettanto apprezzabile è il lavoro svolto dalle rispettive organizzazioni federative che hanno saputo fare rete, valorizzando queste realtà musicali e concorrendo al raggiungimento di risultati di rilievo.
  Per questi motivi l'Amministrazione è impegnata nel monitoraggio e nella valutazione degli effetti prodotti dalla riforma citata, sulla quale la valutazione rimane complessivamente positiva ma che indubbiamente, nella fase di prima attuazione, può aver comportato, rispetto a talune specifiche situazioni, esiti meritevoli di un aggiustamento. In tale prospettiva l'Amministrazione assicura piena attenzione ad istanze quali quella rappresentata dall'onorevole interrogante e si sta adoperando per individuare gli strumenti – eventualmente con il concorso degli organi parlamentari – più atti a recepirle.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo
Ilaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


Appendice: ATTI MODIFICATI

   COLONNESE, SIBILIA, LOREFICE, BRESCIA, MICILLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
l'attuale andamento del fenomeno migratorio, ha mostrato l'esigenza di un intervento che non sia solo emergenziale, ma che abbia un approccio sistematico e strutturato. Nell'ambito del sistema organizzativo di accoglienza bisognerebbe prestare particolare cura non solo alle procedure relative ai pubblici appalti per la gestione dell'accoglienza dei migranti, comprese le strutture temporanee, ma anche agli affidatari di tali servizi al fine di prevenire e contrastare eventuali fenomeni corruttivi e di infiltrazione da parte della criminalità;
nonostante la direttiva del Ministro dell'interno in materia di implementazione delle attività di controllo sui soggetti affidatari dei servizi di accoglienza dei cittadini extracomunitari, nella circolare n. 11209 del 20 agosto 2015 trasmessa ai prefetti, si denotano delle evidenti criticità di tutto il sistema di accoglienza «emergenziale», che non risponde in maniera efficace ed efficiente al fenomeno spesso ignorando le indicazioni di buone prassi per la sua gestione;
il giorno 11 dicembre è stato rinvenuto privo di vita, Emokpa Edosa, nigeriano di 37 anni, nella sua camera all'interno della struttura di accoglienza che lo ospitava, l’«Agriturismo Petrilli», in località Scampata, Flumeri, in provincia di Avellino. Il corpo senza vita è stato ritrovato dall'addetto alle pulizie della struttura accogliente, riverso sul pavimento in un lago di sangue. Le prime indagini effettuate dagli investigatori avrebbero escluso cause accidentali o delittuose – sul corpo e sul cranio non sarebbero stati rilevati traumi e il suicidio, e sarebbero volte piuttosto verso cause naturali. La magistratura sannita ha disposto l'esame autoptico sul corpo del nigeriano;
tempo fa, durante un report effettuato nelle strutture che danno accoglienza agli stranieri in Irpinia, i sindacalisti della Cgil avevano denunciato le precarie condizioni di salute di alcuni ospiti africani. Da allora però non è stato fatto nulla, né quell'appello-denuncia è stato mai preso seriamente in considerazione dalle autorità preposte;
la morte improvvisa e prematura del giovane profugo nigeriano ha sconvolto l'intera comunità di Flumeri e si cerca di capire come e perché sia morto l'uomo, padre di due figli. Il giovane nigeriano faceva parte dei circa 1.000 migranti ospitati in Irpinia. L'azienda agrituristica Petrillo di Ciriaco Petrilli Via Scampata, Flumeri (AV) ospita circa 75 migranti. Dal sito web e dalla pagina social si nota che l'azienda è attiva nella produzione e vendita di prodotti biologici, attività che, a giudizio degli interroganti, è in evidente conflitto con l'accoglienza migranti;
dalla pagina facebook si rileva, che «attualmente l'Azienda Agrituristica Biologica Petrilli può ospitare in pernottamento fino a 24 persone contemporaneamente», mentre risulta che i migranti attualmente ospitati siano circa 75;
la struttura di accoglienza «Agriturismo Petrilli» dovrebbe risultare vincitrice di gara d'appalto ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 163 del 2006, e dovrebbe essere dunque firmataria, tra gli altri, dell'allegato A al bando di gara «capitolato d'oneri», in base al quale, oltre ai servizi di sussistenza, ai migranti ospitati deve essere garantita assistenza medica e mediazione culturale –:
se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
quali iniziative intenda assumere per monitorare: l'operato e i servizi offerti dai soggetti affidatari operanti sul territorio che gestiscono l'accoglienza, indicando nel caso specifico, se sia stato effettuato effettivamente lo screening medico di cui al «capitolato d'oneri»; il corretto impiego dei fondi, comunitari; il costante rispetto dei diritti umani nei centri di accoglienza; la celere produzione dei documenti necessari ai migranti per soggiornare in Europa;
se e quali strategie intenda attuare per prevenire episodi similari a quello descritto in premessa, che stanno interessando tutto il territorio nazionale, denotando delle evidenti criticità di tutto il sistema di accoglienza «emergenziale», che non sta rispondendo in maniera efficace ed efficiente ad un fenomeno si complesso, ma in relazione al quale spesso vengono ignorate la buona prassi per la sua gestione. (4-11447)

   TOFALO, FICO, MICILLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
Ideal Standard è una grossa realtà industriale che da quasi cento anni opera nel settore dell'arredo con stabilimenti in Italia;
il 2005 fu l'anno d'inizio del progetto «Seapark»: dalla chiusura dell'unità produttiva di Salerno decretata dal gruppo dirigenziale della Ideal Standard, alla trasformazione in un parco acquatico, cosa mai avvenuta. Ma è successo che gli operai hanno tombato la copertura dei capannoni fatta completamente in amianto (http://www.cronachesalerno.it);
il quadro che emerge dopo la chiusura non è dei migliori: «L'ultimo dipendente dell’ex Ideal Standard, morto per una malattia incurabile, è M. D. S, 66 anni di Salerno. La settimana scorsa è deceduto E. B.: stessa malattia, stesse cause. Il numero dei morti è salito a 60 in meno di 20 anni, tutti con malattie tumorali. Indefinito il numero dei malati, per molti di loro non c’è speranza. Tra le probabili cause scatenanti delle neoplasie la presenza di amianto nell'industria che realizzava sanitari. E nel famoso e triste opificio salernitano l'amianto non sarebbe mancato. Oltre agli impasti utilizzati per la realizzazione delle ceramiche, anche la copertura dei capannoni era completamente rivestita di eternit. L'Ideal Standard risale agli anni 60, periodo in cui veniva largamente utilizzato l'amianto per la costruzione dei capannoni. Ma c’è di più. L'amianto, i dipendenti dell’ex Ideal Standard, l'avrebbero toccato con le proprie mani. Dopo la dismissione dell'impianto, i tanti dipendenti finiti in strada hanno avuto l'ingrato e pericoloso compito di interrare nelle varie vasche presenti nella struttura, il materiale di vario genere, tra cui proprio l'amianto, con una possibile contaminazione, dunque, del sito. Un compito toccato agli operai dal 2000 al 2004, quando si è proceduto al completo smantellamento dell'opificio. Vasche che ancora oggi sono visibili all'interno dei vari capannoni dell’ex struttura della zona industriale di Salerno» –:
quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda porre in essere anche per il tramite del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, al fine di verificare lo stato dei luoghi nello stabilimento di Salerno ed evitare rischi per la salute e per l'ambiente. (4-11455)

   VALLASCAS, CRIPPA, ZOLEZZI, DA VILLA, DELLA VALLE, PESCO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
il 1o dicembre 2015, la Snam spa ha annunciato di aver sottoscritto un accordo in esclusiva per subentrare alla società norvegese Statoil nella joint venture Tap (Trans Adriatic Pipeline), il consorzio nato per la realizzazione del gasdotto che attraverserà Grecia, Albania e Italia;
il Trans Adriatic Pipeline, lungo 871 chilometri, connesso al gasdotto Tanap (Turchia e Giorgia) e al SCP (Azerbaigian), porterà in Italia il gas naturale dal sito di Shah Deniz sul Mar Caspio;
secondo quanto annunciato, la Snam rileverà la partecipazione azionaria di Stat (il 20 per cento del totale), per un ammontare di circa 130 milioni di euro, e subentrerà nella titolarità dei diritti e degli impegni assunti dalla società norvegese nel progetto, compreso un prestito societario, per un ammontare nominale di 78 milioni di euro;
la chiusura dell'operazione sarebbe prevista per la fine del mese, quando cesseranno i termini di prelazione e co-vendita da parte dei soci di Trans Adriatic Pipeline e dovrebbe giungere il via libera del consiglio di amministrazione del consorzio;
l'amministratore delegato di Snam spa Carlo Malacarne, avrebbe dichiarato che il primo gas azero potrebbe giungere nei mercati europei dal 2020. Secondo quanto riferito dall'amministratore delegato di Snam, infatti, il tratto dall'Azerbaigian alla Turchia sarebbe stato già realizzato, in Albania sarebbero già iniziati i lavori, mentre in Italia dovrebbero iniziare a partire dal 2017;
secondo quanto dichiarato dall'amministratore delegato di Snam, «Tap è decisivo per la diversificazione delle forniture di gas in Europa attraverso lo sviluppo del Corridoio Sud come nuova importante direttrice dei flussi di gas dall'Azerbaigian e potenzialmente da altri Paesi produttori. L'ingresso nel progetto consentirà di consolidare il ruolo primario di Snam e delle infrastrutture italiane nel facilitare maggiore competitività tra le fonti e rafforzare la sicurezza degli approvvigionamenti per il sistema gas europea»;
tra le partecipazioni rilevanti in Snam spa, risultano CDP Reti, che possiede il 30 per centro delle quote, e l'Eni, per l'8,54 per cento;
CDP Reti è partecipata per il 59,1 per cento da Cassa depositi e prestiti, per il 35 per cento da State Grid Europe Limited, mentre il restante 5,9 per cento è in capo a investitori istituzionali italiani;
è il caso di sottolineare che Snam spa è una società a forte partecipazione pubblica con rilevante incidenza di risorse della collettività rappresentate dai risparmi dei cittadini custoditi da Cassa depositi e prestiti;
da quanto esposto sopra, l'ingresso di Snam spa nel progetto Trans Adriatic Pipeline, dovrebbe essere preceduto e sostenuto da un'attenta analisi degli scenari futuri sugli approvvigionamenti energetici, su una previsione dei costi dei benefici, nonché dei rischi, anche in virtù della fonte pubblica delle risorse investite;
il piano decennale di investimento di Snam spa sembrerebbe attribuire al gas una crescita impetuosa nei consumi nazionali (la maggior parte dei quali attribuiti al settore termoelettrico da anni in crisi), nonostante il forte calo nei consumi registrato dal 2010 e che vede il nostro Paese attestarsi su consumi pari a quelli degli anni ‘90;
numerosi analisti e osservatori del settore, confortati dai dati reali sulla variazione del consumo delle diverse fonti energetiche, sosterrebbero che gli scenari attuali sono profondamente diversi rispetto alle previsioni formulate appena quattro anni fa dai principali gruppi energetici, secondo i quali il consumo del gas avrebbe registrato un aumento significativo e la domanda nel decennio si sarebbe attestata attorno ai 100 miliardi di metri cubi (Gmc);
secondo il Ministero dello sviluppo economico, nel 2013, il consumo interno lordo di gas sarebbe stato di circa 70,1 Gmc, un valore analogo a quello registrato nel 2000;
in particolare sarebbe stato registrato un forte calo della domanda di gas per la produzione di energia elettrica, appena 21,2 Gmc nel 2013, pari a – 15 per cento rispetto al 2012, con un consumo che si è assestato al di sotto dei valori dei primi anni 2000;
il calo dei consumi verrebbe attribuito sia alla crisi economica sia alla diffusione delle rinnovabili;
questo stato di cose dovrebbe sollecitare una profonda riflessione sul valore e l'attendibilità delle previsioni, dei piani industriali e delle strategie d'investimento di lungo periodo in un settore che si caratterizza sempre più per il forte e repentino sviluppo tecnologico, per il peso delle variabili geo-politiche, per la crescente diffusione di reti intelligenti e delle fonti rinnovabili;
secondo autorevoli osservatori, l'ingresso di Snam, spa in Tap avrebbe, tra le diverse motivazioni formulate, un significato non secondario nella realizzazione di un ramo, peraltro importante, del cosiddetto corridoio sud, che contribuirebbe a diversificare le forniture di gas metano in Europa, in un contesto in cui sembra dominare il colosso russo Gazprom, anche a seguito del crollo delle forniture dall'Algeria;
alle valutazioni di natura economica, e formulate sulla base dell'andamento del mercato del gas naturale negli ultimi anni, si aggiungono diverse perplessità connesse agli alti costi del progetto, pari a un investimento di 40 miliardi di euro, e all'instabilità politica dell'area caucasica, tutti elementi che aumentano considerevolmente i rischi del progetto;
a tale proposito è il caso di riferire quanto ha rivelato il giornale Il fatto quotidiano, nell'edizione online del 20 novembre 2015, secondo il quale, nelle note ai rendiconti finanziari del 2013 e del 2014, la Trans Adriatic Pipeline avrebbe sottolineato che «“il progetto è soggetto ad un serie di rischi che possono variare nel corso del tempo”, inclusi i rischi “connessi ai permessi, a motivi politici o tecnici che possono comportare ritardi nella tabella di marcia del progetto o eccedenze di spesa che potrebbero indurre gli azionisti a concludere che il progetto non sia realizzabile”. Un'eventualità che potrebbe portare i soci a “decidere di liquidare la società”» –:
quali siano gli studi, le analisi, le strategie di Snam spa che sottendono l'ingresso nel progetto Trans Adriatic Pipeline;
quale sia la previsione sull'investimento complessivo di Snam spa nel progetto Trans Adriatic Pipeline e quali siano le principali fonti di finanziamento;
quali siano le previsioni sugli esiti dell'investimento, nonché gli scenari previsti in termini di rafforzamento della rete di approvvigionamento di gas, redditività, benefici, costi e rischi;
se l'investimento previsto possa essere ancora giustificato a fronte del crollo dei consumi registrato negli ultimi anni in Italia. (5-07258)