ATTI DI CONTROLLO E DI INDIRIZZO
Seduta n. 321 di giovedì 30 ottobre 2014
INDICE
ATTI DI INDIRIZZO:
Mozione (ex articolo 115, comma 3, del regolamento):
Scotto 1-00652 18129
Risoluzioni in Commissione:
IX Commissione:
Tullo 7-00506 18130
XII Commissione:
Grillo 7-00507 18131
XIII Commissione:
Palma 7-00505 18134
ATTI DI CONTROLLO:
Presidenza del Consiglio dei ministri.
Interrogazione a risposta orale:
Laforgia 3-01130 18136
Interrogazioni a risposta scritta:
Di Gioia 4-06670 18137
Di Maio Luigi 4-06674 18139
Affari esteri e cooperazione internazionale.
Interrogazione a risposta scritta:
Fedriga 4-06680 18140
Ambiente e tutela del territorio e del mare.
Interrogazione a risposta in Commissione:
Carrescia 5-03923 18141
Interrogazioni a risposta scritta:
Lavagno 4-06667 18143
Rostan 4-06682 18144
Economia e finanze.
Interrogazione a risposta in Commissione:
Fragomeli 5-03917 18146
Interrogazioni a risposta scritta:
Melilla 4-06665 18147
Grimoldi 4-06666 18148
Fragomeli 4-06668 18149
Di Salvo 4-06684 18150
Giustizia.
Interrogazioni a risposta in Commissione:
Tidei 5-03915 18151
Ferraresi 5-03918 18152
Interrogazione a risposta scritta:
Amoddio 4-06679 18155
Infrastrutture e trasporti.
Interrogazione a risposta scritta:
Cirielli 4-06661 18162
Interno.
Interrogazione a risposta in Commissione:
Ricciatti 5-03922 18163
Interrogazioni a risposta scritta:
Molteni 4-06669 18165
Lavagno 4-06672 18165
Naccarato 4-06676 18166
Piazzoni 4-06681 18169
Scotto 4-06683 18170
Istruzione, università e ricerca.
Interrogazione a risposta in Commissione:
Nesci 5-03916 18170
Interrogazioni a risposta scritta:
Cirielli 4-06663 18171
Segoni 4-06675 18172
Lavoro e politiche sociali.
Interrogazione a risposta in Commissione:
Rigoni 5-03914 18173
Interrogazioni a risposta scritta:
Melilla 4-06662 18174
Di Lello 4-06664 18175
Grillo 4-06678 18175
Salute.
Interrogazioni a risposta in Commissione:
Miotto 5-03920 18175
D'Incecco 5-03921 18177
Interrogazione a risposta scritta:
Sibilia 4-06677 18178
Sviluppo economico.
Interrogazioni a risposta in Commissione:
Sgambato 5-03913 18180
Catalano 5-03919 18180
Interrogazioni a risposta scritta:
Oliaro 4-06660 18181
Pilozzi 4-06671 18182
Brugnerotto 4-06673 18183
Apposizione di firme a mozioni 18184
Apposizione di una firma ad una risoluzione 18184
Apposizione di firme ad interrogazioni 18184
Pubblicazione di un testo riformulato 18184
Mozione:
Di Gioia 1-00602 18185
ATTI DI INDIRIZZO
Mozione (ex articolo 115, comma 3, del regolamento):
La Camera,
premesso che:
un Ministro, figura chiave della compagine governativa ed elemento di equilibrio politico nei rapporti con tutte le forze parlamentari, è chiamato ad essere e ad apparire trasparente rispetto ai propri atti, ai propri impegni ed ai propri comportamenti;
il Ministro dell'interno, autorità politica al vertice del dicastero omonimo, è garante e responsabile della sicurezza dei cittadini, tutore dell'incolumità e delle libertà individuali garantite dalla Costituzione, latore delle politiche di contrasto alla criminalità comune e organizzata e delle strategie in tema di prevenzione e controllo del territorio;
la mattina del 29 ottobre 2014, a Roma, la polizia, evidentemente eseguendo disposizioni impartite dal Ministero dell'interno, caricava senza motivo alcune centinaia di lavoratori dell’Ast di Terni che stavano facendo un corteo assolutamente pacifico verso il Ministero dello sviluppo economico;
il corteo è stato interrotto da una carica immotivata della polizia da Piazza Indipendenza, mentre come riferito dal segretario nazionale Fim-Cisl Marco Bentivogli, presente alla manifestazione, non c'era nessun problema di ordine pubblico, problema creato invece da chi ha dato l'ordine di caricare;
ci sarebbero, secondo quanto riferiscono i sindacati, quattro delegati Fiom e un delegato della Fimic feriti o contusi. Per uno di loro è dovuta intervenire l'ambulanza;
la manifestazione era stata indetta dai sindacati per protestare contro la decisione della ThyssenKrupp di licenziare 537 dipendenti dell'acciaieria. I lavoratori della Acciai speciali di Terni hanno prima manifestato davanti all'ambasciata della Repubblica federale di Germania a Roma per contestare il piano industriale per lo stabilimento ThyssenKrupp di Terni, decidendo in seguito di spostare la loro protesta sotto la sede del Ministero dello sviluppo economico;
la delicatezza che ha assunto la vicenda, sia per la sua strategicità produttiva che per l'impatto occupazionale, ma anche per le vicende di ordine pubblico e di ricaduta sociale che si stanno realizzando, richiedono che si realizzi un'azione più incisiva e complessiva del Governo tesa a rimuovere le posizioni oltranziste messe in campo dall'azienda e a operare ogni sforzo per scongiurare i licenziamenti;
non si aiutano certo i lavoratori di Terni e le loro famiglie aggredendoli e riducendo questa vertenza ad un problema di ordine pubblico, anche in considerazione della gravissima situazione occupazionale attraversata dal nostro Paese che richiede politiche per il lavoro;
la situazione richiede sensibilità istituzionale nonché un intervento deciso del Governo verso la proprietà dell'Ast, sensibilità apparsa del tutto assente da parte del Ministro dell'interno che viceversa ha evidentemente ritenuto più opportune le cariche della polizia contro pacifici dimostranti impegnati a protestare contro i licenziamenti;
questo atteggiamento non è episodico. Infatti, il 17 ottobre 2014, a Torino, la polizia aveva già caricato la manifestazione della Fiom per il lavoro durante il comizio in Piazza Castello;
la gravità di questi accadimenti è esaltata dal fatto che essi risultano quali ultimi episodi, in ordine di tempo, di una serie che ha messo in luce l'inadeguatezza dell'autorità politica di vertice del Ministero dell'interno, che abdica alle sue funzioni. Si ricordino, in tal senso, le precedenti negligenze del Ministro dell'interno in merito alla fuga in Libano di Dell'Utri, nonché al caso Shalabayeva;
i fatti indicati ad avviso dei firmatari del presente atto minano ulteriormente la credibilità del Ministro dell'interno e pongono un grave pregiudizio sulle sue capacità di svolgere le funzioni a cui è chiamato, nonché sull'opportunità della sua permanenza a ricoprire una carica di primo piano e di piena rappresentanza politica, in particolare in un ruolo così rilevante e delicato,
gli indirizzi imputabili al Ministro dell'interno risultano, evidentemente e fin dall'inizio del suo mandato, aver inaugurato un nuovo corso per le forze dell'ordine, le quali, da custodi del territorio, appaiono ora utilizzate per picchiare i lavoratori ed i loro rappresentanti sindacali mentre lottano per difendere il loro posto di lavoro,
per tali motivi:
visto l'articolo 94 della Costituzione;
visto l'articolo 115 del Regolamento della Camera dei deputati;
esprime la sfiducia al Ministro dell'interno, Angelino Alfano, e lo impegna a rassegnare immediatamente le dimissioni.
(1-00652) «Scotto, Cecconi, Airaudo, Agostinelli, Franco Bordo, Baldassarre, Costantino, Bechis, Duranti, Bonafede, Daniele Farina, Businarolo, Ferrara, Caso, Fratoianni, Castelli, Giancarlo Giordano, Chimienti, Kronbichler, Ciprini, Marcon, Colletti, Matarrelli, Cominardi, Melilla, Cozzolino, Nicchi, Crippa, Paglia, D'Ambrosio, Palazzotto, Dadone, Pannarale, Del Grosso, Pellegrino, Di Battista, Piras, Manlio Di Stefano, Placido, Dieni, Quaranta, Ferraresi, Ricciatti, Fraccaro, Sannicandro, Gallinella, Zaccagnini, Silvia Giordano, Zaratti, Grande, Liuzzi, Nesci, Nuti, Rizzetto, Rostellato, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Spadoni, Toninelli, Tripiedi, Turco, Villarosa».
Risoluzioni in Commissione:
La IX Commissione,
premesso che:
la diffusione dell'epidemia di Ebola ha fin qui provocato nell'Africa occidentale, in base ai dati dell'Organizzazione mondiale della sanità del 3 ottobre 2014, 7470 casi probabili e 3431 decessi;
l'Organizzazione mondiale della sanità stima che, con l'attuale tasso di diffusione, si possano raggiungere entro la fine dell'anno i 20.000 casi di contagio;
particolarmente colpiti risultano Guinea, Liberia e Sierra Leone, dove il tasso di mortalità dell'epidemia si attesta intorno al 46 per cento; un focolaio di epidemia si è registrato anche in Nigeria (20 casi ed 8 decessi) dove però l'epidemia appare sotto controllo per la maggiore efficienza delle strutture sanitarie, così come avvenuto in Senegal (che ha registrato un solo caso di importazione dalla Guinea e nessun caso secondario);
fuori dal continente africano si sono registrati singoli casi di contagio in alcuni Stati occidentali ed in particolare negli USA e in Spagna;
gli aerei rischiano di essere il maggior mezzo di diffusione del virus, mediante il trasporto di passeggeri provenienti dalle aree maggiormente a rischio;
l'Organizzazione mondiale della sanità ha comunque raccomandato di non procedere ad alcuna sospensione dei voli da e per gli Stati maggiormente colpiti dall'epidemia, per evitare un isolamento suscettibile di determinare un peggioramento della situazione;
numerosi Stati stanno quindi valutando un rafforzamento delle misure di profilassi negli aeroporti; in particolare USA, Canada e Regno Unito hanno deciso la misurazione della febbre per tutti i passeggeri in arrivo dalle zone a rischio tramite termometri a distanza;
l'articolo 20 del Regio decreto 2 maggio 1940 n. 1045, recante regolamento per la polizia sanitaria dell'aeronavigazione prevede che in caso di malattie infettive, il comando o la direzione civile dell'aeroporto adotti le opportune misure profilattiche nei riguardi del servizio nell'aeroporto ed in confronto degli aeromobili, delle persone e delle merci in partenza, al fine di evitare la diffusione delle suddette malattie a mezzo dell'aeromobile;
l'Enac, attraverso al circolare APT 27 ha adottato – sulla base di documenti ECAC e ICAO – le linee di indirizzo per gli aeroporti nazionali al fine dell'elaborazione di un piano volto ad una generale organizzazione di prevenzione, risposta e sorveglianza nel caso di pandemia influenzale;
l'adozione e l'applicazione negli aeroporti di misure di prevenzione, di sorveglianza e di contrasto nei confronti di una eventuale pandemia influenzale coinvolge, oltre al gestore aeroportuale, anche l'Enac, che svolge funzioni di indirizzo in collegamento con l'ufficio sanitario marittimo e aereo di frontiera (USMAF);
come segnalato dal Ministro della salute nel corso dell'audizione sulla diffusione dell'epidemia svoltasi di fronte alle Commissioni riunite III esteri e XII affari sociali della Camera il 7 ottobre 2014, l'Italia non ha collegamenti aerei diretti con gli Stati maggiormente colpiti da Ebola (Guinea, Liberia e Sierra Leone); si tratta di un elemento che, se da un lato rassicura rispetto ai rischi di propagazione del virus in Italia, dall'altro lato rende indispensabile un'attenta tracciabilità dei percorsi di viaggio dei passeggeri in arrivo in Italia, al fine di identificare le persone provenienti dalle zone a più alto rischio di contagio che abbiano fatto scalo in altri aeroporti;
nel corso dell'audizione il Ministro ha anche segnalato che gli aeroporti di Milano Malpensa e di Roma Fiumicino sono stati individuati come «aeroporti sanitari» e che è stato richiesto alle compagnie aeroportuali di conservare le liste dei passeggeri per almeno 21 giorni (massimo periodo di incubazione del virus), fermo restando che non si è fin qui mai registrato un caso di contagio di Ebola avvenuto all'interno di aeromobili;
su iniziativa dello stesso Ministro, in qualità di presidente di turno nell'ambito del semestre di Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea, e del commissario europeo alla salute pubblica Tonio Borg si è tenuta a Bruxelles il 16 ottobre 2014 una riunione straordinaria del Consiglio, che ha fatto il punto sull'epidemia e ha deciso l'adozione di misure volte a rafforzare le procedure di controllo negli aeroporti di ingresso sul territorio dell'Unione europea con voli diretti provenienti dalle aree affette dal virus per incrementare ulteriormente la capacità di risposta all'epidemia in corso e ridurre ulteriormente il rischio di diffusione in Europa,
impegna il Governo
a garantire, attraverso un adeguato coordinamento tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed Enac, ed in collaborazione con le autorità sanitarie, il rafforzamento delle misure di prevenzione e profilassi negli aeroporti italiani, con particolare riferimento alla tracciabilità dei percorsi di viaggio dei passeggeri in arrivo e alla predisposizione di adeguate zone di isolamento e di quarantena.
(7-00506) «Tullo, Coppola, Brandolin, Mognato, Crivellari, Mura, Carloni, Minnucci, Bruno Bossio, Pagani, Gandolfi, Meta, Carocci, Lenzi».
La XII Commissione,
premesso che:
i bambini censiti a livello mondiale dall'OMS in sovrappeso o obesi, tra i 0 e 5 anni, sono aumentati da 31 milioni nel 1990 a 44 milioni nel 2012; fenomeno in crescita anche nel continente africano che vede i bimbi sovrappeso nello stesso periodo da 4 a 10 milioni;
le tendenze del fenomeno indicano che a livello globale nel 2025 i bambini con tale disturbo legato alla obesità saranno 70 milioni;
se non saranno previsti degli interventi di cura e di rieducazione i bambini obesi rischieranno di esserlo anche in età adulta, con la possibilità di contrarre precocemente malattie come il diabete o di tipo cardiaco;
l'obesità infantile è possibile contrastarla con campagne di informazione capillare a partire dalle scuole e nella società allo scopo di orientare i bambini e i genitori verso una scelta alimentare sana ed incentivando e favorendo una attività fisica regolare;
l'industria alimentare può svolgere un ruolo attivo nel contrastare l'insorgere dell'obesità, riducendo i grassi, gli zuccheri, i sali negli alimenti anche prevedendo un marketing responsabile, con una attenzione particolare verso bambini e adolescenti;
forme di marketing alimentare rivolte ai bambini sono diffuse in tutto il inondo e a livello planetario la pubblicità televisiva influenza moltissimo i bimbi nelle preferenze alimentari;
nel maggio 2010, Organizzazione mondiale della sanità, nel corso della terza Assemblea Mondiale della sanità, ha approvato alcune raccomandazioni sulla commercializzazione di prodotti alimentari e di bevande non alcoliche ai minori (risoluzione WHA63.14);
le finalità delle raccomandazioni erano riferite al rafforzamento, presso gli stati membri dell'Organizzazione mondiale della sanità di politiche in merito alle comunicazioni di marketing alimentare rivolto ai minori, con lo scopo di mitigare/ridurre l'impatto sui bambini della commercializzazione di alimenti con un alto tasso di grassi saturi, acidi grassi, zuccheri e sali liberi;
le raccomandazioni in merito alla commercializzazione di prodotti alimentari e a bevande non alcoliche per i bambini approvate all'Assemblea mondiale della sanità nel maggio 2010 sollecitavano gli Stati membri ad assumere provvedimenti livello nazionale per ridurre l'impatto della commercializzazione transfrontaliera di alimenti ad alto contenuto di grassi saturi, acidi grassi, zuccheri liberi o sale;
in molti paesi membri dell'OMS sono in vigore alcune norme applicate al marketing alimentare rivolto ai bambini, ma, secondo l'OMS vi sarebbero rilevanti lacune legislative;
l'OMS avrebbe individuato una serie di mancanze legislative a livello globale su molti aspetti: in primo luogo riscontrando forti differenze tra uno Stato e l'altro, è stata inoltre, constatata la presenza di alcune linee guida nazionali poco efficaci su contenuti e forme delle campagne di marketing rivolte ai bambini;
allo stesso tempo è stato appurato, in molti Stati, l'assenza di regolamenti e di leggi che regolano promozioni e sponsorizzazioni di alimenti nelle scuole e via internet;
per l'OMS i codici di autoregolamentazione, i divieti di legge, nel contesto del marketing alimentare per i bambini, sono aggirati da tecniche pubblicitarie;
secondo l'OMS un miglioramento della salute pubblica e il contrasto all'obesità infantile, si potrebbero avere con lo sviluppo delle buone prassi nel marketing alimentare per i bambini, e dovrebbe vedere impegnati la sanità pubblica, la stessa industria alimentare, soprattutto per quanto riguarda la pubblicità televisiva;
in paesi come il Regno Unito, dal 2005 sono in atto divieti per la pubblicità in televisione per cibi ricchi di grassi, zuccheri e sali durante i programmi televisivi per bambini sotto i 16 anni; di conseguenza; dal 2009, si è appurato che è avvenuta una riduzione di questa tipo di pubblicità del 37 per cento;
in Spagna e Norvegia sono stai siglati accordi di autoregolamentazione con aziende alimentari, che per scelta volontaria adottano un ridimensionamento della pubblicità dei prodotti alimentari per bambini;
l'OMS avendo constatato che il marketing alimentare influenzerebbe la scelta degli alimenti e le abitudini alimentari, determinando aumento di peso ed obesità per i bambini, raccomanda a tutti gli Stati membri di applicare politiche di prevenzione ed educative rivolte alle prime fasi dell'alimentazione infantile,
impegna il Governo:
ad assumere tutte le iniziative al fine di promuovere campagne di sensibilizzazione per i bambini e le loro famiglie, sull'acquisto consapevole dei prodotti alimentari per disincentivare il consumo di snack e dolciumi confezionati, responsabili dell'obesità infantile;
ad intraprendere tutte le misure per la protezione dell'allattamento al seno materno, che l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ed il Fondo delle Nazioni Unite per l'Infanzia (UNICEF) raccomandano come la pratica che facilita una crescita sana e lo sviluppo dei lattanti e dei bambini;
ad attuare le raccomandazioni contenute nella risoluzione WHA63, del 21 maggio 2010 sessantatreesima Assemblea mondiale della sanità, sulla commercializzazione di prodotti alimentari e non alcoliche bevande per bambini, al fine in particolare di:
a) ridurre l'impatto sui bambini della commercializzazione di alimenti ricchi di grassi saturi, acidi grassi, zuccheri e sali liberi;
b) intervenire affinché i luoghi (asili, scuole, cortili delle scuole e centri di pre-scuola, parchi giochi, cliniche della famiglia e del bambino e dei servizi pediatrici e durante tutte le attività sportive e culturali) dove i bambini si riuniscono, siano liberi da ogni forma diretta ed indiretta di commercializzazione e di pubblicizzazione di alimenti con grassi saturi, acidi grassi, zuccheri e sali liberi;
c) sviluppare politiche di contenimento del marketing alimentare sui bambini, con la predisposizione di misure che proteggano l'interesse pubblico;
d) considerare un approccio più efficace per ridurre l'impatto del marketing alimentare sui bambini;
e) cooperare con gli altri stati membri OMS per avviare le iniziative necessarie per ridurre l'impatto della commercializzazione transfrontaliera di alimenti con grassi saturi, acidi grassi, zuccheri e sali liberi;
f) approntare meccanismi specifici ed eventuali norme attuative per il contenimento del marketing alimentare per i bambini, corredati dalle definizioni di sanzioni (per comportamenti lesivi della salute dei cittadini e in particolare dei bambini) e di un sistema per la notifica di reclami;
g) prevedere un sistema di monitoraggio per garantire la conformità degli obiettivi in merito al contenimento dell'impatto del marketing alimentare sui bambini che includa soggetti che non hanno conflitto di interesse;
h) predisporre un sistema per valutare l'efficacia delle norme sul contenimento dell'impatto del marketing, alimentare sui bambini in relazione ad un contesto più generale, e in particolare per quanto riguarda la misurazione delle variazioni di vendita o di quote di mercato di alimenti con grassi saturi, acidi grassi, zuccheri e sali liberi;
i) identificare le informazioni, la natura degli effetti, del marketing alimentare rivolto ai bambini dei loro Paesi per sviluppare ulteriori ricerche in questo campo al fine di ridurre l'impatto sui bambini della commercializzazione di alimenti con grassi saturi, acidi grassi, zuccheri e sali liberi;
ad inviare alle competenti commissioni parlamentari una relazione su i come, e se, siano state attuate le raccomandazioni dell'Organizzazione mondiale della sanità, in materia di commercializzazione di prodotti alimentari e di bevande non alcoliche ai minori (risoluzione WHA63.14), negli anni dal 2010 al 2014.
(7-00507) «Grillo, Silvia Giordano, Baroni, Cecconi, Dall'Osso, Di Vita, Lorefice, Mantero, L'Abbate, Massimiliano Bernini, Benedetti, Gagnarli, Gallinella, Lupo, Parentela».
La XIII Commissione,
premesso che:
il Governo ha approvato il decreto-legge n. 136 del 10 dicembre 2013 convertito in legge 6 febbraio 2014, n. 6, comunemente conosciuta come legge Terra dei Fuochi che, tra l'altro, prevede la definitiva introduzione nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, comunemente conosciuto come codice dell'ambiente, dell'articolo 256-bis relativo al reato delitto di abbruciamento di rifiuti che consente l'arresto facoltativo in flagranza di reato;
il Regolamento CEE 852/2004 del 29 aprile 2004 sull'igiene dei prodotti alimentari prevede che i controlli vengano effettuati sul luogo di produzione e che, quindi, tali controlli, nel settore agricolo, con particolare riguardo all'area geograficamente conosciuta come Terra dei Fuochi, appare opportuno che vengano effettuati sia in pieno campo che sui bancali di vendita;
nell'area geografica posta a sud della provincia di Caserta ed a nord della provincia di Napoli la popolazione locale è costantemente soggetta all'insorgenza di roghi di rifiuti speciali e tossico nocivi che incidono sullo stato dell'ambiente e, producendo fumi pericolosi, potrebbero incidere sullo stato della salute dei cittadini residenti e sul loro stato psicologico;
nell'area definita terra dei fuochi si sta espletando, con merito, l'attività del commissario per la bonifica e messa in sicurezza dell'area vasta di Giugliano e laghetti di Castel Volturno;
detti rifiuti sottoposti ad illecita combustione derivano verosimilmente da scarti di lavorazione di microimprese che, operanti, in toto o in parte, in maniera abusiva, non accedono agli smaltimenti autorizzati determinando così un grave pregiudizio ambientale;
al momento, seppur non risolutivamente efficace a causa dell'indisponibilità di mezzi e uomini, il contrasto all'illecito smaltimento dei rifiuti è posto in essere dall'azione del Corpo forestale dello Stato quale presidio di polizia ambientale ed agroalimentare che coniuga l'azione di contrasto con l'azione di prevenzione;
l'emergenza roghi tossici non vede significativi ridimensionamenti tanto da determinare nelle popolazioni dei territori interessati quel senso di serenità e riacquisita tranquillità che consente di considerare l'intervento della pubblica amministrazione come risolutivo del problema;
dalle ultime attività di contrasto al fenomeno dell'illecita gestione dei rifiuti appare che la questione Terra dei Fuochi non sia circoscritta soltanto ad una parte della provincia di Napoli e Caserta, ma a molte altre aree produttive essendo un fenomeno che travalica il mero confine geografico e rappresenta un modo illecito di concepire la gestione dei rifiuti;
appare necessario, nell'immediato, rafforzare, anche con misure straordinarie, l'organico del Corpo Forestale dello Stato presente in Campania ed, in particolare, nelle province di Napoli e Caserta;
l'aumento dell'organico in tali aree geografiche consentirebbe di incrementare l'organizzazione di blitz operativi che, oltre a permettere di assicurare alla giustizia penale i colpevoli di abbruciamento di rifiuti tossici e nocivi in linea con le previsioni della recente legge 6 febbraio 2014, n. 6, anche di ottenere un effetto deterrenza nei confronti di ulteriori delinquenti che avessero intenzione abbandonare, depositare e quindi incendiare rifiuti;
la particolare grande estensione del territorio posto a nord di Napoli ed a sud della provincia di Caserta supera di molto i mille chilometri quadrati e che la popolazione ivi residente non è inferiore a due milioni di abitanti, quindi con un evidente allarme sociale che il fenomeno dei roghi tossici determina negli abitanti di quelle zone;
l'azione di contrasto ai delitti ambientali non può essere legata esclusivamente all'organizzazione, seppur meritevole e auspicata, di blitz operativi ma deve essere necessariamente collegata all'attività info-investigativa che presuppone, a sua volta, un'articolata conoscenza del territorio, delle dinamiche comportamentali delittuose e dei dati informativi di base;
le attività economiche agricole ed agroalimentari di origine campana stanno subendo una grossa ingiuria economica a causa delle attività delinquenziali poste in essere dai criminali dell'ambiente con il seppellimento dei rifiuti o con il loro abbandono e conseguente abbruciamento;
è opportuno che i controlli sanitari, a cura delle ASL locali, vengano effettuati anche in pieno campo, così da consentire al cittadino consumatore il massimo della sicurezza e certezza circa la rigorosità delle verifiche, tanto da far divenire il controllo elemento di sviluppo economico del settore e non già sua limitazione;
certamente i controlli sanitari rappresentano, se abbinati ad una intensa attività di polizia preventiva e repressiva, l'elemento territoriale necessario per dare credibilità nazionale ed internazionale al prodotto agricolo ed agroalimentare campano;
il comitato interministeriale terra dei fuochi previsto dal decreto-legge n. 136 del 2013, deve emanare i regolamenti per la classificazione delle acque sotterranee per uso irriguo e della qualità dei suoli agricoli e che, al momento, detti regolamenti non sono stati emanati;
nell'area molti appezzamenti di terreno godono dei pozzi sorgenti come unica fonte di approvvigionamento idrico, la cui qualità delle acque necessita di continui monitoraggi, con notevoli costi e aggravio organizzativo, per garantire l'uso di acqua assolutamente non contaminata e che sarebbe invece tecnicamente fattibile utilizzare le acque del consorzio di bonifica Volturno, prelevata dalla Traversa sul fiume Volturno previa realizzazione di alcune infrastrutture irrigue,
impegna il Governo:
a promuovere, per quanto di competenza, sul territorio geograficamente corrispondente alla Terra dei Fuochi, l'effettuazione, anche in pieno campo dei controlli sanitari dei prodotti agricoli prima della raccolta, così da consentire al cittadino consumatore una ulteriore forma di garanzia circa il prodotto immesso sul mercato che si traduca, conseguentemente, in una opportunità economica di rilancio per tutto il comparto;
a definire, congiuntamente con i Misteri competenti, un piano straordinario di controlli in pieno campo dei prodotti agricoli e agroalimentari ed una loro adeguata pubblicizzazione;
a sollecitare il varo immediato da parte del comitato terra dei fuochi previsto dal decreto-legge 136 del 2013, dei regolamenti per la classificazione delle acque sotterranee per uso irriguo e della qualità dei suoli agricoli;
ad assumere iniziative per opere strategiche la realizzazione delle infrastrutture irrigue che consentano agli agricoltori della terra dei fuochi di irrigare i terreni coltivabili ad uso agricolo con le acque del consorzio di bonifica del Volturno;
a far si che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, proceda, già prima delle decisioni che saranno assunte dal CIPE, senza indugi all'avvio delle opere indicate attraverso il coinvolgimento del commissariato Ex Agensud, competente in materia irrigua;
a costituire un Centro elaborazione dati ambientali ed agroalimentari, presso il Centro di formazione nazionale del Corpo forestale dello Stato in Castelvolturno (CE), così da permettere, al personale del Corpo forestale dello Stato, di incrociare, in tempo reale, sia dati tecnici che dati amministrativi, al fine di costituire e pianificare operazioni di polizia volte al pieno contrasto del fenomeno dell'abbruciamento di rifiuti colpendo tutta la filiera criminale dal produttore di rifiuti, al trasportatore, allo smaltitore ed, infine, all'incendiatore;
a organizzare, presso il predetto CNF di Castelvolturno (CE) l'epicentro nazionale di formazione per tutte le polizie locali e nazionali volte al contrasto dei crimini ambientali e stabilire, per l'anno 2015, un piano straordinario di formazione nazionale ambientale;
a dare indicazioni al Corpo forestale dello Stato di raccordarsi anche con le attività in atto del commissario per la bonifica e messa in sicurezza dell'area vasta di Giugliano e Castel Volturno;
a incrementare l'organico del Corpo forestale dello Stato presente in Campania ed, in particolare, nelle province di Napoli e Caserta mediante la straordinaria assegnazione di personale proveniente da altri uffici fino a cessata necessità;
a fornire al Corpo forestale dello Stato le risorse per l'acquisizione, urgente ed indifferibile, di ogni strumentazione adeguata a favorire l'attività di intelligence investigativa ambientale e agroalimentare, così da favorire l'azione operativa territoriale del personale della forestale e avviare, concretamente, l'azione di risanamento e tutela del territorio della Terra dei Fuochi fornendo risposte tangibili alle popolazioni del luogo.
(7-00505) «Palma, Covello, Oliverio».
ATTI DI CONTROLLO
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Interrogazione a risposta orale:
LAFORGIA, GIUSEPPE GUERINI, GREGORI, MICCOLI, DE MARIA e CUPERLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
il 29 ottobre 2014 a Roma, si è svolto un corteo degli operai delle Acciaierie Terni-Ast per manifestare contro il piano industriale della ThyssenKrupp che prevede il licenziamento di 537 dipendenti;
i manifestanti, diretti al Ministero dello sviluppo economico, sopraggiunti all'altezza di piazza Indipendenza sono stati bloccati e respinti con forza dagli agenti della polizia, in tenuta antisommossa;
durante tali scontri, secondo quanto dichiarato e come confermano le immagini presenti sui maggiori organi di stampa, almeno tre persone sono state colpite violentemente alla testa, riportando ferite di entità tale da richiedersi necessariamente il trasporto in ospedale;
il segretario generale Fiom, Maurizio Landini, presente agli scontri, ha dichiarato come i manifestanti siano stati caricati senza alcuna motivazione appena partiti in corteo –:
se il Governo non intenda doveroso ed urgente accertare le gravi responsabilità che hanno reso possibile tali ingiustificati atti di violenza nei confronti di persone che esercitavano pacificamente, a tutela dei propri diritti e della democrazia, il diritto di manifestare per la salvaguardia della propria dignità di lavoratore e di uomo;
se il Governo non ritenga opportuno prendere i dovuti provvedimenti affinché tali fatti incresciosi non possano ripetersi o, peggio, inasprirsi. (3-01130)
Interrogazioni a risposta scritta:
DI GIOIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
il 6 ottobre 2014 la direzione generale per le biblioteche, gli istituti culturali ed il diritto d'autore del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo convocava repentinamente per il 10 ottobre 2014 le organizzazioni accreditate (ai sensi dell'articolo 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 dicembre 2012) per l'intermediazione dei diritti connessi al diritto d'autore insieme ad un'innumerevole lista di altre organizzazioni imprenditoriali e sindacali per «un incontro informativo sul nuovo schema di regolamentazione relativo alla revisione della disciplina relativa alla determinazione della misura e delle modalità di ripartizione del compenso dovuto a norma degli articoli 73 e 73-bis [ndr: della legge sul diritto d'autore] – decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o settembre 1975»;
i motivi dell'urgente convocazione alludevano, senz'altra precisazione, a «quanto manifestato in sede europea» e invocavano una – non meglio chiarita – necessità di «scongiurare l'attivazione di una procedura di infrazione»;
nel corso della riunione che si è svolta il 10 ottobre 2014, secondo quanto hanno riportato alcuni dei presenti, sono state verbalmente e vagamente esposte le ragioni di un rapido intervento normativo di modifica del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o settembre 1975. Alle richieste dei convocati di poter conoscere esattamente «quanto manifestato in sede europea» nonché il contenuto della proposta di nuova regolamentazione, la direzione generale del Ministero – rappresentata dal direttore generale – menzionava genericamente l'esistenza di un procedimento EU-pilot (che notoriamente non costituisce una procedura d'infrazione, ma ha mere finalità di acquisizione preventiva di elementi informativi) e dichiarava altresì che la nuova regolamentazione proposta non era disponibile, in quanto non ancora vagliata dagli uffici legislativi;
tutti i convocati hanno espresso stupore e manifestato le proprie perplessità sull'utilità stessa di tale convocazione, posto che nessuno dei presenti era stato messo in condizione di esprimere alcuna seria valutazione né sull'effettiva necessità di intervento né sull'adeguatezza e sui contenuti dell'invocato provvedimento amministrativo;
il direttore generale del Ministero affermava anche che il testo dell'anzidetto provvedimento amministrativo era stato preventivamente sottoposto all'esame del Comitato consultivo permanente sul diritto d'autore (del cui parere peraltro non veniva offerta alcuna documentazione) e che – in ogni caso – non vi sarebbero potuti essere spazi per modifiche o proposte sullo stesso;
com’è noto, il Comitato consultivo permanente sul diritto d'autore è un obsoleto organismo corporativo previsto dall'articolo 190 della legge n. 633 del 1941, composto da alcuni esperti e da esponenti di alcune associazioni di categoria, tra le quali non figura alcuna delle organizzazioni intermediarie dei diritti connessi al diritto d'autore né alcuna organizzazione rappresentativa degli interessi degli artisti interpreti esecutori;
solo in data 20 ottobre 2014 è stato inviato dalla direzione generale del medesimo Ministero ad alcuni dei soggetti come sopra convocati un testo di decreto (che risulta essere già stato vagliato dagli uffici legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo) dal quale si evince che:
la procedura europea di richiesta di informazioni (EU-Pilot) risale al settembre del 2013, ma di essa la citata direzione generale continua a non fornire alcuna documentazione, impedendo così qualsiasi valutazione in merito alla effettiva necessità di provvedere nei termini di cui al proposto decreto;
il decreto proposto, contrariamente a quanto verbalmente dichiarato, modifica l'assetto normativo previgente in modo significativo ed appare contraddittorio e, sotto certi profili, persino illegittimo, posto che tra l'altro: (i) incide arbitrariamente sulle posizioni soggettive dei titolari dei diritti (con particolare riferimento agli artisti, interpreti ed esecutori); (ii) pregiudica l'assetto, le prerogative e l'autonomia negoziale dei soggetti abilitati all'intermediazione dei diritti connessi al diritto d'autore (quali contemplati dal DPCM 19 dicembre 2012); (iii) riserva un ingiustificato regime speciale alla RAI (in favore della quale mantiene la disciplina di cui al DPCM 15 luglio 1976); (iv) conferisce, senza alcun ancoraggio a norme di legge primaria, nuovi poteri di conciliazione al Comitato consultivo permanente per il diritto d'autore; (v) attribuisce infine per via amministrativa all'autorità giudiziaria ordinaria un inverosimile ed abnorme potere di sostituzione della volontà delle parti;
è evidente che l'irrituale procedura seguita dalla direzione generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo non ha quindi consentito a nessuno dei soggetti destinatari dell'ipotizzata nuova regolamentazione di poter conoscerne i reali presupposti né l'effettiva necessità di provvedere per via amministrativa, né infine di partecipare costruttivamente al relativo procedimento amministrativo di adozione del testo;
il 23 settembre 2014 il Sottosegretario con delega all'Editoria, on. Luca Lotti, convocava le organizzazioni che svolgono attività di intermediazione dei diritti connessi al diritto d'autore (articolo 3 decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 dicembre 2012) ad un tavolo informativo per illustrare gli orientamenti legislativi del Governo anche al fine di attuare la risoluzione approvata l'11 marzo 2014 dalla VII Commissione del Senato Repubblica che, tra le altre cose, chiede che il Governo intervenga con legge primaria per la razionalizzazione complessiva della disciplina in materia di gestione dei diritti connessi al diritto d'autore;
nella risoluzione summenzionata è espressamente indicata la necessità di una modifica dell'articolo 73 della legge sul diritto d'autore superando l'attuale assetto normativo, il quale prevede che siano i produttori dei fonogrammi ad incassare l'equo compenso dagli utilizzatori anche per conto degli artisti interpreti ed esecutori, limitando così il diritto dell'artista di scegliere le imprese intermediarie alle quali affidare la tutela dei propri interessi;
a giustificazione dell'anzidetto intervento normativo con legge primaria, la risoluzione giustamente evidenzia come il mantenimento in capo ai produttori di fonogrammi del ruolo di riscossori esclusivi «determina un'anomalia operativa e il possibile determinarsi di un concreto conflitto d'interessi» in danno degli artisti musicali, anche alla luce del fatto che, per contro, gli artisti del settore video sono liberi di esercitare autonomamente i propri diritti connessi;
l'industria musicale, forte del potere di esercitare e riscuotere, ai sensi del citato articolo 73 della legge sul diritto d'autore, anche i diritti degli artisti musicali continua a mantenere la prassi contrattuale di farsi cedere dai medesimi artisti i diritti connessi loro spettanti, con ciò di fatto espropriandoli; anche su questo aspetto la citata risoluzione si pronuncia, richiedendo l'introduzione di un espresso divieto di cessione in favore del produttore, «a tutela e garanzia della parte più debole contrattualmente» (cioè l'artista musicale);
tale norma, che mette l'artista musicale sotto il completo controllo del produttore musicale, è in evidente contrasto con la liberalizzazione dei diritti connessi al diritto d'autore prevista dall'articolo 39 del decreto-legge 24 gennaio 2012 n. 1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27»;
in occasione dell'incontro come sopra convocato dal Sottosegretario Luca Lotti presso il Dipartimento per l'Informazione e per l'Editoria (al quale partecipava la stessa dottoressa Rummo del MIBACT) nessuno dei rappresentanti istituzionali informava preventivamente i presenti dell'intenzione di emanare, poche settimane dopo, un decreto ministeriale che avrebbe inciso – in modo significativo e contrastante con le indicazioni della risoluzione del Senato dianzi richiamata – su una delle disposizioni che sarà certamente oggetto del disegno di legge del Governo sulla materia, cioè l'articolo 73 della legge sul diritto d'autore;
l'interrogante nel corso di questa legislatura ha più volte, anche con proposte emendative, chiesto la modifica dell'articolo 73 della legge sul diritto d'autore; inoltre è stato accolto l'ordine del giorno 9/01628/035;
appare all'interrogante del tutto evidente che la procedura avviata dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo non solo violi i principi di trasparenza e di buon funzionamento del procedimento amministrativo per il modo del tutto improprio, intempestivo e inaccettabile con cui è stata avviata ed attuata, e risulti altresì radicalmente in contrasto con l'antecedente iniziativa legislativa preannunciata dalla Presidenza del Consiglio;
più volte è stato lamentato dalle stesse amministrazioni l'approccio disorganico e gli eccessivi interventi frammentanti sulla materia del diritto connesso al diritto d'autore, che hanno portato a disarmoniche interpretazioni della legge oltre a conflittualità tra le parti interessate;
la celere approvazione del disegno di legge preannunciato dal Governo in materia di diritti connessi al diritto d'autore e, ad avviso degli interroganti è più che sufficiente ad evitare il paventato ed eventuale procedimento di infrazione da parte dell'Unione europea –:
se siano a conoscenza dei contenuti di tale anomala procedura amministrativa e se non ritengano opportuno valutare la correttezza del procedimento amministrativo seguito;
se non ritengano opportuno e corretto procedere ad una modifica dell'articolo 73 della legge sul diritto d'autore, anziché assumere un'iniziativa normativa urgente per procedere con la revisione di un decreto attuativo la cui impostazione resta secondo l'interrogante frutto del grave vulnus di cui sono vittime gli artisti musicali. (4-06670)
LUIGI DI MAIO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
si apprende da fonti di stampa che la Conferenza dei presidenti delle assemblee legislative regionali starebbe promuovendo una proposta di riforma dei vitalizi degli ex consiglieri regionali, mediante l'approvazione di un atto di indirizzo nel corso della seduta dell'Assemblea plenaria della Conferenza tenutasi il 10 ottobre 2014. Ciascun consiglio regionale dovrà poi recepire la proposta. «Tali misure – si legge – costituiscono i parametri minimi e comuni a cui tutte le regioni intendono fare riferimento per interventi in materia entro la fine dell'anno»;
nel merito, tale documento inviterebbe i consigli regionali ad apportare le seguenti modifiche: «A decorrere dall'entrata in vigore della legge regionale, l'assegno vitalizio compete ai consiglieri cessati dal mandato che abbiano compiuto sessantacinque anni di età e che abbiano corrisposto il contributo per un periodo di almeno cinque anni di mandato svolto nel Consiglio regionale. La corresponsione dell'assegno vitalizio può essere anticipata, su richiesta del Consigliere e dopo la cessazione del mandato, in analogia a quanto previsto dai regolamenti parlamentari vigenti. L'entrata in vigore della norma incide indistintamente sulle diverse posizioni di chi ancora non percepisce il vitalizio, risultando applicabile anche per chi è cessato dalla carica sotto la vigenza della pregressa legge regionale che prevedeva requisiti anagrafici più favorevoli, ma non ha ancora maturato il diritto alla corresponsione e erogazione; o nelle ipotesi di sospensione della corresponsione dell'assegno vitalizio il vitalizio a condizione che i consiglieri cessati dal mandato abbiano compiuto sessantacinque anni d'età e abbiano corrisposto il contributo per un periodo di almeno cinque anni»;
secondo le fonti di stampa, il requisito dei sessantacinque anni di età corrisponderebbe ad un innalzamento dell'età necessaria per gli ex consiglieri regionali al fine di ottenere il vitalizio (attualmente, per esempio, tale età corrisponderebbe a 60 anni in Campania e a 55 anni in Puglia e Calabria), ma desta qualche dubbio interpretativo il riferimento ai regolamenti parlamentari vigenti;
il documento approvato il 10 ottobre 2014 prevedrebbe altresì l'invito all'approvazione di una riduzione temporanea dei vitalizi per il triennio 2015-2017; ispirandosi a «criteri di temporaneità, ragionevolezza e proporzionalità rispetto alle finalità di contenimento della spesa pubblica ed alle esigenze di bilancio», la Conferenza inviterebbe i singoli consigli a prevedere le seguenti misure: «6 per cento di riduzione dell'importo lordo fino a euro 1.500,00; 9 per cento di riduzione per l'importo lordo superiore a euro 1.501,00 e fino a euro 3.500,00; 12 per cento di riduzione per l'importo eccedente euro 3.501,00 a 6.000,00; 15 per cento oltre 6.000,00»;
non sarebbe risolta la questione relativa ai cumuli, proponendosi una maggiorazione dell'aliquota del 40 per cento qualora il beneficiario sia titolare di altro vitalizio erogato dal Parlamento italiano e/o Parlamento europeo e rinviandosi, quanto alla previsione di un tetto al cumulo dei vitalizi, all'avvio di iniziative di confronto con i membri del Parlamento della Repubblica al fine di addivenire ad una soluzione condivisa;
a prescindere dal merito delle proposte, appare all'interrogante necessario che, anche in seguito al continuo ripetersi di scandali legati ai rimborsi ai gruppi regionali nonché alla questione relativa ai vitalizi, lo Stato debba intervenire con una norma di rango costituzionale, al fine di introdurre nell'ordinamento dei paletti che arginino situazioni che appaiono all'interrogante letteralmente indecenti –:
quale sia l'orientamento del Governo in merito a quanto esposto in premessa;
se il Governo non ritenga di farsi promotore di un disegno di legge costituzionale con il quale vengano fissati dei limiti al fine di arginare i costi della politica regionale. (4-06674)
AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE
Interrogazione a risposta scritta:
FEDRIGA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
da quanto si apprende dalle notizie riportate dagli organi di stampa, l'ambasciata del Qatar avrebbe fatto pervenire una propria missiva all'amministrazione dell'ospedale Fondazione IME (Istituto Mediterraneo di ematologia) con la quale si chiedeva espressamente la rimozione di un dipendente della struttura ospedaliera convenzionata per essersi comportata, secondo gli scriventi, in modo inappropriato nei confronti di una cittadina del Qatar parente di una paziente presa in carico dalla struttura;
stando sempre alle notizie pubblicate, il caso citato non è isolato. Considerato che la struttura ospedaliera risulta essere una eccellenza a livello internazionale, diversi cittadini arabi del Qatar e del Kuwait ricorrono, in regime privatistico, al ricovero nella struttura in caso di malattie ematologiche. I pazienti e i loro familiari però, spesso, nella consapevolezza di usufruire della struttura dietro pagamento, pensano di poter agire e comportarsi in violazione dei protocolli medici dell'ospedale e quando si vedono ostacolati nei loro intenti non accettano di sottostare ai regolamenti e alle normative italiane rifiutando qualsiasi collaborazione e nel caso esercitando una pressione nei confronti dei Governi di provenienza per intimare al personale medico e paramedico un comportamento riverente verso i propri capricci;
quanto accaduto è desumibile da un intervista rilasciata su un noto quotidiano dalla capo sala che è stata oggetto della richiesta di rimozione dalle proprie responsabilità con una lettera destinata alle cariche apicali della struttura ospedaliera inviata dall'ambasciata del Qatar. La dipendente si sfoga raccontando diversi episodi dove palesemente si evidenzia un comportamento capriccioso e arrogante di queste persone che credono, vista la loro posizione economica e privilegiata, di poter aggirare qualsiasi regola;
a titolo esemplificativo nella citata intervista si fa riferimento ad una donna proveniente dal Kuwait familiare di un paziente ricoverato che si è rifiutata di indossare i camici sterili per poter accedere ad un area riservata e protetta dell'ospedale perché inconciliabili con i tradizionali abiti (burqa) legati alla propria fede religiosa;
tali atteggiamenti, purtroppo, poco stupiscono considerato che il nostro Paese e l'Europa tutta oramai da tempo hanno rinunciato alle proprie tradizioni alla propria cultura e alle propri radici. È però certamente paradossale pensare che persone provenienti da Stati che rifiutano qualsiasi compromesso quando si tratta di rispettare le proprie regole e consuetudini possano intromettersi in modo così inopportuno su questioni come quelle citate;
oltre da un lato riscontrare una manifesta incapacità da parte dei fedeli di religione islamica di rispettare le regole e le leggi degli altri Paesi che non hanno come fondamento i principi dogmatici islamici, dall'altro lato in questa vicenda si viene a palesare un atteggiamento che appartiene ad un regime plutocratico che poco a che vedere con il nostro sistema sanitario dove le medesime tutele e garanzie nel rispetto del principio costituzionale ex articolo 32 sono garantite a tutti senza distinzione di classe sociale o di reddito –:
quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare, nel rispetto del principio della sovranità nazionale, per intimare che lettere minatorie come quella inviata dall'ambasciata del Qatar non saranno più tollerate. (4-06680)
AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
Interrogazione a risposta in Commissione:
CARRESCIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
nel rilascio delle autorizzazioni di cui all'articolo 21 della legge n. 179 del 2002 ed all'articolo 109 del decreto legislativo n. 152 del 2006 le regioni impiegano come norma tecnica di riferimento il decreto ministeriale 24 gennaio 1996 e che, non prevedendo tale decreto specifici valori di riferimento per i parametri da indagare, ai fini della classificazione dei materiali e dell'individuazione della migliore opzione di gestione successiva all'escavo, utilizzano di norma il manuale ICRAM–APAT;
il riferimento alle norme e ai documenti tecnici sopra citati comporta che la caratterizzazione dei sedimenti portuali avvenga mediante la determinazione dei parametri fisici, chimici e microbiologici di cui alla tabella 2.1 a) del manuale e che la successiva classificazione avvenga mediante la combinazione dell'esito delle analisi fisiche, chimiche e microbiologiche con l'esito delle analisi ecotossicologiche di cui al pf. 2.2.2. del manuale medesimo;
tale prassi appare conforme:
a quanto indicato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con nota protocollo PNM - 2012 - 0007433 dell'11 aprile 2012 «Entrata in vigore del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 – Disposizioni urgenti i materia di semplificazione e di sviluppo – articolo 24, Modifiche alle norme in materia ambientale di cui al Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152»;
a quanto previsto nello schema di decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro per le politiche agricole e forestali e il Ministro dello sviluppo economico, recante modalità per il rilascio dell'autorizzazione all'immersione in mare di materiali di escavo di fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi, ai sensi dell'articolo 109, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, trasmesso, con nota della Presidenza del Consiglio dei ministri prot. CSR 0004036 P-4.23.2.14 dell'8 ottobre 2014, per l'esame in sede tecnica della Conferenza Stato-regioni, ai fini dell'espressione dell'intesa;
l'articolo 184-quater, al comma 1, prevede però che: « 1. I materiali dragati sottoposti ad operazioni di recupero in casse di colmata o in altri impianti autorizzati ai sensi della normativa vigente, cessano di essere rifiuti se, all'esito delle operazioni di recupero, che possono consistere anche in operazioni di cernita e selezione, soddisfano e sono utilizzati rispettando i seguenti requisiti e condizioni:
a) non superano i valori delle concentrazioni soglia di contaminazione di cui alle colonne A e B della tabella 1 dell'allegato 5 al titolo V della parte quarta, con riferimento alla destinazione urbanistica del sito di utilizzo, o, in caso di utilizzo diretto in un ciclo produttivo, rispondono ai requisiti tecnici di cui alla lettera b), secondo periodo;
b) è certo il sito di destinazione e sono utilizzati direttamente, anche a fini del riuso o rimodellamento ambientale, senza rischi per le matrici ambientali interessate e in particolare senza determinare contaminazione delle acque sotterranee e superficiali. In caso di utilizzo diretto in un ciclo produttivo, devono, invece, rispettare i requisiti tecnici per gli scopi specifici individuati, la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti e alle materie prime, e in particolare non devono determinare emissioni nell'ambiente superiori o diverse qualitativamente da quelle che derivano dall'uso di prodotti e di materie prime per i quali è stata rilasciata l'autorizzazione all'esercizio dell'impianto;
la previsione dell'articolo 184-quater ipotizza quindi che i materiali dragati siano geneticamente rifiuti e che solo all'esito di operazioni di recupero e dopo la verifica dei requisiti e delle condizioni dal medesimo puntualmente definiti possono cessare tale qualifica;
le operazioni di recupero che possono determinare l'end of waste, per altro, sono chiaramente indicate dall'articolo 184-ter del decreto n. 152 del 2006;
in sostanza, contrariamente a quanto indicato dalla rubrica e dall’incipit dell'articolo 184-quater si presuppone per i sedimenti provenienti dall'escavo dei fondali marini la natura di rifiuto e non di materiale (come indicato);
ciò sta ponendo agli operatori del settore ed agli organi di controllo problemi di interpretazione della norma e soprattutto di applicazione in quanto a fronte della legge che ab origine classifica come rifiuti i materiali di dragaggio ai fini del successivo end of waste, nella «Relazione introduttiva alla proposta di decreto attuativo di cui all'articolo 109, comma 2 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152», si evidenzia che il sedimento marino «una volta che si decida di sottoporlo a operazioni di movimentazione, non deve essere considerato rifiuto a priori ma deve essere assoggettato a un procedimento di caratterizzazione, a seguito dei risultati della quale potrà essere predisposto un progetto di gestione che preveda la destinazione dei materiali di diverse caratteristiche fisiche e qualità a diversi usi più o meno a breve termine sulla base di criteri prestabiliti, peraltro molti dei quali sono già indicati nel citato Manuale ISPRA. Solo l'aliquota di materiali non altrimenti riutilizzati secondo i citati criteri e di cui il detentore abbia definitivamente deciso di disfarsi potrà essere considerata rifiuto e da gestire sulla base della relativa normativa –:
se la verifica della sussistenza delle condizioni di cui al comma 1, lettera a), dell'articolo 184-quater del decreto legislativo n. 152 del 2006 debba avvenire rispetto a tutti i parametri chimici della tabella 1 dell'allegato 5 al titolo V della parte quarta del medesimo decreto, ovvero rispetto ai soli parametri chimici di cui alla tabella 2.1 a del manuale APAT – ICRAM, selezionati in funzione delle sostanze normalmente presenti in ambito portuale e, per altro, riproposti nella Tabella 1.2. dell'Allegato 1 dello schema di decreto recante modalità per il rilascio dell'autorizzazione all'immersione in mare di cui all'articolo 109, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006;
come sia conciliabile l'articolo 184-ter nella parte in cui prevede che i sedimenti-rifiuti siano sottoposti ad operazioni di recupero, soggette come tali ad autorizzazione ai sensi degli articoli 208 e seguenti del decreto legislativo n. 152 del 2006, con le disposizioni che richiedono solo un «procedimento di caratterizzazione» dell'emanando decreto attuativo ex articolo 109 del decreto legislativo n. 152 del 2006 trasmesso con nota della Presidenza del Consiglio dei ministri protocollo CSR 0004036 P-4.23.2.14 dell'8 ottobre 2014, per l'esame in sede tecnica della Conferenza Stato regioni, ai fini dell'espressione dell'intesa. (5-03923)
Interrogazioni a risposta scritta:
LAVAGNO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
recentemente in più luoghi della penisola italiana, si sono registrati significativi fenomeni alluvionali che, oltre a causare alcuni decessi, hanno procurato notevoli danni economici ai territori colpiti;
il nostro Paese registra infatti con frequenza episodi alluvionali di seria entità che evidenziano la necessità di intervenire su scala nazionale con maggiore efficacia nell'ambito della prevenzione e della manutenzione idrogeologica;
dal 2011 ad oggi si sono verificati molteplici eventi calamitosi sull'intera penisola, come di seguito riportato: 1o-2-3 marzo 2011: dissesto idrogeologico nelle frazioni di Marina di Ginosa (Taranto) del comune di Ginosa (versante pugliese, la più colpita) e di Metaponto del comune di Bernalda (Matera) (versante lucano); 11 giugno 2011: alluvione di Sala Baganza, Collecchio e Fornovo di Taro tutti in provincia di Parma; 25 ottobre 2011: dissesto idrogeologico nello spezzino e nella Lunigiana; 4 novembre 2011: prima alluvione di Genova; 22 novembre 2011: alluvione di Barcellona Pozzo di Gotto, Merì e Saponara (Messina); 11 novembre 2012: alluvione di Massa e Carrara; 12 novembre 2012: alluvione di Orvieto (Terni) e dell'orvietano e alluvione nella Maremma grossetana; 28 novembre 2012: alluvione a Carrara e Ortonovo (La Spezia); 18 novembre 2013: alluvione in Sardegna; 19 gennaio 2014; alluvione di Modena; 31 gennaio 2014: dissesto idrogeologico a Ponsacco (Pisa); 3 maggio 2014: alluvione di Senigallia e Chiaravalle (Ancona); 8 luglio 2014: alluvione a Milano, 21 luglio 2014: dissesto idrogeologico in Valfreddana in provincia di Lucca; 2 agosto 2014: alluvione di Refrontolo; 2-6 settembre 2014: alluvione nel Gargano: 20 settembre 2014: alluvione a Imola (Bologna) e alta Romagna; 13 ottobre 2014: alluvione a Parma e alluvione nella provincia sud di Alessandria; infine, 14 ottobre 2014: alluvione nella Maremma grossetana e Orbetello (Grosseto);
la fragilità del territorio che si è mostrata per l'ennesima volta in tutta la sua gravità fa sorgere preoccupanti interrogativi ai quali la popolazione chiede di ricevere risposta nel più breve tempo possibile;
secondo il rapporto mondiale dei rischi (WorldRiskReport 2012), prodotto da Alliance for development works, un gruppo di agenzie tedesche attive nel sostegno dopo grandi disastri ed emergenze, il nostro Paese occupa il posto n. 116 su 173 nella classifica degli Stati più vulnerabili alle catastrofi. La mappa mondiale dei rischi naturali, pubblicata ogni anno da Münich Re (una delle maggiori compagnie di riassicurazione del mondo), segnala come in Italia i pericoli maggiori siano connessi all'aumento dei cicloni nel Mediterraneo e delle piogge sulle Alpi, che accrescono il rischio idrogeologico. Nella penisola italiana, secondo i dati del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il 48 per cento dei comuni è a rischio alluvione –:
se il Ministro sia a conoscenza delle problematiche sopra esposte e quali iniziative intenda intraprendere affinché l'utilizzo delle risorse per interventi di prevenzione e manutenzione del territorio venga escluso dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno, o tale misura venga adottata quanto meno per gli enti locali direttamente colpiti da eventi calamitosi;
quali iniziative intenda adottare per incentivare finanziariamente progetti di manutenzione degli alvei fluviali, diretti a migliorare lo stato dei corsi d'acqua per prevenire il rischio alluvioni, anche nell'ottica di una semplificazione delle competenze tra i vari enti che hanno autorità o competenze relative ai bacini idrici e fluviali;
quali iniziative intenda intraprendere per poter assicurare la priorità degli investimenti e degli interventi tesi alla riduzione del rischio idrogeologico di tutto il territorio nazionale nell'ambito di un quadro organico di interventi che garantiscano innanzitutto la possibilità del sistema della protezione civile di operare in modo tempestivo ed efficace nel campo del contrasto ai danni provocati dal dissesto idrogeologico. (4-06667)
ROSTAN. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
il Volturno è un fiume dell'Italia Meridionale, con una lunghezza di 175 chilometri e un bacino esteso per 5.550 chilometri quadrati;
bagna Capua e sfocia nel Mar Tirreno, presso Castel Volturno, ed è il principale fiume del Mezzogiorno d'Italia, sia per lunghezza sia per portata;
il fiume ha una portata media elevata e abbastanza regolare di 82 m3/s, il valore più alto dei fiumi del Mezzogiorno;
le sue acque sono impiegate per la pesca, l'irrigazione, la nautica sportiva e la produzione di energia idroelettrica;
la principale località attraversata è la città di Capua, anticamente attrezzata con un porto fluviale che la metteva in comunicazione con il Mar Tirreno e le altre città della costa;
nei pressi del corso fluviale sopra richiamato, diversi sono gli stabilimenti zootecnici che trattano e producono prodotti lattiero-caseari;
tra questi, l'azienda agricola il Torcino spa, titolare del noto marchio Foreste Molisane, sottoposta a procedura fallimentare nel gennaio 2014;
nel mese di marzo 2014 la Guardia di finanza di Caserta ha sequestrato lo stabilimento nell'ambito di un'indagine per bancarotta fraudolenta;
la titolarità di questo stabilimento, prima che sopraggiungesse la procedura fallimentare, era di Giuseppe Garavante, noto imprenditore del casertano;
il predetto titolare dello stabilimento, a seguito dei risvolti ambientali dell'inchiesta avviata inizialmente per l'ipotesi di bancarotta fraudolenta, è stato destinatario di un provvedimento di arresto emesso dal Gip del tribunale di Santa Maria Capua Vetere su richiesta della locale procura, che ha coordinato le indagini;
per gli inquirenti, il Gravante – che nel 2007 ricevette dal comune di Gioia, la cittadinanza onoraria proprio per l'enorme valenza economica e sociale della sua attività – avrebbe costretto per anni (dal 1994 fino a poco meno di un anno fa) i suoi lavoratori a sversare nel fiume Volturno gli escrementi provenienti dall'allevamento bovino di sua proprietà, composto da quasi 3500 capi, che ogni giorno hanno prodotto un inquinamento nelle acque equiparabile a quello di una città di 24.000 persone (dato, quest'ultimo, elaborato dal corpo forestale che ha effettuato le indagini);
secondo uno dei dipendenti che hanno collaborato alle indagini, nel fiume sarebbero finiti, per anni, i reflui delle sale di mungitura, le acque di lavaggio delle stalle contaminate da detergenti ed acidi fortemente tossici, mentre il reso delle bottiglie veniva nuovamente distribuito per la produzione in corso e mischiato al latte fresco;
secondo tali deposizioni, in altre parole il latte scaduto veniva mischiato con quello in lavorazione e poi commercializzato;
forti sono i timori della cittadinanza locale in ordine ai possibili effetti sull'ambiente della condotta posta in essere dallo stabilimento di cui in premessa che, in buona sostanza, ha realizzato un vero e proprio sistema di scarichi nel fiume Volturno (ideato dallo stesso Gravante), con pompe idrauliche e canalizzazioni, congegnato per sfuggire anche ai droni dell'università o agli aerei e gli altri velivoli della Guardia di finanza e della capitaneria di Porto impegnati nel monitoraggio e nel presidio del territorio;
i territori limitrofi all'alveo del fiume Volturno, per lunghi tratti di percorrenza, hanno subito, per decenni, gli effetti di condotte illecite e comportamenti inquinanti da parte di imprenditori collusi, politiche ed amministrazioni inefficienti e criminalità organizzata di ogni genere;
come evidenziato dalla legge n. 6 del 2014, di conversione del decreto-legge sulle questioni correlate alla «Terra dei Fuochi», la Campania ha bisogno di interventi drastici, urgenti, improcrastinabili che puntino alla repressione di tutte quelle condotte assimilabili a quella descritta in premessa, nonché al recupero ed alla bonifica di suoli, falde, fiumi, inquinati per anni;
l'articolo 119 della Costituzione prevede, tra le materie di esclusiva competenza legislativa dello Stato, quella della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema;
la gravità dei fatti descritti in premessa ed i possibili catastrofici risvolti degli stessi per la salute e l'incolumità pubblica, imporrebbero una presa di coscienza forte da parte delle istituzioni nazionali ed un coinvolgimento diretto e sinergico dei Ministeri competenti –:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti di cui in premessa e quali iniziative per quanto di competenza, abbiano deciso di intraprendere nei territori interessati dalle contaminazioni sopra descritte, al fine di scongiurare il ripetersi di tali fenomeni, nonché arginare e contenere le loro eventuali, ma altamente probabili, dannose ripercussioni sull'ambiente, sugli ecosistemi e sulla salute pubblica della cittadinanza residente in prossimità del fiume Volturno e di tutti coloro i quali potrebbero essere entrati, anche solo potenzialmente, in contatto con i prodotti lattiero-caseri contraffatti e lavorati presso lo stabilimento descritto in premessa o presso strutture in condizioni similari;
se non sia opportuno, in fase di attuazione della legge, n. 6 del 2014, con particolare riferimento ai meccanismi di controllo e monitoraggio previsti dall'articolo 1 del predetto testo normativo, estendere gli stessi anche ai fiumi ed in generale ai corsi d'acqua che attraversano le aree riconducibili alla così detta «Terra dei Fuochi». (4-06682)
ECONOMIA E FINANZE
Interrogazione a risposta in Commissione:
FRAGOMELI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
la fusione tra due Enti non societari e, precisamente, tra un ente morale (persona giuridica riconosciuta iscritta nel registro delle persone giuridiche private istituito dalla regione Lombardia) ed una O.N.L.U.S. (persona giuridica riconosciuta iscritta nel registro delle persone giuridiche private istituito dalla regione Lombardia) è disposta allo scopo di integrare le rispettive attività di solidarietà sociale (ad esempio beneficenza ed assistenza sociale e socio-sanitaria) mediante incorporazione dell'ente morale nella O.N.L.U.S. e di disporre quindi per il futuro – in previsione di eventuali riduzioni degli importi dei contributi attualmente erogati – dei mezzi necessari per garantire la continuazione delle proprie attività;
in sede di registrazione dell'atto di fusione, le competenti Agenzie delle entrate territoriali, sulla scorta della risoluzione dell'Agenzia delle entrate 15 aprile 2008, n. 152, con la quale è stata esclusa per questo tipo di operazioni l'applicabilità dell'imposta fissa ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettera b), della tariffa, parte prima allegata al TUR, richiedono che l'imposta di registro debba essere applicata ed assolta nella misura proporzionale del 3 per cento come previsto dalla norma residuale di cui all'articolo 9 della tariffa allegata al TUR predetta;
tale interpretazione, definita pressoché unanimemente dagli operatori del settore (notai e commercialisti) apodittica – anche alla luce della natura giuridica della fusione – è assolutamente iniqua con riferimento alle operazioni coinvolgenti O.N.L.U.S. che molto spesso sostituiscono lo Stato in attività che lo stesso dovrebbe garantire ai cittadini;
l'applicazione del 3 per cento, nel caso concreto, priva la O.N.L.U.S. incorporante di risorse irrinunciabili per lo svolgimento delle proprie attività vanificando di fatto le ragioni per cui l'operazione di fusione è concepita, impedendo, peraltro, alla O.N.L.U.S. stessa di garantire per il futuro i servizi abitualmente prestati al territorio;
l'articolo 9) della tariffa, parte prima, allegata al TUR, ritenuta norma con funzione residuale, prevede l'applicazione dell'aliquota del 3 per cento agli «Atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale»;
la riforma del diritto societario ha definitivamente confermato la non riconducibilità ai negozi traslativi delle operazioni di fusione, risolvendosi le stesse in vicende meramente evolutive e modificative dei soggetti che vi partecipano, che conservano la loro identità, pur in un nuovo assetto organizzativo (si veda la pronuncia della Corte di Cassazione, Sezioni unite, 8 febbraio 2006, n. 2637);
nelle operazioni di fusione non è pertanto ravvisabile e non può essere ravvisata alcuna «prestazione a contenuto patrimoniale», non essendo possibile individuare un soggetto acquirente ed un soggetto alienante, tanto che negli atti notarili di fusione non è dovuta alcuna garanzia per evizione, non sono esercitabili prelazioni di alcun tipo, non vi sono obblighi di trascrizione nei registri immobiliari, non trovano applicazione le norme urbanistiche circa la commerciabilità degli immobili;
mancando il presupposto delle «prestazioni a contenuto patrimoniale», la norma da applicare dovrebbe essere invece l'articolo 11 della tariffa, parte prima, allegata al TUR, che prevede l'applicazione dell'imposta di registro in misura fissa per «Gli atti pubblici e scritture private (...) non aventi oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale»;
l'Agenzia delle entrate non tiene conto di altre previsioni normative che potrebbero essere applicate al caso concreto, ovverosia:
l'articolo 11-bis della tariffa, parte prima, allegata al TUR, che prevede l'applicazione dell'imposta fissa di registro agli atti costitutivi ed alle modifiche statutarie concernenti le O.N.L.U.S. nel cui alveo potrebbero rientrare le operazioni di fusione alla luce della natura giuridica sopra specificata (vicende meramente evolutive e modificative dei soggetti che vi partecipano, che conservano la loro identità, pur in un nuovo assetto organizzativo, con l'integrazione reciproca, complementare e simultanea dei preesistenti contratti sociali – mera modifica degli atti costitutivi);
l'articolo 1, comma 737, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014) che prevede l'applicazione delle imposte di registro, trascrizione e catasto in misura fissa agli atti aventi ad oggetto trasferimenti gratuiti di beni di qualsiasi natura effettuati nell'ambito di riorganizzazioni tra enti appartenenti per legge, regolamento o statuto alla medesima struttura organizzativa, politica, sindacale, di categoria, religiosa, assistenziale o culturale;
è auspicabile l'applicazione di tale norma alla fusione degli enti non societari ricomprendendo gli atti di fusione nel novero degli atti di riorganizzazione in modo che la richiesta dell'applicazione dell'aliquota del 3 per cento da parte dell'Agenzia delle entrate alle operazioni di fusione tra enti non societari non venga ravvisata quale semplice «pretesa» –:
se il Ministro, allo scopo di eliminare ogni dubbio interpretativo, non ritenga necessario assumere iniziative in merito della questione relativa al pagamento della tassa di registro, al fine di evitare costi aggiuntivi e di agevolare dal punto di vista fiscale le O.N.L.U.S., anche e soprattutto in considerazione del ruolo effettivamente svolto dal terzo settore ed in rapporto alla situazione economica del Paese e dei soggetti interessati. (5-03917)
Interrogazioni a risposta scritta:
MELILLA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
con provvedimento n. 15921 del 22 ottobre 2013 il direttore generale delle finanze Fabrizia Lapecorella ha disposto la rotazione triennale degli incarichi di direzione degli uffici di segreteria delle commissioni tributarie non dirigenziali;
tali incarichi, rinnovabili alla scadenza, sono attribuiti con atto scritto e motivato;
nella prima applicazione gli incarichi in essere da più di 5 anni sono prorogati di un anno al 22 ottobre 2014, quelli in essere da meno di 5 anni sono prorogati di due anni al 22 ottobre 2015;
con successivo provvedimento n. 6988 del 7 maggio 2014 a firma Fiorenzo Sirianni (direttore della direzione della giustizia tributaria) viene avviata la procedura per la nuova attribuzione di 47 incarichi non dirigenziali di direttore di segreteria delle commissioni tributarie provinciali;
è così stabilito che «la Direzione procede all'individuazione dei dipendenti cui attribuire l'incarico sulla base degli elementi di giudizio desumibili dall'analisi dei curricula, dalle esperienze lavorative nonché da eventuali colloqui individuali finalizzati ad individuare le conoscenze tecnico-professionali e il possesso delle capacità organizzative in funzione della complessità dell'incarico da attribuire»;
è di questi giorni la nomina da parte della direzione della giustizia tributaria dei nuovi direttori di segreteria;
ciò è stato anticipato da una procedura assolutamente anomala: pare infatti che, qualche giorno addietro, in luogo di provvedimenti formali ed ufficiali siano pervenuti nelle caselle di posta elettronica personale dei messaggi di nomina o di mancata riconferma assolutamente generici spesso senza protocollo ed in alcuni casi privi addirittura di firma del mittente –:
quali siano i criteri con i quali la direzione della giustizia tributaria stia procedendo alla conferma/sostituzione dei direttori di 47 commissioni tributarie in Italia e se tali criteri di valutazione siano stati preventivamente notificati ai diretti interessati;
perché i 47 direttori delle commissioni tributarie provinciali, pur trovandosi nelle medesime condizioni (tutti con incarichi ultraquinquennali), siano stati solo parzialmente riconfermati e/o sostituiti;
quali siano i criteri adottati dalla direzione della giustizia tributaria nella scelta dei direttori. (4-06665)
GRIMOLDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
la circolare n. 27 del 19 settembre 2014 dell'Agenzia delle entrate fornisce ulteriori chiarimenti circa le nuove modalità di presentazione delle deleghe di pagamento F24 a decorrere dal 1o ottobre 2014, secondo quanto stabilito dall'articolo 11, comma 2, del decreto legge 24 aprile 2014, n. 66 convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, che ha introdotto, a decorrere dal 1o ottobre 2014, ulteriori obblighi di utilizzo dei sistemi telematici per la presentazione delle deleghe di pagamento F24;
dal 1o ottobre 2014, quindi, i modelli F24 a saldo zero potranno essere presentati esclusivamente mediante i servizi telematici messi a disposizione dall'Agenzia delle entrate, direttamente dal contribuente che può utilizzare i servizi «F24 web» o «F24 online» dell'Agenzia delle entrate o tramite un intermediario abilitato che può trasmettere telematicamente le deleghe F24 in nome e per conto degli assistiti, avvalendosi del servizio «F24 cumulativo» e del servizio «F24 addebito unico»;
i modelli F24 contenenti crediti utilizzati in compensazione, con saldo finale maggiore di zero, oppure i modelli F24 con saldo superiore a 1.000 euro, a prescindere dalla presenza di crediti utilizzati in compensazione, possono essere presentati esclusivamente per via telematica mediante i servizi messi a disposizione dall'Agenzia delle entrate di cui sopra o mediante i servizi di internet banking messi a disposizione dagli intermediari delle riscossione convenzionati con l'Agenzia, quali banche, Poste Italiane, agenti della riscossione e prestatori di servizi di pagamento;
le novità riguardano anche i privati titolari di partita IVA, per i quali, le nuove disposizioni si aggiungono alle precedenti, che comunque restano in vigore, dell'articolo 37, commi 49 e 49-bis, del decreto legge n. 223 del 2006 recanti, rispettiva- mente, l'obbligo di utilizzare modalità di pagamento esclusivamente telematiche sia per il versamento delle imposte, dei contributi e dei premi, nonché delle entrate spettanti agli enti e alle casse previdenziali, che per effettuare la compensazione, tramite modello F24, del credito IVA con importo superiore a 5.000 euro;
inoltre, gli stessi soggetti, per effetto della nuova normativa introdotta, sono tenuti ad utilizzare esclusivamente le modalità telematiche messe a disposizione dall'Agenzia per la presentazione del modello F24 in tutti i casi di delega con saldo finale pari a zero, ferma restando la possibilità di utilizzare anche i servizi telematici resi disponibili dagli intermediari della riscossione convenzionati per la presentazione del modello F24 con saldo maggiore di zero;
il pagamento con modello F24 cartaceo possono essere effettuati soltanto nel caso i cui si debbano versare, senza utilizzo di crediti in compensazione, somme per un importo totale pari o inferiore a 1.000 euro e per gli F24 precompilati dall'ente impositore, per i versamenti rateali in corso e per l'utilizzo di crediti d'imposta fruibili in compensazione esclusivamente presso gli agenti della riscossione;
benché le nuove disposizioni si muovano in direzione di uno snellimento delle procedure e dell'agevolazione del contribuente che può usufruire così di servizi telematici gestibili anche autonomamente, la normativa dovrebbe consentire un doppio canale di presentazione, telematico ma anche cartaceo, dei suddetti modelli F24, al fine di non escludere nessuna fascia, della popolazione che, per qualsiasi motivazione, sia impossibilitata all'utilizzo di tali strumenti telematici, in modo da non doverla necessariamente esporre al pagamento di intermediari abilitati, per lo più professionisti, il cui costo è più elevato rispetto al prezzo del servizio di trasposizione telematica dal modello cartaceo finora fornito dagli intermediari della riscossione;
infatti, l'obbligatorietà del pagamento telematico per gli F24 con saldo superiore a 1.000 euro tramite i servizi «F24 web» o «F24 online» o tramite i servizi di internet banking, espone la parte della popolazione della fascia anziana, a difficoltà di tipo materiale nell'utilizzo di questi strumenti, costringendola a ricorrere all'aiuto di un familiare, oppure, quando questo non sia possibile, al servizio a pagamento di un intermediario professionista, aumentando così ulteriormente gli oneri remunerativi a loro carico;
inoltre, quest'ultimi intermediari devono essere spesso messi a conoscenza di informazioni e codici privati riguardanti i conti personali dei contribuenti al fine di poter svolgere le suddette operazioni telematiche –:
se il Ministro non ritenga opportuno assumere iniziative per rivedere le disposizioni riguardanti l'obbligo di trasmissione telematica nel caso di presentazione di modelli F24 a saldo zero, che costringe il contribuente a pagare ingiustamente un servizio bancario anche per le compensazioni pari a zero, oltre a sostenere il compenso dovuto al professionista a cui spesso deve rivolgersi;
se il Ministro non ritenga opportuno assumere iniziative per rivedere le disposizioni nelle parti in cui queste prevedono il pagamento esclusivamente telematico per i modelli F24 con saldo superiore ai 1000 euro, tenuto conto della indisponibilità di alcune fasce della popolazione, soprattutto quella anziana, come specificato nelle premesse. (4-06666)
FRAGOMELI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 1, comma 534, della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità per il 2014) prevede l'esclusione di una quota parte dei pagamenti in conto capitale sostenuti dagli enti locali nel corso dell'anno, per un importo complessivo di 1 miliardo di euro, di cui 150 milioni di euro per le province e 850 milioni di euro per i comuni. Per la distribuzione della predetta esclusione è assegnato a ciascun ente uno spazio finanziario in proporzione all'obiettivo programmatico determinato attraverso l'articolo 1, comma 2-quinquies della legge di stabilità per il 2014;
sul punto in questione è intervenuta, nel mese di luglio 2014, la ragioneria generale dello Stato con una interpretazione che all'interrogante appare tanto restrittiva quanto discrezionale in merito all'applicazione della norma in questione, sulla base della quale essa non sarebbe da intendersi come sgravio di manovra finanziaria a sostegno dei pagamenti in conto capitale, bensì uno stimolo per favorire investimenti ulteriori di comuni e province;
la modifica operata dal decreto-legge n. 133 del 2014 ha consentito di estendere all'intero anno 2014 l'arco temporale entro il quale gli enti locali potranno usufruire dei maggiori spazi finanziari sulla spesa effettuata in conto capitale nell'anno 2014;
la maggiore disponibilità di spazi finanziari introdotta dal citato decreto n. 133 non risolve, tuttavia, la criticità per i comuni di dimensione medio-piccola, poiché l'obiettivo programmatico imposto con il patto di stabilità interno manterrebbe su livelli di sostanziale insostenibilità la stretta finanziaria da perseguire comunque sulla parte corrente del bilancio. Per gli enti di minori dimensioni, infatti, il grado di rigidità della spesa corrente, rispetto agli equilibri complessivi di bilancio, risulta ben più elevato rispetto a quello presentato dai comuni più grandi, in larga parte per ragioni di carattere strutturale difficilmente modificabili nel breve periodo;
in conseguenza di tale situazione, pervengono molte segnalazioni di comuni di minore dimensione che non hanno materiale disponibilità di ulteriori spese da erogare in conto capitale e per i quali anche le spese già erogate nel primo semestre del 2014 rischiano di determinare sforamenti dell'obiettivo di Patto –:
se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative allo scopo di consentire agli enti di minori dimensioni la possibilità di utilizzare gli spazi finanziari previsti l'articolo 1, comma 534, della legge n. 147 del 2013, anche con riferimento agli impegni di parte corrente sostenuti nell'anno 2014 e alla luce dell'invarianza degli effetti finanziari. (4-06668)
DI SALVO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
Dexia Crediop, è una Banca italiana fondata nel 1919, specializzata nei settori delle infrastrutture e dei servizi di pubblica utilità, nel 1999 è entrata a far parte del gruppo bancario franco-belga Dexia. La Banca è oggi controllata al 70 per cento da Dexia Crédit Local, che fa parte del Gruppo Dexia, e partecipata dalla Banca Popolare di Milano, dal Banco Popolare e dalla Banca Popolare dell'Emilia Romagna con una quota del 10 per cento ciascuna;
il tracollo del Gruppo Dexia, dovuto a errate strategie del suo vertice, rischia di determinare la fine di una banca italiana (Dexia Crediop) con una assoluta specializzazione in materia di investimenti;
il gruppo Dexia salvato nel 2008 dal fallimento per la crisi dei subprime grazie agli interventi pubblici dei Governi francese e belga, ha avuto un nuovo tracollo per effetto della crisi del debito sovrano nel 2011 ed è stato oggetto di un secondo salvataggio in quell'anno;
il Gruppo Dexia ha realizzato, nonostante gli aiuti di Stato, una pessima performance ai recenti «stress test», attuati dalla Banca centrale europea, tale da evidenziare la necessità di un'ulteriore ricapitalizzazione;
in data 28 dicembre 2012, la Commissione europea ha approvato il piano di risoluzione ordinata del Gruppo Dexia presentato dagli Stati belga, francese e lussemburghese. Tale piano prevedeva essenzialmente oltre alle dismissioni già realizzate e alla vendita delle entità considerate vendibili in tempi brevi, la gestione in ammortamento senza nuove attività di tutte le entità del Gruppo Dexia ad eccezione di Dexia Crédit Local e di Dexia Crediop, soggette a una specifica disciplina. In particolare, per quanto concerne Dexia Crediop è stata prevista la possibilità di generare nuovi attivi per un importo fino a euro 200 milioni destinati alla clientela esistente per un periodo di un anno dalla data di approvazione del piano da parte della Commissione europea, nel corso del quale Dexia Crediop poteva essere oggetto di cessione;
a inizio 2014 la Commissione europea ha dato riscontro positivo alla domanda degli Stati belga, francese e lussemburghese di estendere fino al 28 giugno 2014 l'autorizzazione che consente a Dexia Crediop la possibilità di generare nuovi attivi destinati alla clientela esistente, nel limite già autorizzato il 28 dicembre 2012, al fine di agevolare il processo dell'eventuale cessione della partecipazione detenuta dal gruppo Dexia in Dexia Crediop;
dal 15 luglio 2014, anche Dexia Crediop è stata coinvolta nel procedimento di «risoluzione ordinata» del Gruppo Dexia, dichiarando la situazione di run-off, gestione in estinzione, la banca cioè non può accordare nuovi prestiti ma gestire solo l'esistente, in assenza di offerte vincolanti di acquisto della partecipazione azionaria del gruppo Dexia in Dexia Crediop medesima;
attualmente la Banca Italiana Dexia Crediop presenta un patrimonio di Vigilanza di 1,3 miliardi di euro al 31 dicembre 2013; inoltre al 30 giugno 2014 ha un margine d'intermediazione consolidato di euro 61 milioni, un utile netto consolidato di 25 milioni di euro e il totale delle attività consolidate pari ad oltre 37 miliardi;
Dexia Crediop appare destinata ad essere liquidata, nell'indifferenza generale, nonostante sia stata da sempre, essenziale e strategica per lo sviluppo del nostro Paese. Recentemente, infatti è stata avviata la procedura per esuberi di personale che riguarda 53 dipendenti appartenenti alle categorie delle aree professionali e dei quadri direttivi, in pratica 1/3 del personale appartenente a tali categorie; e si starebbe per conferire un incarico per la vendita della prestigiosa sede romana della banca;
la situazione di Dexia Crediop è stata oggetto in questa legislatura di atti di sindacato ispettivo, che non hanno avuto alcuna risposta in merito –:
se alla luce di precedenti interventi del Governo italiano a sostegno di gruppi bancari in situazione di crisi, non si ritenga opportuno intervenire al fine di tutelare Dexia Crediop, tenendo presente il ruolo svolto in questi anni nel campo dell'intermediazione finanziaria;
quali azioni intenda adottare al fine di individuare misure che consentano alla Dexia Crediop e alle professionalità che ne fanno parte di continuare ad assolvere al proprio ruolo per il rilancio economico del Paese preservando i livelli occupazionali;
quali atti siano stati posti in essere dal Ministro dell'economia e delle finanze, vista la particolare composizione degli attivi di Dexia Crediop spa, al fine di monitorare il processo di cessione della banca e di verificare l'esistenza di potenziali compratori. (4-06684)
GIUSTIZIA
Interrogazioni a risposta in Commissione:
TIDEI e FERRO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
il 27 ottobre 2014, con una conferenza stampa a cui hanno preso parte i responsabili nazionali, regionali e locali del settore della polizia penitenziaria, la Cgil funzione pubblica ha descritto una situazione lavorativa relativa al personale degli istituti penitenziari di Civitavecchia molto grave. Ad un aumento continuo della mole di lavoro nel carcere di Aurelia e in quello di via Tarquinia, istituti penitenziari della città di Civitavecchia, non corrisponde un incremento di personale;
la grave carenza di personale di polizia penitenziaria di cui soffrono i due istituti penitenziari di Civitavecchia riguarda in particolare le figure dei sovrintendenti degli ispettori e dei commissari. Infatti, dalle piante organiche stabilite in totale autonomia dall'amministrazione penitenziaria centrale risulta che negli istituti cittadini opera circa il 50 per cento del personale previsto dei ruoli sopra citati;
la conseguenza di una così grave carenza di organico nei ruoli apicali è che la qualità del servizio si abbassa e viene chiesto a personale del ruolo agenti-assistenti di espletare mansioni superiori senza aver fatto un'adeguata formazione professionale. Inoltre, si crea sui pochi sottufficiali in servizio un carico di lavoro enorme che a sua volta è fonte di stress per il lavoratore e di ritardata risposta, per l'utenza e le amministrazioni, incluse le autorità giudiziarie che chiedono informazioni o atti dell'istituto;
nel rispetto dell'articolo 27 della Costituzione che prevede trattamenti tesi alla rieducazione del condannato, la qualità del servizio che viene quotidianamente svolto deve essere adeguato allo scopo –:
se non ritenga opportuno, in occasione della prossima immissione in ruolo di 271 nuovi vice ispettori, assegnare 8 unità al nuovo complesso e 2 alla casa di reclusione e, considerato che a breve verrà effettuata la mobilità del ruolo dei commissari, inviare una unità del suddetto ruolo per ogni istituto;
se non ritenga opportuno, inoltre, vista la complessità delle strutture, assegnare al più presto almeno un direttore titolare alla casa circondariale nuovo complesso in quanto dal mese di giugno 2014 l'incarico è svolto ad interim dalla direttrice della casa circondariale. (5-03915)
FERRARESI, DELL'ORCO, BONAFEDE, COLLETTI, AGOSTINELLI, BUSINAROLO, TURCO, SARTI, RICHETTI, GIUDITTA PINI, BARUFFI, GHIZZONI e PATRIARCA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
l'elaborazione statistica che ha condotto alla nuova geografia giudiziaria di cui ai decreti legislativi n. 155 e n. 156 del 7 settembre 2012 ha consentito di evidenziare, anche in questa sede, l'esistenza di numerose incongruenze nella distribuzione della dotazione organica dei magistrati e di differenze tra uffici giudiziari con similari specificità che non trovano oggettiva giustificazione e che sono meritevoli di correzione o, almeno, di sostanziali possibili aggiustamenti;
la sede giudiziaria di Modena – che in base ai citati decreti legislativi ha inoltre assorbito gli uffici distaccati di Carpi, Sassuolo e Pavullo, con una risultante popolazione aggregata di 687.237 residenti – è, in Emilia Romagna, quella con più alta popolazione amministrata dopo quella di Bologna e si avvale attualmente di un organico di soli 35 magistrati sui quali grava un carico di lavoro pari a circa 1.100 cause per ogni giudice, nettamente superiore a quello di altri tribunali equiparabili;
sulla base di previsioni elaborate dallo stesso Ministero della giustizia-dipartimento dell'organizzazione giudiziaria del personale e dei servizi, operando una duplice ponderazione dell'ampiezza del bacino di utenza e dei procedimenti sopravvenuti per ufficio, i giudici in servizio presso il tribunale di Modena dovrebbero essere almeno 48;
nell'articolazione complessiva del «sistema giustizia» di Modena, un ruolo determinante riveste anche il personale amministrativo di cancelleria che soffre di carenze organiche con inevitabili rallentamenti nella predisposizione degli atti afferenti i procedimenti, necessitando, parimenti a quanto rilevato per i magistrati, di un potenziamento della pianta organica;
vista la particolare rilevanza e dinamicità del tessuto economico e produttivo della provincia di Modena, il cui prodotto interno lordo risulta essere ai primi posti in Italia e che presenta distretti a rilevanza nazionale ed internazionale come quello ceramico, ricompreso nell'area di Sassuolo, quello del tessile abbigliamento, nella zona di Carpi e quello del «biomedicale», nella zona di Mirandola – a loro volta inseriti in un diffuso sistema di circa 45.000 piccole e medie imprese operanti nel settore della meccanica, del manifatturiero e dell'agroalimentare –, la deficienza di risorse allocate alla sede giudiziaria modenese in relazione al rilevante carico di lavoro esistente si connota con ancora maggiore evidenza;
si ricorda che il territorio modenese è stato recentemente colpito da una serie di devastanti eventi calamitosi: dal drammatico sisma del maggio 2012, che ha causato complessivamente 27 vittime (17 delle quali nel modenese), caratterizzato da due principali scosse di magnitudo di 5.8 e 5.9 punti della scala Richter ed aventi entrambe epicentro in provincia di Modena; alla tromba d'aria del maggio 2013, che ha duramente colpito, come nel caso di Mirandola, imprese e abitazioni di Comuni di aree già terremotate;
alla disastrosa alluvione dovuta dalla rottura degli argini del fiume Secchia del 19 gennaio 2014 abbattutasi anch'essa sulle stesse zone già flagellate dal terremoto (come i comuni modenesi di Camposanto e Medolla, San Felice e Finale Emilia) e sulle cui cause ed eventuali responsabilità è in atto un'indagine della procura di Modena;
il recente evento sismico, così come la tromba d'aria e l'alluvione che hanno colpito prevalentemente il territorio di Modena, hanno determinato e, ad avviso degli interroganti, determineranno ulteriori impegni nell'attività inquirente in genere e della magistratura in particolare, allo scopo di prevenire possibili infiltrazioni della criminalità organizzata nel sistema produttivo locale in difficoltà, con specifico riferimento alle fasi di ricostruzione urbanistica ed industriale nel periodo del post-calamità;
il tema ricorrente del tentativo di infiltrazione della criminalità organizzata nel tessuto economico e sociale modenese ha assunto di recente un carattere di particolare attualità ed immanenza divenendo frequentemente oggetto di dibattiti pubblici o di prese di posizione da parte di esponenti del mondo sindacale, politico ed istituzionale locale e regionale;
i ricordati eventi calamitosi e la conseguente delicata fase di ricostruzione si innestano in una particolare condizione di avanzato stato di infiltrazione della criminalità organizzata nel territorio di Modena come si evince, ad esempio, dalla relazione annuale della direzione nazionale antimafia del dicembre 2012, laddove si certificava «in particolare nella provincia di Modena, la presenza di esponenti di alcune famiglie mafiose siciliane, come quella riconducibile a Pastoia Francesco, interessate all'aggiudicazione di alcune gare di appalto di lavori pubblici»; o come rivelato dal procuratore capo di Bologna, Roberto Alfonso – sue le parole nel 2011: «la criminalità organizzata a Modena ha trovato pane per i suoi denti» – per il quale il tentativo della mafia di aggiudicarsi gli appalti della ricostruzione post terremoto non rappresenta un rischio ipotetico ma è una condizione «già in atto»; per concludere infine con il rapporto sulla mafia in Emilia-Romagna a cura della Fondazione Caponnetto, dove si legge che, già dal 2012, «la situazione della provincia di Modena è grave e va monitorata con grande attenzione» in quanto «Il rischio di colonizzazione è molto alto»;
a riprova del carattere prioritario assegnato dalle istituzioni locali al contrasto delle infiltrazioni della criminalità organizzata all'interno del business della ricostruzione, la prefettura di Modena ha creato un'apposita white list, cui sono già pervenute tremila istanze di iscrizione, volta ad individuare ed escludere dai lavori le imprese che presentino legami con ambienti mafiosi;
per consuetudine, i flussi relativi alle materie di competenza della direzione distrettuale antimafia, numericamente poco significativi se osservati nel contesto generale sono, chiaramente, estremamente onerosi e impegnativi sotto il profilo della qualità e della particolare difficoltà tecnica generata da tale tipo di contenzioso tanto nella fase delle indagini preliminari (fatto che incide sulla consistenza degli organici della Procura) quanto nella fase del giudizio;
in data 16 dicembre 2013, su iniziativa del presidente del tribunale e del procuratore capo di Modena, si è svolto presso la locale prefettura un incontro tra uffici giudiziari modenesi, prefetto e parlamentari modenesi volto ad analizzare le possibili soluzioni alla grave carenza di organico accentuatasi in seguito al menzionato accorpamento delle tre sedi giudiziarie precedentemente distaccate ed ora accentrate nel palazzo di giustizia di Modena;
in tale sede è emersa una viva preoccupazione circa la capacità delle istituzioni locali di poter fornire alla cittadinanza un'adeguata risposta all'illegalità, individuando come univoca soluzione il rafforzamento dell'intera «filiera della sicurezza» mediante un aumento numerico delle unità previste per ciascuno degli uffici preposti alla sicurezza, dal personale delle forze di polizia all'organico dell'ufficio giudiziario, onde altresì coniugare una pronta ed efficace risposta punitiva dei comportamenti illeciti ad una maggiore incisività delle attività di indagine con una conseguente, immediata irrogazione della sanzione in sede giudiziaria;
in ragione del peculiare tessuto economico modenese messo a dura prova da calamità di straordinaria virulenza susseguitesi nel ristretto arco di un biennio, relativamente alla materia giurisdizionale concernente le procedure afferenti al mondo del credito e dell'impresa, non possono ignorarsi gli effetti negativi che derivano dalla loro ritardata conclusione, con la conseguenza non ultima di scoraggiare attesi investimenti da parte di imprenditori stranieri;
anche sul versante della microcriminalità, il tema della sicurezza è frequentemente all'ordine del giorno ed all'attenzione dell'opinione pubblica modenese a causa del manifestarsi di espressioni illegali che attenuano il senso di sicurezza tra i cittadini, quali i reati predatori di strada, i furti in appartamenti e le rapine, consumati sia nel capoluogo che nei centri minori della provincia, che incidono fortemente sulla sensibilità dei residenti e generano forme di allarme diffuso;
è forte il disagio tra i detenuti e gli internati della provincia, per la mancanza del magistrato di sorveglianza di Modena, il cui ruolo è temporaneamente affidato, in supplenza, ad altri magistrati che devono occuparsi addirittura di tre province in una volta, ovvero Modena, Reggio e Parma;
ci sono 380 detenuti, di cui 98 internati e 29 donne, all'interno della casa circondariale Sant'Anna di Modena e della casa di reclusione di Castelfranco; la mancanza del magistrato, quindi, può determinare il blocco dell'attività ordinaria di esame delle istanze presentate dai detenuti e dagli internati, con conseguente interruzione dei percorsi trattamentali esterni –:
se il Ministro interrogato intenda adoperarsi, per quanto di competenza, per raggiungere i seguenti obiettivi:
a) l'assegnazione di un numero non inferiore a 48 magistrati al tribunale di Modena, nonché delle conseguenti corrispettive unità di polizia giudiziaria;
b) l'assegnazione di un magistrato di sorveglianza per la casa circondariale Sant'Anna di Modena per la casa di reclusione di Castelfranco;
c) il potenziamento della pianta organica del personale amministrativo di cancelleria dell'ufficio giudiziario del tribunale di Modena. (5-03918)
Interrogazione a risposta scritta:
AMODDIO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
il sistema penitenziario è da tempo interessato da un grave stato di emergenza, a causa del sovraffollamento delle carceri e, infatti, la Corte europea dei diritti dell'uomo con la sentenza (Torreggiani e altri sei ricorrenti contro l'Italia), dell'8 gennaio 2013, ha condannato il nostro Paese, secondo la procedura della sentenza pilota, per la violazione dell'articolo 3 della «Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali», sentenza divenuta definitiva il 28 maggio 2013, data in cui è stata respinta l'istanza di rinvio alla Grande Chambre della Corte, presentata dall'Italia;
l'Italia, il 5 giugno 2014, ha ricevuto la fiducia dei vertici del Consiglio d'Europa, ma, tuttavia, resta sotto osservazione dell'Europa ed a giugno del 2015 il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa accerterà l'adeguatezza dei provvedimenti del Governo;
a fronte dell'impegno straordinario del personale della carriera dirigenziale penitenziaria per la gestione dell'emergenza, che ha consentito di far fronte agli impegni con l'Europa, tale personale è destinatario di un trattamento economico a dir poco modesto, benché la legge 27 luglio 2005, n. 154, preveda un trattamento non inferiore a quello della dirigenza contrattualizzata, privato della retribuzione di posizione di incarico, impegnato senza alcun riconoscimento economico nella direzione di più carceri e u.e.p.e., privato del riconoscimento alla ricostruzione di carriera per inapplicazione dell'articolo 29 del decreto legislativo n. 63 del 2006, sottoposto al blocco degli stipendi, al contrario di magistrati e forze dell'ordine;
nonostante la gravità della situazione carceraria italiana il Governo intende ridurre i già esigui organici del personale della carriera dirigenziale penitenziaria e del personale penitenziario che, invece, dovrebbero essere esclusi, a tutti i livelli dalla spending review delle dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni prevista dal comma 1 dell'articolo 2 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, rientrando evidentemente l'amministrazione penitenziaria nel suo compresso nell'esclusione già prevista dal comma 7 del precitato articolo 2 per «le strutture e il personale del comparto sicurezza»;
per converso, come se il sistema penitenziario non facesse parte del più generale sistema giustizia, si esclude dalle riduzioni di organico solo il personale giudiziario e, anzi, si manifesta la volontà di incrementare quest'ultimo, trascurando che una implementazione sarebbe indispensabile anche per il personale penitenziario. Si tratta di tagli di personale, quindi, per l'amministrazione penitenziaria, mentre già il Governo annuncia migliaia di assunzioni di personale docente;
il Si.Di.Pe. (Sindacato direttori penitenziari) – che è l'organizzazione sindacale che raccoglie il maggior numero dei dirigenti penitenziari di diritto pubblico ex decreto legislativo n. 63 del 2006 (del ruolo di istituto penitenziario e di quello di esecuzione penale esterna) ha più volte espresso ai vari Ministri della giustizia e ai vertici del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria la forte preoccupazione per le disastrose conseguenze che ne discenderebbero per il sistema penitenziario;
per questa ragione il Si.Di.Pe. ha inviato il 19 maggio 2014 al Ministro della giustizia una nota con la quale aveva chiesto un autorevole e deciso intervento presso il Governo affinché il personale della carriera dirigenziale penitenziaria e il personale penitenziario siano definitivamente esclusi, a tutti i livelli, dalla spending review delle dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni;
le preoccupazioni del Si.Di.Pe. e dei dirigenti penitenziari erano state autorevolmente avallate anche:
dalla Commissione giustizia del Senato, che aveva espresso parere favorevole all'articolo 2 del decreto-legge n. 95 del 2012 solo a condizione che si fosse escluso il personale dell'amministrazione penitenziaria dalle ulteriori riduzioni delle dotazioni organiche;
dal D.A.P. (come comunicato alle organizzazioni sindacali con nota GDAP-0276479-2012 del 25 luglio 2012), il quale aveva segnalato agli organi competenti che l'applicazione dei tagli di organico statuiti nel decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, produrrebbero gravi conseguenze sull'organizzazione dell'amministrazione, più in particolare precisando che tale ulteriore riduzione rispetto alle precedenti comprometterebbe la tenuta del sistema penitenziario, sottolineando nel contempo che l'esecuzione della pena e delle misure cautelari detentive contribuisce ad assicurare l'ordine e la sicurezza pubblica e che, quindi, costituendo l'amministrazione penitenziaria nel suo insieme articolazione appartenente alla complessiva struttura di sicurezza dello Stato, essa deve ritenersi implicitamente inserita dalla dizione della norma tra quelle destinatarie dell'esclusione di cui all'articolo 2, comma 7, del medesimo decreto-legge;
dall'ordine del giorno, il n. 9/5389/53, approvato nella precedente legislatura dalla Camera dei deputati il 7 agosto 2012 e accettato dall'Esecutivo del tempo, che impegnava il Governo Monti «a valutare l'opportunità (...) interpretare l'articolo 2, comma 7, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, nel senso che sono esclusi dalla riduzione di cui al comma 1 del medesimo articolo anche i dirigenti penitenziari ed in tal senso interpretare anche la deroga prevista per le forze di polizia già dal precedente provvedimento normativo (articolo 1, comma 5, decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito con legge 14 settembre n. 148)»;
il Governo Monti, per bocca di un suo Sottosegretario, che si espresse nel senso «che il sistema penitenziario costituisce nel suo insieme una struttura dello Stato deputata a contribuire al mantenimento della sicurezza pubblica ed è, quindi, parte integrante delle strutture di sicurezza della Repubblica», rendendo noto che il 4 ottobre 2012 aveva chiesto all'allora Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione un'interpretazione che escludesse il personale penitenziario dalle nuove riduzioni di organico (cfr. risposta del 29 novembre 2012 del Sottosegretario per la giustizia all'interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-08488;
i dirigenti della carriera dirigenziale penitenziaria (dirigenti di istituto penitenziario e di esecuzione penale esterna), pur non essendo «poliziotti» rientrano pienamente nell'ambito del comparto sicurezza in quanto in capo al direttore discendono dall'ordinamento penitenziario, dal regolamento di esecuzione e dal decreto legislativo 15 febbraio 2006, n. 63, anche funzioni di garanzia dell'ordine e della sicurezza. Tra le altre norme si citano: A) l'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230; il direttore si avvale del personale di polizia penitenziaria e ne è superiore gerarchico, così come il restante personale della carriera dirigenziale penitenziaria al quale ai sensi del decreto legislativo n. 63 del 2006 sono attribuiti anche gli altri incarichi di cui al comma 1 dell'articolo 9 della legge 15 dicembre 1990, n. 395 «Ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria»; al personale della carriera dirigenziale penitenziaria di cui al decreto legislativo 15 febbraio 2006, n. 63, rientra pienamente nell'ambito del comparto sicurezza, essendo destinatario del trattamento giuridico ed economico del personale dirigente della Polizia di Stato;
l'articolo 2, comma 4-bis, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari) convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, ha prorogato al 15 ottobre 2014, il termine per l'adozione, con procedura semplificata, del regolamento di organizzazione del Ministero della giustizia, che era scaduto il 15 luglio 2014;
il Ministro della giustizia, con nota del suo Gabinetto prot. n. 0034381.U datata 15 ottobre 2014, ha inviato ai sindacati, a titolo di informativa, la nuova proposta di riorganizzazione ministeriale, ai sensi dell'articolo 2, comma 10-ter, del decreto-legge n. 95 del 2012 e successive modifiche, corredata delle prescritte relazioni illustrativa e tecnico-finanziaria, comunicando loro di averla già trasmessa in pari data 15 ottobre 2014 (data coincidente con la scadenza fissata dalla legge), alla funzione pubblica;
la nuova proposta di riorganizzazione ministeriale non appare all'interrogante adeguata e coerente alle esigenze effettive dell'amministrazione penitenziaria e non supera sostanzialmente le forti contraddizioni e criticità già rappresentate al Ministro della giustizia da tutti i sindacati (dal Si.Di.Pe. con nota del 16 luglio 2014) in occasione dell'incontro dell'8 ottobre. Non sono state, infatti, affatto superate alcune importanti contraddizioni normative e organizzative che erano state rappresentate con la nota prot. n. 253/T/14.69 del 28 settembre 2014, relativamente all'ipotesi organizzativa illustrata nel documento di sintesi delle proposte redatte dai gruppi di lavoro istituiti per l'approfondimento dei principali temi rilevanti ai fini della predisposizione del regolamento in questione, che era stato inviato dal Gabinetto del Ministro con nota prot. n. 0031709.PU (Pos. 60367) del 23 settembre 2014;
la nuova proposta di riorganizzazione ministeriale, ben lungi dal ricercare assetti organizzativi volti a semplificare ed efficientare il sistema penitenziario, secondo l'interrogante scardina e destruttura completamente il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria per portare, presso altri dipartimenti, competenze e funzioni maturate, nel corso di decenni, all'interno del D.A.P. e attribuite per legge al personale della carriera dirigenziale penitenziaria, sopprimendo posti di funzione, per riprodurli, anche con la creazione di analoghe o altre direzioni generali, in altri dipartimenti;
l'unico risultato che tali proposte produrrebbero non è la riduzione della spesa pubblica, che si può realizzare in ben altro modo, ma la sottrazione di posti di funzione, attribuiti dalla legge al personale della carriera dirigenziale penitenziaria (ex decreto legislativo n. 63 del 2006 concernente l'ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria, istituita con la legge n. 154 del 2005), a magistrati fuori ruolo che, notoriamente, occupano più posti di funzione negli altri dipartimenti, e che, ovviamente, hanno maggiore difficoltà a giustificare l'esercizio di funzioni amministrative al D.A.P. perché demandate espressamente dalla legge a dirigenti di diritto pubblico, cioè ai dirigenti penitenziari;
la sottrazione di magistrati alla giurisdizione spesso comporta tempi troppo lunghi di comprensione del complesso sistema penitenziario rispetto alle necessità di azioni operative urgenti e, peraltro, contribuisce al triste primato che il nostro Paese ha in Europa, cioè quello del più alto numero di condanne inflitte dalla Corte di Strasburgo per violazioni dell'articolo 6 paragrafo 1 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, divenute più frequenti dopo l'introduzione nell'articolo 111 della Costituzione del principio della «ragionevole durata» del processo;
se a tutto ciò si aggiungono le allarmanti notizie di stampa relative a proposte di un altro gruppo di lavoro presso Palazzo Chigi, coordinato da un noto pubblico ministero e del quale farebbero parte anche altri noti magistrati, che avrebbe prospettato la soppressione del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, la trasformazione del Corpo di polizia penitenziaria in una «polizia della giustizia» presente, oltre che in carcere che sul territorio, il reclutamento dei dirigenti direttamente tra gli attuali commissari della polizia e il collocamento degli attuali direttori in un ruolo ad esaurimento, il quadro che ne discende è davvero allarmante;
a tali notizie di stampa si accostano alcune circostanze oggettive, quali: il fatto che l'ultima immissione nei ruoli di direttori di istituto penitenziario e di esecuzione penale esterna risale al 1997, il fatto che adesso si intende ridurre il personale della carriera dirigenziale penitenziaria attraverso la spending review, che, parimenti, da anni non si assume personale pedagogico e che, anzi, si vuole ridurlo nella corsa alla diminuzione della spesa pubblica. Tutto ciò in contrasto con l'articolo 27 della Costituzione che impone, invece, che la pena debba avere anche una funzione rieducativa e in difformità alla raccomandazione R (2006)2 del Comitato dei ministri agli Stati membri del Consiglio d'Europa sulle regole penitenziarie europee (adottata dal Consiglio dei ministri l'11 gennaio 2006, in occasione della 952a riunione dei delegati dei Ministri) che nella PARTE V «Direzione e Personale – Il servizio penitenziario come servizio pubblico», al n. 71 , stabilisce che «Gli istituti penitenziari devono essere posti sotto la responsabilità di autorità pubbliche ed essere separati dall'esercito, dalla polizia e dai servizi di indagine penale»;
la ragione di questa norma sta, evidentemente, nella dualità di finalità ed esigenze istituzionali del carcere, quella legata alla sicurezza e l'altra alla rieducazione del condannato, dualità per la quale la vigente normativa, espressione di un orientamento preciso presente negli altri Paesi democratici europei ed extraeuropei, ha voluto nel sistema penitenziario una figura professionale, quella del dirigente penitenziario, non poliziotto e non pedagogo, al quale attribuire la delicatissima funzione di governo dell'esecuzione penale. Tanto sia all'interno delle carceri quanto fuori di esse, per l'esecuzione delle misure alternative alla detenzione, attraverso un'azione costante di contemperamento di quelle finalità trattamentali (rieducative e di reinserimento sociale) e di sicurezza, con la finalità di riportare ad unità di obiettivi e di azione la molteplicità professionale presente nel sistema dell'esecuzione penale;
il nuovo schema di riorganizzazione del Ministero della giustizia che depaupera e destruttura il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, tra l'altro portando fuori da esso l'esecuzione penale esterna, rischia di agevolare processi rivolti a fare sempre più del carcere un luogo di mera sicurezza cioè sempre più un «carcere di polizia»;
lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri proposto:
è secondo l'interrogante contra et ultra legem, perché non trova supporto nelle norme vigenti relative alla riduzione delle dotazioni organiche, la cui applicazione porterebbe al massimo a 16 i posti di funzione di livello dirigenziale generale e perché quest'ulteriore riduzione neppure potrebbe giustificarsi a mente dell'articolo 2, comma 5, del decreto-legge n. 95 del 2012, atteso che le riduzioni in «compensazione» devono ragionevolmente riguardare categorie dirigenziali omogenee, sicché non è ipotizzabile una riduzione di personale della carriera dirigenziale penitenziaria di diritto pubblico ex decreto legislativo n. 63 del 2006 in favore di posti dirigenziali di diritto privato ex decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165;
intende ridurre da 16 a 11 i provveditorati regionali dell'amministrazione penitenziaria, sopprimendo i provveditorati di Abruzzo, Basilicata, Liguria, Marche, Umbria, alterando l'assetto funzionale dell'amministrazione in sede territoriale periferica. I PRAP, infatti, hanno in tutti i settori di competenza dell'amministrazione, una funzione essenziale di indirizzo, coordinamento e controllo degli istituti e servizi della regione di competenza, grazie alla diretta conoscenza del territorio, delle sue peculiarità storiche e socio-culturali e delle realtà periferiche, e sono, per questo, essenziali organi di prossimità rispetto agli istituti e ai servizi penitenziari. Ragione per la quale, eventuali macro accorpamenti ne snaturerebbero il ruolo e la funzione e ne pregiudicherebbero la funzionalità, nell'ambito di un sistema già in crisi anche per l'insufficienza delle risorse, a fronte di una situazione emergenziale;
intende eliminare la direzione generale del bilancio alla direzione generale dei beni e dei servizi, trasferendo la competenza complessiva alla istituenda direzione generale delle risorse materiali e delle tecnologie presso il Dipartimento sull'organizzazione giudiziaria e mantenendo al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, nell'ambito della direzione generale del personale, ridenominata direzione generale del personale e delle risorse, la gestione dei beni demaniali e patrimoniali, dei beni immobili, dei beni mobili e dei servizi, dell'edilizia penitenziaria e residenziale di servizio e la formulazione dei relativi pareri tecnici. A tale scelta consegue, quindi, un disfunzionale smembramento delle competenze tra due dipartimenti (DAP e DOG), a fronte di una complessità e specificità del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria che rende indispensabile un'autonomia gestionale e finanziaria che gli consenta di valutare direttamente le proprie necessità complessive, per l'evidente alto carattere tecnico delle valutazioni sottese;
tra l'altro trasferire queste competenze al dipartimento dell'organizzazione giudiziaria determinerebbe la creazione ex novo di una struttura organizzativa elefantiaca, che dovrebbe far fronte alle molto diverse esigenze di tutti i differenti dipartimenti, è in sé disfunzionale e necessiterebbe di un impianto organizzativo da crearsi ex novo presso il dipartimento dell'organizzazione giudiziaria che non ha, al contrario del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, una struttura in grado di sostenere questo gravoso impegno. Ma tutto questo non ha senso sotto il profilo dell'organizzazione, così come non ha senso, in termini di riduzione della spesa, eliminare la direzione generale dei beni e dei servizi al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria per crearne un'altra presso il dipartimento sull'organizzazione giudiziaria;
intende trasferire la direzione generale dell'esecuzione penale esterna del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria al dipartimento per la giustizia minorile (D.G.M.), in aperto contrasto con la normativa di settore attualmente vigente ed al solo scopo di mantenere in vita il dipartimento della giustizia minorile il cui assorbimento all'interno del DAP sarebbe più funzionale ed assicurerebbe un effettivo risparmio di spesa;
il trasferimento della direzione generale dell'esecuzione penale esterna dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria al dipartimento per la giustizia minorile contrasta con la vigente normativa che vuole l'esecuzione penale interna ed esterna come sistema unitario; in particolare tale ipotesi contrasta:
a) con quanto previsto dall'articolo 30 della legge n. 395 del 1990 che, nell'istituire il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria stabilisce che il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria «provvede, secondo le direttive e gli ordini del Ministro di grazia e giustizia: a) all'attuazione della politica dell'ordine e della sicurezza degli istituti e servizi penitenziari e del trattamento dei detenuti e degli internati, nonché dei condannati ed internati ammessi a fruire delle misure alternative alla detenzione; b) al coordinamento tecnico-operativo e alla direzione e amministrazione del personale penitenziario, nonché al coordinamento tecnico-operativo del predetto personale e dei collaboratori esterni all'Amministrazione;
b) con il decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 44 (articoli 2 e segg.) che attribuisce, ai provveditorati specifiche competenze in materia di gestione, di formazione e aggiornamento del personale di servizio sociale, di rapporti con gli enti locali, le regioni ed il servizio sanitario nazionale, nonché di misure alternative alla detenzione e di gestione contabile e finanziaria dei servizi sociali dipendenti;
c) con l'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica, 30 giugno 2000, n. 230, che prevede, inoltre, che alla direzione degli istituti penitenziari e dei centri di servizio sociale (oggi U.E.P.E. ex articolo 72 della legge n. 354 del 1975 per come sostituito dall'articolo 3, comma 1, lettera b) della legge 27 luglio 2005, n. 154) è preposto personale dei rispettivi ruoli dell'amministrazione penitenziaria e che il direttore dell'istituto e quello del centro di servizio sociale (U.E.P.E.) rispondono dell'esercizio delle loro attribuzioni al provveditore regionale e al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria;
d) con l'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230 che, al fine di garantire l'integrazione ed il coordinamento degli interventi di tutti gli operatori, dispone: 1) che gli istituti penitenziari e i centri di servizio sociali dislocati in ciascun ambito regionale, costituiscono un complesso operativo unitario, i cui programmi sono organizzati e svolti con riferimento alle risorse della comunità locale; 2) che i direttori degli istituti e dei centri di servizio sociale indicono apposite e periodiche conferenze di servizio;
l'ipotesi di riordino prevede, inoltre, che gli UEPE siano sottratti alla competenza dei PRAP per essere assegnati ai centri per la giustizia minorile, creando uno scollamento tra esecuzione penale interna ed esterna per gli adulti, mentre è notorio che esiste, e deve esistere, un rapporto sinergico e costante tra l'attività di osservazione intramuraria e quella extramuraria, ed una dicotomia a livello periferico che si tradurrebbe in una incomunicabilità ed in una perdita di efficienza del sistema dell'esecuzione nel suo complesso;
infine, si deve evidenziare che la soluzione proposta, secondo cui il dipartimento della giustizia minorile dovrebbe mantenere la gestione del proprio personale, aggiungendo «la gestione del personale dei servizi sociali adulti, la cui competenza verrà ceduta dalla Direzione generale del personale e della formazione del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria», non è affatto praticabile;
la nuova proposta di organizzazione, infatti, dimentica che gli U.E.P.E. sono diretti da dirigenti di diritto pubblico, cioè da personale della carriera dirigenziale penitenziaria, di cui al decreto legislativo 63 del 2006, del ruolo di esecuzione penale esterna. Questo personale, però, è di diritto pubblico, inserito nell'ambito della stessa carriera dei dirigenti penitenziari del ruolo di istituto penitenziario; ruoli, che si unificano a livello del ruolo di dirigente penitenziario generale. Si tratta, cioè, di ruoli che appartengono ad una carriera unitaria incardinata nel dipartimento dell'amministrazione penitenziaria;
diversamente, il personale minorile e gli stessi direttori dei centri per la giustizia minorile sono dirigenti di Area 1, cioè dirigenti di diritto privato, ex decreto legislativo n. 165 del 2001; ne conseguirebbe, quindi, non solo una gestione promiscua del personale, ma anche una discutibile dipendenza dei dirigenti penitenziari di esecuzione penale esterna da dirigenti di seconda fascia di altra carriera e con altro ordinamento giuridico;
peraltro la proposta di passaggio del personale al dipartimento della giustizia minorile è assolutamente contraddittoria anche rispetto ad altri provvedimenti adottati dal Governo, quali la recente introduzione all'articolo 3 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146, convertito dalla legge n.10 del 21 febbraio 2014, n. 10, del comma 1-bis che recita: «In attesa dell'espletamento dei concorsi pubblici finalizzati alla copertura dei posti vacanti nell'organico del ruolo dei dirigenti dell'esecuzione penale esterna, per un periodo di tre anni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, in deroga a quanto previsto dagli articoli 3 e 4 del decreto legislativo 15 febbraio 2006, n. 63, le funzioni di dirigente dell'esecuzione penale esterna possono essere svolte dai funzionari inseriti nel ruolo dei dirigenti di istituto penitenziario»;
la logica dei numeri, cioè dei carichi di lavoro vorrebbe, semmai che fosse il dipartimento della giustizia minorile ad essere assorbito dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, perché, a fronte dei suoi costi, la sua ridotta mole di lavoro ben potrebbe essere gestita all'interno delle competenti direzioni generali dello stesso dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, (la direzione generale dei detenuti e del trattamento e la direzione generale dell'esecuzione penale esterna) attraverso la creazione di due uffici specifici di livello dirigenziale non generale dedicati, rispettivamente, all'esecuzione penale interna e a quella esterna per i minori, così come era già in passato, prima della creazione del dipartimento della giustizia minorile. Ciò sarebbe non solo più funzionale, ma determinerebbe, pure, un'effettiva e consistente riduzione della spesa pubblica;
in conclusione sul punto occorre rilevare che alla luce delle vigenti disposizioni normative di rango primario sopra citate e in assenza di un qualunque riassetto normativo di pari livello non pare possibile né è coerente al sistema dell'esecuzione penale, complessivamente considerato, il trasferimento dell'esecuzione penale esterna dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria al dipartimento della giustizia minorile;
il nuovo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri prevede ben due tagli di dirigenti penitenziari non generali (n. 39, ex decreto-legge 138 del 2011 e n. 8, ex decreto-legge 95 del 2013) per un totale di ben 47 posti di funzione, che vanno ad aggiungersi alle riduzioni precedenti (n. 68 e ex decreto-legge 112 del 2008 e n. 38 e ex decreto-legge 194 del 2009) di ben n. 106 posti. Complessivamente, tali riduzioni porterebbero la dotazione organica dei dirigenti penitenziari non generali da una situazione iniziale, prevista dal decreto legislativo n. 63 del 2006, di n. 539 dirigenti (476 del ruolo di istituto penitenziario e 63 del ruolo di esecuzione penale esterna), a solamente n. 334 dirigenti (300 del ruolo di istituto penitenziario e 34 del ruolo di esecuzione penale esterna), con la cancellazione di complessivi 205 posti; i dirigenti del ruolo di istituto penitenziario passano a soli 300 (poiché dall'indicazione finale del numero dei dirigenti non generali di carriera penitenziaria DAP sono stati scomputati i 34 dirigenti UEPE di carriera penitenziaria traslati al DGMC perché rientrerebbero nella direzione generale dell'esecuzione penale esterna);
la riduzione ulteriore dei dirigenti penitenziari finirebbe con il privare ulteriormente molte carceri del loro direttore in sede, situazione questa gravissima perché il direttore è il primo garante dei principi di legalità nell'esecuzione penale, essendo armonizzatore delle esigenze di sicurezza e di quelle trattamentali, in quanto responsabile dell'ordine e della sicurezza penitenziaria ma anche del trattamento rieducativo dei detenuti. A ciò si aggiunga che gli UEPE assorbirebbero le competenze degli attuali uffici minorili che si occupano delle misure alternative relative ai minori, atteso che il nuovo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri prevede l'accorpamento degli uffici territoriali, con conseguenti macro aree di competenza;
una riduzione della dirigenza penitenziaria e del personale penitenziario, inoltre, sarebbe contraddittoria rispetto tanto alle misure che Governo e Parlamento hanno già adottato quanto alle misure che stanno approntando;
in altri termini, una spending review dei dirigenti penitenziari e del restante personale penitenziario non solo contrasterebbe con gli obbiettivi di politica penitenziaria delineati dal Governo ma inficerebbe anche la tenuta del sistema, poiché un ulteriore depauperamento delle risorse umane inciderebbe negativamente sul perseguimento dei fini istituzionali, di sicurezza e di trattamento rieducativo, che sono demandati all'amministrazione penitenziaria, alterando i delicati equilibri del complesso sistema penitenziario e indebolendo significativamente il generale sistema della sicurezza dello Stato, a discapito dei cittadini;
il numero dei detenuti nelle carceri rimane ancora altissimo rispetto al personale penitenziario in organico –:
se il Governo, alla luce di quanto illustrato in premessa, in particolare della pacifica appartenenza al comparto sicurezza del personale della carriera dirigenziale penitenziaria di cui al decreto legislativo 15 febbraio 2006, n. 63, anche alla stregua del trattamento giuridico ed economico applicato nonché dei compiti, ruoli e funzioni la cui natura è propria di quelli del menzionato comparto non ritenga:
a) di rivedere l'ipotesi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e di applicare al predetto personale della carriera dirigenziale penitenziaria l'esclusione dalla riduzione delle dotazioni organiche, ai sensi dell'articolo 2, comma 7, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 ed in tal senso di applicare al medesimo personale della carriera dirigenziale penitenziaria anche la deroga già prevista per le forze di polizia dall'articolo 1, comma 5, decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138, convertito della legge 14 settembre n. 148;
b) di mantenere l'esecuzione penale esterna, per coerenza al vigente assetto normativo complessivo che vuole l'esecuzione penale interna ed esterna come un sistema unitario e sinergico, all'interno del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria;
c) di rassicurare l'interrogante ed il Paese sull'assenza di qualunque volontà del Governo di promuovere riforme, per la collocazione in un ruolo ad esaurimento del personale della carriera dirigenziale penitenziaria di cui al decreto legislativo n. 63 del 2006 e per l'attribuzione degli incarichi di direzione delle carceri a personale reclutato tra i commissari di polizia;
d) di prevedere giusti riconoscimenti giuridici ed economici per il personale della carriera dirigenziale penitenziaria nonché una sua valorizzazione professionale da perseguire, tanto eliminando la mortificazione di una continua sottrazione di posti di funzione (che, ai sensi del decreto legislativo n. 63 del 2006, gli competerebbero) in favore di esterni all'amministrazione (siano essi magistrati o dirigenti), quanto favorendo l'implementazione dei ruoli ed il necessario rinnovamento. (4-06679)
INFRASTRUTTURE E TRASPORTI
Interrogazione a risposta scritta:
CIRIELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
perplessità e dubbi suscita l'elevato numero di contravvenzioni per eccesso di velocità comminate ad automobilisti e motociclisti in transito sulla strada statale 45 che collega la città di Genova all'entroterra in direzione Piacenza;
numerose sono, infatti, le contestazioni degli automobilisti, in gran parte lavoratori pendolari, secondo cui la stragrande maggioranza delle sanzioni sarebbe ascrivibile alla scorretta disposizione della segnaletica stradale tale da indurre in errore i conducenti;
in particolare, la segnaletica spesso farebbe terminare un limite di velocità instaurandone un altro, non immediatamente seguito da un secondo cartello indicante il nuovo limite;
come denunciato da un giornalista in un suo esposto alla procura della Repubblica di Genova «ne è un esempio quanto accade nell'area di competenza del comune di Bargagli, direzione Piacenza, dove sono presenti due cartelli che indicano la fine del tratto a 50 Km/h. Dal momento che sulla strada statale 45 i limiti sembra che non seguano la logica presente su tutte le altre strade della regione (50 Km/h nei centri abitati e 70 km/h fuori dai centri abitati), l'automobilista è indotto in errore se, dopo quel cartello, si trova, per esempio, in un rettilineo senza abitazioni o nessun'altra costruzione che possa giustificare il mantenimento dei 50 Km/h»;
le medesime irregolarità si riscontrerebbero anche in direzione opposta, verso Genova: scendendo da Torriglia, a partire dal tratto di competenza di Davagna per poi passare a Bargagli, in diverse curve sarebbe segnato un limite massimo di 30 Km/h non apparendo, però, nessun altro cartello che indichi quando questo limite non è più valido;
sulla stessa strada apparirebbero altresì cartelli che avvertono della presenza di controllo elettronico della velocità senza, però, mai indicare quale sia il limite massimo da rispettare;
le multe fioccherebbero con una tale intensità che le stesse amministrazioni comunali, il cui territorio si affaccia sulla strada statale 45, anche per mancanza di personale, avrebbero affidato, addirittura a una società esterna, la Sarida srl di Sestri Levante, il compito di gestire tutte le pratiche e riscuotere i relativi importi;
se confermata, la collocazione della segnaletica stradale con carenze e «distrazioni», che non rende chiaro per l'automobilista il limite di velocità da rispettare, avrebbe portato in questi anni a indebiti arricchimenti per le casse comunali;
pur condividendo la necessità di garantire la sicurezza del traffico stradale, il rispetto dei limiti di velocità e delle norme del codice della strada, al fine di combattere l'odioso fenomeno delle morti sulle strade, troppo spesso frutto della disattenzione o negligenza degli automobilisti, non si possono tollerare «trappole elettroniche» che colpiscono indiscriminatamente i cittadini al volante –:
se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative ritenga opportuno adottare per accertare eventuali irregolarità nel posizionamento della segnaletica stradale nei citati tratti della strada statale 45 dai quali deriverebbero indebiti introiti ai comuni interessati. (4-06661)
INTERNO
Interrogazione a risposta in Commissione:
RICCIATTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
il signor Ivan Angelo Pegan è un cittadino italiano che si presume essere scomparso in territorio albanese. La famiglia, dal momento della scomparsa del congiunto, che risale al giugno 2013, ha seguito l’iter ordinario per la segnalazione della scomparsa, partendo dalla denuncia presso la stazione dei carabinieri del comune di Fano (Pesaro-Urbino), ultimo comune di residenza del signor Pegan, interessando sul caso, successivamente, la procura della Repubblica di Pesaro, sino al commissario straordinario del Governo per le persone scomparse;
il signor Pegan è nato a Milano il 29 ottobre 1970, e risulta essere residente a Fano (Pesaro-Urbino), in via Fanella 192/f. Al momento della sua partenza verso l'Albania aveva con sé i seguenti documenti: carta d'identità n. AT0440175, con scadenza 29 ottobre 2022 e patente di guida italiana n. PS5000292P, con scadenza al 16 agosto 2015;
la procura della Repubblica di Pesaro ha aperto un fascicolo sulla scomparsa del signor Pegan, rubricato al numero 321/2013 mod. 45 (registro degli atti non costituenti notizia di reato);
la famiglia ha attivato una serie di contatti informali in Albania, con diverse istituzioni, tra le quali l'Ambasciata italiana a Tirana, il ministero degli esteri albanese, il Ministro dell'interno e la polizia albanese, riuscendo ad ottenere una serie di informazioni, pur non esaustive;
una serie di evidenze lasciano supporre, con ampio margine di verosimiglianza, che il signor Pegan avesse previsto di trascorrere soltanto pochi giorni in Albania. A corroborare tale ipotesi, innanzitutto il fatto che avesse acquistato in anticipo il biglietto di ritorno, ma anche la circostanza di aver affidato il suo animale domestico ad una pensione per soli dieci giorni; il fatto di aver, poco prima della partenza, stipulato un contratto di locazione per un nuovo appartamento, di aver informato la sua famiglia, amici e vicini di casa che la sua assenza non si sarebbe protratta per più di dieci giorni, oltre ad aver lasciato la sua automobile in un parcheggio a pagamento nei pressi del porto di Ancona (porto di partenza per l'Albania);
non vi sono dubbi circa la presenza del signor Pegan in Albania. Oltre che per la testimonianza della signora Ajazi, anche per le tracce di una serie prelievi bancari in valuta albanese, effettuati dal bancomat del signor Pegan a Durazzo i giorni successivi all'arrivo, sino al giorno 22 giugno 2013. Dopo quella data non è stato più effettuato alcun prelievo dal suo conto corrente;
dopo 13 mesi dalla scomparsa, dietro continue pressioni della famiglia (che nel frattempo ha svolto numerose attività investigative autonome, incaricando anche un legale e segnalando la scomparsa alla trasmissione televisiva «Chi l'ha visto»), la polizia albanese ha comunicato con nota prot. n. 2355/1 del 2 luglio 2014, che a quanto risulta al loro ufficio il rientro in Italia del signor Pegan sarebbe avvenuto il 23 giugno 2013 da Durazzo a Bari, con il traghetto delle ore 21.05 della compagnia Agency Duni, indicando il numero di carta d'identità dello stesso (n. AT0440175). La comunicazione è pervenuta alla famiglia per il tramite del Ministero degli esteri albanese e l'Ambasciata italiana a Tirana;
tuttavia sussistono diversi dubbi circa l'effettivo rientro del signor Pegan in Italia;
a sollevare ulteriori perplessità vi è la circostanza che lo stesso avrebbe, inspiegabilmente, acquistato un nuovo biglietto per rientrare in Italia al porto di Bari, il giorno 23 giugno 2013, quando era già in possesso di un biglietto per Ancona per la stessa data;
in data 10 aprile 2014 la signora Barbara Pegan, sorella della persona scomparsa, si è recata personalmente in Albania, dove ha sporto denuncia presso il distretto direzione di polizia di Tirana, «Settore gravi reati contro la vita e la proprietà», del quale si riportano gli estremi: Numero unico registrato TRDP141795. Denuncia raccolta dall'ufficiale di polizia giudiziaria Indrit Doda –:
se il Governo sia a conoscenza dei fatti illustrati in premessa;
quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato, anche alla luce dei trattati di cooperazione tra le polizie italiana e albanese, per ottenere informazioni sul cittadino italiano scomparso Ivan Angelo Pegan;
se la Polizia di Stato italiana e il commissario straordinario del Governo per le persone scomparse abbiano svolto attività di indagine in Italia sulla scomparsa del signor Pegan;
se sul caso vi sia stata attività di indagine dell'Interpol;
quali canali diplomatici intenda attivare il Ministro interrogato per ottenere informazioni sul nostro connazionale.
(5-03922)
Interrogazioni a risposta scritta:
MOLTENI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
la distribuzione degli immigrati extracomunitari raccolti dalle navi della Marina militare continua ad essere alla base di gravi problemi nei territori d'accoglienza, che li ricevono al di fuori di una programmazione che tenga conto delle strutture effettivamente disponibili;
non pochi degli immigrati extracomunitari che giungono nel nostro Paese provengono da contesti ambientali caratterizzati dalla presenza di gravi malattie, incluse patologie letali ad andamento epidemico;
al momento, risulta che la prassi seguita nei confronti dei nuovi arrivati preveda un primo controllo sanitario all'atto dello sbarco ed uno successivo da parte dell'articolazione del servizio sanitario nazionale competente territorialmente;
apparentemente, i controlli si concentrano attualmente soprattutto sulla prevenzione della tubercolosi;
il comune di Rodero, in Provincia di Como, si è visto recentemente assegnare dieci immigrati, provenienti da Senegal e Ghana, che sarebbero stati sottoposti ad una prima visita sull'isola di Lampedusa, tra il 16 ed il 22 settembre;
una seconda visita avrebbe avuto luogo nel centro Cardinal Ferraris, al quale i dieci immigrati sono stati assegnati sotto la responsabilità della Caritas diocesana di Como, ed una ulteriore negli ambulatori del comune di Fino Mornasco;
non è dato sapere se, oltre ai test concernenti la tubercolosi, ne siano stati condotti altri per accertare la sussistenza di altre infezioni in generale (tramite il test dell'emocromo e la rilevazione dei marcatori del fegato) ed esami specificamente diretti a verificare la sussistenza di alcune malattie particolari, come il test Mantù e quelli per la ricerca dell'Hiv e della scabbia;
in conseguenza dell'esplosione in Africa occidentale di una grave epidemia di Ebola, l'allarme della cittadinanza è comprensibilmente più elevato e rassicurazioni sono quindi opportune –:
a quanti e quali controlli sanitari siano sottoposti gli immigrati extracomunitari raccolti in mare dalle navi della Marina militare e quali siano i risultati complessivi dello screening condotto.
(4-06669)
LAVAGNO e PILOZZI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
Acciai Speciali Terni spa, nota anche come AST, è una società italiana operante nel settore della metallurgia, siderurgia e informatica. È stata fondata il 10 marzo 1884 con il nome di Società degli Alti Forni, Fonderie e Acciaierie di Terni. Dal 2014 l'AST è controllata della ThyssenKrupp AG;
con base a Terni e attraverso società controllate e partecipate in Italia e all'estero, l'azienda è specializzata nella lavorazione e distribuzione di acciai (inox, basso legati e al carbonio) destinati principalmente ai settori alimentari, edili, casalinghi, elettrodomestici, energetici e all'industrie di base, siderurgiche e meccaniche;
l'Acciai Speciali Terni, ad oggi, si qualifica come gruppo industriale leader per l'impiantistica moderna e sofisticata, per le innovazioni tecnologiche e produttive e per la qualità dei propri processi e prodotti, classificandosi come uno dei maggiori poli siderurgici mondiali;
durante la giornata di mercoledì 29 ottobre, ci sono stati momenti di tensione e scontri a Roma tra la polizia e le centinaia di operai dell'Acciaieria di Terni che manifestavano contro il piano industriale di ThyssenKrupp. I dimostranti hanno denunciato di essere stati manganellati dalle forze dell'ordine e quattro operai sono stati soccorsi, due dei quali risultano in ospedale con ferite alla testa;
i manifestanti erano diretti al Ministero dello sviluppo economico, quando all'altezza di piazza Indipendenza sono stati bloccati dagli agenti della polizia in tenuta antisommossa. I manifestanti, che si stavano muovendo dal presidio sotto all'ambasciata tedesca sono stati respinti della polizia;
la questura di Roma fa sapere che gli operai volevano andare verso la stazione Termini e occupare lo scalo romano, forzando il cordone delle forze di polizia e per questo motivo c’è stata una carica di contenimento. Tale informazione viene smentita dai manifestanti e dai rappresentanti sindacali;
il Ministro dello sviluppo economico Federica Guidi, alla Camera ha dichiarato di essere «dispiaciuta e rammaricata sugli scontri di oggi con operai Ast. Il Governo ha garantito che entro questa sera verranno fatte tutte le verifiche ed è pronto a prendere anche eventuali misure. Esprimo l'auspicio che sia un caso unico, irripetibile. Episodi del genere non devono capitare» –:
se il Ministro intenda fornire chiarimenti circa le motivazioni che hanno portato le forze di polizia a mutare così radicalmente il proprio atteggiamento nei confronti dei manifestanti rispetto ad analoghi casi verificatisi precedentemente e di approfondire nei dettagli la conoscenza degli avvenimenti e come intenda garantire il diritto a manifestare evitando che simili fatti si ripetano. (4-06672)
NACCARATO, MOGNATO, SBROLLINI, RUBINATO, CRIVELLARI, CASELLATO, D'ARIENZO e DE MENECH. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
nelle scorse settimane il sindacato italiano dei lavoratori di polizia (Silp – Cgil) del Veneto ha condotto un'importante ricerca sullo stato delle dotazioni e dell'organico della polizia di Stato nella regione Veneto producendo un dossier di sicuro interesse per comprendere lo stato della sicurezza e della tutela dell'ordine pubblico;
negli ultimi dieci anni la popolazione del Veneto è cresciuta di mezzo milione di unità attestandosi a poco meno di 5 milioni di individui, distribuiti in 579 comuni di cui 7 capoluoghi di provincia e 18 centri con popolazione superiore ai 25.000 abitanti;
dal 2006 al 2013, su scala nazionale, il personale della polizia di Stato è passato da 103.000 unità a 95.000 con una contrazione dell'8 per cento causata dal blocco del turn-over che riduce progressivamente gli organici di tutte le sedi territoriali e che lascerebbe intravedere la necessità di concentrare i presidi nei centri maggiori lasciando scoperte le periferie;
nella regione Veneto lavorano circa 5300 dipendenti della polizia di Stato suddivisi, in base alle differenti peculiarità provinciali;
per quanto attiene al personale in servizio presso le questure a Venezia sono presenti 850 dipendenti, a Verona 430, a Padova 400, a Vicenza 330, a Treviso 280, a Rovigo 225 e a Belluno 170;
vi sono poi i commissariati di Chioggia, Jesolo, Portogruaro, Bassano del Grappa, Conegliano, Adria, Porto Tolle e Cortina D'Ampezzo, oltre a diversi altri uffici e alla polizia postale e delle telecomunicazioni, alla polizia ferroviaria e alla stradale che sono presenti in ognuna delle sedi provinciali;
Padova per la sua posizione centrale e strategica annovera il maggior numero di strutture logistiche e di supporto: hanno sede a Padova il reparto mobile (400 unità), il reparto prevenzione crimine (100), il gabinetto interregionale polizia scientifica (85), la zona telecomunicazioni, il servizio tecnico logistico e patrimoniale e la direzione investigativa antimafia;
a Venezia ha sede il reparto volo (60 unità), mentre la provincia di Verona è l'unica ad ospitare un istituto di istruzione in regione, con la scuola agenti di Peschiera del Garda (72);
Venezia, con il porto e l'aeroporto (180), Verona (83) e Treviso (50) con i rispettivi aeroporti, sono sede anche di uffici di polizia di frontiera;
il dato complessivo restituisce una fotografia composita della polizia di Stato nelle sette province della regione nella quale accanto ad uffici a vocazione prettamente burocratica (servizio tecnico logistico e patrimoniale), fondamentali e strumentali all'efficienza complessiva, ve ne sono altri, come il reparto mobile e reparto prevenzione crimine, che per vocazione sono destinati ad impieghi in molteplici località, sia in regione che fuori, con personale inviato in missione;
in totale rispetto alle sette province sono impiegati 265 agenti a Belluno, 1.600 a Padova, 330 a Rovigo, 480 a Treviso, 1360 a Venezia, 810 a Verona e 455 a Vicenza;
questo dato non può non generare forti preoccupazioni se si pensa che è parametrato alle piante organiche stabilite dal Ministero dell'interno nel 1989, ormai venticinque anni fa;
in questo lasso di tempo sono mutate le condizioni socio economiche del nostro Paese e dell'Europa, sono incredibilmente aumentati i flussi migratori, commerciali, turistici e anche i dati statistici sui crimini commessi in Italia come nella regione Veneto sono completamente diversi;
per affrontare in maniera razionale l'aumento dell'età media del personale, con l'ultimo accordo nazionale sul contratto di lavoro del personale della polizia di Stato, sono state introdotte misure volte ad assicurare tutele crescenti al personale più anziano, prevedendo l'esonero, su base volontaria, dai servizi esterni serali e notturni al personale con 30 anni di servizio o 50 di età;
questa necessaria previsione sta dimostrando tutti i limiti derivanti dall'ulteriore contrazione numerica del personale, che determina un deficit significativo di organico in servizio presso i diversi capoluoghi provinciali stimato in 35 unità a Belluno, circa 50 a Rovigo, almeno 4 a Vicenza, mentre a Treviso e a Venezia l'organico appare seriamente sottodimensionato rispetto alle necessità di un'accresciuta immigrazione e di una divisione anticrimine dimezzata nel primo caso e nel secondo caso di croniche sofferenze di personale nei commissariati di Jesolo e Portogruaro tali da compromettere gli stessi servizi ordinari alla cittadinanza;
in queste circostanze non stupisce l'allarme del Silp circa l'impossibilità di ottemperare compiutamente ai servizi di aggiornamento e addestramento dello stesso personale che in alcuni casi non superano il 60 per cento delle giornate annue previste per tali attività mentre in alcune specifiche situazioni addirittura si sono fermate al 20 per cento;
insieme a questi dati deve essere analizzata la situazione degli immobili e degli uffici della polizia di Stato che soffre da anni condizioni di forte diseguaglianza;
a Belluno da oltre 10 anni si attende di trasferire la questura nella caserma Fantuzzi tuttora in condizioni fatiscenti;
a Padova la sede della questura si trova in zona a traffico limitato ed è inadeguata a rispondere alle, esigenze degli uffici e dell'utenza;
sempre a Padova anche il gabinetto interregionale di polizia scientifica è ospitato in due diversi stabili, pur in presenza della possibilità di riunire in una unica struttura l'ufficio, trasferendolo in una ex caserma nelle vicinanze della questura, ma l'operazione non viene autorizzata;
la questura di Rovigo è ancora collocata all'interno dello stabile di via Donatoni, vetusto e inadeguato, nel quale ha sede anche la sezione della polizia stradale, con quotidiani problemi di funzionalità;
Treviso, al contrario, dispone della questura di più recente realizzazione, inaugurata a febbraio 2011, in uno stabile di sette piani sorto in un contesto direzionale, forse interessante sul piano urbanistico, ma certamente del tutto inadeguato alle reali necessità dell'ufficio, dell'utenza e del personale chiamato ad operarvi per la mancanza di un'adeguata superficie scoperta da dedicare alle reali esigenze operative;
il capoluogo regionale presenta la situazione più grave e compromessa sotto il profilo della logistica, poiché nessuna delle sedi della questura e dei sei commissariati, tre cittadini (Mestre, Marghera e San Marco), e tre in provincia (Chioggia, Jesolo e Portogruaro), può ritenersi esente da anche gravi situazioni che riguardano le condizioni degli stabili, gli impianti, la loro manutenzione;
è più rassicurante la situazione di Verona che dispone di una questura di recente costruzione situata in Lungadige Galtarossa, comoda alle vie di comunicazione e prossima al centro cittadino, dove trova sede anche la sezione della polizia stradale, con non trascurabili economie per quanto riguarda i costi, umani, tecnologici ed economici, per assicurare la vigilanza, la manutenzione degli impianti, i consumi di riscaldamento, le spese per le pulizie;
la questura di Vicenza è stata costruita nel 1987 in viale Mazzini, è in buone condizioni d'utilizzo e di manutenzione, pur presentando qualche carenza in termini di spazio a causa delle accresciute esigenze;
è in buone condizioni anche la sede della polizia postale e delle comunicazioni che possono contare su ambienti e impianti adeguati alle esigenze e alla normativa, mentre il commissariato di Bassano del Grappa, che occupa un piano di un complesso condominiale, presenta una situazione gravemente compromessa sotto il profilo del rispetto della normativa sulla sicurezza e delle accresciute esigenze burocratiche e operative;
il controllo del territorio è garantito dall'utilizzo dei veicoli assegnati alla polizia rispetto ai quali si segnalano crescenti difficoltà gestionali e gravi carenze strutturali e di risorse che interessano gli uffici di tutte le forze di polizia;
dal rapporto presentato dal Silp Veneto sembrerebbe che, dei dodici veicoli in uso alle volanti della questura di Belluno, solamente cinque siano funzionanti;
presso la questura di Padova il numero di auto in esercizio per il servizio di volante risulterebbe sottodimensionato rispetto alle necessità operative con un utilizzo eccessivo delle auto disponibili e la conseguente più rapida usura delle stesse a fronte di risorse economiche disponibili per le riparazioni che non supererebbero i 5.000 euro al semestre;
a Rovigo i fondi assegnati per la manutenzione ordinaria e straordinaria annuale del parco auto non raggiungerebbero i 2.000 euro, cioè la metà di quanto assegnato nel 2012;
i fondi per il solo carburante per le imbarcazioni della squadra nautica di Porto Tolle sembrano fermarsi a 1.000 euro per tutto il 2014 e le eventuali riparazioni, oltre alla manutenzione ordinaria dovrebbero essere autorizzati preventivamente;
a Treviso, su un parco auto provinciale di circa 70 vetture, distribuite tra questura e specialità, ben 16 sembrano inutilizzabili e la polizia stradale da tempo non dispone di alcuna moto da impiegare nel servizio stradale;
anche in provincia di Venezia il parco veicolare soffre analoghe condizioni per età e usura dei mezzi a disposizione;
a Verona si evidenzia una scarsità di auto per il servizio di volante, oltre ad una generale situazione critica per la polizia stradale;
il Ministero dell'interno ha formulato nel febbraio 2014 un progetto di riorganizzazione territoriale che prevede, in Italia, la chiusura di 261 uffici, 73 sezioni di polizia postale e delle comunicazioni su 101, la chiusura di posti fissi Polfer e distaccamenti della stradale, oltre ad una decina di commissariati distaccati;
secondo l'ultima versione di tale progetto ministeriale, in Veneto sono destinati alla chiusura 16 uffici –:
se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopraesposti;
se il Ministro intenda assumere decisioni in merito alla riorganizzazione dei diversi Corpi delle forze dell'ordine per generare economie in grado di rispondere alle carenze strutturali di cui sopra;
quali iniziative intenda adottare per garantire il controllo del territorio e la sicurezza dei cittadini tutelando il prezioso lavoro che quotidianamente viene prestato dai lavoratori delle forze dell'ordine nelle difficili condizioni appena descritte. (4-06676)
PIAZZONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
nella giornata di domenica 12 ottobre 2014 il movimento politico di estrema destra Forza Nuova ha inaugurato una nuova sede nella città di Albano Laziale;
l'inaugurazione della nuova sede, originariamente prevista per il giorno precedente, in concomitanza con il primo anniversario della morte di Erich Priebke, il «boia delle fosse ardeatine», ha destato una serie di polemiche e perplessità, principalmente riguardo alla gestione dell'ordine pubblico;
occorre considerare come la popolazione e la città di Albano Laziale, medaglia d'argento al valore della sistema, sia stata già oggetto di un gravissimo sfregio alla memoria. Risale al 15 ottobre 2014 infatti la celebrazione nella città — su ordine del prefetto di Roma — delle esequie di Erich Priebke, contro la volontà all'amministrazione comunale e dei cittadini. In quell'occasione il prefetto di Roma si assunse, a giudizio dell'interrogante, una grave responsabilità, tanto è vero che l'occasione si trasformò in un appuntamento per nostalgici neonazisti con conseguenti, prevedibilissime, problematiche di ordine pubblico, data la forte reazione contraria della cittadinanza;
a un anno di distanza da tali incresciosi avvenimenti l'amministrazione comunale ha ancora una volta messo in campo tutte le iniziative possibili per evitare che l'inaugurazione della sede di Forza Nuova, come detto originariamente prevista per il giorno 11 ottobre, l'anniversario della morte di Erich Priebke, divenisse l'ennesimo raduno di nostalgici del nazismo e del fascismo, con le conseguenti problematiche di ordine pubblico che sarebbero scaturite dalla pronta e annunciata reazione contraria della cittadinanza. L'intervento della questura di Roma, sollecitata dall'amministrazione comunale, ha determinato lo spostamento della manifestazione, autorizzando la stessa per la giornata successiva. Il sindaco, nell'esercizio delle sue prerogative, vietava con apposita ordinanza (protocollo n. 42286) qualsiasi occupazione di suolo pubblico nelle giornate di sabato e domenica;
nonostante ciò l'inaugurazione della sede del movimento politico Forza Nuova avveniva in chiara violazione dell'ordinanza in questione, occupando la sede stradale, come immortalato da numerosi scatti apparsi su testate giornalistiche locali e ancora oggi facilmente reperibili sulle edizioni on line;
quanto descritto rappresenta l'ennesima provocazione ad opera del partito di estrema destra più volte citato ai danni della cittadinanza di Albano Laziale, considerando anche come comportamenti del genere abbiano ripercussioni evidenti sull'ordine pubblico e sulla sicurezza dei cittadini –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti citati in premessa e se la manifestazione in questione si sia svolta nel rispetto delle prescrizioni a tutela dell'ordine pubblico. (4-06681)
SCOTTO, FERRARA, AIRAUDO, PLACIDO e RICCIATTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
la mattina del 29 ottobre 2014, a Roma, un reparto mobile della Polizia di Stato interveniva con gli sfollagente senza motivo contro alcune centinaia di lavoratori dell'AST di Terni che stavano facendo un corteo assolutamente pacifico verso il Ministero dello sviluppo economico;
il corteo è stato interrotto violentemente dall'intervento degli operatori di polizia in piazza Indipendenza, mentre come riferito dal segretario nazionale Fim-Cisl Marco Bentivogli, presente alla manifestazione, non c'era nessun problema di ordine pubblico;
ci sono stati feriti e contusi, tra i dirigenti nazionali della FIOM e tra i rappresentanti sindacali dei lavoratori di Terni, alcuni dei quali si sono dovuti fare medicare in ospedale. Lo stesso segretario generale della Fiom, Landini, è stato colpito;
la manifestazione era stata indetta dalle organizzazioni sindacali per protestare contro la decisione della ThyssenKrupp di licenziare 537 dipendenti dell'acciaieria. I lavoratori della Acciai Speciali di Terni hanno prima manifestato davanti all'ambasciata della Repubblica Federale di Germania a Roma per contestare il piano industriale per lo stabilimento ThyssenKrupp di Terni, decidendo in seguito di spostare la loro protesta sotto la sede del Ministero dello sviluppo economico;
di questi fatti nel pomeriggio dello stesso 29 ottobre 2014 è stata fornita in forma ufficiale e pubblica dalla questura di Roma una versione degli avvenimenti assolutamente falsa: l'intervento della polizia si giustificherebbe in quanto i manifestanti intendevano occupare i binari della stazione Termini;
versione smentita sia dai rappresentanti sindacali, dai giornalisti e dai parlamentari presenti in loco. Inoltre è stata la stessa questura a diffondere un video nel quale appare chiaramente e senza ombra di dubbio che i manifestanti si stavano dirigendo nella direzione opposta rispetto a quello della stazione Termini –:
chi nell'ambito della questura di Roma, si è assunto la responsabilità di diffondere di tali dichiarazioni che si sono rivelate false ed ha dato una rappresentazione di quanto è accaduto non corrispondente al vero;
chi nell'ambito della questura di Roma abbia coordinato le operazioni di ordine pubblico sia in piazza Indipendenza che dalla sala operativa e/o Gabinetto del questore;
quali provvedimenti urgenti, disciplinari ed amministrativi, intenda assumere il Ministro nei confronti dei responsabili di quanto è accaduto il 29 ottobre 2014 e del tentativo di diffondere una versione dei fatti non corrispondente al vero, affinché simili episodi non abbiamo più a ripetersi. (4-06683)
ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA
Interrogazione a risposta in Commissione:
NESCI, D'UVA e VILLAROSA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
nel mese di settembre 2014 è stato modificato in prima applicazione lo statuto dell'università degli studi di Messina che, per quanto riassunto dal portale web di Il Giornale di Sicilia, prevede la riduzione del peso rappresentativo degli studenti e l'estensione del diritto di voto per l'elezione del rettore e dei direttori di dipartimento a tutti gli iscritti, tra cui dottorandi, assegnisti e specializzandi;
a seguito della modifica statuaria tale voto verrà conteggiato nella misura del 30 per cento del numero complessivo delle relative rappresentanze in senato accademico, consiglio di amministrazione e nei consigli di dipartimento;
l'opera di revisione, secondo quanto riporta il sito della stessa Università, si è basata su suggerimenti e apporti che la comunità accademica ha fornito negli ultimi otto mesi;
nonostante ciò, le rappresentanze studentesche hanno – come raccontato dalla stampa locale – insistito per il legittimo riconoscimento di una giusta proporzione negli organi elettivi, pur non determinata quantitativamente dalla legge sull'organizzazione delle università, n. 240 del 2010;
in ragione dell'importanza accordata normativamente alla componente studentesca in ordine all'organizzazione degli atenei, appare rivedibile la scelta statutaria di ponderare al 30 per cento del numero complessivo dei rappresentanti degli studenti il voto della categoria per l'elezione del rettore e dei direttori dei dipartimenti;
l'articolo 23 dello statuto dell'università degli studi di Messina prevede un numero minimo di docenti per dipartimento pari a cinquantacinque, stabilendo all'ultima riga che il numero dei dipartimenti sia pari a dodici;
la legge n. 240 del 2010 prevede un numero minimo di docenti per dipartimento ma non un numero massimo di dipartimenti da costituire;
agli interroganti appare, a tale ultimo riguardo, eccessivo predeterminare il numero dei dipartimenti nel momento in cui la richiamata legge dispone soltanto un numero minimo di docenti;
per quanto appena sopra, è possibile che, pur rispettando il numero minimo di cinquantacinque docenti, l'accorpamento dei dipartimenti totalizzi un numero inferiore ai 12 previsti;
a fortiori, se la legge n. 240 del 2010 ne impone un numero minimo, essa non prevede né la determinazione del numero complessivo dei dipartimenti né un numero massimo di docenti afferenti a un singolo dipartimento;
la convergenza dei docenti in un dipartimento, si osserva, risponde a criteri scientifici;
per ultimo, è necessario evidenziare che attraverso il nuovo sistema di votazione aperto a tutti gli iscritti dell'università di Messina, circa 27.000 studenti esprimono poco più di 60 voti totali per l'elezione del rettore, ovvero, con ricorrenza triennale, 5-6.000 studenti esprimono 2-3 voti in media per l'elezione dei direttori di dipartimento;
tale sistema, ad avviso degli interroganti, determinerebbe un aumento dei costi, da assommare a quelli previsti per eleggere in via ordinaria i rappresentanti degli studenti, non proporzionato ai benefici ottenuti da tale estensione –:
se, nell'esercizio del controllo di legittimità: e di merito previsto dall'articolo 6, comma 9, della legge 9 maggio 1989, n. 168, il Ministro intenda formulare una richiesta motivata di riesame dello statuto dell'università di Messina;
se intenda, anche in virtù dei rilievi formulati in premessa, verificare se tali modifiche statutarie garantiscano agli studenti l'effettiva partecipazione al governo dell'ateneo in proporzioni democratiche, così come espressamente previsto dall'ordinamento italiano. (5-03916)
Interrogazioni a risposta scritta:
CIRIELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
si è appreso, da diverse fonti di stampa, che gli esiti dei test di accesso al corso di laurea in medicina e chirurgia svoltosi nel 2014 sono stati, con varie e reiterate decisioni, annullati o sospesi dal TAR del Lazio, in ragione di plurime irregolarità riscontrate;
tra le varie anomalie denunciate dai legali che hanno portato avanti le richieste di oltre 2000 studenti esclusi al test di ammissione, rilevano, in particolare, «Schede anagrafiche raccolte e conservate separatamente rispetto alla busta del MIUR contenente i materiali d'esame; codici alfanumerici (che rendono possibile l'abbinamento al nome) visibili; un imprecisato numero di plichi di concorso sostituiti dalla Commissione per errori di compilazione da parte dei singoli candidati o per difetti dei plichi stessi»;
in ragione di tali accertamenti, è stato riconosciuto il diritto dei ricorrenti ad iscriversi in sovrannumero ovvero, in mancanza, ad ottenere un giusto ristoro economico-monetario;
ad ottenere l'ammissione al corso di laurea in medicina e chirurgia per l'anno 2014/2015 sono stati circa 2500 studenti, ma i ricorsi al test di medicina non sarebbero stati ancora tutti esaminati e, secondo quanto riportato dai quotidiani nazionali, si stima che gli studenti ammessi potrebbero essere addirittura 5 mila;
nonostante l'esito positivo del maxi ricorso amministrativo, entrambe le soluzioni arrecano un gravissimo pregiudizio all'interesse pubblico: il primo, incidendo sulla stessa funzionalità e organizzazione del corso universitario, il secondo, gravando sulle finanze pubbliche;
nella nota inviata ai rettori lo scorso 22 settembre 2014 ed emanata proprio per dare esecuzione alle varie ordinanze cautelati del Tar, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca chiarisce, tra l'altro, che l'immatricolazione di questi candidati rappresenta la «mera esecuzione del giudicato cautelare e che da essa non scaturisce in capo ai candidati alcun effetto definitivo né alcun diritto acquisito, potendo la loro posizione essere sovvertita con le decisioni nel merito dei ricorsi»;
in attesa che il Tar si pronunci anche nel merito del m ricorso, regna un'assoluta e inaccettabile confusione e incertezza sul futuro di tantissimi studenti, che in questi giorni stanno affollando le segreterie per l'iscrizione –:
se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali provvedimenti ritenga opportuno adottare per accertare eventuali responsabilità a carico dei soggetti affidatari della gestione delle prove di esame per l'accesso al corso di laurea in medicina e chirurgia 2014/2015;
quali urgenti soluzioni intenda adottare per tutelare i soggetti ammessi all'immatricolazione per l'anno accademico 2014/2015 e in attesa della pronuncia nel merito del TAR Lazio, al fine di definire le loro posizioni, anche in vista del termine di iscrizione previsto per il prossimo 14 novembre. (4-06663)
SEGONI, MARZANA, D'UVA e VACCA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 22, comma 3, della legge n. 240 del 2010 (cosiddetta legge Gelmini), in tema di assegni di ricerca, impone che «la durata complessiva dei rapporti instaurati ai sensi del presente articolo, compresi gli eventuali rinnovi, non può comunque essere superiore a quattro anni»;
l'impianto della sopracitata legge n. 240 del 2010 prevede, come naturale sbocco per gli assegnisti, i contratti da ricercatore a tempo determinato (RTD);
appare tuttavia evidente che non tutti gli assegnisti in scadenza possono essere assorbiti come ricercatori a tempo determinato (verosimilmente tra i 500 e i 1.000 l'anno), né, in virtù del curriculum formativo maturato in soli 4 anni dal conseguimento del titolo di dottorato, pare verosimilmente possibile ottenere un SIR (a cui concorrono ricercatori con attività fino a 6 anni dal dottorato) o uno starting grant dell'ERC (a cui concorrono ricercatori con attività tra i 2 e gli 8 anni dal dottorato);
in questi giorni si stanno verificando i primi casi (qualche centinaio) di assegnisti in scadenza estromessi di fatto dal mondo della ricerca universitaria, che nell'arco di un biennio diverranno verosimilmente migliaia;
nel 2012, le rilevazioni del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca davano circa 14.000 assegnisti, quindi con assegni attivati nel biennio 2011-2012. Conseguentemente, nel biennio 2015-2016 tutti questi contratti andranno in scadenza e, se si considera l'attuale capacità degli atenei di assorbire tali figure professionali con contratti da ricercatore a tempo determinato, è possibile stimare prudenzialmente che circa il 70 per cento degli assegnisti ogni anno sarà di fatto escluso dal mondo della ricerca, con ridotte possibilità di assorbimento da parte di aziende o enti di ricerca, favorendo di fatto una massiccia fuga all'estero;
quella degli assegnisti è una categoria priva di rappresentanze sindacali, assente in molti atenei dalle sedi dell'amministrazione accademica, priva di garanzie assistenziali (come il diritto all'indennità di disoccupazione), caratterizzata dalla pressoché totale impossibilità di gestire autonomamente i fondi di ricerca;
nonostante gli assegnisti siano personale non strutturato esterno all'organico delle università, svolgono ruoli fondamentali nella ricerca, nella produzione scientifica e nell'attività didattica;
gli assegnisti di ricerca post-dottorati sono figure altamente specializzate su cui lo Stato ha investito ingenti risorse per garantire una formazione superiore, un titolo di laurea, un titolo post-laurea come il dottorato di ricerca, senza contare l'esperienza maturata nei 4 anni di post-dottorato;
professori e gruppi di ricerca basati in università italiane, anche quando vincitori di finanziamenti esterni, possono vedersi costretti a dovere ignorare giovani ricercatori italiani, anche se in possesso di titoli idonei, perché impossibilitati ad assumerli a causa del blocco dei quattro anni, senza contare che gli assegni di ricerca gravano completamente sul budget dei progetti di ricerca, senza oneri aggiuntivi per lo Stato –:
se sia a conoscenza dei fatti esposti;
se vi sia una precisa volontà politica nel meccanismo citato in premessa che di fatto priva la ricerca italiana degli assegnisti «post-doc» con maggiore esperienza e incoraggia la fuga all'estero di figure altamente specializzate sulla cui formazione sono state investite ingenti risorse pubbliche;
se non intenda finanziare adeguatamente il reclutamento di ricercatori con contratto di ricerca a tempo determinato per assorbire almeno parte degli assegnisti in scadenza;
quali iniziative intenda adottare per incrementare le garanzie assistenziali degli assegnisti di ricerca, con particolare riguardo all'ammortizzazione dell'impatto dell'attuale normativa sulla vita di migliaia di giovani ricercatori;
se non intenda assumere iniziative per abrogare o quanto meno sospendere l'efficacia della norma che prevede il limite dei quattro anni agli assegni di ricerca di cui all'articolo 22, comma 3, della legge n. 240 del 2010. (4-06675)
LAVORO E POLITICHE SOCIALI
Interrogazione a risposta in Commissione:
RIGONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
come gli altri stabilimenti Sanac presenti in Italia, anche quello di Massa è di proprietà del gruppo Riva ed impiega 140 persone;
tale impianto è l'unico tra gli stabilimenti Sanac a produrre refrattari per il sistema di spillaggio a «cassetto» per siviera, un sistema brevettato e completamente progettato nello stesso stabilimento massese;
la storica azienda, che copre il 75 per cento della produzione complessiva dell'Ilva di Taranto, oggi rischia seriamente di avere un brusco stop alla sua produzione a causa di forniture non pagate dalla stessa Ilva ed anche il rimanente 25 per cento di produzione rischia di andare compromesso a causa di mancanza di liquidità da parte della società Ilva, di fatto, rendendo impossibile soddisfare gli ordini arrivati con le nuove commesse estere;
la grave e delicata situazione che sta vivendo l'impianto rende sempre più vicina possibilità del ricorso allo strumento della cassa integrazione per i lavoratori della Sanac –:
quali iniziative intenda intraprendere il Governo e se non ritenga utile la convocazione di un tavolo di confronto in ambito governativo che coinvolga tutti gli attori principali, al fine di individuare le possibili soluzioni ad un problema, quello della mancanza dei pagamenti da parte dell'Ilva, divenuto oramai «strutturale» e che sta portando al tracollo una intera realtà industriale, con la drammatica e conseguente incertezza occupazionale per i 140 lavoratori impiegati nell'impianto. (5-03914)
Interrogazioni a risposta scritta:
MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
alcuni giorni fa i vertici dell'azienda Rolli di Roseto hanno convocato i rappresentanti dei lavoratori per informarli della decisione di esternalizzare la gestione dei magazzini;
a partire dal 1o novembre a occuparsi dello stoccaggio, oltre che del carico e scarico merci, non sarà più direttamente la ditta Rolli, bensì un'azienda del gruppo Di Cosimo, con il quale la Rolli ha già raggiunto l'accordo;
l'operazione coinvolgerebbe una trentina di lavoratori a tempo indeterminato, i cosiddetti «fissi», e altrettanti stagionali, abilitati all'utilizzo dei carrelli elevatori;
il passaggio di società significherebbe per i dipendenti della Rolli (sia i fissi che gli stagionali) il venir meno di una serie di diritti maturati nel tempo, oltre all'incognita dello stipendio, che sarebbe comunque inferiore;
per questo motivo i lavoratori fissi sono intenzionati a rifiutare il passaggio, e verrebbero ricollocati in un altro settore, sempre all'interno della Rolli. Questo significherebbe l'impossibilità a essere richiamati per numerosi stagionali, il cui posto sarebbe occupato dai carrellisti ricollocati, in quanto dipendenti a tempo indeterminato, perdendo in questo modo la possibilità di lavorare sei mesi, come accade da sempre, beneficiando dell'indennità di disoccupazione per il resto dell'anno;
attualmente l'operazione annunciata dall'azienda è al vaglio degli uffici legali dei sindacati per valutarne la legittimità;
da una prima analisi, infatti, sembra che non siano esternalizzabili i servizi legati alla trasformazione del prodotto. I lavoratori si sono comunque dichiarati disponibili al dialogo, purché non venga calpestata la loro dignità e, soprattutto, con la garanzia di un salario decoroso –:
se non ritenga doveroso convocare le parti sociali per verificare il piano industriale e cercare soluzioni produttive e occupazionali adeguate che salvaguardino il futuro lavorativo dei lavoratori e del territorio. (4-06662)
DI LELLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
alcuni lavoratori licenziati collettivamente dall'azienda Centro Alimentari Di Mario S.r.l. sita in Frosinone, in data 28 dicembre 2012, cioè prima che entrasse in vigore la «riforma Fornero» dopo aver usufruito dell'indennità di disoccupazione, nel gennaio 2014 hanno presentato le domande per ottenere le indennità di mobilità in deroga;
i suddetti lavoratori a tutt'oggi non hanno ancora ricevuto la liquidazione della mobilità in deroga;
tale mancata erogazione contribuisce ad aggravare ulteriormente le difficoltà economiche in cui lavoratori versano da così lungo tempo, per di più accentuate dal fatto che non vi sono notizie certe e rassicuranti al riguardo –:
quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere, con riferimento alla delicatissima situazione evidenziata, per avviare a soluzione il problema e attenuare le pesanti condizioni di disagio sociale subite dai lavoratori mediante la corresponsione di quanto previsto e richiesto ai sensi di legge. (4-06664)
GRILLO, SILVIA GIORDANO, BARONI, CECCONI, DALL'OSSO, DI VITA, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
il 19 settembre 2014 Salvatore La Fata, venditore ambulante di frutta e verdura, si è cosparso il corpo di benzina dandosi fuoco in piazza Risorgimento a Catania, a seguito del sequestro della merce;
Salvatore La Fata dopo il licenziamento dalla sua ex ditta (dove lavorava come operaio specializzato e conduttore di mezzi pesanti nel campo dell'edilizia), vendeva abusivamente frutta e verdura; un escamotage (a cui, nel Mezzogiorno, molti disoccupati sono costretti a ricorrere, vista la grave crisi economica che interessa il nostro Paese), per guadagnare qualche euro, contribuendo a sostenere la famiglia;
Salvatore La Fata, a seguito delle ferite riportate dalle ustioni, è deceduto il 30 settembre 2014;
la morte di Salvatore La Fata ha suscitato una sincera commozione tra la popolazione della città etnea, anche a fronte della forte presenza della disoccupazione che interessa molte fasce della popolazione catanese;
il tragico evento del suicidio di Salvatore La Fata è stato causato, oltre che dalla mancanza di un vero lavoro anche dall'assenza di forme di sostegno al reddito per se e per la sua famiglia –:
se non ritenga, a seguito dei numerosi episodi di suicidio accaduti in tutto il Paese e collegati a situazioni di perdita del posto di lavoro e di disoccupazione crescente, di predispone tutte le iniziative volte a istituire un salario minimo garantito, come misura che contrasti la disperazione sociale dei territori, così sostenendo anche al famiglia di Salvatore La Fata. (4-06678)
SALUTE
Interrogazioni a risposta in Commissione:
MIOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
la distribuzione di un farmaco nei Paesi dell'Unione europea viene autorizzata dall'Ema (European medicine agency). Allo scopo, il produttore deve presentare un dossier con tutti gli studi necessari (sperimentazioni di fase I, II, e III, quelle su un largo numero di pazienti);
in base a questi dati, l'Ema valuta sicurezza, efficacia e qualità della molecola. E in questa fase, come premesso, non vengono richiesti studi «di superiorità» rispetto ad altri principi attivi in commercio per la stessa indicazione: basta che «non siano inferiori»;
se approvato, il farmaco può essere prescritto e acquistato nella Unione europea al prezzo deciso dall'azienda ma non viene ancora rimborsato da Servizi sanitari nazionali o assicurazioni. Per questo è necessaria una trattativa a livello nazionale con le agenzie regolatorie dei singoli Paesi, per l'Italia tale agenzia è l'Aifa;
l'azienda, in genere, indica alle proprie filiali nazionali un prezzo-obiettivo per ogni Paese, che può variare da caso a caso, perché tiene conto di molte variabili, come potenziale numero di pazienti, capacità di spesa e tipo di rimborso dei singoli Paesi (a carico dello Stato, assicurativo o misto);
una volta avviata la trattativa, l'ente regolatorio, di solito, procedere in due modi: se ritiene che il nuovo farmaco non dia benefici aggiuntivi rispetto ad altri già in commercio proporrà all'azienda il prezzo più basso fra quelli della stessa classe; se, invece, giudica che il farmaco porti benefici aggiuntivi tende a prendere come riferimento il prezzo più basso già ottenuto dall'azienda in altri Paesi europei. Per questo le case farmaceutiche di solito (non sempre) negoziano prima il rimborso in Paesi in cui c’è maggiore probabilità che il farmaco «spunti» un prezzo alto (per esempio la Germania);
in questa trattativa, come precisato dal direttore dell'Aifa, Luca Pani, «giocano un ruolo molto importante i diversi modelli di rimborso...nonché la diversa compartecipazione dei sistemi privati e assicurativi»;
il recente caso del farmaco «Sofosbuvir» per l'epatite C dell'americana Gilead, mette bene in evidenza tale situazione perché il farmaco viene ceduto a prezzi diversi nei vari Paesi europei, comunque elevatissimi, tali da mettere in discussione la tenuta del nostro Sistema sanitario nazionale, infatti immediatamente dovrebbe essere assicurato il trattamento ai 15/20.000 pazienti a rischio vita, ma si dovrebbe prevedere la estensione della cura ai 3/400.000 cittadini mono e confetti da Epatite C e la corrispondente spesa appare insostenibile se non è accompagnata da finanziamenti aggiuntivi al Fondo sanitario nazionale;
il 30 settembre 2014 Aifa ha reso noto l'intervenuto accordo con Gilead per la rimborsabili del farmaco Sovaldi (sofosbuvir) per il trattamento dei pazienti affetti da Epatite cronica C;
sono trascorsi anni di attesa per l'ingresso in Europa del nuovo farmaco, nonché quasi dieci mesi dal l'approvazione dell'EMA e nonostante le numerose sollecitazioni giunte al Governo dal Parlamento, seguite da ripetuti annunci sulla disponibilità del farmaco che andasse oltre il programma per l'uso compassionevole dello stesso, nessuna decisione in ordine all'inserimento del farmaco nel prontuario è finora intervenuta;
in questi giorni destano preoccupazioni gli annunci di AIFA che rinvia ad un provvedimento da pubblicare in Gazzetta Ufficiale «probabilmente entro il mese prossimo» concernente i criteri per la somministrazione del farmaco, che si annuncia saranno «progressivi»;
inoltre il Ministro nonostante precedenti affermazioni sul rifiuto di criteri selettivi per l'accesso alla cura, dichiara invece che occorre un percorso decennale per eradicare la malattia mediante un fondo ad hoc decennale per garantire l'accesso ai farmaci, preceduto da un censimento dei malati e nel contempo rivela che non c’è alcuna copertura finanziaria nonostante da mesi fosse nota la esigenza di affrontare convenientemente il problema. Peraltro il più volte annunciato Piano nazionale sulle epatiti virali non viene formalmente approvato con il rischio di esporre il sistema sanitario alla pressione di migliaia di pazienti che vedono negata la concreta possibilità di guarigione da patologie gravissime che spesso portano alla morte;
in realtà, però, già da anni il prezzo dei farmaci è salito moltissimo: diverse recenti molecole contro i tumori costano anche più ma hanno destato meno attenzione perché il loro «bacino d'utenza» è inferiore, segnalazioni però di difficoltà di accesso alle cure sono pervenute;
alla mancanza del farmaco in sede locale si accompagna il fenomeno dei farmaci acquistati nel nostro paese ma poi rivenduti all'estero;
almeno per l'Europa sarebbe meglio avere un prezzo unico del farmaco –:
alla luce dei fatti sopraesposti se non ritenga opportuno, nel rispetto delle proprie competenze, predisporre iniziative urgenti volte a far sì che si possa arrivare in ambito europeo ad una determinazione unica del prezzo effettivo dei farmaci valevole in tutti i Paesi dell'Unione europea nonché, nel caso specifico quali iniziative urgenti intenda assumere non solo per garantire l'accesso al farmaco Sovaldi a carico del sistema sanitario nazionale a più pazienti possibile ma anche i tempi di pubblicazione del Piano nazionale delle epatiti virali. (5-03920)
D'INCECCO, CARNEVALI, GRASSI, PATRIARCA e SBROLLINI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
un'adeguata prevenzione, da attuarsi attraverso l'individuazione dei fattori di rischio, una corretta educazione sanitaria e l'adozione di stili di vita sani, consentirebbe di ridurre l'incidenza di patologie comuni che incidono negativamente sulla salute dei cittadini, quali obesità, malattie ostruttive polmonari e malattie cardiovascolari;
recenti studi raccolti dalla Fondazione Lorenzini hanno dimostrato che dieta, attività fisica ed eliminazione del tabagismo possono ridurre del 50 per cento, il rischio cardiovascolare e che la promozione di un uso corretto dei farmaci, come dimostrato da una simulazione della Società di arteriosclerosi, può fruttare risparmi per 2,9 miliardi di minori costi di ospedalizzazione per complicanze cardiovascolari;
l'Italia nel 2013 ha speso solo lo 0,5 per cento della spesa sanitaria complessiva in attività di prevenzione sanitaria, contro una media europea del 2,9 per cento, sopra la quale si collocano Paesi come Germania (3,2), Svezia (3,6), Olanda (4,8) e Romania (6,2). Nonostante le indicazioni a livello nazionale, si è ben lontani dall'investire il 5 per cento del budget in prevenzione;
l'impiego di risorse in prevenzione è un investimento a medio/lungo termine e i benefici economici diretti sono riscontrabili solo in un arco temporale più ampio, sebbene portino a ridurre la spesa sanitaria per la cura delle patologie più comuni che insistono sulla salute dei cittadini;
allo stato attuale la spesa sanitaria aumenterà inesorabilmente fino al 2040, per via della continua crescita della fascia di popolazione over-55. Dinanzi a simili proiezioni, bisognerebbe intervenire con un incisivo e generalizzato investimento in prevenzione al fine di ridurre progressivamente la spesa sanitaria e assistenziale;
secondo uno studio del The European House/Ambrosetti si stima che, investendo un euro in prevenzione, se ne possano ottenere tre nell'arco di un decennio in risparmi in cura e riabilitazione (si potrebbero ottenere da qui a dieci anni risparmi per circa 8 miliardi di euro);
ogni anno di aumento della vita libera da disabilità (Healthy Life Year) consente, infatti, un risparmio dei costi di finanziamento della spesa sanitaria di circa 2 miliardi di euro. I benefici cumulati per investimenti sistematici e capillari in prevenzione primaria e secondaria potrebbero valere fino al 10 per cento della spesa per Sistema sanitario nazionale in un ragionevole arco di tempo. Si tratta di un dato non trascurabile, alla luce del fatto che, come emerso da uno studio della ragioneria generale dello Stato, la spesa sanitaria pubblica è destinata a crescere, nell'arco di un ventennio, ad un tasso del 9 per cento in rapporto al PIL;
in questo contesto, un ruolo decisivo può essere giocato dalle aziende, indipendentemente dalle loro dimensioni, attraverso la realizzazione di programmi di prevenzione salute rivolti al personale dipendente, con indiscussi vantaggi per l'azienda in termini di rapporti tra costi e benefici. Tali progetti, infatti, potrebbero garantire un valore aggiunto in termini di effetti positivi sull'ambiente di lavoro e sull'immagine aziendale, contribuendo ad elevare la produttività e diminuire l'assenteismo, oltre che offrire un contributo per superare le crescenti difficoltà incontrate dai lavoratori nell'utilizzo dei servizi del Sistema sanitario nazionale. Secondo i dati di Unindustria, attraverso opportune misure di welfare, l'azienda può generare benefici economici netti pari a due volte gli investimenti fatti –:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto e quali iniziative normative il Governo intenda concretamente adottare per garantire un incentivo fiscale per le imprese che realizzano programmi di prevenzione in azienda rivolti al personale dipendente, attraverso giornate di prevenzione e diagnosi in azienda e attività di sensibilizzazione, informazione orientate all'adozione di stili di vita sani, ad un corretto uso dei farmaci e ad una adeguata educazione sanitaria di base;
quali provvedimenti il Governo intenda adottare al fine di inserire i programmi di prevenzione primaria e secondaria nella quota del 20 per cento delle risorse vincolate a precise finalità prevista dall'articolo 1, comma 1, del decreto ministeriale del 27 ottobre 2009 (cosiddetto decreto Sacconi), ai fini della deducibilità fiscale delle spese sanitarie, anche in considerazione del fatto che in futuro le prestazioni dovranno essere sufficientemente armonizzate fra servizi di prevenzione, cura e post-cura. (5-03921)
Interrogazione a risposta scritta:
SIBILIA, SCAGLIUSI, DE ROSA, TOFALO, COLONNESE, DAGA e PETRAROLI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
come risulta dalla nota dell'autorità di ambito territoriale ottimale 1(prot. 0004534 del 6 agosto 2014) avente ad oggetto l'inquinamento da tetracloroetilene della falda idrica profonda nei comuni di Montoro e di Sorofra in provincia di Avellino e dalla trasmissione del verbale della seconda seduta della conferenza dei servizi svoltasi il 30 luglio 2014, l'ATO Calore Irpino si è attivato per avviare una serie di incontri interistituzionali istituendo un tavolo tecnico allo scopo di individuare le misure da adottare per la messa in sicurezza di emergenza;
l'autorità di ambito, a partire da gennaio 2014, ha coordinato nei propri uffici diverse riunioni con i soggetti competenti a cui seguirono altre presso il comune di Solofra dalle quali emerse l'esigenza di predisporre degli studi e strumenti idonei per il superamento dell'emergenza ed in particolare l'AATO ha provveduto alla redazione ed approvazione del piano di messa in sicurezza di emergenza (MISE) il quale comprendeva diverse fasi dalla barriera idraulica per la messa in sicurezza della falda e dell'acquedotto di surrogazione per alimentare le due comunità;
tale piano è stato oggetto di esame nel corso della prima riunione della conferenza dei servizi tenutasi presso la regione Campania il 12 marzo 2014 nella quale emerse la necessità di integrarlo con la redazione di uno studio idrogeologico al fine di quantificare la portata potenzialmente emungibile nella piana con la barriera e successivamente trasferita nel sistema di collettamento dei reflui al depuratore comunale gestito dalla Cogei, nonché un cronoprogramma temporale delle varie opere;
l'AATO ha provveduto alla nomina dei consulenti dell'università del Sannio per lo studio idrogeologico ed ha redatto le ultime integrazioni con il proprio ufficio tecnico;
il tutto è stato illustrato nella seconda riunione della conferenza di servizi del 30 luglio nella quale, in particolare, si invitava la regione Campania ad autorizzare l'attivazione della barriera idraulica e l'estrazione della falda profonda al fine di ottenere il contenimento della sostanza contaminante e a finanziare le opere previste nel piano di MISE, compreso l'acquedotto di surrogazione per i comuni di Montoro e Solofra;
la dichiarazione scritta dell'ingegnere Montano, consulente a supporto del commissario dell'ATO, a conclusione della seconda riunione della conferenza dei servizi del 30 luglio, evidenzia che la situazione di rischio di inquinamento della falda profonda derivante dai monti di Solofra non risulta attenuata; anzi alla luce delle risultanze dello studio idrogeologico redatto dai docenti dell'università del Sannio si ritiene che il rischio di inquinamento della falda sia tuttora presente, atteso le accertate caratteristiche di permeabilità degli strati superficiali dei terreni della piana solofrana e della fratturazione dello strato tufaceo, ove presente, a ricoprimento dei calcari di base, dove circola la falda profonda. Da tali strati venivano emunte, fino al manifestarsi del fenomeno di inquinamento di inizio gennaio 2014, certamente dai Campi Pozzi di Chiusa e di S. Eustachio di Montoro, le acque ad uso idropotabile che il gestore Alto Calore impiegava per l'alimentazione dei comuni di Montoro e della Valle del Sabato, nei periodi di magra. In ordine alla datazione dell'origine del fenomeno di inquinamento sembra ormai plausibile affermare che io stesso non abbia avuto origine recentemente; ciò, per varie considerazioni, non ultima il rinvenimento del tetracloroetilene nel pozzo di Chiusa fin dal 2007. Si ritiene che debba essere condiviso il fatto che rinunciare al piano di MISE, per dare il giusto corso alle attività di caratterizzazione dell'inquinante, comporta il rischio che nelle more del completamento dell’iter di indagine e conseguenti attività autorizzatorie per l'eventuale bonifica, il fenomeno di inquinamento della falda permanga, non essendo stato eliminato con certezza la fonte di inquinamento, con il pericolo che la piezometria della falda trasporti l'inquinante molto più a valle, con effetti disastrosi sulle popolazioni che si approvvigionavano della stessa. In merito all'ultima circostanza si ritiene utile, per le conclusioni che si riterrà di assumere con la conferenza di servizi, valutare la necessità di interessare le istituzioni competenti su rischio che la popolazione abbia già potuto subire danni dall'inquinamento dell'acqua potabile, come visto datato negli anni (prima del 2007, ndr), e pertanto sollecitare le stesse istituzioni di dare corso ad una indagine epidemiologica sulla popolazione per l'alta incidenza di malattie gravi connesse all'inquinamento;
la dichiarazione scritta del dottor Galasso, consulente dell'ATO Calore Irpino, a conclusione della seconda riunione della conferenza di servizi del 30 luglio, evidenzia l'urgenza e l'indifferibilità degli interventi di messa in sicurezza di emergenza per cui, ferma restando la necessità di procedere anche al piano di caratterizzazione, si ritiene che la priorità assoluta rimanga la MISE al fine di preservare pubblica incolumità ed evitare l'allargamento dell'area di contaminazione;
sul caso il primo firmatario del presente atto, presentato un'interrogazione a risposta in commissione il 12 febbraio 2014, a cui non è ancora stata data alcuna risposta da parte del Ministero della salute;
a settembre 2014 dalla stampa locale si è appreso che altri sei mesi di indagini sono stati chiesti dal capo della procura della Repubblica di Avellino Rosario Cantelmo e dal sostituto Elia Taddeo, che si occupano dell'inchiesta sull'acqua al tetracloroetilene a Solofra, al giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Avellino per effettuare nuovi accertamenti relativi all'indagine condotta dai carabinieri della stazione di Solofra –:
se i Ministri interrogati, considerato il considerevole lasso di tempo intercorso dal diffondersi della notizia di inquinamento idrico da tetracloroetilene agli inizi di gennaio 2014, non ritengano di dover intervenire adottando iniziative per quanto di competenza, l'avvio, anche per il tramite dell'Istituto superiore di sanità, di uno screening sulla popolazione a tutela del diritto alla salute. (4-06677)
SVILUPPO ECONOMICO
Interrogazioni a risposta in Commissione:
SGAMBATO, CARLONI, AMENDOLA, FAMIGLIETTI, PARIS, GIORGIO PICCOLO, TINO IANNUZZI e MANFREDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
FIREMA Trasporti spa è una società per azioni italiana del settore metalmeccanico, operante nella progettazione, costruzione e riparazione di materiale ferroviario;
nata nel 1993 da un precedente raggruppamento d'imprese, l'azienda si è specializzata nella costruzione di materiale leggero per le ferrovie italiane;
nel corso degli anni la produzione fu orientata sia alla fornitura e riparazione di rotabili per conto delle Ferrovie dello Stato, e in seguito di Trenitalia, nell'ambito di specifici lotti di produzione, sia alla realizzazione ex novo di veicoli destinati al trasporto regionale e alle reti metropolitane.
il gruppo occupa circa 900 dipendenti dislocati nei siti di Milano, Spello, Tito e Caserta. In quest'ultimo territorio è situata l'unità produttiva più importante con circa 400 addetti;
la concomitanza di fattori quali la difficoltà del mercato e la mancanza di respiro internazionale comportò la graduale chiusura di molte delle attività che costituivano il raggruppamento iniziale;
a partire dal 2 agosto 2010, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, Firema Trasporti spa è stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria, a norma dell'articolo 2 comma 2, decreto-legge 23 dicembre 2003 n. 347;
successivamente, è stato previsto il trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria di 12 mesi a cui hanno fatto seguito ulteriori proroghe, finalizzate alla vendita della società;
ad oggi, resta inevaso il problema cruciale dell'azienda, cioè quale prospettiva di crescita dare al gruppo tenendo conto che il rischio maggiore è quello di dover, paradossalmente, chiudere una delle eccellenze dell'industria italiana;
lo scorso 24 ottobre 2014 c’è stato un tavolo tecnico presso il Ministero dello sviluppo economico per fare il punto sulla delicata situazione della vendita dell'azienda –:
quali siano stati gli esiti del tavolo tecnico e più in generale quali concrete azioni e misure che intende mettere in atto per risolvere con urgenza la questione della Firema spa affinché l'eventuale vendita del gruppo porti all'acquisto di un soggetto con un piano industriale ambizioso e concreto per garantire la ricollocazione di tutti i lavoratori e il rilancio dell'azienda stessa. (5-03913)
CATALANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 32, comma 1-bis, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, è volto a regolamentare le modalità di raccolta, gestione e utilizzo dei dati raccolti da dispositivi elettronici, cosiddette scatole nere o equivalenti, che registrano l'attività del veicolo e a disciplinare l'interoperabilità di tali dispositivi in caso di sottoscrizione di un contratto r.c. auto con impresa diversa da quella che ha provveduto ad installare il dispositivo;
l'attuazione di tale disposizione richiede l'emanazione di un decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, che deve individuare i meccanismi elettronici, denominati scatola nera o equivalenti, o ulteriori dispositivi in grado di registrare l'attività del veicolo (articolo 32, comma 1), di un regolamento dell'IVASS, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e il Garante per la protezione dei dati personali, che deve definire le modalità di raccolta, gestione e utilizzo, in particolare a fini tariffari e per la determinazione della responsabilità in occasione dei sinistri, dei dati raccolti dai meccanismi elettronici, nonché le modalità per assicurare l'interoperabilità di tali meccanismi nel caso in cui venga sottoscritto un contratto di assicurazione con impresa diversa da quella che ha provveduto ad installarlo (articolo 32, comma 1-bis) e di un decreto del Ministro dello sviluppo economico, da emanare sentito il Garante per la protezione dei dati personali, che deve definire uno standard tecnologico comune hardware e software per la raccolta, la gestione e l'utilizzo dei dati raccolti dai meccanismi elettronici, al quale le imprese di assicurazione dovranno adeguarsi entro due anni dalla sua emanazione (articolo 32, comma 1-ter);
risulta all'interrogante che il primo dei citati decreti sia stato emanato il 25 gennaio 2013 e che il terzo sia stato notificato dal Ministero dello sviluppo economico alla Commissione europea nel settembre 2012, ai sensi della direttiva 98/34/CE;
rispetto al secondo dei citati decreti, l'IVASS ha pubblicato il 19 marzo 2013 sul proprio sito, per le consultazioni, terminate il 30 aprile 2013, uno «schema di Regolamento per la definizione delle modalità di raccolta, gestione e utilizzo dei dati raccolti da dispositivi elettronici che registrano l'attività del veicolo e di interoperabilità di tali dispositivi»;
gli operatori del settore denunciano (si veda l'articolo pubblicato su http://www.guidallasicurezza.it dal titolo «Interoperabilità dei dispositivi: la sfida del cambiamento» del 24 luglio 2014) che a oggi non sia ancora concluso l’iter di emanazione della regolamentazione della portabilità e interoperabilità dei dispositivi telematici satellitari di bordo –:
di quali notizie disponga il Governo e a che punto sia l’iter di esecuzione delle norme in tema di interoperabilità e portabilità dei dispositivi di cui al decreto-legge 24 gennaio 2013, n. 1, convertito dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, e per quando sia stimata la sua conclusione. (5-03919)
Interrogazioni a risposta scritta:
OLIARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
l'artigianato ligure è ancora penalizzato da una stretta creditizia che non accenna a dare un po’ di respiro alle imprese;
secondo l'ufficio studi di Confartigianato su dati Artigiancassa e Banca d'Italia, a giugno 2014 lo stock del credito in Liguria è diminuito del 3,1 per cento rispetto al 2013, un calo superiore a quello del Nord Ovest (-1,8 per cento) e a quello medio italiano (-3 per cento);
il tema dei finanziamenti all'impresa è fortemente sentito dall'artigianato ligure, e in particolare proprio ora, in un momento in cui alla crisi si aggiungono gli ingenti danni provocati dall'alluvione del 9 e 10 ottobre scorso che si è abbattuta sul capoluogo e il suo entroterra;
considerato che sono circa 2.400 attività colpite dall'alluvione e che molte di queste non hanno ancora superato le perdite causate dai tristi avvenimenti di tre anni fa, mai come ora le micro e piccole imprese liguri hanno bisogno di agevolazioni finanziarie tempestive e concrete: un aiuto estremamente necessario e doveroso per risollevarle da questo periodo di grande difficoltà;
gli aiuti concessi nell'ultimo anno alle micro e piccole imprese hanno subito un calo in tutte le regioni italiane: flessioni meno accentuate in Campania (-0,6 per cento), Piemonte (-1 per cento), Toscana (-1,3 per cento) e Abruzzo (-1,7 per cento), più marcate invece in Basilicata (-5,4 per cento), Friuli-Venezia Giulia (5,2 per cento) e Veneto (-5,1 per cento);
in Liguria l'ammontare delle agevolazioni finanziarie concesse risulta pari a poco più di 1,1 miliardi di euro, 37 milioni in meno rispetto al 2013;
tale riduzione è frutto di pesanti diminuzioni dello stock concesso a Imperia (-6,1 per cento e 160 milioni erogati in un anno), Genova (-3,4 per cento e 529 milioni) e Savona (-2,8 per cento 305 milioni), bilanciate da un leggero aumento dei prestiti alla Spezia (+0,6 per cento e 144 milioni di euro erogati alle imprese);
proprio quello della Spezia rientra nei pochi aumenti rilevati in Italia a livello provinciale: si tratta di Vercelli, (3,3 per cento), Caserta (1,6 per cento), Napoli (1,4 per cento), Pisa (0,8 per cento), Livorno e Torino (entrambe a +0,7 per cento) e Lodi (0,5 per cento), seguiti dalla provincia di Reggio Calabria che presenta, in un anno, prestiti stabili all'artigianato. All'opposto, le diminuzioni più intense (e più che doppie rispetto alla media italiana del –3 per cento) sono quelle di Vibo Valentia (-11,5 per cento), Vicenza (-7,8 per cento), Enna (-7,3 per cento), Treviso, Ogliastra e Foggia (tutte sul –6,3 per cento), Cosenza (-6,2 per cento), Rieti e la stessa Imperia, entrambe sul –6,1 per cento –:
quali iniziative intenda adottare per favorire ed incrementare le agevolazioni finanziarie concesse alle piccole e medie imprese italiane, già fortemente colpite dalla crisi economica in atto, e in particolare alle microimprese della regione Liguria che rappresentano uno dei principali fattori di sviluppo locale e che sono state ulteriormente danneggiate dai recenti eventi alluvionali. (4-06660)
PILOZZI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
la vicenda dello stabilimento ILVA di Taranto ha riverberato i suoi effetti direttamente sugli altri stabilimenti di proprietà Ilva, tra cui quello di Patrica, provincia di Frosinone;
lo stabilimento presente nella piccola cittadina ciociara, occupava circa 70 lavoratori specializzati nella produzione di zincato alluminato ed operava in rapporto di dipendenza tecnico operativa con lo stabilimento principale pugliese;
nonostante il decreto Salva-Ilva e nonostante il parere favorevole espresso della Consulta su tale decreto, il Piano industriale Ilva, presentato nei mesi scorsi, ha previsto la cancellazione dello stabilimento di Patrica e il trasferimento delle attività in esso svolte presso altra sede, specificatamente presso lo stabilimento di Novi Ligure;
la chiusura dello stabilimento di Patrica si inserisce in un contesto drammatico per la provincia di Frosinone che ha conosciuto negli ultimi anni un profondo processo di de-industrializzazione con la chiusura di decine di stabilimenti e la perdita di migliaia di posti di lavoro;
la situazione è così drammatica sotto il profilo economico e sociale che il Governo ha deliberato il riconoscimento dell'area di crisi industriale complessa del sistema locale del lavoro Frosinone Anagni, strumento fondamentale per il rilancio produttivo di questa zona;
nei mesi scorsi, sono state formalmente avanzate due proposte di acquisto dello stabilimento Ilva di Patrica da parte di imprese operanti sul territorio della provincia di Frosinone;
tali proposte sono state oggetto di una prima valutazione e discussione in seno al Ministero dello sviluppo economico nell'ambito di tavoli istituzionali alla presenza e dei sindacati e della proprietà dell'Ilva;
nel corso dell'ultimo di tali tavoli, tenutosi il 5 agosto 2014, la proprietà dell'Ilva si era impegnata a valutare in concreto, tramite il proprio Advisor, le proposte di acquisto presentate dalle due imprese ma, da allora, nessun ulteriore passo in avanti è stato compiuto né da parte di Ilva né da parte del Ministero che si era impegnato a riconvocare le parti per il mese di settembre;
ogni giorno di ritardo nella discussione e nella definizione delle sorti dello stabilimento, rende sempre più problematica la salvaguardia dell'integrità strutturale dello stabilimento e dei macchinari in esso presenti e, di conseguenza, il possibile mantenimento dei livelli occupazionali attuali;
è quindi necessaria un'accelerazione del confronto tra le parti al fine di fornire risposte concrete alle maestranze e le loro famiglie e alla imprese che hanno avanzato proposte concrete d'acquisto dello stabilimento di Patrica –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza del confronto in atto tra la proprietà Ilva, i sindacati e le imprese che hanno avanzato una proposta di acquisto dello stabilimento di Patrica (FR) e se non ritenga opportuno disporre un'accelerazione del confronto tra le parti sociali, con la regia del Ministero, al fine di trovare soluzioni in grado di salvaguardare i livelli occupazionali dello stabilimento citato.
(4-06671)
BRUGNEROTTO e D'INCÀ. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
da diversi organi di stampa si apprende che secondo il nuovo piano industriale, che sarà presentato entro novembre prossimo, la ristrutturazione aziendale di Poste Italiane prevede il taglio di 17-20 mila unità di personale considerati in esubero;
in seguito alla diffusione della notizia pubblicata dall'agenzia di stampa Radiocor, l'azienda ha replicato nel giro di poche ore affermando che le notizie che si stavano diffondendo, relative al piano industriale di Poste riportassero «numeri immaginari che creano solo inutili incertezze e allarmismi all'interno dell'azienda» e che quando il piano, orientato alla crescita e allo sviluppo del gruppo in un momento di forte competitività dei mercati, sarà definito nei dettagli verrà presentato ai sindacati per un confronto sereno e costruttivo;
ma da quanto riportato da ilfattoquotidiano.it fonti interne all'azienda riferiscono che nel piano industriale, del gruppo, ancora in fase di elaborazione, c’è una riduzione importante del numero di dipendenti non precisamente quantificata ed anche un'ondata di demansionamenti finalizzai a contenere i costi in vista della quotazione in Borsa del gruppo pubblico;
Poste italiane Spa è una società per azioni il cui capitale sociale è attualmente posseduto per il 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze, che in base al contratto di programma stipulato con lo Stato, è tenuta a garantire il servizio universale fino al 2026 attraverso la sua rete di uffici distribuiti su tutto il territorio nazionale;
tale servizio disciplinato dall'articolo 3, decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, prevede che «è assicurata la fornitura del servizio universale e delle prestazioni in esso ricomprese, di qualità determinata, da fornire permanentemente in tutto il territorio nazionale, incluse le situazioni particolari delle isole minori e delle zone rurali montane, a prezzi accessibili all'utenza e che, «il servizio universale risponde alla necessità di assicurare alla generalità dei cittadini, su tutto il territorio nazionale, il diritto di fruire dei servizi postali in esso ricompresi, sulla base di determinati standard di qualità e di tariffe orientate ai costi, sottoposti al controllo dell'Autorità di regolamentazione»;
in molte zone del paese i piccoli uffici postali lavorano a giorni alterni per carenza di organico e Poste italiane non assume personale a tempo indeterminato preferendo utilizzare i lavoratori precari assunti a ciclo continuo allo scopo di non interrompere un servizio essenziale come quello del recapito della corrispondenza;
già nel luglio del 2012 Poste italiane spa annunciava la chiusura di 1.156 uffici postali in tutta Italia, di cui 100 nella sola regione Calabria, un taglio in proporzione al numero degli abitanti assai più consistente rispetto ad altre regioni d'Italia se si considera che si prevedeva la chiusura di 174 sportelli in Toscana, 134 in Emilia e 96 in Campania;
nella direttiva europea 6/2008 si riconosce che le reti postali anche se in zone rurali e scarsamente popolate soddisfano interessi pubblici rilevanti, consentono l'integrazione degli operatori economici con l'economia globale ed anzi, per il loro contributo alla coesione sociale, sono più necessari proprio in quelle aree –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti su esposti;
se il Ministro interrogato non ritenga che, i tagli del personale previsti e le chiusure di uffici postali periferici in atto in tutta Italia da parte di Poste italiane, non comportino una limitazione di diritti dei cittadini di alcune aree del Paese e non limitino la capacità di mantenere degli standard minimi di qualità per il servizio universale, e quali azioni intenda intraprendere per far sì che Poste italiane garantisca i suddetti standard minimi.
(4-06673)
Apposizione di firme a mozioni.
La mozione Mongiello e altri n. 1-00556, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della Seduta del 22 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Becattini.
La mozione Nicoletti e altri n. 1-00603, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della Seduta del 3 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fabbri.
La mozione Speranza e altri n. 1-00615, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della Seduta del 13 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fabbri.
La mozione Antimo Cesaro e altri n. 1-00648, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della Seduta del 28 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Capua.
Apposizione di una firma ad una risoluzione.
La risoluzione in Commissione Cenni e altri n. 7-00487, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Zanin.
Apposizione di firme ad interrogazioni.
L'interrogazione a risposta scritta Sibilia e altri n. 4-06535, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della Seduta del 22 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Agostinelli.
L'interrogazione a risposta in Commissione Carnevali e altri n. 5-03886, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della Seduta del 29 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Locatelli, Cenni.
Pubblicazione di un testo riformulato.
Si pubblica il testo riformulato della mozione Di Gioia n. 1-00602, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 302 del 3 ottobre 2014.
La Camera,
premesso che:
la Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale ha approvato il 9 luglio 2014 una relazione intitolata «iniziative per l'utilizzo del risparmio previdenziale complementare a sostegno dello sviluppo dell'economia reale del Paese»;
la relazione è stata trasmessa alle Presidenze della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica in data 10 luglio 2014;
la Commissione ha svolto un approfondito lavoro, nell'ambito dell'ampliamento delle competenze che il legislatore ha previsto, con l'ultima modifica approvata con la legge di stabilità per il 2014, affidando ad essa non solo le tradizionali funzioni di controllo sugli istituti di previdenza, ma un quadro esteso di funzioni di vigilanza: sull'efficienza del servizio in relazione alle esigenze degli utenti, sull'equilibrio delle gestioni e sull'utilizzo dei fondi disponibili, anche con finalità di finanziamento e sostegno del settore pubblico e con riferimento all'intero settore previdenziale ed assistenziale; sulla programmazione dell'attività degli enti e sui risultati di gestione in relazione alle esigenze dell'utenza; sull'operatività delle leggi in materia previdenziale e sulla coerenza del sistema previdenziale allargato con le linee di sviluppo dell'economia nazionale;
in tale quadro la Commissione sta svolgendo un'approfondita indagine conoscitiva su «Funzionalità del sistema previdenziale pubblico e privato, alla luce della recente evoluzione normativa ed organizzativa, anche con riferimento alla strutturazione della previdenza complementare, che sinora ha contato 37 audizioni a partire dal gennaio 2014, con la partecipazione di tutte le istituzioni rappresentative ed istituzionali interessate al settore previdenziale (Corte dei conti, Banca d'Italia, Consob, Covip, Mefop, Inps, Inail, casse private e privatizzate, fondi pensioni dei settori della previdenza complementare, organizzazioni sindacali e datoriali), nonché esperti del settore, consulenti della Commissione;
la Commissione europea si è fatta promotrice di una modifica della direttiva 2003/41/CE Iorp (Institutions for occupational retirement provision) – proposta COM(2014) 167 final 2014/0091 (COD) del 27 marzo 2014 (cosiddetta lorp2) di revisione della cosiddetta direttiva Iorp, relativa alle attività e alla vigilanza degli enti pensionistici aziendali o professionali – approvata il 27 marzo 2014, varando un pacchetto complessivo che prevede un piano della Commissione europea per soddisfare le esigenze di finanziamento a lungo termine dell'economia europea del 27 marzo 2014 e una comunicazione in tema di crowdfunding (finanziamento collettivo) per offrire possibilità di finanziamento alternative per le piccole e medie impresse (MEMO/14/240); il pacchetto si basa sulle risposte ricevute nel corso dell'esame del libro verde del 2013 e sulle discussioni avvenute in vari consessi internazionali, come il G20 e l'Ocse ed identifica una serie di misure specifiche che l'Unione europea deve adottare per promuovere il finanziamento a lungo termine dell'economia europea;
il tema centrale proposto dalla Commissione europea è quello di favorire l'istituzione di fondi comuni europei specializzati nell'investimento di lungo termine in determinate attività produttive in tutto il territorio dell'Unione europea, in quanto «l'Europa ha notevoli esigenze di finanziamento a lungo termine per favorire la crescita sostenibile, il tipo di crescita che aumenta la competitività e crea occupazione in modo intelligente, sostenibile e inclusivo»; «occorre diversificare le fonti di finanziamento in Europa e migliorare l'accesso ai finanziamenti per le Piccole e medie imprese, che rappresentano la spina dorsale dell'economia europea» con riferimento specifico alle norme sulle pensioni aziendali o professionali, si rileva che: «Tutte le società europee devono affrontare una duplice sfida: si tratta di approntare un quadro pensionistico che tenga conto dell'invecchiamento della popolazione e, nel contempo, di realizzare investimenti a lungo termine che favoriscano la crescita: I fondi pensionistici aziendali o professionali sono doppiamente coinvolti nella questione: dispongono di oltre 2.500 miliardi di euro di attivi da gestire con prospettive a lungo termine, mentre 75 milioni di europei dipendono in gran parte da loro per la propria pensione. La proposta legislativa di oggi permetterà di migliorare la governance e la trasparenza di tali fondi in Europa, migliorando, quindi, la stabilità finanziaria e promuovendo le attività transfrontaliere, per sviluppare ulteriormente i fondi pensionistici aziendali e professionali come imprescindibili investitori a lungo termine;
tra le azioni previste nella Iorp 2 vi sono la finalizzazione dei dettagli del quadro prudenziale per banche e imprese di assicurazione che sostengono i finanziamenti a lungo termine all'economia reale, una maggiore mobilitazione di risparmi pensionistici personali e la valutazione delle modalità per incoraggiare maggiori flussi transfrontalieri di risparmio; la proposta di direttiva Iorp 2 si propone complessivamente di tutelare gli aderenti alle forme di previdenza complementare adeguatamente dai rischi di gestione, di incentivare i benefici derivanti da un mercato unico delle pensioni aziendali o professionali, rafforzando la capacità dei fondi pensionistici aziendali o professionali di investire in attività finanziarie con un profilo economico a lungo termine e sostenendo, quindi, il finanziamento della crescita nell'economia reale; si tratta in sostanza di favorire l'uso dei finanziamenti privati, aggiuntivi rispetto a quelli pubblici, per investimenti in infrastrutture e migliorare il quadro complessivo del finanziamento sostenibile a lungo termine;
tali prospettive sono state oggetto di un, importante confronto tra il Vicepresidente della Commissione europea e Commissario per il mercato interno e i servizi Michel Barnier e i componenti della Commissione bicamerale nel corso dell'audizione svoltasi alla Camera dei deputati il 3 luglio 2014; Barnier ha illustrato i contenuti del pacchetto di misure riguardanti l'incentivazione dell'uso del risparmio previdenziale per il finanziamento a medio e lungo termine dell'economia reale in Europa, nel quadro del complesso delle iniziative assunte dalla competente direzione generale per lo sviluppo dell'economia e la liberalizzazione delle attività economiche;
sulla necessità di utilizzare il risparmio previdenziale per operazioni di finanziamento dell'economia reale si ricordano anche gli orientamenti emersi nel corso delle audizioni svolte: la Corte dei conti, nel corso dell'audizione del 27 febbraio 2014, ha rilevato che un «significativo contributo al finanziamento delle imprese può essere assolto dalle casse privatizzate e dalla previdenza complementare, nella peculiare funzione di intermediazione del risparmio previdenziale di lungo periodo»;
la Consob, in audizione presso la VI Commissione finanze della Camera dei deputati, ha sottolineato come il mondo della previdenza complementare-domestico mostri una ridotta propensione all'investimento in titoli di capitale, ivi compresi quelli italiani; la Banca d'Italia, nell'audizione dell'11 giugno 2014, ha evidenziato che le attività dei fondi pensioni in Italia rappresentano il 5,6 per cento del prodotto interno lordo, a fronte di percentuali pari al 96 per cento nel Regno Unito, al 75 per cento in USA e alla media dei Paesi europei pari al 21 per cento, e che il criterio che deve orientare gli organi di governo dei fondi pensione è quello dell'ottimizzazione delle scelte di investimento e che «a condizione che i fondi si dotino di competenze e assetti organizzativi adeguati, potrebbero esistere margini per una composizione dei portafogli meno tradizionale»;
nella relazione approvata la Commissione bicamerale, allineandosi alle proposte formulate dalla Commissione europea, tenendo conto anche degli orientamenti nell'ambito di un tavolo tecnico di confronto al quale hanno partecipato rappresentanti del Governo e dei dicasteri interessati (Ministero dell'economia e delle finanze, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Ministero dello sviluppo economico), nonché molti delle istituzioni audite in Commissione, ha valutato la percorribilità di iniziative istituzionali volte a far sì che l'impiego di parte dei patrimoni gestiti dai fondi pensione e dalle casse professionali possa concorrere a destinare rilevanti risorse finanziarie a sostegno di programmi strategici per lo sviluppo del sistema Paese, quali l'innovazione tecnologica, le fonti di energia sostenibili, la ricerca, il rilancio di aree industriali in crisi, il salvataggio e la ristrutturazione di piccole e medie imprese in difficoltà, i programmi di edilizia abitativa e scolastica e altro;
occorre sottolineare che sia per la previdenza complementare che per le forme di previdenza obbligatoria degli iscritti negli ordini professionali, in assenza di una forte iniziativa politica, decine e decine di miliardi del risparmio previdenziale, per un totale di quasi 200 miliardi di euro complessivi, continueranno ad essere investiti in strumenti finanziari, per lo più all'estero, in una misura che oggi è pari a circa il 70 per cento del totale degli impieghi; il restante 30 per cento degli impieghi è sostanzialmente investito in titoli di Stato;
tale andamento determina oggi, di fatto, l'impossibilità di finanziare le imprese italiane e le iniziative di sviluppo infrastrutturale del nostro Paese, in un momento in cui il tema delle risorse finanziarie da recuperare per lo sviluppo dell'economia reale dell'Italia è assolutamente rilevante;
nella relazione approvata dalla Commissione, che qui si intende integralmente richiamata, sono ipotizzate una serie di misure volte a conseguire tale obiettivo, secondo tre principali linee di intervento:
a) interventi fiscali per stimolare gli investimenti della previdenza complementare in iniziative di sviluppo del Paese, con misure di equiparazione del regime di tassazione ovvero di agevolazione fiscale in rapporto alla partecipazione ad investimenti in iniziative a sostegno dell'economia reale del Paese; l'idea di fondo e che lo strumento fiscale non deve rispondere solo all'esigenza contingente di ripristinare o mantenere la tenuta dei conti pubblici, ma anche costituire una leva di politica economica a disposizione del Governo e del Parlamento per una politica di sviluppo, così come avviene in altri Paesi europei che utilizzano le agevolazioni fiscali per incentivare l'economia e per operare in senso competitivo con gli altri Stati, dal momento che gli strumenti di politica monetaria sono ormai devoluti alla Banca centrale europea;
nella relazione si analizzano le normative estere esistenti in materia di tassazione dei fondi pensione e delle Casse previdenziali degli ordini professionali;
il sistema prevalente in Europa, ad esempio nel Regno Unito, è il cosiddetto sistema «eet» (esente, esente, tassato), con riferimento, rispettivamente alla fase dell'accumulazione, alla tassazione dei rendimenti maturati in ciascun anno da parte dei soggetti gestori del risparmio previdenziale e della tassazione delle prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di rendita;
in Italia la fase di accumulazione è sostanzialmente esente, in quanto l'articolo 8, comma 4, del decreto legislativo n. 252 del 2005 prevede che i contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro, sia volontari sia dovuti in base a contratti o accordi collettivi, alle forme di previdenza complementare sono deducibili dal reddito complessivo per un importo non superiore ad euro 5.164,57;
i contributi versati dal datore di lavoro usufruiscono, altresì, delle medesime agevolazioni contributive;
ai fini del computo del predetto limite si tiene conto anche delle quote accantonate dal datore di lavoro ai fondi di previdenza di cui all'articolo 105, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi;
la tassazione dei rendimenti maturati in ciascun anno è stata elevata per il 2014 all'11,5 per cento (prima del decreto-legge n. 66 del 2014, che ha ulteriormente incrementato la pressione fiscale in materia, era, infatti, dell'11 per cento);
la tassazione delle prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di rendita, infine, ai sensi dell'articolo 11, comma 6, del citato decreto legislativo n. 252 del 2005, sono imponibili per il loro ammontare complessivo al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta e a quelli di cui alla lettera g-quinquies del comma 1 dell'articolo 44 del testo unico delle imposte sui redditi: sulla parte imponibile delle prestazioni pensionistiche erogate è, pertanto, operata una ritenuta a titolo d'imposta con l'aliquota del 15 per cento ridotta di una quota pari a 0,30 punti percentuali per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari, con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali (sino al 9 per cento, quindi, nell'ipotesi di un'anzianità contributiva di 35 anni); le prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di capitale sono imponibili per il loro ammontare complessivo al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta; per le casse private rispetto alle tre fasi della tassazione (accantonamento dei contributi, accumulo dei rendimenti, percezione della rendita), si ha una situazione del tipo «eet», ma più gravosa rispetto a quello previsto per i fondi pensione, in quanto se i contributi versati dagli iscritti sono esenti da tassazione fiscale (articolo 38, comma 11, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, che ha esteso anche all'esercizio di attività previdenziali e assistenziali da parte di enti privati di previdenza obbligatoria la disciplina dell'articolo 74 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, per gli enti pubblici), il trattamento fiscale dei rendimenti mobiliari è tassato al 20 per cento (articolo 2, comma 6, del decreto-legge n. 138 del 2011, a partire dal 2012), mentre le prestazioni sono assoggettate alle aliquote Irpef: la relativa base imponibile è data dal valore della prestazione pensionistica al lordo dei rendimenti conseguiti dall'ente previdenziale, con una sorta di doppia tassazione quindi;
b) interventi ordinamentali concernenti la normativa della previdenza complementare, sia per i fondi pensione che per le casse previdenziali, per stimolare il settore e favorire l'impiego, in condizioni di sicurezza del risparmio, di parte delle risorse ottenute per la promozione di interventi a sostegno dell'economia del Paese; in particolare, nella relazione si ipotizzano: revisione dei meccanismi di adesione alla previdenza complementare; forme di compensazione o garanzia pubblica per le imprese derivante dall'eventuale incremento dell'impiego del trattamento di fine rapporto in forme di previdenza complementare, in rapporto alla mancata disponibilità dello stesso come forma di autofinanziamento delle imprese; revisione dei limiti quantitativi e tipologici agli impieghi oggetto di definizione per i fondi pensione con il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze n. 703 del 1996 e successiva revisione; definizione dello status giuridico delle casse professionali, che la legge ha previsto come private ma che sia in sede amministrativa – per esempio: dell'inclusione nell'elenco consolidato delle pubbliche amministrazione gestito dall'Istat; dei controlli; della sottoposizione al regime della spending review; dei regimi autorizzatori per gli impieghi del patrimonio; delle modalità di redazione dei bilanci, anche in sede giurisdizionale, sono state, di fatto, ricondotte ad un ambito pubblicistico; altre misure possono riguardare lo sblocco di parte delle risorse degli enti previdenziali pubblici, segnatamente l'Inail, attualmente immobilizzati nel conto di tesoreria unica;
c) definizione delle modalità per la destinazione del risparmio previdenziale a sostegno di investimenti nell'economia reale, attraverso investimenti diretti a sostegno delle imprese, ovvero ampliando il ruolo di raccolta del risparmio della Cassa depositi e prestiti, estendendolo anche al risparmio previdenziale, al fine di favorire l'impiego di interventi strutturali a sostegno dell'economia, in connessione con lo sviluppo dell'impiego di risorse a sostegno del Paese derivanti dalla previdenza complementare;
altro tema importante è quello dello sviluppo delle campagne informative per la sensibilizzazione dei lavoratori, specie i giovani, sulla rilevanza della previdenza complementare per un positivo futuro pensionistico;
per la realizzazione di tale iniziativa dovranno essere assicurate importanti condizioni tecniche, quali acquisire il consenso degli enti interessati, prevedere forme di garanzia dello Stato atte ad assicurare la certezza degli investimenti e la loro adeguata remuneratività, in modo comunque da garantire l'equilibrio della gestione finanziaria degli enti interessati e il rispetto delle normative comunitarie in tema di aiuti di Stato,
impegna il Governo:
ad attuare le linee direttive contenute nella relazione della Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale per l'Assemblea, doc. XVI-bis n. 1 del 9 luglio 2014 e trasmesse alle Presidenze delle Camere in data 12 luglio 2014, al fine di favorire l'impiego di parte del risparmio previdenziale, su base consensuale e garantendo la tutela del risparmio previdenziale, risorse ottenute per la promozione di interventi a sostegno dell'economia del Paese, intervenendo per introdurre misure:
a) per armonizzare il trattamento fiscale delle forme di previdenza complementare e della previdenza riguardante gli ordini professionali, definendo una tassazione a livello inferiore rispetto a quella attualmente prevista per i fondi pensione e valutando, altresì, l'introduzione di un sistema «eet» anche nel nostro Paese;
b) per definire lo status giuridico delle casse degli ordini professionali o enti previdenziali privatizzati ai sensi del decreto legislativo n. 509 del 1994 e del decreto legislativo n. 103 del 1996, anche alla luce delle recenti e ripetute decisioni in sede di giustizia amministrativa che hanno richiamato il carattere pubblicistico di tali enti;
c) per valutare forme eventuali di accorpamento delle casse degli ordini professionali al fine di realizzare economie di gestione e modalità di impiego delle risorse più efficienti, fatta salva la separazione delle gestioni relative agli specifici ordini professionali;
d) per prevedere modifiche alla disciplina ordinamentale dei fondi pensione volti a stimolare l'accesso alla Previdenza complementare; in particolare nella relazione si ipotizzano: revisione dei meccanismi di adesione alla previdenza complementare; forme di compensazione o garanzia pubblica per le imprese derivante dall'eventuale incremento dell'impiego del trattamento di fine rapporto in forme di previdenza complementare, in rapporto alla mancata disponibilità della stessa come forma di autofinanziamento delle imprese; la revisione dei limiti quantitativi e tipologici agli impieghi oggetto di definizione per i fondi pensione con il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze n. 703 del 1996, e successiva revisione;
e) per avviare campagne di informazione per tutti i lavoratori, anche per i dipendenti pubblici, sulle opportunità offerte dalla previdenza complementare, atteso che la piena entrata a regime del sistema contributivo per la previdenza pubblica determinerà la necessità di pensioni complementari anche nel settore pubblico;
f) per valutare l'adozione di altre misure finalizzate a aumentare le risorse finanziarie a disposizione di investimenti di rilevanza pubblica, quali lo sblocco di parte delle risorse degli enti previdenziali segnatamente l'Inail, attualmente immobilizzati nel conto di tesoreria unica;
g) per promuovere, d'intesa con i fondi pensione e le casse professionali, un patto per l'Italia per prevedere che, a fronte di interventi di agevolazioni, anche fiscali, e di miglioramento del quadro normativo complessivo del settore, sia verificata la disponibilità di effettuare investimenti di parte dei patrimoni gestiti a favore di iniziative per lo sviluppo infrastrutturale dell'Italia, garantendo la remuneratività degli investimenti, nel quadro della salvaguardia dell'equilibrio finanziario degli enti del secondo e del terzo pilastro e del diritto dei lavoratori a percepire le prestazioni previdenziali.
(1-00602)
«Di Gioia, Morassut, Di Salvo, Di Lello, Dorina Bianchi, Piazzoni, Palese, Distaso, Aiello, Galati, Fucci, Caruso, Lacquaniti, Capelli, Fava, Adornato, D'Alia, Formisano, Gebhard, Lauricella, Ginoble, Melilla, Piepoli, Zoggia, Ginefra, Pastorelli, Meta, Marzano, Carella, Rostan, Scanu, Pilozzi, Rubinato, Pelillo, Sannicandro, Migliore, Carbone, Francesco Sanna, Grassi, Fioroni, Catania, Bosco».
La Camera,
premesso che:
l'olio extravergine di oliva è l'unico olio vegetale direttamente commestibile, quindi dotato di complessi di gusto ed aroma che ne determinano i crescenti consumi mondiali. La produzione mondiale è in aumento e stabilizzata dal 2010 su oltre 3.000.000 tonnellate/anno. È una «commodity» di alto valore, che con meno del 4 per cento della produzione di oli vegetali movimenta il 20 per cento del mercato;
l'Italia storicamente aveva una posizione di rilievo per le caratteristiche qualitative del prodotto e per la importanza quantitativa delle produzioni in un mondo che vedeva l'olivo come pianta colonizzatrice e l'olio come produzione povera, talora malfatta e maleodorante, da inviare a raffinerie italiane che lo trasformavano in oli di oliva commestibili. Oggi la realtà mette in evidenza che in tutti i Paesi olivicoli e non olivicoli le piantagioni di olivo sono diventate piantagioni da reddito, e la nuova olivicoltura mondiale, che arriva appunto a 3.000.000 di tonnellate, è ottenuta con nuove e moderne piantagioni, altamente produttive, competitive, con produzioni di qualità crescente, in grado di competere sui mercati allo stesso livello delle qualità italiane, con la differenza che l'Italia con le sue produzioni decrescenti attualmente non è in grado di imporsi in nessun tipo di mercato; nel 2013/2014 la produzione italiana, probabilmente inferiore alle 400.000 tonnellate da stime ancora da verificare, rappresenta solo il 13 per cento della produzione mondiale;
come ben risulta dal testo e dagli allegati del piano olivicolo-oleario 2009/2013 predisposto dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, ad oggi ormai superato, il comparto produttivo risulta compromesso. Il comparto olivicolo può contare solamente su circa un milione di aziende, di cui gran parte in zone collinari e deve fare i conti con coltivazioni di proprietà che gestiscono 100 o 250 piante di olivo come patrimonio aziendale, con l'età stessa delle piantagioni che, ad esempio, in alcune zone di Italia supera i 300-500 anni, con l'estrema frammentazione varietale, con un innumerevoli cultivar delle quali non si conoscono né il comportamento agronomico né le caratteristiche dell'olio. Sono queste solo le più evidenti criticità dell'olivicoltura attuale dell'Italia che danno appena un'idea delle difficoltà del comparto, ove il ricambio generazionale ha ormai fatto venir meno i tradizionali agricoltori;
questa situazione comporta anche riflessi pesantemente negativi sulle tecniche di conduzione, approssimative e mirate al massimo risparmio fino a nessun intervento, riportando la coltivazione dell'olivo ad una coltura di sussistenza ed in certi casi senza tener conto della conservazione dell'ambiente;
ciò d'altro canto provoca anche difficoltà insormontabili per la produzione di olio di qualità, visto che la maggior parte degli agricoltori raccoglie le drupe quando può, frange quando può e come può, mentre la mancanza di disponibilità economico-finanziarie limita anche i più essenziali interventi di fertilizzazione e di difesa;
da una rapida valutazione dei dati statistici è facile ricavare questo degrado progressivo della struttura, poiché praticamente si è passati da oltre 800.000 tonnellate di olio nel 2004 a meno di 400.000 tonnellate (probabili) nella presente campagna;
l'ultima campagna ha messo drammaticamente alla luce i difetti, le manchevolezze e le necessità delle strutture produttive; una previsione di produzione già nettamente inferiore alle attese, mostrava già le tendenze al decremento del comparto. Un forte attacco di mosca olearia, lasciato incontrollato per mancanza di mezzi economici per effettuare i necessari trattamenti e l'abbandono di frutti sulla pianta determinato dal loro basso valore, hanno certamente abbassato i limiti della produzione, potendo essa arrivare a meno di 400.000 tonnellate in un momento in cui il valore dell'olio stava risalendo verso limiti di convenienza economica e malgrado nel Mediterraneo si annunciassero produzioni da record;
il paradosso di questa situazione è che questo aumento del valore dell'olio andrà a favore dei principali competitori italiani; infatti, il consumo di olio di oliva in Italia è assestato intorno alle 600.000 tonnellate, quindi sono necessarie 200.000 tonnellate di buon olio (rivalutato) solo per soddisfare il fabbisogno nazionale, alle quali si dovranno aggiungere almeno altre 200.000 tonnellate per poter continuare ad alimentare le esportazioni. Attualmente l'Italia produce circa la metà dell'olio rispetto ai propri fabbisogni;
per valutare attentamente le possibilità e gli indirizzi di sviluppo del comparto olivicolo, occorre verificare il mercato generale, il comportamento e le produzioni dei principali Paesi olivicoli e le spinte allo sviluppo del comparto olivicolo-oleario a livello globale. Nell'orizzonte europeo, compare gigantesca la montagna produttiva spagnola che ancora una volta supera 1.500.000 tonnellate (circa il 50 per cento della produzione mondiale), con produzioni provenienti da piantagioni nuove, irrigue specializzate, integralmente meccanizzabili ed inserite in una filiera già in corso di adeguamento alle caratteristiche qualitative che il mercato richiede; gli agricoltori spagnoli hanno rinnovato le piantagioni, riorganizzato le filiere, acquistato marchi di prestigio anche italiani ed ora stanno lavorando intensamente sulla qualità intrinseca delle loro maggiori produzioni nazionali. Competere con queste realtà significa competere tecnologicamente;
sempre nell'ambito europeo, la Grecia si presenta con una olivicoltura solo parzialmente rinnovata, ma con oli di elevata qualità ed a prezzi relativamente bassi. Nell'ambito del Mediterraneo una forte spinta al miglioramento tecnologico nello specifico settore dell'olivicoltura è in atto in Marocco, che tre anni fa ha lanciato il programma «Maroc Vert», che prevede interventi praticamente a fondo perduto per nuove piantagioni, ed in Turchia, ove l'olivo è visto come un investimento produttivo ed il potenziale di esportazione di questo Paese si sta avvicinando alle 100.000 tonnellate/anno. In sottofondo rimangono ancora Paesi come Siria e Tunisia, che insieme possono coprire 400.000 tonnellate (quantità pari all'attuale produzione italiana) di oli a basso costo;
al di fuori dell'area mediterranea si stanno sviluppando interessanti realtà olivicole, delle quali si deve tener conto, perché, se non influenzano il mercato nazionale, sono delle minacce concrete per le esportazioni. Negli Stati Uniti, in California, sta crescendo un nucleo di olivicoltori che mirano ad impadronirsi del mercato nordamericano, che rappresenta la migliore zona di esportazione degli oli italiani. Questo avviene sia con l'immissione sul mercato di oli di buona qualità prodotti in California, con impianti moderni, ma anche attraverso organi di stampa e dossier ufficiali che evidenziano i difetti del sistema produttivo italiano, praticamente inesistente nel loro immaginario collettivo;
nell'America del Sud, Cile ed Argentina sono impegnati nella produzione di olio attraverso nuove piantagioni, e l'Argentina ha dichiarato l'olio di oliva «alimento nacional»; attualmente è accreditata di una produzione reale di 30.000 tonnellate, con grandi ambizioni sul mercato nordamericano (Stati Uniti, Canada);
dall'altra parte del globo, la realtà australiana, ancora modesta, ma tutta costituita da nuove piantagioni, mira ai mercati orientali che rappresentano un potenziale sbocco anche per le produzioni italiane;
si tratta, in genere, nel resto d'Europa (Portogallo, Spagna, Francia e parzialmente Grecia) e nel resto del mondo (Marocco, Turchia, Sudamerica, Australia) di olivicolture da reddito ove l'unica finalità dell'impianto è produzione di oli di oliva ottenuti con tecnologie moderne di raccolta, trasformazione, e ben organizzate, in grado di dare tutte oli di eccellente qualità sotto il profilo di genuinità e purezza, e di caratteristiche organolettiche talora diverse, ma non necessariamente inferiori a quelle del prodotto nazionale;
per fermare l'abbandono ed il «disamoramento» dell'olivicoltura come fatto produttivo che trascinerebbe inesorabilmente nella caduta anche alcune delle linee commerciali più rilevanti del «made in Italy» come gli oli di alta qualità, occorre prendere atto che la struttura deve essere modificata; questo non sarà fatto certamente in un arco di tempo breve, e senza un adeguato intenso lavoro di programmazione; si dovrebbe iniziare innanzitutto a ricostruire lo scheletro di una struttura produttiva efficiente attraverso nuove piantagioni che siano nel giro di pochi anni in grado di sopperire almeno ai fabbisogni nazionali e mantenere l'immagine di un mondo olivicolo dinamico e produttivo in grado di sostenere un'esportazione di qualità, e ridare al Paese un settore capace di dare occupazione e recuperare quelle forze lavoro che derivano dall'abbandono progressivo dell'olivicoltura tradizionale;
queste nuove piantagioni dovrebbero possedere tutti i requisiti per lo sviluppo e l'applicazione di tutte le moderne tecnologie;
in numerosi distretti rurali esistono ampie zone a vocazione olivicola-agricola, ove si potrebbe operare con queste nuove piantagioni, che assumerebbero un importate ruolo nella evoluzione del paesaggio analogamente a quanto avvenuto per i vigneti, che negli ultimi trent'anni sono stati totalmente sostituiti dalle nuove piantagioni adatte alle mutate esigenze agronomiche e tecnologiche, e con evidenti vantaggi paesaggistici ed ambientali;
per dare un'idea dell'immensità delle operazioni e della urgenza di iniziare le attività si portano ad esempio alcuni numeri: supponendo di dover soddisfare un fabbisogno di 200.000 tonnellate/anno di olio di oliva si dovrebbero portare a regime 150.000/200.000 ettari di nuovi oliveti che con una media di 1 tonnellata/ettaro di olio potrebbero riuscire a colmare il fabbisogno;
è evidente che un processo di questa portata richiede un arco di tempo lungo ed accurate calibrazioni dei processi a monte ed a valle delle piantagioni; è tuttavia necessario sempre ricordare che l'impianto di un oliveto determinerà una produzione 3-5 anni dopo, e che occorre aspettare comunque 8-10 anni per arrivare ad una produzione stabilizzate;
è quindi necessario avviare immediatamente il processo nelle zone e con gli agricoltori che sono interessati;
a tale scopo occorrerebbe un sistema di strumenti incentivanti che da un lato sia in grado di permettere agli investimenti di poter essere gestiti agevolmente riducendo l'effetto delle numerose norme ed autorizzazioni necessarie per la costituzione di nuove piantagioni, che dovrebbero essere realizzate solo sulla base di rigorosi criteri tecnico-scientifici, e dall'altro di permettere di costituire una linea specifica di finanziamenti, se del caso tramite un fondo di incentivazione, individuando nel modo più opportuno la fonte delle risorse necessarie e che potrebbe per esempio essere previsto a livello regionale a carico degli attuali contributi di cui ai piani di sviluppo rurale o delle organizzazioni comuni di mercato, da utilizzare per la costituzione di nuove piantagioni di olivo analogamente a quanto si sta facendo nel settore della viticoltura;
un'operazione di questo tipo non sarebbe finalizzata alla sola produzione olivicola, ma contribuirebbe a movimentare attività e quindi capitali in un indotto che va dall'attività vivaistica alle macchine agricole all'impiego di forze lavoro direttamente nelle piantagioni e indirettamente nelle attività indotte, e a creare linee produttive che già direttamente possono essere pilotate verso prodotti di alta gamma e di qualità certificate;
va evidenziato che una situazione problematica come quella attuale che sta attraversando l'olivicoltura, l'Italia l'ha già attraversata e in parte superata, alla fine degli anni Novanta nel settore dell'agrumicoltura;
per fare fronte alla grave crisi di mercato che tra la fine degli anni Novanta ed i primi anni del Duemila aveva il comparto agrumicolo, il 2 dicembre 1998 fu approvata una specifica legge per farvi fronte, ossia la legge n. 423 del 1998 recante «Interventi strutturali e urgenti nel settore agricolo, agrumicolo e zootecnico», la quale all'articolo 1, demandava al Ministro delle politiche agricole e forestali (d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano e acquisito il parere delle competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica) la predisposizione di «linee programmatiche di indirizzo e di intervento per l'agrumicoltura italiana», da sottoporre all'approvazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), autorizzando una spesa di 70 miliardi di lire nel 1998 e 20 miliardi di lire per ciascuno degli anni 1999 e 2000 (articolo 3, comma 5);
con la proposta del Ministro delle politiche agricole e forestali n. 55086 del 14 ottobre 1999 vennero indicate le linee programmatiche di indirizzo e di intervento per l'agrumicoltura italiana, con una previsione di spesa complessiva pari a 110 miliardi di lire (56,8 milioni di euro). Il nuovo piano nazionale di settore, noto come piano agrumi, fu approvato con deliberazione CIPE n. 191 del 5 novembre 1999;
il piano era costituito da 5 misure orizzontali (monitoraggio dei mercati, schedario agrumicolo, ricerca e sviluppo, comunicazione e promozione, creazione e potenziamento dei consorzi prodotti DOP/IGP) e da 2 misure specifiche (sostegno ai piani integrati di intervento delle O.P., assistenza tecnica e monitoraggio);
in tale contesto, la rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea notificò alla Commissione il programma di intervento in oggetto (aiuto di Stato N 560/99) in conformità con l'articolo 88, comma 3, del Trattato CE (lettera del 9 settembre 1999);
per fare fronte alle richieste della Commissione europea, l'Italia si impegnò, nell'attuazione delle misure del «piano agrumi», a:
a) rispettare le procedure previste dalla direttiva 92/50/CE sugli appalti di servizi e le procedure di selezione trasparenti e non discriminatorie, nel caso in cui le misure fossero attuate mediante intermediari;
b) garantire la conformità delle misure previste con tutti i requisiti di cui al punto 14 (prestazioni di assistenza tecnica nel settore agricolo) dei nuovi orientamenti comunitari per gli aiuti di Stato nel settore agricolo (GU C 28 del 1o febbraio 2000);
c) rispettare la disciplina comunitaria per gli aiuti di Stato alla ricerca e sviluppo (GU C 45 del 17 febbraio 1996; comunicazione 98/C 48/02);
d) rispettare i requisiti previsti sia dalla comunicazione della Commissione relativa alla partecipazione dello Stato ad azioni di promozione dei prodotti agricoli e dei prodotti della pesca (GU C 272 del 28 ottobre 1986, pagina 3) sia dalla regolamentazione [della Commissione] degli aiuti nazionali a favore della pubblicità dei prodotti agricoli e di taluni prodotti non compresi nell'allegato II del trattato CEE, esclusi i prodotti della pesca» (GU C 302 del 12 novembre 1987, pagina 6) riguardo alla promozione di prodotti agricoli attraverso i mass media;
in seguito ai chiarimenti suddetti, forniti dalle autorità italiane, la Commissione europea, con lettera del 16 maggio 2000 [SG (2000) D/103679], decise di non sollevare obiezioni in merito alle misure del piano agrumi, tranne che per la misura specifica relativa al «Sostegno e cofinanziamento a Piani integrati di intervento per la valorizzazione commerciale e il rafforzamento delle strutture organizzative dei produttori»;
la Commissione, infatti, sostenne che l'entità dello stanziamento previsto per la misura specifica in oggetto (60,2 miliardi di lire) richiedeva informazioni più precise riguardo all'attuazione degli interventi in essa previsti;
la misura riguardante il «Sostegno e cofinanziamento a Piani integrati di intervento per la valorizzazione commerciale e il rafforzamento delle strutture organizzative dei produttori» si poneva l'obiettivo di aumentare la capacità di concentrazione dell'offerta da parte delle organizzazioni economiche dei produttori, la capacità di programmazione, commercializzazione e di valorizzazione della produzione;
il piano integrato di intervento, che rappresentava il documento di programmazione strategica e operativa delle organizzazioni dei produttori, conteneva elementi relativi agli sbocchi commerciali e agli accordi di filiera e si componeva delle seguenti parti:
piano di commercializzazione;
piano di riassetto produttivo;
piano di riorganizzazione e ammodernamento delle strutture;
piano della logistica;
piano dei servizi e della comunicazione;
piano per la responsabilizzazione, la partecipazione della base produttiva e delle risorse umane;
piano per la capitalizzazione (finalizzava gli interventi finanziari a consolidare o incrementare la base patrimoniale delle aziende, a riequilibrare l'assetto finanziario dei beneficiari, a valorizzare il patrimonio di strutture impiantistiche e altro);
per la selezione dei piani integrati di intervento era previsto un bando di gara nazionale per il quale furono definiti specifici criteri di selezione;
vi era poi una terza misura, la misura per l’«Assistenza tecnica ed il monitoraggio», la quale, nella lettera della Commissione del 16 maggio 2000, era descritta come segue: «Riguarda il finanziamento di assistenza tecnica e monitoraggio delle misure previste dal piano notificato, in particolare di quelle specifiche destinate alle Organizzazioni di produttori (...)»;
il beneficiario del finanziamento era identificato nel Ministero delle politiche agricole. Il Ministero delle politiche agricole avrebbe attuato le misure attraverso i suoi enti strumentali ISMEA (Istituto per studi, ricerche e informazioni sul mercato agricolo) e INEA;
i progetti di triennali, massima delle misure del piano agrumi, presentati dagli organismi attuatori individuati dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, furono approvati con specifici decreti ministeriali;
successivamente, il Ministero delle politiche agricole e forestali decise, anche a seguito dei rilievi posti dalla Commissione, di provvedere alla rimodulazione della misura riguardante il «Sostegno e cofinanziamento a Piani integrati di intervento per la valorizzazione commerciale e il rafforzamento delle strutture organizzative dei produttori», notificando tale variazione ai sensi della comunicazione per gli aiuti di Stato (N 313/2001);
le azioni originariamente previste nell'ambito della misura relativa al «Sostegno e cofinanziamento a Piani integrati di intervento per la valorizzazione commerciale e il rafforzamento delle strutture organizzative dei produttori» furono ricondotte essenzialmente a due piani programmatici: il piano dei servizi alla commercializzazione e comunicazione e il piano di riorganizzazione e ammodernamento delle strutture produttive, per uno stanziamento di 12 miliardi di lire, pari al 20 per cento dello stanziamento precedentemente approvato per la misura in questione;
l'80 per cento della somma, pari a 48,2 miliardi di lire, venne destinato, invece, alle regioni interessate al piano agrumi (Lazio, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna), per interventi a favore della riconversione varietale (nella proposta di riparto il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali inserì anche la regione Lazio);
con lettera del 7 novembre 2001 le autorità italiane comunicarono alla Commissione i sei piani agrumicoli regionali relativi alle sei regioni interessate al piano agrumi, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna. Le autorità italiane, nel 2002, avevano poi specificato alla Commissione che l'aiuto concesso dallo Stato italiano alle regioni suddette attraverso il piano agrumi consisteva in risorse aggiuntive rispetto a quelle previste come contributo nazionale nei POR, già approvati, che prevedevano azioni destinate al riassetto produttivo del comparto agrumicolo (espianti e/o riconversione varietale);
le risorse del «piano agrumi» a favore delle regioni sarebbero state erogate ai soggetti beneficiari mediante specifiche azioni comprese nei piani agrumicoli regionali che le regioni stesse dovevano predisporre con le modalità previste nei complementi di programma inerenti ai POR (bando pubblico). Bisogna al riguardo ricordare che per poter fruire degli aiuti di Stato messi a disposizione con il «piano agrumi» per interventi di riconversione varietale – in aggiunta alla quota di parte nazionale già stanziata per gli interventi di questo tipo previsti e approvati nei POR delle regioni interessate al piano agrumi – era necessario che le schede fossero conformi con le regole contenute negli orientamenti comunitari per gli aiuti di Stato in agricoltura e con il regolamento (CE) n. 1257/99 sullo sviluppo rurale e che contenessero una serie di informazioni di dettaglio;
negli anni seguenti, con le leggi finanziarie per il 2000 (legge n. 488 del 1999) e per il 2001 (legge n. 388 del 2000), furono assegnate altre risorse al «piano agrumi», mentre in attuazione dell'articolo 129 della legge 388 del 2000, la legge 289 del 2002 (legge finanziaria 2003) stanziò per l'anno 2003 la somma di 12.911.422 euro alle regioni interessate al piano agrumi, in particolare per realizzare gli interventi di riconversione varietale;
con decisione, della Commissione del febbraio 2003 [C (2003) 369 fin], le misure specifiche del «piano agrumi» hanno ottenuto un finanziamento complessivo pari a 116,2 miliardi di lire (60.012.290 euro);
specificatamente, le regioni interessate al «piano agrumi», alle quali con decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali sono state assegnate risorse aggiuntive oltre a quelle previste nei POR per interventi di riconversione varietale a favore dell'agrumicoltura, dovevano predisporre i propri piani agrumicoli sulla base delle linee guida elaborate dall'INEA per conto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
per quanto riguarda i piani agrumicoli regionali, come sopra citato, con la decisione C (2003) 369 fin del 5 febbraio 2003, la Commissione decise di non sollevare obiezioni in merito al regime di aiuti di Stato N 313/2001. In tal senso l'80 per cento del finanziamento del regime di aiuti a favore dell'agrumicoltura italiana nell'ambito delle misure specifiche del piano agrumi, pari a 92,96 miliardi di lire (48.009.833,33 euro), è stato destinato ad interventi di riconversione varietale nelle regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna. Ciascuna di queste regioni ha provveduto ad elaborare propri specifici piani agrumicoli regionali;
alla luce di quanto descritto riguardo a quanto è stato effettuato negli anni dal 1999 al 2003 per il rilancio del comparto agrumicolo nazionale, segnatamente per quanto riguarda il rinnovamento varietale degli agrumeti e l'incremento delle superfici agrumetate, parrebbe auspicabile mettere in atto anche per il comparto olivicolo un piano per l'olivicoltura nazionale che ripercorra le analoghe procedure attivate per il piano agrumi, anche al fine di far tesoro delle esperienze maturate al riguardo e soprattutto per evitare possibili profili problematici con la Commissione europea;
tale piano sarebbe necessario anche per il grande valore ambientale che riveste la coltivazione dell'olivo specialmente per quanto riguarda la protezione che conferisce al suolo e quindi alla riduzione del rischio idrogeologico e per la conservazione del territorio, essendo questa pianta, tra le specie arboree coltivate, quella con minori esigenze in termini fabbisogno idrico e difesa fitosanitaria;
lo sviluppo dell'olivicoltura avrebbe una propria valenza strategica anche per gli scenari futuri: a livello globale grazie alla diffusione della dieta mediterranea sta iniziando a diffondersi anche nei Paesi non tradizionalmente consumatori una cultura legata all'olio extravergine di oliva ed alle sue proprietà; questo fenomeno relativamente nuovo è rappresentato da manifestazioni, concorsi internazionali, forum e portali dedicati, curati da giornalisti, e food blogger. Tali iniziative non solo mettono in evidenza le migliori produzioni, ma riescono anche con estrema facilità ed ascolto ad evidenziare la scarsa qualità dei prodotti commerciali (Merum, Olive Center UC Davis, truthinoliveoil, jooprize, NYT e altro). In tale prospettiva è concretamente ipotizzabile che in un prossimo futuro sarà sempre più presente questa consapevolezza e mutata sensibilità del consumatore e sarà quindi necessario cogliere tali opportunità per elevare la qualità del prodotto esportato;
l'Italia possiede un grande patrimonio varietale ancora tutto da valorizzare ed in questo contesto teso a valorizzare la qualità e le specificità, avrebbe quindi un elevato margine competitivo e forti posizioni di vantaggio;
non è da sottovalutare poi che nello sviluppo dei nuovi impianti della futura olivicoltura nazionale vi sarebbero forti ricadute in termini occupazionali, soprattutto nel campo agroindustriale ed agroalimentare, con l'utilizzo e l'impiego dei macchinari necessari alle conduzioni agronomiche e raccolta delle olive che ne riducano sensibilmente i costi di gestione e che oggi rappresentano l'eccellenza della industria italiana meccanica del settore, sia in Italia e sia all'estero, nonché con la maggior richiesta di impianti di estrazione e separazione in due fasi dove alcune industrie italiane sono all'avanguardia con brevetti che permettono di non utilizzare acqua e con ottimi risultati per il riutilizzo delle sanse per uso agricolo e la nutrizione animale;
sarebbe necessario quindi approvare un apposito programma per lo sviluppo dell'olivicoltura nazionale ed in questo senso dotare l'attuale ordinamento nazionale di una norma specifica volta a rafforzare e sostenere lo sviluppo dell'olivicoltura ed avente contenuti analoghi a quelli di cui all'articolo 1, comma 1, della predetta legge n. 423 del 1998;
tale norma dovrebbe prevedere che, per fare fronte alla grave situazione di declino della coltivazione dell'olivo ed alla crisi di produttività del comparto olivicolo nazionale, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, d'intesa con la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ed acquisito il parere delle competenti commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, presenti al Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) per l'approvazione le linee programmatiche di indirizzo e di intervento per l'olivicoltura italiana anche al fine di contenere i costi di produzione, di riorganizzare la commercializzazione e di migliorare la qualità dei prodotti agricoli, tenendo conto dell'esigenza di risanamento tecnico-colturale e varietale,
impegna il Governo:
ad intraprendere le opportune iniziative, possibilmente anche a carattere d'urgenza, affinché si attui un piano per il rilancio, il rafforzamento e lo sviluppo dell'olivicoltura nazionale (piano olivicolo nazionale), allo scopo seguendo un procedimento operativo, normativo e amministrativo, analogo a quello attuato ai sensi della legge 2 dicembre 1998, n. 423, come meglio indicato in premessa, valutando in tale ambito, la possibilità di individuare ed autorizzare una congrua somma di spesa, se del caso da associare all'istituzione di un fondo di rotazione per gli investimenti, il cui importo sia non inferiore a 90 milioni di euro da ripartire nell'arco di un triennio;
ad attivare iniziative dirette alla valorizzazione dell'olio extravergine di oliva, con particolare riguardo ad azioni divulgative volte a favorire la conoscenza delle proprietà nutrizionali e salutistiche degli oli extravergini di qualità.
(1-00556) «Mongiello, Sani, Oliverio, Realacci, Ventricelli, Anzaldi, Giovanna Sanna, Mura, Romanini, Piccione, Zardini, Venittelli, Porta, Martelli, Iacono, Lodolini, Manfredi, Mazzoli, Terrosi, Miotto, Famiglietti, Giulietti, Marco Di Maio, Covello, Cimbro, D'Ottavio, Cominelli, D'Incecco, Antezza, Arlotti, Blazina, Capone, Folino, Cenni, Amoddio, Vezzali, Vazio, Fucci, Sannicandro, Becattini».
La Camera,
premesso che:
il fenomeno dei rifugiati e richiedenti asilo in Europa – a causa dei drammatici conflitti e delle violenze che stanno investendo l'area mediterranea e, più in generale, il continente africano – sta assumendo dimensioni terribili. Secondo il rapporto di Eurostat sul primo trimestre del 2014, le persone che, tra gennaio e marzo, hanno chiesto asilo sul territorio dei 28 Paesi dell'Unione europea sono state circa 108.300, quasi 25.000 in più rispetto allo stesso periodo del 2013, con un aumento del 30 per cento; in particolare, l'Italia ha ricevuto 10.700 domande, risalendo così al quarto posto tra i Paesi dell'Unione europea come meta dei richiedenti asilo. Tra i Paesi di provenienza, la Siria continua ad occupare il primo posto (16.770), seguita da Afghanistan (7.895) e Serbia (5.960);
il numero delle vittime e delle violazioni dei diritti umani da parte dei trafficanti, negli anni, è considerevolmente aumentato (in generale, dal 2000 al 2013, sono morti più di 23 mila migranti nel tentativo di fuggire dai conflitti e di raggiungere l'Europa via mare o attraversando i confini del vecchio continente via terra: in media più di 1.600 l'anno);
nonostante lo straordinario impegno del Governo italiano con l'operazione di soccorso denominata Mare Nostrum, che ha salvato migliaia di vite umane, i drammi e le violazioni dei diritti umani continuano a perpetrarsi;
la gestione dell'accoglienza, dell'identificazione e dell'assistenza da parte di molti Paesi dell'Unione europea presenta numerose criticità, data la consistenza del fenomeno e considerate le talvolta difficili condizioni sociali ed economiche dei Paesi riceventi, difficoltà che si riflettono sia sulle popolazioni accoglienti che sui rifugiati e richiedenti asilo;
con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, le materie concernenti l'asilo, la protezione sussidiaria e la protezione temporanea hanno acquisito la qualifica di politica comune dell'Unione europea (articolo 78 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea); pertanto, la concreta regolamentazione di tali materie risulta un'applicazione del Trattato;
la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che con il Trattato di Lisbona ha acquisito la stessa portata e rilevanza giuridica del Trattato stesso: riconosce e garantisce il diritto di asilo nel rispetto delle norme stabilite dalla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e dal Protocollo del 31 gennaio 1967 sullo status dei rifugiati, e a norma del Trattato sull'Unione europea e del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (articolo 18); vieta le espulsioni collettive e le espulsioni ed estradizioni verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti (articolo 19);
le richieste di asilo nei Paesi dell'Unione europea sono disciplinate dal regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 (cosiddetto regolamento «Dublino III»), che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di Paese terzo o da un apolide;
il regolamento «Dublino III» intende assicurare il pieno rispetto del diritto d'asilo garantito dall'articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, nonché dei diritti riconosciuti ai sensi degli articoli 1, 4, 7, 24 e 47 della Carta medesima (diritto alla dignità umana, proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, rispetto della vita privata e familiare, diritto del bambino e diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale);
l'obiettivo del regolamento «Dublino III» è quello di realizzare un sistema di asilo europeo basato su criteri omogenei di riconoscimento del diritto d'asilo dei richiedenti, sul rispetto dei diritti umani nei Paesi d'accoglienza e sulla solidarietà tra gli Stati membri e di consentire la rapida determinazione ed identificazione dello Stato membro competente al fine di garantire l'effettivo accesso alle procedure volte al riconoscimento della protezione internazionale, non pregiudicando l'obiettivo di un rapido espletamento delle domande di protezione internazionale;
nei fatti, l'applicazione del regolamento in questione è di difficile gestione e il principio generale in esso stabilito, secondo cui i Paesi responsabili dell'esame di una domanda di protezione internazionale «anche di coloro che hanno varcato illegalmente le frontiere di uno Stato membro» sono quelli di prima accoglienza, presenta notevoli criticità a causa del numero sempre crescente di migranti;
tra le principali criticità vi è la gestione nazionale, ossia in carico ai singoli Stati, delle richieste d'asilo, che induce in numerosi migranti il rifiuto di farsi identificare e il loro incontrollato movimento tra i Paesi europei;
come rilevato da alcune agenzie di protezione dei rifugiati, tra cui l'Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, alcune disposizioni del regolamento «Dublino III», in particolare quelle relative alle procedure da adottare per la presa in carico dei minori non accompagnati, stanno determinando seri problemi di interpretazione e di implementazione;
come rilevato da un report dell'Aida 2013, la regolamentazione sta diventando sempre più complicata e complessa e le garanzie a favore dei migranti (nell'espletamento della procedura di richiesta), tra cui il diritto all'assistenza legale, si stanno via via indebolendo;
a più riprese l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, da sempre particolarmente attenta al tema dei rifugiati e dei richiedenti asilo e, in generale, del rispetto dei diritti umani dei più deboli, ha raccomandato, da ultimo nella risoluzione 2047 (2014), una profonda revisione del suddetto regolamento;
il Consiglio europeo del 26 e 27 giugno 2014, nel definire gli orientamenti strategici della programmazione legislativa e operativa nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia per gli anni a venire, ha chiesto alle istituzioni dell'Unione europea e agli Stati membri: di dotarsi di una politica efficace in materia di migrazione, asilo e frontiere, guidata dai principi di solidarietà ed equa condivisione delle responsabilità; di recepire ed attuare efficacemente, quale priorità assoluta, il sistema europeo comune di asilo (Ceas), adottando norme comuni di livello elevato e istituendo una maggiore cooperazione per creare condizioni di parità che assicurino ai richiedenti asilo le stesse garanzie di carattere procedurale e la stessa protezione in tutta l'Unione europea; di rafforzare il ruolo svolto dall'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo (Easo), in particolare promuovendo l'applicazione uniforme dell’acquis; di intensificare la cooperazione con i Paesi di origine e di transito, anche attraverso l'assistenza volta a rafforzare le loro capacità di gestione della migrazione e delle frontiere; di potenziare ed espandere i programmi di protezione regionale, in particolare nelle vicinanze delle regioni di origine;
in considerazione del semestre italiano di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea e in vista del prossimo Consiglio europeo del 23 e 24 ottobre 2014, è opportuno che il nostro Paese ponga la necessità di mettere al centro dell'agenda europea la definizione di una politica solida e condivisa, improntata su solidarietà e responsabilità, in materia di immigrazione e diritto d'asilo,
impegna il Governo:
a proporre nelle competenti sedi europee la necessità di una revisione del regolamento «Dublino III», che ponga al centro:
a) il rispetto e la protezione dei diritti umani dei rifugiati e dei richiedenti asilo, al fine di garantire un ambiente più favorevole a una loro accoglienza, compatibilmente con le possibilità dei Paesi ospitanti, e di provvedere efficacemente a una loro identificazione per evitare che finiscano vittime del traffico clandestino, fornendo loro un'adeguata assistenza;
b) un omogeneo sistema europeo che regoli la concessione del diritto di asilo secondo standard e procedure comuni e il coordinamento nella raccolta delle domande dei richiedenti, anche al di fuori del territorio dei Paesi membri e in collaborazione con l'Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, per permettere agli aventi diritto di raggiungere i Paesi di accoglienza in modo sicuro e prevenire ogni abuso del sistema con la presentazione di domande di asilo multiple da parte di una sola persona;
c) un sistema europeo di accoglienza che si basi sulla solidarietà tra i Paesi membri e che distribuisca la presenza dei rifugiati per quote definite sulla base degli indici demografici ed economici;
d) un sistema di mutuo riconoscimento tra gli Stati membri della concessione del diritto di asilo, tale da garantire la libertà di stabilimento del beneficiario in ogni Stato membro, per cui il riconoscimento della protezione internazionale ad un richiedente asilo all'interno di un determinato Stato sia valido nell'intero territorio dell'Unione europea, considerato che tale sistema, che presuppone la responsabilità condivisa di un piano comune europeo di protezione temporanea e di riconoscimento dell'asilo, risulta prodromico all'istituzione del sistema europeo di accoglienza;
e) l'istituzione di un'agenzia europea per l'asilo e l'immigrazione al di fuori del territorio dell'Unione europea, favorendo l'utilizzazione delle sedi diplomatiche già esistenti in alcuni Paesi africani, quali sedi operative nelle zone di maggior transito dei rifugiati, in grado di gestire le domande di protezione internazionale e di contenere il numero dei flussi migratori indistinti.
(1-00603) «Nicoletti, Speranza, Berlinghieri, Amendola, Giuseppe Guerini, Quartapelle Procopio, Campana, Beni, Fiano, Monaco, Chaouki, Moscatt, Iacono, Scuvera, Piazzoni, Migliore, Bruno Bossio, Mattiello, Fabbri».
La Camera,
premesso che:
il consolidamento e l'affermazione della cultura di parità, delle pari opportunità e dei diritti delle donne sono entrati, negli ultimi anni, di diritto tra le priorità e tra gli obiettivi strategici per l'azione del Governo italiano e delle istituzioni internazionali ed europee, affermandosi come importante principio trasversale delle politiche pubbliche;
nel marzo 2011 il Consiglio diritti umani ha approvato all'unanimità la Dichiarazione delle Nazioni Unite sulla educazione ai diritti umani: un risultato di grande rilievo, per il quale l'Italia ha svolto un ruolo propulsore di primo piano. La dichiarazione costituisce un riferimento importante, poiché fissa in modo chiaro le definizioni, i principi, gli strumenti e gli obiettivi dell'educazione ai diritti umani: il precipitare degli eventi nel quadro internazionale al quale si sta assistendo richiama però, con forza, a rimettere al centro della discussione pubblica, anche in occasione del semestre europeo, la necessità che il nostro Paese si faccia promotore dello sviluppo, da parte dell'Unione europea, di una strategia complessiva sui diritti umani, strategia che può essere meglio applicata attraverso l'azione sinergica di tutti gli attori dell'Unione europea;
il Consiglio dell'Unione europea, in attuazione della strategia comunitaria «Europa 2020», ha approvato, il 21 ottobre 2010, il cosiddetto «pacchetto occupazione» (decisione sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione, 2010/707/UE), con il quale l'Unione europea invita gli Stati membri ad adottare misure in grado di «aumentare la partecipazione al mercato del lavoro e combattere la segmentazione, l'inattività e la disuguaglianza di genere, riducendo nel contempo la disoccupazione strutturale»;
il Parlamento europeo, il 19 febbraio 2013, ha inoltre approvato una risoluzione sull'impatto della crisi economica sull'uguaglianza di genere e i diritti della donna (2012/2301(INI)), con la quale si invitano gli Stati membri ad «esaminare con grande serietà la dimensione della parità di genere» nel «gestire la crisi e nell'elaborare soluzioni», nonché «a rivedere e a focalizzarsi sull'impatto immediato e a lungo termine della crisi economica sulle donne, esaminando in particolare se, e in che modo, essa accentua le disuguaglianze di genere esistenti e le relative conseguenze»;
la risoluzione del Parlamento europeo mette, inoltre, in evidenza il doppio impatto negativo che la crisi sta producendo sulle donne europee: un effetto «diretto», «con la perdita del posto di lavoro, i tagli salariali o la precarizzazione del lavoro» ed un effetto «indiretto», quale conseguenza «dei tagli di bilancio ai servizi pubblici e agli aiuti sociali»;
il 5 marzo 2010 la Commissione europea ha presentato la «Carta delle donne», un documento con il quale rafforza il suo impegno a favore della parità fra uomini e donne entro i successivi cinque anni;
è necessario registrare e apprezzare un cambiamento che, nel nostro Paese, ha visto le donne protagoniste di significativi passi in avanti in termini di una sempre maggiore presenza nelle istituzioni, nella vita economica e in quella sociale e politica: tale partecipazione, pur offrendo uno straordinario contributo alla crescita del Paese, è ancora, però, distante dagli obiettivi europei;
è per questo che appare fondamentale e strategico «approfittare» di questo movimento positivo per contrassegnare il semestre europeo a Presidenza italiana come centrale per il tema della parità e dell'occupazione femminile;
il programma della Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea prevede, infatti, in materia di pari opportunità, in vista del XX anniversario dell'adozione della Dichiarazione di Pechino e della relativa piattaforma d'azione, una valutazione approfondita dell'attuazione dal 2010 del lavoro volto a conseguire gli obiettivi nelle dodici «aree critiche» della piattaforma d'azione, nel contesto delle priorità e degli obiettivi politici dell'Unione europea, al fine di presentare una situazione aggiornata e indicare i risultati, le lacune e le sfide future per ciascun settore a livello sia europeo che nazionale: da tale valutazione dovrebbero derivare raccomandazioni per ulteriori azioni volte a promuovere la parità di genere nell'Unione europea, che serviranno come base utile per la definizione degli obiettivi per lo sviluppo post-2015;
per affrontare l'impegnativa sfida ad incrementare l'occupazione femminile è necessaria una valutazione attenta dell'impatto che la crisi economica e sociale in atto sta producendo sulla situazione occupazionale e sulla qualità della vita delle donne italiane: è da tempo noto, infatti, che il sistema economico italiano è caratterizzato da un basso grado di coinvolgimento della popolazione femminile in età attiva nel mercato del lavoro, un dato molto distante da quello dei Paesi dell'Unione europea comparabili all'Italia per livello di sviluppo economico, e gli effetti prodotti dall'andamento marcatamente negativo del ciclo economico, guidato dalla caduta della domanda, si sono riflessi in un peggioramento diffuso delle grandezze più rilevanti del mercato del lavoro: il tasso di disoccupazione ha toccato il 12,6, con un incremento dello 0,5 per cento nei 12 mesi, e si sono anche fortemente ridotte le possibilità quantitative e qualitative di accesso al mercato del lavoro per gli inattivi, in larga parte giovani e donne;
secondo il Global gender gap report 2013 stilato dal World economic forum, l'Italia si attesterebbe al 71esimo posto per quanto riguarda la partirà di genere: tale graduatoria, stilata ogni anno, valuta la disparità di genere di ogni Paese in base a quattro criteri principali: partecipazione economica, livello di istruzione, politiche di empowerment e rappresentanza nelle strutture decisionali, salute e sopravvivenza. L'Italia, sebbene abbia ottenuto un miglioramento rispetto al 2012, si attesta ad un livello inferiore rispetto ai principali Paesi europei, come Germania, Francia, Inghilterra ed altri;
il rapporto 2014 dell'Istat, pubblicato a marzo 2014, inoltre, ha restituito una fotografia a dir poco inquietante dello stato dell'occupazione femminile in Italia: i dati riportati sono, infatti, decisamente allarmanti. Nel 2013 il tasso di occupazione femminile si attesta al 46,5 per cento, segnando un ulteriore calo rispetto al dato 2012 (47,1 per cento), contro il 58,7 per cento della media Ue28 (59,8 Ue15). Il 2013, a differenza della ripresa dell'occupazione femminile registrata nel 2012 rispetto al 2011, evidenzia un calo dell'1,4 per cento rispetto al 2012;
il tasso di occupazione delle madri è pari al 54,3 per cento, mentre sale al 68,8 per cento per le donne in coppia senza figli. Particolarmente accentuati sono i divari territoriali: nel Mezzogiorno le madri occupate sono il 35,3 per cento contro il 66,4 per cento del Nord e il 61,5 del Centro;
seppure sia stata rilevata una lieve crescita del tasso complessivo di occupazione femminile, il dato suggerisce preoccupanti dinamiche negative, quali fenomeni di isolamento professionale, incremento di posizioni a bassa qualifica, una ricomposizione a favore di età più anziane quale conseguenza delle riforme pensionistiche: la quota di donne occupate in Italia rimane ancora di gran lunga inferiore a quella dell'Unione europea, si concentra in poche professioni e si associa a fenomeni di sovraistruzione crescenti e più accentuati rispetto agli uomini, anche l'aumento dell'offerta di lavoro femminile che si sta producendo nel periodo più recente è, più che un cambiamento profondo dei modelli di partecipazione, il risultato di nuove e diffuse strategie familiari volte ad affrontare le difficoltà economiche indotte dalla crisi;
sia dal rapporto Istat 2014 che dal rapporto Bes (Benessere equo e sostenibile) 2014 presentato il 26 giugno 2014, emergono le gravi difficoltà di conciliazione che incontrano le donne, in particolare quelle che continuano a lavorare dopo il parto, così come le laureate, le donne in età più avanzata, le dirigenti, le imprenditrici e le libere professioniste: la quantità di ore di lavoro, la presenza di turni o di orari disagiati (pomeridiano o serale o nel fine settimana) e la rigidità dell'orario sono indicati da più di un terzo delle occupate come gli ostacoli prevalenti alla conciliazione. Per le donne meno istruite risulta un impedimento anche l'eccessiva fatica fisica, mentre sulle più istruite gravano anche l'eccessiva distanza da casa, l'elevato coinvolgimento e le frequenti riunioni o trasferte. La disponibilità di persone o servizi cui affidare i bambini è un requisito imprescindibile per entrare o restare occupate. Le lavoratrici con figli di circa 2 anni si avvalgono principalmente dell'aiuto dei nonni (poco più della metà nel 2005 e nel 2012) o ricorrono al nido, pubblico o privato, con un deciso incremento rispetto al 2005 (35,2 per cento, contro il 27,4 per cento);
inoltre, nel 2013, le famiglie sostenute da una sola fonte di reddito da lavoro (famiglie monoreddito) sono in tutto 7 milioni 311 mila (+11,7 per cento rispetto al 2008; di cui 50 mila in più nell'ultimo anno). Nel 2013, quelle sostenute dal solo reddito femminile sono il 12,2 per cento, contro il 9,4 per cento del 2008. Sebbene in due casi su tre l'unico reddito da lavoro provenga ancora da un uomo, nell'ultimo quinquennio la crescita delle famiglie con un solo occupato è imputabile quasi esclusivamente all'aumento delle famiglie in cui l'unica persona occupata è una donna;
dall'inizio della crisi economica e finanziaria, il ritmo di crescita dell'occupazione femminile nelle professioni non qualificate è più che doppio rispetto a quello degli uomini e più che triplo nell'ambito delle professioni che riguardano le attività commerciali e i servizi: le professioni a cui hanno accesso sono, soprattutto, quelle di commesse alla vendita al minuto, colf e segretarie (1 milione 737 mila unità, 18 per cento del totale dell'occupazione femminile);
il nostro Paese risulta tra quelli maggiormente segnati da tale «doppio impatto negativo», soprattutto con riferimento alle ripercussioni della riduzione della spesa per i servizi alla persona: solo il 12,7 per cento circa dei bambini italiani frequenta gli asili nido (a fronte di una media superiore al 40 per cento di Belgio, Norvegia, Danimarca, Svezia, Francia, Paesi Bassi); la percentuale di donne che dichiara di lavorare part-time per conciliare lavoro e responsabilità familiari risulta del 33 per cento contro una media Ocse del 24 per cento (dati Ocde); il 40,8 per cento delle lavoratrici donne dichiara di aver abbandonato il lavoro dopo la nascita del primogenito, mentre il 5,6 per cento ammette di aver rinunciato alla propria vita professionale per dedicarsi alla famiglia o alla cura di parenti non autosufficienti (dati Isfol);
va considerata, inoltre, un'elevata sperequazione salariale legata alla differenza di genere: in media, la retribuzione netta mensile delle dipendenti resta inferiore di circa il 20 per cento di quella degli uomini (nel 2012, 1.103 contro 1.396 euro). In una carriera spesso contraddistinta, oltre che dalla maggiore presenza dei fenomeni di sovraistruzione, anche da episodi di discontinuità dovuti alla nascita dei figli, il differenziale salariale a sfavore delle donne aumenta con l'età, soprattutto per le laureate, svantaggio che si riduce solo nei casi di istruzione post laurea fino a rendere la differenza retributiva tra donne e uomini non più significativa;
il riconoscimento della parità di genere non è solo una questione diritti, ma soprattutto un investimento per il sistema Paese: l'occupazione femminile rappresenta un fattore produttivo che può fortemente contribuire alla crescita e allo sviluppo economico del Paese. Infatti, le ultime proiezioni della Banca d'Italia confermano che se fosse possibile aumentare il tasso di occupazione femminile al 60 per cento ciò comporterebbe un aumento del 9,2 per cento del prodotto interno lordo, a produttività invariata, e del 6,5 per cento se si considera l'effetto depressivo sulla produttività (minore qualificazione forza lavoro, rendimenti decrescenti): sulla stessa linea sono i dati pubblicati da Goldman Sachs, che evidenziano come il raggiungimento della parità di genere porterebbe a un aumento del prodotto interno lordo del 13 per cento nell'Eurozona e del 22 per cento in Italia; nella relazione della Commissione europea, pubblicata ad aprile 2012, sulla parità di genere, si asserisce che un maturo progresso verso la parità tra uomini e donne stimola la crescita economica: «per raggiungere l'obiettivo Europa 2020, di un tasso occupazionale del 75 per cento della popolazione adulta entro il 2020, i Paesi membri devono promuovere maggiormente la presenza delle donne nel mercato del lavoro. Un modo per accrescere la competitività dell'Europa consiste nel conseguire un migliore equilibrio tra uomini e donne nei posti di responsabilità in ambito economico. Vari studi hanno dimostrato che la diversità di genere apporta notevoli benefici e le aziende con una percentuale più alta di donne nei consigli di amministrazione sono più performanti rispetto a quelle guidate da soli uomini»;
è necessario che il nostro Paese si doti al più presto delle misure necessarie in materia di conciliazione familiare: asili nido, servizi per gli anziani, incentivi per lo sviluppo del settore privato dei servizi alla famiglia, promuovendo un'offerta di qualità a prezzi contenuti (il modello dei voucher sperimentato in Francia, Belgio e Regno Unito), incentivi al lavoro femminile, superamento delle discriminazioni e degli ostacoli, sia per quanto concerne l'accesso al mondo del lavoro delle donne, sia per quanto riguarda la loro crescita professionale e l'avanzamento in carriera;
con il decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, «Codice delle pari opportunità tra uomo e donna», venivano istituite le consigliere di parità, con qualificazione di pubblici ufficiali nell'esercizio delle proprie funzioni e con il ruolo esclusivo di contrasto e rimozione delle discriminazioni di genere nell'ambito lavorativo, attraverso la ricerca di una conciliazione tra le parti in via stragiudiziale o anche attraverso l'azione in giudizio, ai sensi degli articoli 36 e 37 del medesimo codice: nel corso degli ultimi anni si è registrata una forte riduzione degli stanziamenti per il fondo nazionale destinato all'attività delle consigliere di parità;
i 27 Paesi dell'Unione europea hanno approvato, a Bruxelles il 28 giugno 2013, un pacchetto di sostegno all'economia a favore dell'occupazione giovanile, che prevede otto miliardi di euro nei prossimi sette anni, di cui sei nel solo biennio 2014-2015, in modo da offrire alle persone con meno di 25 anni un lavoro, uno stage o un periodo di apprendistato entro quattro mesi dalla fine degli studi o dalla perdita del lavoro. La strategia è una risposta all'elevata disoccupazione di alcune regioni europee e all'emergere di partiti estremisti in numerosi Paesi membri;
l'Italia è stato il primo Paese europeo a dotarsi di una legislazione intervenuta per conciliare i tempi di vita con i tempi del lavoro, contribuendo così in modo sostanziale ad alimentare il dibattito europeo intorno alle politiche temporali, sia in ambito accademico sia in ambito politico ed amministrativo, avvenuto nel nostro Paese con un notevole anticipo rispetto alle altre realtà europee,
impegna il Governo:
a promuovere l'istituzione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero dell'economia e delle finanze, il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di una task force con l'obiettivo di rendere coerenti e coordinati tutti gli strumenti vigenti, anche supportando il lavoro di attuazione delle legge delega (jobs act), oltre che di programmare interventi per l'occupazione femminile e misure in favore della conciliazione vita-lavoro per uomini e donne;
a promuovere, nell'ambito del programma del Governo, la realizzazione di una conferenza nazionale finalizzata ad individuare gli obiettivi e le azioni che il Governo, le amministrazioni pubbliche, gli attori economici e sociali devono condividere e realizzare per la crescita dell'occupazione femminile, tenendo conto dei seguenti concetti chiave:
a) analisi della realtà anche attraverso la messa a punto di indagini che supportino la valutazione dell'impatto delle politiche sulle reali condizioni di vita di donne e di uomini, sapendo che tra loro sono diverse e disuguali;
b) empowerment, inteso nel senso della promozione delle donne nei centri decisionali della società, della politica e dell'economia, posto che la consapevolezza dell'aver maggior potere è uno stimolo per le donne per aumentare la propria autostima, autovalorizzarsi e far crescere le competenze e le abilità;
c) prospettiva di genere intesa come promozione della persona per tutto il ciclo della vita, tenendo conto delle differenze di ogni fase dell'esistenza e della naturale diversità tra i sessi e del fatto che praticare la prospettiva di genere richiede a tutti un grande cambiamento culturale che metta al centro dell'agenda politica i temi della valorizzazione delle risorse umane, del contrasto alle disuguaglianze, delle grandi riforme sociali;
a realizzare azioni di cooperazione internazionale per promuovere la tutela dei diritti delle donne nei Paesi del sud del mondo ed in via di sviluppo, con il fine di contribuire ad una crescita equa e sostenibile;
a promuovere un approfondimento sulla strategia a sostegno dell'occupazione femminile nell'ambito dell'azione di lungo periodo dell'Unione europea in materia di pari opportunità, che vada nella direzione di rafforzare la convinzione che il necessario rinnovo del modello socio-economico europeo in un'ottica di genere è fondamentale per il futuro dell'Unione europea;
ad assumere iniziative per prevedere incentivi per le imprese che assumono a tempo indeterminato manodopera femminile, per mezzo, anche, di una detassazione del lavoro femminile, misura di immediato impatto sul mercato del lavoro, poiché domanda e offerta di lavoro femminile risultano molto più elastiche, mediamente, di domanda e offerta di lavoro maschile, nonché incentivi fiscali per facilitare l'instaurazione di nuovi rapporti di lavoro per l'assunzione delle lavoratrici divenute madri che rientrano, almeno nei tre anni successivi al parto, al fine di controbilanciare la minore spendibilità nel mercato del lavoro delle neo mamme, aumentandone le possibilità di occupabilità, nonché l'implementazione degli incentivi fiscali, oltre alla riduzione del 50 per cento sui contributi previdenziali già in vigore, per le imprese che fanno assunzioni in sostituzione di personale in astensione dal lavoro per maternità obbligatoria e facoltativa nonché per malattia del bambino;
ad incoraggiare le iniziative, pubbliche e private, volte all'innovazione di modelli sociali, economici, culturali e organizzativi per rendere compatibili sfera privata e sfera lavorativa, così da migliorare la qualità della vita, consentire alle lavoratrici ed ai lavoratori di conciliare le proprie responsabilità professionali con quelle familiari, di educazione e cura dei figli e consolidare la sperimentazione di azioni positive per la conciliazione famiglia-lavoro, come stabilito dall'articolo 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53, in modo tale da intercettare i nuovi bisogni di conciliazione emersi, ampliando la platea dei potenziali beneficiari ed aggiornando il novero degli interventi meritevoli di accesso ai finanziamenti, ottimizzandone l'investimento in termini di progettualità, evitando un eccessivo gap tra progetti candidati ed ammessi, e rendendone le regole semplici e chiare anche attraverso un raccordo con altri strumenti di supporto alle imprese, quali gli incentivi ai contratti di rete, e ad incentivare fiscalmente le imprese ad attivare e/o implementare nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori, iniziative innovative di organizzazione del lavoro family friendly e di welfare aziendale ed interaziendale e la conciliazione famiglia-lavoro, anche prevedendo incentivi fiscali per rafforzare il ricorso al congedo di maternità-paternità nella gestione aziendale delle imprese;
a prevedere, in sede di semplificazione della normativa sul lavoro, la possibilità di adottare modalità di flessibilità organizzativa che consentano una più elastica articolazione spazio-temporale della prestazione lavorativa, prevedendone la contrattazione e la regolazione a livello di contrattazione sia nazionale che territoriale o aziendale e che includano una semplificazione del ricorso all'utilizzo del telelavoro, coerentemente con quanto previsto dal disegno di legge sul cosiddetto smart working;
a promuovere il fondo nazionale per lo sviluppo dell'imprenditoria femminile istituito dall'articolo 3 della legge n. 215 del 1992, adesso disciplinato dall'articolo 54 del decreto legislativo n. 198 del 2006;
a monitorare la piena attuazione del decreto del Presidente della Repubblica 30 novembre 2012, n. 251, sulla parità di accesso agli organi di amministrazione e di controllo nelle società pubbliche, affinché sia garantita la presenza delle donne nella pubblica amministrazione e nelle società pubbliche.
(1-00615) «Speranza, De Micheli, Pollastrini, Martella, Roberta Agostini, Fregolent, Garavini, Martelli, Gnecchi, Valeria Valente, Gregori, Villecco Calipari, Iacono, Pes, Cimbro, Iori, Campana, Albanella, Narduolo, Marzano, Cenni, Cominelli, Coscia, D'Incecco, Murer, Carocci, Scuvera, Carnevali, Morani, Sgambato, Giacobbe, Amoddio, Malpezzi, Coccia, Giuliani, Cinzia Maria Fontana, Manzi, Malisani, Maestri, Ascani, Paola Bragantini, Schirò, Sbrollini, Zampa, Miotto, Capone, Gullo, Palma, Sereni, Piccione, Carrozza, Casellato, Rossomando, Blazina, Simoni, Bargero, Carra, Moretto, Venittelli, Ghizzoni, Fabbri».
La Camera,
premesso che:
le anticipazioni sulle previsioni 2014-2015 contenute nel Rapporto Svimez 2014 evidenziano ancora una volta un Paese segnato da un sud sempre più arretrato economicamente. Nel 2013 il divario di Prodotto interno lordo pro capite è tornato ai livelli di dieci anni fa. Negli anni 2008-2013 i consumi delle famiglie sono crollati del 13 per cento circa, gli investimenti nell'industria addirittura del 53 per cento, i tassi di iscrizione all'università tornano ai primi anni del duemila e per la prima volta il numero di occupati ha sfondato, al ribasso, la soglia psicologica dei 6 milioni, il livello più basso dal 1977. In cinque anni le famiglie assolutamente povere sono aumentate di due volte e mezzo, da 443.000 a 1.014.000; sono in diminuzione anche i consumi (-2,4 per cento) e gli investimenti fissi lordi (-5,2 per cento);
tra il 2008 e il 2013 l'occupazione nel Mezzogiorno è diminuita del 9 per cento, a fronte del -2,4 per cento del Centro-Nord. Delle 985.000 persone che in Italia hanno perso il posto di lavoro, 583.000 sono residenti nelle regioni meridionali. Una flessione che riporta il numero degli occupati del Sud, per la prima volta nella storia, a 5,8 milioni, il livello più basso dal 1977;
i dati INPS sulle politiche attive per il lavoro evidenziano una sostanziale prevalenza in Campania di provvedimenti volti all'assunzione agevolata di disoccupati o beneficiari di Cig straordinaria da almeno 24 mesi o di giovani già impegnati in borse di lavoro;
purtroppo, la Youth Guarantee – destinata ad incrementare l'occupazione dei giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni e che ha portato in dote alla Campania un tesoretto di circa 200 milioni (spalmato su iniziative di vario genere) – non ha, al momento, raggiunto gli obiettivi auspicati. Ciò fa ritenere che sarebbe stato più efficace – forse – destinare questi fondi a poche ma incisive iniziative, anziché ad una frammentata serie, anche alla luce delle due negative peculiarità che incidono sul quadro occupazionale della Campania: il lavoro nero e la criminalità organizzata. In quest'ottica, meritevole di straordinaria attenzione è, da un lato, l'apprendistato scuola-lavoro che ha la precipua finalità di formare i giovani tra i banchi di scuola (in quella delicata età in cui sono più facilmente vittime delle lusinghe della criminalità organizzata), dall'altro, un oculato utilizzo della leva degli sgravi fiscali e contributivi in favore delle imprese per l'assunzione dei giovani, anche in chiave di disincentivo al lavoro nero;
peraltro, l'attuazione della Youth Guarantee è stata per lo più affidata a strutture obsolete e talora inefficienti, anche per mancanza di risorse, come i centri per l'impiego, che riescono ad intermediare solamente il 2 per cento del lavoro in Italia. Certo occorre anche ricordare che lo Stato investe su essi solamente circa 500 milioni di euro, contro i 5,6 miliardi della Francia e i 9 miliardi della Germania;
il Pil dell'Italia non è più aumentato dal secondo trimestre del 2011 e anche per il secondo semestre di quest'anno risulta in ulteriore diminuzione (l'Istat conferma il dato tendenziale in lieve peggioramento: dal -0,2 per cento al -0,3 per cento). Da una parte, dunque, abbiamo il Nord del Paese che riparte, anche se in maniera non particolarmente incisiva, dall'altra il Sud che, pur arrestando la caduta, presenta dati ancora in negativo;
la stessa dinamica si prevede per il 2015 e, in questo quadro generale, il Mezzogiorno perde ancora giovani e vive quasi una seconda grande migrazione: fenomeno che dal 2001 ha prodotto un saldo netto di 708.000 persone, di cui 494.000 tra 15 e 34 anni;
in questa situazione, di per sé già grave, il rapporto Svimez sottolinea che non è solo la recessione ad accentuare il divario tra Nord e Sud, ma anche la spesa pubblica per investimenti che è calata in misura ancor maggiore. Nel 2012, la spesa aggiuntiva per la macroarea è infatti diminuita del 67,3 per cento del totale nazionale, ampiamente al di sotto della quota dell'80 per cento fissata per la ripartizione delle risorse aggiuntive tra aree depresse;
nel Sud esistono poli di eccellenza da sviluppare e sostenere (si pensi, ad esempio, al CEINGE, il centro di ricerca in biotecnologie avanzate di Napoli impegnato in ricerche su un antidoto per il virus ebola). Su questi innovativi poli scientifici e tecnologici occorre investire per creare le premesse per una maggiore attrattività per il Sud, considerando anche i possibili interessi degli investitori internazionali;
purtroppo, la crisi persistente ha determinato, invece, un processo di disinvestimento con conseguente ridimensionamento dell'apparato produttivo che ha innescato il rischio, nel Mezzogiorno d'Italia, di una vera e propria desertificazione industriale;
è diventato, dunque, improcrastinabile promuovere la competitività del Paese attraverso investimenti mirati in infrastrutture su tutto il territorio nazionale e, soprattutto, nel Mezzogiorno ed in Campania, ben oltre gli stanziamenti decisi dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti: su una tranche di 15 opere infrastrutturali per 1.664 milioni di euro, ricadono nel Mezzogiorno solamente 90 milioni di euro per la metropolitana di Napoli, 60 milioni di euro per la rete ferroviaria pugliese e 143 milioni di euro per la Sardegna per sicurezza svincoli stradali: vale a dire appena il 17,8 per cento del totale (ciò al di là dei limiti dimostrati dalle regioni meridionali nella spesa dei fondi veicolati dalle politiche di coesione europee, come nella spesa ai fini delle opere di manutenzione per le quali è tristemente noto che su 16.640 mila chilometri di rete ferroviaria in Italia, il Mezzogiorno ne detiene 5.730 ma con il più alto numero di chilometri a binario singolo e con il 41 per cento di rete non elettrificata);
sotto altro profilo, è diventato improcrastinabile promuovere la competitività del Mezzogiorno attraverso investimenti in innovazione e formazione;
in particolare, il Mezzogiorno si compone per la gran parte di piccole e medie imprese che, se da un lato brillano per la qualità dei risultati, come emerge da un recente rapporto di Confartiginato (Progetto Sud), dall'altro non tendono all'internazionalizzazione stentando per esempio ad avviare importanti processi di digitalizzazione, né tantomeno investono in formazione interna, che è fondamentale componente della produttività;
nel rapporto su «L'economia della Campania» pubblicato nel Rapporto annuale della Banca d'Italia (giugno 2014) è emerso che nel settore industriale in Campania, il fatturato è aumentato soprattutto per le imprese con elevata propensione all’export e gli investimenti hanno mostrato una dinamica migliore rispetto agli anni recenti, seppure limitatamente alle aziende di maggiore dimensione. Nell'edilizia, il calo di attività è stato più netto per le imprese fortemente dipendenti dalla domanda di opere pubbliche;
sul mercato del credito, la dinamica dei prestiti si presenta assai negativa e si sono acuite le difficoltà di rimborso: alla fine del 2013 oltre un terzo dei prestiti erogati alle piccole imprese campane e circa un quarto di quelli erogati alle medio-grandi imprese erano classificati in sofferenza. È emersa tuttavia una lieve attenuazione della restrizione nelle condizioni di accesso al credito probabilmente dovuta ad una migliorata situazione di liquidità, favorita anche dal rimborso dei crediti commerciali verso la pubblica amministrazione;
lo scorso anno, più del 60 per cento delle famiglie campane ha giudicato inadeguate le proprie risorse economiche: il dato è conseguenza, soprattutto, dell'alta disoccupazione e della debolezza dei salari, con l'aggravio di un carico fiscale che, nelle componenti legate all'autonomia impositiva degli enti locali, è superiore alla media nazionale;
secondo l'indagine campionaria sul turismo internazionale della Banca d'Italia, nel 2013 sono aumentati sia gli arrivi sia le presenze di turisti stranieri in Campania (7,7 per cento e 4 per cento sull'anno precedente, rispettivamente). Rispetto al 2012 sono tornate a crescere presenze presso strutture alberghiere o case in affitto; inoltre, la spesa sostenuta dai viaggiatori stranieri sul territorio regionale è lievemente aumentata (1 per cento). Nel 2013 la spesa dei turisti stranieri ha rappresentato il 4,3 per cento del totale nazionale e l'1,5 per cento del Pil regionale (2,1 per cento in Italia). Tutto ciò rende evidente la necessità di maggiori investimenti nel settore turistico, attualmente più attrattivo rispetto ad altri settori;
la situazione dei trasporti risulta assai problematica: limitandoci all'analisi del solo traffico passeggeri negli scali portuali campani, esso è diminuito del 6,5 per cento lo scorso anno (-1,2 per cento nel 2012); contemporaneamente è proseguito il calo dei crocieristi (-3,4 per cento), nonostante l'aumento rilevato nel porto di Salerno. Le merci movimentate sono cresciute del 3,8 per cento, mentre è diminuito del 2 per cento il traffico di container, consolidando una tendenza in atto dal 2008. La quota di mercato campana del traffico container italiano è calata negli ultimi dodici anni di 3 punti percentuali (dal 10,3 per cento del 2001 al 7,4 per cento del 2013), a fronte di una sostanziale stabilità della quota meridionale. Il calo è stato in buona parte determinato, da un lato, dal mancato adeguamento dell'infrastruttura portuale napoletana al fenomeno del gigantismo navale, dall'altro, dalla mancanza di programmi e governance in grado di consentirne un efficace ed efficiente funzionamento, rischiando in tal modo anche la dispersione dei fondi europei;
sotto il profilo degli investimenti, secondo i dati del Sistema informativo delle operazioni degli enti pubblici (Siope), che rileva gli incassi e i pagamenti effettuati dalle PA, nel 2013 i pagamenti per investimenti sostenuti dalle amministrazioni locali campane sono diminuiti del 3,6 per cento rispetto all'anno precedente;
il 2013 è stato il settimo anno di attuazione del ciclo di programmazione 2007-2013: le risorse a disposizione della Campania, la cui certificazione dovrà essere completata entro la fine del 2015 pena il loro disimpegno, sono gestite nell'ambito di due Programmi operativi regionali (POR), uno relativo al Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) e l'altro al Fondo sociale europeo (FSE). Dalla fine del 2011 il sensibile ritardo nell'attuazione finanziaria dei due programmi ha reso necessaria l'adozione di interventi correttivi concordati tra Governo e regione, tra i quali ingenti riduzioni di quote di cofinanziamento nazionale. La dotazione finanziaria complessiva dei POR, inizialmente di 8 miliardi, è così scesa a 5,4 miliardi a dicembre del 2013 (poco meno di 4,6 miliardi per il FESR e di 900 milioni per il FSE);
l'irrisolta questione legata al rischio ambientale in Campania – si consideri nello specifico il territorio della cosiddetta Terra dei Fuochi – reca grave pregiudizio per un realistico rilancio del settore industriale e turistico: risulta perciò improcrastinabile un efficace sostegno alle politiche ambientali del Mezzogiorno,
impegna il Governo:
ad attivare un puntuale sistema di monitoraggio sullo stato di attuazione e di avanzamento degli interventi finanziati con i Fondi strutturali, al fine di impedirne la dispersione e garantirne un utilizzo efficace e rispondente alle reali esigenze territoriali;
a promuovere un più tempestivo utilizzo delle disponibilità finanziarie provenienti dai fondi strutturali dell'Unione europea al fine di attenuare gli effetti del calo della domanda interna in tutto il Paese, con particolare riferimento alla regione Campania;
a garantire, con la massima tempestività risorse adeguate per le politiche di recupero e promozione del patrimonio culturale e paesaggistico del Sud, ponendo particolare attenzione ai siti UNESCO e attingendo, se necessario, alla dotazione residua della programmazione 2007-2013;
a potenziare i finanziamenti a favore della ricerca scientifica e industriale, dell'innovazione tecnologica e del settore infrastrutturale, programmando parte della dotazione prevista attraverso i Fondi aggiuntivi comunitari e nazionali (FESR, FSE, PAC, FSC e FSR), nel rispetto dei principi di semplificazione e di trasparenza dei procedimenti amministrativi, e provvedendo ad effettuare i controlli e ad erogare, le risorse finalizzate a tali interventi;
a predisporre programmi e risorse adeguati per mettere in sicurezza e garantire una più efficiente gestione del traffico passeggeri e merci negli scali portuali campani, in particolare in quello di Napoli, superando l'annosa questione della governance;
ad avviare politiche di sostegno alla creazione di filiere produttive con particolare attenzione al comparto turistico e al settore della green economy;
a destinare con maggiore incisività i Fondi strutturali a progetti legati all'innovazione, all'occupazione e all'inclusione sociale al fine di garantire una maggiore attenzione alle politiche attive del lavoro;
a favorire la diffusione delle informazioni per un più facile accesso agli aggiornamenti sullo stato delle destinazioni più rilevanti dei finanziamenti comunitari;
ad adottare opportune iniziative per la realizzazione di interventi che consentano la totale messa in sicurezza dei territori italiani, riservando particolare attenzione al meridione e alla Campania, sia sul fronte del dissesto idrogeologico che su quello dell'inquinamento ambientale, garantendo, con risorse adeguate, il prosieguo dei processi di bonifica in corso;
a porre particolare attenzione, attraverso un monitoraggio continuo, allo stato di salute delle piccole e medie imprese, attualmente in forti difficoltà, disponendo ogni utile iniziativa atta ad agevolare l'accesso al microcredito, che è quello che negli ultimi anni ha permesso di rilanciare l'economia di Paesi in crisi.
(1-00648) «Antimo Cesaro, Catania, Cimmino, D'Agostino, Sottanelli, Mazziotti Di Celso, Matarrese, Vargiu, Librandi, Capua».
La XIII Commissione,
premesso che:
il tema prescelto dall'Italia per l'Esposizione universale del 2015, «Nutrire il pianeta, energia per la vita», rappresenta una delle grandi sfide globali di questa epoca: ha focalizzato l'attenzione sugli aspetti generali e culturali dell'accesso al cibo, della sicurezza alimentare, della nutrizione, della sostenibilità dei sistemi alimentari, della riduzione della povertà e dell'uso corretto delle risorse del pianeta;
nell'indicare questa sfida, l'Italia si allinea al lavoro delle organizzazioni internazionali che stanno predisponendo ogni strumento utile per far progredire la comunità globale sui temi della sicurezza alimentare, sulla sconfitta della fame e della denutrizione, sull'aggressione ai temi della diseguale distribuzione del cibo;
pervenire a una strategia globale comune significa molte cose: accrescere le scorte alimentari, riducendo sensibilmente l'impatto ambientale dell'agricoltura in tutto il mondo, ricercare l'equilibrio tra la necessità di produrre cibo sufficiente e il dovere di tutelare il pianeta per le generazioni future;
ripartire dalla terra e dalle sementi significa occuparsi seriamente del modello di sviluppo, parlare di economia in termini nuovi, estendere il concetto di democrazia all'accesso al cibo; significa parlare di ambiente, di clima, di salute, di corretto uso del suolo, interrogarsi sul reddito degli agricoltori e sull'abbandono delle campagne;
la grande forza contenuta nel tema scelto per Expo 2015 sta infatti nell'opportunità di svolgere questa matassa: i semi, la produzione agricola, l'accesso al cibo e alla terra, la remunerazione adeguata degli agricoltori che, con il loro lavoro, non si limitano a seminare, curare la terra e i prodotti, ma presidiano il suolo, evitano frane, alluvioni e, se le loro pratiche sono corrette, contribuiscono al contrasto dei mutamenti climatici e al risparmio idrico; se scelgono pratiche biologiche contribuiscono alla nostra salute e a quella della terra, ed ancora affrontare il tema degli scambi e del commercio internazionale, così come lo sviluppo locale;
«Nutrire il pianeta» significa provare ad accorciare le distanze tra Occidente e Sud del mondo, arginare la corsa alla terra, invertire la rotta di un pianeta impazzito in cui il numero dei bambini obesi sta superando quello dei bambini che non hanno accesso al cibo;
la creazione di un modello di consumo e produzione sostenibili necessita di un intervento globale in cui le azioni dei Governi e delle istituzioni siano tese alla protezione e alla conservazione delle risorse del pianeta, allo sviluppo sostenibile, ad un uso efficiente delle risorse, alla lotta contro la fame e ad affermare il diritto alla sicurezza alimentare per tutti gli abitanti del pianeta;
pesano sulla coscienza dell'Occidente, dell'Europa e del nostro Paese gli sprechi alimentari, si tratta di 1,3 miliardi di tonnellate di cibo commestibile sottratto alla sua funzione vitale, pari ad un terzo della produzione globale di alimenti e quattro volte la quantità necessaria a nutrire i 925 milioni di persone nel mondo a rischio denutrizione (dati FAO);
gli sprechi alimentari gravano, inoltre, sul clima, sulle risorse idriche, sul suolo e sulla biodiversità; la decomposizione dei rifiuti alimentari produce metano, gas ed effetti serra; ogni chilogrammo di cibo prodotto comporta oltre 4,5 chilogrammi di CO2 equivalente;
l'agricoltura industrializzata concorre alla responsabilità del riscaldamento globale, emette più gas serra di tutti i mezzi di trasporto messi insieme a causa del metano prodotto dagli allevamenti intensivi e dalle risaie, del protossido di azoto dei campi fertilizzati e dell'anidride carbonica che deriva dal disboscamento delle foreste pluviali per liberare terreni da coltivare o adibire a pascolo;
l'agricoltura intensiva è la maggiore fonte di consumo e inquinamento dell'acqua, il deflusso di fertilizzanti e letame devasta i fragili equilibri di laghi, fiumi ed ecosistemi costieri; essa accelera anche la perdita della biodiversità, cancellando habitat importanti, accelerando l'estinzione della flora e della fauna selvatica;
la visione attuale dello sviluppo agricolo pone sfide ambientali enormi, rese ancora più pressanti dal crescente bisogno di cibo in tutto il mondo conseguente alla crescita demografica e alla diffusione del benessere soprattutto in Cina e in India, che fa aumentare la domanda di carne, uova e latticini e, di conseguenza, la necessità di coltivare granturco e soia per nutrire un numero sempre maggiore di bovini, polli e maiali;
il dibattito sulla sfida alimentare si è polarizzato su posizioni contrastanti che oppongono l'agricoltura convenzionale e il commercio mondiale ai sistemi alimentari locali e alle piccole fattorie biologiche, non c’è, tuttavia, contraddizione tra una maggiore competitività e modernizzazione del comparto agricolo e la sua capacità di adottare pratiche sostenibili;
è necessario concentrarsi sulle sfide prioritarie per sfamare l'intera umanità evitando di danneggiare il clima e l'ambiente e questo è possibile sviluppando la ricerca e l'innovazione in agricoltura al fine di:
a) rendere più produttivi i terreni utilizzando l'alta tecnologia, i sistemi agricoli di precisione, ma anche i metodi della coltivazione biologica per aumentare drasticamente le rese delle terre meno produttive, soprattutto in Africa, in America Latina e in Europa Orientale;
b) usare le risorse in maniera più efficiente tramite un'applicazione mirata di fertilizzanti e pesticidi, che riducano al minimo il deflusso delle sostanze chimiche nei corsi d'acqua e sostenere la strategia more crop per drop (più raccolto per ciascuna goccia), anche attraverso l'estensione dei terreni coltivati ad agricoltura biologica;
c) modificare la dieta per nutrire nove miliardi di persone; oggi solo il 55 per cento delle calorie dei cibi coltivati nutre direttamente le persone, il resto alimenta il bestiame (circa il 36 per cento) o viene trasformato in biocarburanti e prodotti industriali (circa il nove per cento); si devono trovare modi più efficienti per allevare il bestiame ed è necessario consumare meno carne, passando dall'allevamento intensivo all'allevamento a pascolo e riducendo l'uso di sostanze alimentari per la produzione di biocarburanti nel mondo ci sarebbe molto più cibo;
d) ridurre gli sprechi; si calcola che il 25 per cento delle calorie da cibo e fino al 50 per cento del peso totale del cibo vadano perduti o sprecati prima di essere consumati;
il 19 gennaio 2012, il Parlamento europeo ha approvato in seduta plenaria la risoluzione su come «Evitare lo spreco di alimenti: strategie per migliorare l'efficienza della catena alimentare nell'UE» in cui si definisce lo «spreco alimentare» e si pone l'obiettivo di ridurre del 50 per cento gli sprechi alimentari entro il 2015 e di dedicare il 2014, anno europeo contro lo spreco alimentare, al miglioramento dell'efficienza della catena alimentare degli Stati membri;
anche il Parlamento nazionale è già intervenuto sullo spreco alimentare con atti di indirizzo centrati sulle misure da adottare per combatterlo e ridurlo e per promuovere la necessità di un «patto globale del cibo» tra i partecipanti all'Expo;
tra le macroquestioni che riguardano la sicurezza alimentare spicca la parità di genere e l’empowerment delle donne, quali condizioni fondamentali per sradicare la fame e la malnutrizione nel mondo; le donne svolgono un ruolo essenziale sia come produttrici di cibo attraverso piccole attività agricole, allevamento e pesca, sia come amministratrici delle risorse naturali;
la centralità dei temi legati ai diritti delle donne è stata riconosciuta anche dal Ministero degli affari esteri italiano, che ha promosso il progetto Women for Expo per affrontare a livello globale le politiche di genere e la realizzazione di una «Carta delle donne sulla sicurezza alimentare», nella quale sono impegnate le tre agenzie del polo agroalimentare delle Nazioni unite di Roma;
il 2014 è l'anno internazionale dell'agricoltura familiare, cui è dedicato un capitolo all'interno della politica comune europea (PAC) ed è, quindi, necessario sviluppare politiche appropriate a supporto di specifico settore perché è ormai certo che al suo interno si preserva meglio la biodiversità;
nel contesto dell'agricoltura familiare, che nutre circa il 70 per cento del pianeta, sono numerose le conoscenze che si trasmettono tra genitori e figli, ed è importante che l'Expo divenga il luogo d'elezione per mostrare al mondo le buone pratiche in termini di politiche agricole che mettono l'accento sui modelli sostenibili;
il ruolo delle donne e l'agricoltura familiare sono fondamentali per conseguire un modello di crescita economica equo e inclusivo, in grado di garantire il recupero di aree incolte e la nascita di nuove attività agricole laddove ce n’è più bisogno per consentire alle persone indigenti di produrre e acquistare sul posto almeno gli alimenti essenziali per sfamarsi e per crescere i propri figli;
nei prossimi decenni le regioni europea e mediterranea dovranno far fronte all'impatto di cambiamenti climatici particolarmente negativi, i quali, combinandosi agli effetti dovuti alle pressioni antropiche sulle risorse naturali, faranno dell'Europa meridionale e del Mediterraneo le aree più vulnerabili del continente;
le proiezioni climatiche per il futuro indicano un aumento delle temperature in tutte le regioni europee e un aumento degli eventi estremi (inondazioni costiere e fluviali), che potranno mettere a rischio vite umane e infrastrutture, le disponibilità idriche diminuiranno specialmente nella regione mediterranea, diventando fattore limitante della produzione agricola; i cambiamenti climatici sono destinati ad avere impatti gravi anche sulla biodiversità con il rischio di estinzione di varie specie;
l'area mediterranea risulta essere quella a maggior rischio di crisi sistemica, per effetto della concomitanza di molteplici fattori di stress climatico che impattano negativamente su settori diversi;
per quel che attiene alla produzione agricola in Italia i cambiamenti climatici produrranno una potenziale riduzione della produttività soprattutto per le colture di frumento, ma anche di frutta e verdura, mentre le coltivazioni di ulivo, agrumi, vite e grano duro potrebbero essere possibili nel nord dell'Italia, mentre nel Sud la coltivazione del mais potrebbe peggiorare e risentire ancor più della scarsa disponibilità di acqua irrigua;
anche per questo all'interno del programma della presidenza italiana per il semestre europeo un capitolo importante è dedicato al quadro delle politiche dell'energia e del clima per favorire il rapido sviluppo del «Quadro 2030» dell'Unione europea in materia di clima ed energia, indispensabile al fine di garantire la continuità delle politiche climatiche ed energetiche dell'Unione europea, nonché per assicurare il necessario grado di stabilità e prevedibilità per gli operatori economici;
l'Italia ha iniziato nel 2012 l'elaborazione di una strategia nazionale di adattamento, che è in corso di aggiornamento e che dovrà essere presentata quest'anno, le misure riguardano vari settori e prevedono opere di difesa idraulica del territorio, restauro ecosistemi acquatici, lotta all'erosione, sistemi di difesa delle colture agrarie, piani di allerta, sistemi di previsione e allarme e rafforzamento della protezione civile, strategie di pianificazione urbanistica e territoriale, interventi sugli edifici pubblici, miglioramento della qualità dell'aria urbana;
in tale contesto si delinea la funzione straordinaria dell'agricoltura, il suo compito di presidio e cura della terra, del suolo bene comune, messi pesantemente in discussione da forme di abbandono della terra, e dalla cementificazione di terreno agricolo;
negli ultimi 40 anni, secondo i dati del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, sono andati perduti circa 5 milioni di ettari, una cifra spaventosa che va tradotta in superficie non coltivata, in terrazzamenti abbandonati, di cui ci si accorge dopo il disastro o quando nei mercati si fa fatica a trovare prodotti italiani;
è una rotta pericolosissima quella che si è intrapresa, ma l'inversione di tendenza è possibile promuovendo un'agricoltura che riduca l'apporto di input esterni, che immagazzini CO2, che utilizzi fonti rinnovabili, che accresca e favorisca l'agricoltura biologica, che privilegi la biodiversità e la rotazione alla monocoltura industrializzata, che conservi e riproduca le propria ricchezza sementiera, che privilegi colture a basso consumo idrico, che recuperi e conservi la risorsa idrica, che attui politiche di adattamento ai mutamenti climatici e che guardi al futuro modificando le proprie politiche;
da anni, a livello nazionale, europeo e globale si è avviato un intenso dibattito sul tema delle sementi, strettamente legato ai grandi temi della sovranità e della sicurezza alimentare, dei mutamenti climatici, della competitività e della remunerazione degli agricoltori;
negli ultimi dieci anni tale mercato ha subito un grande processo di ristrutturazione e di concentrazione nella mani di pochi soggetti che, provenendo dal settore dei prodotti chimici per l'agricoltura, si sono interessati al business del mercato globale delle sementi quando l'ingegneria genetica è stata applicata alle piante, tanto che oggi quasi il 60 per cento del mercato mondiale delle sementi è nelle mani di quattro multinazionali (Monsanto, Dupont, Sygenta, Bayer), per un volume di affari di circa 15 miliardi di dollari l'anno;
le citate multinazionali hanno brevettato un alto numero di sementi che hanno reso, una grandissima parte dell'agricoltura, del tutto dipendente dall'acquisto di fertilizzanti, erbicidi e sementi riprodotti in grandi quantità, ottenendo sostanzialmente il monopolio del settore;
i brevetti sono fattori fondamentali della concentrazione del mercato nelle mani delle multinazionali che sono riuscite in tal modo a togliere dalle mani dell'attore principale, l'agricoltore, una pratica ancestrale, quella della riproduzione e della conservazione dei propri semi;
la brevettazione delle sementi richiede procedure costose ed ha come conseguenza l'aumento dei prezzi e la costante sparizione dal mercato delle varietà tradizionali, quelle riprodotte e selezionate naturalmente; in tal modo, lo scopo fondamentale del cibo, quello di nutrire gli esseri umani e il pianeta, viene piegato agli interessi economici di poche multinazionali;
il valore della biodiversità è tuttavia ben noto a questi grandi e potenti gruppi, perché tra le pratiche più recenti c’è la bio pirateria, e cioè la ricerca di varietà locali non registrate, la parziale modifica di queste varietà e il tentativo di brevetto su quello che viene spacciato quale prodotto di ricerca;
la FAO ha stimato che in 100 anni si registrerà la perdita del 75 per cento della biodiversità agricola a causa della diffusione globale di poche varietà vegetale. Alla fine del secolo scorso in Italia esistevano oltre 400 varietà di frumento, mentre dal 1996 solo 8 varietà di frumento duro costituivano l'80 per cento del seme messo a coltura. Secondo alcuni studiosi il 50 per cento del grano negli USA è rappresentato da 9 varietà. Il 75 per cento delle patate da 4 varietà, il 50 per cento della soia da 6 varietà, il 74 per cento delle varietà di riso in Indonesia discende da un solo medesimo ceppo;
la distruzione della biodiversità, l'impoverimento dei suoli ove si pratica monocoltura ed agricoltura intensiva, vanno avanti nonostante i risultati assai deludenti nelle rese delle piante geneticamente modificate che non producono più di quelle tradizionali, come dimostrano i dati reperibili nel sito del dipartimento di agricoltura degli Usa che monitora le produzioni di mais e soia dal 1977 al 2007, confermando che l'interesse a continuare sulla strada intrapresa da poche multinazionali non riguarda, come si vuol far credere la lotta alla fame nel mondo, ma la proprietà industriale dei semi e il monopolio che ne deriva;
la manipolazione genetica delle varietà vegetali porta all'appiattimento e all'omologazione disperdendo quella ricchezza e quella diversità che per secoli ha consentito ai contadini di riprodurre i propri semi, di scambiarli, di conservarli, di selezionarne i più adatti al terreno, al clima, alle necessità produttive, alla pioggia o alla siccità, alla pianura o alla montagna;
le normative nazionali e dell'Unione europea non hanno favorito le varietà locali, imponendo un procedimento di registrazione molto complesso, obbligatorio ai fini della commercializzazione, una classificazione precisa e requisiti difficilmente riscontrabili in varietà non commerciali, norme chiaramente orientate a sostenere un modello di agricoltura industriale, poco adatto alla storia e al modello agricolo italiani;
dev'essere accolta, quindi, con favore, la formalizzazione dell'accordo politico raggiunto dai ministri dell'ambiente dell'Unione europea, che lascia liberi gli Stati membri di coltivare o vietare gli ogm sul proprio territorio; spetta ora alla presidenza italiana di turno dell'Unione, perfezionare la procedura;
la lunga battaglia contro l'obbligo di ospitare coltivazioni di OGM sul territorio italiano sembra vinta, con essa vincono le peculiarità territoriali, la scelta sostenuta da imprese ed istituzioni locali di valorizzare le produzioni locali e di accorciare le filiere, di affermare modelli agricoli diversi dall'agricoltura intensiva, basati sul valore competitivo della biodiversità, sulle varietà di semi e di colture che rappresentano un elemento identitario dei nostri territori e della nostra comunità nazionale,
impegna il Governo
ad adoperarsi, nell'ambito del semestre europeo di presidenza italiana e in tutte le sedi internazionali, affinché i frutti degli approfondimenti e delle conoscenze che scaturiranno da EXPO 2015 siano trasposti in un protocollo internazionale, sulla falsariga di quello di Kyoto e, per quanto riguarda il nostro Paese, in un atto di indirizzo secondo le seguenti linee:
a) utilizzare l'evento di Expo 2015 per creare cittadini informati e consapevoli sulla necessità di nutrire il pianeta, mediante messaggi molto semplici: un'alimentazione sufficiente, sicura e nutriente deve essere disponibile per tutti in ogni momento; l'alimentazione dei bambini è una priorità per lo sviluppo, tutti i sistemi alimentari devono essere sostenibili, posto che si può produrre più cibo tutelando al tempo stesso la biodiversità e l'ambiente, si deve investire nei piccoli agricoltori, uomini e donne, e si è tutti responsabili nell'eliminare perdite e sprechi;
b) attivarsi in ogni sede europea per bloccare regolamenti di riforma del sistema sementiero che intendano ledere il diritto dei cittadini europei a sistemi agricoli differenziati, per favorire il libero scambio di semi tra gli agricoltori e la biodiversità, compiendo una scelta netta e definitiva contro l'ingresso di ogm nel nostro Paese;
c) incrementare le risorse per la ricerca scientifica ed applicata in agricoltura, finalizzata all'adattamento delle colture ai cambiamenti climatici per le principali colture euro-mediterranee, e accrescere la produttività agricola nel contesto della tutela della biodiversità;
d) promuovere la semplificazione delle normative europee e nazionali sulle produzioni tipiche locali, incrementando i controlli e la sorveglianza sui prodotti, anche sementieri, e intervenendo anche con sanzioni pesanti a fronte della violazione delle norme;
e) sostenere la realizzazione di modelli di produzione e consumo più sostenibili attraverso una decisa azione di riduzione degli sprechi alimentari basata soprattutto sulla prevenzione e sul riutilizzo degli alimenti edibili per il consumo umano e animale e, solo come opzione successiva, prevedere il loro smaltimento come rifiuto per produzione di energia;
f) favorire, nell'ottica dello «spreco zero», gli accordi della filiera agroalimentare affinché tutti i soggetti coinvolti abbiano una precisa responsabilità nella riduzione degli sprechi, prevedendo misure di informazione e sensibilizzazione degli operatori dell'intera filiera del cibo per incentivare comportamenti responsabili e consapevoli, anche utilizzando la fiscalità ambientale per incentivare i comportamenti corretti e scoraggiare gli abusi;
g) orientare le politiche agricole e le risorse a favore dell'agricoltura contadina familiare, per favorire una produzione alimentare sostenibile volta alla conservazione della biodiversità delle specificità locali, dello sviluppo globale dell'economia, della sicurezza alimentare e della salvaguardia ambientale, migliorando le condizioni sociali ed economiche dei piccoli agricoltori;
h) promuovere forme sostenibili di agricoltura e di produzione alimentare che tengano conto dei cambiamenti climatici in atto e della tutela delle risorse ambientali, attraverso la graduale riconversione degli allevamenti intensivi, il rispetto degli obiettivi di riduzione delle emissioni, la pianificazione e la gestione delle risorse idriche destinate all'agricoltura;
i) promuovere la coltivazione delle terre abbandonate e incolte, favorendo il ricambio generazionale e l'ingresso di giovani generazioni in agricoltura, per contrastare il rischio idrogeologico, valutando la possibilità di istituire una banca dati nazionale delle terre incolte e abbandonate, anche ai fini della piena applicazione della legge 4 agosto 1978, n. 440, recante «Norme per l'utilizzazione delle terre incolte, abbandonate o insufficientemente coltivate»;
l) favorire, nell'ottica dell'ampliamento della democrazia economica, l'ingresso delle donne e dei giovani nel settore agricolo, supportando con risorse e servizi lo sviluppo dell'agricoltura famigliare anche ai fini di difendere la fertilità del suolo contro pratiche agricole sbagliate, e sostenendo l'agricoltura biologica;
m) favorire il recupero e la riproduzione di varietà vegetali a rischio di impoverimento o estinzione, supportando gli agricoltori che salvaguardano le varietà locali, custodiscono e riproducono le sementi, tutelando la biodiversità;
n) favorire l'educazione alimentare per promuovere un'alimentazione più sana, monitorando e valutando i comportamenti nutrizionali della popolazione e prevedendo specifiche attività per introdurre una corretta alimentazione a partire dalle scuole elementari;
o) favorire il rapporto tra agricoltura e città per trovare soluzioni innovative alle esigenze sempre più complesse della società interessata a forme nuove di produzione degli alimenti e di riqualificazione urbana.
(7-00487) «Cenni, Oliverio, Venittelli, Terrosi, Romanini, Palma, Tentori, Cova, Scuvera, Carra, Pollastrini, Civati, Mariani, Bratti, Braga, Zanin».
SIBILIA, SCAGLIUSI, LUIGI DI MAIO, DE LORENZIS, COLONNESE, SPESSOTTO, BRUGNEROTTO, AGOSTINELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
per la realizzazione dello stabilimento Iveco di Valle Ufita sono stati concessi finanziamenti pubblici con un contributo in conto capitale complessivo di lire 14.912.513.000 erogato in base alla legge n. 183 del 1976 in tre tranche dal 1981 al 1986;
a questo si è aggiunto, in base alla stessa legge n. 183 del 1976, un contributo in conto interessi di lire 1.277.530.000 per un finanziamento agevolato di lire 4.800.000.000;
a seguito dei danni provocati dal sisma del 1980, l'Iveco ha ottenuto, in base alla legge n. 219 del 1981, la somma di lire 9.834.500.000 in quattro tranche dal 1983 al 1991;
lo stabilimento collocato in Valle Ufita utilizzò le infrastrutture generali messe a disposizione dal consorzio ASI già beneficiario in precedenza di finanziamenti pubblici relativi alle opere realizzate per l'attrezzamento dell'area di sviluppo industriale;
il gruppo Iveco acquisì la proprietà dei terreni dove fu insediato lo stabilimento per complessive lire 1.173.000.000, valore commerciale dell'epoca;
nonostante l'impegno costante sul fronte degli incentivi economici da parte dello Stato italiano lo stabilimento realizzato in Valle Ufita è stato oggetto di un progressivo smantellamento conclusosi con la delocalizzazione delle attività produttive nello stabilimento francese di Annonay;
in seguito agli incontri organizzati al Ministero dello sviluppo economico allo scopo di trovare una soluzione per lo stabilimento di Valle Ufita e per i 298 lavoratori, nei giorni scorsi è stata annunciata la nascita dell'Industria Italiana Autobus che sarà partecipata all'80 per cento dalla King Long Italia, costola tricolore della multinazionale cinese dell'industria del trasporto su gomma, e al 20 per cento da Finmeccanica che dovrebbe restare nel pacchetto azionario per i primi tre anni;
il gruppo Fiat Iveco ad avviso degli interroganti ha tratto uno smisurato vantaggio economico spostando la produzione in Francia e divenendo proprietario dello stabilimento di Valle Ufita realizzato interamente con fondi pubblici che tra l'altro si appresta a vendere senza macchinari;
va tenuto conto della nuova norma contenuta nella legge di stabilità 2014 (comma 60, articolo unico, legge n. 147 del 2013) che stabilisce la decadenza dei contributi pubblici in conto capitale a partire dal 1o gennaio 2014 nel caso di delocalizzazione dell'impresa in uno Stato extra Unione europea –:
se e quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere nei confronti del gruppo Fiat in ragione delle ingentirisorse pubbliche destinate alla realizzazione e alle attività produttive in Valle Ufita. (4-06535)
CARNEVALI, MALPEZZI, MANZI, CAROCCI, GIUSEPPE GUERINI, BOMBASSEI, CINZIA MARIA FONTANA, GHIZZONI, SANGA, MISIANI, CRIMÌ, LOCATELLI, CENNI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
la legge 21 dicembre 1999 n. 508, reca riforma delle Accademie di belle arti, dell'Accademia nazionale danza, dell'Accademia nazionale di arte drammatica, degli istituti superiori per le industrie artistiche, dei conservatori di musica e degli Istituti pareggiati musicali;
il decreto del Presidente della Repubblica 28 febbraio 2003, n. 132 concernente regolamento recante criteri per l'autonomia statutaria, regolamentare e organizzativa delle istituzioni e artistiche e musicali, a norma delle legge 21 dicembre 1999 n. 508, e in particolare l'articolo 7, comma 2, lettera e), che prevede che faccia parte del consiglio di amministrazione anche un «esperto di amministrazione, nominato dal ministro, scelto tra personalità del mondo dell'arte e della cultura, del sistema produttivo e sociale, delle professioni e degli enti pubblici e privati»;
l'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114 impone il divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2011, nonché alle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza. Alle suddette amministrazioni è, altresì, fatto divieto di conferire ai medesimi soggetti incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di Governo ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali e dei componenti o titolari degli organi elettivi degli enti di cui all'articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125;
il decreto ministeriale 6 ottobre 2014, n. 778 riguardante «Rosa di esperti per il conferimento degli incarichi di membro nei consigli di amministrazione delle Istituzioni ad alta formazione artistica, musicale e coreutica» predispone l'elenco delle persone la cui nomina spetta al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca (allegato A) ed esplicita che per i soggetti in quiescenza, l'incarico può essere conferito solo per un anno e a titolo gratuito ai sensi dell'articolo 6 del decreto legge 24 giugno 2014 n. 90 convertito, con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014 n. 114;
è necessario provvedere anche alla nomina dei rappresentanti legali (presidenti) attualmente vacanti, delle istituzioni ad alta formazione artistica, musicale e coreutica, nomina che spetta al Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca, all'interno della terna inviata dai consigli accademici sulla base, dei criteri, di cui all'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 295 del 2006 –:
se il Governo, e nello specifico il Ministro interrogato, intenda procedere alla integrazione dei consigli di amministrazione e con quale tempistica;
se intenda procedere e con che tempi alla nomina dei presidenti con il conferimento di un anno per coloro che pur avendo i requisiti di cui all'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 295 del 2006 sono in condizione di quiescenza. (5-03886)
La Camera,
premesso che:
la Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale ha approvato il 9 luglio 2014 una relazione intitolata «iniziative per l'utilizzo del risparmio previdenziale complementare a sostegno dello sviluppo dell'economia reale del Paese»;
la relazione è stata trasmessa alle Presidenze della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica in data 10 luglio 2014;
la Commissione ha svolto un approfondito lavoro, nell'ambito dell'ampliamento delle competenze che il legislatore ha previsto, con l'ultima modifica approvata con la legge di stabilità per il 2014, affidando ad essa non solo le tradizionali funzioni di controllo sugli istituti di previdenza, ma un quadro esteso di funzioni di vigilanza: sull'efficienza del servizio in relazione alle esigenze degli utenti, sull'equilibrio delle gestioni e sull'utilizzo dei fondi disponibili, anche con finalità di finanziamento e sostegno del settore pubblico e con riferimento all'intero settore previdenziale ed assistenziale; sulla programmazione dell'attività degli enti e sui risultati di gestione in relazione alle esigenze dell'utenza; sull'operatività delle leggi in materia previdenziale e sulla coerenza del sistema previdenziale allargato con le linee di sviluppo dell'economia nazionale;
in tale quadro la Commissione sta svolgendo un'approfondita indagine conoscitiva su «Funzionalità del sistema previdenziale pubblico e privato, alla luce della recente evoluzione normativa ed organizzativa, anche con riferimento alla strutturazione della previdenza complementare, che sinora ha contato 37 audizioni a partire dal gennaio 2014, con la partecipazione di tutte le istituzioni rappresentative ed istituzionali interessate al settore previdenziale (Corte dei conti, Banca d'Italia, Consob, Covip, Mefop, Inps, Inail, casse private e privatizzate, fondi pensioni dei settori della previdenza complementare, organizzazioni sindacali e datoriali), nonché esperti del settore, consulenti della Commissione;
la Commissione europea si è fatta promotrice di una modifica della direttiva 2003/41/CE Iorp (Institutions for occupational retirement provision) – proposta COM(2014) 167 final 2014/0091 (COD) del 27 marzo 2014 (cosiddetta lorp2) di revisione della cosiddetta direttiva Iorp, relativa alle attività e alla vigilanza degli enti pensionistici aziendali o professionali – approvata il 27 marzo 2014, varando un pacchetto complessivo che prevede un piano della Commissione europea per soddisfare le esigenze di finanziamento a lungo termine dell'economia europea del 27 marzo 2014 e una comunicazione in tema di crowdfunding (finanziamento collettivo) per offrire possibilità di finanziamento alternative per le piccole e medie impresse (MEMO/14/240); il pacchetto si basa sulle risposte ricevute nel corso dell'esame del libro verde del 2013 e sulle discussioni avvenute in vari consessi internazionali, come il G20 e l'Ocse ed identifica una serie di misure specifiche che l'Unione europea deve adottare per promuovere il finanziamento a lungo termine dell'economia europea;
il tema centrale proposto dalla Commissione europea è quello di favorire l'istituzione di fondi comuni europei specializzati nell'investimento di lungo termine in determinate attività produttive in tutto il territorio dell'Unione europea, in quanto «l'Europa ha notevoli esigenze di finanziamento a lungo termine per favorire la crescita sostenibile, il tipo di crescita che aumenta la competitività e crea occupazione in modo intelligente, sostenibile e inclusivo»; «occorre diversificare le fonti di finanziamento in Europa e migliorare l'accesso ai finanziamenti per le Piccole e medie imprese, che rappresentano la spina dorsale dell'economia europea» con riferimento specifico alle norme sulle pensioni aziendali o professionali, si rileva che: «Tutte le società europee devono affrontare una duplice sfida: si tratta di approntare un quadro pensionistico che tenga conto dell'invecchiamento della popolazione e, nel contempo, di realizzare investimenti a lungo termine che favoriscano la crescita: I fondi pensionistici aziendali o professionali sono doppiamente coinvolti nella questione: dispongono di oltre 2.500 miliardi di euro di attivi da gestire con prospettive a lungo termine, mentre 75 milioni di europei dipendono in gran parte da loro per la propria pensione. La proposta legislativa di oggi permetterà di migliorare la governance e la trasparenza di tali fondi in Europa, migliorando, quindi, la stabilità finanziaria e promuovendo le attività transfrontaliere, per sviluppare ulteriormente i fondi pensionistici aziendali e professionali come imprescindibili investitori a lungo termine;
tra le azioni previste nella Iorp 2 vi sono la finalizzazione dei dettagli del quadro prudenziale per banche e imprese di assicurazione che sostengono i finanziamenti a lungo termine all'economia reale, una maggiore mobilitazione di risparmi pensionistici personali e la valutazione delle modalità per incoraggiare maggiori flussi transfrontalieri di risparmio; la proposta di direttiva Iorp 2 si propone complessivamente di tutelare gli aderenti alle forme di previdenza complementare adeguatamente dai rischi di gestione, di incentivare i benefici derivanti da un mercato unico delle pensioni aziendali o professionali, rafforzando la capacità dei fondi pensionistici aziendali o professionali di investire in attività finanziarie con un profilo economico a lungo termine e sostenendo, quindi, il finanziamento della crescita nell'economia reale; si tratta in sostanza di favorire l'uso dei finanziamenti privati, aggiuntivi rispetto a quelli pubblici, per investimenti in infrastrutture e migliorare il quadro complessivo del finanziamento sostenibile a lungo termine;
tali prospettive sono state oggetto di un, importante confronto tra il Vicepresidente della Commissione europea e Commissario per il mercato interno e i servizi Michel Barnier e i componenti della Commissione bicamerale nel corso dell'audizione svoltasi alla Camera dei deputati il 3 luglio 2014; Barnier ha illustrato i contenuti del pacchetto di misure riguardanti l'incentivazione dell'uso del risparmio previdenziale per il finanziamento a medio e lungo termine dell'economia reale in Europa, nel quadro del complesso delle iniziative assunte dalla competente direzione generale per lo sviluppo dell'economia e la liberalizzazione delle attività economiche;
sulla necessità di utilizzare il risparmio previdenziale per operazioni di finanziamento dell'economia reale si ricordano anche gli orientamenti emersi nel corso delle audizioni svolte: la Corte dei conti, nel corso dell'audizione del 27 febbraio 2014, ha rilevato che un «significativo contributo al finanziamento delle imprese può essere assolto dalle casse privatizzate e dalla previdenza complementare, nella peculiare funzione di intermediazione del risparmio previdenziale di lungo periodo»;
la Consob, in audizione presso la VI Commissione finanze della Camera dei deputati, ha sottolineato come il mondo della previdenza complementare-domestico mostri una ridotta propensione all'investimento in titoli di capitale, ivi compresi quelli italiani; la Banca d'Italia, nell'audizione dell'11 giugno 2014, ha evidenziato che le attività dei fondi pensioni in Italia rappresentano il 5,6 per cento del prodotto interno lordo, a fronte di percentuali pari al 96 per cento nel Regno Unito, al 75 per cento in USA e alla media dei Paesi europei pari al 21 per cento, e che il criterio che deve orientare gli organi di governo dei fondi pensione è quello dell'ottimizzazione delle scelte di investimento e che «a condizione che i fondi si dotino di competenze e assetti organizzativi adeguati, potrebbero esistere margini per una composizione dei portafogli meno tradizionale»;
nella relazione approvata la Commissione bicamerale, allineandosi alle proposte formulate dalla Commissione europea, tenendo conto anche degli orientamenti nell'ambito di un tavolo tecnico di confronto al quale hanno partecipato rappresentanti del Governo e dei dicasteri interessati (Ministero dell'economia e delle finanze, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Ministero dello sviluppo economico), nonché molti delle istituzioni audite in Commissione, ha valutato la percorribilità di iniziative istituzionali volte a far sì che l'impiego di parte dei patrimoni gestiti dai fondi pensione e dalle casse professionali possa concorrere a destinare rilevanti risorse finanziarie a sostegno di programmi strategici per lo sviluppo del sistema Paese, quali l'innovazione tecnologica, le fonti di energia sostenibili, la ricerca, il rilancio di aree industriali in crisi, il salvataggio e la ristrutturazione di piccole e medie imprese in difficoltà, i programmi di edilizia abitativa e scolastica e altro;
occorre sottolineare che sia per la previdenza complementare che per le forme di previdenza obbligatoria degli iscritti negli ordini professionali, in assenza di una forte iniziativa politica, decine e decine di miliardi del risparmio previdenziale, per un totale di quasi 200 miliardi di euro complessivi, continueranno ad essere investiti in strumenti finanziari, per lo più all'estero, in una misura che oggi è pari a circa il 70 per cento del totale degli impieghi; il restante 30 per cento degli impieghi è sostanzialmente investito in titoli di Stato;
tale andamento determina oggi, di fatto, l'impossibilità di finanziare le imprese italiane e le iniziative di sviluppo infrastrutturale del nostro Paese, in un momento in cui il tema delle risorse finanziarie da recuperare per lo sviluppo dell'economia reale dell'Italia è assolutamente rilevante;
nella relazione approvata dalla Commissione, che qui si intende integralmente richiamata, sono ipotizzate una serie di misure volte a conseguire tale obiettivo, secondo tre principali linee di intervento:
a) interventi fiscali per stimolare gli investimenti della previdenza complementare in iniziative di sviluppo del Paese, con misure di equiparazione del regime di tassazione ovvero di agevolazione fiscale in rapporto alla partecipazione ad investimenti in iniziative a sostegno dell'economia reale del Paese; l'idea di fondo e che lo strumento fiscale non deve rispondere solo all'esigenza contingente di ripristinare o mantenere la tenuta dei conti pubblici, ma anche costituire una leva di politica economica a disposizione del Governo e del Parlamento per una politica di sviluppo, così come avviene in altri Paesi europei che utilizzano le agevolazioni fiscali per incentivare l'economia e per operare in senso competitivo con gli altri Stati, dal momento che gli strumenti di politica monetaria sono ormai devoluti alla Banca centrale europea;
nella relazione si analizzano le normative estere esistenti in materia di tassazione dei fondi pensione e delle Casse previdenziali degli ordini professionali;
il sistema prevalente in Europa, ad esempio nel Regno Unito, è il cosiddetto sistema «eet» (esente, esente, tassato), con riferimento, rispettivamente alla fase dell'accumulazione, alla tassazione dei rendimenti maturati in ciascun anno da parte dei soggetti gestori del risparmio previdenziale e della tassazione delle prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di rendita;
in Italia la fase di accumulazione è sostanzialmente esente, in quanto l'articolo 8, comma 4, del decreto legislativo n. 252 del 2005 prevede che i contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro, sia volontari sia dovuti in base a contratti o accordi collettivi, alle forme di previdenza complementare sono deducibili dal reddito complessivo per un importo non superiore ad euro 5.164,57;
i contributi versati dal datore di lavoro usufruiscono, altresì, delle medesime agevolazioni contributive;
ai fini del computo del predetto limite si tiene conto anche delle quote accantonate dal datore di lavoro ai fondi di previdenza di cui all'articolo 105, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi;
la tassazione dei rendimenti maturati in ciascun anno è stata elevata per il 2014 all'11,5 per cento (prima del decreto-legge n. 66 del 2014, che ha ulteriormente incrementato la pressione fiscale in materia, era, infatti, dell'11 per cento);
la tassazione delle prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di rendita, infine, ai sensi dell'articolo 11, comma 6, del citato decreto legislativo n. 252 del 2005, sono imponibili per il loro ammontare complessivo al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta e a quelli di cui alla lettera g-quinquies del comma 1 dell'articolo 44 del testo unico delle imposte sui redditi: sulla parte imponibile delle prestazioni pensionistiche erogate è, pertanto, operata una ritenuta a titolo d'imposta con l'aliquota del 15 per cento ridotta di una quota pari a 0,30 punti percentuali per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari, con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali (sino al 9 per cento, quindi, nell'ipotesi di un'anzianità contributiva di 35 anni); le prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di capitale sono imponibili per il loro ammontare complessivo al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta; per le casse private rispetto alle tre fasi della tassazione (accantonamento dei contributi, accumulo dei rendimenti, percezione della rendita), si ha una situazione del tipo «eet», ma più gravosa rispetto a quello previsto per i fondi pensione, in quanto se i contributi versati dagli iscritti sono esenti da tassazione fiscale (articolo 38, comma 11, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, che ha esteso anche all'esercizio di attività previdenziali e assistenziali da parte di enti privati di previdenza obbligatoria la disciplina dell'articolo 74 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, per gli enti pubblici), il trattamento fiscale dei rendimenti mobiliari è tassato al 20 per cento (articolo 2, comma 6, del decreto-legge n. 138 del 2011, a partire dal 2012), mentre le prestazioni sono assoggettate alle aliquote Irpef: la relativa base imponibile è data dal valore della prestazione pensionistica al lordo dei rendimenti conseguiti dall'ente previdenziale, con una sorta di doppia tassazione quindi;
b) interventi ordinamentali concernenti la normativa della previdenza complementare, sia per i fondi pensione che per le casse previdenziali, per stimolare il settore e favorire l'impiego, in condizioni di sicurezza del risparmio, di parte delle risorse ottenute per la promozione di interventi a sostegno dell'economia del Paese; in particolare, nella relazione si ipotizzano: revisione dei meccanismi di adesione alla previdenza complementare; forme di compensazione o garanzia pubblica per le imprese derivante dall'eventuale incremento dell'impiego del trattamento di fine rapporto in forme di previdenza complementare, in rapporto alla mancata disponibilità dello stesso come forma di autofinanziamento delle imprese; revisione dei limiti quantitativi e tipologici agli impieghi oggetto di definizione per i fondi pensione con il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze n. 703 del 1996 e successiva revisione; definizione dello status giuridico delle casse professionali, che la legge ha previsto come private ma che sia in sede amministrativa – per esempio: dell'inclusione nell'elenco consolidato delle pubbliche amministrazione gestito dall'Istat; dei controlli; della sottoposizione al regime della spending review; dei regimi autorizzatori per gli impieghi del patrimonio; delle modalità di redazione dei bilanci, anche in sede giurisdizionale, sono state, di fatto, ricondotte ad un ambito pubblicistico; altre misure possono riguardare lo sblocco di parte delle risorse degli enti previdenziali pubblici, segnatamente l'Inail, attualmente immobilizzati nel conto di tesoreria unica;
c) definizione delle modalità per la destinazione del risparmio previdenziale a sostegno di investimenti nell'economia reale, attraverso investimenti diretti a sostegno delle imprese, ovvero ampliando il ruolo di raccolta del risparmio della Cassa depositi e prestiti, estendendolo anche al risparmio previdenziale, al fine di favorire l'impiego di interventi strutturali a sostegno dell'economia, in connessione con lo sviluppo dell'impiego di risorse a sostegno del Paese derivanti dalla previdenza complementare;
altro tema importante è quello dello sviluppo delle campagne informative per la sensibilizzazione dei lavoratori, specie i giovani, sulla rilevanza della previdenza complementare per un positivo futuro pensionistico;
per la realizzazione di tale iniziativa dovranno essere assicurate importanti condizioni tecniche, quali acquisire il consenso degli enti interessati, prevedere forme di garanzia dello Stato atte ad assicurare la certezza degli investimenti e la loro adeguata remuneratività, in modo comunque da garantire l'equilibrio della gestione finanziaria degli enti interessati e il rispetto delle normative comunitarie in tema di aiuti di Stato,
impegna il Governo:
ad attuare le linee direttive contenute nella relazione della Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale per l'Assemblea, doc. XVI-bis n. 1 del 9 luglio 2014 e trasmesse alle Presidenze delle Camere in data 12 luglio 2014, al fine di favorire l'impiego di parte del risparmio previdenziale, su base consensuale e garantendo la tutela del risparmio previdenziale, risorse ottenute per la promozione di interventi a sostegno dell'economia del Paese, intervenendo per introdurre misure:
a) per armonizzare il trattamento fiscale delle forme di previdenza complementare e della previdenza riguardante gli ordini professionali, definendo una tassazione a livello inferiore rispetto a quella attualmente prevista per i fondi pensione e valutando, altresì, l'introduzione di un sistema «eet» anche nel nostro Paese;
b) per definire lo status giuridico delle casse degli ordini professionali o enti previdenziali privatizzati ai sensi del decreto legislativo n. 509 del 1994 e del decreto legislativo n. 103 del 1996, anche alla luce delle recenti e ripetute decisioni in sede di giustizia amministrativa che hanno richiamato il carattere pubblicistico di tali enti;
c) per valutare forme eventuali di accorpamento delle casse degli ordini professionali al fine di realizzare economie di gestione e modalità di impiego delle risorse più efficienti, fatta salva la separazione delle gestioni relative agli specifici ordini professionali;
d) per prevedere modifiche alla disciplina ordinamentale dei fondi pensione volti a stimolare l'accesso alla Previdenza complementare; in particolare nella relazione si ipotizzano: revisione dei meccanismi di adesione alla previdenza complementare; forme di compensazione o garanzia pubblica per le imprese derivante dall'eventuale incremento dell'impiego del trattamento di fine rapporto in forme di previdenza complementare, in rapporto alla mancata disponibilità della stessa come forma di autofinanziamento delle imprese; la revisione dei limiti quantitativi e tipologici agli impieghi oggetto di definizione per i fondi pensione con il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze n. 703 del 1996, e successiva revisione;
e) per avviare campagne di informazione per tutti i lavoratori, anche per i dipendenti pubblici, sulle opportunità offerte dalla previdenza complementare, atteso che la piena entrata a regime del sistema contributivo per la previdenza pubblica determinerà la necessità di pensioni complementari anche nel settore pubblico;
f) per valutare l'adozione di altre misure finalizzate a aumentare le risorse finanziarie a disposizione di investimenti di rilevanza pubblica, quali lo sblocco di parte delle risorse degli enti previdenziali segnatamente l'Inail, attualmente immobilizzati nel conto di tesoreria unica;
g) per promuovere, d'intesa con i fondi pensione e le casse professionali, un patto per l'Italia per prevedere che, a fronte di interventi di agevolazioni, anche fiscali, e di miglioramento del quadro normativo complessivo del settore, sia verificata la disponibilità di effettuare investimenti di parte dei patrimoni gestiti a favore di iniziative per lo sviluppo infrastrutturale dell'Italia, garantendo la remuneratività degli investimenti, nel quadro della salvaguardia dell'equilibrio finanziario degli enti del secondo e del terzo pilastro e del diritto dei lavoratori a percepire le prestazioni previdenziali.
(1-00602) «Di Gioia, Morassut, Di Salvo, Di Lello, Dorina Bianchi, Piazzoni, Palese, Distaso, Aiello, Galati, Fucci, Caruso, Lacquaniti, Capelli, Fava, Adornato, D'Alia, Formisano, Gebhard, Lauricella, Ginoble, Melilla, Piepoli, Zoggia, Ginefra, Pastorelli, Meta, Marzano, Carella, Rostan, Scanu, Pilozzi, Rubinato, Pelillo, Sannicandro, Migliore, Carbone, Francesco Sanna, Grassi, Fioroni, Catania, Bosco».