PAGINA: 0010 Intervengono altresì nella discussione sulle linee generali i deputati DANIELE FARINA (SEL) (Vedi RS), EUGENIA ROCCELLA (NCD) (Vedi RS), FABIO RAMPELLI (FdI-AN) (Vedi RS), GIAN LUIGI GIGLI (PI) (Vedi RS), GIULIA GRILLO (M5S) (Vedi RS), MARIA VALENTINA VEZZALI (SCpI) (Vedi RS), LUCA D'ALESSANDRO (FI-PdL) (Vedi RS), MICHELA ROSTAN (PD) (Vedi RS), MARISA NICCHI (SEL) (Vedi RS), GIOVANNI MONCHIERO (SCpI) (Vedi RS), TANCREDI TURCO (M5S) (Vedi RS) e PAOLA BINETTI (PI) (Vedi RS).
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PAGINA: 0047 DANIELE FARINA. Signor Presidente, colleghi, membri del Governo, fin dalle nostre prime battute chi avesse l'avventura di ascoltarci ha capito che in questo decreto-legge ne vivono due: uno riguarda, parla la lingua delle droghe al plurale, e l'altro quella dei farmaci. A me per competenza spetta il primo versante, dunque le droghe.
Questo decreto-legge è al tempo stesso una tragedia evitata ma anche un'occasione mancata. La tragedia, vediamo prima la tragedia.
Abbiamo visto il testo che il Ministro Lorenzin ha portato in Consiglio dei ministri, l'abbiamo letto con attenzione. Era un maldestro tentativo di far rivivere la norma dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 32 del 2014, più volte richiamata. Si tentava di far rivivere uno sventurato testo del 2006 meglio noto come «legge Fini-Giovanardi»: una legge ideologica e fallimentare, che ha prodotto migliaia di morti, carcere ed enormi costi economici e sociali. Al punto che al relatore di minoranza, che ha posto la sua attenzione sulla sicurezza dei cittadini, si potrebbe rispondere che proprio quella legge ha dato un colpo mortale a quella sicurezza dei cittadini che si vorrebbe difendere a parole, ma che si è in realtà seppellita nei fatti.
Le vittime dei reati sono vittime di quella legge innanzitutto, che si affiancano ad altre migliaia di vittime, migliaia, che sono state l'oggetto diretto di intervento di quella normativa. E dunque ci sarebbe da chiedere, se non quella, la riforma della legge Fini-Giovanardi, qual era il motivo di particolare urgenza del provvedimento del Ministro Lorenzin. Perché, insomma, un decreto-legge ?
A detta del Ministro era la necessità di ritabellare alcune centinaia di sostanze che dopo la sentenza della Corte erano diventate, diciamo, libere e sciolte. Un atto amministrativo, chiosava; io dico, noi diciamo: una truffa al Paese. Perché le tabelle, caro Ministro Lorenzin – le giunga questa eco attraverso la Presidenza della Camera e attraverso i membri del Governo –, non sono un allegato marginale del Testo unico sulle sostanze stupefacenti, sono il cuore del Testo unico ! Sono il luogo dove lo Stato definisce ciò che è illecito e ciò che è lecito, e a cui indirettamente associa delle soglie penalistiche; e sono molto diverse quelle oggi in vigore da quelle previste da legge Fini-Giovanardi, almeno per le sostanze tornate ad essere ritabellate in tabella 2, la cannabis e suoi derivati.
Quindi, Lorenzin ha tentato di far rivivere attraverso le tabelle, la abnormità sanzionatoria della Fini-Giovanardi riproponendo @pagina=0048@l'assurdità scientifica e logica che tutte le droghe sono uguali, non si declinano ma si definiscono soltanto al singolare, hanno pari pericolosità e dunque devono essere parimenti sanzionate. Il tentativo è fallito ed ecco qui perché parliamo di tragedia scampata. E per avere un'idea del pericolo che abbiamo corso basta guardare i risultati degli anni di vigenza di quella infausta legge.
L'urgenza semmai che abbiamo visto in Commissione, non erano quelle sostanze, 500 non più tabellate che erano state dichiarate, di cui noi non abbiamo assolutamente parlato; non abbiamo proprio neanche sfiorato il tema delle 500 sostanze, ma abbiamo parlato nei lavori delle due Commissioni riunite di una ed una sola sostanza, di una ed una sola pianta che peraltro, sorpresa, era già perfettamente tabellata.
E, allora, sulla base di questo, sorge un problema perché nelle audizioni – la Commissione giustizia aveva già avuto quell'avventura ma è stato giusto che le altre Commissioni del Parlamento, della Camera dei deputati si assoggettassero a questo atto della fede – si è potuto assistere alla sfilata di un mondo pseudo-scientifico che è cresciuto dentro e ai margini del Dipartimento nazionale delle politiche antidroga. Poche eccezioni di serietà dentro un fiume di argomentazioni dalla più che dubbia validità scientifica che va classificato come ennesimo tentativo di truffa al Parlamento. Perché qui, colleghi, c’è un tema che forse dovremo discutere: il fatto che il rapporto annuale che è stato fornito al Parlamento della Repubblica in materia è certamente fuorviante. Cioè, sostanzialmente, al Parlamento della Repubblica per anni sono stati forniti dati, se non falsi, ampiamente addomesticati. E nella ridefinizione dei compiti di questo organismo, il Dipartimento, nato dalla legge Fini-Giovanardi e istituito nel 2008, l'attendibilità dei dati scientifici e statistici è un fatto fondamentale perché permette al legislatore di non essere cieco rispetto a quei fenomeni dinamici che il consumo e il mercato delle sostanze stupefacenti illecite ha e di cui parlava anche il collega del Partito Democratico che mi ha preceduto: il buon legislatore non può essere cieco. E, invece, abbiamo purtroppo notato che queste cattive abitudini che quella legge del 2006 ha introdotto hanno avuto per anni una lunga e, penso, molto negativa vita.
Ed è anche il motivo per cui l'Italia, che aveva delle buone eccellenze in materia, oggi è considerata in sede europea – e anche, possiamo dirlo, in sede mondiale – poco seriamente su questo terreno perché la validità, la serietà della ricerca scientifica che viene fatta nel Paese e presentata a livello internazionale suscita sorrisi, suscita ilarità. A me è toccato a Bruxelles di dover osservare quel tipo di atteggiamento di altri Paesi europei, di altre comunità scientifiche e io credo che anche questo dovrebbe entrare a far parte della nostra riflessione.
Oggi siamo di fronte, quindi, ad una tragedia scampata e a una occasione mancata. Vediamo un po’ cosa poteva essere questa occasione mancata.
Il mondo sta cambiando ed è anche il motivo per cui oggi ci interroghiamo su queste vicende. Perché, se il mondo non fosse cambiato, è probabile che non ne avremmo parlato in quest'Aula e non avremmo avuto altre occasioni; forse non ci sarebbe stata neanche la sentenza della Corte costituzionale.
Il mondo sta cambiando e sta gradualmente dismettendo, con la giusta lentezza di qualcosa che è durato settanta-ottant'anni, quelle politiche che hanno dimostrato di non funzionare forse anche perché basate su assunti non veritieri.
Le politiche della guerra alla droga validate su scala globale dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1998 non hanno funzionato, non hanno raggiunto nessuno degli obiettivi che dichiaravano, né sul versante della riduzione dell'offerta, né su quello della domanda. Anzi, quelle politiche si sono dimostrate le migliori alleate dell'organizzazione del narcotraffico di ogni sorta e colore, le hanno aiutate e dilatate in ogni parte del globo, e l’ Italia è un esempio ben calzante di questa situazione.@pagina=0049@
Alcuni Governi, alcune classi politiche lucide e coraggiose si sono assunte la responsabilità di dare forma a questo cambiamento; dal Colorado all'Uruguay, la strada in quel senso sarà lunga ma certamente è tracciata.
Qui è mancata la lucidità e ancor più il coraggio, neppure quello – che da solo avrebbe motivato un provvedimento in forma di decreto, quell'urgenza – di un indirizzo agli uffici giudiziari nei confronti dei condannati definitivi – migliaia – in base alla normativa dichiarata incostituzionale dalla Corte. Neanche quello.
Ancora una volta la magistratura, in questo caso la Corte di cassazione, si dice agirà in supplenza della politica, ma mancando anche solo questo corpo grosso di questione, figuriamoci il resto.
In questo provvedimento non c’è traccia, nonostante i nostri sforzi, di quei frammenti di buonsenso sulla coltivazione ad uso personale che venivano ricordati – stiamo parlando della cannabis – o del venir meno di quelle sanzioni amministrative che rappresentano oggi più uno strumento di tortura che uno strumento di dissuasione e prevenzione.
Allora, il coraggio e la lucidità fuggono conserti e il capolavoro di questo provvedimento sta nel comma 5 dell'articolo 73, dove un accordo politico di maggioranza, pur di non differenziare le sostanze e di ammetterne la differenza in un testo di legge – come peraltro c’è, dopo la sentenza della Corte – preferiscono addivenire a sanzioni dal punto di vista penale uniformi per tutte le sostanze, alla faccia della loro pericolosità. E non credo proprio – l'ho già detto nei lavori di Commissione – che basterà il complesso delle condotte, di cui i fatti di lieve entità, per evitare a quel comma, nel tempo che ci vorrà, un ulteriore giudizio di costituzionalità.
Quindi, in sintesi, poco bene e parecchio male è il giudizio di Sinistra Ecologia Libertà su questo testo. Ci daremo però da fare per cambiarlo, ma – qui vengo al punto – si dice che il Governo porrà su questo provvedimento lunedì la questione di fiducia: io penso che sarebbe un errore perché si sottrarrebbe al Parlamento la possibilità di discutere nel merito, magari di far aprire gli occhi anche a una parte di colleghi che siedono in quest'Aula e che le informazioni le hanno ricevute attraverso quelle relazioni annuali e attraverso le notizie di stampa su cui l'imprecisione regna sovrana, e magari anche il Paese potrebbe avere occasione di riflettere sull'inganno che abbiamo attraversato (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà). PAGINA: 0049 EUGENIA ROCCELLA. Signor Presidente, il dibattito che abbiamo svolto sulla conversione in legge di questo decreto, che ha impegnato la Commissione affari sociali e la Commissione giustizia, non è stato indolore. Resta evidente che, nell'ambito stesso della maggioranza, su un tema come questo si confrontano visioni molto diverse, tradizionalmente diverse, che stentano a trovare punti di convergenza e di sintesi, anche se vorrei ricordare a chi mi ha preceduta che il decreto non è il decreto «Lorenzin», è il decreto «Renzi, Lorenzin, Orlando», visto che il Ministro della giustizia certamente è entrato nella compilazione del testo.
Altrimenti, peraltro, non ci sarebbe entrata nemmeno la Commissione giustizia e avremmo potuto liquidare e svolgere il nostro dibattito esclusivamente in Commissione affari sociali.
Io penso che in questa sede però possiamo non entrare nel dettaglio della legge – una legge che personalmente ritengo abbia luci e ombre, come è ovvio che sia, visto che è obiettivamente frutto di una mediazione – e possiamo allargare un pochino il dibattito e cercare quello che comunque c’è, secondo me, dietro questo testo, cioè un insieme di valori condivisi, che non emergono in modo esplicito e non sono emersi magari molto chiaramente in una discussione in Commissione, che è stata una discussione un po’ contratta, ma che vale la pena di sottolineare; anche perché la nostra strana maggioranza dovrebbe @pagina=0050@avere anche questo effetto collaterale, cioè contribuire a diminuire il tasso di ideologizzazione delle discussioni, che trasforma velocemente l'interlocutore nel nemico politico e consentire di scoprire un terreno di confronto possibile, un terreno di confronto magari duro, ma possibile.
Il primo valore che mi sembra unire tutti è la tutela della vita e della salute, considerate come bene primario della persona. Nel titolo, la legge parla di prevenzione, cura e riabilitazione e questa è l'angolazione prioritaria per affrontare il problema delle tossicodipendenze, e dell'uso di stupefacenti e delle sostanze psicotrope. L'ottica prevalente con la quale abbiamo voluto affrontare il problema delle droghe è quella sanitaria e non sottovalutiamo affatto le questioni di sicurezza e legalità, il controllo del narcotraffico, l'efficacia degli strumenti repressivi, l'adeguatezza delle sanzioni, tutte cose che appunto teniamo assolutamente nel dovuto conto, ma prima pensiamo venga la tutela della salute.
Vogliamo dire al collega Rondini, che non vedo più, che abbiamo la massima attenzione per le vittime, per tutte le vittime, e certamente anche i tossicodipendenti sono vittime quasi sempre.
La domanda che ci poniamo tutti è come evitare lo spreco di vite, di giovinezza e di potenzialità che la tossicodipendenza comporta e non credo sia una domanda retorica, ma veramente una domanda che unisce. Comporta uno spreco in modo diretto, attraverso il deterioramento delle condizioni psicofisiche delle persone, oppure indiretto, attraverso la marginalità sociale e gli effetti che questa marginalità produce.
L'altra questione che penso sia all'attenzione di tutti è quella dell'emergenza educativa. Questo per me è il punto più urgente e più delicato, che esigerebbe veramente un'alleanza trasversale e un assoluto pragmatismo: se la definizione di emergenza educativa è segnata in senso cattolico, il problema però è riconosciuto da tutti. Mi hanno colpito recentemente alcune inchieste de il Fatto Quotidiano sugli adolescenti, che nelle analisi e nelle considerazioni erano del tutto simili ad altre pubblicate su riviste e pubblicazioni di stampo completamente diverso e sarebbero potute benissimo essere pubblicate su Famiglia Cristiana.
Se i cattolici hanno coniato il termine di «emergenza educativa», altri hanno parlato di «deserto di insensatezza» – penso anche a un filosofo come Galimberti – a un disagio non psicologico, ma culturale vissuto dalle nuove generazioni. Dare il senso vuol dire saper assegnare un nome alle cose, cioè alle proprie esperienze e relazioni, essere in grado di riconoscerle e giudicarle e, di conseguenza, poter orientare la propria vita secondo un progetto esistenziale.
Il legislatore non è un educatore – il collega Fossati ha evocato lo stato etico, ma non è assolutamente il caso, evidentemente – però le norme producono orientamento, stabilendo i limiti, definendo non solo le regole della convivenza, ma il quadro culturale della comunità a cui apparteniamo. Questa funzione della legge, quando parliamo di droghe, è decisiva.
Non sono soltanto le diverse sostanze psicotrope che dobbiamo combattere, classificandole secondo un ordine tecnico di maggiore o minore danno, ma una cultura che si diffonde in modo marcato tra gli adolescenti, la cultura dello sballo, della realizzazione immediata del desiderio legata all'irresponsabilità verso gli altri e verso se stessi e alla tendenza ai comportamenti a rischio.
Abbiamo, quindi, una responsabilità di cui credo siamo perfettamente consapevoli, soprattutto considerando i dati molto preoccupanti sull'uso di sostanze tra i più giovani, in particolare sulla diffusione, di cui abbiamo parlato, della cannabis, che ormai si può reperire con nuove modalità, da Internet alla coltivazione domestica. Bisogna poi considerare gli stili di vita che si vanno affermando in Europa e nel mondo occidentale. Sempre il collega Fossati ha ricordato il binge drinking, contro cui c’è stato un insieme di progetti messi @pagina=0051@in campo che, devo dire, per esempio in Inghilterra sono riusciti ad arginare la situazione.
C’è un'obiezione comune che è spesso sollevata, cioè che non è solo l'assunzione di stupefacenti che produce danni alla salute e dipendenza: perché, allora, non si ha lo stesso atteggiamento nei confronti dell'alcool o del tabacco o del gioco d'azzardo ? È evidente che per ognuno di questi fenomeni va fatto un discorso specifico, a partire dalle statistiche che abbiamo a disposizione, e dai diversi effetti sull'individuo e sulla collettività. Ma anche laddove ci fossero politiche contraddittorie, come accade per il gioco o per il tabacco, le nostre responsabilità di legislatori non cambierebbero; anzi, un'impostazione chiara sulla questione che ci troviamo a discutere oggi, sulla droga, aiuterebbe senz'altro ad affrontare le altre forme di dipendenza o di comportamenti a rischio con maggiore coerenza.
Le numerose audizioni svolte in Commissione hanno fornito informazioni ed elementi di giudizio che non possono essere ignorati, perché vengono da autorevoli esponenti del mondo scientifico e da chi ha un'esperienza maturata in decenni di lavoro sul campo. Il contributo degli esperti è stato essenziale per arrivare al testo che abbiamo approvato. Da una parte, è stata confermata in realtà l'inutilità, anzi il danno, di una pena detentiva che non sia fortemente indirizzata al recupero, in una situazione di fragilità come spesso quella del piccolo spacciatore, che è quasi sempre un consumatore; dall'altra, è stata fortemente messa in discussione la vecchia distinzione fra droghe pesanti e leggere, che peraltro in molti Paesi europei non è mai stata recepita a livello legislativo.
Secondo quasi tutti gli studiosi che abbiamo audito, la valutazione va fatta non solo sulla sostanza ma sul soggetto che l'assume e questo mi sembra molto ragionevole, perché questo principio vale anche per i farmaci, per esempio. Da una parte, c’è il livello di tossicità di una sostanza, la capacità di indurre dipendenza e di produrre effetti transitori o permanenti; ma, dall'altra, c’è la diversa vulnerabilità individuale di chi l'assume, vulnerabilità fisica e psicologica, un fattore incerto, difficile da valutare, ma che va considerato. La vulnerabilità degli adolescenti, la possibilità che si producano alterazioni o danni cerebrali attraverso l'uso della cannabis è un elemento di grave rischio, che non si può sottovalutare e che dobbiamo prendere in considerazione.
Anch'io mi auguro che il testo prodotto per l'Aula possa ancora migliorare, perché vorrei arrivare a una legge che tenga conto di queste informazioni e che si basi sul principio di precauzione. PAGINA: 0051 FABIO RAMPELLI. Signor Presidente, colleghi deputati, rappresentante del Governo, nel 1990 l'approvazione della legge n. 162, la cosiddetta legge Vassalli-Russo-Iervolino, dal nome dei Ministri dell'epoca, ribaltando la logica precedente proponeva delle norme che guardavano con sfavore non soltanto al traffico e allo spaccio, ma anche all'assunzione di stupefacenti, che era sanzionata sul piano amministrativo. Anche la detenzione di droga incontrava solo la sanzione amministrativa quando non superava i limiti della dose media giornaliera, che erano stati fissati da un decreto ministeriale. Oltre quei limiti interveniva con gradualità la sanzione penale.
Parliamo del 1990. Il consumatore di droga non era più ritenuto un semplice ammalato, ma un soggetto che, pur avendo bisogno di cure, compiva una scelta che lo Stato non apprezzava. Lo Stato, tuttavia, tendeva la mano a colui che sbagliava, comprendendo che dietro quell'errore vi è una serie di tragedie personali e di problemi, e permetteva all'assuntore di droga di andare esente dalla sanzione amministrativa o penale a condizione di abbandonare la droga e di seguire un percorso di recupero.
Non è vero che quella legge ha mandato più drogati in carcere. La maggior parte dei tossicodipendenti che nel suo @pagina=0052@vigore sono finiti in carcere ci sono andati, come accade adesso, perché avevano compiuto rapine, furti o estorsioni, motivati dalla necessità di procurare per sé la droga o perché spacciavano o detenevano quantitativi significativi di stupefacenti.
E, anzi, quella legislazione aveva introdotto vie privilegiate di allontanamento dal circuito penitenziario se il tossicodipendente decideva di sottoporsi al percorso di recupero. Gli effetti positivi che la Vassalli-Russo Jervolino cominciava a produrre – diminuzione dei decessi di droga, incremento degli ingressi nelle comunità, il sequestro di quantitativi sempre più consistenti di stupefacenti – sono stati frenati dal referendum promosso e vinto dai Radicali nel 1993. Dopo quel referendum è rimasta illecita soltanto l'attività di spaccio che sia stata accertata in quanto tale. A partire dal referendum e fino al 2006 anche la detenzione di quantitativi importanti di stupefacenti che non fosse accompagnata da gesti univoci di cessione a terzi era penalmente irrilevante. In questi termini si era orientata la giurisprudenza, che era giunta a ritenere non punibile la detenzione di decine di grammi di eroina e pertanto la cessione finalizzata al consumo di gruppo. Il quadro normativo era diventato al tempo stesso lassista e inutilmente rigorista. Lassista nel momento del contatto con la droga da parte del potenziale consumatore: senza la prova della predisposizione per lo spaccio non vi era alcun limite di illiceità per la detenzione. Inutilmente rigorista nel momento del recupero: in più casi il tossicodipendente che completava positivamente il suo percorso era costretto a tornare in carcere, pur in presenza di reati non gravi e pur avendo cancellato l'impulso a drogarsi che lo aveva portato a commettere reati, vanificando così gli sforzi per il recupero.
La riforma approvata all'inizio del 2006, conosciuta come Fini-Giovanardi, puntava a superare questo insieme di problemi. Era introdotto un nuovo sistema di catalogazione in tabelle delle sostanze stupefacenti e venivano snelliti i meccanismi di completamento e di aggiornamento delle tabelle medesime. Le tabelle erano ridotte a due: nella prima erano elencati tutti gli stupefacenti senza distinzione tra droghe leggere e pesanti, nella seconda, a sua volta suddivisa in cinque sezioni, erano inclusi i medicinali contenenti sostanze droganti. Il nuovo sistema sanzionatorio amministrativo e penale puntava a coniugare tre termini, ciascuno dei quali collegato agli altri due: prevenzione, repressione, recupero, partendo dal presupposto che drogarsi non è un innocuo esercizio di libertà, ma è un atto di rifiuto dei più elementari doveri del singolo nei confronti delle diverse comunità nelle quali concretamente vive ed opera. Era reintrodotta la punizione della detenzione di droga e fissato il confine tra la detenzione che rappresenta illecito amministrativo e la detenzione che costituisce illecito penale. Il confine non è più la modica quantità e cioè un dato soggettivo riferito alla persona del tossicodipendente e quindi arbitrario né la dose media giornaliera, bensì una tabella quantitativa per sostanza del tutto oggettiva. Oltre il limite che la tabella indica per ogni sostanza stupefacente vi è una presunzione di pericolosità anche nella detenzione. Se la droga detenuta oltrepassa quel limite, operano le sanzioni penali, se è al di sotto di quel limite operano le sanzioni amministrative: sospensione della patente di guida, del porto d'armi, del passaporto, del permesso di soggiorno per motivi turistici e fermo amministrativo del ciclomotore in uso.
Con la nuova legge le sanzioni penali oltre il limite oggettivo di cui si è detto seguivano criteri di gradualità: per chi commette un fatto di lieve entità si introduceva una misura del tutto nuova qualora il soggetto non intenda affrontare un percorso di recupero e abbia già fruito della sospensione della pena. Invece di andare in carcere, se lo richiede, egli può svolgere un lavoro di pubblica utilità per l'intera durata della pena detentiva irrogata. Quindi è vero che nella fase di avvicinamento alla sostanza vi è un richiamo a maggiore responsabilità, ma a differenza di ciò che si continua a leggere sui giornali, nell'intera legge non si trova @pagina=0053@una sola norma che spedisca in carcere chi fuma uno spinello. Confermando disposizioni esistenti che venivano rese più adeguate alla gravità dei delitti commessi, il recupero era favorito già dal momento in cui era disposta la custodia cautelare in carcere. Questa poteva essere evitata infatti andando agli arresti domiciliari e iniziando, a determinate condizioni, un programma terapeutico. Per avere maggiori chance di affrontare quest'ultimo era ampliata la possibilità di sospendere l'esecuzione della pena detentiva definitiva. Mentre prima il limite di pena che consentiva la sospensione era di quattro anni di reclusione, il nuovo limite era elevato a sei anni di reclusione, e così una fascia più estesa di tossicodipendenti si era potuta inserire in percorsi riabilitativi.
Nel mese di febbraio, tuttavia, la Corte costituzionale ha emesso la sentenza che ha dichiarato illegittime le norme della Fini-Giovanardi che equiparavano le droghe pesanti a quelle leggere e le disposizioni a essa collegate. La Corte ha ravvisato il contrasto con la Costituzione non in ragioni di merito, bensì in un vizio formale, poiché la riforma del 2006 è stata inserita nell'ordinamento con la conversione in legge di un decreto-legge del Governo riguardante altra materia. I giudici costituzionali hanno constatato eterogeneità tra la versione originaria del decreto-legge e quanto introdotto durante la conversione, questo il punto. Il Governo è stato quindi costretto a varare un decreto-legge, il n. 36 del 20 marzo, per far fronte alle incertezze interpretative conseguenti a tale sentenza, e, se la Corte ha cassato una parte della legge del 2006 per disomogeneità di materia, logica avrebbe voluto il ripristino della normativa in vigore al momento della pubblicazione della sua decisione, e quindi un decreto-legge che riportasse esattamente alle disposizioni del 2006. Farlo con un atto legislativo autonomo avrebbe sanato il vizio formale individuato dalla Corte. In effetti, larga parte del decreto-legge segue in modo analitico tale impostazione, con due eccezioni e una possibile sorpresa. La prima è la reintroduzione della distinzione tra droghe leggere e pesanti: rispetto all'originaria unica tabella delle sostanze stupefacenti il decreto-legge torna a quattro tabelle, più una tabella dei medicinali, e considera in modo distinto la cannabis e i suoi derivati, che vanno a finire nella seconda tabella.
La seconda eccezione riguarda il trattamento sanzionatorio: per l'effetto combinato del nuovo decreto e della sentenza della Consulta rivive il regime delle sanzioni della Vassalli-Russo Jervolino, e quindi le pene per la detenzione in quantità significativa, lo spaccio e il traffico della cannabis e dei suoi derivati sono notevolmente ridotte.
La possibile sorpresa è che, con gli attuali numeri e sensibilità del Parlamento, nulla esclude il colpo di mano, come si era provato a gennaio, al momento della discussione del decreto «svuotacarceri», di chi, non accontentandosi della riduzione di pena, punta alla depenalizzazione delle droghe qualificate leggere.
Tre mesi fa il tentativo non andò a buon fine perché la materia venne ritenuta estranea al decreto allora in discussione; oggi questa preclusione formale non esiste. I media hanno, anzi, informato di una discussione nel Consiglio dei ministri, al momento del varo del decreto-legge, tra il Ministro della salute Lorenzin, che puntava a un ripristino integrale della legge del 2006, e il Ministro della giustizia Orlando, che si è, invece, opposto; il che tranquillizza ancora meno su quanto potrà accadere in Parlamento, con i numeri attuali e con l'assenza di una posizione univoca del Governo.
Nel corso dell'esame del provvedimento in Commissione, sono state svolte numerose audizioni, tra le quali merita un'attenzione particolare quella del professor Serpelloni, capo del Dipartimento delle politiche antidroga della Presidenza del Consiglio, che ha anche depositato agli atti un'interessante relazione, dalla quale vorrei estrarre le parti più significative. Quella sulla cannabis droga «leggera»: il principio attivo della cannabis – è scritto – è, come noto, il delta-9-tetraidrocannabinolo (THC). Fino alla fine degli anni @pagina=0054@Novanta, il THC che si riscontrava nella cannabis e nei derivati sequestrati dalle forze di polizia non oltrepassava il tasso prodotto spontaneamente dalla pianta naturale, il cui limite massimo era del 2,5 per cento. La percentuale di THC rilevata nel quadriennio 2010-2013 è giunta a una media del 16,8 per cento quanto al materiale vegetale (inflorescenze e foglie) e del 26,6 per cento quanto ai derivati (resine e oli), con punte massime del 60,6 per cento (25 volte il massimo della percentuale di 15 anni fa) ! Ciò è stato possibile grazie alla coltivazione intensiva e a manipolazioni fito-produttive, che hanno concentrato il principio attivo e alterato le caratteristiche della pianta. Come si fa a dire che un derivato della cannabis col 25 per cento di THC è droga «leggera» ? Come si fa a parificarla a una canna con il 2 per cento di THC di tanto tempo fa ? Ogni persona in buona salute è in grado di reggere un boccale di birra di 0,4 litri con il 5 per cento di gradazione alcolica, ma nessuna persona in buona salute regge 0,4 litri di grappa al 42 per cento di gradazione alcolica.
La quantità di liquido è eguale, la quantità dell'alcool è differente. Se ciò è evidente per l'alcool, perché non dovrebbe esserlo per la cannabis ? Come escludere il profilo qualitativo dalla qualifica di «leggerezza» e dalle conseguenze sanzionatorie da essa derivanti ?
Punto secondo: la cannabis è una droga innocua ? Si dice, sempre in questa relazione, 2011 – ultimi dati disponibili – che i ricoveri ospedalieri causati da intossicazione da droga hanno fatto registrare un 16 per cento dovuto alla cannabis, a fronte di un 60 per cento da oppiacei, in prevalenza eroina. Nello stesso anno però i minori ricoverati perché intossicati dalla cannabis sono stati il 44,2 per cento. Il che vuol dire che, con l'attuale percentuale media di THC, la cannabis fa male al punto da mandare in ospedale, e fa più male ai più giovani, che sono coloro che ne fanno maggiore uso; 290 mila ragazzi fra i 15 e i 17 anni hanno assunto, almeno una volta, sostanza stupefacente negli ultimi dodici mesi, e per il 71,2 per cento di essi si è trattato di cannabis. Il dato italiano è in linea col trend europeo, che, rispetto al totale di ricoveri per intossicazione da droga, ha fatto registrare un 22 per cento di ricoveri per intossicazione da cannabis. Se la cannabis fa così male, soprattutto ai minori, è il caso di facilitarne la diffusione diminuendo le sanzioni previste per chi la spaccia e la traffica ? Domanda retorica.
Punto terzo della stessa relazione: la cannabis è una droga socializzante ? Da anni la letteratura scientifica ha dimostrato che l'assunzione di cannabis provoca danni irreversibili al cervello ! Quello che, ricordando e aggiornando tali ricerche, la relazione del professor Serpelloni aggiunge è il resoconto di uno studio recente, condotto nel corso degli anni sul quoziente di intelligenza di 1.037 soggetti, nati fra il 1972 e il 1974, assuntori di cannabis fino al compimento dei 38 anni, suddivisi fra coloro che hanno iniziato prima del compimento della maggiore età e coloro che hanno iniziato da maggiorenni. PAGINA: 0056 GIAN LUIGI GIGLI. Signor Presidente, come è stato già riportato, questo decreto si è reso necessario, è diventato un intervento necessario, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di alcuni articoli, il 4-bis e il 4-vicies ter, del decreto-legge n. 272 del 20 dicembre 2005, convertito con modificazioni nella legge n. 49 del 21 febbraio 2006, quella che è nota come legge Fini-Giovanardi e, quindi, a seguito del vuoto normativo che, per questo intervento della Corte costituzionale, si è determinato.
Un intervento certamente necessario e del quale condividiamo la filosofia di fondo, condividiamo la revisione delle tabelle. E, tuttavia, riteniamo pericoloso che da questa revisione delle tabelle possa essere ricavata, anche involontariamente, una linea di sostegno a quella che è una distinzione tra cosiddette droghe pesanti e cosiddette droghe leggere che urta contro tutta quella che è la letteratura scientifica internazionale.
E dico questo, voglio chiarirlo subito, non per motivi di ordine penalistico o @pagina=0057@giudiziario. Per mia mentalità non riesco mai ad appassionarmi agli aspetti sanzionatori dei provvedimenti. Dico questo per ragioni di ordine clinico, scientifico ed educativo soprattutto. Riconosco, infatti, che è assurdo distinguere tra droghe leggere e droghe pesanti come se alcune facessero sempre male e altre lo facessero sempre molto meno. La pericolosità delle droghe dipende da una serie di fattori, alcuni dei quali sono stati già richiamati in quest'Aula. Dipende certamente dal numero di morti che esse producono e, in questo senso, alcune certamente non lo fanno. Dipende dal grado di assuefazione che determinano in chi ne fa uso abitualmente, e in questo caso abbiamo dei livelli di pericolosità più o meno grave. Ma dipende anche da altri fattori che hanno a che fare, per esempio, con il rischio psicotico che possono produrre.
E a chi, a questo riguardo, vuole troppo semplicisticamente assimilare alcune di queste droghe agli effetti dell'alcol, dico semplicemente che l'alcol certamente fa altrettanto male al cervello se assunto per uso cronico, ma certamente, in caso di assunzione acuta, come ampiamente dimostrato in letteratura, non dà mai effetti psicotici, i quali, invece, possono prodursi a seguito anche di somministrazioni uniche di altre sostanze. E in questo caso possiamo avere un combinato disposto dell'effetto del farmaco, dell'effetto della dose del farmaco stesso, della concentrazione della sostanza attiva nel farmaco, con la vulnerabilità del soggetto dal punto di vista psichico, che può produrre situazioni di precipizio nella psicosi, dalla quale poi non è detto che il soggetto riesca ad uscire, se non magari a prezzo di gravissime sofferenze e comunque come inizio di un percorso particolarmente doloroso.
Quindi, il problema della vulnerabilità personale, che ci porta a dire che, mentre siamo tutti d'accordo sul fatto che l'eroina faccia male, che la cocaina faccia male, che l'LSD faccia male, stranamente non siamo tutti d'accordo sul fatto che pure la cannabis faccia male. E dico questo – ripeto – non per motivi di sanzione, per motivi appunto di educazione.
Non è un caso, quindi, che gran parte della discussione sull'articolo 1 del decreto si è svolta in realtà in Commissione solo parlando della cannabis: gran parte delle audizioni solo su questo hanno puntato la loro attenzione, e questo si è verificato proprio perché era, paradossalmente, l'unico motivo di controversia. Allora su questa controversia, sulla natura di questa controversia voglio un pochino diffondermi.
Io ritengo che ci sia un rischio implicito nell'atteggiamento che stiamo avendo verso, appunto, la cannabis. Il rischio è quello della banalizzazione, il rischio quindi è quello della sottovalutazione del problema educativo, il rischio è quello che si porti in qualche modo un riconoscimento non voglio dire nemmeno di valore, ma certamente di non disvalore alla cultura, appunto, dello spinello.
E perché dico questo ? Lo dico proprio a partire da un fatto, da quello che abbiamo vissuto come una lacerazione durante il dibattito in Commissione, fino al punto che alcuni di noi si sono sentiti in dovere di uscire dalla Commissione per protesta contro il modo in cui veniva frettolosamente chiuso il dibattito su questo argomento. Lo dico perché, mentre paradossalmente siamo tutti d'accordo sul fatto che uno almeno dei costituenti della cannabis, il tetraidrocannabinolo, sia dannoso per il cervello (Commenti di deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle),... No ? PAGINA: 0059 GIULIA GRILLO. Signora Presidente, chiedo anzitutto di farmi esprimere sul metodo di questo decreto-legge. Io sono nella Commissione affari sociali quasi da un anno e questo decreto-legge è il secondo, dopo il decreto Balduzzi. Non che ci dispiaccia che il Ministro della salute abbia fatto due decreti, di cui uno non era neanche il suo perché era del precedente Ministro Balduzzi, ma ci dispiace il fatto che il Ministero della salute ed il Parlamento non abbiano prodotto alcun atto di legge sulla sanità, in particolare sulla salute dei cittadini.
Stiamo discutendo di un decreto che nasce da una incompetenza di chi ha redatto la legge Fini-Giovanardi, incompetenza che è stata poi sancita dalla Corte costituzionale, la quale ha detto che quella legge di conversione era incostituzionale perché conteneva degli articoli che erano disomogenei rispetto al titolo, quindi perché violava la Costituzione.
Quindi, il decreto-legge che stiamo discutendo oggi è la solita toppa che mette il Governo, ovviamente abituato a questo modo di fare. Io me ne rendo conto, è stato fatto sempre così, sempre per quello @pagina=0060@che la nostra memoria storica riesce a rievocare. Però ricordiamo che l'Italia ha un impianto normativo di 150 mila norme, mentre Paesi come Francia e Germania ne hanno 5-6 mila. Qui il problema non è fare altre norme, il problema è rivedere quelle già esistenti in maniera seria e responsabile, azione che a nostro avviso non viene fatta da questo Governo, non viene fatta da questo Ministero.
L'intervento che mi ha preceduto, del collega Gigli, ha evidenziato come ci sia necessità di approfondire queste tematiche e come ci siano vedute ancora così distanti all'interno delle stesse Commissioni a prescindere dall'appartenenza ideologica. È chiaro che il tema delle sostanze stupefacenti, dell'uso personale delle sostanze stupefacenti, della sanzionabilità o meno dell'uso personale delle sostanze stupefacenti, e poi di tutto ciò che è a valle dell'uso delle sostanze stupefacenti e di tutto ciò che è a monte, quindi dello spaccio e del traffico di droga, avrebbe meritato un'attenzione ben diversa da quella che questo Parlamento ha potuto fornire in un tempo così breve com’è quello caratteristico del decreto-legge. Pertanto, noi non possiamo, il MoVimento 5 stelle non può non criticare tale metodo.
Abbiamo fatto un decreto che sostanzialmente innova ben poco, poiché riprende delle tabellazioni, degli inquadramenti tabellari che erano precedenti, e per certi versi, appunto, ricopia quanto era nella precedente legislazione; questo è il massimo evidentemente che può fare questo Governo. Ci dispiace, perché in qualunque altro lavoro viene richiesta una grande competenza, una grande conoscenza, una grande responsabilità, e le azioni devono essere inserite all'interno di un contesto ben preciso; cioè, le norme non si possono sempre buttare lì a caso.
Voi mi direte: sì, ma c’è stata una sentenza che annullava una norma precedente. Bene, sì, la sentenza c’è stata perché gente altrettanto incompetente ha reso possibile questo vuoto normativo, che rimane, perché – attenzione – vi è ancora la distanza temporale tra la data di pubblicazione della sentenza, che è il 5 marzo, e la data di pubblicazione del decreto-legge in Gazzetta Ufficiale, che è del 21 marzo, per cui abbiamo ancora un vuoto di 16 giorni in cui non sappiamo esattamente cosa accadrà per la validità degli atti amministrativi prodotti in quell'arco di tempo. Quindi, il nostro giudizio è fortemente critico rispetto a questo atto del Ministero della salute che avviene nel contesto di un deserto di azioni, tanto da parte del Governo quanto da parte di questa Camera. Ricordiamo che in Commissione affari sociali abbiamo ancora il provvedimento sulla donazione del corpo post mortem che non è stato completato per una serie di cavilli – una cosa che poteva essere conclusa in pochissimo tempo – e ci sono argomenti che sono assolutamente pressanti sulla sanità; uno di questi è la corruzione nella sanità, di cui parleremo dopo.
Sul merito dell'articolo 1 si esprimeranno altri miei colleghi, quindi mi voglio concentrare sul merito dell'articolo 3. Anche qui, il Ministro interviene con un articolo per normare una materia concernente l'uso off-label dei farmaci; riteniamo idoneo normare tale materia, ma avrebbe richiesto un approccio molto più serio e anche molto più deciso. Cioè, da quale parte vuole stare il Ministro della salute ? Vuole stare dalla parte dei cittadini, vuole stare dalla parte delle lobby, oppure ha paura della lobby farmaceutiche e quindi tutto quello che fa lo fa come se dovesse pettinare una bambola ? Perché l'articolo 3 del decreto, quando uscito dal Governo, era una pioggerellina fresca che certamente non aiutava nell'uso dei farmaci off-label. Per fortuna su questo la Commissione ha lavorato seriamente e noi ci siamo trovati d'accordo con le modifiche che sono state attuate sull'articolo 3, soprattutto perché sono state depotenziate le possibilità da parte delle aziende farmaceutiche di porre un veto sull'uso del farmaco off-label, anche del proprio farmaco off-label. Ma riteniamo comunque inopportuno questo modo di agire per mettere la toppa sullo scandalo che c’è stato di recente fra le due aziende farmaceutiche che si erano messe d'accordo per @pagina=0061@l'uso o meno dei famosi farmaci Avastin off-label e Lucentis off-label, entrambi destinati alle cure oculari. Questo scherzo di cartello tra le due aziende ci è costato 45 milioni di euro. Sono state condannate a pagare una multa di 280 milioni di euro, ora noi vogliamo vedere se questa multa verrà pagata o se faremo invece come con le concessionarie delle slot machine alle quali facciamo le multe e poi, chissà perché, c’è nell'Olimpo qualcuno che queste multe non le paga.
Quindi, siamo fortemente critici rispetto alle modalità. Tuttavia, rispetto a come l'articolo 3 è adesso uscito dalla Commissione abbiamo un alleggerimento rispetto alla nostra primitiva valutazione. Tuttavia, noi vogliamo sottolineare anche il ruolo dell'Agenzia italiana del farmaco. Noi abbiamo un po’ studiato le modalità di azione di questa Agenzia e crediamo che, alla luce di quello che abbiamo studiato, non sia opportuno che l'Agenzia continui ad esistere. Questo essenzialmente per due motivi: il primo, perché quello che fa l'Agenzia lo faceva prima l'Istituto superiore di sanità e lo può continuare a fare l'Istituto superiore di sanità, ha le competenze. Il secondo, i lavoratori dipendenti e i dirigenti dell'Agenzia italiana del farmaco sono tutti soggetti che vengono messi lì a seguito di nomine; i dirigenti a seguito di nomine politiche, chi vi lavora a seguito invece di contrattualistica a tempo determinato, quindi dipendente, fatta da questi dirigenti.
Allora noi diciamo: se c’è un'Agenzia esterna al Ministero della salute che deve giudicare su una materia delicata come quella dei farmaci, non è molto più facilmente controllabile, o, comunque, possibile da manovrare, un soggetto a cui devono rinnovare il contratto e che se non si muove secondo le logiche della politica rischia di essere buttato fuori e di andarsene per strada, rispetto a qualcuno che ha vinto legittimamente un concorso all'interno di una struttura pubblica ? Questo naturalmente, Presidente, si lega ad una visione della società diversa da quella che è stata portata avanti in questi ultimi anni, dove queste esternalizzazioni selvagge hanno avuto solo ed esclusivamente il ruolo di indebolire l'indipendenza e la garanzia degli operatori pubblici, e anche l'incapacità poi di controllare, di fatto, l'operato di queste Agenzie. Come di controllarne anche i costi, perché tutte queste esternalizzazioni di servizi hanno prodotto anche una serie di costi che adesso, al di là di tutti i proclami che possono fare i Presidenti del Consiglio che si stanno succedendo in questi mesi (e a Renzi succederà probabilmente qualcun altro, perché non crediamo che la sua credibilità lo possa portare oltre le elezioni europee)... Allora, dico, queste esternalizzazioni a che servono e a chi servono ? Scusate, ma a pensare male sinceramente, forse, si fa peccato, ma ci si indovina.
E dico io, per esempio: come mai il Ministero della salute ha allocato l'Aifa, qui, in via del Tritone, in un bellissimo palazzo al centro di Roma pur non essendovene la necessità di essere così centrale, via del Tritone 181, pagando il modico affitto di 3 milioni e 45 mila euro, che paga ad Assicurazioni Generali Spa ? Come mai hanno anche affittato, con sublocazione passiva, numero 20 posti auto in via Arcione n. 98, con un canone di 55 mila euro ? Credo, allora, che dobbiamo andare verso una razionalizzazione seria delle risorse, e verso una lotta concreta a tutto ciò che mina l'indipendenza di chi opera all'interno delle strutture pubbliche, anche ove esternalizzate. Quindi il nostro intervento oggi incide proprio sul metodo, sul metodo dell'uso della decretazione d'urgenza, e sul metodo di affidare incarichi delicatissimi, come quello della commercializzazione e dell'uso dei farmaci, a strutture che non possono garantire l'adeguata indipendenza e autonomia (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). PAGINA: 0061 MARIA VALENTINA VEZZALI. Signor Presidente, Governo, colleghi, è bene innanzitutto ricordare perché oggi ci troviamo in quest'Aula a discutere delle disposizioni @pagina=0062@urgenti in materia di stupefacenti, sostanze psicotrope e l'impiego di medicinali off-label: la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 32 del 2014, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli articoli 4-bis e 4-vicies ter del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, convertito dalla legge n. 49 del 2006, meglio conosciuta come legge Fini-Giovanardi, per violazione dell'articolo 77 della Costituzione, per difetto di omogeneità, e quindi di nesso funzionale, tra le disposizioni originarie del decreto-legge e quelle impugnate, introdotte nella legge di conversione.
C’è da rilevare che l'incostituzionalità è dovuta anche al fatto che la norma sulle droghe era stata inserita in un decreto-legge nato con l'intento di fronteggiare le spese e le esigenze di sicurezza delle Olimpiadi invernali di Torino 2006; dunque, portando il provvedimento completamente fuori tema su un argomento molto delicato, che avrebbe meritato ben altra attenzione da parte del Parlamento.
Purtroppo, per dovere di cronaca mi preme ricordare che questo Parlamento ha trattato, ad esempio, il preoccupante fenomeno del femminicidio in un decreto-legge d'urgenza in materia di Protezione civile e di commissariamento delle province. Ciò non può più accadere !
Ora si potrebbe certamente discutere sull'omogeneità di un decreto-legge che va a toccare aspetti così diversi quali la sicurezza e il finanziamento di un evento sportivo e il recupero dei tossicodipendenti, ma non v’è dubbio che il testo del decreto-legge, anche quello contenuto nell'articolo 4, non si prestava ad un inserimento legislativo in sede di conversione tale da implicare una radicale riforma del Testo unico sugli stupefacenti, con ben 23 articoli aggiuntivi.
Da qui possiamo evincere il vizio formale: la totale, evidente estraneità, rispetto all'oggetto e alle finalità del decreto-legge, delle norme sulle droghe aggiunte in sede di conversione. La maggioranza parlamentare non può sfruttare la procedura privilegiata offerta al Governo attraverso l'uso del decreto-legge per inserirvi, in sede di conversione, ciò che vuole.
Positivo, invece, è il ripristino della tabella alle disposizioni del 2006, con la differenziazione tra uso personale di droghe leggere e uso personale di droghe pesanti a proposito del fatto che, sino a oggi, l'inasprimento sanzionatorio per le condotte riguardanti le droghe leggere ha prodotto l'inevitabile effetto di una maggiore carcerazione di tossicodipendenti e sovraffollamento degli istituti detentivi.
Limiterò il mio intervento su questi temi contenuti nel decreto-legge in discussione, rilevando che molto ci sarebbe da dire sul merito di una legge scellerata che ha contribuito al malfunzionamento cronico e al sovraffollamento del sistema penitenziario italiano.
Dobbiamo soffermarci su temi di rilevanza sociale: le questioni riguardanti l'immigrazione, la recidiva e appunto le droghe. Le scelte politiche di un Paese si misurano con interventi sociali adeguati e non con politiche repressive e irrazionali.
Quando si parla di sovraffollamento carcerario, quando si subiscono pesanti condanne dalla Corte europea dei diritti dell'uomo che ritiene il sovraffollamento problema strutturale e sistemico delle carceri italiane, si deve provvedere alla modifica delle normative che hanno determinato queste condanne.
Per limitarsi alla normativa sulle droghe, come si può tollerare che a comportamenti diversi siano riconnesse condanne uguali ? La domanda retorica si traduce in un'istanza giuridicamente definita dalla Corte di appello di Roma nella sua ordinanza di rimessione nella denuncia della violazione del principio costituzionale di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (articolo 3 della Costituzione): «non v’è chi ... non veda» – scrive il giudice remittente – «come sanzionare con la medesima pena due comportamenti notevolmente diversi come l'importare, detenere, spacciare, droghe leggere oppure pesanti, costituisca una palese violazione del principio di eguaglianza sotto il profilo della mancata adozione di sanzioni diverse @pagina=0063@a proposito di condotte diverse». Di più: l'aver equiparato sotto il profilo sanzionatorio, le predette sostanze contraddice il contenuto di una decisione quadro del Consiglio dell'Unione europea (n. 2004/757/GAI, articolo 4) che espressamente impone un diverso trattamento per le condotte riguardanti gli stupefacenti più dannosi per la salute.
Occorrono misure alternative al carcere per i tossicodipendenti, perché l'obiettivo è quello del recupero attraverso percorsi socio-sanitari e di pubblica utilità, non certamente il carcere.
Dal punto di vista sociale, educativo e perfino terapeutico, è dato per certo che la carcerazione per i tossicodipendenti non produce effetti di recupero sociale ma sicuramente produce costi elevati sulla finanza pubblica.
Così com’è richiamato dal quarto Libro Bianco sugli effetti della legge Fini-Giovanardi, anche noi siamo convinti che una nuova stagione della politica debba fondarsi su una ricostruzione del senso comune e questo può davvero essere un terreno di sperimentazione sociale, a maggior ragione in tempi di crisi dell'economia.
Il dossier pubblicato dalle organizzazioni di promozione sociale ha reso pubblici i dati concernenti l'impatto della legge Fini-Giovanardi sul carcere: dal 2006 sono aumentati in percentuale gli ingressi in carcere per violazione dell'articolo 73 della legge antidroga (produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti).
Se l'obiettivo del legislatore del 2006 era il contenimento dei comportamenti connessi alle droghe illegali attraverso l'inasprimento punitivo, questo non è stato raggiunto. Un detenuto su tre entra in carcere ogni anno per la violazione dell'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. Sono significativi i dati degli ingressi in carcere per violazione della legge antidroga in rapporto al totale degli ingressi.
Nel 2006 gli ingressi in carcere in violazione dell'articolo 73 (detenzione di sostanze illecite) della legge antidroga sono stati 25.399 su un totale di 90.714 detenuti.
Nel 2012 sono state incarcerate 20.465 persone su un totale di 63.020. Si registra un aumento in percentuale che è costante e consistente dal 2006 in poi: il 28,03 per cento nel 2006, il 29,84 per cento nel 2007, il 31,11 per cento nel 2008, il 32,21 per cento nel 2009, il 30,87 per cento nel 2010, il 31,75 nel 2011. Nel 2012 si registra un picco percentuale: il 32,45 per cento del totale delle persone entrate in carcere era accusato di violazione dell'articolo 73 della legge antidroga.
Credo che siano sufficienti i dati citati per comprendere che servono misure vere e decisive volte al recupero delle persone affette da tossicodipendenza. Un decreto, quello di oggi, che certamente contribuirà ad una notevole riduzione del ricorso alla carcerazione preventiva dimezzando il numero dei detenuti, consentendo finalmente di porre l'attenzione a sistemi di recupero dalle tossicodipendenze e a favore di percorsi volti all'inserimento sociale delle persone che fanno uso di sostanze stupefacenti.
Dobbiamo affrontare la sfida dell'articolo 27 della nostra Costituzione: Le pene detentive non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Ottemperare agli obblighi imposti dalla Corte europea dei diritti umani, anche in questo il Governo deve impegnarsi.
Alla luce delle considerazioni fin qui svolte, anticipo il voto favorevole del gruppo parlamentare di Scelta Civica per l'Italia sul provvedimento. PAGINA: 0063 LUCA D'ALESSANDRO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge in esame è diretto a fronteggiare situazioni di necessità ed urgenza negli ambiti delle sostanze stupefacenti e psicotrope e dei farmaci off-label. In particolare, il decreto è formato da quattro articoli, di cui i @pagina=0064@primi due intervengono sugli aspetti di tutela della salute legati al consumo e alla cessione delle sostanze stupefacenti e psicotrope. L'intervento si è reso necessario dopo che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 32 del 2014, ha dichiarato costituzionalmente illegittime le norme sugli stupefacenti contenute nella legge n. 49 del 2006 di conversione del decreto-legge n. 272 del 2005, legge meglio conosciuta come «Fini-Giovanardi», che hanno riformato il testo unico sugli stupefacenti di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. La cancellazione delle norme impugnate ha comportato il ripristino della disciplina contenuta nel Testo unico sugli stupefacenti nella versione precedente al 2006, con effetti importanti sia dal punto di vista penale che amministrativo. La Corte costituzionale ha inoltre reputato incostituzionale la classificazione delle sostanze stupefacenti operata dal Ministero della salute per cui, all'indomani della sentenza n. 32 del 2014, a fronte delle due uniche tabelle disciplinate dalla legge di conversione n. 49 del 2006, sono tornate in vigore le sei tabelle previste prima della riforma del 2006, in cui non sono ovviamente comprese le sostanze stupefacenti di ultima generazione inserite nelle tabelle con decreti ministeriali di aggiornamento dal 2006 al 2013.
Nello specifico il provvedimento rimodella le tabelle delle sostanze stupefacenti e psicotrope ridistribuendo al loro interno le sostanze in modo da renderle coerenti con il regime sanzionatorio antecedente alla legge «Fini-Giovanardi», ricomprende nelle tabelle le circa 500 sostanze classificate a decorrere dal 2006, ripristina la disciplina sulle modalità di prescrizione, dispensazione e registrazione dei medicinali impiegati nella terapia del dolore severo, garantisce, a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, la continuazione degli effetti degli atti amministrativi adottati ai sensi del Testo unico.
Per quanto riguarda il versante sanitario, la cancellazione degli articoli della legge di conversione n. 49 del 2006 ha avuto effetti anche sulla disciplina del servizio di assistenza farmaceutica relativo alle modalità di prescrizione, dispensazione e registrazione dei medicinali per la terapia del dolore, contenuta nella legge di conversione citata e successivamente modificata dalla legge sulle cure palliative e sulla terapia del dolore. Nel corso dell'esame presso le Commissioni II e XII sono state introdotte nel decreto-legge modifiche agli articoli 73 e 75 del Testo unico sugli stupefacenti, sulle sanzioni e, in particolare, sull'articolo 73, che sanziona penalmente la produzione, il traffico e la detenzione illecita di stupefacenti e determina un abbassamento delle pene previste per il cosiddetto piccolo spaccio.
È inoltre ridotta la pena oggi prevista – reclusione da uno a cinque anni e multa da 3.000 a 26.000 euro – disponendo, per tutte le condotte di lieve entità, la reclusione da 6 mesi a 4 anni e la multa da 1.032 a 10.329 euro.
Si è tuttavia conservata, anche dopo la sentenza della Corte costituzionale, la formulazione introdotta dal decreto-legge n. 146 del 2013, che prevede una fattispecie penale autonoma (e non più un'attenuante) quando i fatti previsti dall'articolo 73 – per i mezzi, le modalità o le circostanze dell'azione, ovvero per la qualità e quantità delle sostanze – siano di lieve entità. La pena è la reclusione da uno a cinque anni e la multa da 3.000 a 26.000 euro. Le Commissioni non hanno ritenuto opportuno distinguere, per quanto riguarda il cosiddetto piccolo spaccio, le condotte relative alle droghe pesanti rispetto a quelle inerenti alla cannabis.
Da qui, senza proseguire ulteriormente nella narrazione genetica del provvedimento che stiamo esaminando, il cui iter e i cui contenuti ritengo ampiamente acquisiti da tutti i colleghi, ritengo di dover esporre le motivazioni che, infine, inducono il gruppo di Forza Italia a votare contro, cominciando da un aspetto che ritengo non marginale e cioè la questione della Corte costituzionale.
Non è irrilevante annotare come la Consulta rappresenti ormai una sorta di impropria terza Camera del Parlamento, con l'aggravante che le sue decisioni non @pagina=0065@possono essere messe in discussione, come avviene invece alla Camera e al Senato. Peraltro, non sfugge che in questo caso la sentenza della Corte abbia censurato esclusivamente i vizi procedurali e non gli aspetti sostanziali delle disposizioni dichiarate incostituzionali. Come altri recenti pronunciamenti evidenziano con estrema chiarezza (vedi la legge n. 40), vi è il serio rischio di una progressiva totale destabilizzazione del sistema ordinamentale del Paese a causa di una sempre più frequente invasione di campo da parte del potere giurisdizionale nelle vicende legislative.
Nel merito del provvedimento, la questione che attiene alla regolamentazione in materia di tossicodipendenze è sicuramente classificabile tra gli argomenti che più di altri ci separano, in termini di visione complessiva, dalla sinistra.
Nel valutare una materia così complessa non si può fermare la discussione sui soli aspetti giuridici, pur con la contaminazione di impropri riferimenti alle questioni relative alla salute. Così come accaduto con la depenalizzazione del reato di immigrazione clandestina, anche in questo caso, vi è la chiara volontà della sinistra di abbattere in toto la legge Giovanardi-Fini, così come ci attendiamo lo stesso atteggiamento per la legge n. 40 sulla procreazione assistita, guarda caso, anch'essa cassata dalla Consulta.
Vi sono questioni che ci dividono sul piano della valutazione valoriale. Valori in cui noi crediamo fortemente che non sono assolutamente negoziabili. Il rispetto della vita per noi viene prima di ogni altro interesse. Dalla discussione che si è ampiamente sviluppata nell'ambito delle Commissioni, questo iato tra la nostra visione e quella della sinistra è apparso in tutta la sua ampiezza e rilevanza.
Sappiamo bene che l'obiettivo finale per qualcuno è la totale liberalizzazione delle droghe, partendo da una inammissibile distinzione tra droghe cosiddette leggere e droghe pesanti. Sono diversi gli studi in materia che chiariscono la totale equivalenza delle droghe dal punto di vista dell'effetto assuefazione: «Se osserviamo il problema dal punto di vista degli effetti sulla salute e sulla dipendenza, i due generi di droghe sembrano diversi, ma non è così. Droghe leggere e pesanti sono ugualmente dannose. L'assuefazione è in continuità e questo ci conferma che quando cannabis e hashish vengono assunte con frequenza il passaggio a cocaina ed eroina può essere breve».
Lo stesso Dipartimento per le politiche antidroga ha messo a disposizione documentazione internazionale che dimostra i danni procurati dalle presunte droghe leggere. Lo stesso vale per la Società italiana di pediatria, che ha studiato le conseguenze negative sulle strutture cerebrali dei giovani in fase evolutiva. Senza dimenticare, ad esempio, i rischi legati all'attenzione, basti pensare agli adolescenti alla guida delle «macchinette» sotto l'effetto di questi stupefacenti, spesso con esiti purtroppo tragici.
La discussione in Commissione ha evidenziato con chiarezza la volontà della sinistra, del PD, di SEL e del MoVimento 5 Stelle, mascherata da presunte esigenze sanitarie e dalla sempre attuale «emergenza carceri», di giungere ad una totale deregolamentazione, che si traduce in libertà per piccoli e grandi spacciatori di delinquere e di distruggere impunemente la vita di tanti giovani.
Chi spaccia droga delinque e chi delinque va sempre punito: un'equazione perfetta.
Infine, non è irrilevante l'aspetto culturale e sociale: il problema non è la depenalizzazione del piccolo consumatore. È sempre necessaria una proporzione. Quello che va perseguito è il danno sociale. Quelli che vanno adeguatamente puniti sono gli spacciatori e i trafficanti. Il rischio è quello di una deriva libertina che porti i giovani soprattutto a considerare la droga come qualcosa di normale, che si possa assumere tranquillamente, senza alcuna considerazione per le gravi conseguenze che ciò comporta.
Il diritto alla vita non è negoziabile, né contemperabile con alcun altro diritto; non si vive o si muore in parte, e così non @pagina=0066@può esistere giustificazione per chi, in qualunque misura, la vita la disprezza e la distrugge.
Per questo, la nostra valutazione non può che essere assolutamente negativa e il nostro voto contrario. PAGINA: 0066 MICHELA ROSTAN. Signor Presidente, onorevoli colleghi, quello di cui oggi discutiamo è un tema estremamente delicato e complesso, che coinvolge molteplici aspetti della vita sociale del nostro Paese ed ha diversi risvolti sul piano della legalità, della salute, dell'ordine pubblico, dell'economia.
Proprio alla luce della difficoltà delle premesse, sono fermamente convinta del fatto che, nonostante il contingentamento dei tempi dettati dalla decretazione d'urgenza, necessaria per colmare il pericoloso vuoto normativo creatosi dopo la bocciatura della legge Fini-Giovanardi da parte della Corte costituzionale, il lavoro svolto nelle Commissioni, in sede di conversione del decreto-legge n. 36 del 2014, sia stato proficuo e portatore di buoni risultati.
Si è trattato di un approfondimento che non poteva prescindere da tutta una serie di valutazioni in merito, da un lato, al dilagante fenomeno del traffico illecito di stupefacenti, che fa del nostro Paese uno dei crocevia internazionali più ambiti dalle organizzazioni criminali e, dall'altro, al preoccupante ma differente fenomeno del piccolo spaccio, che senza alcun dubbio pure va condannato e contrastato, ma con finalità, obiettivi strategici e mezzi differenti.
Non c’è dubbio alcuno che il grande traffico di stupefacenti rappresenti uno dei business più redditizi per i sodalizi criminali che operano senza alcuna timidezza su scala mondiale, come delle vere e proprie multinazionali della droga. È sulla gestione delle piazze di spaccio, sulla vendita all'ingrosso, sul trasporto che, guardando in casa nostra, mafia, camorra, ’ndrangheta hanno costruito dei veri e propri imperi economici, per il mantenimento dei quali non hanno esitato e non esitano tutt'oggi a compiere crimini efferati, pur di tutelare e conservare il pieno dominio su porzioni di territorio considerate strategiche.
Questo purtroppo avviene soprattutto nel Mezzogiorno del Paese e, in special modo, nella mia terra di provenienza, Napoli e la sua sterminata provincia, che spesso assurgono agli onori della cronaca nera, come sta accadendo proprio in queste ore, durante le quali bande armate dei clan si contendono pezzi di territorio a colpi di pistola ed esecuzioni sommarie e violente, il tutto in assoluto spregio dello Stato e delle sue istituzioni ed in nome dell'illecito profitto garantito proprio dalle piazze di spaccio più ricche d'Europa, pur non essendo il fenomeno circoscritto al sud del nostro Paese.
Ecco, questo fenomeno va diffusamente contrastato, senza titubanze, senza incertezze, sul piano preventivo, sul piano sanzionatorio e sul piano persecutorio.
Questo fenomeno, tuttavia, ha diverse sfumature e la sua trattazione va necessariamente scissa da quella che dobbiamo riservarne ad un altro, che ha natura differente, che risponde a logiche diverse, che ha proprie peculiarità rispetto alle quali, a mio avviso, è stato corretto avere un approccio radicalmente diverso, che soltanto apparentemente può sembrare contraddittorio rispetto all'impianto normativo del testo unico sugli stupefacenti, ma che è invece coerente con l'obiettivo di differenziare, specificare e separare il cosiddetto piccolo spaccio dal grande spaccio di droghe, distinzione quest'ultima del tutto esclusa dalla legge Fini-Giovanardi, della quale non mi sento di evitare un seppur breve bilancio dell'impianto legislativo e culturale, spazzato via dalla Corte costituzionale.
È un bilancio non a caso pesato su troppi ragazzi, minacciati gravemente per un reato senza vittime, che nella consapevolezza dei più è inesistente, sottoposti talvolta all'inutile pesantezza della legge e dei suoi esecutori, che avrebbero potuto essere impiegati più utilmente in altro modo, con maggiore beneficio per la sicurezza @pagina=0067@pubblica. Sono ragazzi troppo spesso finiti in carcere – e qualche volta finiti peggio – per un comportamento deviante certamente minore in un Paese che legalizza l'azzardo e penalizza molto meno tutti i reati fiscali, producendo una visione iniqua della giustizia e il sospetto gravissimo di adottare, in materia penale, due pesi e due misure.
Questo perché innanzitutto la distinzione delle fattispecie, e quindi la differenziazione del profilo sanzionatorio, con il conseguente abbassamento delle pene previste dal comma 5 dell'articolo 73 del testo unico sugli stupefacenti, che abbassano la reclusione da uno a cinque anni a sei mesi e quattro anni, risponde all'esigenza di non ipotecare in modo irreversibile il futuro di chi, a prescindere da un'indagine sulle motivazioni sociali ed economico-culturali che lo abbiano spinto a farlo, abbia commesso l'errore di fare del piccolo spaccio la propria fonte di reddito.
Tale distinzione trova un ulteriore fondamento nel principio, anch'esso più volte ribadito dalla Consulta, sulla necessità che vi sia una maggiore connessione ed una più chiara specificazione tra la tipologia della condotta penalmente rilevante ed il profilo sanzionatorio ad essa associato, con il contenimento, entro certi limiti garantisti minimi, della discrezionalità del giudicante.
Questo impianto si inserisce in un contesto legislativo di riforma che si compone di altre norme, che coerentemente si agganciano all'idea di differenziare tra condotte e condotte, di situazione in situazione, tra grande spaccio e piccolo spaccio, tra abuso ed uso entro certi limiti di droghe, in un quadro che, a mio avviso, tiene maggiormente in considerazione quanto avviene nella realtà della società.
Mi pare, in considerazione di ciò, ampiamente condivisibile il ripristino del comma 5-bis dell'articolo 73 del testo unico sugli stupefacenti che consente al giudice di applicare, in caso di condotta per un fatto di lieve entità, al colpevole, al posto della pena detentiva, il lavoro di pubblica utilità. Questo tipo di sanzione consente, a chi ne faccia richiesta, di avere una seconda chance, attraverso la prestazione di un'attività non retribuita a favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti e organizzazioni di assistenza sociale o volontariato.
La legge n. 94 del 2013 ne ha potenziato il ricorso per i tossicodipendenti introducendo il comma 5-ter e prevedendo che la misura possa applicarsi anche per un reato diverso da quelli previsti dal comma 5, purché commesso per una sola volta da persona tossicodipendente o da assuntore abituale di sostanze stupefacenti.
Ed anche questa misura, giustamente, distingue il profilo del piccolo spacciatore, per il quale lo Stato e la collettività possono e devono farsi carico di un ulteriore, forse ultimo ed estremo, tentativo di recupero, in luogo delle strategie meramente afflittive e repressive applicabili a chi invece fa dello spaccio un business drammaticamente dannoso per la società.
Bene è stato fatto, in quest'ottica, laddove è stata reintrodotta la depenalizzazione dell'uso personale di sostanze stupefacenti, ripristinando l'applicazione delle sole sanzioni amministrative e circostanziando e tipizzando in modo più specifico l'accertamento stesso dell’«uso personale».
Ed anche questi principi rispondono all'esigenza che pervade l'intero disegno di legge di conversione, ovvero distinguere tra il contrasto e la lotta al traffico illecito di stupefacenti e le finalità di recupero della persona coinvolta e soggiogata da questo traffico. Persona che, spesso e mal volentieri, oltre che protagonista è vittima di dinamiche esterne, socio-ambientali ed economiche.
Detto questo, abbiamo ancora molto da fare. Sono dell'avviso, infatti, che si debba in ogni caso mettere mano con determinazione a quelli che pure restano punti deboli dell'attuale sistema normativo che disciplina l'uso delle droghe e delle sostanze stupefacenti. Nel farlo, è bene che @pagina=0068@quest'Aula si ponga degli interrogativi rispetto ai quali ancora non è stata data risposta.
Dobbiamo chiederci se il tema della depenalizzazione esaurisce a pieno quello – forse più ampio – della eventuale legalizzazione dell'uso delle droghe leggere. Ed ancora, la non piena distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere della Fini-Giovanardi ha avuto per effetto quello di criminalizzare un comportamento e una generazione, di fatto trasformando il possesso e lo spaccio di piccole quantità di droghe leggere in un crimine penale grave, che ha portato in carcere decine di migliaia di giovani, rovinandoli assai più di quanto avrebbe potuto fare la droga stessa, intasando i tribunali – in un Paese dalla giustizia cronicamente lenta – di processi inutili ed altrettanto inutile permanenza nelle carceri, già congestionate e rese invivibili, portando l'Italia sul banco degli imputati della Corte europea, al prezzo di costose sanzioni e di un'inciviltà giuridica sostanziale.
L'attuale situazione normativa risponde a questo problema che c’è ? È reale, è attuale, o possiamo fare di più ? Non c’è dubbio alcuno che il consumo di droghe, leggere o pesanti che siano, costituisca un comportamento da combattere, rispetto al quale il Partito Democratico ha dato e sempre darà battaglia, come è giusto che sia, a preservazione della crescita sana e corretta, in special modo delle giovani generazioni.
Mi avvio a concludere. A tal riguardo, una eccezionale donna del secolo scorso, Billie Holiday, jazzista di colore, di fama mondiale, nata, cresciuta ed affermatasi tra difficoltà apparentemente insormontabili solo grazie al suo straordinario talento, ebbe modo di affermare che «tutto ciò che la droga può fare per te è ucciderti nel modo più lento e doloroso. E può uccidere con te anche le persone che ami».
Questa frase semplice, nonostante risalga ad oltre 60 anni fa, è drammaticamente attuale e credo più di ogni altra espressione sintetizzi le ragioni che devono spingerci a lavorare intensamente affinché il drammatico fenomeno dell'uso di droghe sia arginato e con esso siano arginate le costose conseguenze che ne subiscono i tossicodipendenti e le loro famiglie.
Del resto, però, tutte le dipendenze, incluse quelle legali – dal tabacco, all'alcol, al gioco d'azzardo –, che hanno spesso costi ed effetti più gravi di quelli da stupefacenti, anche se non sono considerate reato e producono buoni ritorni nelle casse dello Stato, sono moralmente altrettanto problematiche e socialmente costose. Ciononostante, il campo delle dipendenze viene ancora oggi affrontato con troppi veli di ipocrisia, che noi siamo chiamati a squarciare.
Ritengo, pertanto, indispensabile che quest'Aula si impegni, sin da oggi e nel corso del procedimento di conversione in legge del decreto-legge n. 36 del 2014, a rivedere nel complesso una questione sociale così importante, affinché anche la materia dell'uso e dell'abuso delle sostanze stupefacenti sia disciplinata in modo efficace e conforme ai bisogni più volte evidenziati dall'Unione europea, che già sei anni fa bocciava pesantemente la Fini-Giovanardi, ritenendola, in modo lungimirante, del tutto anacronistica ed inadeguata (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). PAGINA: 0068 MARISA NICCHI. Signor Presidente, quando il Presidente del Consiglio in carica richiama lo slogan con cui ha catturato consenso e simpatie, che è quello di «cambiare verso», invita a nozze questa opposizione, l'opposizione di SEL. Oggi affrontiamo uno dei punti, una grande questione sociale, che richiama un'esigenza di cambiamento.
È matura nel nostro Paese la prospettiva di un'alternativa alle politiche proibizioniste in materia di stupefacenti; politiche che sono fallimentari e che sono in via di superamento in tante parti del mondo. Il perché è molto semplice: proibire non vuole dire cancellare la possibilità di diffondere l'uso di queste sostanze e, naturalmente, @pagina=0069@meno che mai, cancellare i traffici illeciti. Ma questa maggioranza è ipotecata dal partito di Giovanardi, e quindi, di conseguenza, dalle spinte più conservatrici che vengono da quella parte e che riguardano anche altre componenti trasversali. E questa ipoteca ha fatto sentire il suo peso, tant’è che nella scelta che ha compiuto, quella di ricorrere ad un decreto – oggi, addirittura, si parla di possibile ricorso alla fiducia –, e anche nell'impostazione del decreto, sentiamo pesantemente questa ipoteca conservatrice, che non si ferma nemmeno di fronte alla Corte costituzionale, che ha proclamato la legge, per l'appunto, Fini-Giovanardi frutto di un atto illegittimo.
Una legge che ha provocato sofferenze umane, giuridiche, è stato ricordato in tanti interventi, che ha sovraffollato le nostre carceri, con la conseguente violazione dei diritti umani al loro interno. Qui corre l'obbligo di richiamare, in questa discussione, la battaglia di Ilaria Cucchi, che combatte per la dignità, per ridare dignità alla vita spezzata di quello che lei chiama, con amore, «quel tossico di mio fratello».
Ecco, invece di ripensare queste politiche, che hanno prodotto questo fallimento e questa sofferenza, si è tentato, con il decreto, nell'impostazione iniziale del decreto, in modo surrettizio, di reintrodurre il contenuto della legge Giovanardi-Fini, un'ottica repressiva, un'ottica criminalizzante, di far rientrare dalla finestra quello che la sentenza della Corte costituzionale ha fatto uscire dalla porta principale.
Si è tentato di svuotare il valore simbolico. In un manifesto di tutte le associazioni che si sono riunite a Genova di recente si è detto: valore simbolico immenso di questa sentenza perché si possa aprire nel nostro Paese, in una discussione non ideologica, ma pragmatica, una politica più umana, più giusta, forte, severa contro il traffico illecito, ma che sottragga le persone che usano le sostanze alla criminalizzazione penale, e a sanzioni amministrative che sono solo stigmatizzanti, che portano alla marginalizzazione – pensiamo a che cosa vuol dire perdere un permesso di soggiorno per un immigrato – e che sono assolutamente inutili. Per una politica che offra a chi fa uso di queste sostanze la possibilità di un sostegno sociale e sanitario e anche di un uso consapevole, cioè ora l'occasione, ed è ancora aperta e matura, di una prospettiva di mutamento a trecentosessanta gradi di queste politiche. Per una politica che contrasti l'uso delle droghe, ma che parta dal riconoscimento di quella che è la soggettività innanzitutto umana delle persone che usano le sostanze e dei loro diritti. Si è persa l'occasione, un'occasione di revisione delle sanzioni penali e amministrative; è stato ricordato, lo ha ampiamente descritto e ben presentato per il nostro gruppo l'onorevole Daniele Farina. Si è persa questa occasione e ciò su cui però mi voglio di più soffermare e con forza perché riguarda un punto di fondo è quello della necessità di un rilancio, di una risposta sociale, di un rilancio di quelli che sono i servizi per le dipendenze, il rilancio di quelle politiche, che noi chiamiamo e che sono state chiamate attraverso una letteratura scientifica e una pratica consolidata, di riduzione del danno finalizzato al benessere delle persone, alla prevenzione dei rischi connessi all'abuso e alla clandestinità del consumo, un rilancio anche di quelle politiche di somministrazione controllata. Richiamare il ruolo di una risposta sociale, il ruolo dei servizi vuol dire tutt'altra cosa da quelle che sono le politiche di tagli ai servizi sociali; la morsa del Patto di stabilità che sta strozzando gli enti locali e tutte quelle politiche vere e autentiche che possono sostenere percorsi sociali di inclusione delle persone che usano la sostanza. La vera risposta, una risposta di accoglienza e di sostegno sociale, tutt'altra risposta da quella che è stata presentata e praticata in questi anni in modo ingiusto, che è la galera.
Ecco, noi abbiamo posto questo tema al primo posto: la tutela della vita e della salute prima di tutto. E in nome di questa priorità, che è stata condivisa ampiamente da tanta parte anche nei lavori di Commissione, l'impostazione regressiva iniziale @pagina=0070@del decreto, che voleva svuotare di significato la sentenza della Corte costituzionale, è stata corretta. Va detto, infatti, che rispetto al testo iniziale del decreto-legge, il lavoro svolto nelle Commissioni congiunte, II e XII, ha consentito di apportare diverse modifiche che hanno in parte migliorato il testo. Le ricordo per riconoscere i passi avanti, ma anche per rimarcare il tentativo originario. Ora si riconosce il tentativo negativo originario contenuto nel decreto-legge. Ora per esempio si riconosce solo il coinvolgimento da parte del Ministro della salute e dell'Istituto superiore della sanità e non invece, come prevedeva il testo iniziale della Fini-Giovanardi, dell'autocratico Dipartimento nazionale per le politiche antidroga, il cui ruolo, per esempio, d'informazione unilaterale è stato più volte sottolineato in modo critico anche nella discussione.
È stata soppressa la cupa previsione per la quale nel decreto iniziale gli operatori sanitari del servizio pubblico per le tossicodipendenze e delle strutture private autorizzate erano obbligati – sottolineo obbligati – a segnalare alle autorità competenti tutte le violazioni commesse dalla persona sottoposta al programma terapeutico. Un obbligo della legge Fini-Giovanardi che introduceva un'inaccettabile funzione repressiva degli operatori sanitari. È stata modificata la norma iniziale che prevedeva che il servizio pubblico per le dipendenze dovesse, tra l'altro, controllare l'attuazione del programma da parte del tossicodipendente. Un compito fiscale repressivo del servizio pubblico per le dipendenze improprio per una struttura di cura. Si è modificato il testo in riferimento al servizio, non più denominato «servizio per le tossicodipendenze», ma «per le dipendenze», allargando, quindi, l'azione, includendo altre forme di dipendenza e uscendo dall'ossessione contro la cannabis di cui abbiamo trovato testimonianza nella discussione unilaterale e nella consultazione di questo lavoro. È stato riscritto completamente l'articolo 3 per l'utilizzo dei farmaci off label, correggendo una versione iniziale farraginosa che metteva in capo all'Aifa un ruolo di programmazione assolutamente pleonastico e inutile.
Vado, quindi, a stringere visti i tempi, per ricordare che, sì, ci sono stati miglioramenti, passi avanti, grazie al lavoro delle Commissioni, ma, purtroppo, ancora una volta, si è persa un'occasione di cambiamento (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà) (La Presidenza autorizza, sulla base dei criteri costantemente seguiti, la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative dell'intervento). PAGINA: 0070 GIOVANNI MONCHIERO. Signor Presidente, cari colleghi, poche parole sul complesso di questo decreto-legge che oggi stiamo esaminando, sul quale è già intervenuta la collega Vezzali e, quindi, non riprenderò molte delle considerazioni già fatte. Si tratta di un decreto che affronta due argomenti fra loro assolutamente non collegati, come spesso capita alla nostra legislazione, entrambi però caratterizzati dalla necessità di rispondere con urgenza a delle situazioni che sono emerse anche improvvisamente o comunque in modo inatteso. Innanzitutto, la sentenza della Corte costituzionale che, dichiarando l'illegittimità della cosiddetta legge Giovanardi-Fini, ripristinava normative troppo antiche per non abbisognare di un qualche aggiustamento. Poi la questione dell'utilizzo dei farmaci cosiddetti off label che, anche qui, è stata oggetto di un evento che ha colpito molto l'opinione pubblica, la sanzione che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha applicato nei confronti delle ditte farmaceutiche Roche e Novartis per un presunto cartello volto ad eludere i principi della concorrenza in merito alla distribuzione e all'utilizzo dei farmaci Avastin e Lucentis. È una situazione che era ben nota agli operatori della sanità perché la differenza di costo fra i due farmaci aveva stupito quasi tutti gli operatori del settore in merito alla pratica difficoltà di utilizzare il farmaco meno costoso che era stato registrato per un'indicazione @pagina=0071@terapeutica ben diversa da quella oculistica nella quale, peraltro, trovava diffusa applicazione.
Lo scandalo e anche l'incredulità suscitati da questo provvedimento dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha naturalmente indotto il Governo ad adottare una normativa d'urgenza che provasse a risolvere il problema. In realtà, come ricordava pochi minuti fa la collega di SEL, oggettivamente la prima formulazione dell'articolo 3 del decreto-legge non era felicissima; il decreto-legge era un po’ troppo farraginoso e, anziché favorire l'utilizzo off label, lo assoggettava ad una serie di adempimenti burocratici certamente non favorevoli.
Il lavoro della Commissione, in questo caso, è stato, invece, positivo. In Commissione su questo tema, sull'articolo 3, si è trovata una soluzione di mediazione molto più pratica, molto più facilmente eseguibile, che consentirà almeno di evitare nell'immediato il ripetersi del caso Lucentis.
Non così è stato, invece, sugli articoli 1 e 2, anche nelle discussioni udite oggi. Mi pare di poter dire che la normativa generale che cerca di disciplinare l'utilizzo delle sostanze stupefacenti meriti una revisione più completa, una revisione più organica e un decreto-legge non è certamente lo strumento più appropriato per fare questo. Quindi, unisco anche il mio all'auspicio di altri colleghi affinché questa materia venga ripresa in modo più organico. Però, detto questo, non posso non sottolineare comunque che l'intervento del Governo ci pare opportuno e che, quindi, è opportuno che almeno la norma, così come rielaborata in Commissione, possa trovare applicazione.
Approfitto di questa circostanza anche per aggiungere come spesso la decretazione d'urgenza non favorisca un approfondimento delle normative e rischi di creare ulteriori complicazioni. E il rispondere, sulla spinta dell'emozione, dell'opinione pubblica, con i decreti è una prassi che ha ovviamente anche qualche indicazione positiva, ma che ha delle evidenti controindicazioni.
Io vorrei soltanto concludere a questo proposito dicendo che, poiché negli emendamenti presentati per l'esame dell'Aula è previsto anche un intervento in materia di revisione del decreto-legge 25 marzo 2013, n. 24, la cosiddetta legge per la sperimentazione su Stamina, credo che i colleghi che hanno presentato questi emendamenti, anche in questo caso, vogliano rispondere a una esigenza di risposta immediata da parte dell'opinione pubblica. L'opinione pubblica è stata certamente stupita sia dal clamore avuto l'anno scorso da questa vicenda sia dall'azione dell'autorità giudiziaria, che proprio in queste ultime ore ha posto a carico dell'inventore di questa metodologia e dei suoi collaboratori pesanti ipotesi di reato e anche pesanti dubbi sulla sicurezza e sulla appropriatezza delle terapie applicate. Io auspico che questo argomento possa essere discusso.
Spero che il Governo non metta la fiducia, perché questo argomento merita di essere discusso. Se invece, per ragioni di economia dei lavori parlamentari, il Governo ritenesse di mettere la fiducia, che naturalmente il gruppo di Scelta Civica darà, perché il decreto-legge è comunque nel suo complesso da accogliere favorevolmente, io spero e auspico che anche la questione della revisione del decreto-legge n. 24 del 2013 possa essere presto oggetto dei lavori di questa Assemblea. PAGINA: 0071 TANCREDI TURCO. Signor Presidente, la recente sentenza della Corte costituzionale, la n. 32 del 2014, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della cosiddetta legge Fini-Giovanardi.
Ciò che traspare in modo preoccupante dalla sentenza della Corte è la circostanza che ad essere stato censurato è il metodo con il quale la Fini-Giovanardi è stata introdotta nell'ordinamento, attraverso una forzatura dello strumento della decretazione d'urgenza. E direi che in questa legislatura, sia con il precedente Governo Letta che con questo Governo Renzi, questo abuso della decretazione d'urgenza @pagina=0072@continua. Da questo particolare vizio di carattere procedurale, manifestatosi in una carenza di potere delle Camere, la Corte ha dichiarato incostituzionale appunto la Fini-Giovanardi ed ha, dunque, riportato in vigore le norme precedenti, quelle della legge cosiddetta Jervolino-Vassalli.
La dichiarazione di illegittimità costituzionale della Fini-Giovanardi pone immediatamente, di conseguenza, alcune questioni sia applicative, in merito alle disposizioni applicabili nei procedimenti in corso ovvero conclusi, sia normative, circa la coerenza del quadro normativo che risulta a seguito del rivivere della normativa precedente. La caducazione della Fini-Giovanardi comporta, in primo luogo, la differenziazione delle tabelle sinora allegate al testo unico, ottenendo quindi l'effetto di superare finalmente l'equiparazione delle droghe leggere e pesanti ai fini sanzionatori.
E questo è senz'altro positivo.
L'efficacia delle disposizioni previgenti determina il tanto atteso abbassamento delle pene per le violazioni relative alle cosiddette droghe leggere e un parallelo aumento delle pene previste per le violazioni relative alle cosiddette droghe pesanti.
Sul punto la Corte costituzionale ha affermato che, quanto agli effetti sui singoli imputati, è compito del giudice comune quale interprete delle leggi impedire che la dichiarazione di illegittimità costituzionale vada ad aggravare la loro posizione giuridica, tenendo conto del principio in materia di successione di leggi penali nel tempo, che implica l'applicazione della norma penale più favorevole al reo.
Per ovviare alla situazione determinatasi, il Governo ha approvato il testo di un decreto-legge, il n. 36 del 2014, che ha ripristinato le tabelle caducate dalla sentenza della Consulta, confermando la distinzione tra droghe leggere e pesanti ed aggiornandole con l'inserimento di circa 500 nuove sostanze stupefacenti.
Uno degli aspetti che si ritiene tuttavia problematico ed irrisolto dal presente decreto riguarda il testo del comma 5, che prevede un autonomo reato speciale nel caso si tratti di fatti di «lieve entità», le cosiddette ipotesi di piccolo spaccio. La nuova incriminazione per i fatti di lieve entità – che accomuna sotto un'unica cornice edittale le condotte concernenti sia le droghe leggere sia le quelle pesanti – non appare quindi coerente con l'attuale sistema penale degli stupefacenti, che distingue il trattamento sanzionatorio tra diverse tipologie di sostanze stupefacenti. Quindi ribadisco che per le ipotesi di «piccolo spaccio» non sia più prevista la differenziazione tra droghe leggere e droghe pesanti. Tale impostazione, a seguito della sentenza della Corte, palesa una sproporzione nel sistema sanzionatorio degli stupefacenti. Pertanto l'articolo 73, comma 5, quello appunto che definisce il piccolo spaccio, parrebbe sollevare diverse perplessità dal punto di vista della ragionevolezza e anche dell'uguaglianza, rifacendosi all'articolo 3 della Costituzione. Nel corso dell'iter legislativo in Commissione ciò è stato invano evidenziato da molti autorevoli auditi ed espresso per mezzo di varie proposte emendative sul punto, tutte colpevolmente respinte da questa maggioranza.
Nel testo base che ci apprestiamo a discutere, assistiamo ad una previsione per i fatti di «lieve entità» modificata nel massimo edittale della pena – quattro anni – senza che, tuttavia, venga riconosciuta la diversificazione del trattamento sanzionatorio in ragione del tipo di sostanza stupefacente considerata (ripeto: appunto, manca la differenziazione tra droghe leggere e pesanti). Si ritiene errata, infatti, l'impostazione che attende alla previsione indifferenziata del comma 5 dell'articolo 73 per i fatti di «lieve entità», che sono quelli che riguardano tutti i consumatori. I nostri emendamenti presentati sono volti a ristabilire un trattamento graduato e differenziato a seconda del tipo di sostanza, anche per le ipotesi di lieve entità e, pertanto, si auspica possano venire responsabilmente approvati da quest'Aula.@pagina=0073@
Altro aspetto che si riteneva potesse essere superato è il divieto di coltivazione della cannabis. Ancora una volta, non pare accettabile il divieto indiscriminato di coltivazione delle piante di cui alle tabelle 1 e 2, in particolare per quanto riguarda la cannabis. Tale divieto, infatti, espone a conseguenze penali, che riteniamo ingiustificate, anche chi coltiva per uso personale un numero limitato di piante, un «reato» controverso in sede di giurisprudenza, sino alla Corte di Cassazione. Il problema si pone soprattutto con riferimento a quelle condotte rispetto alle quali appare particolarmente irragionevole l'applicazione di una sanzione penale, oltre che in senso assoluto, anche in relazione ad ipotesi di condotta del tutto simili e punite «soltanto» sul piano amministrativo. Immaginiamo il caso di chi coltivi qualche pianta di canapa per farne un uso personale: a costui si applica la sanzione penale – ripeto: la sanzione penale – dell'articolo 73, mentre si applicherà la sanzione amministrativa – quindi non penale, ma amministrativa – di cui all'articolo 75 a chi acquisti la stessa quantità di sostanza o addirittura un quantitativo maggiore per farne un uso personale. Quindi, sostanzialmente chi si coltiva in casa una pianta di canapa o di marijuana rischia delle pene molto più alte rispetto a chi va ad acquistare la stessa quantità di sostanze stupefacenti.
Dal punto di vista della detenzione illecita, si intende eliminare totalmente l'illiceità delle condotte relative alla cannabis, sia indica che sativa, definendo e depenalizzando il possesso sotto ogni forma di una quantità massima detenibile, individuata per legge.
È in questo senso che si intenderebbe: 1) eliminare le sanzioni penali per i consumatori di cannabis; 2) eliminare l'equiparazione delle droghe leggere alle pesanti anche per i fatti di lieve entità; 3) aumentare i grammi di cannabis detenibili per uso personale; 4) consentire la coltivazione a fini di consumo personale di piante di cannabis; 5) eliminare l'arresto e gli illeciti amministrativi per la detenzione e l'utilizzo di modiche quantità di cannabis. Ciò vuole essere un radicale superamento della concezione repressiva e sanzionatoria volta a punire i consumatori di sostanze nella fallimentare lotta alla droga protrattasi negli ultimi decenni.
Nell'ambito internazionale sono state trovate soluzioni funzionali: si pensi alla Penisola iberica ove la coltivazione di un numero modico di piante di cannabis è tollerato, non suscita alcun allarme sociale, né viene perseguito dallo Stato. In Portogallo è consentito detenere una quantità di sostanza dieci volte superiore alla quantità considerata per uso personale giornaliero. In Spagna è persino consentita la creazione di associazioni culturali senza scopo di lucro ove si può coltivare un numero di piante variabile a seconda del numero dei soci che fruiscono della produzione collettiva di cannabis a fini personali, i cosiddetti cannabis social club che si distinguono dai coffee shop olandesi perché questi sono senza scopo di lucro. Recentissimamente molti Stati degli Stati Uniti d'America hanno consentito l'introduzione dell'uso ricreativo della cannabis, oltre a quello già diffusamente consentito a scopi medici, consentendo la coltivazione ad uso personale di piante di canapa come in California, ovvero in Stati quali Colorado o Washington, che hanno già iniziato a risanare le esangui casse statali con le tasse derivanti dalla liberalizzazione della cannabis.
La mancanza di volontà politica di depenalizzare la coltivazione e detenzione a fini di consumo personale di cannabis e la mancanza di differenziazione del trattamento sanzionatorio nei casi di lieve entità in ragione del tipo di sostanza, appaiono palesemente anacronistici ed illogici. A ciò si aggiunga il fenomeno del traffico internazionale e nazionale di cannabis e derivati, gestito dalla criminalità organizzata, che alimenta un ampio mercato che potrebbe esser fatto emergere, con ovvie positive conseguenze anche finanziarie per lo Stato, utilizzando uno dei modelli adottati dagli Stati prima citati. Il sostanziale proibizionismo provoca perciò l'alimentarsi della criminalità organizzata, distoglie uomini, mezzi e risorse alla lotta @pagina=0074@al narcotraffico internazionale di droghe pesanti e soprattutto contribuisce non di poco al sovraffollamento delle nostre carceri, causato da reati di lieve entità relativamente alla cannabis, problema sin troppo noto per essere stato ampiamente discusso in questa Aula.
Si ritiene, pertanto, che il presente provvedimento costituisca un'altra occasione persa per poter dare una svolta netta al regime sanzionatorio imposto per otto lunghi anni dalla Fini-Giovanardi, continuando sostanzialmente ad applicare una legge sugli stupefacenti fondata su presupposti resisi inadeguati, che sta per compiere venticinque anni, la cosiddetta Jervolino-Vassalli.
In conclusione, riteniamo che sia straordinariamente necessario ed urgente un provvedimento mirato a risolvere la posizione dei soggetti condannati in via definitiva a causa di una legge incostituzionale come la Fini-Giovanardi, che oltre a realizzare giustizia sociale risolverebbe la situazione dei soggetti detenuti in forza di condanne calibrate su pene oggi dichiarate incostituzionali.
Sul punto auspichiamo pertanto un intervento di interpretazione autentica finalizzato ad offrire un trattamento paritario ai condannati in forza di norme ormai divenute incostituzionali e soprattutto auspichiamo che la maggioranza di quest'Aula voglia cogliere l'occasione finalmente di poter radicalmente trasformare la visione dell'azione dello Stato nei confronti della lotta agli stupefacenti, concentrandola verso il traffico di droghe pesanti, depenalizzando parallelamente il consumo e la coltivazione ad uso personale, domestico, della cannabis per un numero limitato di piante, accogliendo positivamente le proposte emendative presentate dal MoVimento 5 Stelle. Concludo dicendo che il Partito Democratico si è spesso dichiarato favorevole a questo tipo di emendamenti e di norme. Lo aspettiamo alla prova dei fatti in Aula (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). PAGINA: 0074 PAOLA BINETTI. Signor Presidente, mi sembra molto interessante poter affrontare questo dibattito, peccato in un'Aula vuota. Mi auguro davvero che la minacciata fiducia su questo disegno di legge non sia un indiretto modo poi di ridurre le opportunità di confronto ad Aula piena, perché, in realtà, nel confronto che c’è stato nelle due Commissioni, molte cose si sono dette, molte cose si sono affrontate ma certamente la disparità delle idee e delle posizioni non ha nemmeno permesso che perlomeno si venisse a capo di un approfondimento che mettesse a fuoco, al di là delle posizioni ideologiche, quelle che sono le reali difficoltà, le reali problematiche in cui oggi si imbattono i giovani, le famiglie e tutti coloro che hanno a cuore il futuro di queste giovani generazioni.
Io mi soffermerò soprattutto su due passaggi, che considero cruciali. Un passaggio, perlomeno per quanto riguarda gli articoli 1 e 2, è quello che riguarda l'autentica messa in azione di iniziative che abbiano come obiettivo specifico la prevenzione, perché penso che questa di per sé non sia né una buona né una cattiva legge, ma lo potrà diventare se eviteremo che nella vulgata che si farà di essa prevalga una visione di banalizzazione rispetto all'uso delle droghe o una visione che vuole essere letta in una prospettiva positiva di riduzione di quello che è stato considerato un approccio di tipo repressivo. Credo che il giusto equilibrio tra ciò che non vuole essere repressivo e ciò che non vuole essere banalmente diffusivo sta tutto proprio in una logica che faccia della formazione un'istanza di alto valore che aiuti le persone a decidere realmente con la loro testa ciò che è bene per sé, bene in atto e bene in una prospettiva di futuro. Penso che il dibattito sulla droga sia un dibattito che ha questa prospettiva importante.
Drogarsi fa male, drogarsi non è un diritto, drogarsi può essere un'opportunità per sperimentare, un'opportunità perché in qualche modo, soprattutto nell'età dell'adolescenza, c’è un desiderio trasgressivo rispetto ai modelli; c’è un bisogno di emulare gli adulti, c’è un bisogno di andare @pagina=0075@oltre quelli che sono i confini di un'esperienza del quotidiano che a volte appare semplicemente noioso e al quale si vuole dare una sorta di smalto. Non a caso, grandi consumi di droga vengono spesso concentrati nei fine settimana, vengono spesso concentrati in quella sorta di nuove cattedrali che sono i locali in cui i ragazzi si riuniscono il sabato sera e la domenica con tutte le conseguenze che poi anche immaginiamo e conosciamo sotto altri punti di vista.
Quindi, io credo che la chiave di volta di questo disegno di legge, per lo meno negli articoli 1 e 2, non vada letta esclusivamente attraverso il dibattito che ci ha impegnato e appassionato su droghe leggere-droghe pesanti. La legge Fini-Giovanardi aboliva la distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti ? La legge precedente, invece, poneva una differenza radicale tra le due ? Qual era il fondamento di questa differenza ? Sappiamo tutti che fortunatamente non è un passaggio obbligato quello dall'uso di cosiddette droghe leggere – nel caso specifico, quelle di cui stiamo parlando, di tutti i derivati della cannabis – a quello che poi risulterà l'uso delle droghe pesanti, ma tutti sappiamo anche che non c’è uso di droghe pesanti che non provenga da una precedente fase di uso di droghe leggere, a tal punto che tutti i responsabili delle comunità, qualunque sia l'impostazione pedagogica, l'impostazione terapeutica, l'impostazione riabilitativa che seguono, tutti loro sono contrari all'uso delle droghe, così, sic et simpliciter, perché il prodotto finale a cui loro assistono è spesso un prodotto talmente devastato che in qualche modo induce ad essere particolarmente esigenti nella fase della prevenzione.
Quindi è sulla prevenzione che voglio insistere. Non mi appassiona la distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti: conosco troppo bene, anche in virtù di un'esperienza professionale precedente l'attività parlamentare, una serie di conseguenze drammatiche, difficili a cui vanno incontro questi ragazzi. E mi sembra che tutto ciò che ha la logica della prevenzione, che passa non attraverso la repressione: perché è vero che le repressione molte volte sollecita e stimola il gusto della trasgressione. È il gusto stesso dell'adolescenza: è il segno della sua discontinuità, è la volontà di mettere in qualche modo fine a quello che viene percepito come uno stato d'infanzia, per pagare una sorta di dogana che gli permetta di entrare nel mondo dei grandi, laddove tutto è permesso.
Negli anni in cui esplose poi l'uso delle droghe – lo ricordiamo, alla fine degli anni Sessanta – lo slogan per eccellenza era «vietato vietare». Ed è proprio questo aspetto quello su cui noi non vogliamo insistere. Non è una questione di vietare; ma attenzione, non è nemmeno il momento di far passare il messaggio di segno contrario. Non è nemmeno il momento di dire che tutti coloro che hanno vietato, che tutti coloro che in questi dieci anni hanno insistito su uno stile, una prassi che faceva dell'attenzione – warning ! attenzione ! lì c’è un pericolo ! – non sono i nemici delle nuove generazioni; sono persone che hanno perseguito un itinerario, un itinerario che ha avuto i suoi alti e bassi, ha avuto le sue luci e le sue ombre, un itinerario che la Consulta ha deciso in qualche modo di archiviare, pur senza entrare nel vivo della norma. Ma attenzione, che questa nuova percezione, questa mutata sensibilità – questa sensibilità che per lo meno si vorrebbe mutare – non induca un rimedio peggiore del male. Ed è qui che questa legge dovrà dare il meglio di sé: non insistendo tanto, ancora una volta, sull'aspetto repressivo, sulla quantificazione della sanzione, quanto piuttosto assumendo come una prospettiva alta e forte quella della formazione.
Voglio dire qualcosa di molto concreto su questo. Sentiamo parlare tante volte di quella che è l'emergenza educativa: molti colleghi, che si sono succeduti questo pomeriggio in quest'Aula, hanno voluto sottolineare la fase dell'emergenza educativa, e hanno voluto vedere nell'emergenza educativa molte volte quella perdita di senso cui vanno incontro i giovani, quell'ostilità che viene al mondo giovanile dal pericolo della noia, dal pericolo del senza significato @pagina=0076@e del senza valori. Allora noi vorremmo che assumessimo questa prospettiva, attraverso questa legge: di impegnare il nostro Paese, al pari degli altri Paesi europei, a rispondere al problema della droga attraverso un approccio integrato tra la riduzione della domanda e dell'offerta di droga sulla base di principi di responsabilità condivisa e di proporzionalità, in piena coerenza con i principi fondamentali della dignità di tutti coloro che sono toccati dal problema globale della droga, compresi i tossicodipendenti, e nel pieno rispetto delle libertà fondamentali e dei diritti umani. Questa vuol essere anche una sottolineatura forte, perché non ci sia nessuno stigma nei confronti del tossicodipendente. Il tossicodipendente non è qualcuno da cui guardarsi, non perché è un tossicodipendente, ma perché potenzialmente potrebbe essere uno spacciatore che attraverso lo spaccio nutre e alimenta il circuito della sua dipendenza.
Questa è una preoccupazione che hanno i genitori nei confronti dei figli. Perché i genitori temono la frequentazione dei figli con ragazzi che fanno uso di droga ? Non per il ragazzo in sé, ma perché temono il contagio: temono la facilità della seduzione che può venire dall'esperienza che in qualche modo definisce i confini e l'orizzonte di qualcosa che, proprio perché non concessa, proprio perché non permessa, sembra avere una sorta di alone di fascino.
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