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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
MARINA SERENI

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  La seduta comincia alle 10,30.

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Missioni. (Vedi RS)

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Missioni.

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  PRESIDENTE (Vedi RS). Comunica che i deputati in missione sono ottanta.

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  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Adornato, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amendola, Amici, Balduzzi, Bellanova, Biondelli, Bobba, Michele Bordo, Brescia, Caparini, Capezzone, Cirielli, D'Ambrosio, Dambruoso, De Girolamo, Gozi, Gianluca Pini, Portas, Ravetto, Speranza e Tidei sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente ottanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

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Discussione del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 25 del 2014: Misure urgenti per l'avvalimento dei soggetti terzi per l'esercizio dell'attività di vigilanza della Banca d'Italia (approvato dal Senato) (A.C. 2309) (Esame e votazione di una questione pregiudiziale). (Vedi RS)

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Discussione del disegno di legge: S. 1387 – Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 marzo 2014, n. 25, recante misure urgenti per l'avvalimento dei soggetti terzi per l'esercizio dell'attività di vigilanza della Banca d'Italia (A.C. 2309) (Approvato dal Senato) (Esame e votazione di una questione pregiudiziale) (ore 10,34).

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  PRESIDENTE (Vedi RS). Avverte che è stata presentata la questione pregiudiziale Busin n. 1.

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  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della questione pregiudiziale Busin ed altri n. 1 (Vedi l'allegato A – A.C. 2309), presentata al disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 2309: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 marzo 2014, n. 25, recante misure urgenti per l'avvalimento dei soggetti terzi per l'esercizio dell'attività di vigilanza della Banca d'Italia.
  Avverto che, a norma del comma 3 dell'articolo 40 e dell'articolo 96-bis del Regolamento, la questione pregiudiziale può essere illustrata per non più di dieci minuti da uno solo dei proponenti. Potrà altresì intervenire un deputato per ognuno degli altri gruppi per non più di cinque minuti.
  Il deputato Busin ha facoltà di illustrare la sua questione pregiudiziale n. 1.

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  FILIPPO BUSIN (LNA) (Vedi RS). Illustra la sua questione pregiudiziale n. 1.

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  FILIPPO BUSIN. Signor Presidente, con il decreto-legge oggi in discussione noi consentiamo alla Banca d'Italia di ricorrere a soggetti terzi per ottemperare a quello che sono i nuovi regolamenti europei in tema di vigilanza bancaria e, in particolare, per consentire alla Banca centrale europea l'esercizio della valutazione approfondita.
  Anzitutto rileviamo il fatto che, nonostante la presenza di notevoli profili e @pagina=0002@competenze all'interno della Banca d'Italia, si ricorra comunque a soggetti esterni che hanno un loro costo, per quanto sia ad invarianza per le casse dello Stato, quando invece si poteva benissimo attingere a quanto già presente all'interno dell'organico di questo istituto. Ma più in generale, noi contestiamo l'uso della decretazione d'urgenza per temi che riguardano istituti così importanti e centrali che svolgono una funzione così essenziale all'interno del sistema economico del nostro Paese come la Banca d'Italia. Lo abbiamo già fatto con il decreto-legge n. 133 relativo all'IMU e lo facciamo anche in quest'occasione. Sono altri gli iter secondo noi più appropriati da seguire per questi temi, come il disegno di legge ordinario.
  Ma soprattutto, contestiamo il modo in cui, per così dire, ci si avvicina all'obiettivo di un sistema bancario unico europeo attraverso questi piccoli passi e decisioni così parcellizzate che sono stati venduti come una tappa di avvicinamento a questo scopo ma che ci appaiono del tutto inadeguati e tardivi. L'unione bancaria europea dovrebbe essere stata concepita come un disegno organico e complessivo ancora all'epoca dell'introduzione dell'euro perché a questo necessariamente legata.
  Con questo provvedimento e questi piccoli passi, la pretesa di risolvere problemi così grandi attraverso regolamenti sempre più articolati e sempre più specifici ci sembra assolutamente velleitaria. I regolamenti sono per loro natura rigidi e non si adattano alle realtà che man mano si presentano, che possono essere drammatiche, come quella che ci ha colpito con la crisi economica del 2008 e che non è ancora stata risolta e, in questo senso, il confronto con le altre autorità centrali monetarie e bancarie di altri Paesi è impietoso. Vediamo come ha agito la FED o come ha agito anche la Banca centrale giapponese o quella inglese, che hanno poteri che alla Banca centrale europea sono totalmente sconosciuti, nel momento in cui hanno deciso, ad esempio attraverso l'emissione di nuova massa monetaria, di dare stimolo alla propria economia e alle proprie esportazioni. Questi strumenti sono alla Banca centrale europea assolutamente preclusi, perché obiettivamente, al di là del nome, Banca centrale europea, questo è un istituto che non ha altra funzione se non quella di stabilizzare i prezzi, e nulla più.
  È una specie di guardiano contro l'inflazione che ci fa scoprire disarmati quando scoppiano, come è successo negli esercizi recenti, delle vere e proprie guerre valutarie a livello mondiale. E noi in questo senso siamo ingessati, ci diamo nuove regole e nuovi regolamenti che non fanno altro che ingessarci ancora di più. Il risultato lo vediamo: probabilmente arriveremo a questa agognata unità bancaria a tempo già scaduto, quando ormai le economie sottostanti ai vari Paesi europei saranno già distrutte, saranno ridotte a macerie, come lo è già in parte l'economia italiana. Con l'obiettivo di stabilizzare i prezzi e di porre un argine ai problemi fra i piedi, ci ritroviamo in Italia con un'inflazione che non è mai stata così alta nella storia del Paese – il 12,6 per cento – e, come ho detto prima, senza strumenti adatti a fare argine a queste problematiche.
  Abbiamo costruito un'unità monetaria che, usando un'espressione felice del professor Savona, è quasi «una corona senza re»: abbiamo creato una cosa che non sta in piedi e che si presenta non come un'opportunità, ormai, per una maggiore integrazione europea, ma si presenta forse come il maggiore ostacolo a una vera integrazione del nostro continente (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).

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  Intervengono sulla questione pregiudiziale presentata i deputati ROCCO PALESE (FI-PdL) (Vedi RS), MARCO DI MAIO (PD) (Vedi RS), GIOVANNI PAGLIA (SEL) (Vedi RS), PAOLO TANCREDI (NCD) (Vedi RS) e MARIO SBERNA (PI) (Vedi RS).

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  ROCCO PALESE. Signor Presidente, intervengo per annunciare che Forza Italia non condivide questa questione pregiudiziale, e non la condivide per un motivo molto semplice: in primo luogo, perché il nuovo regolamento sia dell'Unione europea sia della Banca centrale europea determina @pagina=0003@di fatto l'obbligatorietà per le banche, ma in particolare per la Banca d'Italia, che vi siano strumenti di vigilanza molto più attinenti e più restrittivi rispetto a quelli vigenti. In secondo luogo, il Governo ha provveduto in via d'urgenza perché c'erano anche delle scadenze – se non vado errato, a marzo – affinché si potesse adempiere a tutto quanto previsto rispetto alle indicazioni fornite dalla Banca centrale europea. Il Governo e la Banca d'Italia hanno ritenuto anche di estendere queste valutazioni a un soggetto terzo e, comunque, il decreto-legge prevede che l'individuazione sia fatta esclusivamente attraverso procedure di evidenza pubblica, determinando di fatto un controllo anche dal punto di vista della trasparenza rispetto a quelle che sono o che saranno, poi, le scelte. Pertanto, non ritenendo che onestamente vi siano requisiti tali di anticostituzionalità, noi riteniamo di non condividere e di non votare a favore di questa questione pregiudiziale.

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  MARCO DI MAIO. Signor Presidente, il provvedimento in esame è un provvedimento importante per il sistema Italia, non solo per il sistema bancario, ma anche proprio per il nostro Paese. Con il testo in oggetto, emanato dal Governo, si consente alla Banca d'Italia, ai fini della valutazione approfondita condotta dalla BCE ai sensi dei regolamenti comunitari, di avvalersi di soggetti terzi per l'esercizio dell'attività di vigilanza informativa e ispettiva sulle banche e i gruppi bancari.
  È un provvedimento, dal nostro punto di vista, di estrema rilevanza, se si tiene conto che la Banca centrale europea condurrà questa valutazione approfondita in piena indipendenza e, come ho già detto, il provvedimento in essere sottolinea come le autorità nazionali competenti per condurre queste valutazioni si rivolgeranno a esperti del settore privato – consulenti, revisori o altro – per ricevere assistenza in relazione a compiti quale l'esame dei fascicoli, le analisi e gli accertamenti.
  È un testo anche urgente, urgente per i tempi – come veniva ricordato – e urgente anche perché la Banca centrale europea concluderà le valutazioni in essere del sistema bancario tra soli sei mesi, nell'ottobre del 2014, anteriormente all'assunzione di nuovi compiti di vigilanza nel novembre 2014.
  E proprio l'imminenza temporale di questa scadenza fa sì che per il provvedimento in questione ci sia il pieno rispetto dei requisiti posti dall'articolo 77 della Costituzione sulla decretazione da parte del Governo.
  Dopo la fase di analisi dei rischi, è in fase di svolgimento quella di esame della qualità degli attivi, che comprende l'attività in cui saranno coinvolti i soggetti terzi. La stessa Banca centrale europea, con una nota del 3 febbraio 2014, ha sottolineato come l'esame della qualità degli attivi si articoli, a sua volta, in tre momenti: selezione del portafoglio, già conclusa entro febbraio; analisi effettiva del patrimonio, avviata nel mese di marzo e che durerà fino ad agosto di quest'anno; e comunicazione dei dati nel mese di ottobre prossimo.
  In questa fase così delicata, il generale ricorso a società del settore privato si rende necessario non soltanto data la complessità dell'esercizio, ma anche allo scopo di rafforzarne l'indipendenza e la credibilità. Inoltre, non è corretto, non corrisponde al vero che il provvedimento in esame comporti ulteriori spese per lo Stato, perché vi è una salvaguardia finanziaria secondo la quale l'attuazione del decreto non deve produrre nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, e gli oneri derivanti dai provvedimenti quantificati dalla relazione tecnica sono attorno ai 25 milioni di euro e saranno interamente sopportati dalla Banca d'Italia.
  Per ciò che riguarda l'opportunità o meno di affidare la vigilanza a soggetti terzi, è vero e va citato in questa sede, che il capo del dipartimento di vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia ha affermato che, vista la notevole esperienza e tradizione della nostra Banca d'Italia, avrebbe potuto, in linea teorica, scegliere @pagina=0004@di non avvalersi di parti terze per l'esame di questi atti, tuttavia, si rende necessario, invece, ricorrere anche a soggetti terzi per due motivi: in primo luogo, perché lo straordinario impegno richiesto e il massiccio impiego di risorse mai verificatosi prima non renderebbe la Banca d'Italia, da sola, in grado di rispettare i tempi previsti e gli standard richiesti. E, poi, per una questione di opportunità, perché senza il placet di soggetti terzi nell'attività di vigilanza, si sarebbe potuta indebolire agli occhi del mercato degli investitori la percezione di imparzialità. Per questa ragione, anche gli altri Paesi, compresi quelli dotati, come il nostro, di un adeguato corpo ispettivo, hanno deciso di avvalersi di esperti esterni e indipendenti.

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  GIOVANNI PAGLIA. Signor Presidente, noi di Sinistra Ecologia Libertà riteniamo la Costituzione una cosa seria, come è noto e, quindi, riteniamo seria anche la scelta di porre o di non porre una pregiudiziale di costituzionalità. Credo che questo non sia uno strumento ordinario di opposizione, ma che debba essere utilizzato quando c’è o se si ritiene che ci sia una reale discrasia fra il rispetto della Costituzione e una legge che viene in approvazione. Voglio, quindi, dire con chiarezza, che io credo che questa discrasia nel decreto in oggetto non sia assolutamente rinvenibile, pur avendo questo decreto tutti i limiti di merito su cui, poi, proverò ad entrare brevemente. Per una volta, infatti, non si è utilizzato un decreto per veicolare mille ed eterogenei provvedimenti, ma lo si è limitato ad uno ed un solo oggetto ben delimitato, e di questo va dato atto. Allo stesso tempo, è difficile non ravvisare l'urgenza, dato che l'attività di vigilanza non può essere oggetto di ritardi, ha una scadenza ravvicinata – ovvero ottobre 2014 per il suo pieno svolgimento – ed ha già affrontato passaggi importanti del cronoprogramma.
  Non possiamo, inoltre, dimenticare che il decreto segue anche una nota della BCE, che invita le Banche centrali nazionali ad avvalersi di soggetti terzi per queste attività di verifica. Questo, se non rafforza né determina un giudizio di merito sul decreto, contribuisce, però, ad indebolire qualsiasi ipotesi di incostituzionalità.
  Detto questo, credo che valga comunque la pena di approfittare di questa finestra per alcune considerazioni di merito preliminari, in attesa di poter formulare, dopo il passaggio in Commissione, un parere definitivo.
  Noi partiamo da un giudizio positivo sull'assunzione da parte della BCE di funzioni di vigilanza diretta sul sistema bancario, nella direzione di una reale unificazione continentale dello stesso sistema, nonostante crediamo si sia partiti con troppa timidezza.
  Non possiamo infatti dimenticare che dal nostro punto di vista la crisi in cui siamo avvitati, senza che le politiche di austerity, che sono accettate come naturali anche dal questo Governo, indichino alcuna via di uscita, possa essere risolta solo con più Europa, nell'ottica che fu di Altiero Spinelli, e non certo con un regressivo ritorno agli Stati-nazione, che peraltro per qualcuno qui dentro sembra debbano essere ancora più piccoli di quelli attuali.
  Più Europa tuttavia per noi significa più democrazia e più solidarietà, e non più potere alle tecnocrazie e alla finanza privata. Ci preoccupa quindi molto un'impostazione che sembra trasparire da questo decreto-legge, che vede sempre, a prescindere da qualsiasi considerazione di merito, @pagina=0005@una precedenza del privato sul pubblico, un invito ad esternalizzare anche le funzioni più delicate, sminuendo il ruolo delle istituzioni costituzionali, come si è fatto e si continua a fare per tutti i servizi pubblici e per i beni comuni. Un'impostazione che prevede oggi di affidare a terzi parte delle procedure di valutazione non per una mera considerazione di insufficienza negli organici, che potrebbe anche essere accettata in una fase di sovraccarico evidente, ma piuttosto per l'idea che l'intervento di valutatori privati sia indispensabile per rassicurare i mercati e rendere credibile la stessa attività di vigilanza delle banche nazionali e della stessa Banca centrale europea.
  Mi si lasci allora dire fin da adesso che noi ci ribelliamo e ci ribelleremo a qualsiasi tentativo di mettere in discussione la capacità della Banca d'Italia di svolgere con autorevolezza il proprio compito istituzionale in totale autonomia, a garanzia dei risparmiatori, degli investitori e di tutti gli attori del sistema finanziario nazionale. Accettare come una verità che sia auspicabile affidarsi a soggetti privati per la valutazione della solidità degli istituti di credito è peraltro una cosa che va in controtendenza rispetto all'evidenza della storia, che ci ha invece insegnato negli ultimi anni quanto inaffidabili siano proprio i giudizi dati da società di rating, da grandi gruppi di revisione e consulenza ed analisti pseudo-indipendenti.
  Quello che mi chiedo, quindi, è se dovemmo affidare la vigilanza a quei soggetti privati che saranno anche sciolti da conflitti di interesse diretti, ma sono comunque pienamente immersi in una rete di relazioni e interessi che è di per se stessa un grande conflitto con l'interesse pubblico alla trasparenza e al benessere collettivo.

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  PAOLO TANCREDI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la vigilanza bancaria unificata è un traguardo importantissimo per l'unificazione europea, che purtroppo, Presidente, spesso viene molto trascurato e sottovalutato. Il gruppo del Nuovo Centrodestra voterà contro questa pregiudiziale. Il provvedimento invece presenta invece tutti i caratteri dell'urgenza, oltre il pregio della linearità.
  Diversamente da quello che hanno sostenuto le opposizioni, c’è la necessità di un'approvazione veloce di questo decreto-legge, utile per garantire una buona esecuzione di queste procedure di vigilanza che porteranno a un'unificazione del sistema bancario europeo, come appena detto, tassello fondamentale per l'unificazione e l'integrazione europea. Ma soprattutto, c’è necessità di una loro applicazione uniforme – e non lasciata agli Stati – su tutto il territorio dell'Unione.
  Era urgente introdurle in considerazione delle modalità e dei tempi chiesti dalla BCE per l'espletamento della valutazione. Il regolamento 1024/2013 del Consiglio attribuisce alla Banca Centrale Europea compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi, ma saggiamente prevede una preliminare attività di valutazione unitaria dell'intero sistema creditizio.@pagina=0006@
  La possibilità di avvalersi di parti terze per svolgere queste procedure è una garanzia, e non una limitazione all'indipendenza della Banca d'Italia, come si è sostenuto, affinché tutto avvenga nel migliore dei modi.
  L'attività di valutazione dei rischi, è bene ricordarlo, delle qualità degli attivi e degli stress test deve essere svolta entro ottobre 2014 in 130 enti creditizi europei, che rappresentano circa l'85 per cento degli attivi bancari. Avremo finalmente parametri di giudizio uniformi per tutto il sistema bancario europeo, sottraendo significativi spazi alle furbizie nazionaliste e conseguentemente alla speculazione internazionale che hanno visto purtroppo, Presidente, vittima spesso il nostro Paese e il nostro sistema creditizio sottoposto suo malgrado ad una vigilanza molto molto rigida, quella di Banca d'Italia.
  Banca d'Italia, ascoltata in Commissione al Senato ha chiarito che l'uso di consulenti esterni non è nella sua prassi, avendo sempre svolto i compiti di vigilanza attribuiti dalla legge esclusivamente con proprio, qualificato personale. Tuttavia gli obiettivi cruciali cui mira la valutazione approfondita, rende necessario ricorrervi per una serie di motivi: la complessità e i tempi serrati con cui deve essere condotto l'esercizio; l'esigenza di ottemperare a quanto richiesto dalla BCE, per assicurare che anche i risultati sul sistema bancario italiano siano considerati robusti e credibili da tutte le parti interessate, a cominciare dagli investitori e dalle altre banche europee. La necessità, infine, di restituire la fiducia dei risparmiatori nei confronti della banca in cui depositano e nella solidità del sistema bancario in generale, nei tempi più brevi possibili, e cioè entro il 1o gennaio 2015, data in cui sarà avviata la vigilanza bancaria europea.
  Si è spesso paragonata la crisi degli scorsi anni alla Grande depressione dei primi anni ’30. Voglio rammentare che uno dei primi atti del New Deal, emanato da Roosevelt, fu la chiusura di tutte le banche del Paese e l'invio degli ispettori federali in ciascuna di esse, con l'ordine di far riaprire solo quelle in ordine con i conti, le riserve tecniche, la trasparenza e l'onorabilità dei loro titolari. Questo decreto si inquadra in una logica similare, ovviamente commisurato alla complessità dell'attuale sistema creditizio e finanziario.
  Alle banche che risulteranno più deboli saranno richieste misure correttive volte a rafforzarne la solidità patrimoniale. Eventuali fabbisogni di capitale dovranno essere soddisfatti innanzitutto attingendo alle risorse degli intermediari: evitando di distribuire dividendi, cedendo attività non strategiche, contenendo tutte le voci di costo, incluse le remunerazioni dell'alta dirigenza.
  Il decreto è stato migliorato al Senato, con emendamenti volti a prevenire il conflitto di interessi a carico dei consulenti che saranno incaricati e si è ulteriormente sottolineata l'indipendenza del nostro Istituto centrale. Inoltre tutte le notizie, le informazioni e i dati di cui tali soggetti terzi vengono a conoscenza o in possesso sono coperti da segreto d'ufficio con l'obbligo di riferire esclusivamente alla Banca d'Italia.
  Infine si prevede che la Banca d'Italia e il Ministero dell'Economia concordino le modalità con cui condividere le informazioni. Una norma che serve al Ministero nell'eventualità che una banca debba rinforzare il suo capitale al termine dell'esercizio con il ricorso all'aiuto pubblico, che, precisa il Governo, è considerato del tutto residuale ed ipotetico. L'accordo che via Nazionale e via XX Settembre stipuleranno assicurerà che le informazioni che arrivano al ministero siano quelle necessarie e sufficienti per assolvere i compiti del dicastero.
  La valutazione del Gruppo del Nuovo Centrodestra è quindi pienamente e convintamente positiva.

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  MARIO SBERNA. Signor Presidente, il gruppo Per l'Italia voterà contro la pregiudiziale presentata ritenendo le argomentazioni @pagina=0007@addotte dai presentatori non condivisibili oltre che prive di elementi incostituzionali. Né tantomeno ci avrebbero convinto argomentazioni sul merito del provvedimento che consente alla Banca d'Italia di avvalersi di soggetti terzi per l'esercizio delle attività di vigilanza informativa e ispettiva sui gruppi bancari.
  Ricordo che il citato regolamento disciplina il sistema di vigilanza unico che rappresenta uno dei passaggi previsti per la realizzazione dell'unione bancaria in Europa, conferendo alla BCE compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza degli enti creditizi stabiliti negli Stati membri la cui moneta è l'euro, mantenendo le competenze residue in capo alle autorità nazionali di vigilanza. La BCE condurrà una valutazione approfondita in piena indipendenza avvalendosi dell'apporto del gruppo di consulenza gestionale internazionale Oliver Wyman. Quanto alle autorità nazionali competenti, anch'esse si rivolgeranno a esperti in relazione all'esame di fascicoli, analisi e accertamenti, allo scopo di rafforzarne l'indipendenza e la credibilità.
  Riteniamo, quindi, che la possibilità che la Banca d'Italia possa avvalersi di esperti esterni indipendenti nell'ambito delle diverse fasi di questa valutazione sia giusta e motivata soprattutto da ragioni di omogeneizzazione e di trasparenza in vista del raggiungimento dell'obiettivo finale: l'unione bancaria europea.

PAGINA: 0002

  PRESIDENTE (Vedi RS). Avverte che la discussione generale del provvedimento si svolgerà in altra seduta.

PAGINA: 0007

  PRESIDENTE. Sono così esauriti gli interventi sulla questione pregiudiziale. Passiamo ai voti. Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico.
  Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla questione pregiudiziale Busin ed altri n. 1.
  Dichiaro aperta la votazione.
  (Segue la votazione).

PAGINA: 0003

  La seduta, sospesa alle 11, è ripresa alle 12.

PAGINA: 0003

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LAURA BOLDRINI (Vedi RS)

PAGINA: 0007

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LAURA BOLDRINI

PAGINA: 0003

Seguito della discussione del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 34 del 2014: Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese (A.C. 2208-A). (Vedi RS)

PAGINA: 0007

Seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 20 marzo 2014, n. 34, recante disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese (2208-A) (ore 11,12).

PAGINA: 0003

(Dichiarazioni di voto finale) (Vedi RS)

PAGINA: 0008

(Dichiarazioni di voto finale – A.C. 2208-A)

PAGINA: 0003

  MARCO DI LELLO (Misto-PSI-PLI) (Vedi RS). Dichiara il voto favorevole della sua componente politica sul disegno di legge di conversione in esame.

PAGINA: 0008

  MARCO DI LELLO. Signora Presidente, onorevoli colleghi, ci apprestiamo a votare il «decreto lavoro» in una fase in cui, quella dell'occupazione, è nel nostro Paese una vera e propria emergenza. Gli ultimi dati ISTAT ci raccontano di una disoccupazione al 13 per cento, più 1,1 rispetto allo scorso anno, e di una disoccupazione giovanile al 42 per cento. Oltre un milione di famiglie senza redditi da lavoro. Lo scorso anno una flessione dell'apprendistato di quasi cinque punti in percentuale: numeri che impongono alla politica di intervenire con urgenza e di rispondere con soluzioni efficaci.
  I nodi che affronta questo decreto sono un primo passo che, insieme alla «garanzia giovani» e al complesso del Jobs Act nel disegno di legge delega presentato dal Governo, potrà rendere il mondo del lavoro più accessibile sia per i dipendenti che per i datori di lavoro.
  In passato, sbagliando, si era pensato di approcciare il tema della flessibilità del mercato del lavoro rendendo più facili i licenziamenti; con il decreto che approviamo oggi saranno più facili le assunzioni: è il verso giusto. Anche per questo non possiamo permetterci battaglie di principio dietro steccati ideologici. Ora, che i rinnovi possibili per i contratti a termine siano cinque – come abbiamo condiviso – anziché otto, come nella stesura iniziale, non può inficiare la visione complessiva del decreto. L'introduzione delle tutele di maternità per le lavoratrici con un contratto a termine è una novità positiva e tiene conto delle proposte che i socialisti avevano avanzato al Presidente Renzi. Resta ancora da scrivere una normativa che introduca tutele all'esercito dei precari per evitare – come avviene oggi – che al danno di un contratto a termine si aggiunga la beffa di una minore retribuzione e dell'assenza di garanzie previste per i lavoratori a tempo determinato.
  Positiva è anche – e concludo – la semplificazione relativa al DURC, ma noi Socialisti avevamo presentato un emendamento che semplificava ulteriormente, attraverso l'autocertificazione. Mi sfugge il motivo della contrarietà del Governo – ne riparleremo al Senato – ma nel complesso è senza dubbio un primo passo nella giusta direzione, e per questo i deputati socialisti voteranno favorevolmente (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) – Liberali per l'Italia (PLI)).

PAGINA: 0003

  ANIELLO FORMISANO (Misto-CD) (Vedi RS). Manifesta l'orientamento favorevole della sua componente politica sul provvedimento d'urgenza in esame.

PAGINA: 0008

  ANIELLO FORMISANO. Signor Presidente, Centro Democratico è favorevole a questo provvedimento, è favorevole all'impianto complessivo: è un provvedimento che va nella giusta direzione.
  Veniva anzidetto che la semplificazione normativa per i contratti a tempo determinato e per i contratti di apprendistato, in qualche modo, nella situazione di difficoltà in cui versa il nostro Paese, può creare un dinamismo lavorativo che in qualche modo agevola, aiuta e dà una mano in una situazione di difficoltà in cui l'Italia versa. Su questa vicenda si è determinata qualche incomprensione nella maggioranza. I giorni precedenti hanno manifestato che c’è ancora la necessità di discutere, quel che però vogliamo dire da subito, come Centro Democratico, è che è @pagina=0009@essenziale che, quando sorgono problemi politici, non si tenda a rinviarli, ma li si affronti là dove i problemi politici sorgono. Sono sorti qui alla Camera: qui andavano affrontati e qui andavano risolti.
  Se si fosse pasticciato di meno, probabilmente sarebbe stato meglio, e anche il fatto di rimandare poi le decisioni ad un'altra Camera – con il risultato finale dell'impianto complessivo del provvedimento demandato al Senato – in qualche modo fa torto ad una conclamata volontà di questa maggioranza di cominciare a pensare ad un'Italia in cui non vi sia più il bicameralismo perfetto.
  Se così è, mi consenta il Governo e mi consenta la nostra maggioranza, dobbiamo abituarci a pensare che laddove sorgono i problemi politici là vanno risolti. Rinviare non giova, mantiene una situazione di precarietà che in qualche modo fa torto alle intenzioni che sono buone, perché maggiore dinamismo sul mercato del lavoro oggi serve all'Italia.
  Da ultimo, al Governo e al Ministro Poletti voglio dire che noi di Centro Democratico da tempo stiamo facendo una battaglia sulla staffetta cosiddetta generazionale. È da tempo che chiediamo al Governo di fare, come in qualche modo ha fatto con chiarezza la Ministra Madia, dei provvedimenti che favoriscano l'inserimento nel mondo del lavoro dei giovani, chiedendo a quelli che giovani non sono più, ai sessantenni, di dare un po’ di spazio, visto che noi sessantenni abbiamo costretto i nostri giovani ad avere un debito pubblico che in qualche modo non hanno contribuito a determinare. Questo Parlamento, già a luglio e a dicembre dell'anno scorso – ho avuto modo di dirlo ripetutamente al Ministro Poletti –, si è pronunciato con chiarezza a favore del ricorso alla staffetta generazionale. E non cito i vari casi che in Italia già ad opera delle regioni si stanno realizzando né i vari casi che nelle altre nazioni europee si stanno verificando. Abbiate un po’ di coraggio in più. Fate come ha fatto la Ministra Madia: annunciate non solo per il pubblico, ma anche per il privato che vi farete ricorso. Gli italiani, i giovani, sopratutto quelli del Mezzogiorno, ve ne saranno grati. Questo significa continuare a dare speranza e a credere nelle istituzioni democratiche.

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  RENATE GEBHARD (Misto-Min.Ling.) (Vedi RS). Dichiara il voto favorevole della sua componente politica sul disegno di legge di conversione in esame.

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  RENATE GEBHARD. Signor Presidente, noi siamo convinti che il decreto in esame rappresenti uno dei pilastri delle riforme annunciate da questo Governo, insieme alla necessità di un riordino complessivo delle forme contrattuali, che ci consenta di arrivare ad una riforma organica del mercato del lavoro in base a criteri di flessibilità all'accesso e di progressive tutele per i lavoratori.
  In tema di tutela, una particolare attenzione va dedicata al lavoro femminile, in modo da consentire realmente alle lavoratrici di conciliare gli impegni lavorativi con quelli familiari e domestici. In questo decreto ci sono dei segnali, come il diritto di prelazione nell'assunzione delle donne in congedo di maternità fino a dodici mesi successivi, ma il Governo dovrà fare di più con la delega sul lavoro.
  Ci sono alcuni aspetti che auspichiamo siano oggetto di un'ulteriore riflessione del Governo, come l'apprendistato. A nostro avviso, andrebbero inserite misure per la semplificazione degli oneri a carico del datore di lavoro, che servono anche da stimolo per incentivare le assunzioni da apprendistato, sempre nell'ambito di adeguate tutele per i lavoratori.
  Per le ragioni esposte, i deputati delle Minoranze linguistiche voteranno a favore di questo decreto, perché, come abbiamo già sostenuto ieri in occasione del voto di fiducia, sostanzialmente condividiamo le semplificazioni dei contratti a termine, nella speranza che si traducano in un rilancio del mercato del lavoro e in un abbassamento dell'attuale alto tasso di disoccupazione (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Minoranze Linguistiche).

PAGINA: 0004

  FABIO RAMPELLI (FdI-AN) (Vedi RS). Dichiara il voto contrario del suo gruppo sul disegno di legge di conversione in esame.

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  FABIO RAMPELLI. Signor Presidente, colleghi deputati, Ministro del Governo Renzi, Presidente del Consiglio in contumacia. Il Presidente del Consiglio ci ha abituato un po’ troppo spesso a delle assenze e le sue assenze, soprattutto nei momenti topici – almeno noi di Fratelli d'Italia-Alleanza nazionale la pensiamo così –, già tradiscono un giudizio. Vuoi che, se questo decreto – aperte e chiuse virgolette – lavoro – così è stato ribattezzato; è un nomignolo –, il sedicente «decreto lavoro», fosse decisivo per le sorti dell'Italia, almeno decisivo per far sì che quella categoria di persone che ha a che fare con i problemi che soprattutto la mancanza di lavoro comporta potesse sbarcare il lunario, ebbene se questa categoria di persone potesse avere dei benefici, vuoi che il Presidente del Consiglio Renzi non sarebbe presente qui in Aula a pavoneggiarsi di questa mossa decisiva ?
  Vuoi che non sarebbe qui a parlare ai disoccupati, agli inoccupati, a coloro i quali sono stati, di fatto, espunti dal loro lavoro, casomai a cinquant'anni inoltrati, e quindi con grandi difficoltà di reinserimento ? Vuoi che il Presidente del Consiglio, sostenuto da una maggioranza stravagante di sinistra con un po’ di centrodestra, non sarebbe qui a parlare direttamente ai precari, a parlare ai lavoratori che sono in cassa integrazione piuttosto che a quelli che hanno i contratti di solidarietà ?
  Vuoi che non sarebbe qui, personalmente e direttamente, a rivolgere il proprio appello di speranza a quelle ormai migliaia e migliaia di persone che si comportano esattamente come hanno fatto negli anni Cinquanta i nostri nonni, che, con la valigia di cartone, andavano a costruirsi il futuro fuori dai confini nazionali, facendo impegnativi viaggi, sempre con grande decoro, sempre con grande rispetto ed educazione per i Paesi ospitanti ? Vuoi che non sarebbe qui a dire loro «fermi, non andate via, vi è un provvedimento del Governo che finalmente rivoluziona il mondo del lavoro, il mercato del lavoro» ?
  Vuoi che il Presidente del Consiglio, che certamente ormai ha la fama di essere un autentico presenzialista, non sarebbe qui a prendersi tutti gli spunti positivi di un provvedimento, così come io, per certi aspetti, scherzosamente, ho provato a definirlo ? Non è così, Renzi non c’è perché questo decreto è una truffa ! Cari colleghi, cari rappresentanti del Governo, vi è sempre tanta energia e vitalità, tanta indignazione, quando c’è tensione morale, nel giudicare persone maldestre che commettono furti; però, tra un ladro di polli e una persona che, caso mai, ruba una sacca di sangue in ospedale che è decisiva per mantenere in vita una persona o un paziente, vi è una differenza abissale.
  Presidente Renzi, perché sta demolendo in così poco tempo la sua immagine ? Perché, ancorché la stampa, la grande stampa, i grandi gruppi editoriali, ancora stiano lì a soffiare sulle sue vele, ha deciso di deludere in così poco tempo tante speranze e aspettative del popolo italiano che quest'ultimo aveva riposto nel suo profilo di rottamatore, di innovatore ? In fondo, nessuno le ha chiesto di continuare a dire quelle bugie che hanno attraversato la Prima e la Seconda Repubblica, portandoci nelle condizioni in cui ci troviamo.
  Certo, qualcuno avrebbe immaginato e sperato – ma non vi è stato lo spazio e il tempo per esprimere un giudizio – un esperimento all'insegna della competenza e dell'efficienza, ma all'inizio davvero ci si sarebbe accontentati di poco. Ci si sarebbe accontentati, per esempio, della sincerità, dell'autenticità, di un Presidente del Consiglio che potesse segnare la discontinuità rispetto alle precedenti «Repubbliche delle menzogne».
  Nessuno ha chiesto a Renzi di risolvere i problemi del mercato del lavoro e della disoccupazione in poche settimane. Dunque, questa enfasi è deplorevole nella misura in cui insiste su quelle piaghe sociali, su quei disagi, su quelle fragilità che ho esposto, che tutti conosciamo e che andrebbero prese con i guanti di velluto, maneggiate con cura, con grande delicatezza, perché dietro a ogni storia di un @pagina=0011@lavoratore precario o di un disoccupato vi è una storia di sofferenza che va rispettata. Nessuno avrebbe chiesto a Renzi quello che invece Renzi ha promesso: la rivoluzione del mercato del lavoro, la grande riforma decisiva che avrebbe messo in moto posti di lavoro, avrebbe rigalvanizzato le imprese, gli avrebbe restituito il tono muscolare decisivo per accettare la competizione internazionale.
  E, invece, siamo tornati esattamente al punto di partenza come al gioco dell'oca: all'esercizio della menzogna, quella menzogna che è stata bocciata dai cittadini italiani, che non vogliono più saperne di avere di fronte Governi che raccontano frottole, vogliono Governi che siano autorevoli nella loro capacità e responsabilità di dire le cose come stanno, che siano consequenziali, che non vadano a raccontare cialtronerie in ordine all'abolizione delle province per poi scoprire che praticamente la spesa del mantenimento e della gestione delle competenze provinciali rimane la stessa, ci si libera soltanto della miseria dei gettoni di presenza dei consiglieri provinciali !
  Non abbiamo bisogno di questo ! Abbiamo bisogno di un Governo coraggioso, avremmo bisogno anche di una maggioranza altrettanto coraggiosa, non la maggioranza dei larghi «inciuci». Era nata come la maggioranza delle larghe intese, che in teoria, a rigor di logica, significherebbe che, sui temi spinosi, la maggioranza è talmente larga, comunque talmente capiente, anche da un punto di vista politico e non soltanto da un punto di vista numerico, da potersi permettere di affrontare con impeto le grandi criticità della nostra nazione.
  Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale era pronto a fare la propria parte. Pensate, nel programma con il quale ci siamo presentati alle elezioni politiche, leggo testualmente, abbiamo scritto della necessità di una riforma del lavoro – secondo il principio dei pari diritti di tutti i lavoratori – di cui c’è bisogno in Italia. Una riforma che si ispiri al contratto unico per tutti. Un sistema che preveda un grado di tutela crescente con l'anzianità di servizio in una determinata azienda, con maggiore flessibilità nei primi anni e un discreto grado di rigidità negli anni successivi. E ancora, c’è la necessità di introdurre un sistema unico di ammortizzatori sociali per tutti i lavoratori, a prescindere dal tipo di contratto di lavoro che hanno. Sarebbero stati elementi decisivi, davvero innovatori; avremmo potuto rottamare una serie non di persone, ma di consuetudini atipiche che hanno reso sterile il nostro mercato del lavoro, improduttivo, lo hanno ingessato, gli hanno impedito di stare al passo dell'Europa.
  Siamo fermamente convinti che debba finire l'odiosa distinzione tra lavoratori di serie A e lavoratori di serie B, che caratterizza il nostro mercato del lavoro, perché ancora oggi, a fronte di una serie di giuste garanzie che sono riconosciute ai lavoratori di tipo tradizionale, milioni di persone, non solo giovani, sono condannate alla marginalità sociale con contratti precari e privi di tutele.

PAGINA: 0004

  GIUSEPPE DE MITA (PI) (Vedi RS). Dichiara il voto favorevole del sul gruppo sul provvedimento d'urgenza in esame.

PAGINA: 0012

  GIUSEPPE DE MITA. Signor Presidente, noi voteremo a favore del provvedimento per come è arrivato in Aula dopo il passaggio in Commissione avendo il Governo chiesto la fiducia.
  E la discussione si potrebbe fermare qui, senza aggiungere altro dal punto di vista del merito, anche se dal punto di vista del merito ci sarebbero molte cose da dire.
  Ma, nella babele di lingue che si è determinata nel corso di queste ore, noi preferiamo fermarci a questo punto, anche perché rileviamo che è come se fosse stato il Governo a voler rinunciare a una discussione in quest'Aula nel merito sul provvedimento presentato. E in questo noi rileviamo una certa improprietà nella richiesta di fiducia che è intervenuta. Avremmo capito se la richiesta di fiducia fosse intervenuta sul testo approvato dal Consiglio dei ministri. Ma così sembra una sorta di fischio finale anticipato della partita, che non consente a tutte le forze della maggioranza di partecipare a una discussione aperta, che, invece, si sta riducendo a una serie di voci di corridoio riportate dai giornali: chi evoca la modifica dell'articolo 18, chi dice un'altra cosa.
  E lo stesso rinvio al Senato, come luogo nel quale possa essere affrontata la discussione in termini più approfonditi, rischia di essere di sapore illusorio, un po’ come l'evocazione delle tre sorelle «A Mosca, a Mosca», nell'opera di Cechov. E, peraltro, proprio questo Governo, che ritiene che il bicameralismo debba essere eliminato, utilizza ripetutamente il rinvio al Senato come una sorta di tempo supplementare. E anche nel metodo c’è una sorta di improprietà nella richiesta della fiducia, perché il Governo invoca una maggioranza che poi rischia di essere negata nei fatti.
  Allora, il tema vero, il tema principale, che per certi versi emerge anche da quello che riportano i giornali in questi giorni, è quale equilibrio politico viene posto a fondamento dell'azione di Governo. Noi lo andiamo ripetendo da un po’ di tempo, cercando di avvisare che questa condizione sta determinando una situazione altamente rischiosa.
  Sono stati definiti strumenti chiari – la rapidità dell'azione – in un equilibrio mutevole e su ogni provvedimento si definisce una maggioranza diversa con obiettivi variabili. A me, a noi resta ancora presente, nelle considerazioni che facciamo, l'assenza di ordine e di gerarchia nel Documento di programmazione economica che è stato approvato. Infatti, la circostanza che si riconosca un diritto ad alcuni cittadini e questo diritto lo si ipotizza come strutturale in prospettiva, cioè il riconoscimento di 80 euro in più in busta paga, e poi non si riesca a tutelare un diritto già acquisito, cioè quello di alcuni cittadini ad andare in pensione, rischia di dare l'idea che il Governo non si muova su un'idea di ricomposizione dei diritti delle persone nella nostra società, ma in una maniera un po’ confusa, dove la cifra di valore indubitabile è la velocità, però poi la velocità dei provvedimenti rischia di scontrarsi con l'irragionevolezza dei contenuti. E anche il decreto lavoro – come è stato detto da alcuni – rischia di essere un'occasione persa.
  Questa era l'occasione per provare a ridefinire un nuovo patto tra chi fa impresa e chi fa lavoro, provando a ragionare sulla nuova dimensione della cultura del lavoro fuori dalla cultura del posto, provando ad aprire una riflessione critica su tutti gli strumenti di tutela, le varie forme di cassa integrazione che sono intervenute e stanno intervenendo @pagina=0013@nel corso di questi anni con un esborso di risorse finanziarie enorme, che definisce una tutela per chi il posto ce l'ha, ma non definisce una tutela per chi il posto non ce l'ha.
  È vero che bisogna combattere chi fa cattiva impresa, però la realtà ci dice che bisogna combattere anche chi fa cattivo sindacato. E non si può ragionare in termini, in un certo senso, superati, riproponendo uno schema tutto sommato vecchio. C’è una nuova dimensione del lavoro, che è legata alla dimensione del desiderio delle singole persone di realizzarsi nella loro esperienza di vita.
  Allora, questo doveva essere il punto da aggredire nel provvedimento in discussione, una sorta di codificazione dei nuovi conflitti che si sono determinati, definendo un codice politico che traducesse il disagio, non un amplificatore generalizzato del disagio presente, con chiavi di lettura, a mio avviso, tutto sommato superate.
  Il nostro timore è che il corto circuito che si è determinato nel corso della discussione su questo provvedimento sia legato ad un vizio genetico relativo alla nascita di questo Governo: noi rileviamo una certa ostinazione del Partito Democratico, il partito di maggioranza relativa di questa maggioranza, a piegare il contesto politico alla propria centralità egemonica. Su ogni questione cambia il perimetro: mentre si apre la discussione sul decreto lavoro, si fischia la fine anticipata della partita. E anche i commenti che sono intervenuti sulle posizioni prese all'interno della maggioranza a me non paiono cogliere la vera questione di fondo.
  Le distinzioni non sono dovute al fatto che siamo in prossimità della campagna elettorale: noi siamo in prossimità della campagna elettorale dal momento dello scrutinio del voto del 2013, siamo in perenne campagna elettorale. In realtà, le distinzioni sono dovute ad una forma di reazione dei vari attori, soprattutto quelli di maggioranza, ma anche quelli al di fuori della maggioranza, per il tipo di iniziativa politica assunta dal Partito Democratico, soprattutto nelle modalità di nascita di questo Governo. Viene evocata una petizione di principio tutto sommato giusta, cioè che c’è una maggioranza di Governo e poi, sulle riforme, la maggioranza si allarga. Ma questo non coglie la condizione particolare del passaggio storico-politico che stiamo vivendo.
  E allora sta emergendo che su ogni tema si definisce una maggioranza, con contenuti di merito variabili: la legge elettorale ha mutato, nel corso di un fine settimana, i suoi contenuti di merito e noi siamo passati dal sistema spagnolo, al doppio turno e poi all'Italicum. Sul Senato si è avviata la discussione su una modalità della rappresentanza e si è arrivati ad altro e la stessa cosa sta avvenendo sul decreto lavoro.
  C’è un incrocio pericoloso tra contenuti di merito e condizioni per realizzare gli obiettivi che il Governo si è prefisso. Piuttosto che lavorare alla ricomposizione dell'equilibrio politico, mi pare che ci si muova con la logica dell'equilibrio di chi salta da una liana all'altra.
  È indubitabile la forza di spinta di trasformazione che questo Governo ha, ma si rifletta sul fatto che la forza corrisponde anche proporzionalmente alla debolezza del contesto politico.
  E allora, senza una condizione di chiarezza su quali sono gli obiettivi irrinunciabili e il modo per conseguirli, si rischia di scivolare e la responsabilità non è di chi reagisce: la responsabilità è di chi determina queste condizioni. Dopodiché, trovo singolare che, avendo determinato queste condizioni, ci si tiri fuori dalla discussione, dicendo che la discussione è una cosa polverosa e paludata, che viene affidata ad altri, mentre c’è chi pensa ad assumere provvedimenti.
  È un abbaglio ipotizzare di potersi rivolgere indifferentemente a tutta la società italiana, senza scegliere un punto del quale porsi come rappresentanti. Messa così, non è una ricomposizione della rappresentanza all'interno delle istituzioni, messa così è una forma diversa di populismo.
  E allora non ci si può porre il problema di ridare credibilità alle istituzioni solo con i provvedimenti che riducono le @pagina=0014@indennità, senza capire che c’è un altro aspetto rilevante, quello di ricomporre la rappresentanza degli interessi dentro alle istituzioni. Questo lo dico anche in riferimento alla mia forza politica, sulla quale si accompagna anche qualche ironia sul senso e sulle radici culturali.
  Noi non siamo i Popolari perché facciamo riferimento ad una cosa vecchia, ma perché riteniamo, in questa condizione storica, di scegliere un pezzo della società che crediamo debba essere rappresentato nell'interesse di tutti, di farci carico, quindi, di questo interesse. E allora, in questo momento storico, il tema è scegliere quelle persone che soffrono la riduzione dei diritti sociali e dei diritti civili e portare la tutela della loro posizione all'interno delle istituzioni. Noi abbiamo votato la richiesta di fiducia, ma ci resta un dubbio, che vorremmo fosse chiarito...

PAGINA: 0004

  MASSIMILIANO FEDRIGA (LNA) (Vedi RS). Ritiene che il decreto-legge in esame contenga solo piccole, insufficienti ed inutili correzioni alla riforma del lavoro Fornero, di cui invece auspica l'abrogazione.

PAGINA: 0014

  MASSIMILIANO FEDRIGA. Signor Presidente, prendiamo atto, Ministro, che ormai la fiducia ha cambiato totalmente significato in quest'Aula. Infatti non c’è più la fiducia quando i parlamentari credono nell'operato del Governo, ma la fiducia viene messa quando la fiducia non c’è più tra gli alleati che appoggiano lo stesso Governo (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).
  Presidente, però, penso sia utile, per quei cittadini che hanno la pazienza di ascoltarci da casa in questo momento, spiegare di cosa tratta questo decreto-legge. Questo decreto-legge sono delle piccole, insufficienti e in molti casi inutili correzioni alla riforma del lavoro Fornero, votata dallo stesso Partito Democratico pochi mesi fa e da molti membri di questo Parlamento, che oggi fanno parte della maggioranza e che prima appartenevano a sigle diverse.
  Parlo di modifiche inutili, perché il Governo non ha voluto affrontare i veri temi che hanno provocato, anche grazie alle scelte politiche portate avanti dal Partito Democratico e portate avanti dai precedenti Governi a maggioranza Partito Democratico in questo Paese.
  Devo dire che sono inutili i teatrini che vediamo all'interno della maggioranza tra Nuovo Centrodestra, Scelta Civica e Partito Democratico, perché rappresentano soltanto un triste palcoscenico, che non risolve e non affronta il problema vero, che è il 42 per cento di disoccupazione giovanile ed il 13 per cento di disoccupazione generale (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).
  Non si può fare campagna elettorale cercando di prendere qualche titolo di giornale sulla pelle del dramma sociale che stanno vivendo i nostri cittadini.
  C'erano due cose da fare, Ministro, le uniche due cose che potrebbero veramente risolvere, in tempi brevi, il problema della disoccupazione. La prima, che avrebbe effetti immediati per affrontare questo problema, è quella per la quale la Lega Nord sta raccogliendo le firme per un referendum: avere il coraggio di abrogare la riforma delle pensioni Fornero (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).
  È una riforma iniqua, che ha utilizzato e sta utilizzando i soldi dei nostri lavoratori e di chi deve andare in pensione per sanare i buchi e gli sprechi del pubblico. È una balla quello che ci è stato raccontato e che continua a raccontare anche il Presidente del Consiglio – che ha sempre appoggiato e continua ad appoggiare la riforma delle pensioni Fornero – che quella riforma serviva per mettere a posto i conti previdenziali. Non è vero ! La Commissione europea, non la Lega Nord, nel 2009 certificava che il nostro sistema previdenziale era tra i più virtuosi in tutto il continente.
  Invece si è voluto utilizzare quei soldi per fare pagare i contributi non versati da @pagina=0015@parte del pubblico. Ci sono 9 miliardi di buchi dell'INPDAP, l'ex cassa di previdenza del pubblico, che il datore di lavoro, ovvero gli enti pubblici, non versavano per i propri dipendenti (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie). Voi andate a coprire quei 9 miliardi con i soldi dei nostri lavoratori.
  Non solo, la riforma Fornero ha creato il dramma degli esodati e ha spostato il costo della previdenza dal pubblico al privato; infatti, a regime, la riforma Fornero può tenere sul posto di lavoro fino a settant'anni un lavoratore. Pensiamo a chi lavora nella manifattura, a chi lavora nelle catene di montaggio: a settant'anni produttività bassa (ovviamente la natura è quella e la persona avanti con l'età non è più produttiva), ma quel lavoratore costa 2,5 volte in più all'impresa rispetto al giovane che entra nel mondo del lavoro. Quindi avete reso ancora meno competitive le nostre imprese.
  E poi, cosa plateale – che proprio riguarda il problema dell'occupazione e che anche un bambino capirebbe – è che se in un momento di contrazione dell'offerta lavorativa si congela il ricambio generazionale dei posti di lavoro, il risultato è quel 42 per cento di disoccupazione giovanile che oggi vediamo (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie) !
  Allora, invece di fare le bagarre sui giornali e sui mass media, andate ad operare su quello, abbiate il coraggio di abrogare la riforma delle pensioni Fornero.
  In secondo luogo, le nostre imprese pagano il doppio di tassazione complessiva rispetto a Paesi, che non sono Cina o India, ma Paesi che confinano con il nostro.
  Infatti in Italia abbiamo il 68,3 per cento di total tax rate; in Slovenia, Paese che confina con la mia città, il 34; in Austria il 50 per cento: vuol dire che le nostre imprese, se più brave, se più virtuose, con grandi idee di innovazione, non possono essere competitive a livello internazionale.
  Come possiamo pensare che, da noi, con questa tassazione, le nostre imprese possano vendere i nostri prodotti con questi costi che devono sopportare ? È su questo che bisogna intervenire: abbassare il costo del lavoro.
  Voi, per abbassare il costo del lavoro, sapete quanti soldi avete messo, Ministro, visto che Renzi doveva correre, doveva subito rispondere ai problemi dell'occupazione ? Avete messo zero risorse per abbassare il costo del lavoro nel nostro Paese, mentre avete deciso di investire sì delle risorse. Infatti, la scusa che ci continuate a raccontare, ossia che i soldi non ci sono, non è proprio vera. Quest'anno voi spenderete per i costi dell'immigrazione clandestina che state alimentando più di dieci miliardi di euro (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie) !
  Signor Presidente, c’è chi vuole favorire l'immigrazione clandestina, eliminando il reato di immigrazione clandestina, come il MoVimento 5 Stelle. C’è chi vuole favorire l'immigrazione clandestina andando a prendere, con la nostra Marina, i clandestini sulle coste africane, come Alfano e Renzi.
  C’è, invece, chi, come la Lega Nord, vuole bloccare l'immigrazione clandestina e ripristinare un principio di giustizia nel nostro Paese: prima la nostra gente. Utilizziamo quei 10 miliardi per offrire possibilità occupazionale ai nostri disoccupati (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).
  È un senso di responsabilità, non è demagogia. Noi vogliamo che chi ha contribuito per tanti anni al benessere di questo Paese, anche pagando con le proprie tasse degli sprechi che ancora continuano a persistere, perlomeno abbia la garanzia, in un momento di crisi economica complessiva, di essere il primo a ricevere un'assistenza, un aiuto e una risposta dalla politica (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).
  Per questo noi – devo dire anche a malincuore, perché vorremmo che tanti appoggiassero le nostre battaglie, – siamo rimasti l'unico baluardo alternativo a questa sinistra pseudo renziana, un po’ teleguidata @pagina=0016@dalla CGIL, che sta portando semplicemente riforme false, riforme finte agli occhi del nostro Paese e per risolvere i problemi del nostro Paese.
  Presidente, noi più volte abbiamo cercato di portare in modo costruttivo le nostre proposte, anche in questo decreto-legge lavoro. Abbiamo presentato degli emendamenti che andavano proprio in questa direzione: abbattimento del cuneo fiscale, abolizione della riforma Fornero; ma il Governo è stato totalmente sordo. Talmente sordo che perfino in un ordine del giorno nella seduta di ieri, dove chiedevamo l'abbassamento della tassazione sul lavoro, il Governo ha dato parere contrario e la maggioranza ha votato contro questo tipo di intervento. Un intervento che Renzi ha continuato a promettere, ma non ha mai attuato.
  E oltretutto ci troviamo con un Jobs Act – voi l'avete definito così – il disegno di legge delega sul lavoro che si continua a rimandare nel tempo. Adesso addirittura si dice che forse entrerà in vigore quando verrà approvato nel 2015.
  Dov’è la fretta di Renzi ? Mi sembra che Renzi abbia dimostrato fretta concreta e vera soltanto nell'occupare le posizioni e le poltrone nelle nomine (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie) e, invece, per affrontare i problemi veri dei nostri cittadini, è totalmente scomparso.
  È solo in grado di fare qualche tweet che illude nuovamente i nostri cittadini ma non vediamo risposte concrete. E per questo noi continueremo la battaglia. La continueremo contro l'immigrazione clandestina per favorire i nostri disoccupati. La continueremo contro questo modello europeo e questo modello di euro che è fatto ad uso e consumo della Germania, ma contro gli interessi del nostro Paese.
  Se voi continuate a pensare di dover andare in Europa ad essere supini e accettare passivamente qualsiasi tipo di intervento, noi non ci stiamo. Esattamente – e mi richiamo all'inizio dell'intervento e concludo, Presidente – come quando l'Europa mandò la lettera, quando eravamo al Governo, per andare a toccare le pensioni e la Lega disse a Berlusconi «se tu tocchi le pensioni, noi il Governo lo facciamo cadere». Dopo, invece, è arrivato Monti che ha voluto, per ingraziarsi l'Europa e i grandi poteri europei, andare a massacrare i nostri cittadini.

PAGINA: 0005

  ANTIMO CESARO (SCpI) (Vedi RS). Dichiara il voto favorevole del suo gruppo sul provvedimento d'urgenza in esame, auspicando che esso rappresenti il primo passo verso misure connotate da maggiore coraggio.

PAGINA: 0016

  ANTIMO CESARO. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, il decreto-legge e il disegno di legge in materia di lavoro rappresentano i primi atti concreti del Governo che opera in un contesto socio-economico caratterizzato da oltre 3,3 milioni di senza lavoro e da 365 mila occupati in meno rispetto al 2013.
  Il contesto appena tracciato è reso ancor più drammatico da un tasso di disoccupazione giovanile che è salito di oltre tre punti percentuali rispetto al mese di febbraio dell'anno scorso, raggiungendo la percentuale astronomica del 42,3 per cento.
  Non sono meno allarmanti, purtroppo, i dati macroeconomici del Documento di economia e finanza per il 2014, approvato la scorsa settimana, in cui si prevede un aumento del tasso di disoccupazione al 12,8 per cento nel 2014, mentre solo dal 2015 dovrebbe verificarsi un'inversione di tendenza.
  È, pertanto, evidente la necessità e l'urgenza di un provvedimento che aveva tutte le premesse per porsi come un buon punto di inizio, con novità di rilievo in materia di apprendistato, contratti di solidarietà, documento unico di regolarità contributiva e contratto a tempo determinato.@pagina=0017@
  Mi limiterò, signor Presidente, con serietà ai contenuti del decreto-legge, senza approfittare della diretta televisiva per fare propaganda in vista delle elezioni europee, come qualche altra forza politica ha inteso fare.
  Sui contratti a tempo determinato, in particolare, tra le novità del decreto-legge che ci apprestiamo a votare in quest'Aula, così come modificato dalla Commissione lavoro, è previsto che il tetto del 20 per cento dei rapporti di lavoro a termine sia calcolato sul numero degli occupati a tempo indeterminato ed è disposta anche la sanzione della trasformazione da contratto a termine a contratto a tempo indeterminato se non si rispetterà questa soglia.
  Non abbiamo condiviso né la soglia percentuale adottata, né la sanzione prevista. Entrambi gli aspetti non fanno altro che rendere ancor più invalicabile – uso una metafora del collega Romano – quella sorta di «muro» di burocrazia e farraginosità che nel nostro Paese pare separare chi cerca e chi offre lavoro.
  Al netto di queste considerazioni, valutiamo positivamente l'azione del Governo che, attraverso il decreto-legge, ha cercato di immettere flessibilità nel sistema dei contratti a termine, portando da uno a tre anni la durata massima di quelli senza causale, che sono per definizione quelli più flessibili.
  Certo, desta qualche titubanza il giro di vite sulle proroghe – da otto a cinque – nell'arco dei 36 mesi.
  Più in generale, il gruppo di Scelta Civica non può che mostrare delle perplessità in merito al fatto che le misure previste sul contratto a tempo determinato sono del tutto prive di interventi di coordinamento con quelle concernenti i contratti a tempo indeterminato, con il rischio, da un lato, di rendere sempre più labile – direi quasi evanescente – il confine tra il concetto di flessibilità e quello di precarietà, dall'altro, di aggravare il dualismo del mercato del lavoro.
  In questa ottica, la disciplina del contratto a tempo indeterminato a protezione crescente, proposta da Scelta Civica, costituirebbe il primo tassello del progetto organico del Codice semplificato del lavoro presentato al Senato dal collega Ichino. Una sua anticipazione avremmo voluto fosse inserita nel testo del decreto-legge in sede di conversione, ma abbiamo fiducia che il Governo ne prenda atto e che la norma possa essere inserita nel disegno di legge delega in discussione al Senato, contenente la disciplina compiuta della materia.
  Non mancano – dicevamo – positive novità nelle norme del decreto-legge. Poi, ci si può tranquillamente iscrivere, come hanno fatto i colleghi della Lega, al partito del «benaltrismo», dire cioè «ci vuole ben altro» (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia), come quelli che oggi danno buoni consigli subito dopo aver smesso di dare cattivi esempi, come diceva un adagio di una canzone di De Andrè, pur avendo avuto, negli anni, tempo e responsabilità per ben fare, anche con la responsabilità del Ministero del lavoro.
  Tra le positive novità, in particolare, oltre alla già ricordata flessibilità sui contratti a termine, mi limiterò a ricordare quella relativa ai contratti di solidarietà: vengono, infatti, unificati al 35 per cento gli sconti contributivi in tutte le regioni, rispetto all'attuale 25 o 30 per cento per le aree svantaggiate. Una misura questa, che, se opportunamente usata, potrà consentire di diminuire il ricorso alla cassa integrazione e, in alcuni casi, a licenziamenti.
  Il gruppo di Scelta Civica ha presentato in Commissione degli emendamenti migliorativi che andavano nella direzione della semplificazione dell'istituto dell'apprendistato; istituto che riteniamo valido in misura direttamente proporzionale alla sua capacità di essere supportato da adeguata formazione e alla sua capacità di contribuire all'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro.
  In quest'ottica, se è giusto che venga garantita l'esplicitazione, almeno a grandi linee, di un piano formativo da affidare, a nostro giudizio, non solo ad agenzie e istituzioni pubbliche, ma anche private o, potremmo dire, on the job, non altrettanto @pagina=0018@condivisibile ci appare il paventato rischio per l'impresa di una stabilizzazione coattiva di questi rapporti. Ed infatti, si è previsto che i datori di lavoro con almeno trenta dipendenti potranno dare lavoro a nuovi giovani apprendisti solo dopo la stabilizzazione di una quota pari al 20 per cento di quelli già in organico.
  Siamo convinti che gravami di questo tipo all'istituto dell'apprendistato non fanno altro che scoraggiarne il suo utilizzo da parte delle imprese. Noi vogliamo sburocratizzare, semplificare, soprattutto attraverso l'innovazione tecnologica: più web, meno carte, e meno scartoffie per gli imprenditori che vogliono assumere (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia), proprio perché consapevoli dei grandi limiti evidenziati dall'Isfol che incombono su questa particolarissima tipologia contrattuale.
  Nel 2012 c’è stata una riduzione dell'apprendistato per i minori e una forte contrazione dell'offerta formativa pubblica. Inoltre, se quasi tutte le regioni hanno normato l'apprendistato professionalizzante, solo sedici regioni, invece, quello sull'apprendistato di alta formazione. Del tutto inutilizzato, infine, lo strumento dell'apprendistato di ricerca per assumere diplomati o laureati.
  Questi dati denunciano quanto sia ancora necessario insistere sulla qualificazione del cosiddetto capitale umano per far ripartire la nostra economia e per essere all'altezza delle sfide che la globalizzazione quotidianamente impone.
  Il potenziamento della flessibilità contrattuale, la semplificazione e la sburocratizzazione delle procedure, la valorizzazione della buona formazione professionale sono tutti contenuti di nostri emendamenti, per i quali ci aspettavamo maggiore attenzione e capacità di dialogo costruttivo tra le varie forze politiche, a partire da quelle di maggioranza. Abbiamo, invece, dovuto prendere atto di alcune modifiche rispetto al testo originario del decreto, introdotte in Commissione, che, a nostro giudizio, non fanno altro che aumentare il contenzioso, le incertezze e i gravami per le imprese.
  Così come, nella speranza di apportare in extremis dei correttivi che consentissero di evitare il ricorso alla fiducia sulla prima vera riforma economica varata da questa maggioranza, abbiamo assistito a scontri, talvolta di natura esclusivamente ideologica – viete ideologie superate dalla storia o posizioni di limite interne ai partiti – che hanno impedito che questo provvedimento fosse discusso in Aula con l'attenzione scevra da pregiudizi che meritava.
  Sappiamo che le norme non bastano a creare lavoro. Siamo certi, tuttavia, che questo decreto possa concretamente contribuire a concretizzare l'obiettivo che il Governo si prefigge – enunciato anche attraverso il DEF – di dare una spinta immediata al processo di creazione di occupazione – ha detto bene lei, signor Ministro, non dare più alibi a chi vuole assumere –, agendo contemporaneamente con il disegno di legge delega per una riforma più organica, per un mercato del lavoro più dinamico ed efficiente.

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  NUNZIA DE GIROLAMO (NCD) (Vedi RS). Dichiara che il suo gruppo esprimerà con lealtà e spirito costruttivo voto favorevole sul provvedimento d'urgenza in esame, sottolineando tuttavia la necessità di apportare modifiche al testo nel corso dell'iter al Senato.

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  NUNZIA DE GIROLAMO. Signor Presidente, ci sono due modi di fare politica: quello di chi vuole conservare l'esistente per sopravvivere politicamente, e quello di chi guarda all'oggi, ma con la visione del domani. È bene chiarire subito che noi apparteniamo alla seconda categoria; e anche per questo motivo abbiamo fatto la scelta più dolorosa della nostra vita politica, scegliendo la governabilità del Paese rispetto alla guerra civile nel nostro movimento.
  Se le parole hanno un senso e la politica deve tradurle in fatti concreti nell'interesse dei cittadini, qui, al netto della demagogia, di parole ce ne sono due: conservazione e modernità. La vera sfida è fra chi vuole o tenta di conservare lo status quo rivendicando, ad esempio, l'inviolabilità dei diritti acquisiti e chi si impegna con spirito costruttivo per modulare i diritti ai tempi che stiamo vivendo. È necessario coniugare la tutela e le tutele dei lavoratori con le esigenze delle imprese che generano lavoro, e che in una fase così delicata come quella attuale chiedono alla politica misure per rimettere in moto non solo la produttività, ma anche l'occupazione.
  Se le parole hanno un senso il lavoro non può prescindere dalla ripresa economica, dal rimettere in moto in circuito virtuoso che spezzi la morsa della crisi e rimetta in campo professionalità e iniziativa imprenditoriale. Non è più tollerabile che nel nostro Paese il livello di disoccupazione giovanile sia oltre la soglia del 40 per cento: non è degno di un Paese civile e moderno come l'Italia vuol essere. E non è più tollerabile che la pressione fiscale sulle imprese superi il 50 per cento, che vi sia uno Stato invasivo o pervasivo, o ancora che la burocrazia rallenti, e in molti casi ostacoli, non solo il lavoro quotidiano, ma ogni tentativo di investire nel futuro, che è poi il futuro delle persone e delle famiglie. Serve un cambio di paradigma, vero, profondo. La priorità è il lavoro, punto.
  E serve perché ce lo chiede il Paese, ed è ormai una priorità assoluta. Il Governo che il Nuovo Centrodestra sostiene lealmente ha messo al primo punto della sua agenda proprio l'emergenza lavoro. Il decreto-legge lavoro e l'impegno del Ministro Poletti, che noi ringraziamo, vanno nella direzione giusta, nella direzione che ci convince. Ma a noi non convincono affatto le «strambate» delle ultime ore: come quelle che sono avvenute in Commissione lavoro, che di fatto hanno portato in Aula un testo diverso da quello pensato e uscito dal Consiglio dei ministri e condiviso dalla maggioranza.
  Non ci è piaciuto il cedimento a logiche e spinte conservative. Le modifiche volute non da noi, ma da altri, purtroppo anche da qualche vecchio compagno di viaggio, su apprendistato e proroghe al rinnovo dei contratti a tempo indeterminato, sono elementi che a nostro parere fanno fare un passo indietro al percorso fatto fin qui, e riportano ai tempi della palude tanto avversata, giustamente, anche dal Presidente Renzi.
  Noi crediamo in questo Governo, come credevamo nel Governo Letta, e cioè in un'alleanza straordinaria, temporanea, ma solida, nei valori e negli obiettivi, per traghettare così il Paese fuori dalla peggiore recessione economica del dopoguerra.@pagina=0020@
  Crediamo nella spinta che Matteo Renzi e Angelino Alfano stanno imprimendo all'azione di quest'Esecutivo e non apparteniamo alla categoria dei guastatori e dei sabotatori di ponti in funzione del nostro tornaconto personale e politico. No, noi facciamo tutto alla luce del sole. E i nostri comportamenti sono evidenti, trasparenti e resistono al sistematico fuoco incrociato dei parolai e denigratori in servizio permanente effettivo, che ci hanno anche preceduto nei precedenti interventi in questa Aula.
  Ma crediamo anche che il nostro mestiere sia quello di portare i nostri valori, quelli liberali, all'interno di un Governo che nei suoi principi programmatici vuole essere riformista e liberale. Il decreto lavoro è un pilastro dell'azione di Governo ed anche può delineare la politica economica di questo Governo. Ci sarebbe voluto più tempo per limare alcuni passaggi, ma concordiamo con la velocità con la quale il Presidente Renzi ha deciso di mettere in agenda una serie di riforme. Su questo noi siamo con lui.
  Però è anche vero che siamo fermamente convinti che il tempo dei totem ideologici sia morto e sepolto. Oggi c’è da fare i conti con la realtà, e la realtà non aspetta le liturgie da muro di Berlino. Abbiamo chiare due idee: il lavoro non s'inventa per decreto, ma nasce dall'embrione di una serie di condizioni, prima fra tutte la possibilità di utilizzare la leva della flessibilità, che non vuol dire precarietà (Applausi dei deputati del gruppo Nuovo Centrodestra), per investire così sui giovani e sulla loro formazione, che deve essere e deve poter esser pubblica, o in alternativa, aziendale.
  Secondo: siamo convinti che non c’è lavoro futuro se mettiamo al primo posto la difesa del lavoro passato. Prendiamo esempio dalla Spagna: in un anno, il Governo guidato da un popolare europeo, ha messo in cantiere riforme snelle, veloci ed efficaci e non passa giorno che la Spagna, che sembrava sprofondare nel baratro della recessione, non incassi la promozione delle principali agenzie di valutazione del mondo, alla luce dei progressi fatti con una tempistica e un ritmo strabilianti.
  Siamo d'accordo con lei, Ministro Poletti, quando dice che il decreto lavoro non può aspettare. Ha ragione, semplicemente perché è il Paese che non può più aspettare. Nello spirito di lealtà e di impegno costruttivo che caratterizza il nostro stare in questo Governo e in questa strana maggioranza, noi voteremo il decreto, che è un grande passo avanti rispetto alla legge Fornero.
  Ma attenzione, noi fin da ora diciamo forte e chiaro che nel passaggio al Senato il testo deve essere corretto (Applausi dei deputati del gruppo Nuovo Centrodestra).
  Con alto senso di responsabilità investiamo il nostro unico capitale, cioè la dignità politica del partito che stiamo costruendo con mille difficoltà, proprio in questo decreto e in questo Governo, garantendo che la nostra fiducia non verrà meno per un capriccio. Ma, chiediamo con convinzione e fermezza al Presidente, ai sensi non di un comma di legge, ma del sacrosanto principio di pari dignità fra alleati, di innescare nuovamente un tentativo di mediazione che porti a una soluzione che sia rispettosa delle esigenze, non solo politiche di un'altra forza politica, ma della realtà. Non chiediamo di clonare una deregulation selvaggia che in questo momento spinge Paesi a democrazia avanzata a dimenticare anche valori fondativi del sistema di tutela del lavoro. No, noi chiediamo di adeguare gli strumenti a una realtà in rapida evoluzione, straordinaria, nella quale occorre muoversi e far muovere le imprese con maggiore agilità, per poter così scovare le occasioni migliori di crescita e investire in capitale umano. Il lavoro, Ministro Poletti, si crea così e – lo diciamo ai suoi colleghi – non soltanto alzando qualche bandiera (Applausi dei deputati del gruppo Nuovo Centrodestra).

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  GIORGIO AIRAUDO (SEL) (Vedi RS). Dichiara il voto contrario del suo gruppo sul disegno di legge di conversione in esame, che giudica non risolutivo dei problemi delle categorie più deboli di lavoratori.

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  GIORGIO AIRAUDO. Signor Presidente, quando pochi mesi fa il segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi, aveva chiesto al Governo Letta una svolta a partire dalle politiche del lavoro con il Jobs Act, gli avevamo voluto credere, sapevamo che non eravamo e non saremmo stati d'accordo su tutto, ma abbiamo pensato che finalmente si iniziava a discutere delle soluzioni per le italiane e gli italiani che hanno come prima angoscia per il lavoro. Il lavoro perso, ricercato, insicuro, instabile per sé o per i propri figli, e spesso oramai per le proprie madri e i propri padri, visto che ad oggi non c’è ancora una soluzione per gli esodati creati dalla riforma delle pensioni di Monti.
  Ecco dove sarebbe servito un decreto, per sanare quel torto. Invece ieri abbiamo assistito a delle discussioni paradossali, dalla Commissione all'Aula, dove si invitava il Governo a prendere in considerazione l'apprendistato per i cinquantenni, quando si potrebbe semplicemente abbassare l'età per la pensione, riconoscendo l'errore, e forse un po’ di turnover ripartirebbe, dando concretezza all'illusoria e temporanea «Garanzia giovani», che rischia di non avere sbocco nei prossimi mesi. Ma il Presidente del Consiglio Renzi, arrivato serenamente al Governo, rallenta e smentisce sul lavoro la tanto propagandata velocità, proponendoci un decreto e un disegno di legge, e in questi atti non troviamo la cancellazione delle tante forme di flessibilizzazione inserite nel mercato del lavoro negli ultimi vent'anni, forme che, secondo i dati OCSE sintetizzati nell'indice EPL, fanno dell'Italia il Paese a più alta flessibilità tra i Paesi europei continentali, con una flessibilità di gran lunga superiore a quella di Germania e Francia.
  Non si propone di sostituire quelle forme con l'annunciato contratto a tutele progressive, non ci dite – come avevate scritto nel Jobs Act – quali sono i settori strategici industriali per il Paese, che cosa fate per difenderli e svilupparli, mentre il lavoro che c’è e potrebbe restare se ne va, dalla grande FIAT alla piccola Agrati, attendendo le intenzioni e condizioni di Ethiad per Alitalia e vedendo spegnere l'altoforno di Piombino, difeso dalla miglior classe operaia Italiana. Queste domande avevano bisogno di risposte veloci e, a proposito, ci chiediamo: dove è e cosa fa il Ministro Guidi per trattenere queste imprese in Italia ? Darà il buon esempio, facendo rientrare le produzioni della Ducati Energia di famiglia che ha delocalizzato, pur con molte commesse pubbliche ?
  Invece, ci fate votare d'urgenza la deregolamentazione dei contratti a termine e la svalutazione del contratto d'apprendistato, cioè proseguite, come tutti i Governi che vi hanno preceduto, nelle politiche dell'austerità espansiva, quelle secondo cui l’austerity avrebbe dovuto risanare i bilanci, ripristinare la fiducia dei mercati e rilanciare la crescita e l'occupazione. In realtà, l’austerity ha depresso l'economia e non ha risanato i conti. In continuità con le indicazioni della BCE e della Commissione europea, oggi ci proponete un'ulteriore flessibilità dei contratti di lavoro, dicendoci che aiuterà a creare nuovi posti di lavoro e a ridurre la disoccupazione, ma le evidenze empiriche ci dicono il contrario. In una rassegna pubblicata non molto tempo fa, gli economisti Boeri e van Ours (quest'ultimo, olandese) hanno rilevato sull'Europa che, su tredici studi empirici esaminati, nove di essi davano risultati indeterminati e tre di essi indicavano che una maggiore precarietà dei contratti può addirittura determinare un aumento della disoccupazione.
  Alla luce di queste evidenze, persino Olivier Blanchard, capo economista del Fondo monetario internazionale, è arrivato a riconoscere che non vi è una precisa correlazione tra le due variabili, cioè la flessibilità non genera automaticamente occupazione e non contrasta la disoccupazione. La spiegazione sta nel fatto che i contratti precari, se da un lato possono indurre le imprese a creare posti di lavoro in una fase di espansione economica, dall'altro consentono alle aziende di distruggere facilmente quegli stessi posti di lavoro nelle fasi di crisi; ed è quello che è accaduto in questi anni in Italia, i primi @pagina=0022@licenziati, militi ignoti di questa crisi, sono stati i precari a vario titolo e contratto, licenziati e non riconosciuti.
  In Italia, negli ultimi cinque anni abbiamo perso un milione di posti di lavoro e abbiamo registrato un incremento del 90 per cento delle insolvenze delle imprese. Sono perdite colossali, di proporzioni storiche, che dovremmo affrontare con una concezione completamente nuova della politica economica pubblica, immaginando anche un nuovo New Deal italiano, per un New Deal europeo che cambi la politica della Commissione europea, e speriamo che le prossime elezioni europee diano un segno in questo senso.
  E anche pensare che di fronte a questi dati si possa invertire la rotta, con 80 euro in più al mese in busta paga – neanche a tutti e, in particolare, non ai più deboli, non agli incapienti, non ai pensionati al minimo, non ai lavoratori delle false partite IVA –, nella crisi, a noi pare una pura illusione. E, come mi diceva un vecchio operaio metalmeccanico della mia città, Torino, uno dei miei maestri: «quando ti regalano qualcosa devi chiederti cosa ti stanno per prendere».
  C’è bisogno urgente di investimenti, ricerca, formazione, specializzazione e tecnologia. La trappola della flessibilità crea, difatti, occupazione solo transitoria; la consuma e poi la espelle, seppellendo, insieme ai posti di lavoro, le stesse imprese, sempre più incapaci di competere lungo la scala della produttività e dell'innovazione. La trappola della flessibilità, sostituendo il lavoro – poco qualificato – al capitale e alla tecnologia, erode la produttività, mantiene le imprese – in particolare, quelle piccole e piccolissime, che sono il 95 per cento del nostro tessuto produttivo industriale – in uno stato di precaria sopravvivenza, con il rischio concreto di veder disintegrare il sistema produttivo-occupazionale italiano in tempi brevissimi se non si fuoriesce da questa traiettoria declinante.
  E allora, è chiaro perché avete messo la fiducia, almeno a noi è chiaro: non tanto e non solo perché al senatore Sacconi non par vero di poter ottenere dal Governo con a capo il segretario del Partito Democratico ciò che non aveva ottenuto come Ministro dal suo Governo Berlusconi e dalla vasta maggioranza che sosteneva quella compagine. E, quindi, vuole elettoralmente tutto: si sa, l'appetito vien mangiando.
  E invito il Ministro Poletti a ricordarsi dei provvedimenti Berlusconi e Sacconi del 2003 sulla cooperazione, di cui credo porti ancora i segni, come credo dovrebbe superare quel complesso di inferiorità che hanno i moderni cooperatori verso le imprese private e le loro culture di organizzazione del lavoro e di relazioni sociali conflittuali – perché la conflittualità, Ministro, non viene da una parte sola, viene spesso anche da chi è più forte nelle relazioni di impresa, cioè dalle controparti, e ve lo dico per esperienza sul campo, dopo molti accordi e qualche disaccordo – ripescando – invito il Ministro Poletti – quelle culture solidali ed egualitarie della cooperazione delle origini (anche questa ha avuto qualche segno nella mia città, con l'alleanza cooperativa, che sta alla base non delle cooperative attuali in termini storici), in contrapposizione alle diseguaglianze crescenti.
  E la fiducia non è stata messa neanche per le modifiche che la sinistra del Partito Democratico ha apportato al testo, modifiche che riducono il danno, ma non invertono purtroppo il segno complessivo del decreto, che determinerà una ulteriore precarizzazione dei contratti di lavoro con novità peggiorative anche rispetto alla riforma Fornero, come l'eliminazione della causale sui contratti a tempo determinato e la possibilità di prorogare questi contratti e l'annacquamento dell'obbligo di stabilizzazione degli apprendisti. Ma è stata messa perché senza la fiducia si rivelerebbe tutta la vostra impotenza ad andare oltre, in questa alleanza di Governo, le politiche dell'austerità e della riduzione dei diritti dei lavoratori e la pratica tardiva, che ieri ha sedotto anche l'ex Ministro Bondi sul giornale della mia città, La Stampa, di un blairismo con quindici anni di ritardo, a proposito di novità e di innovazioni, resuscitato in @pagina=0023@modo macabro con un liberismo che ha fallito in quei Paesi, creando nuove povertà, distruggendo la classe media, riducendo i consumi e installando un'oligarchia che nella crisi, in quei Paesi – e anche in Italia –, è l'unica che continua ad arricchirsi nonostante la crisi, liberismo che è oramai criticato e superato anche nei Paesi d'origine. Arrivate tardi e in modo inutile.
  Il Ministro Poletti, in questi giorni, ci ha anche detto che preferisce una riforma che funzioni ad una riforma giusta che non funziona. Io penso che frasi di questo tipo, Ministro, certifichino i fallimenti, non i risultati. Invece, il nostro parametro di giudizio è cosa ne viene di buono da questo decreto ai precari, ai disoccupati, agli operai, al lavoro dipendente tutto, e noi non vediamo risultati per loro, vediamo aumentare la ricattabilità e vediamo aumentare la solitudine crescente.
  Per questo voteremo contro, qui e al Senato, cercando di impedirvi questo peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro che non ci fanno uscire dalla crisi, aspettando che voi cambiate Governo (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà – Congratulazioni).

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  RENATA POLVERINI (FI-PdL) (Vedi RS). Dichiara il voto contrario del suo gruppo sul disegno di legge di conversione in esame, giudicando inaccettabile l'atteggiamento assunto dalla maggioranza nel corso del relativo iter.

PAGINA: 0023

  RENATA POLVERINI. Signor Presidente, signor Ministro, signori sottosegretari, onorevoli colleghi, l'intervento che mi appresto a fare è un intervento completamente diverso da quello che avrei voluto fare, perché in quest'Aula ciascuno di noi non può ignorare che abbiamo dati che riguardano l'occupazione ormai drammatici. Abbiamo una disoccupazione con un tasso del 13 per cento per quanto riguarda tutti i lavoratori, con un tasso che supera abbondantemente il 42 per cento per l'occupazione giovanile, e siamo tutti consapevoli che in alcune realtà del Paese, ed in particolare nel Mezzogiorno d'Italia, questo tasso supera abbondantemente, in molte realtà produttive, il 50 per cento.
  Sappiamo bene che abbiamo ascoltato il Presidente del Consiglio Renzi, sin dalla sua campagna elettorale per le primarie del Partito Democratico, parlare della questione del lavoro come della principale grande questione che una classe dirigente matura e responsabile deve provare a risolvere. Abbiamo ascoltato i suoi annunci rispetto al cosiddetto Jobs Act o meglio un piano per il lavoro, che ci saremmo aspettati come una serie di azioni integrate che andassero a rilanciare l'economia e lo sviluppo del Paese partendo da investimenti anche di natura pubblica, perché in una guerra, come quella che stiamo vivendo rispetto alla fame di occupazione che c’è nel Paese, uno Stato, un Paese appunto, deve investire al massimo.
  E invece, da Presidente del Consiglio, si presenta a queste Aule con due provvedimenti: un decreto-legge, che è quello sul quale chiede la quarta fiducia in poco tempo, ed un disegno di legge, che rischia già di essere paludato in quel Senato di cui di qui a breve parlerò ancora. Un decreto-legge che noi di Forza Italia, per grande senso di responsabilità, abbiamo comunque voluto leggere con attenzione, provare a migliorarne gli effetti contribuendo, in una fase molto intensa in Commissione lavoro, a discutere.
  Il decreto n. 34 del 2014 prende corpo, come ho detto, in Commissione lavoro, nella consapevolezza da parte di tutti i commissari che, al di là di appartenere alla maggioranza o all'opposizione di questo Governo, c'era la necessità di dare un contributo per provare a risolvere la vita di tante famiglie che sono ormai senza reddito e di tante imprese che purtroppo continuano a chiudere. Anche perché avevamo tutti ascoltato ed eravamo tutti consapevoli che con questo provvedimento legislativo si provava a modificare la norma cosiddetta Fornero, colpevole di aver prodotto purtroppo ancora, se ce ne fosse stata necessità, maggiore disoccupazione.
  E allora abbiamo condiviso la necessità di audire quanti più soggetti possibili che potessero, insieme alla Commissione ed al Governo, provare a mettere in campo uno strumento quanto più utile per gli effetti @pagina=0024@che tutti volevamo raggiungere. Abbiamo ascoltato rappresentanze delle imprese, rappresentanti dei lavoratori, autorevoli giuslavoristi e tante altre persone ancora. Ciascuno di noi, a sua volta, ha poi anche proceduto ad incontri più privati per comprendere fino in fondo quali erano i necessari ritocchi ad un decreto che comunque nella sua versione originale ci convinceva, ma aveva la necessità di essere migliorato.
  Abbiamo avuto naturalmente giudizi opposti, perché quando parliamo di lavoro, quando parliamo di liberalizzare i processi di assunzione, è evidente che scattano opinioni diverse. Qualcuno le chiama ideologie, qualcuno demagogia, qualcuno valori. Ciò però è il frutto chiaramente della storia politica di ciascuno di noi, personale di ciascuno di noi. Noi abbiamo quindi inteso guardare a quelle modifiche che potessero garantire, alle condizioni date – si dice così –, maggiori garanzie per i lavoratori, senza continuare a penalizzare le imprese o meglio evitando di dare alibi a quelle imprese che in un momento come questo possono assumere e non lo fanno, in particolare le più piccole.
  Abbiamo lavorato per provare a ragionare sulle cosiddette proroghe, che sembravano uno degli elementi che più allontanava i giudizi che abbiamo ascoltato in Commissione, e a me piace dire che non siamo arrivati da otto a cinque, ma siamo passati da uno a cinque, perché il dato dal quale si parte è la riforma Fornero, e non il decreto, pur apprezzato, del Ministro Poletti, che comunque io ho considerato, perché ho rispetto per il Parlamento italiano, un impegno di Governo, che rappresenta, però, una base che credo il Parlamento possa e debba, se lo ritiene necessario, modificare.
  Abbiamo lasciato quello che sembrava il maggior ostacolo, o comunque l'elemento che scatenava maggiori giudizi, che era la questione della causalità: oggi le imprese possono assumere senza dover necessariamente dichiarare per quale motivo, e mi sembra un enorme passo avanti. Abbiamo anche, ascoltando le imprese, lavorato su un periodo transitorio, proprio per evitare che questa incertezza di diritto nel quale il Governo, purtroppo, ci sta ponendo, continuasse a rappresentare il primo grande freno per l'occupazione e per il suo rilancio.
  Abbiamo anche condiviso, attraverso alcuni emendamenti, maggiori garanzie per le donne in maternità, in un Parlamento che si dichiara quasi quotidianamente a favore delle donne, con un Governo che mostra la volontà di valorizzare le donne ogni giorno. Come anche – è stato già ricordato – abbiamo modificato il contratto di solidarietà, nella speranza che questo produca minore accesso agli strumenti degli ammortizzatori sociali, per i quali le risorse, ahimè, sono sempre più carenti, ed eviti, soprattutto, chiusure o licenziamenti.
  E poi abbiamo lavorato sulla formazione: qui vi è stato un grande dibattito, si era trovata una formula che poteva, a nostro avviso, in qualche modo, trovare un punto di incontro tra imprese e lavoratori. Abbiamo, quindi, cercato di dare un contributo anche a quel documento unico di regolarità contributiva che rappresenta, in particolare per le imprese che lavorano con appalti pubblici, un elemento ostativo, addirittura, che rischia, molto spesso, di far chiudere imprese, malgrado debbano ricevere compensi da chi, appunto, gli ha appaltato i lavori.
  Fino a qui abbiamo condotto una Commissione complicata, ma comunque costruttiva, come è nello stile della Commissione lavoro di questa Camera. Fino a quando, nella nottata, in una delle notate della scorsa settimana, noi della minoranza, che pure avevamo messo in campo, come ho detto, un atteggiamento costruttivo, ci siamo trovati di fronte ad una lite – lasciatemela chiamare così – all'interno della maggioranza stessa, che si è consumata, peraltro, in un ruolo istituzionale, coinvolgendo in un dibattito al quale avremmo preferito non partecipare, appunto, anche la minoranza.
  Il Nuovo Centrodestra, supportato, poi, anche da Scelta Civica, decide di porre dei veti rispetto alle modifiche che erano state @pagina=0025@introdotte. Come se non bastasse, il Governo decide di porre la fiducia su un provvedimento che, a mio avviso, meritava, invece, un'ulteriore discussione in quest'Aula. Ma la cosa che ha di fatto cambiato il nostro atteggiamento, e quindi anche la nostra decisione di voto, è che si decide, non in quest'Aula, ma in una sala qui a fianco, che questo provvedimento, che oggi stiamo votando, sarà modificato nell'altra ala del Parlamento.
  Questo lo trovo inaccettabile (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente) dal punto di vista del rapporto tra le istituzioni e lo trovo inaccettabile per la dignità di questa Camera, perché abbiamo già visto il decreto sull'occupazione giovanile del Ministro Giovannini arrivare qui blindato, perché il Senato ha rallentato i tempi per evitare che questa Camera potesse intervenire, abbiamo visto il provvedimento sulle dimissioni in bianco naufragare in quell'ala del Parlamento.
  Vediamo questo provvedimento che viene votato oggi già con un accordo che prevede la sua modifica; ecco, questo per noi è un atteggiamento inaccettabile.

PAGINA: 0006

  WALTER RIZZETTO (M5S) (Vedi RS). Esprime un giudizio fortemente critico sulla politica del lavoro attuata dal Governo (Deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle espongono catene e cartelli, che gli assistenti parlamentari, su invito del Presidente, rimuovono).

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  WALTER RIZZETTO. Signora Presidente Boldrini, Ministri e sottosegretari, colleghi tutti, arriviamo subito ed immediatamente al dunque: questo provvedimento non creerà nuovi posti di lavoro. D'altra parte lo dite voi stessi, scrivendolo sul Documento di economia e finanza, come la disoccupazione nei prossimi anni non andrà a calare. Quindi, da una parte vorreste rilanciare l'occupazione, dall'altra nel Documento di economia e finanza dite che la disoccupazione non calerà.
  È una menzogna, quindi, non ci crede la stessa maggioranza. Forse, in solitudine, ci crede solo lei, signor Ministro, come ci aveva creduto il suo predecessore, il Ministro Giovannini, il quale ha fallito miseramente il suo mandato partorendo il decreto-legge n. 76 del 2013, che avrebbe dovuto creare 200.000 nuovi posti di lavoro. Ad oggi, a quasi un anno dal suo varo, ci sono meno di 20 mila domande acquisite; la pessima tradizione di promettere e non mantenere, quindi, continua. I fatti e le parole ci stanno dando ragione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  Il decreto-legge n. 34 del 2014, come già innumerevoli volte riferito in Commissione, viola di fatto la direttiva 1999/70/CE che, con la clausola 5, impone agli Stati membri dell'Unione Europea di introdurre norme idonee a prevenire e sanzionare l'abuso della successione dei contratti di lavoro a tempo determinato. La piena liberalizzazione del ricorso al lavoro a termine suscita, quindi, fondati dubbi sulla compatibilità con la normativa stessa. Quando in Europa ci si va a chiedere variazioni sui vincoli dei trattati, tutto bene, quando però serve rispettarne i dettami inerenti al mondo del lavoro, tutto cambia.
  Non dite adesso se lo chiede l'Europa ? L'Europa risponde in questi giorni con almeno 10 milioni di euro di sanzione per abuso dei contratti a tempo determinato. Poche e pessime regole, in pratica un @pagina=0026@pugno di emendamenti al decreto-legge n. 76 e non un vero piano di rilancio per la drammatica crisi che stiamo vivendo: 13 per cento di disoccupazione globale ed il 44 per cento di disoccupazione giovanile, cifre che possono spaventare anche i più cauti custodi dell'ordine sociale. Un mero ed ennesimo passaggio elettorale che si accompagna alla misura demagoga – questa sì, demagoga e populista – dell'aumento di 50-60 euro al mese in busta paga. Presidente Renzi, Ministro Poletti, questi 10 miliardi metteteli sulla riduzione del cuneo fiscale che grava sulle spalle delle aziende, vedrete che così facendo si creeranno molti più posti di lavoro, duraturi e stabili (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  Le possibili proroghe espresse si trasformeranno in un'agognata corsa al mantenimento del posto, in una partita che vede opposti il lavoratore ed il datore di lavoro, tra l'altro per nulla, da ora in poi, tutelati dalla legge, in quanto lei, Ministro, in audizione ha espresso chiaramente il concetto di una quasi totale esclusione dei tribunali garanti dalle cause di lavoro; come dire: vedetevela voi e arrangiatevi. Le proroghe creeranno nuovo precariato, nuove incertezze, salvo poi lamentarsi perché gli italiani non creano famiglie, non costruiscono case, non accendono mutui, non cercano di sviluppare il proprio futuro e il futuro dei propri figli (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  Ma il nuovo Premier fa di più, sostenendo che negli ultimi vent'anni la flessibilità – e questo è un passaggio interessantissimo – nel mondo del lavoro non ha creato precarietà, concetto ormai che va persino oltre al liberismo di sinistra, ma che è smentito da un recente studio della Commissione europea che mostra come tra i lavoratori considerati poveri – lo dice la Commissione europea – in Europa il 24 per cento abbia contratti a tempo determinato, mentre tra i non poveri, ma occupati, soltanto il 12 per cento fa parte della categoria dei lavoratori a termine.
  Che cosa avete prodotto per le partite IVA dopo la pessima legge di stabilità che avete disegnato ? Uso «avete» perché da dicembre qui è cambiato soltanto il Presidente del Consiglio, non i deputati tutti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Per il lavoro femminile, Ministro, per il lavoro femminile che cosa avete fatto ? Per coloro che hanno redditi sotto gli 8 mila euro l'anno che cosa avete fatto ? Nulla. D'altra parte in questo momento servono voti e non servono posti di lavoro (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Ministro, le rivolgo una domanda: se una donna resta incinta durante il primo contratto a tempo determinato, secondo lei, il suo datore di lavoro rinnoverà o meno il suo contratto ? Andate a chiederlo alle madri e a tutte coloro per cui fingete di fare le barricate in Aula.
  Ministro, lei per decreto inciderà più di quanto farebbe l'abrogazione dello stesso articolo 18, aggirando, quindi, l'ostacolo dello Statuto dei lavoratori. Di fatto, il periodo di prova entro il quale si può essere licenziati, senza preavviso, indennità e giustificazione alcuna, viene esteso fino a tre anni: contratti brevissimi, senza rete. Si perderà il lavoro senza alcuna assicurazione sociale: veramente geniale !
  Fate lo stesso errore della Spagna – e lo sapete –, dove un terzo della forza lavoro è intrappolata in contratos temporales e dove chi vuole trovare un lavoro deve competere con migliaia di altri lavoratori che passano da contratto a contratto. In Spagna almeno hanno una durata minima di sei mesi, mentre da noi è possibile, per assurdo, che ci sia un contratto anche di un solo giorno. La differenza tra contratti a tempo indeterminato e contratti a tempo determinato diventa quindi più forte.
  Illuminante, ma dai contorni economico-sociali un po’ differenti, il caso della Germania, dove, con la riforma Hartz – voi lo conoscerete –, si è proceduto ad un eccellente sistema di centri per l'impiego, si è tagliato in modo massiccio il cuneo fiscale, si sono compiuti tagli veri alle spese militari nella misura del 32 per cento e non tagliando un F35, sventolando la bandiera della spending review quasi come fosse la bandiera della pace (Applausi @pagina=0027@dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). La riforma tedesca ha indebolito il potere contrattuale dei sindacati, dando voce alla strategia e ai piani industriali veri delle imprese, esentando con i mini job il lavoratore da qualsiasi tassa e contributo e prevedendo contribuzioni e tasse sociali agevolate per i datori di lavoro, oltre allo Stato che vi contribuisce. E, quindi, il Primo Ministro Renzi, oserei dire novello Schröder, cerca di fare un pasticciato «copia incolla» partorendo un decreto che andrà a svilire le intenzioni delle imprese e ad offendere le dignità tutte.
  Le nostre proposte in Commissione quali sono state ? Semplici, fruibili, suggerite, tra l'altro, da gran parte della collettività e anche dai nostri auditi in Commissione: inserimento perpetuo della causale; massimo di una proroga in ventiquattro mesi; maggior retribuzione del lavoro precario. I salari pagati ai lavoratori flessibili devono essere più alti e non più bassi, perché più alta è la loro probabilità di licenziamento.
  Concentratevi – tra l'altro lo dico a tutti, in maniera specifica alla maggioranza – un attimo e comprenderete che non avete più questo tipo di maggioranza. Scelta Civica e Nuovo Centrodestra avevano giurato battaglie, salvo poi chinarsi al sacro concetto di un seggio stabile ed in nome di una responsabilità fatta solo a parole, chinarsi appunto alla fiducia posta su un provvedimento che stava prendendo, per voi, una pericolosissima china. Siate coraggiosi, più che responsabili. Lo sconforto dipinto sui volti della maggioranza quella notte la diceva lunga rispetto al fatto che, se la composizione della Commissione lavoro fosse speculare all'Aula, saremmo già in piena crisi di Governo, di questo neonato Governo. Vi siete spinti addirittura a non votare il mandato al relatore della vostra stessa maggioranza. Siete, tra l'alto, quindi, politicamente instabili e solo grazie alle assenze pasquali il decreto non è stato restituito alla Commissione. Avete perso e non ve ne siete neppure accorti o fate orecchie da mercante.
  Volete la nostra ricetta per rilanciare l'occupazione in Italia ? È quello che voi non avete mai fatto: stretta all'evasione fiscale; deburocratizzazione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle); taglio delle tasse – taglio delle tasse perché quando, Ministro, ci sono aziende in Italia che pagano sino al 65 per cento di tasse è evidente che c’è qualcosa che non va –; misure per i disoccupati, per i disoccupati over 40, over 50, per gli esodati – tra l'altro, la Presidente Boldrini ha incitato su questo tema –, per i licenziati, per coloro che non vogliono neanche più cercarselo, un lavoro; taglio radicale della tassa IRAP, ingiusta perché si applica al fatturato e non all'utile di esercizio; reddito di cittadinanza, Ministro, per poter dare la possibilità alle persone di potersi scegliere un'occupazione quantomeno adeguata rispetto alla propria preparazione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Ministro, i nostri eccellenti laureati o se ne vanno dall'Italia o vanno a raccogliere frutta a 2 euro all'ora, i nostri disoccupati devono andare a lavorare in nero. Ed in ultimo, forse la cosa più importante e la ricetta più semplice, abrogazione della scellerata manovra Fornero (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), vera ghigliottina, vera ghigliottina sulla testa dei lavoratori e dei pensionandi. È quindi aritmetico che se l'età della pensione aumenta di sei, sette anni, non si assumono poi giovani per altri sei, sette anni.
  Un regime di questo tipo, più che favorire gli investimenti delle imprese, sembra essere mirato a rendere ancora più ricattabili e precari i lavoratori, che per 3 anni dovranno sottostare ad una disciplina aziendale senza nessun regime di tutela, un fatto inedito per qualsiasi civiltà occidentale.
  Chiudo, Presidente, citando Franklin Delano Roosevelt, che amava osservare: «La vera libertà individuale non può esistere senza sicurezza economica ed indipendenza. La gente affamata e senza lavoro è la pasta di cui sono fatte le dittature».@pagina=0028@
  Queste, Presidente, sono le vere catene che imprigioneranno i nostri nuovi schiavi lavoratori (Deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle espongono catene e cartelli recanti la scritta: «SCHIAVI MODERNI»).

PAGINA: 0006

  ROBERTO SPERANZA (PD) (Vedi RS). Esprime apprezzamento per le norme adottate con il provvedimento in esame, sul quale dichiara che il suo gruppo esprimerà voto favorevole.

PAGINA: 0028

  ROBERTO SPERANZA. Signor Presidente, penso che sia eclatante, si vede subito la differenza, la differenza tra chi vuole provare a cambiare le cose e chi, invece, vuole un titolo o una fotografia sui giornali (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico – Commenti dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Ma mi chiedo: quei 3 milioni di disoccupati, in questo Paese, che beneficio hanno dopo quella fotografia che domani prenderete sui giornali (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico – Commenti dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) ?

PAGINA: 0006

  PRESIDENTE (Vedi RS). Esprime soddisfazione nel comunicare all'Assemblea l'entrata in vigore dal prossimo 1o agosto della Convenzione di Instanbul, volta a contrastare la violenza alle donne.

PAGINA: 0028

  PRESIDENTE. Per favore ! Colleghi !

PAGINA: 0007

  Interviene per dichiarazione di voto a titolo personale il deputato VINCENZA LABRIOLA (Misto) (Vedi RS); intervengono altresì i deputati ALFONSO BONAFEDE (M5S) (Vedi RS) e ETTORE ROSATO (PD) (Vedi RS) e, dopo presazioni del PRESIDENTE (Vedi RS), per richiami al Regolamento, i deputati ANDREA COLLETTI (M5S) (Vedi RS) e ROBERTA LOMBARDI (M5S) (Vedi RS).

PAGINA: 0030

  VINCENZA LABRIOLA. Signora Presidente, onorevoli colleghi, innanzitutto è fondamentale denunciare che i deputati, durante la discussione su questo importantissimo decreto-legge, hanno passato troppo tempo ad inseguire obiettivi elettorali: la riforma sul lavoro manca di concretezza. Poco o niente cambierà in termini di occupazione. La staticità è la parola d'ordine. È necessario ricordare che l'occupazione non si crea con un decreto ma con esso si possono togliere e aggiungere diritti ai lavoratori e questo decreto-legge va nella direzione di togliere tutele e crea una precarietà di sistema. Si sarebbe dovuto partire da una riorganizzazione degli accordi di produzione con i Paesi esteri per sostenere il tessuto industriale, oltre ad un vero piano di defiscalizzazione.
  Siamo passati in vent'anni da poche grandi industrie e tante piccole fabbriche a poche aziende che producono altrove. Il risultato è la morte del lavoro, dell'occupazione e il suicidio dei redditi. Dov’è la politica industriale e fiscale che vuole al centro la struttura produttiva ? Cambiare rotta nella crisi significa cambiare regole letali che massacrano chi produce. Ogni altro intervento politico mi pare privo di ogni logica ed utilità. Per questo motivo annuncio il mio voto contrario.

PAGINA: 0030

  ALFONSO BONAFEDE. Signor Presidente, semplicemente per dire che noi abbiamo manifestato, in maniera simbolica e pacifica, il nostro dissenso rispetto ad una legge che individuiamo, senza mezzi termini, come l'ennesima «porcata» di questo Governo e di questa maggioranza. Detto questo, a un certo punto ho sentito lei che, nel richiamare all'ordine, ha detto a noi di non opporre resistenza. Poiché, capisce Presidente, che le telecamere in quel momento inquadrano lei e se lei richiama rispetto ad una circostanza inesistente, perché noi non stavamo opponendo nessuna resistenza, i cittadini a casa, per sua volontà, pensano...

PAGINA: 0031

  ETTORE ROSATO. Signor Presidente, semplicemente per richiamare il fatto che la presenza in quest'Aula è condivisa da alcune regole (Proteste dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Le regole sono scritte sul Regolamento. I colleghi del MoVimento 5 Stelle, ad ogni voto finale, non rispettano le regole ! Anche noi siamo capaci di alzare bandiere, striscioni, manifesti, oggetti: non lo facciamo mai per il rispetto delle regole e lei fa bene il suo dovere richiamando al rispetto delle regole !

PAGINA: 0031

  PRESIDENTE. Allora, grazie. Quello di Bonafede non era un richiamo al Regolamento (Proteste dei deputati del gruppo del MoVimento 5 Stelle). Non era un richiamo al Regolamento.
  Cercate di fare riferimento agli articoli del Regolamento, se volete fare un richiamo al Regolamento !

PAGINA: 0031

  ANDREA COLLETTI. Signor Presidente, non voglio entrare nel merito dell'intervento che ha fatto prima il collega Bonafede né di quello del collega Rosato, ma vorrei entrare in merito all'intervento che ha fatto il collega (Dai banchi del gruppo del Partito Democratico si grida: «Quale articolo ?»)... L'articolo è lo stesso del collega Ettore Rosato, l'identico articolo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PAGINA: 0031

  ROBERTA LOMBARDI. Grazie. È un richiamo all'articolo 8 del Regolamento, sulle funzioni del Presidente che rappresenta la Camera e assicura il buon andamento dei suoi lavori (Commenti dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Sinistra Ecologia Libertà)...

PAGINA: 0007

  Interviene quindi per dichiarazione di voto a titolo personale il deputato CLAUDIO COMINARDI (M5S) (Vedi RS) e, sull'ordine dei lavori, il deputato PAOLA BINETTI (PI) (Vedi RS), cui rende precisazioni il PRESIDENTE (Vedi RS).

PAGINA: 0032

  CLAUDIO COMINARDI. Presidente, se mi permette, devo fare una dichiarazione di voto, a titolo personale, in dissenso dal gruppo, e le spiego le ragioni. Dal mio punto di vista, dal punto di vista procedurale e del metodo, questo provvedimento non deve essere nemmeno votato, e adesso ve lo spiego (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Perché il presidente Damiano, il presidente della Commissione lavoro, ha violato il Regolamento – questa, che non è carta da culo – cioè, l'articolo 51, l'articolo 53 e l'articolo 54 (Proteste dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Sinistra Ecologia Libertà – Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)...

PAGINA: 0032

  PAOLA BINETTI. È in merito a questo contesto, Presidente, ma è sull'ordine dei lavori. Voglio soltanto far presente una cosa: noi quando entriamo in questo Palazzo, da qualunque porta entriamo, facciamo controllare le nostre borse e, giustamente, i commessi richiamano la nostra attenzione se, per caso, qualcuno velocemente passasse. Io mi chiedo come siano potute entrare cento catene. Cento catene senza che nessuno se ne accorgesse (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico @pagina=0033@e Sinistra Ecologia Libertà – Commenti dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) !

PAGINA: 0033

  PRESIDENTE. Questo sarà oggetto di approfondimento.

PAGINA: 0008

  La seduta, sospesa alle 13,55, è ripresa alle 14.

PAGINA: 0008

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARINA SERENI (Vedi RS)

PAGINA: 0033

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARINA SERENI

PAGINA: 0008

Missioni. (Vedi RS)

PAGINA: 0033

Missioni.

PAGINA: 0008

  PRESIDENTE (Vedi RS). Comunica che i deputati in missione alla ripresa pomeridiana della seduta sono ottanta.

PAGINA: 0033

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Gioacchino Alfano, Alfreider, Bellanova, Bindi, Biondelli, Bobba, Michele Bordo, Brescia, Caparini, Cicchitto, Dambruoso, De Girolamo, Del Basso De Caro, Di Lello, Ferranti, Fico, Formisano, Giancarlo Giorgetti, Migliore, Pisicchio, Ravetto, Realacci, Scalfarotto, Speranza, Tabacci, Vito e Zanetti sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
  Pertanto i deputati in missione sono complessivamente ottanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

PAGINA: 0008

Discussione del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 36 del 2014: Disposizioni urgenti in materia di stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione della tossicodipendenza, impiego di medicinali meno onerosi da parte del Servizio sanitario nazionale (A.C. 2215-A). (Vedi RS)

PAGINA: 0033

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 20 marzo 2014, n. 36, recante disposizioni urgenti in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonché di impiego di medicinali meno onerosi da parte del Servizio sanitario nazionale (A.C. 2215-A).

PAGINA: 0008

  PRESIDENTE (Vedi RS). Dichiara aperta la discussione sulle linee generali, della quale è stato chiesto l'ampliamento.

PAGINA: 0033

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 2215-A: Conversione in legge del decreto-legge 20 marzo 2014, n. 36, recante disposizioni urgenti in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione @pagina=0034@dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonché di impiego di medicinali meno onerosi da parte del Servizio sanitario nazionale.

PAGINA: 0009

  DONATELLA FERRANTI (PD) (Vedi RS), Relatore per la maggioranza per la II Commissione. Svolge la relazione di maggioranza sul disegno di legge di conversione in esame, per le parti di competenza della II Commissione.

PAGINA: 0034

  DONATELLA FERRANTI. Relatore per la maggioranza per la II Commissione. Signora Presidente, signori colleghi, questo provvedimento, il decreto-legge del Ministro della salute, per quanto attiene alla competenza della Commissione giustizia, nella formulazione originaria, non ha modificato la formulazione delle disposizioni di natura penale del testo unico sugli stupefacenti, ma ha comunque inciso sulla loro portata normativa, in quanto ha modificato le tabelle alle quali fanno riferimento le predette disposizioni penali.
  In particolare, a seguito delle modifiche apportate dall'articolo 4-vicies ter del decreto-legge n. 272 del 2005, le previgenti sei tabelle sono state sostituite da due tabelle e sono stati modificati anche i criteri per l'inclusione delle sostanze nell'una o nell'altra tabella. Come messo in evidenza dalla richiamata sentenza della Corte costituzionale, le modifiche, unitamente a quelle apportate dall'articolo 4-bis del decreto-legge n. 272 del 2005 all'articolo 73 del testo unico, relativo all'apparato sanzionatorio, hanno determinato «una medesima cornice edittale per le violazioni concernenti tutte le sostanze stupefacenti, unificando il trattamento sanzionatorio che, in precedenza, era differenziato a seconda che i reati avessero per oggetto sostanze stupefacenti incluse nelle tabelle II e IV (cosiddette «droghe leggere») ovvero nelle tabelle I e III (cosiddette «droghe pesanti»), questo nella situazione antecedente la legge Fini-Giovanardi.
  La legge di conversione del decreto-legge del 2005, introducendo l'articolo 4-vicies ter ha modificato il precedente sistema tabellare stabilito dagli articoli 13 e 14 dello stesso decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, includendo nella nuova tabella I gli stupefacenti che prima erano distinti in differenti gruppi.
  Come si legge nella relazione di accompagnamento al disegno di legge in esame, considerato che gli articoli del testo unico relativi all'apparato sanzionatorio fanno riferimento a quattro tabelle, graduando le pene a seconda che le sostanze siano incluse nella I o nella III, ovvero nella II o nella IV, si è reso necessario, al fine di non modificare la cornice edittale così definita, reintrodurre quattro tabelle, ridistribuendo tra esse le sostanze che, sulla base della legge n. 49 del 2006, erano raggruppate nelle due caducate dalla sentenza della Corte costituzionale, in modo che per ciascuna sostanza venga fatto salvo il regime sanzionatorio di cui alle disposizioni originarie del testo unico, ripristinate dalla sentenza della Corte costituzionale.
  Il nuovo testo degli articoli 13 e 14, così come modificati dal decreto-legge in esame, prevede cinque tabelle: tabella I, relativa alle cosiddette «droghe pesanti»; tabella II, relativa alle cosiddette «droghe leggere»; tabella III e tabella IV, relative alle sostanze medicinali equiparate ai fini sanzionatori rispettivamente alle «droghe pesanti» e a quelle «leggere» ed, infine, una tabella dei medicinali.
  Il quadro sanzionatorio che ne è uscito, a seguito appunto della sentenza della Corte costituzionale e del decreto-legge, è @pagina=0035@il seguente: le condotte aventi ad oggetto le sostanze di cui alle tabelle I e III sono sanzionate con la reclusione da otto a vent'anni, ai sensi del primo comma dell'articolo 73, mentre quelle aventi ad oggetto le sostanze di cui alle tabelle II e IV sono punite con la reclusione da due a sei anni, ai sensi del quarto comma.
  Naturalmente, sappiamo che il decreto-legge non si è limitato a ridistribuire le sostanze previste nelle tabelle previgenti in quanto, appunto, dal 2006 ad oggi sono stati emanati ventotto decreti ministeriali, ma questo attiene più alla competenza della Commissione affari sociali.
  Vorrei, quindi, andare a individuare quali sono i passaggi, in maniera rapida, che hanno riguardato la conversione del decreto negli aspetti più di competenza della Commissione giustizia.
  Ferme restando le diverse linee di pensiero scientifico, emerse in sede di indagine conoscitiva dall'esame di esperti e rappresentanti di associazioni operanti nel settore, sulla maggiore o minore pericolosità della cannabis e suoi derivati e sul fatto che provochi o meno dipendenza grave, un punto sembra costituire il denominatore comune: la cannabis (e i suoi derivati naturali) può legittimamente essere inserita nella tabella II, con conseguenze sanzionatorie in sede di differenziazione della pena prevista dal primo comma dell'articolo 73 rispetto alle droghe che sono in I e III tabella.
  Nel corso dell'esame in sede referente, sono stati approvati emendamenti diretti a modificare la formulazione di alcune di queste disposizioni, in quanto, a seguito della sentenza della Corte costituzionale 25 febbraio 2014 n. 32, sono venute meno anche quelle norme di natura penale che erano state introdotte nel testo unico dagli articoli del decreto-legge n. 272 del 2005, dichiarati illegittimi.
  Di conseguenza, si è intervenuti anche sul comma 5 dell'articolo 73 del testo unico, per quanto tale disposizione non sia stata travolta direttamente dalla pronuncia di incostituzionalità, essendo stata da ultimo modificata – e quindi sanata – dal decreto-legge n. 146 del 2013, che ha trasformato in reato autonomo la circostanza attenuante dello spaccio di lieve entità.
  Passo all'illustrazione delle modifiche di natura penale. Come si è accennato, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 32 del 25 febbraio 2014, ha espressamente escluso l'estensione – questo è importante ribadirlo anche alla luce di emendamenti che sono stati presentati in Commissione e che forse verranno ripresentati – della pronuncia di incostituzionalità delle disposizioni di cui al decreto-legge n. 146 del 2013, rilevando che «risulta evidente che nessuna incidenza sulle questioni sollevate possono esplicare le modifiche apportate all'articolo 73, comma 5, del Testo unico dal decreto-legge 23 dicembre 2013 n. 146, in quanto stabilita con disposizione successiva a quella qui censurata ed indipendente da quest'ultima».
  Ciò vuol dire che i fatti di lieve entità commessi a far data dal 24 dicembre 2013 sono disciplinati dall'articolo 2 del citato decreto-legge, secondo cui, «salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti nel presente articolo che per i mezzi, le modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità o quantità delle sostanze è di lieve entità è punito» – in base al decreto-legge convertito nel 2013 – «con le pene della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 300 a 26 mila». Questa era la base di partenza.
  In Commissione si è affrontata, attraverso un'ampia discussione, la problematica relativa ai possibili margini di irragionevolezza della mancata diversificazione ai fini sanzionatori del trattamento di sostanze stupefacenti (droghe cosiddette «leggere» e droghe cosiddette «pesanti») nell'attuale disposizione del quinto comma dell'articolo 73, sopravvissuto alla Corte costituzionale e fattispecie autonoma di reato.
  È prevalso l'orientamento secondo il quale l'attuale quadro edittale unitario per entrambe le classi di sostanze si presenta coerente rispetto alla disciplina complessiva, come peraltro recentemente sostenuto nella sentenza della Corte di cassazione n. 397 del 2014 pronunciata dalla IV @pagina=0036@sezione penale. In realtà, si è ritenuto che, nella valutazione del fatto criminoso di lieve entità connesso allo spaccio di sostanze stupefacenti, non abbia un valore determinante la natura della sostanza stupefacente trattata, ma che la concreta ridotta idoneità offensiva della condotta debba essere la risultante di una valutazione complessiva che ha come riferimento le modalità, la natura, i mezzi dell'azione e le altre circostanze ad essa pertinenti.
  Le Commissioni hanno quindi approvato un emendamento del Governo che ha inteso riequilibrare la pena del delitto di condotte illecite in tema di sostanze stupefacenti o psicotrope di lieve entità, abbassando il massimo, edittale, da cinque a quattro anni e il minimo da un anno a sei mesi. Il nuovo testo quindi è identico per le condotte a quello approvato dal decreto-legge del 2013, ma appunto prevede che i fatti di lieve entità e di piccolo spaccio vengano puniti con la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da 1.032 a 10.329 euro.
  Le conseguenze sono evidenti soprattutto per ciò che attiene alla custodia cautelare in carcere, che non è applicabile, salvo che nei confronti di chi abbia trasgredito le prescrizioni inerenti un'altra misura cautelare. Sarà possibile l'arresto facoltativo in caso di flagranza del reato, come è già oggi. Nessun indebolimento – e qui lo voglio riaffermare con particolare forza – è stato determinato sul fronte della lotta alla criminalità organizzata, in quanto ovviamente continua ad avere piena applicazione l'articolo 74 del testo unico n. 309, quindi l'associazione a delinquere finalizzata al grande spaccio in tutte le sue declinazioni. Ricordo che tra le declinazioni è previsto proprio che, quando questa associazione si riferisce ad episodi di piccolo spaccio si applicano addirittura le pene previste per l'associazione a delinquere, di cui all'articolo 416.
  Le Commissioni hanno ritenuto di affrontare anche un altro nodo critico venutosi a creare, cioè la scomparsa, a seguito dell’abolitio criminis derivante dalla sentenza della Corte costituzionale, del riferimento alla non punibilità dell'uso personale di sostanze stupefacenti, contenuto nel comma 1-bis dell'articolo 73 introdotto dall'articolo 4-bis della «Fini-Giovanardi», caducato, e quindi, tornando al testo scritto, è stato approvato un emendamento che riformula l'articolo 75, ne ridefinisce l'ambito di applicazione, distinguendo, ai fini dell'illecito amministrativo, tra droghe pesanti e droghe leggere e non solo, al comma 24-quater risponde ad un altro punto critico sollevato nel corso dell'audizione del professor Vittorio Manes, e del dottor Andrea De Gennaro, direttore centrale del servizio antidroga del dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno: al fatto che la declaratoria di illegittimità costituzionale aveva travolto anche i parametri probatori di cui all'articolo 73, comma 1-bis, relativi alla soglia quantitativa della quantità massima detenibile e agli elementi sintomatici della condotta di spaccio il cui venir meno poteva creare incertezza applicativa e di accertamento da parte, tra l'altro, delle forze dell'ordine, anche con gravi ripercussioni per i diritti dei cittadini.
  Un ulteriore effetto di caducazione a catena purtroppo era derivato anche con riferimento all'annullamento del comma 5-bis dell'articolo 73 della «Fini-Giovanardi», avente ad oggetto il lavoro di pubblica utilità in alternativa al carcere, limitatamente al caso di condanna per spaccio di lieve entità di cui al comma 5 del medesimo articolo, lavoro di pubblica utilità in alternativa al carcere su cui si era molto dibattuto anche nei precedenti decreti governativi convertiti dal Parlamento e riguardanti appunto una delle cause del sovraffollamento carcerario.
  Quindi, con un emendamento approvato dalla Commissione è stato reintrodotto e ripristinato il comma 5-bis nell'articolo 73, che consente anche l'applicazione del successivo comma 5-ter, introdotto proprio sempre in quell'ottica di favorire il lavoro di pubblica utilità e il recupero anche attraverso l'affidamento sociale, dei tossicodipendenti che commettono reati di piccolo spaccio, appunto con il comma 5-ter, introdotto dal decreto-@pagina=0037@legge n. 78 del 2013, convertito con legge n. 94 del 2013, che rischiava di non poter avere applicazione per la mancanza del suo presupposto contenuto nel comma 5-bis a e su questo le Commissioni e i relatori hanno ritenuto di cogliere questa occasione della conversione del decreto-legge per cercare di rimediare ad alcuni effetti che avevano sostanzialmente creato dei vuoti normativi. Su questo punto concludo la parte che mi compete, attenendo alla Commissione giustizia.
  Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti).

PAGINA: 0009

  PIERPAOLO VARGIU (SCpI) (Vedi RS), Relatore per la maggioranza per la XII Commissione. Svolge la relazione di maggioranza sul disegno di legge di conversione in esame, per le parti di competenza della XII Commissione.

PAGINA: 0037

  PIERPAOLO VARGIU, Relatore per la maggioranza per la XII Commissione. Signor Presidente, colleghi deputati e deputate, io credo che, senza entrare nel profilo dei meriti che sono stati affrontati in maniera brillante ed esaustiva dalla presidente Ferranti e che attengono, più precisamente, ai profili di competenza della Commissione giustizia, sia importante fare, comunque, alcune valutazioni.
  La prima vuole essere una valutazione di ordine generale. Noi ci troviamo oggi a discutere per l'approvazione di un decreto-legge, il decreto-legge n. 36 del 20 marzo 2014, che arriva in quest'Aula a seguito della necessità di avere un'attività legislativa d'urgenza legata a una sentenza della Corte costituzionale, che è la n. 32 del 2014. Forse aiuta una riflessione di quest'Aula, prendere in considerazione un paragrafo della relazione di accompagnamento del disegno di legge di conversione. È quello che dice testualmente: «Considerato che la citata pronuncia di incostituzionalità è fondata sul ravvisato vizio procedurale dovuto all'assenza dell'omogeneità e del necessario legame logico-giuridico tra le originarie disposizioni del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, e quelle introdotte dalla legge di conversione 21 febbraio 2006, n. 49, in carenza dei presupposti di cui all'articolo 77, secondo comma, della Costituzione, e non già sulla illegittimità sostanziale delle norme oggetto della pronuncia».
  Mi sembra che sia utile comunque fare in questa Camera una riflessione sul fatto che la metodologia con cui spesso si arriva a produrre norme di legge in questo caso non è stata ritenuta coerente dalla Corte costituzionale e spesso – è una considerazione che noi dovremmo fare e che dovremmo estendere a tutti i parlamentari presenti in quest'Aula e presenti nell'Aula del Senato – l'attività legislativa di questo Parlamento ha comunque un incedere che non è cadenzato da un sistema di metodo che sia utile e coerente rispetto all'attività legislativa stessa, ma è cadenzato da estemporaneità, dall'associazione di argomenti che spesso non hanno attinenza logica tra di loro e che in questo caso specifico hanno determinato addirittura un intervento caducatorio da parte della Corte costituzionale. Io credo che questo sia un monito a cui la Presidenza della Camera e, per quanto di propria competenza, anche la Presidenza del Senato non possono rimanere sordi e che deve rimanere come un punto di riferimento dell'attività legislativa, ma in particolar modo, del metodo con cui l'attività legislativa si svolge, nell'interesse di un Paese che ha bisogno di norme che siano quanto più possibili intelligibili, quanto più possibili semplici e quanto più possibili coerenti rispetto all'obiettivo che le norme stesse si pongono.
  Secondo elemento di riflessione che vorrei porre all'attenzione nei minuti che mi sono concessi: io credo che l'attività di lavoro della Commissione sia stata estremamente operosa e a questa attività di lavoro, operosa e laboriosa, abbia contribuito attivamente il Governo, che ringrazio, nelle persone dei Ministri ma, soprattutto, dei Viceministri e dei sottosegretari, @pagina=0038@che sono stati costantemente presenti durante la nostra azione e durante il nostro lavoro.
  Credo che ogni qualvolta due Commissioni lavorano insieme questo comporta comunque la necessità di «prendersi reciprocamente le misure» e di trovare un metodo di lavoro che sia condiviso. Quindi, voglio ringraziare la presidente Ferranti per il modo con cui ha saputo interpretare il lavoro comune che ci ha consentito, a mio avviso, di arrivare più celermente, più rapidamente e in maniera costruttiva a un testo che fosse condiviso. Ma voglio ringraziare personalmente anche tutti i componenti delle due Commissioni per il lavoro che hanno svolto. Ogni qualvolta si entra su temi che hanno riferimento di carattere etico, di carattere bioetico, che sono legati alla libertà di coscienza e all'interpretazione che alla libertà di coscienza ciascuno di noi dà, il terreno diventa scivoloso e vischioso, ed è facile uscire da quelli che sono i parametri del ragionamento normale, del ragionamento che impone il confronto anche tra diversità, tra posizioni che hanno comunque una loro legittimità, un loro radicamento, un loro profondo convincimento culturale, è facile che venga perso il senso del confronto che, invece, è quello tipico del lavoro in Commissione ed è facile che si arrivi su un terreno di scontro che qualche volta è legato alla convinzione profonda che ciascuno di noi, con passione, trasferisce nel lavoro che svolge, ma che se diventa contrapposizione muro contro muro non è poi utile per trovare delle soluzioni che abbiano, intanto, una radice di condivisione e, in secondo luogo quindi, un'utilità complessiva per il bene delle comunità a cui sono rivolte le attività legislative di questo Parlamento.
  Quindi, io credo che si sia riusciti all'interno delle due Commissioni che hanno lavorato insieme a mantenere questo profilo di confronto che, anche se qualche volta è stato appassionato per le convinzioni che ciascuno di noi, che ciascuno dei commissari, ha sostenuto con passione, non ha mai trasceso rispetto all'obiettivo di arrivare poi ad una sintesi che, nel rispetto delle diversità, consentisse poi di raggiungere un risultato. Quindi io credo di dovere un ringraziamento specifico a ciascuno dei componenti le due Commissioni, ai quali va ascritto senz'altro il merito di aver svolto in questo modo il loro impegno parlamentare.
  Per quanto riguarda, infine, i due profili specifici che hanno attinenza di merito rispetto al provvedimento che abbiamo in esame, sul primo dei due profili – quello di cui ha parlato in maniera estensiva la collega presidente Ferranti e sul quale io non intendo soffermarmi in modo particolare – voglio soltanto rilevare un fatto che è sostanziale, cioè che la Commissione, durante tutta la sua attività di lavoro, ha avuto ben chiaro in mente quanto abbiamo sentito nel corso delle audizioni. Uno dei temi che è stato ricorrente da parte di tutti soggetti auditi, indipendentemente dai riferimenti ideali che ogni soggetto audito aveva poi ben chiari nella propria testa e nei propri ragionamenti, una delle considerazioni che abbiamo sentito in maniera ubiquitaria provenire da i tutti soggetti auditi è stata quella, anche a domanda specifica rivolta da componenti delle due Commissioni ai soggetti che venivano auditi, che il carcere non è una misura utile per la rieducazione di un soggetto affetto da tossicodipendenza. Cioè è stato certificato anche da tutti coloro che sono impegnati quotidianamente sul campo nel combattere la piaga delle tossicodipendenze che non è una misura di riabilitazione per il soggetto che è detentore, consumatore o piccolo spacciatore di sostanze stupefacenti la misura della restrizione in carcere. Siccome noi abbiamo sempre a mente non tanto i problemi di sovraffollamento carcerario, che pure ci sono, ma sono incidentali e aggiuntivi sul tema specifico, quanto il problema del reinserimento all'interno della comunità del soggetto che sbaglia nel trasgredire la norma e sbaglia nel trasgredire al sistema valoriale di riferimento, ebbene in questi casi è fondamentale che il legislatore abbia una attenzione alla pena, che deve essere utilizzata non in funzione punitiva, ma in funzione rieducativa, in funzione riabilitativa, @pagina=0039@in funzione di reinserimento sociale, perché questa è la funzione sociale della pena. La funzione sociale della pena non è quella della vendetta di una società nei confronti di un individuo che ha trasgredito le regole di quella società, ma è la funzione del reinserimento dell'individuo con pieni diritti e con piena libertà – e soprattutto con la libertà di non trasgredire nuovamente la norma – all'interno della propria comunità di riferimento.
  Io credo che in questo senso le due Commissioni abbiano lavorato in maniera equilibrata e con buonsenso e nei limiti del contesto dato – perché qualche volta l'ottimo è nemico del buono e bisogna tenerne conto – abbiano fornito al Parlamento, alla Camera che dovrà poi ratificarla o modificarla, una norma che va in questa direzione e che raccoglie sensibilità diffusamente di questo genere che sono presenti nel mondo che si occupa della riabilitazione, del sostegno, della terapia dei soggetti affetti da tossicodipendenza.
  L'ultima considerazione che voglio fare riguarda l'ultimo articolo del provvedimento, quello che attiene più specificamente all'utilizzo dei farmaci off label. La prima delle osservazioni che ovviamente deve essere necessario fare è cosa si intende – non tutti i colleghi parlamentari probabilmente ne hanno piena contezza – per utilizzo off label di un farmaco. Normalmente un farmaco è introdotto nella farmacopea ufficiale del Paese di riferimento per indicazioni che sono specifiche e sono legate alla sperimentazione, ai test clinici e scientifici che su quel farmaco sono stati svolti. In termini ancora più banali, voi sapete che ogni medicinale contiene al suo interno un foglietto che, con termine senz'altro non tecnico e non scientifico, viene definito il bugiardino, il quale al suo interno contiene le indicazioni di utilizzo del farmaco, che sono quelle della farmacopea ufficiale. L'utilizzo off label avviene pertanto su farmaci che sono già in produzione, in commercio, testati scientificamente e clinicamente, di cui si conoscono gli effetti collaterali per le posologie e per i dosaggi per il paziente, i quali vengono utilizzati per indicazioni che non sono quelle previste dall'interno del foglietto che declina le istruzioni di uso e le indicazioni di utilizzo di quel farmaco.
  Per cui, oggi esiste una quantità abbastanza elevata di farmaci per cui esistono delle comprovate evidenze, ancora non totalmente consolidate, che indirizzano a un utilizzo che è estraneo, esterno, rispetto a quello previsto dalla farmacopea ufficiale. Quindi, questo è l'utilizzo off label, che è diventato improvvisamente popolare in Italia per un caso che a tutti quanti voi è noto, che è quello che ha comportato la sanzione da parte dell'Autorità nei confronti delle aziende Roche e Novartis per il farmaco utilizzato per la maculopatia Avastin a confronto con Lucentis.
  Le due Commissioni hanno provveduto a riscrivere, sostanzialmente, con l'accordo del Governo, l'articolo 3 del provvedimento, quello sui farmaci off label, e lo hanno riscritto tenendo presente alcune stelle polari. La prima, che non si dovesse più ripetere in Italia un caso Avastin-Lucentis. Noi crediamo che tale caso non sia la punta di un iceberg, ma sia un caso straordinario, nel senso che non abbiamo nozione di altri eventi simili, che possano essere emergenti con lo stesso profilo e con le stesse problematiche.
  Però, non è possibile escludere che questo possa succedere in futuro. Per cui, la norma che noi proponiamo all'attenzione del Parlamento, perché la licenzi e l'approvi, è una norma che prevede che, ogni qual volta sia presente un farmaco di utilizzo off label che abbia, sostanzialmente, comprovate indicazioni di appropriatezza e indicazioni di economicità, quand'anche fosse presente un farmaco on label con le stesse indicazioni, Aifa può decidere di introdurlo all'interno dell'elenco dei farmaci della legge n. 648 del 1996, che sono prescrivibili a carico del Servizio sanitario nazionale. Questa norma ha come obiettivo quello di sterilizzare ogni possibile rischio del ripetersi in Italia di un caso Avastin-Lucentis.
  Devo dire che la norma contiene anche principi che sostanzialmente comportano che vengano tenuti in considerazione e @pagina=0040@rispettati gli altri due grandi filoni di ragionamento sui farmaci off label. Il primo, che non debba essere consentito l'utilizzo dei farmaci off label in maniera non discriminata, nel senso che le due Commissioni sono perfettamente convinte e coscienti del fatto che l'utilizzo scientifico consentito dei farmaci è quello on label. Quindi, l'utilizzo off label non può che rappresentare un'eccezione rispetto a quello che la comunità scientifica internazionale invita ad avere come stella polare di riferimento, che è, chiaramente, l'utilizzo del farmaco secondo le indicazioni prescrittive che sono considerate appropriate dalla farmacopea ufficiale e che sono contenute all'interno del foglietto illustrativo che è presente come accompagnamento di qualsiasi farmaco e di qualsiasi medicinale in commercio in questo Paese.
  Il secondo, che noi sappiamo che la scienza va veloce e che, soprattutto in pediatria, soprattutto in oncologia, alcuni utilizzi off label vanno consolidandosi e non sono veloci quanto la capacità del mondo scientifico di effettuare i test di sperimentazione clinica che consentano l'introduzione on label. In questi casi, non è possibile pensare di privare il paziente di supporti terapeutici per i quali inizia ad esistere una consolidata convinzione della loro utilità ai fini terapeutici ed è necessario mantenere un sistema agile, che consenta al paziente, sotto la responsabilità del prescrittore, del medico curante, della struttura ospedaliera di riferimento, di poter disporre del farmaco che in quel momento è fondamentale per dargli una speranza di salute, per dargli una speranza terapeutica, per consentirgli di migliorare la propria condizione di paziente.
  Credo che questi siano stati i principi ai quali le due Commissioni si sono attenute durante il loro lavoro, e sono veramente soddisfatto del lavoro che è stato portato in Aula. Un lavoro sicuramente migliorabile, perché tutto è perfettibile, ma è un lavoro che nasce dalla volontà di produrre per l'Aula un testo che fosse coerente rispetto agli obiettivi che le due Commissioni e il Governo si sono posti.

PAGINA: 0009

  MARCO RONDINI (LNA) (Vedi RS), Relatore di minoranza. Svolge la relazione di minoranza sul disegno di legge di conversione in esame.

PAGINA: 0040

  MARCO RONDINI. Relatore di minoranza. Signor Presidente, noi viviamo in un Paese schizofrenico e superficiale, dove si piangono le morti del sabato sera, ma non ci interessa mai veramente cosa le provochi e perché. Così scriveva don Chino Pezzoli, in prima linea da una vita con la sua comunità per recuperare i tossicodipendenti.
  Ebbene, la schizofrenia è la cifra dell'azione di questo Governo, che al suo insediamento annuncia di voler introdurre il reato di omicidio stradale e poi, con un provvedimento come questo, di fatto, depenalizza lo spaccio di droga, ponendosi su quel piano inclinato, pericoloso, che conduce di fatto a una liberalizzazione lieve e soft, come vorrebbero gli informatori di questo provvedimento.
  Presupposto che dopo la sentenza della Corte costituzionale avversa alla legge cosiddetta Fini-Giovanardi si rendeva, come da più parti sollecitato, necessario un intervento legislativo urgente, volto in particolare a ripristinare la composizione delle tabelle che, con il ritorno all'applicazione della legge Jervolino-Vassalli, risultavano incomplete in quanto non aggiornate con il cambiamento delle sostanze stupefacenti entrate successivamente in commercio, gli annunci del Governo ci avevano quasi persuasi che la soluzione non sarebbe stata viziata dal pregiudizio ideologico buonista che pervade i vostri provvedimenti; invece, come al solito, prendiamo atto che di voi è bene fidarsi, ma non fidarsi è meglio.
  La maggioranza mette in atto, con questo decreto, l'ennesimo provvedimento contenente norme tese a provocare gravi danni al sistema della giustizia, ai cittadini onesti e a tutte le forze di Polizia che ogni giorno garantiscono, e ci garantiscono, la sicurezza. In questo senso, noi riteniamo inutile e pericoloso non comprendere la «delusione» che trarrebbero dall'introduzione di queste norme le forze dell'ordine e tutti coloro che garantiscono la sicurezza, @pagina=0041@e nello specifico vedere il reato di spaccio di sostanze stupefacenti che passa da reato che era considerato grave, punito fino a sei anni di reclusione, poi attraverso l'ultimo provvedimento del Governo Monti depenalizzato nel massimo di pena a cinque anni di reclusione, ed ora attraverso la riduzione della pena massima addirittura a quattro anni di reclusione con l'applicazione del nuovo istituto appena coniato della messa alla prova. In questo modo, la maggioranza ha attuato la definitiva depenalizzazione del reato di spaccio di sostanze stupefacenti, di fatto, legalizzandone l'uso e il consumo, siano esse pesanti o leggere.
  Certo, ci dite che questo vale solo per i fatti di lieve entità, ma qui vale la pena di citare la memoria che ci è stata trasmessa dalla comunità di San Patrignano, che ci ricordava e chiedeva di non attuare modifiche legislative che rendano più agevole lo spaccio di droga. È noto a tutti, ci ricordavano, che gli spacciatori sono esperti in materia legale e che modificano le forme di spaccio in funzione delle leggi vigenti, garantendosi spesso l'incolumità nelle loro pratiche criminali. A questo proposito c’è una considerazione da fare: se il piccolo spacciatore – ci ricordavano – di eroina spesso è un tossicodipendente da eroina che la vende per potersi procurare la dose personale, questo non è mai vero per lo spacciatore di cannabis. È fuori da ogni logica pensare che una persona venda hashish per potersi procurare la droga per sé, se lo fa è solo a scopo di lucro. Paradossalmente, troviamo meno giustificazioni per chi vende cannabis che per il piccolo spacciatore di eroina. In sostanza, questo provvedimento agevola lo spaccio, perché di fatto va in quella direzione di depenalizzare il piccolo spaccio che poi, come ci ricordava giustamente chi è intervenuto a rappresentare la comunità di San Patrignano, di fatto non deve e non può essere depenalizzato. Questo provvedimento agevola, alla fine, lo spaccio e chi lucra su questo. In definitiva, è un regalo alla malavita organizzata.
  Inoltre, riteniamo che sia un provvedimento improntato, in prospettiva, a mere finalità di riduzione del numero dei detenuti ristretti nelle carceri italiane, e ciò avviene attraverso due differenti linee, seppur unite da un unico scopo: liberare i delinquenti e lasciare i cittadini privi di ogni tutela. Stiamo assistendo in questi ultimi tre anni alla dismissione dello strumento penale, ossia alla rinuncia dello Stato alla punizione dei crimini, con effetti nei confronti della nostra società sia in tema di credibilità dello Stato, sia in tema di dissuasione a commettere i reati i cui effetti non possono non apparire evidenti a chiunque.
  Passando all'esame del testo del disegno di legge di conversione, da un lato si conferma un divieto di applicare, a chi si macchia del reato di cui all'articolo 73, comma 5, del testo unico in materia di spaccio, e molto spesso consumo, di sostanze stupefacenti e psicotrope, la misura della custodia cautelare in carcere e, nello specifico, attraverso la riduzione della pena massima della reclusione a quattro anni e l'applicazione del nuovo istituto appena coniato della messa alla prova. Tale articolo avrà l'effetto di rimettere in libertà delinquenti che verosimilmente non hanno intrapreso o comunque interrompono un percorso di rieducazione e con l'altissima probabilità che torneranno a delinquere e, quindi, torneranno dietro le sbarre. Questi provvedimenti, da un lato, non aiutano coloro che usano dette sostanze stupefacenti a combattere seriamente la dipendenza e, dall'altro lato, fanno passare un messaggio di resa da parte dello Stato.
  Mai come oggi, mai come in questo contesto, i cittadini chiedono maggiore sicurezza, chiedono maggiori garanzie, chiedono di poter vivere tranquillamente nelle proprie abitazioni e di poter trascorrere serenamente la propria vita. Oggi uno dei reati di maggiore grave allarme sociale, in netto incremento, è quello del furto e, in modo particolare, del furto in abitazione, dello scippo e delle rapina, tutti reati satelliti rispetto al reato di spaccio e assunzione di sostanze stupefacenti, commessi, in genere, proprio al fine di procurarsi la sostanza. La maggioranza, con @pagina=0042@questo provvedimento, affossa e demolisce il principio della sicurezza e incentiva, invece, in questo modo la commissione di questi reati. Quello della sicurezza non è un tema marginale, non è un tema demagogico, e chi cerca di creare un sillogismo tra l'essere dei demagoghi e il ricercare la sicurezza dimostra di non essere in sintonia col Paese e con i cittadini.
  Noi riteniamo convintamente che con questo provvedimento si sovverte l'ordine naturale delle cose e si dà attenzione unicamente ed esclusivamente a tutti coloro che commettono i reati, cioè agli imputati, mentre si lascia senza tutela la persona offesa dal reato e i cittadini tutti, mentre noi riteniamo che l'attenzione debba essere riversata solo ed unicamente su chi i reati li subisce.
  Non abbiamo letto nella relazione di maggioranza e non abbiamo sentito dalle forze politiche di maggioranza che appoggiano e sostengono questo provvedimento una parola, una sola parola, spesa per le vittime dei reati, per le persone offese dai reati e per la sicurezza del nostro Stato, del nostro Paese. Questa minoranza, cioè noi, invece contrasta questo provvedimento proprio per dare voce e sostegno alle persone offese dal reato e alla stragrande maggioranza dei cittadini onesti.
  Per noi, il problema della tossicodipendenza e dei reati ad essa legati è un tema importante che non può essere affrontato, come fa questa maggioranza, con lo slogan: “le droghe non provocano danni a chi le assume e le droghe non arricchiscono la mafia. È evidente, invece, che non possiamo sostenere provvedimenti come questo, e, in particolare, le norme introdotte con l'articolo 1, che riteniamo vadano contro la dignità delle persone, contro la dignità delle persone offese, contro la dignità di coloro i quali i reati li subiscono.
  Come è risaputo, la recente sentenza della Corte costituzionale che ha bocciato la cosiddetta legge Fini-Giovanardi in materia di stupefacenti ha determinato un vuoto normativo, come dicevo prima. Occorre rimarcare, però, che tale sentenza è basata sull'accertamento di un vizio meramente procedurale della citata legge, non entrando, quindi, nel merito della stessa. Tale concetto è riportato nella premessa al decreto-legge in esame, dove si sostiene che la pronuncia di incostituzionalità è fondata sul ravvisato vizio procedurale dovuto all'assenza dell'omogeneità e del necessario legame logico-giuridico tra le originarie disposizioni del decreto-legge e quelle introdotte dalla legge di conversione e non già sulla illegittimità sostanziale delle norme oggetto della pronuncia, il che non contribuisce a far comprendere la ragione dello stravolgimento delle previsioni esistenti se non la vittoria di ideologie dannose.
  A tal proposito, occorre rimarcare come uno degli elementi più problematici conseguenti alla sentenza dell'Alta Corte è la decadenza del principio di equiparazione tra le droghe cosiddette leggere e le droghe pesanti. Come rimarcato nel corso delle audizioni svolte in Commissione, non esistono droghe leggere e pesanti, non esiste una differenza tra droghe leggere e pesanti. Nel provvedimento in esame appare evidente come la demagogia politica abbia vinto la battaglia attraverso la reintroduzione della superata e dannosa distinzione tra droghe cosiddette leggere e droghe pesanti. L'esperienza dei centri di recupero e delle comunità conferma che il fumo o l'ingestione di queste sostanze, soprattutto fra gli adolescenti, con cervello ancora non completamente formato, può provocare danni dimostrati dalla scienza, che possono portare anche, in soggetti fragili, al calo del rendimento scolastico e, in alcuni casi, a problemi mentali seri, ai confini con la psicosi e la schizofrenia.
  Ebbene, per tutte queste ragioni che abbiamo citato e per altre che magari ci riserviamo di consegnare con il testo delle nostre riflessioni, rimaniamo critici e insoddisfatti dell'impostazione del disegno di legge di conversione del decreto-legge all'esame e quale minoranza, sin d'ora, indichiamo il nostro voto contrario al vostro provvedimento e diamo comunicazione di aver presentato un testo alternativo.
  Chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della @pagina=0043@seduta odierna del testo integrale della relazione (La Presidenza lo consente sulla base dei criteri costantemente seguiti).

PAGINA: 0009

  PRESIDENTE (Vedi RS). Prende atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in replica.

PAGINA: 0043

  PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
  È iscritto a parlare il deputato Filippo Fossati. Ne ha facoltà.

PAGINA: 0010

  Interviene nella discussione sulle linee generali il deputato FILIPPO FOSSATI (PD) (Vedi RS).

PAGINA: 0043

  FILIPPO FOSSATI. Signor Presidente, è vero che abbiamo affrontato questa discussione molto importante con un dibattito molto ampio e articolato nelle Commissioni riunite a partire dalla sentenza della Corte costituzionale, ed è vero, come hanno fatto rilevare i relatori, che la sentenza dichiara l'illegittimità costituzionale degli articoli del decreto-legge n. 272 del 2005 per difetto di omogeneità e di nesso funzionale tra il decreto-legge e la legge di conversione, che introdusse gli elementi che poi sono stati alla base della discussione. Si ritiene – ed è abbastanza ovvio e giusto farlo – che, quindi, si tratti di una sentenza che interviene su motivi formali.
  E, se questo è vero, è vero anche che la fotografia che la sentenza fa è una fotografia impietosa di un episodio parlamentare non edificante. Se ricordo bene, in sede di conversione furono inseriti gli elementi che poi la Corte ha caducato in un decreto che parlava del finanziamento alle Olimpiadi invernali di Torino. Se si potesse fare una battuta un po’ macabra, forse c'entrava la neve, ma non di più, rispetto a quel tipo di intervento.
  Quindi, la Corte fa un rilievo di metodo, ma nello stesso momento scatta una fotografia impietosa rispetto a un comportamento che fu tenuto dalla maggioranza parlamentare in quella fase, che strappò anche rispetto ai tempi, alle modalità del dibattito, volendo inserire un principio – io ritengo e molti commentatori nel dibattito che si è sviluppato negli anni successivi, anche tra gli operatori che hanno a che fare tutti i giorni con i problemi legati alle tossicodipendenza, ritengono –, volendo imporre in quel momento, con quella forma e con quello strappo una sorta di filosofia. E la filosofia era quella della punibilità a prescindere e del giudizio morale, che, quindi, ne doveva seguire, di tutte le droghe, anzi, come spesso usavano fare i principali sostenitori e creatori di quegli interventi, parlando al singolare, cioè parlando di «droga», assolutizzando con questa parola quello che è, invece, un universo di sostanze e di comportamenti e dando un giudizio di indegnità morale a chiunque avrebbe avuto a che fare in generale con questa ipotesi di sostanza virtuale e naturalmente assicurandone la punibilità dura, intervenendo cioè con un aumento della pena e, in alcuni passaggi che poi vedremo, anche con un atteggiamento vicino all'essere persecutorio.
  Questo fu il clima nelle settimane successive – chi si ricorda, tra i colleghi amatori dell'argomento – alla conversione del decreto, quindi con il dispiegarsi della Fini-Giovanardi, con una serie di azioni dimostrative in giro per il Paese, che portarono i cani antidroga nelle scuole, con grande spiegamento di mezzi, direttori didattici preoccupati, genitori allarmati e quant'altro, con risultati devo dire molto scarsi dal punto di vista dei ritrovamenti nelle scuole del Paese, ma con un allarme sociale che, invece di essere limitato dalla legge e contrastato dalla stessa legge, fu portato al massimo effetto ed alla massima rilevanza. Questo fu.
  Con le settimane passò l'entusiasmo, i cani antidroga tornarono dalle scuole ai loro luoghi più consoni e cominciò a profilarsi, immediatamente dopo – e così poi con i dati, nel corso degli anni, è stato possibile anche verificarlo scientificamente e puntualmente, il fallimento di questa impostazione, fallimento dato dall'aumento di alcuni indicatori: l'aumento della permanenza in carcere per reati connessi allo spaccio anche di lieve entità di sostanze stupefacenti e – qui siamo alle stime, costruite sulla base dei dati dei servizi delle tossicodipendenze del Paese –, l'aumento del consumo delle sostanze, soprattutto delle droghe leggere, in generale nel territorio nazionale, nelle varie fasce d'età, a partire dai minori.

PAGINA: 0010

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SIMONE BALDELLI
INDI
DEL VICEPRESIDENTE MARINA SERENI

PAGINA: 0010

  Intervengono altresì nella discussione sulle linee generali i deputati DANIELE FARINA (SEL) (Vedi RS), EUGENIA ROCCELLA (NCD) (Vedi RS), FABIO RAMPELLI (FdI-AN) (Vedi RS), GIAN LUIGI GIGLI (PI) (Vedi RS), GIULIA GRILLO (M5S) (Vedi RS), MARIA VALENTINA VEZZALI (SCpI) (Vedi RS), LUCA D'ALESSANDRO (FI-PdL) (Vedi RS), MICHELA ROSTAN (PD) (Vedi RS), MARISA NICCHI (SEL) (Vedi RS), GIOVANNI MONCHIERO (SCpI) (Vedi RS), TANCREDI TURCO (M5S) (Vedi RS) e PAOLA BINETTI (PI) (Vedi RS).

PAGINA: 0047

  DANIELE FARINA. Signor Presidente, colleghi, membri del Governo, fin dalle nostre prime battute chi avesse l'avventura di ascoltarci ha capito che in questo decreto-legge ne vivono due: uno riguarda, parla la lingua delle droghe al plurale, e l'altro quella dei farmaci. A me per competenza spetta il primo versante, dunque le droghe.
  Questo decreto-legge è al tempo stesso una tragedia evitata ma anche un'occasione mancata. La tragedia, vediamo prima la tragedia.
  Abbiamo visto il testo che il Ministro Lorenzin ha portato in Consiglio dei ministri, l'abbiamo letto con attenzione. Era un maldestro tentativo di far rivivere la norma dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 32 del 2014, più volte richiamata. Si tentava di far rivivere uno sventurato testo del 2006 meglio noto come «legge Fini-Giovanardi»: una legge ideologica e fallimentare, che ha prodotto migliaia di morti, carcere ed enormi costi economici e sociali. Al punto che al relatore di minoranza, che ha posto la sua attenzione sulla sicurezza dei cittadini, si potrebbe rispondere che proprio quella legge ha dato un colpo mortale a quella sicurezza dei cittadini che si vorrebbe difendere a parole, ma che si è in realtà seppellita nei fatti.
  Le vittime dei reati sono vittime di quella legge innanzitutto, che si affiancano ad altre migliaia di vittime, migliaia, che sono state l'oggetto diretto di intervento di quella normativa. E dunque ci sarebbe da chiedere, se non quella, la riforma della legge Fini-Giovanardi, qual era il motivo di particolare urgenza del provvedimento del Ministro Lorenzin. Perché, insomma, un decreto-legge ?
  A detta del Ministro era la necessità di ritabellare alcune centinaia di sostanze che dopo la sentenza della Corte erano diventate, diciamo, libere e sciolte. Un atto amministrativo, chiosava; io dico, noi diciamo: una truffa al Paese. Perché le tabelle, caro Ministro Lorenzin – le giunga questa eco attraverso la Presidenza della Camera e attraverso i membri del Governo –, non sono un allegato marginale del Testo unico sulle sostanze stupefacenti, sono il cuore del Testo unico ! Sono il luogo dove lo Stato definisce ciò che è illecito e ciò che è lecito, e a cui indirettamente associa delle soglie penalistiche; e sono molto diverse quelle oggi in vigore da quelle previste da legge Fini-Giovanardi, almeno per le sostanze tornate ad essere ritabellate in tabella 2, la cannabis e suoi derivati.
  Quindi, Lorenzin ha tentato di far rivivere attraverso le tabelle, la abnormità sanzionatoria della Fini-Giovanardi riproponendo @pagina=0048@l'assurdità scientifica e logica che tutte le droghe sono uguali, non si declinano ma si definiscono soltanto al singolare, hanno pari pericolosità e dunque devono essere parimenti sanzionate. Il tentativo è fallito ed ecco qui perché parliamo di tragedia scampata. E per avere un'idea del pericolo che abbiamo corso basta guardare i risultati degli anni di vigenza di quella infausta legge.
  L'urgenza semmai che abbiamo visto in Commissione, non erano quelle sostanze, 500 non più tabellate che erano state dichiarate, di cui noi non abbiamo assolutamente parlato; non abbiamo proprio neanche sfiorato il tema delle 500 sostanze, ma abbiamo parlato nei lavori delle due Commissioni riunite di una ed una sola sostanza, di una ed una sola pianta che peraltro, sorpresa, era già perfettamente tabellata.
  E, allora, sulla base di questo, sorge un problema perché nelle audizioni – la Commissione giustizia aveva già avuto quell'avventura ma è stato giusto che le altre Commissioni del Parlamento, della Camera dei deputati si assoggettassero a questo atto della fede – si è potuto assistere alla sfilata di un mondo pseudo-scientifico che è cresciuto dentro e ai margini del Dipartimento nazionale delle politiche antidroga. Poche eccezioni di serietà dentro un fiume di argomentazioni dalla più che dubbia validità scientifica che va classificato come ennesimo tentativo di truffa al Parlamento. Perché qui, colleghi, c’è un tema che forse dovremo discutere: il fatto che il rapporto annuale che è stato fornito al Parlamento della Repubblica in materia è certamente fuorviante. Cioè, sostanzialmente, al Parlamento della Repubblica per anni sono stati forniti dati, se non falsi, ampiamente addomesticati. E nella ridefinizione dei compiti di questo organismo, il Dipartimento, nato dalla legge Fini-Giovanardi e istituito nel 2008, l'attendibilità dei dati scientifici e statistici è un fatto fondamentale perché permette al legislatore di non essere cieco rispetto a quei fenomeni dinamici che il consumo e il mercato delle sostanze stupefacenti illecite ha e di cui parlava anche il collega del Partito Democratico che mi ha preceduto: il buon legislatore non può essere cieco. E, invece, abbiamo purtroppo notato che queste cattive abitudini che quella legge del 2006 ha introdotto hanno avuto per anni una lunga e, penso, molto negativa vita.
  Ed è anche il motivo per cui l'Italia, che aveva delle buone eccellenze in materia, oggi è considerata in sede europea – e anche, possiamo dirlo, in sede mondiale – poco seriamente su questo terreno perché la validità, la serietà della ricerca scientifica che viene fatta nel Paese e presentata a livello internazionale suscita sorrisi, suscita ilarità. A me è toccato a Bruxelles di dover osservare quel tipo di atteggiamento di altri Paesi europei, di altre comunità scientifiche e io credo che anche questo dovrebbe entrare a far parte della nostra riflessione.
  Oggi siamo di fronte, quindi, ad una tragedia scampata e a una occasione mancata. Vediamo un po’ cosa poteva essere questa occasione mancata.
  Il mondo sta cambiando ed è anche il motivo per cui oggi ci interroghiamo su queste vicende. Perché, se il mondo non fosse cambiato, è probabile che non ne avremmo parlato in quest'Aula e non avremmo avuto altre occasioni; forse non ci sarebbe stata neanche la sentenza della Corte costituzionale.
  Il mondo sta cambiando e sta gradualmente dismettendo, con la giusta lentezza di qualcosa che è durato settanta-ottant'anni, quelle politiche che hanno dimostrato di non funzionare forse anche perché basate su assunti non veritieri.
  Le politiche della guerra alla droga validate su scala globale dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1998 non hanno funzionato, non hanno raggiunto nessuno degli obiettivi che dichiaravano, né sul versante della riduzione dell'offerta, né su quello della domanda. Anzi, quelle politiche si sono dimostrate le migliori alleate dell'organizzazione del narcotraffico di ogni sorta e colore, le hanno aiutate e dilatate in ogni parte del globo, e l’ Italia è un esempio ben calzante di questa situazione.@pagina=0049@
  Alcuni Governi, alcune classi politiche lucide e coraggiose si sono assunte la responsabilità di dare forma a questo cambiamento; dal Colorado all'Uruguay, la strada in quel senso sarà lunga ma certamente è tracciata.
  Qui è mancata la lucidità e ancor più il coraggio, neppure quello – che da solo avrebbe motivato un provvedimento in forma di decreto, quell'urgenza – di un indirizzo agli uffici giudiziari nei confronti dei condannati definitivi – migliaia – in base alla normativa dichiarata incostituzionale dalla Corte. Neanche quello.
  Ancora una volta la magistratura, in questo caso la Corte di cassazione, si dice agirà in supplenza della politica, ma mancando anche solo questo corpo grosso di questione, figuriamoci il resto.
  In questo provvedimento non c’è traccia, nonostante i nostri sforzi, di quei frammenti di buonsenso sulla coltivazione ad uso personale che venivano ricordati – stiamo parlando della cannabis – o del venir meno di quelle sanzioni amministrative che rappresentano oggi più uno strumento di tortura che uno strumento di dissuasione e prevenzione.
  Allora, il coraggio e la lucidità fuggono conserti e il capolavoro di questo provvedimento sta nel comma 5 dell'articolo 73, dove un accordo politico di maggioranza, pur di non differenziare le sostanze e di ammetterne la differenza in un testo di legge – come peraltro c’è, dopo la sentenza della Corte – preferiscono addivenire a sanzioni dal punto di vista penale uniformi per tutte le sostanze, alla faccia della loro pericolosità. E non credo proprio – l'ho già detto nei lavori di Commissione – che basterà il complesso delle condotte, di cui i fatti di lieve entità, per evitare a quel comma, nel tempo che ci vorrà, un ulteriore giudizio di costituzionalità.
  Quindi, in sintesi, poco bene e parecchio male è il giudizio di Sinistra Ecologia Libertà su questo testo. Ci daremo però da fare per cambiarlo, ma – qui vengo al punto – si dice che il Governo porrà su questo provvedimento lunedì la questione di fiducia: io penso che sarebbe un errore perché si sottrarrebbe al Parlamento la possibilità di discutere nel merito, magari di far aprire gli occhi anche a una parte di colleghi che siedono in quest'Aula e che le informazioni le hanno ricevute attraverso quelle relazioni annuali e attraverso le notizie di stampa su cui l'imprecisione regna sovrana, e magari anche il Paese potrebbe avere occasione di riflettere sull'inganno che abbiamo attraversato (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

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  EUGENIA ROCCELLA. Signor Presidente, il dibattito che abbiamo svolto sulla conversione in legge di questo decreto, che ha impegnato la Commissione affari sociali e la Commissione giustizia, non è stato indolore. Resta evidente che, nell'ambito stesso della maggioranza, su un tema come questo si confrontano visioni molto diverse, tradizionalmente diverse, che stentano a trovare punti di convergenza e di sintesi, anche se vorrei ricordare a chi mi ha preceduta che il decreto non è il decreto «Lorenzin», è il decreto «Renzi, Lorenzin, Orlando», visto che il Ministro della giustizia certamente è entrato nella compilazione del testo.
  Altrimenti, peraltro, non ci sarebbe entrata nemmeno la Commissione giustizia e avremmo potuto liquidare e svolgere il nostro dibattito esclusivamente in Commissione affari sociali.
  Io penso che in questa sede però possiamo non entrare nel dettaglio della legge – una legge che personalmente ritengo abbia luci e ombre, come è ovvio che sia, visto che è obiettivamente frutto di una mediazione – e possiamo allargare un pochino il dibattito e cercare quello che comunque c’è, secondo me, dietro questo testo, cioè un insieme di valori condivisi, che non emergono in modo esplicito e non sono emersi magari molto chiaramente in una discussione in Commissione, che è stata una discussione un po’ contratta, ma che vale la pena di sottolineare; anche perché la nostra strana maggioranza dovrebbe @pagina=0050@avere anche questo effetto collaterale, cioè contribuire a diminuire il tasso di ideologizzazione delle discussioni, che trasforma velocemente l'interlocutore nel nemico politico e consentire di scoprire un terreno di confronto possibile, un terreno di confronto magari duro, ma possibile.
  Il primo valore che mi sembra unire tutti è la tutela della vita e della salute, considerate come bene primario della persona. Nel titolo, la legge parla di prevenzione, cura e riabilitazione e questa è l'angolazione prioritaria per affrontare il problema delle tossicodipendenze, e dell'uso di stupefacenti e delle sostanze psicotrope. L'ottica prevalente con la quale abbiamo voluto affrontare il problema delle droghe è quella sanitaria e non sottovalutiamo affatto le questioni di sicurezza e legalità, il controllo del narcotraffico, l'efficacia degli strumenti repressivi, l'adeguatezza delle sanzioni, tutte cose che appunto teniamo assolutamente nel dovuto conto, ma prima pensiamo venga la tutela della salute.
  Vogliamo dire al collega Rondini, che non vedo più, che abbiamo la massima attenzione per le vittime, per tutte le vittime, e certamente anche i tossicodipendenti sono vittime quasi sempre.
  La domanda che ci poniamo tutti è come evitare lo spreco di vite, di giovinezza e di potenzialità che la tossicodipendenza comporta e non credo sia una domanda retorica, ma veramente una domanda che unisce. Comporta uno spreco in modo diretto, attraverso il deterioramento delle condizioni psicofisiche delle persone, oppure indiretto, attraverso la marginalità sociale e gli effetti che questa marginalità produce.
  L'altra questione che penso sia all'attenzione di tutti è quella dell'emergenza educativa. Questo per me è il punto più urgente e più delicato, che esigerebbe veramente un'alleanza trasversale e un assoluto pragmatismo: se la definizione di emergenza educativa è segnata in senso cattolico, il problema però è riconosciuto da tutti. Mi hanno colpito recentemente alcune inchieste de il Fatto Quotidiano sugli adolescenti, che nelle analisi e nelle considerazioni erano del tutto simili ad altre pubblicate su riviste e pubblicazioni di stampo completamente diverso e sarebbero potute benissimo essere pubblicate su Famiglia Cristiana.
  Se i cattolici hanno coniato il termine di «emergenza educativa», altri hanno parlato di «deserto di insensatezza» – penso anche a un filosofo come Galimberti – a un disagio non psicologico, ma culturale vissuto dalle nuove generazioni. Dare il senso vuol dire saper assegnare un nome alle cose, cioè alle proprie esperienze e relazioni, essere in grado di riconoscerle e giudicarle e, di conseguenza, poter orientare la propria vita secondo un progetto esistenziale.
  Il legislatore non è un educatore – il collega Fossati ha evocato lo stato etico, ma non è assolutamente il caso, evidentemente – però le norme producono orientamento, stabilendo i limiti, definendo non solo le regole della convivenza, ma il quadro culturale della comunità a cui apparteniamo. Questa funzione della legge, quando parliamo di droghe, è decisiva.
  Non sono soltanto le diverse sostanze psicotrope che dobbiamo combattere, classificandole secondo un ordine tecnico di maggiore o minore danno, ma una cultura che si diffonde in modo marcato tra gli adolescenti, la cultura dello sballo, della realizzazione immediata del desiderio legata all'irresponsabilità verso gli altri e verso se stessi e alla tendenza ai comportamenti a rischio.
  Abbiamo, quindi, una responsabilità di cui credo siamo perfettamente consapevoli, soprattutto considerando i dati molto preoccupanti sull'uso di sostanze tra i più giovani, in particolare sulla diffusione, di cui abbiamo parlato, della cannabis, che ormai si può reperire con nuove modalità, da Internet alla coltivazione domestica. Bisogna poi considerare gli stili di vita che si vanno affermando in Europa e nel mondo occidentale. Sempre il collega Fossati ha ricordato il binge drinking, contro cui c’è stato un insieme di progetti messi @pagina=0051@in campo che, devo dire, per esempio in Inghilterra sono riusciti ad arginare la situazione.
  C’è un'obiezione comune che è spesso sollevata, cioè che non è solo l'assunzione di stupefacenti che produce danni alla salute e dipendenza: perché, allora, non si ha lo stesso atteggiamento nei confronti dell'alcool o del tabacco o del gioco d'azzardo ? È evidente che per ognuno di questi fenomeni va fatto un discorso specifico, a partire dalle statistiche che abbiamo a disposizione, e dai diversi effetti sull'individuo e sulla collettività. Ma anche laddove ci fossero politiche contraddittorie, come accade per il gioco o per il tabacco, le nostre responsabilità di legislatori non cambierebbero; anzi, un'impostazione chiara sulla questione che ci troviamo a discutere oggi, sulla droga, aiuterebbe senz'altro ad affrontare le altre forme di dipendenza o di comportamenti a rischio con maggiore coerenza.
  Le numerose audizioni svolte in Commissione hanno fornito informazioni ed elementi di giudizio che non possono essere ignorati, perché vengono da autorevoli esponenti del mondo scientifico e da chi ha un'esperienza maturata in decenni di lavoro sul campo. Il contributo degli esperti è stato essenziale per arrivare al testo che abbiamo approvato. Da una parte, è stata confermata in realtà l'inutilità, anzi il danno, di una pena detentiva che non sia fortemente indirizzata al recupero, in una situazione di fragilità come spesso quella del piccolo spacciatore, che è quasi sempre un consumatore; dall'altra, è stata fortemente messa in discussione la vecchia distinzione fra droghe pesanti e leggere, che peraltro in molti Paesi europei non è mai stata recepita a livello legislativo.
  Secondo quasi tutti gli studiosi che abbiamo audito, la valutazione va fatta non solo sulla sostanza ma sul soggetto che l'assume e questo mi sembra molto ragionevole, perché questo principio vale anche per i farmaci, per esempio. Da una parte, c’è il livello di tossicità di una sostanza, la capacità di indurre dipendenza e di produrre effetti transitori o permanenti; ma, dall'altra, c’è la diversa vulnerabilità individuale di chi l'assume, vulnerabilità fisica e psicologica, un fattore incerto, difficile da valutare, ma che va considerato. La vulnerabilità degli adolescenti, la possibilità che si producano alterazioni o danni cerebrali attraverso l'uso della cannabis è un elemento di grave rischio, che non si può sottovalutare e che dobbiamo prendere in considerazione.
  Anch'io mi auguro che il testo prodotto per l'Aula possa ancora migliorare, perché vorrei arrivare a una legge che tenga conto di queste informazioni e che si basi sul principio di precauzione.

PAGINA: 0051

  FABIO RAMPELLI. Signor Presidente, colleghi deputati, rappresentante del Governo, nel 1990 l'approvazione della legge n. 162, la cosiddetta legge Vassalli-Russo-Iervolino, dal nome dei Ministri dell'epoca, ribaltando la logica precedente proponeva delle norme che guardavano con sfavore non soltanto al traffico e allo spaccio, ma anche all'assunzione di stupefacenti, che era sanzionata sul piano amministrativo. Anche la detenzione di droga incontrava solo la sanzione amministrativa quando non superava i limiti della dose media giornaliera, che erano stati fissati da un decreto ministeriale. Oltre quei limiti interveniva con gradualità la sanzione penale.
  Parliamo del 1990. Il consumatore di droga non era più ritenuto un semplice ammalato, ma un soggetto che, pur avendo bisogno di cure, compiva una scelta che lo Stato non apprezzava. Lo Stato, tuttavia, tendeva la mano a colui che sbagliava, comprendendo che dietro quell'errore vi è una serie di tragedie personali e di problemi, e permetteva all'assuntore di droga di andare esente dalla sanzione amministrativa o penale a condizione di abbandonare la droga e di seguire un percorso di recupero.
  Non è vero che quella legge ha mandato più drogati in carcere. La maggior parte dei tossicodipendenti che nel suo @pagina=0052@vigore sono finiti in carcere ci sono andati, come accade adesso, perché avevano compiuto rapine, furti o estorsioni, motivati dalla necessità di procurare per sé la droga o perché spacciavano o detenevano quantitativi significativi di stupefacenti.
  E, anzi, quella legislazione aveva introdotto vie privilegiate di allontanamento dal circuito penitenziario se il tossicodipendente decideva di sottoporsi al percorso di recupero. Gli effetti positivi che la Vassalli-Russo Jervolino cominciava a produrre – diminuzione dei decessi di droga, incremento degli ingressi nelle comunità, il sequestro di quantitativi sempre più consistenti di stupefacenti – sono stati frenati dal referendum promosso e vinto dai Radicali nel 1993. Dopo quel referendum è rimasta illecita soltanto l'attività di spaccio che sia stata accertata in quanto tale. A partire dal referendum e fino al 2006 anche la detenzione di quantitativi importanti di stupefacenti che non fosse accompagnata da gesti univoci di cessione a terzi era penalmente irrilevante. In questi termini si era orientata la giurisprudenza, che era giunta a ritenere non punibile la detenzione di decine di grammi di eroina e pertanto la cessione finalizzata al consumo di gruppo. Il quadro normativo era diventato al tempo stesso lassista e inutilmente rigorista. Lassista nel momento del contatto con la droga da parte del potenziale consumatore: senza la prova della predisposizione per lo spaccio non vi era alcun limite di illiceità per la detenzione. Inutilmente rigorista nel momento del recupero: in più casi il tossicodipendente che completava positivamente il suo percorso era costretto a tornare in carcere, pur in presenza di reati non gravi e pur avendo cancellato l'impulso a drogarsi che lo aveva portato a commettere reati, vanificando così gli sforzi per il recupero.
  La riforma approvata all'inizio del 2006, conosciuta come Fini-Giovanardi, puntava a superare questo insieme di problemi. Era introdotto un nuovo sistema di catalogazione in tabelle delle sostanze stupefacenti e venivano snelliti i meccanismi di completamento e di aggiornamento delle tabelle medesime. Le tabelle erano ridotte a due: nella prima erano elencati tutti gli stupefacenti senza distinzione tra droghe leggere e pesanti, nella seconda, a sua volta suddivisa in cinque sezioni, erano inclusi i medicinali contenenti sostanze droganti. Il nuovo sistema sanzionatorio amministrativo e penale puntava a coniugare tre termini, ciascuno dei quali collegato agli altri due: prevenzione, repressione, recupero, partendo dal presupposto che drogarsi non è un innocuo esercizio di libertà, ma è un atto di rifiuto dei più elementari doveri del singolo nei confronti delle diverse comunità nelle quali concretamente vive ed opera. Era reintrodotta la punizione della detenzione di droga e fissato il confine tra la detenzione che rappresenta illecito amministrativo e la detenzione che costituisce illecito penale. Il confine non è più la modica quantità e cioè un dato soggettivo riferito alla persona del tossicodipendente e quindi arbitrario né la dose media giornaliera, bensì una tabella quantitativa per sostanza del tutto oggettiva. Oltre il limite che la tabella indica per ogni sostanza stupefacente vi è una presunzione di pericolosità anche nella detenzione. Se la droga detenuta oltrepassa quel limite, operano le sanzioni penali, se è al di sotto di quel limite operano le sanzioni amministrative: sospensione della patente di guida, del porto d'armi, del passaporto, del permesso di soggiorno per motivi turistici e fermo amministrativo del ciclomotore in uso.
  Con la nuova legge le sanzioni penali oltre il limite oggettivo di cui si è detto seguivano criteri di gradualità: per chi commette un fatto di lieve entità si introduceva una misura del tutto nuova qualora il soggetto non intenda affrontare un percorso di recupero e abbia già fruito della sospensione della pena. Invece di andare in carcere, se lo richiede, egli può svolgere un lavoro di pubblica utilità per l'intera durata della pena detentiva irrogata. Quindi è vero che nella fase di avvicinamento alla sostanza vi è un richiamo a maggiore responsabilità, ma a differenza di ciò che si continua a leggere sui giornali, nell'intera legge non si trova @pagina=0053@una sola norma che spedisca in carcere chi fuma uno spinello. Confermando disposizioni esistenti che venivano rese più adeguate alla gravità dei delitti commessi, il recupero era favorito già dal momento in cui era disposta la custodia cautelare in carcere. Questa poteva essere evitata infatti andando agli arresti domiciliari e iniziando, a determinate condizioni, un programma terapeutico. Per avere maggiori chance di affrontare quest'ultimo era ampliata la possibilità di sospendere l'esecuzione della pena detentiva definitiva. Mentre prima il limite di pena che consentiva la sospensione era di quattro anni di reclusione, il nuovo limite era elevato a sei anni di reclusione, e così una fascia più estesa di tossicodipendenti si era potuta inserire in percorsi riabilitativi.
  Nel mese di febbraio, tuttavia, la Corte costituzionale ha emesso la sentenza che ha dichiarato illegittime le norme della Fini-Giovanardi che equiparavano le droghe pesanti a quelle leggere e le disposizioni a essa collegate. La Corte ha ravvisato il contrasto con la Costituzione non in ragioni di merito, bensì in un vizio formale, poiché la riforma del 2006 è stata inserita nell'ordinamento con la conversione in legge di un decreto-legge del Governo riguardante altra materia. I giudici costituzionali hanno constatato eterogeneità tra la versione originaria del decreto-legge e quanto introdotto durante la conversione, questo il punto. Il Governo è stato quindi costretto a varare un decreto-legge, il n. 36 del 20 marzo, per far fronte alle incertezze interpretative conseguenti a tale sentenza, e, se la Corte ha cassato una parte della legge del 2006 per disomogeneità di materia, logica avrebbe voluto il ripristino della normativa in vigore al momento della pubblicazione della sua decisione, e quindi un decreto-legge che riportasse esattamente alle disposizioni del 2006. Farlo con un atto legislativo autonomo avrebbe sanato il vizio formale individuato dalla Corte. In effetti, larga parte del decreto-legge segue in modo analitico tale impostazione, con due eccezioni e una possibile sorpresa. La prima è la reintroduzione della distinzione tra droghe leggere e pesanti: rispetto all'originaria unica tabella delle sostanze stupefacenti il decreto-legge torna a quattro tabelle, più una tabella dei medicinali, e considera in modo distinto la cannabis e i suoi derivati, che vanno a finire nella seconda tabella.
  La seconda eccezione riguarda il trattamento sanzionatorio: per l'effetto combinato del nuovo decreto e della sentenza della Consulta rivive il regime delle sanzioni della Vassalli-Russo Jervolino, e quindi le pene per la detenzione in quantità significativa, lo spaccio e il traffico della cannabis e dei suoi derivati sono notevolmente ridotte.
  La possibile sorpresa è che, con gli attuali numeri e sensibilità del Parlamento, nulla esclude il colpo di mano, come si era provato a gennaio, al momento della discussione del decreto «svuotacarceri», di chi, non accontentandosi della riduzione di pena, punta alla depenalizzazione delle droghe qualificate leggere.
  Tre mesi fa il tentativo non andò a buon fine perché la materia venne ritenuta estranea al decreto allora in discussione; oggi questa preclusione formale non esiste. I media hanno, anzi, informato di una discussione nel Consiglio dei ministri, al momento del varo del decreto-legge, tra il Ministro della salute Lorenzin, che puntava a un ripristino integrale della legge del 2006, e il Ministro della giustizia Orlando, che si è, invece, opposto; il che tranquillizza ancora meno su quanto potrà accadere in Parlamento, con i numeri attuali e con l'assenza di una posizione univoca del Governo.
  Nel corso dell'esame del provvedimento in Commissione, sono state svolte numerose audizioni, tra le quali merita un'attenzione particolare quella del professor Serpelloni, capo del Dipartimento delle politiche antidroga della Presidenza del Consiglio, che ha anche depositato agli atti un'interessante relazione, dalla quale vorrei estrarre le parti più significative. Quella sulla cannabis droga «leggera»: il principio attivo della cannabis – è scritto – è, come noto, il delta-9-tetraidrocannabinolo (THC). Fino alla fine degli anni @pagina=0054@Novanta, il THC che si riscontrava nella cannabis e nei derivati sequestrati dalle forze di polizia non oltrepassava il tasso prodotto spontaneamente dalla pianta naturale, il cui limite massimo era del 2,5 per cento. La percentuale di THC rilevata nel quadriennio 2010-2013 è giunta a una media del 16,8 per cento quanto al materiale vegetale (inflorescenze e foglie) e del 26,6 per cento quanto ai derivati (resine e oli), con punte massime del 60,6 per cento (25 volte il massimo della percentuale di 15 anni fa) ! Ciò è stato possibile grazie alla coltivazione intensiva e a manipolazioni fito-produttive, che hanno concentrato il principio attivo e alterato le caratteristiche della pianta. Come si fa a dire che un derivato della cannabis col 25 per cento di THC è droga «leggera» ? Come si fa a parificarla a una canna con il 2 per cento di THC di tanto tempo fa ? Ogni persona in buona salute è in grado di reggere un boccale di birra di 0,4 litri con il 5 per cento di gradazione alcolica, ma nessuna persona in buona salute regge 0,4 litri di grappa al 42 per cento di gradazione alcolica.
  La quantità di liquido è eguale, la quantità dell'alcool è differente. Se ciò è evidente per l'alcool, perché non dovrebbe esserlo per la cannabis ? Come escludere il profilo qualitativo dalla qualifica di «leggerezza» e dalle conseguenze sanzionatorie da essa derivanti ?
  Punto secondo: la cannabis è una droga innocua ? Si dice, sempre in questa relazione, 2011 – ultimi dati disponibili – che i ricoveri ospedalieri causati da intossicazione da droga hanno fatto registrare un 16 per cento dovuto alla cannabis, a fronte di un 60 per cento da oppiacei, in prevalenza eroina. Nello stesso anno però i minori ricoverati perché intossicati dalla cannabis sono stati il 44,2 per cento. Il che vuol dire che, con l'attuale percentuale media di THC, la cannabis fa male al punto da mandare in ospedale, e fa più male ai più giovani, che sono coloro che ne fanno maggiore uso; 290 mila ragazzi fra i 15 e i 17 anni hanno assunto, almeno una volta, sostanza stupefacente negli ultimi dodici mesi, e per il 71,2 per cento di essi si è trattato di cannabis. Il dato italiano è in linea col trend europeo, che, rispetto al totale di ricoveri per intossicazione da droga, ha fatto registrare un 22 per cento di ricoveri per intossicazione da cannabis. Se la cannabis fa così male, soprattutto ai minori, è il caso di facilitarne la diffusione diminuendo le sanzioni previste per chi la spaccia e la traffica ? Domanda retorica.
  Punto terzo della stessa relazione: la cannabis è una droga socializzante ? Da anni la letteratura scientifica ha dimostrato che l'assunzione di cannabis provoca danni irreversibili al cervello ! Quello che, ricordando e aggiornando tali ricerche, la relazione del professor Serpelloni aggiunge è il resoconto di uno studio recente, condotto nel corso degli anni sul quoziente di intelligenza di 1.037 soggetti, nati fra il 1972 e il 1974, assuntori di cannabis fino al compimento dei 38 anni, suddivisi fra coloro che hanno iniziato prima del compimento della maggiore età e coloro che hanno iniziato da maggiorenni.

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  GIAN LUIGI GIGLI. Signor Presidente, come è stato già riportato, questo decreto si è reso necessario, è diventato un intervento necessario, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di alcuni articoli, il 4-bis e il 4-vicies ter, del decreto-legge n. 272 del 20 dicembre 2005, convertito con modificazioni nella legge n. 49 del 21 febbraio 2006, quella che è nota come legge Fini-Giovanardi e, quindi, a seguito del vuoto normativo che, per questo intervento della Corte costituzionale, si è determinato.
  Un intervento certamente necessario e del quale condividiamo la filosofia di fondo, condividiamo la revisione delle tabelle. E, tuttavia, riteniamo pericoloso che da questa revisione delle tabelle possa essere ricavata, anche involontariamente, una linea di sostegno a quella che è una distinzione tra cosiddette droghe pesanti e cosiddette droghe leggere che urta contro tutta quella che è la letteratura scientifica internazionale.
  E dico questo, voglio chiarirlo subito, non per motivi di ordine penalistico o @pagina=0057@giudiziario. Per mia mentalità non riesco mai ad appassionarmi agli aspetti sanzionatori dei provvedimenti. Dico questo per ragioni di ordine clinico, scientifico ed educativo soprattutto. Riconosco, infatti, che è assurdo distinguere tra droghe leggere e droghe pesanti come se alcune facessero sempre male e altre lo facessero sempre molto meno. La pericolosità delle droghe dipende da una serie di fattori, alcuni dei quali sono stati già richiamati in quest'Aula. Dipende certamente dal numero di morti che esse producono e, in questo senso, alcune certamente non lo fanno. Dipende dal grado di assuefazione che determinano in chi ne fa uso abitualmente, e in questo caso abbiamo dei livelli di pericolosità più o meno grave. Ma dipende anche da altri fattori che hanno a che fare, per esempio, con il rischio psicotico che possono produrre.
  E a chi, a questo riguardo, vuole troppo semplicisticamente assimilare alcune di queste droghe agli effetti dell'alcol, dico semplicemente che l'alcol certamente fa altrettanto male al cervello se assunto per uso cronico, ma certamente, in caso di assunzione acuta, come ampiamente dimostrato in letteratura, non dà mai effetti psicotici, i quali, invece, possono prodursi a seguito anche di somministrazioni uniche di altre sostanze. E in questo caso possiamo avere un combinato disposto dell'effetto del farmaco, dell'effetto della dose del farmaco stesso, della concentrazione della sostanza attiva nel farmaco, con la vulnerabilità del soggetto dal punto di vista psichico, che può produrre situazioni di precipizio nella psicosi, dalla quale poi non è detto che il soggetto riesca ad uscire, se non magari a prezzo di gravissime sofferenze e comunque come inizio di un percorso particolarmente doloroso.
  Quindi, il problema della vulnerabilità personale, che ci porta a dire che, mentre siamo tutti d'accordo sul fatto che l'eroina faccia male, che la cocaina faccia male, che l'LSD faccia male, stranamente non siamo tutti d'accordo sul fatto che pure la cannabis faccia male. E dico questo – ripeto – non per motivi di sanzione, per motivi appunto di educazione.
  Non è un caso, quindi, che gran parte della discussione sull'articolo 1 del decreto si è svolta in realtà in Commissione solo parlando della cannabis: gran parte delle audizioni solo su questo hanno puntato la loro attenzione, e questo si è verificato proprio perché era, paradossalmente, l'unico motivo di controversia. Allora su questa controversia, sulla natura di questa controversia voglio un pochino diffondermi.
  Io ritengo che ci sia un rischio implicito nell'atteggiamento che stiamo avendo verso, appunto, la cannabis. Il rischio è quello della banalizzazione, il rischio quindi è quello della sottovalutazione del problema educativo, il rischio è quello che si porti in qualche modo un riconoscimento non voglio dire nemmeno di valore, ma certamente di non disvalore alla cultura, appunto, dello spinello.
  E perché dico questo ? Lo dico proprio a partire da un fatto, da quello che abbiamo vissuto come una lacerazione durante il dibattito in Commissione, fino al punto che alcuni di noi si sono sentiti in dovere di uscire dalla Commissione per protesta contro il modo in cui veniva frettolosamente chiuso il dibattito su questo argomento. Lo dico perché, mentre paradossalmente siamo tutti d'accordo sul fatto che uno almeno dei costituenti della cannabis, il tetraidrocannabinolo, sia dannoso per il cervello (Commenti di deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle),... No ?

PAGINA: 0059

  GIULIA GRILLO. Signora Presidente, chiedo anzitutto di farmi esprimere sul metodo di questo decreto-legge. Io sono nella Commissione affari sociali quasi da un anno e questo decreto-legge è il secondo, dopo il decreto Balduzzi. Non che ci dispiaccia che il Ministro della salute abbia fatto due decreti, di cui uno non era neanche il suo perché era del precedente Ministro Balduzzi, ma ci dispiace il fatto che il Ministero della salute ed il Parlamento non abbiano prodotto alcun atto di legge sulla sanità, in particolare sulla salute dei cittadini.
  Stiamo discutendo di un decreto che nasce da una incompetenza di chi ha redatto la legge Fini-Giovanardi, incompetenza che è stata poi sancita dalla Corte costituzionale, la quale ha detto che quella legge di conversione era incostituzionale perché conteneva degli articoli che erano disomogenei rispetto al titolo, quindi perché violava la Costituzione.
  Quindi, il decreto-legge che stiamo discutendo oggi è la solita toppa che mette il Governo, ovviamente abituato a questo modo di fare. Io me ne rendo conto, è stato fatto sempre così, sempre per quello @pagina=0060@che la nostra memoria storica riesce a rievocare. Però ricordiamo che l'Italia ha un impianto normativo di 150 mila norme, mentre Paesi come Francia e Germania ne hanno 5-6 mila. Qui il problema non è fare altre norme, il problema è rivedere quelle già esistenti in maniera seria e responsabile, azione che a nostro avviso non viene fatta da questo Governo, non viene fatta da questo Ministero.
  L'intervento che mi ha preceduto, del collega Gigli, ha evidenziato come ci sia necessità di approfondire queste tematiche e come ci siano vedute ancora così distanti all'interno delle stesse Commissioni a prescindere dall'appartenenza ideologica. È chiaro che il tema delle sostanze stupefacenti, dell'uso personale delle sostanze stupefacenti, della sanzionabilità o meno dell'uso personale delle sostanze stupefacenti, e poi di tutto ciò che è a valle dell'uso delle sostanze stupefacenti e di tutto ciò che è a monte, quindi dello spaccio e del traffico di droga, avrebbe meritato un'attenzione ben diversa da quella che questo Parlamento ha potuto fornire in un tempo così breve com’è quello caratteristico del decreto-legge. Pertanto, noi non possiamo, il MoVimento 5 stelle non può non criticare tale metodo.
  Abbiamo fatto un decreto che sostanzialmente innova ben poco, poiché riprende delle tabellazioni, degli inquadramenti tabellari che erano precedenti, e per certi versi, appunto, ricopia quanto era nella precedente legislazione; questo è il massimo evidentemente che può fare questo Governo. Ci dispiace, perché in qualunque altro lavoro viene richiesta una grande competenza, una grande conoscenza, una grande responsabilità, e le azioni devono essere inserite all'interno di un contesto ben preciso; cioè, le norme non si possono sempre buttare lì a caso.
  Voi mi direte: sì, ma c’è stata una sentenza che annullava una norma precedente. Bene, sì, la sentenza c’è stata perché gente altrettanto incompetente ha reso possibile questo vuoto normativo, che rimane, perché – attenzione – vi è ancora la distanza temporale tra la data di pubblicazione della sentenza, che è il 5 marzo, e la data di pubblicazione del decreto-legge in Gazzetta Ufficiale, che è del 21 marzo, per cui abbiamo ancora un vuoto di 16 giorni in cui non sappiamo esattamente cosa accadrà per la validità degli atti amministrativi prodotti in quell'arco di tempo. Quindi, il nostro giudizio è fortemente critico rispetto a questo atto del Ministero della salute che avviene nel contesto di un deserto di azioni, tanto da parte del Governo quanto da parte di questa Camera. Ricordiamo che in Commissione affari sociali abbiamo ancora il provvedimento sulla donazione del corpo post mortem che non è stato completato per una serie di cavilli – una cosa che poteva essere conclusa in pochissimo tempo – e ci sono argomenti che sono assolutamente pressanti sulla sanità; uno di questi è la corruzione nella sanità, di cui parleremo dopo.
  Sul merito dell'articolo 1 si esprimeranno altri miei colleghi, quindi mi voglio concentrare sul merito dell'articolo 3. Anche qui, il Ministro interviene con un articolo per normare una materia concernente l'uso off-label dei farmaci; riteniamo idoneo normare tale materia, ma avrebbe richiesto un approccio molto più serio e anche molto più deciso. Cioè, da quale parte vuole stare il Ministro della salute ? Vuole stare dalla parte dei cittadini, vuole stare dalla parte delle lobby, oppure ha paura della lobby farmaceutiche e quindi tutto quello che fa lo fa come se dovesse pettinare una bambola ? Perché l'articolo 3 del decreto, quando uscito dal Governo, era una pioggerellina fresca che certamente non aiutava nell'uso dei farmaci off-label. Per fortuna su questo la Commissione ha lavorato seriamente e noi ci siamo trovati d'accordo con le modifiche che sono state attuate sull'articolo 3, soprattutto perché sono state depotenziate le possibilità da parte delle aziende farmaceutiche di porre un veto sull'uso del farmaco off-label, anche del proprio farmaco off-label. Ma riteniamo comunque inopportuno questo modo di agire per mettere la toppa sullo scandalo che c’è stato di recente fra le due aziende farmaceutiche che si erano messe d'accordo per @pagina=0061@l'uso o meno dei famosi farmaci Avastin off-label e Lucentis off-label, entrambi destinati alle cure oculari. Questo scherzo di cartello tra le due aziende ci è costato 45 milioni di euro. Sono state condannate a pagare una multa di 280 milioni di euro, ora noi vogliamo vedere se questa multa verrà pagata o se faremo invece come con le concessionarie delle slot machine alle quali facciamo le multe e poi, chissà perché, c’è nell'Olimpo qualcuno che queste multe non le paga.
  Quindi, siamo fortemente critici rispetto alle modalità. Tuttavia, rispetto a come l'articolo 3 è adesso uscito dalla Commissione abbiamo un alleggerimento rispetto alla nostra primitiva valutazione. Tuttavia, noi vogliamo sottolineare anche il ruolo dell'Agenzia italiana del farmaco. Noi abbiamo un po’ studiato le modalità di azione di questa Agenzia e crediamo che, alla luce di quello che abbiamo studiato, non sia opportuno che l'Agenzia continui ad esistere. Questo essenzialmente per due motivi: il primo, perché quello che fa l'Agenzia lo faceva prima l'Istituto superiore di sanità e lo può continuare a fare l'Istituto superiore di sanità, ha le competenze. Il secondo, i lavoratori dipendenti e i dirigenti dell'Agenzia italiana del farmaco sono tutti soggetti che vengono messi lì a seguito di nomine; i dirigenti a seguito di nomine politiche, chi vi lavora a seguito invece di contrattualistica a tempo determinato, quindi dipendente, fatta da questi dirigenti.
  Allora noi diciamo: se c’è un'Agenzia esterna al Ministero della salute che deve giudicare su una materia delicata come quella dei farmaci, non è molto più facilmente controllabile, o, comunque, possibile da manovrare, un soggetto a cui devono rinnovare il contratto e che se non si muove secondo le logiche della politica rischia di essere buttato fuori e di andarsene per strada, rispetto a qualcuno che ha vinto legittimamente un concorso all'interno di una struttura pubblica ? Questo naturalmente, Presidente, si lega ad una visione della società diversa da quella che è stata portata avanti in questi ultimi anni, dove queste esternalizzazioni selvagge hanno avuto solo ed esclusivamente il ruolo di indebolire l'indipendenza e la garanzia degli operatori pubblici, e anche l'incapacità poi di controllare, di fatto, l'operato di queste Agenzie. Come di controllarne anche i costi, perché tutte queste esternalizzazioni di servizi hanno prodotto anche una serie di costi che adesso, al di là di tutti i proclami che possono fare i Presidenti del Consiglio che si stanno succedendo in questi mesi (e a Renzi succederà probabilmente qualcun altro, perché non crediamo che la sua credibilità lo possa portare oltre le elezioni europee)... Allora, dico, queste esternalizzazioni a che servono e a chi servono ? Scusate, ma a pensare male sinceramente, forse, si fa peccato, ma ci si indovina.
  E dico io, per esempio: come mai il Ministero della salute ha allocato l'Aifa, qui, in via del Tritone, in un bellissimo palazzo al centro di Roma pur non essendovene la necessità di essere così centrale, via del Tritone 181, pagando il modico affitto di 3 milioni e 45 mila euro, che paga ad Assicurazioni Generali Spa ? Come mai hanno anche affittato, con sublocazione passiva, numero 20 posti auto in via Arcione n. 98, con un canone di 55 mila euro ? Credo, allora, che dobbiamo andare verso una razionalizzazione seria delle risorse, e verso una lotta concreta a tutto ciò che mina l'indipendenza di chi opera all'interno delle strutture pubbliche, anche ove esternalizzate. Quindi il nostro intervento oggi incide proprio sul metodo, sul metodo dell'uso della decretazione d'urgenza, e sul metodo di affidare incarichi delicatissimi, come quello della commercializzazione e dell'uso dei farmaci, a strutture che non possono garantire l'adeguata indipendenza e autonomia (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PAGINA: 0061

  MARIA VALENTINA VEZZALI. Signor Presidente, Governo, colleghi, è bene innanzitutto ricordare perché oggi ci troviamo in quest'Aula a discutere delle disposizioni @pagina=0062@urgenti in materia di stupefacenti, sostanze psicotrope e l'impiego di medicinali off-label: la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 32 del 2014, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli articoli 4-bis e 4-vicies ter del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, convertito dalla legge n. 49 del 2006, meglio conosciuta come legge Fini-Giovanardi, per violazione dell'articolo 77 della Costituzione, per difetto di omogeneità, e quindi di nesso funzionale, tra le disposizioni originarie del decreto-legge e quelle impugnate, introdotte nella legge di conversione.
  C’è da rilevare che l'incostituzionalità è dovuta anche al fatto che la norma sulle droghe era stata inserita in un decreto-legge nato con l'intento di fronteggiare le spese e le esigenze di sicurezza delle Olimpiadi invernali di Torino 2006; dunque, portando il provvedimento completamente fuori tema su un argomento molto delicato, che avrebbe meritato ben altra attenzione da parte del Parlamento.
  Purtroppo, per dovere di cronaca mi preme ricordare che questo Parlamento ha trattato, ad esempio, il preoccupante fenomeno del femminicidio in un decreto-legge d'urgenza in materia di Protezione civile e di commissariamento delle province. Ciò non può più accadere !
  Ora si potrebbe certamente discutere sull'omogeneità di un decreto-legge che va a toccare aspetti così diversi quali la sicurezza e il finanziamento di un evento sportivo e il recupero dei tossicodipendenti, ma non v’è dubbio che il testo del decreto-legge, anche quello contenuto nell'articolo 4, non si prestava ad un inserimento legislativo in sede di conversione tale da implicare una radicale riforma del Testo unico sugli stupefacenti, con ben 23 articoli aggiuntivi.
  Da qui possiamo evincere il vizio formale: la totale, evidente estraneità, rispetto all'oggetto e alle finalità del decreto-legge, delle norme sulle droghe aggiunte in sede di conversione. La maggioranza parlamentare non può sfruttare la procedura privilegiata offerta al Governo attraverso l'uso del decreto-legge per inserirvi, in sede di conversione, ciò che vuole.
  Positivo, invece, è il ripristino della tabella alle disposizioni del 2006, con la differenziazione tra uso personale di droghe leggere e uso personale di droghe pesanti a proposito del fatto che, sino a oggi, l'inasprimento sanzionatorio per le condotte riguardanti le droghe leggere ha prodotto l'inevitabile effetto di una maggiore carcerazione di tossicodipendenti e sovraffollamento degli istituti detentivi.
  Limiterò il mio intervento su questi temi contenuti nel decreto-legge in discussione, rilevando che molto ci sarebbe da dire sul merito di una legge scellerata che ha contribuito al malfunzionamento cronico e al sovraffollamento del sistema penitenziario italiano.
  Dobbiamo soffermarci su temi di rilevanza sociale: le questioni riguardanti l'immigrazione, la recidiva e appunto le droghe. Le scelte politiche di un Paese si misurano con interventi sociali adeguati e non con politiche repressive e irrazionali.
  Quando si parla di sovraffollamento carcerario, quando si subiscono pesanti condanne dalla Corte europea dei diritti dell'uomo che ritiene il sovraffollamento problema strutturale e sistemico delle carceri italiane, si deve provvedere alla modifica delle normative che hanno determinato queste condanne.
  Per limitarsi alla normativa sulle droghe, come si può tollerare che a comportamenti diversi siano riconnesse condanne uguali ? La domanda retorica si traduce in un'istanza giuridicamente definita dalla Corte di appello di Roma nella sua ordinanza di rimessione nella denuncia della violazione del principio costituzionale di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (articolo 3 della Costituzione): «non v’è chi ... non veda» – scrive il giudice remittente – «come sanzionare con la medesima pena due comportamenti notevolmente diversi come l'importare, detenere, spacciare, droghe leggere oppure pesanti, costituisca una palese violazione del principio di eguaglianza sotto il profilo della mancata adozione di sanzioni diverse @pagina=0063@a proposito di condotte diverse». Di più: l'aver equiparato sotto il profilo sanzionatorio, le predette sostanze contraddice il contenuto di una decisione quadro del Consiglio dell'Unione europea (n. 2004/757/GAI, articolo 4) che espressamente impone un diverso trattamento per le condotte riguardanti gli stupefacenti più dannosi per la salute.
  Occorrono misure alternative al carcere per i tossicodipendenti, perché l'obiettivo è quello del recupero attraverso percorsi socio-sanitari e di pubblica utilità, non certamente il carcere.
  Dal punto di vista sociale, educativo e perfino terapeutico, è dato per certo che la carcerazione per i tossicodipendenti non produce effetti di recupero sociale ma sicuramente produce costi elevati sulla finanza pubblica.
  Così com’è richiamato dal quarto Libro Bianco sugli effetti della legge Fini-Giovanardi, anche noi siamo convinti che una nuova stagione della politica debba fondarsi su una ricostruzione del senso comune e questo può davvero essere un terreno di sperimentazione sociale, a maggior ragione in tempi di crisi dell'economia.
  Il dossier pubblicato dalle organizzazioni di promozione sociale ha reso pubblici i dati concernenti l'impatto della legge Fini-Giovanardi sul carcere: dal 2006 sono aumentati in percentuale gli ingressi in carcere per violazione dell'articolo 73 della legge antidroga (produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti).
  Se l'obiettivo del legislatore del 2006 era il contenimento dei comportamenti connessi alle droghe illegali attraverso l'inasprimento punitivo, questo non è stato raggiunto. Un detenuto su tre entra in carcere ogni anno per la violazione dell'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. Sono significativi i dati degli ingressi in carcere per violazione della legge antidroga in rapporto al totale degli ingressi.
  Nel 2006 gli ingressi in carcere in violazione dell'articolo 73 (detenzione di sostanze illecite) della legge antidroga sono stati 25.399 su un totale di 90.714 detenuti.
  Nel 2012 sono state incarcerate 20.465 persone su un totale di 63.020. Si registra un aumento in percentuale che è costante e consistente dal 2006 in poi: il 28,03 per cento nel 2006, il 29,84 per cento nel 2007, il 31,11 per cento nel 2008, il 32,21 per cento nel 2009, il 30,87 per cento nel 2010, il 31,75 nel 2011. Nel 2012 si registra un picco percentuale: il 32,45 per cento del totale delle persone entrate in carcere era accusato di violazione dell'articolo 73 della legge antidroga.
  Credo che siano sufficienti i dati citati per comprendere che servono misure vere e decisive volte al recupero delle persone affette da tossicodipendenza. Un decreto, quello di oggi, che certamente contribuirà ad una notevole riduzione del ricorso alla carcerazione preventiva dimezzando il numero dei detenuti, consentendo finalmente di porre l'attenzione a sistemi di recupero dalle tossicodipendenze e a favore di percorsi volti all'inserimento sociale delle persone che fanno uso di sostanze stupefacenti.
  Dobbiamo affrontare la sfida dell'articolo 27 della nostra Costituzione: Le pene detentive non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Ottemperare agli obblighi imposti dalla Corte europea dei diritti umani, anche in questo il Governo deve impegnarsi.
  Alla luce delle considerazioni fin qui svolte, anticipo il voto favorevole del gruppo parlamentare di Scelta Civica per l'Italia sul provvedimento.

PAGINA: 0063

  LUCA D'ALESSANDRO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge in esame è diretto a fronteggiare situazioni di necessità ed urgenza negli ambiti delle sostanze stupefacenti e psicotrope e dei farmaci off-label. In particolare, il decreto è formato da quattro articoli, di cui i @pagina=0064@primi due intervengono sugli aspetti di tutela della salute legati al consumo e alla cessione delle sostanze stupefacenti e psicotrope. L'intervento si è reso necessario dopo che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 32 del 2014, ha dichiarato costituzionalmente illegittime le norme sugli stupefacenti contenute nella legge n. 49 del 2006 di conversione del decreto-legge n. 272 del 2005, legge meglio conosciuta come «Fini-Giovanardi», che hanno riformato il testo unico sugli stupefacenti di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. La cancellazione delle norme impugnate ha comportato il ripristino della disciplina contenuta nel Testo unico sugli stupefacenti nella versione precedente al 2006, con effetti importanti sia dal punto di vista penale che amministrativo. La Corte costituzionale ha inoltre reputato incostituzionale la classificazione delle sostanze stupefacenti operata dal Ministero della salute per cui, all'indomani della sentenza n. 32 del 2014, a fronte delle due uniche tabelle disciplinate dalla legge di conversione n. 49 del 2006, sono tornate in vigore le sei tabelle previste prima della riforma del 2006, in cui non sono ovviamente comprese le sostanze stupefacenti di ultima generazione inserite nelle tabelle con decreti ministeriali di aggiornamento dal 2006 al 2013.
  Nello specifico il provvedimento rimodella le tabelle delle sostanze stupefacenti e psicotrope ridistribuendo al loro interno le sostanze in modo da renderle coerenti con il regime sanzionatorio antecedente alla legge «Fini-Giovanardi», ricomprende nelle tabelle le circa 500 sostanze classificate a decorrere dal 2006, ripristina la disciplina sulle modalità di prescrizione, dispensazione e registrazione dei medicinali impiegati nella terapia del dolore severo, garantisce, a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, la continuazione degli effetti degli atti amministrativi adottati ai sensi del Testo unico.
  Per quanto riguarda il versante sanitario, la cancellazione degli articoli della legge di conversione n. 49 del 2006 ha avuto effetti anche sulla disciplina del servizio di assistenza farmaceutica relativo alle modalità di prescrizione, dispensazione e registrazione dei medicinali per la terapia del dolore, contenuta nella legge di conversione citata e successivamente modificata dalla legge sulle cure palliative e sulla terapia del dolore. Nel corso dell'esame presso le Commissioni II e XII sono state introdotte nel decreto-legge modifiche agli articoli 73 e 75 del Testo unico sugli stupefacenti, sulle sanzioni e, in particolare, sull'articolo 73, che sanziona penalmente la produzione, il traffico e la detenzione illecita di stupefacenti e determina un abbassamento delle pene previste per il cosiddetto piccolo spaccio.
  È inoltre ridotta la pena oggi prevista – reclusione da uno a cinque anni e multa da 3.000 a 26.000 euro – disponendo, per tutte le condotte di lieve entità, la reclusione da 6 mesi a 4 anni e la multa da 1.032 a 10.329 euro.
  Si è tuttavia conservata, anche dopo la sentenza della Corte costituzionale, la formulazione introdotta dal decreto-legge n. 146 del 2013, che prevede una fattispecie penale autonoma (e non più un'attenuante) quando i fatti previsti dall'articolo 73 – per i mezzi, le modalità o le circostanze dell'azione, ovvero per la qualità e quantità delle sostanze – siano di lieve entità. La pena è la reclusione da uno a cinque anni e la multa da 3.000 a 26.000 euro. Le Commissioni non hanno ritenuto opportuno distinguere, per quanto riguarda il cosiddetto piccolo spaccio, le condotte relative alle droghe pesanti rispetto a quelle inerenti alla cannabis.
  Da qui, senza proseguire ulteriormente nella narrazione genetica del provvedimento che stiamo esaminando, il cui iter e i cui contenuti ritengo ampiamente acquisiti da tutti i colleghi, ritengo di dover esporre le motivazioni che, infine, inducono il gruppo di Forza Italia a votare contro, cominciando da un aspetto che ritengo non marginale e cioè la questione della Corte costituzionale.
  Non è irrilevante annotare come la Consulta rappresenti ormai una sorta di impropria terza Camera del Parlamento, con l'aggravante che le sue decisioni non @pagina=0065@possono essere messe in discussione, come avviene invece alla Camera e al Senato. Peraltro, non sfugge che in questo caso la sentenza della Corte abbia censurato esclusivamente i vizi procedurali e non gli aspetti sostanziali delle disposizioni dichiarate incostituzionali. Come altri recenti pronunciamenti evidenziano con estrema chiarezza (vedi la legge n. 40), vi è il serio rischio di una progressiva totale destabilizzazione del sistema ordinamentale del Paese a causa di una sempre più frequente invasione di campo da parte del potere giurisdizionale nelle vicende legislative.
  Nel merito del provvedimento, la questione che attiene alla regolamentazione in materia di tossicodipendenze è sicuramente classificabile tra gli argomenti che più di altri ci separano, in termini di visione complessiva, dalla sinistra.
  Nel valutare una materia così complessa non si può fermare la discussione sui soli aspetti giuridici, pur con la contaminazione di impropri riferimenti alle questioni relative alla salute. Così come accaduto con la depenalizzazione del reato di immigrazione clandestina, anche in questo caso, vi è la chiara volontà della sinistra di abbattere in toto la legge Giovanardi-Fini, così come ci attendiamo lo stesso atteggiamento per la legge n. 40 sulla procreazione assistita, guarda caso, anch'essa cassata dalla Consulta.
  Vi sono questioni che ci dividono sul piano della valutazione valoriale. Valori in cui noi crediamo fortemente che non sono assolutamente negoziabili. Il rispetto della vita per noi viene prima di ogni altro interesse. Dalla discussione che si è ampiamente sviluppata nell'ambito delle Commissioni, questo iato tra la nostra visione e quella della sinistra è apparso in tutta la sua ampiezza e rilevanza.
  Sappiamo bene che l'obiettivo finale per qualcuno è la totale liberalizzazione delle droghe, partendo da una inammissibile distinzione tra droghe cosiddette leggere e droghe pesanti. Sono diversi gli studi in materia che chiariscono la totale equivalenza delle droghe dal punto di vista dell'effetto assuefazione: «Se osserviamo il problema dal punto di vista degli effetti sulla salute e sulla dipendenza, i due generi di droghe sembrano diversi, ma non è così. Droghe leggere e pesanti sono ugualmente dannose. L'assuefazione è in continuità e questo ci conferma che quando cannabis e hashish vengono assunte con frequenza il passaggio a cocaina ed eroina può essere breve».
  Lo stesso Dipartimento per le politiche antidroga ha messo a disposizione documentazione internazionale che dimostra i danni procurati dalle presunte droghe leggere. Lo stesso vale per la Società italiana di pediatria, che ha studiato le conseguenze negative sulle strutture cerebrali dei giovani in fase evolutiva. Senza dimenticare, ad esempio, i rischi legati all'attenzione, basti pensare agli adolescenti alla guida delle «macchinette» sotto l'effetto di questi stupefacenti, spesso con esiti purtroppo tragici.
  La discussione in Commissione ha evidenziato con chiarezza la volontà della sinistra, del PD, di SEL e del MoVimento 5 Stelle, mascherata da presunte esigenze sanitarie e dalla sempre attuale «emergenza carceri», di giungere ad una totale deregolamentazione, che si traduce in libertà per piccoli e grandi spacciatori di delinquere e di distruggere impunemente la vita di tanti giovani.
  Chi spaccia droga delinque e chi delinque va sempre punito: un'equazione perfetta.
  Infine, non è irrilevante l'aspetto culturale e sociale: il problema non è la depenalizzazione del piccolo consumatore. È sempre necessaria una proporzione. Quello che va perseguito è il danno sociale. Quelli che vanno adeguatamente puniti sono gli spacciatori e i trafficanti. Il rischio è quello di una deriva libertina che porti i giovani soprattutto a considerare la droga come qualcosa di normale, che si possa assumere tranquillamente, senza alcuna considerazione per le gravi conseguenze che ciò comporta.
  Il diritto alla vita non è negoziabile, né contemperabile con alcun altro diritto; non si vive o si muore in parte, e così non @pagina=0066@può esistere giustificazione per chi, in qualunque misura, la vita la disprezza e la distrugge.
  Per questo, la nostra valutazione non può che essere assolutamente negativa e il nostro voto contrario.

PAGINA: 0066

  MICHELA ROSTAN. Signor Presidente, onorevoli colleghi, quello di cui oggi discutiamo è un tema estremamente delicato e complesso, che coinvolge molteplici aspetti della vita sociale del nostro Paese ed ha diversi risvolti sul piano della legalità, della salute, dell'ordine pubblico, dell'economia.
  Proprio alla luce della difficoltà delle premesse, sono fermamente convinta del fatto che, nonostante il contingentamento dei tempi dettati dalla decretazione d'urgenza, necessaria per colmare il pericoloso vuoto normativo creatosi dopo la bocciatura della legge Fini-Giovanardi da parte della Corte costituzionale, il lavoro svolto nelle Commissioni, in sede di conversione del decreto-legge n. 36 del 2014, sia stato proficuo e portatore di buoni risultati.
  Si è trattato di un approfondimento che non poteva prescindere da tutta una serie di valutazioni in merito, da un lato, al dilagante fenomeno del traffico illecito di stupefacenti, che fa del nostro Paese uno dei crocevia internazionali più ambiti dalle organizzazioni criminali e, dall'altro, al preoccupante ma differente fenomeno del piccolo spaccio, che senza alcun dubbio pure va condannato e contrastato, ma con finalità, obiettivi strategici e mezzi differenti.
  Non c’è dubbio alcuno che il grande traffico di stupefacenti rappresenti uno dei business più redditizi per i sodalizi criminali che operano senza alcuna timidezza su scala mondiale, come delle vere e proprie multinazionali della droga. È sulla gestione delle piazze di spaccio, sulla vendita all'ingrosso, sul trasporto che, guardando in casa nostra, mafia, camorra, ’ndrangheta hanno costruito dei veri e propri imperi economici, per il mantenimento dei quali non hanno esitato e non esitano tutt'oggi a compiere crimini efferati, pur di tutelare e conservare il pieno dominio su porzioni di territorio considerate strategiche.
  Questo purtroppo avviene soprattutto nel Mezzogiorno del Paese e, in special modo, nella mia terra di provenienza, Napoli e la sua sterminata provincia, che spesso assurgono agli onori della cronaca nera, come sta accadendo proprio in queste ore, durante le quali bande armate dei clan si contendono pezzi di territorio a colpi di pistola ed esecuzioni sommarie e violente, il tutto in assoluto spregio dello Stato e delle sue istituzioni ed in nome dell'illecito profitto garantito proprio dalle piazze di spaccio più ricche d'Europa, pur non essendo il fenomeno circoscritto al sud del nostro Paese.
  Ecco, questo fenomeno va diffusamente contrastato, senza titubanze, senza incertezze, sul piano preventivo, sul piano sanzionatorio e sul piano persecutorio.
  Questo fenomeno, tuttavia, ha diverse sfumature e la sua trattazione va necessariamente scissa da quella che dobbiamo riservarne ad un altro, che ha natura differente, che risponde a logiche diverse, che ha proprie peculiarità rispetto alle quali, a mio avviso, è stato corretto avere un approccio radicalmente diverso, che soltanto apparentemente può sembrare contraddittorio rispetto all'impianto normativo del testo unico sugli stupefacenti, ma che è invece coerente con l'obiettivo di differenziare, specificare e separare il cosiddetto piccolo spaccio dal grande spaccio di droghe, distinzione quest'ultima del tutto esclusa dalla legge Fini-Giovanardi, della quale non mi sento di evitare un seppur breve bilancio dell'impianto legislativo e culturale, spazzato via dalla Corte costituzionale.
  È un bilancio non a caso pesato su troppi ragazzi, minacciati gravemente per un reato senza vittime, che nella consapevolezza dei più è inesistente, sottoposti talvolta all'inutile pesantezza della legge e dei suoi esecutori, che avrebbero potuto essere impiegati più utilmente in altro modo, con maggiore beneficio per la sicurezza @pagina=0067@pubblica. Sono ragazzi troppo spesso finiti in carcere – e qualche volta finiti peggio – per un comportamento deviante certamente minore in un Paese che legalizza l'azzardo e penalizza molto meno tutti i reati fiscali, producendo una visione iniqua della giustizia e il sospetto gravissimo di adottare, in materia penale, due pesi e due misure.
  Questo perché innanzitutto la distinzione delle fattispecie, e quindi la differenziazione del profilo sanzionatorio, con il conseguente abbassamento delle pene previste dal comma 5 dell'articolo 73 del testo unico sugli stupefacenti, che abbassano la reclusione da uno a cinque anni a sei mesi e quattro anni, risponde all'esigenza di non ipotecare in modo irreversibile il futuro di chi, a prescindere da un'indagine sulle motivazioni sociali ed economico-culturali che lo abbiano spinto a farlo, abbia commesso l'errore di fare del piccolo spaccio la propria fonte di reddito.
  Tale distinzione trova un ulteriore fondamento nel principio, anch'esso più volte ribadito dalla Consulta, sulla necessità che vi sia una maggiore connessione ed una più chiara specificazione tra la tipologia della condotta penalmente rilevante ed il profilo sanzionatorio ad essa associato, con il contenimento, entro certi limiti garantisti minimi, della discrezionalità del giudicante.
  Questo impianto si inserisce in un contesto legislativo di riforma che si compone di altre norme, che coerentemente si agganciano all'idea di differenziare tra condotte e condotte, di situazione in situazione, tra grande spaccio e piccolo spaccio, tra abuso ed uso entro certi limiti di droghe, in un quadro che, a mio avviso, tiene maggiormente in considerazione quanto avviene nella realtà della società.
  Mi pare, in considerazione di ciò, ampiamente condivisibile il ripristino del comma 5-bis dell'articolo 73 del testo unico sugli stupefacenti che consente al giudice di applicare, in caso di condotta per un fatto di lieve entità, al colpevole, al posto della pena detentiva, il lavoro di pubblica utilità. Questo tipo di sanzione consente, a chi ne faccia richiesta, di avere una seconda chance, attraverso la prestazione di un'attività non retribuita a favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti e organizzazioni di assistenza sociale o volontariato.
  La legge n. 94 del 2013 ne ha potenziato il ricorso per i tossicodipendenti introducendo il comma 5-ter e prevedendo che la misura possa applicarsi anche per un reato diverso da quelli previsti dal comma 5, purché commesso per una sola volta da persona tossicodipendente o da assuntore abituale di sostanze stupefacenti.
  Ed anche questa misura, giustamente, distingue il profilo del piccolo spacciatore, per il quale lo Stato e la collettività possono e devono farsi carico di un ulteriore, forse ultimo ed estremo, tentativo di recupero, in luogo delle strategie meramente afflittive e repressive applicabili a chi invece fa dello spaccio un business drammaticamente dannoso per la società.
  Bene è stato fatto, in quest'ottica, laddove è stata reintrodotta la depenalizzazione dell'uso personale di sostanze stupefacenti, ripristinando l'applicazione delle sole sanzioni amministrative e circostanziando e tipizzando in modo più specifico l'accertamento stesso dell’«uso personale».
  Ed anche questi principi rispondono all'esigenza che pervade l'intero disegno di legge di conversione, ovvero distinguere tra il contrasto e la lotta al traffico illecito di stupefacenti e le finalità di recupero della persona coinvolta e soggiogata da questo traffico. Persona che, spesso e mal volentieri, oltre che protagonista è vittima di dinamiche esterne, socio-ambientali ed economiche.
  Detto questo, abbiamo ancora molto da fare. Sono dell'avviso, infatti, che si debba in ogni caso mettere mano con determinazione a quelli che pure restano punti deboli dell'attuale sistema normativo che disciplina l'uso delle droghe e delle sostanze stupefacenti. Nel farlo, è bene che @pagina=0068@quest'Aula si ponga degli interrogativi rispetto ai quali ancora non è stata data risposta.
  Dobbiamo chiederci se il tema della depenalizzazione esaurisce a pieno quello – forse più ampio – della eventuale legalizzazione dell'uso delle droghe leggere. Ed ancora, la non piena distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere della Fini-Giovanardi ha avuto per effetto quello di criminalizzare un comportamento e una generazione, di fatto trasformando il possesso e lo spaccio di piccole quantità di droghe leggere in un crimine penale grave, che ha portato in carcere decine di migliaia di giovani, rovinandoli assai più di quanto avrebbe potuto fare la droga stessa, intasando i tribunali – in un Paese dalla giustizia cronicamente lenta – di processi inutili ed altrettanto inutile permanenza nelle carceri, già congestionate e rese invivibili, portando l'Italia sul banco degli imputati della Corte europea, al prezzo di costose sanzioni e di un'inciviltà giuridica sostanziale.
  L'attuale situazione normativa risponde a questo problema che c’è ? È reale, è attuale, o possiamo fare di più ? Non c’è dubbio alcuno che il consumo di droghe, leggere o pesanti che siano, costituisca un comportamento da combattere, rispetto al quale il Partito Democratico ha dato e sempre darà battaglia, come è giusto che sia, a preservazione della crescita sana e corretta, in special modo delle giovani generazioni.
  Mi avvio a concludere. A tal riguardo, una eccezionale donna del secolo scorso, Billie Holiday, jazzista di colore, di fama mondiale, nata, cresciuta ed affermatasi tra difficoltà apparentemente insormontabili solo grazie al suo straordinario talento, ebbe modo di affermare che «tutto ciò che la droga può fare per te è ucciderti nel modo più lento e doloroso. E può uccidere con te anche le persone che ami».
  Questa frase semplice, nonostante risalga ad oltre 60 anni fa, è drammaticamente attuale e credo più di ogni altra espressione sintetizzi le ragioni che devono spingerci a lavorare intensamente affinché il drammatico fenomeno dell'uso di droghe sia arginato e con esso siano arginate le costose conseguenze che ne subiscono i tossicodipendenti e le loro famiglie.
  Del resto, però, tutte le dipendenze, incluse quelle legali – dal tabacco, all'alcol, al gioco d'azzardo –, che hanno spesso costi ed effetti più gravi di quelli da stupefacenti, anche se non sono considerate reato e producono buoni ritorni nelle casse dello Stato, sono moralmente altrettanto problematiche e socialmente costose. Ciononostante, il campo delle dipendenze viene ancora oggi affrontato con troppi veli di ipocrisia, che noi siamo chiamati a squarciare.
  Ritengo, pertanto, indispensabile che quest'Aula si impegni, sin da oggi e nel corso del procedimento di conversione in legge del decreto-legge n. 36 del 2014, a rivedere nel complesso una questione sociale così importante, affinché anche la materia dell'uso e dell'abuso delle sostanze stupefacenti sia disciplinata in modo efficace e conforme ai bisogni più volte evidenziati dall'Unione europea, che già sei anni fa bocciava pesantemente la Fini-Giovanardi, ritenendola, in modo lungimirante, del tutto anacronistica ed inadeguata (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PAGINA: 0068

  MARISA NICCHI. Signor Presidente, quando il Presidente del Consiglio in carica richiama lo slogan con cui ha catturato consenso e simpatie, che è quello di «cambiare verso», invita a nozze questa opposizione, l'opposizione di SEL. Oggi affrontiamo uno dei punti, una grande questione sociale, che richiama un'esigenza di cambiamento.
  È matura nel nostro Paese la prospettiva di un'alternativa alle politiche proibizioniste in materia di stupefacenti; politiche che sono fallimentari e che sono in via di superamento in tante parti del mondo. Il perché è molto semplice: proibire non vuole dire cancellare la possibilità di diffondere l'uso di queste sostanze e, naturalmente, @pagina=0069@meno che mai, cancellare i traffici illeciti. Ma questa maggioranza è ipotecata dal partito di Giovanardi, e quindi, di conseguenza, dalle spinte più conservatrici che vengono da quella parte e che riguardano anche altre componenti trasversali. E questa ipoteca ha fatto sentire il suo peso, tant’è che nella scelta che ha compiuto, quella di ricorrere ad un decreto – oggi, addirittura, si parla di possibile ricorso alla fiducia –, e anche nell'impostazione del decreto, sentiamo pesantemente questa ipoteca conservatrice, che non si ferma nemmeno di fronte alla Corte costituzionale, che ha proclamato la legge, per l'appunto, Fini-Giovanardi frutto di un atto illegittimo.
  Una legge che ha provocato sofferenze umane, giuridiche, è stato ricordato in tanti interventi, che ha sovraffollato le nostre carceri, con la conseguente violazione dei diritti umani al loro interno. Qui corre l'obbligo di richiamare, in questa discussione, la battaglia di Ilaria Cucchi, che combatte per la dignità, per ridare dignità alla vita spezzata di quello che lei chiama, con amore, «quel tossico di mio fratello».
  Ecco, invece di ripensare queste politiche, che hanno prodotto questo fallimento e questa sofferenza, si è tentato, con il decreto, nell'impostazione iniziale del decreto, in modo surrettizio, di reintrodurre il contenuto della legge Giovanardi-Fini, un'ottica repressiva, un'ottica criminalizzante, di far rientrare dalla finestra quello che la sentenza della Corte costituzionale ha fatto uscire dalla porta principale.
  Si è tentato di svuotare il valore simbolico. In un manifesto di tutte le associazioni che si sono riunite a Genova di recente si è detto: valore simbolico immenso di questa sentenza perché si possa aprire nel nostro Paese, in una discussione non ideologica, ma pragmatica, una politica più umana, più giusta, forte, severa contro il traffico illecito, ma che sottragga le persone che usano le sostanze alla criminalizzazione penale, e a sanzioni amministrative che sono solo stigmatizzanti, che portano alla marginalizzazione – pensiamo a che cosa vuol dire perdere un permesso di soggiorno per un immigrato – e che sono assolutamente inutili. Per una politica che offra a chi fa uso di queste sostanze la possibilità di un sostegno sociale e sanitario e anche di un uso consapevole, cioè ora l'occasione, ed è ancora aperta e matura, di una prospettiva di mutamento a trecentosessanta gradi di queste politiche. Per una politica che contrasti l'uso delle droghe, ma che parta dal riconoscimento di quella che è la soggettività innanzitutto umana delle persone che usano le sostanze e dei loro diritti. Si è persa l'occasione, un'occasione di revisione delle sanzioni penali e amministrative; è stato ricordato, lo ha ampiamente descritto e ben presentato per il nostro gruppo l'onorevole Daniele Farina. Si è persa questa occasione e ciò su cui però mi voglio di più soffermare e con forza perché riguarda un punto di fondo è quello della necessità di un rilancio, di una risposta sociale, di un rilancio di quelli che sono i servizi per le dipendenze, il rilancio di quelle politiche, che noi chiamiamo e che sono state chiamate attraverso una letteratura scientifica e una pratica consolidata, di riduzione del danno finalizzato al benessere delle persone, alla prevenzione dei rischi connessi all'abuso e alla clandestinità del consumo, un rilancio anche di quelle politiche di somministrazione controllata. Richiamare il ruolo di una risposta sociale, il ruolo dei servizi vuol dire tutt'altra cosa da quelle che sono le politiche di tagli ai servizi sociali; la morsa del Patto di stabilità che sta strozzando gli enti locali e tutte quelle politiche vere e autentiche che possono sostenere percorsi sociali di inclusione delle persone che usano la sostanza. La vera risposta, una risposta di accoglienza e di sostegno sociale, tutt'altra risposta da quella che è stata presentata e praticata in questi anni in modo ingiusto, che è la galera.
  Ecco, noi abbiamo posto questo tema al primo posto: la tutela della vita e della salute prima di tutto. E in nome di questa priorità, che è stata condivisa ampiamente da tanta parte anche nei lavori di Commissione, l'impostazione regressiva iniziale @pagina=0070@del decreto, che voleva svuotare di significato la sentenza della Corte costituzionale, è stata corretta. Va detto, infatti, che rispetto al testo iniziale del decreto-legge, il lavoro svolto nelle Commissioni congiunte, II e XII, ha consentito di apportare diverse modifiche che hanno in parte migliorato il testo. Le ricordo per riconoscere i passi avanti, ma anche per rimarcare il tentativo originario. Ora si riconosce il tentativo negativo originario contenuto nel decreto-legge. Ora per esempio si riconosce solo il coinvolgimento da parte del Ministro della salute e dell'Istituto superiore della sanità e non invece, come prevedeva il testo iniziale della Fini-Giovanardi, dell'autocratico Dipartimento nazionale per le politiche antidroga, il cui ruolo, per esempio, d'informazione unilaterale è stato più volte sottolineato in modo critico anche nella discussione.
  È stata soppressa la cupa previsione per la quale nel decreto iniziale gli operatori sanitari del servizio pubblico per le tossicodipendenze e delle strutture private autorizzate erano obbligati – sottolineo obbligati – a segnalare alle autorità competenti tutte le violazioni commesse dalla persona sottoposta al programma terapeutico. Un obbligo della legge Fini-Giovanardi che introduceva un'inaccettabile funzione repressiva degli operatori sanitari. È stata modificata la norma iniziale che prevedeva che il servizio pubblico per le dipendenze dovesse, tra l'altro, controllare l'attuazione del programma da parte del tossicodipendente. Un compito fiscale repressivo del servizio pubblico per le dipendenze improprio per una struttura di cura. Si è modificato il testo in riferimento al servizio, non più denominato «servizio per le tossicodipendenze», ma «per le dipendenze», allargando, quindi, l'azione, includendo altre forme di dipendenza e uscendo dall'ossessione contro la cannabis di cui abbiamo trovato testimonianza nella discussione unilaterale e nella consultazione di questo lavoro. È stato riscritto completamente l'articolo 3 per l'utilizzo dei farmaci off label, correggendo una versione iniziale farraginosa che metteva in capo all'Aifa un ruolo di programmazione assolutamente pleonastico e inutile.
  Vado, quindi, a stringere visti i tempi, per ricordare che, sì, ci sono stati miglioramenti, passi avanti, grazie al lavoro delle Commissioni, ma, purtroppo, ancora una volta, si è persa un'occasione di cambiamento (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà) (La Presidenza autorizza, sulla base dei criteri costantemente seguiti, la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative dell'intervento).

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  GIOVANNI MONCHIERO. Signor Presidente, cari colleghi, poche parole sul complesso di questo decreto-legge che oggi stiamo esaminando, sul quale è già intervenuta la collega Vezzali e, quindi, non riprenderò molte delle considerazioni già fatte. Si tratta di un decreto che affronta due argomenti fra loro assolutamente non collegati, come spesso capita alla nostra legislazione, entrambi però caratterizzati dalla necessità di rispondere con urgenza a delle situazioni che sono emerse anche improvvisamente o comunque in modo inatteso. Innanzitutto, la sentenza della Corte costituzionale che, dichiarando l'illegittimità della cosiddetta legge Giovanardi-Fini, ripristinava normative troppo antiche per non abbisognare di un qualche aggiustamento. Poi la questione dell'utilizzo dei farmaci cosiddetti off label che, anche qui, è stata oggetto di un evento che ha colpito molto l'opinione pubblica, la sanzione che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha applicato nei confronti delle ditte farmaceutiche Roche e Novartis per un presunto cartello volto ad eludere i principi della concorrenza in merito alla distribuzione e all'utilizzo dei farmaci Avastin e Lucentis. È una situazione che era ben nota agli operatori della sanità perché la differenza di costo fra i due farmaci aveva stupito quasi tutti gli operatori del settore in merito alla pratica difficoltà di utilizzare il farmaco meno costoso che era stato registrato per un'indicazione @pagina=0071@terapeutica ben diversa da quella oculistica nella quale, peraltro, trovava diffusa applicazione.
  Lo scandalo e anche l'incredulità suscitati da questo provvedimento dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha naturalmente indotto il Governo ad adottare una normativa d'urgenza che provasse a risolvere il problema. In realtà, come ricordava pochi minuti fa la collega di SEL, oggettivamente la prima formulazione dell'articolo 3 del decreto-legge non era felicissima; il decreto-legge era un po’ troppo farraginoso e, anziché favorire l'utilizzo off label, lo assoggettava ad una serie di adempimenti burocratici certamente non favorevoli.
  Il lavoro della Commissione, in questo caso, è stato, invece, positivo. In Commissione su questo tema, sull'articolo 3, si è trovata una soluzione di mediazione molto più pratica, molto più facilmente eseguibile, che consentirà almeno di evitare nell'immediato il ripetersi del caso Lucentis.
  Non così è stato, invece, sugli articoli 1 e 2, anche nelle discussioni udite oggi. Mi pare di poter dire che la normativa generale che cerca di disciplinare l'utilizzo delle sostanze stupefacenti meriti una revisione più completa, una revisione più organica e un decreto-legge non è certamente lo strumento più appropriato per fare questo. Quindi, unisco anche il mio all'auspicio di altri colleghi affinché questa materia venga ripresa in modo più organico. Però, detto questo, non posso non sottolineare comunque che l'intervento del Governo ci pare opportuno e che, quindi, è opportuno che almeno la norma, così come rielaborata in Commissione, possa trovare applicazione.
  Approfitto di questa circostanza anche per aggiungere come spesso la decretazione d'urgenza non favorisca un approfondimento delle normative e rischi di creare ulteriori complicazioni. E il rispondere, sulla spinta dell'emozione, dell'opinione pubblica, con i decreti è una prassi che ha ovviamente anche qualche indicazione positiva, ma che ha delle evidenti controindicazioni.
  Io vorrei soltanto concludere a questo proposito dicendo che, poiché negli emendamenti presentati per l'esame dell'Aula è previsto anche un intervento in materia di revisione del decreto-legge 25 marzo 2013, n. 24, la cosiddetta legge per la sperimentazione su Stamina, credo che i colleghi che hanno presentato questi emendamenti, anche in questo caso, vogliano rispondere a una esigenza di risposta immediata da parte dell'opinione pubblica. L'opinione pubblica è stata certamente stupita sia dal clamore avuto l'anno scorso da questa vicenda sia dall'azione dell'autorità giudiziaria, che proprio in queste ultime ore ha posto a carico dell'inventore di questa metodologia e dei suoi collaboratori pesanti ipotesi di reato e anche pesanti dubbi sulla sicurezza e sulla appropriatezza delle terapie applicate. Io auspico che questo argomento possa essere discusso.
  Spero che il Governo non metta la fiducia, perché questo argomento merita di essere discusso. Se invece, per ragioni di economia dei lavori parlamentari, il Governo ritenesse di mettere la fiducia, che naturalmente il gruppo di Scelta Civica darà, perché il decreto-legge è comunque nel suo complesso da accogliere favorevolmente, io spero e auspico che anche la questione della revisione del decreto-legge n. 24 del 2013 possa essere presto oggetto dei lavori di questa Assemblea.

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  TANCREDI TURCO. Signor Presidente, la recente sentenza della Corte costituzionale, la n. 32 del 2014, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della cosiddetta legge Fini-Giovanardi.
  Ciò che traspare in modo preoccupante dalla sentenza della Corte è la circostanza che ad essere stato censurato è il metodo con il quale la Fini-Giovanardi è stata introdotta nell'ordinamento, attraverso una forzatura dello strumento della decretazione d'urgenza. E direi che in questa legislatura, sia con il precedente Governo Letta che con questo Governo Renzi, questo abuso della decretazione d'urgenza @pagina=0072@continua. Da questo particolare vizio di carattere procedurale, manifestatosi in una carenza di potere delle Camere, la Corte ha dichiarato incostituzionale appunto la Fini-Giovanardi ed ha, dunque, riportato in vigore le norme precedenti, quelle della legge cosiddetta Jervolino-Vassalli.
  La dichiarazione di illegittimità costituzionale della Fini-Giovanardi pone immediatamente, di conseguenza, alcune questioni sia applicative, in merito alle disposizioni applicabili nei procedimenti in corso ovvero conclusi, sia normative, circa la coerenza del quadro normativo che risulta a seguito del rivivere della normativa precedente. La caducazione della Fini-Giovanardi comporta, in primo luogo, la differenziazione delle tabelle sinora allegate al testo unico, ottenendo quindi l'effetto di superare finalmente l'equiparazione delle droghe leggere e pesanti ai fini sanzionatori.
  E questo è senz'altro positivo.
  L'efficacia delle disposizioni previgenti determina il tanto atteso abbassamento delle pene per le violazioni relative alle cosiddette droghe leggere e un parallelo aumento delle pene previste per le violazioni relative alle cosiddette droghe pesanti.
  Sul punto la Corte costituzionale ha affermato che, quanto agli effetti sui singoli imputati, è compito del giudice comune quale interprete delle leggi impedire che la dichiarazione di illegittimità costituzionale vada ad aggravare la loro posizione giuridica, tenendo conto del principio in materia di successione di leggi penali nel tempo, che implica l'applicazione della norma penale più favorevole al reo.
  Per ovviare alla situazione determinatasi, il Governo ha approvato il testo di un decreto-legge, il n. 36 del 2014, che ha ripristinato le tabelle caducate dalla sentenza della Consulta, confermando la distinzione tra droghe leggere e pesanti ed aggiornandole con l'inserimento di circa 500 nuove sostanze stupefacenti.
  Uno degli aspetti che si ritiene tuttavia problematico ed irrisolto dal presente decreto riguarda il testo del comma 5, che prevede un autonomo reato speciale nel caso si tratti di fatti di «lieve entità», le cosiddette ipotesi di piccolo spaccio. La nuova incriminazione per i fatti di lieve entità – che accomuna sotto un'unica cornice edittale le condotte concernenti sia le droghe leggere sia le quelle pesanti – non appare quindi coerente con l'attuale sistema penale degli stupefacenti, che distingue il trattamento sanzionatorio tra diverse tipologie di sostanze stupefacenti. Quindi ribadisco che per le ipotesi di «piccolo spaccio» non sia più prevista la differenziazione tra droghe leggere e droghe pesanti. Tale impostazione, a seguito della sentenza della Corte, palesa una sproporzione nel sistema sanzionatorio degli stupefacenti. Pertanto l'articolo 73, comma 5, quello appunto che definisce il piccolo spaccio, parrebbe sollevare diverse perplessità dal punto di vista della ragionevolezza e anche dell'uguaglianza, rifacendosi all'articolo 3 della Costituzione. Nel corso dell'iter legislativo in Commissione ciò è stato invano evidenziato da molti autorevoli auditi ed espresso per mezzo di varie proposte emendative sul punto, tutte colpevolmente respinte da questa maggioranza.
  Nel testo base che ci apprestiamo a discutere, assistiamo ad una previsione per i fatti di «lieve entità» modificata nel massimo edittale della pena – quattro anni – senza che, tuttavia, venga riconosciuta la diversificazione del trattamento sanzionatorio in ragione del tipo di sostanza stupefacente considerata (ripeto: appunto, manca la differenziazione tra droghe leggere e pesanti). Si ritiene errata, infatti, l'impostazione che attende alla previsione indifferenziata del comma 5 dell'articolo 73 per i fatti di «lieve entità», che sono quelli che riguardano tutti i consumatori. I nostri emendamenti presentati sono volti a ristabilire un trattamento graduato e differenziato a seconda del tipo di sostanza, anche per le ipotesi di lieve entità e, pertanto, si auspica possano venire responsabilmente approvati da quest'Aula.@pagina=0073@
  Altro aspetto che si riteneva potesse essere superato è il divieto di coltivazione della cannabis. Ancora una volta, non pare accettabile il divieto indiscriminato di coltivazione delle piante di cui alle tabelle 1 e 2, in particolare per quanto riguarda la cannabis. Tale divieto, infatti, espone a conseguenze penali, che riteniamo ingiustificate, anche chi coltiva per uso personale un numero limitato di piante, un «reato» controverso in sede di giurisprudenza, sino alla Corte di Cassazione. Il problema si pone soprattutto con riferimento a quelle condotte rispetto alle quali appare particolarmente irragionevole l'applicazione di una sanzione penale, oltre che in senso assoluto, anche in relazione ad ipotesi di condotta del tutto simili e punite «soltanto» sul piano amministrativo. Immaginiamo il caso di chi coltivi qualche pianta di canapa per farne un uso personale: a costui si applica la sanzione penale – ripeto: la sanzione penale – dell'articolo 73, mentre si applicherà la sanzione amministrativa – quindi non penale, ma amministrativa – di cui all'articolo 75 a chi acquisti la stessa quantità di sostanza o addirittura un quantitativo maggiore per farne un uso personale. Quindi, sostanzialmente chi si coltiva in casa una pianta di canapa o di marijuana rischia delle pene molto più alte rispetto a chi va ad acquistare la stessa quantità di sostanze stupefacenti.
  Dal punto di vista della detenzione illecita, si intende eliminare totalmente l'illiceità delle condotte relative alla cannabis, sia indica che sativa, definendo e depenalizzando il possesso sotto ogni forma di una quantità massima detenibile, individuata per legge.
  È in questo senso che si intenderebbe: 1) eliminare le sanzioni penali per i consumatori di cannabis; 2) eliminare l'equiparazione delle droghe leggere alle pesanti anche per i fatti di lieve entità; 3) aumentare i grammi di cannabis detenibili per uso personale; 4) consentire la coltivazione a fini di consumo personale di piante di cannabis; 5) eliminare l'arresto e gli illeciti amministrativi per la detenzione e l'utilizzo di modiche quantità di cannabis. Ciò vuole essere un radicale superamento della concezione repressiva e sanzionatoria volta a punire i consumatori di sostanze nella fallimentare lotta alla droga protrattasi negli ultimi decenni.
  Nell'ambito internazionale sono state trovate soluzioni funzionali: si pensi alla Penisola iberica ove la coltivazione di un numero modico di piante di cannabis è tollerato, non suscita alcun allarme sociale, né viene perseguito dallo Stato. In Portogallo è consentito detenere una quantità di sostanza dieci volte superiore alla quantità considerata per uso personale giornaliero. In Spagna è persino consentita la creazione di associazioni culturali senza scopo di lucro ove si può coltivare un numero di piante variabile a seconda del numero dei soci che fruiscono della produzione collettiva di cannabis a fini personali, i cosiddetti cannabis social club che si distinguono dai coffee shop olandesi perché questi sono senza scopo di lucro. Recentissimamente molti Stati degli Stati Uniti d'America hanno consentito l'introduzione dell'uso ricreativo della cannabis, oltre a quello già diffusamente consentito a scopi medici, consentendo la coltivazione ad uso personale di piante di canapa come in California, ovvero in Stati quali Colorado o Washington, che hanno già iniziato a risanare le esangui casse statali con le tasse derivanti dalla liberalizzazione della cannabis.
  La mancanza di volontà politica di depenalizzare la coltivazione e detenzione a fini di consumo personale di cannabis e la mancanza di differenziazione del trattamento sanzionatorio nei casi di lieve entità in ragione del tipo di sostanza, appaiono palesemente anacronistici ed illogici. A ciò si aggiunga il fenomeno del traffico internazionale e nazionale di cannabis e derivati, gestito dalla criminalità organizzata, che alimenta un ampio mercato che potrebbe esser fatto emergere, con ovvie positive conseguenze anche finanziarie per lo Stato, utilizzando uno dei modelli adottati dagli Stati prima citati. Il sostanziale proibizionismo provoca perciò l'alimentarsi della criminalità organizzata, distoglie uomini, mezzi e risorse alla lotta @pagina=0074@al narcotraffico internazionale di droghe pesanti e soprattutto contribuisce non di poco al sovraffollamento delle nostre carceri, causato da reati di lieve entità relativamente alla cannabis, problema sin troppo noto per essere stato ampiamente discusso in questa Aula.
  Si ritiene, pertanto, che il presente provvedimento costituisca un'altra occasione persa per poter dare una svolta netta al regime sanzionatorio imposto per otto lunghi anni dalla Fini-Giovanardi, continuando sostanzialmente ad applicare una legge sugli stupefacenti fondata su presupposti resisi inadeguati, che sta per compiere venticinque anni, la cosiddetta Jervolino-Vassalli.
  In conclusione, riteniamo che sia straordinariamente necessario ed urgente un provvedimento mirato a risolvere la posizione dei soggetti condannati in via definitiva a causa di una legge incostituzionale come la Fini-Giovanardi, che oltre a realizzare giustizia sociale risolverebbe la situazione dei soggetti detenuti in forza di condanne calibrate su pene oggi dichiarate incostituzionali.
  Sul punto auspichiamo pertanto un intervento di interpretazione autentica finalizzato ad offrire un trattamento paritario ai condannati in forza di norme ormai divenute incostituzionali e soprattutto auspichiamo che la maggioranza di quest'Aula voglia cogliere l'occasione finalmente di poter radicalmente trasformare la visione dell'azione dello Stato nei confronti della lotta agli stupefacenti, concentrandola verso il traffico di droghe pesanti, depenalizzando parallelamente il consumo e la coltivazione ad uso personale, domestico, della cannabis per un numero limitato di piante, accogliendo positivamente le proposte emendative presentate dal MoVimento 5 Stelle. Concludo dicendo che il Partito Democratico si è spesso dichiarato favorevole a questo tipo di emendamenti e di norme. Lo aspettiamo alla prova dei fatti in Aula (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

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  PAOLA BINETTI. Signor Presidente, mi sembra molto interessante poter affrontare questo dibattito, peccato in un'Aula vuota. Mi auguro davvero che la minacciata fiducia su questo disegno di legge non sia un indiretto modo poi di ridurre le opportunità di confronto ad Aula piena, perché, in realtà, nel confronto che c’è stato nelle due Commissioni, molte cose si sono dette, molte cose si sono affrontate ma certamente la disparità delle idee e delle posizioni non ha nemmeno permesso che perlomeno si venisse a capo di un approfondimento che mettesse a fuoco, al di là delle posizioni ideologiche, quelle che sono le reali difficoltà, le reali problematiche in cui oggi si imbattono i giovani, le famiglie e tutti coloro che hanno a cuore il futuro di queste giovani generazioni.
  Io mi soffermerò soprattutto su due passaggi, che considero cruciali. Un passaggio, perlomeno per quanto riguarda gli articoli 1 e 2, è quello che riguarda l'autentica messa in azione di iniziative che abbiano come obiettivo specifico la prevenzione, perché penso che questa di per sé non sia né una buona né una cattiva legge, ma lo potrà diventare se eviteremo che nella vulgata che si farà di essa prevalga una visione di banalizzazione rispetto all'uso delle droghe o una visione che vuole essere letta in una prospettiva positiva di riduzione di quello che è stato considerato un approccio di tipo repressivo. Credo che il giusto equilibrio tra ciò che non vuole essere repressivo e ciò che non vuole essere banalmente diffusivo sta tutto proprio in una logica che faccia della formazione un'istanza di alto valore che aiuti le persone a decidere realmente con la loro testa ciò che è bene per sé, bene in atto e bene in una prospettiva di futuro. Penso che il dibattito sulla droga sia un dibattito che ha questa prospettiva importante.
  Drogarsi fa male, drogarsi non è un diritto, drogarsi può essere un'opportunità per sperimentare, un'opportunità perché in qualche modo, soprattutto nell'età dell'adolescenza, c’è un desiderio trasgressivo rispetto ai modelli; c’è un bisogno di emulare gli adulti, c’è un bisogno di andare @pagina=0075@oltre quelli che sono i confini di un'esperienza del quotidiano che a volte appare semplicemente noioso e al quale si vuole dare una sorta di smalto. Non a caso, grandi consumi di droga vengono spesso concentrati nei fine settimana, vengono spesso concentrati in quella sorta di nuove cattedrali che sono i locali in cui i ragazzi si riuniscono il sabato sera e la domenica con tutte le conseguenze che poi anche immaginiamo e conosciamo sotto altri punti di vista.
  Quindi, io credo che la chiave di volta di questo disegno di legge, per lo meno negli articoli 1 e 2, non vada letta esclusivamente attraverso il dibattito che ci ha impegnato e appassionato su droghe leggere-droghe pesanti. La legge Fini-Giovanardi aboliva la distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti ? La legge precedente, invece, poneva una differenza radicale tra le due ? Qual era il fondamento di questa differenza ? Sappiamo tutti che fortunatamente non è un passaggio obbligato quello dall'uso di cosiddette droghe leggere – nel caso specifico, quelle di cui stiamo parlando, di tutti i derivati della cannabis – a quello che poi risulterà l'uso delle droghe pesanti, ma tutti sappiamo anche che non c’è uso di droghe pesanti che non provenga da una precedente fase di uso di droghe leggere, a tal punto che tutti i responsabili delle comunità, qualunque sia l'impostazione pedagogica, l'impostazione terapeutica, l'impostazione riabilitativa che seguono, tutti loro sono contrari all'uso delle droghe, così, sic et simpliciter, perché il prodotto finale a cui loro assistono è spesso un prodotto talmente devastato che in qualche modo induce ad essere particolarmente esigenti nella fase della prevenzione.
  Quindi è sulla prevenzione che voglio insistere. Non mi appassiona la distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti: conosco troppo bene, anche in virtù di un'esperienza professionale precedente l'attività parlamentare, una serie di conseguenze drammatiche, difficili a cui vanno incontro questi ragazzi. E mi sembra che tutto ciò che ha la logica della prevenzione, che passa non attraverso la repressione: perché è vero che le repressione molte volte sollecita e stimola il gusto della trasgressione. È il gusto stesso dell'adolescenza: è il segno della sua discontinuità, è la volontà di mettere in qualche modo fine a quello che viene percepito come uno stato d'infanzia, per pagare una sorta di dogana che gli permetta di entrare nel mondo dei grandi, laddove tutto è permesso.
  Negli anni in cui esplose poi l'uso delle droghe – lo ricordiamo, alla fine degli anni Sessanta – lo slogan per eccellenza era «vietato vietare». Ed è proprio questo aspetto quello su cui noi non vogliamo insistere. Non è una questione di vietare; ma attenzione, non è nemmeno il momento di far passare il messaggio di segno contrario. Non è nemmeno il momento di dire che tutti coloro che hanno vietato, che tutti coloro che in questi dieci anni hanno insistito su uno stile, una prassi che faceva dell'attenzione – warning ! attenzione ! lì c’è un pericolo ! – non sono i nemici delle nuove generazioni; sono persone che hanno perseguito un itinerario, un itinerario che ha avuto i suoi alti e bassi, ha avuto le sue luci e le sue ombre, un itinerario che la Consulta ha deciso in qualche modo di archiviare, pur senza entrare nel vivo della norma. Ma attenzione, che questa nuova percezione, questa mutata sensibilità – questa sensibilità che per lo meno si vorrebbe mutare – non induca un rimedio peggiore del male. Ed è qui che questa legge dovrà dare il meglio di sé: non insistendo tanto, ancora una volta, sull'aspetto repressivo, sulla quantificazione della sanzione, quanto piuttosto assumendo come una prospettiva alta e forte quella della formazione.
  Voglio dire qualcosa di molto concreto su questo. Sentiamo parlare tante volte di quella che è l'emergenza educativa: molti colleghi, che si sono succeduti questo pomeriggio in quest'Aula, hanno voluto sottolineare la fase dell'emergenza educativa, e hanno voluto vedere nell'emergenza educativa molte volte quella perdita di senso cui vanno incontro i giovani, quell'ostilità che viene al mondo giovanile dal pericolo della noia, dal pericolo del senza significato @pagina=0076@e del senza valori. Allora noi vorremmo che assumessimo questa prospettiva, attraverso questa legge: di impegnare il nostro Paese, al pari degli altri Paesi europei, a rispondere al problema della droga attraverso un approccio integrato tra la riduzione della domanda e dell'offerta di droga sulla base di principi di responsabilità condivisa e di proporzionalità, in piena coerenza con i principi fondamentali della dignità di tutti coloro che sono toccati dal problema globale della droga, compresi i tossicodipendenti, e nel pieno rispetto delle libertà fondamentali e dei diritti umani. Questa vuol essere anche una sottolineatura forte, perché non ci sia nessuno stigma nei confronti del tossicodipendente. Il tossicodipendente non è qualcuno da cui guardarsi, non perché è un tossicodipendente, ma perché potenzialmente potrebbe essere uno spacciatore che attraverso lo spaccio nutre e alimenta il circuito della sua dipendenza.
  Questa è una preoccupazione che hanno i genitori nei confronti dei figli. Perché i genitori temono la frequentazione dei figli con ragazzi che fanno uso di droga ? Non per il ragazzo in sé, ma perché temono il contagio: temono la facilità della seduzione che può venire dall'esperienza che in qualche modo definisce i confini e l'orizzonte di qualcosa che, proprio perché non concessa, proprio perché non permessa, sembra avere una sorta di alone di fascino.

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SIMONE BALDELLI (Vedi RS)

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SIMONE BALDELLI (ore 17,25)

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  Interviene infine nella discussione sulle linee generali il deputato ANNA MARGHERITA MIOTTO (PD) (Vedi RS).

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  ANNA MARGHERITA MIOTTO. Signor Presidente, colleghi reduci, mi soffermerò sull'articolo 3 del decreto, sui farmaci off-label. È dal 1996 che è stato normato, con la legge n. 648, l'uso off-label, cioè fuori indicazione, di farmaci registrati ma prescritti dal medico per indicazioni terapeutiche diverse da quelle autorizzate con l'AIC, l'autorizzazione alla immissione in commercio, oppure per diversi dosaggi o diversi per modalità di somministrazione. L'uso off-label è molto diffuso in molti @pagina=0080@Paesi ed in Italia raggiunge soglie elevate per uso pediatrico, ma non solo. Infatti, è particolarmente elevato nelle terapie psichiatriche, nelle terapie antiallergiche, nella terapia oncologica. Le ragioni per le quali si ricorre all'uso off-label sono più d'una: innanzitutto, quando siamo in presenza di un uso consolidato nella pratica clinica; quando un farmaco è in attesa di registrazione o non ancora autorizzato per l'indicazione richiesta.
  La norma in origine consentiva il ricorso all'uso off-label «in mancanza di valida alternativa terapeutica», come recita il comma 4 dell'articolo 1 del decreto-legge n. 536 del 1996, convertito poi nella legge n. 648 del 1996. Questo anche perché il decreto viene approvato in un contesto segnato dall'irrompere di numerosi farmaci innovativi, assai costosi, commercializzati in altri Paesi europei e fino a quel punto preclusi ai pazienti italiani. Ne è prova la norma finanziaria, che nel 1996 ha rideterminato in aumento il fondo sanitario.
  Le modalità di attuazione della legge n. 648 del 1996 hanno visto una copiosa attività regolatoria svolta dalla CUF prima e successivamente da Aifa. Per cui, possiamo affermare con tranquillità che le modalità per il riconoscimento off-label di numerosissimi farmaci sono sufficientemente rapide e non presentano evidenti criticità, se si esclude un fatto: spesso per farmaci non provvisti di AIC, l'autorizzazione all'immissione in commercio, non interviene la negoziazione sul prezzo tra Aifa ed industria e questo problema andrebbe affrontato con apposita iniziativa normativa.
  Allora, perché intervenire con un decreto se il sistema funziona ? Perché come relatore e presidente, l'onorevole Vargiu ha ricordato che recentemente è intervenuto un provvedimento dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato sul caso Avastin-Lucentis, due farmaci con efficacia e livelli di sicurezza sovrapponibili ma con costi molto diversi, per il trattamento di una malattia degenerativa dell'occhio. Avastin è il farmaco che costa 40 volte meno dell'altro farmaco, Lucentis, ma Avastin non è nella lista della legge n. 648 perché il produttore non ne ha chiesto la registrazione per curare tale patologia per ragioni commerciali. L'Autorità garante ha accertato che le due multinazionali avrebbero posto in essere accordi restrittivi della concorrenza, anche perché le due aziende sono legate da intrecci azionari che avrebbero consentito una sorta di accordo collusivo a danno del sistema sanitario nazionale.
  Una brutta vicenda, che però non andava affrontata con l'iniziale articolo 3 del decreto; dico ciò a mio modo di vedere, ma posso usare anche il plurale, perché sul punto le posizioni espresse dai gruppi in Commissione sono risultate convergenti. L'iniziale stesura dell'articolo 3, che prevedeva l'avvio di una sperimentazione, avrebbe inaugurato un nuovo ruolo per Aifa, un inedito in Europa, ma soprattutto avrebbe irrigidito e complicato le procedure per l'inserimento nella lista della legge n. 648 dei farmaci off-label. Peraltro, sulla questione Avastin-Lucentis ci sono alcuni studi, condotti da autorità indipendenti anche internazionali, che possono essere utilizzati al fine di una valutazione motivata, senza ricorrere a nuovi e costosi trial clinici.
  Quindi si è reso necessario modificare il testo iniziale del decreto ed io ringrazio il relatore ed il sottosegretario che hanno dimostrato disponibilità ed apertura, che hanno permesso di introdurre nella legge n. 648 del 1996 il nuovo comma 4-bis, perché dopo quasi vent'anni è giunto il momento di aprire la lista della legge n. 648 ai farmaci già in possesso di AIC che siano contraddistinti da un uso consolidato nella pratica clinica, che siano stati sottoposti a studi e ricerche nell'ambito della comunità scientifica.
  A dire il vero, un tentativo analogo era stato proposto dal Governo Monti con il decreto «Balduzzi», che però venne soppresso con un blitz della maggioranza di allora. Ora siamo nelle condizioni di riparare a quel danno.
  È stata, inoltre, prevista una norma per valorizzare l'azione di monitoraggio quanto mai necessaria soprattutto per raccogliere @pagina=0081@le segnalazioni su eventi avversi che vanno comparati con quelli segnalati sul farmaco autorizzato. E nel testo compare anche un'integrazione dei compiti assegnati ad Aifa in materia di realizzazione di studi, ricerche e sperimentazioni. Ma la norma è del tutto indipendente dal riconoscimento dei farmaci off label e non è collegata alle procedure previste dal nuovo comma 4-bis all'articolo 1 della legge n. 648 del 1996.
  Rimangono, come ho detto, alcune questioni da affrontare, come lo spazio per la negoziazione del prezzo, che ora non è normato e che è necessario disciplinare con apposito provvedimento, ed inoltre appare utile studiare idonee misure per far sì che le legittime strategie commerciali poste in essere dalle multinazionali del farmaco non finiscano per saccheggiare il Fondo sanitario grazie ad accordi di cartello che non possiamo eticamente sopportare.
  Dico questo ben sapendo che l'industria farmaceutica rappresenta un segmento strategico della ricerca e dell'industria italiana, ma parto dalla consapevolezza che il sistema sanitario del nostro Paese è un architrave del sistema di welfare che va difeso dai rischi ricorrenti di dichiararne la insostenibilità perché garantisce un diritto fondamentale costituzionalmente tutelato ed è fattore decisivo per garantire la coesione sociale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PAGINA: 0011

  PRESIDENTE (Vedi RS). Dichiara chiusa la discussione sulle linee generali e prende atto che il relatore di minoranza e i relatori per la maggioranza rinunziano alla replica.

PAGINA: 0081

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

PAGINA: 0012

  Interviene in replica il sottosegretario di Stato per la salute VITO DE FILIPPO (Vedi RS).

PAGINA: 0081

  VITO DE FILIPPO, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, onorevoli, intervengo molto brevemente, anche se il dibattito meriterebbe ben altra articolazione anche da parte mia. Io ovviamente riduco moltissimo questa pretesa e racchiudo il mio intervento in una brevissima, ma veramente brevissima, riflessione.
  Come è stato fatto notare, l'illegittimità costituzionale contenuta nella sentenza n. 32 della Corte e alcuni fatti di cronaca che sono stati ampiamente descritti, da ultimo dall'onorevole Miotto, hanno motivato il Governo, in tutta la sua interezza, a provvedere con uno strumento, che è quello del decreto-legge, secondo la valutazione e anche la consuetudine, e anche la discussione di questa sera ha riassunto i limiti e anche in certi casi l'eccesso di utilizzo di questo strumento, sapendo che in questo caso il Governo ha ritenuto fondamentale e necessario utilizzarlo e sapendo che una legge, quando diventa tale, ha un'estensione molto più ampia rispetto alla contingenza che l'ha motivata e l'ha prodotta.
  In un caso, quello della sentenza della Corte costituzionale, la caducazione di alcune norme avrebbe provocato effetti devastanti, come è stato notato in tantissimi interventi, e situazioni che noi consideriamo addirittura irragionevoli, perché la disapplicazione o la confusione che quella sentenza, con la caducazione di alcune norme, determinava, in effetti, un terreno applicativo delle norme da parte di tante istituzioni nel nostro Paese che sarebbe stato disorganico, irragionevole e, in molti casi, addirittura inapplicabile.
  Nel corso della discussione nelle due Commissioni – devo ringraziare, non ritualmente, ma veramente con moltissima sottolineatura per il lavoro profondo che è stato fatto nelle due Commissioni, la II e la XII, a partire dal lavoro di coordinamento che hanno garantito i due presidenti –, con tante audizioni e con una partecipazione che considero fattiva, costante e, spero, anche produttiva del Governo, vi sono stati interventi migliorativi ed è contenuta nel testo che arriva in Aula una serie di ulteriori elementi di miglioramento, @pagina=0082@con emendamenti che sono stati approvati che hanno rafforzato e migliorato moltissimo il testo nella parte che riguarda gli stupefacenti.
  Faccio solo qualche esempio, per ricordare che un emendamento, approvato, presenta un oggettivo profilo di miglioramento della norma. Mi riferisco a quella norma che ha prescritto che le autorizzazioni che sono state già rilasciate a soggetti che hanno riportato condanne penali devono cessare per legge, o ancora, all'emendamento che ha definito la procedura di affidamento dei medicinali per i pazienti in corso di disassuefazione, con la previsione di un decreto del Ministro della salute, o ancora, all'emendamento che prevedeva la possibilità di poter portare anche all'estero, in costanza di un trattamento terapeutico, medicinali stupefacenti o sostanze psicotrope, esibendo, in questo caso, un'adeguata certificazione.
  Ricordo anche l'emendamento che ha disciplinato la possibilità della coltivazione della canapa a fini industriali-tessili, o ancora, l'emendamento che, attraverso una riformulazione dell'articolo 75 riferito all'uso personale, ha definito l'ambito di applicazione con riferimento all'esplicita previsione della finalità di uso personale che caratterizza l'illecito amministrativo, dal quale scaturiscono sanzioni amministrative di entità che si differenziano a seconda che trattasi di sostanze stupefacenti o psicotrope comprese nelle tabelle II e IV, uno-tre mesi, oppure nelle tabelle I e III, due mesi-un anno.
  Da ultimo, non per rilevanza, merita anche di essere ricordato l'emendamento approvato all'articolo 73, comma 5-bis, che consente al giudice, a determinate condizioni, di applicare, in luogo delle pene detentive e pecuniarie, la misura del lavoro di pubblica utilità.
  Va anche ricordato – è stato notato nel corso della discussione di questa sera più volte – che il quadro sanzionatorio che consegue da questo provvedimento, e che, per molte parti, rimane immutato, prevede che le condotte aventi ad oggetto le sostanze di cui alle tabelle I e III sono sanzionate con la reclusione da 8 a 20 anni ai sensi del primo comma dell'articolo 73, mentre quelle aventi ad oggetto le sostanze di cui alle tabelle II e IV sono punite con la reclusione da due a sei anni ai sensi del quarto comma dello stesso articolo. Questo per fare soltanto alcuni velocissimi esempi, e vado immediatamente verso la conclusione.
  Nel secondo caso, riguardo alla motivazione che ha indotto il Governo a presentare questo decreto-legge, quello dei farmaci off label, dobbiamo riconoscere, avendo partecipato con moltissima attenzione al dibattito che vi è stato nelle Commissioni, che all'articolo 3, riscritto, che arriva in Aula, ha contribuito sicuramente molto il lavoro che vi è stato nelle Commissioni, ma non marginalmente, credo, anche la disponibilità e l'attenzione che il Governo ha voluto mantenere rispetto a rilievi e anche spunti che sono arrivati da quel dibattito.
  Sicuramente quell'articolo inquadra, in un percorso che non è ancora concluso su questi temi (condivido questa osservazione), l'uso dei farmaci in un contesto amministrativo e autorizzatorio sicuramente più chiaro, più trasparente e anche più veloce rispetto all'utilizzo di farmaci off label come è stato, soprattutto nell'ultimo intervento, puntualmente riferito.
  Su questi due grandi elementi, il primo quello relativo agli stupefacenti e al miglioramento che vi è stato nel lavoro delle Commissioni e il secondo concernente la sostanziale rivisitazione del testo e dell'articolo 3, il Governo ha favorito il lavoro delle Commissioni. L'ha fatto con attenzione e con collaborazione, sia proponendo modifiche, sia accettando modifiche al testo, che arriva in Aula, che hanno definito un nuovo quadro d'indicazioni, sul quale esprimiamo una posizione ovviamente unitaria e condivisa da parte del Governo, sperando che il dibattito successivo che si terrà in Parlamento, nelle forme che saranno indicate dal Governo, potrà produrre una conclusiva attività di definizione di queste norme che ci sembrano urgenti, importanti e anche utili alla nostra comunità nazionale.

PAGINA: 0012

  PRESIDENTE (Vedi RS). Rinvia il seguito del dibattito ad altra seduta.

PAGINA: 0083

  PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

PAGINA: 0012

Ordine del giorno della prossima seduta. (Vedi RS)

PAGINA: 0083

Ordine del giorno della prossima seduta.

PAGINA: 0012

  PRESIDENTE (Vedi RS). Comunica l'ordine del giorno della prossima seduta:

PAGINA: 0083

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

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  La seduta termina alle 18.