ATTI DI CONTROLLO E DI INDIRIZZO

Seduta n. 37 di giovedì 20 giugno 2013

INDICE


ATTI DI INDIRIZZO:

Mozione:
  Cozzolino  1-00110  2391

ATTI DI CONTROLLO:

Presidenza del Consiglio dei ministri.

Interrogazione a risposta orale:
  Airaudo  3-00135  2392

Interrogazioni a risposta scritta:
  Parentela  4-00950  2396
  Molteni  4-00963  2397

Affari esteri.

Interpellanza:
  Zan  2-00108  2397

Ambiente e tutela del territorio e del mare.

Interpellanze:
  Oliaro  2-00106  2399
  Pilozzi  2-00107  2400

Interrogazione a risposta scritta:
  Biondelli  4-00949  2401

Beni e attività culturali.

Interrogazione a risposta scritta:
  Carrescia  4-00952  2402

Difesa.

Interrogazioni a risposta scritta:
  Pisicchio  4-00941  2403
  Marcolin  4-00944  2404

Economia e finanze.

Interrogazioni a risposta in Commissione:
  Ginefra  5-00400  2405
  Taricco  5-00405  2405
  Giulietti  5-00409  2406

Interrogazioni a risposta scritta:
  Ciprini  4-00943  2407
  Ruocco  4-00948  2408
  Catanoso  4-00959  2409
  Ruocco  4-00966  2410

Giustizia.

Interrogazioni a risposta scritta:
  Cardinale  4-00946  2411
  Tartaglione  4-00947  2412
  Realacci  4-00965  2413
  Ruocco  4-00968  2414

Infrastrutture e trasporti.

Interrogazione a risposta orale:
  Latronico  3-00132  2415

Interrogazioni a risposta in Commissione:
  Bruno Bossio  5-00397  2416
  Garofalo  5-00402  2417

Interrogazioni a risposta scritta:
  Bergamini  4-00945  2418
  Bergamini  4-00953  2420
  Bruno  4-00957  2421
  Realacci  4-00964  2421

Interno.

Interpellanza:
  Fratoianni  2-00110  2422

Interrogazione a risposta orale:
  Fragomeli  3-00133  2423

Interrogazioni a risposta in Commissione:
  Carella  5-00399  2424
  Taricco  5-00404  2424

Istruzione, università e ricerca.

Interpellanza:
  Tancredi  2-00111  2426

Interrogazione a risposta in Commissione:
  Piccoli Nardelli  5-00408  2427

Interrogazioni a risposta scritta:
  Tartaglione  4-00954  2428
  Realacci  4-00956  2429
  Carocci  4-00960  2431
  Lavagno  4-00961  2431

Lavoro e politiche sociali.

Interrogazioni a risposta scritta:
  Oliverio  4-00942  2432
  Tripiedi  4-00951  2433
  Bergamini  4-00967  2433
  Aiello  4-00970  2434

Politiche agricole alimentari e forestali.

Interrogazione a risposta in Commissione:
  Cenni  5-00403  2435

Pubblica amministrazione e semplificazione.

Interrogazione a risposta in Commissione:
  Gribaudo  5-00398  2436

Salute.

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
  Capelli  2-00109  2437

Interrogazione a risposta orale:
  Binetti  3-00134  2438

Interrogazioni a risposta in Commissione:
  Cecconi  5-00406  2439
  Binetti  5-00407  2439

Interrogazioni a risposta scritta:
  Bianconi  4-00955  2441
  La Marca  4-00958  2442

Sviluppo economico.

Interrogazione a risposta in Commissione:
  Senaldi  5-00401  2442

Interrogazioni a risposta scritta:
  Bordo Franco  4-00962  2443
  Gagnarli  4-00969  2444

Apposizione di firme ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari  2446

Apposizione di firme a mozioni  2447

Apposizione di firme ad una risoluzione  2447

Apposizione di una firma ad una interrogazione  2447

Pubblicazione di un testo riformulato  2448

Interrogazione a risposta in Commissione:
  Petrini  5-00396  2448

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo  2450

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo  2450

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:

   La Camera,
   premesso che:
    la legge n. 157 del 3 giugno 1999, all'articolo 1, comma 6, stabilisce che i rimborsi per le spese elettorali sono corrisposti agli aventi diritto con cadenza annuale entro il 31 luglio di ciascun anno;
   il Ministero dell'economia e delle finanze ha già stanziato la somma di euro 91.354.339 per consentire alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, per le rispettive competenze, di procedere al pagamento della rata di finanziamento pubblico per l'anno 2013 nei termini di legge. In tale rata sono compresi la prima quota dei rimborsi elettorali previsti per elezioni politiche 2013, la quinta quota dei rimborsi per le elezioni Europee del 2009 e la quarta quota dei rimborsi per le elezioni regionali del 2010. A queste si aggiunge la prima quota di contributi a titolo di cofinanziamento a partiti e movimenti politici, introdotto dalla legge n. 96 del 2012;
   il 18 giugno 2013, nella prima commissione della Camera, è stato avviato l'esame legislativo della riforma della normativa relativa al finanziamento pubblico ai partiti e dell'attuazione dell'articolo 49 della Costituzione. Al momento sono state abbinate all'esame 9 proposte di legge, delle quali 7 di iniziativa parlamentare, una di iniziativa popolare, ed una di iniziativa governativa. 5 di queste proposte di legge, tra cui quella del Governo, dettano norme in materia di riforma dell'attuale sistema di finanziamento pubblico ai partiti;
   il calendario predisposto dalla prima commissione della Camera per l'esame delle proposte di cui sopra prevede che l’iter si concluda il 18 luglio 2013 con l'approvazione di un testo per l'Assemblea e il mandato a riferire ai relatori. Se si considera che oltre all'esame da parte dell'Assemblea della Camera dei deputati, al fine dell'approvazione definitiva di una nuova legge in materia si dovrà svolgere l'intero iter legislativo di competenza del Senato della Repubblica, appare evidente che la rata del finanziamento pubblico per il 2013 verrà corrisposta prima che il Parlamento riesca a portare a termine l’iter legislativo avviato;
   tale ipotesi contribuirebbe in maniera determinante ad aumentare il sentimento di sfiducia ed in alcuni casi di ostilità nutrito da molti cittadini nei confronti di istituzioni quali Parlamento e Governo. Dall'altro contribuirebbe a rendere meno credibile la legge di riforma che eventualmente il Parlamento approverà. È notorio da tempo, infatti, che uno dei principali motivi di sfiducia nei confronti della politica è costituito proprio dal finanziamento pubblico del quale i partiti politici sono stati destinatari in questi anni, un volume di denaro di portata talmente ampia che i cittadini, anche alla luce della grave crisi economica che attanaglia il paese dal 2008 e alla luce di clamorosi scandali che hanno coinvolto importanti formazioni politiche, hanno più volte dimostrato di ritenere non più accettabile,

impegna il Governo

nelle more dell'approvazione della nuova legge di riforma del vigente sistema di finanziamento pubblico ai partiti, ad adottare iniziative normative urgenti a sospendere il pagamento della rata relativa all'anno 2013 del finanziamento pubblico ai partiti, anche individuando un nuovo limite temporale, successivo al 31 luglio 2013, entro il quale procedere in ogni caso al pagamento delle somme dovute ai soggetti aventi diritto.
(1-00110) «
Cozzolino, Toninelli, Dadone, Nuti, D'Incà, Cariello, Busto, Barbanti, Benedetti, Sorial, Dieni».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:

   AIRAUDO, FERRARA, QUARANTA, MIGLIORE, DI SALVO, AIELLO, BOCCADUTRI, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DURANTI, DANIELE FARINA, FAVA, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, LACQUANITI, LAVAGNO, MARCON, MATARRELLI, MELILLA, NARDI, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIAZZONI, PILOZZI, PIRAS, PLACIDO, RAGOSTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, SCOTTO, ZAN e ZARATTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'esercizio 2011 del Gruppo Finmeccanica si è chiuso con 2,34 miliardi di perdite;
   l'esercizio 2012, nel corso del quale il gruppo Finmeccanica sarebbe dovuto, per impegno dell'attuale vertice, tornare all'utile, ha registrato ulteriori perdite per 786 milioni di euro;
   i risultati del resoconto intermedio di gestione al 30 marzo 2013 segnalano 8 milioni di euro di utile a fronte dei 24 milioni di euro registrati nell'omologo periodo dell'anno precedente conclusosi poi in vistosa perdita;
   tale andamento negativo, paradossalmente, esclude alcune delle società destinate alla dismissione, come Ansaldo StS e Energia, ed include, in prima fila, alcune di quelle su cui, secondo l'attuale vertice, si dovrebbe concentrare Finmeccanica;
   secondo tutti i qualificati osservatori esterni ed interni sono annidate nel sistema ulteriori perdite per valori superiori a 1,5 miliardi di euro, concentrate nel settore militare e in particolare in Selex ES, derivante dall'integrazione di società tra loro diverse per clienti, prodotti, risultati senza che un piano industriale preventivo ne giustifichi la convenienza (caso più unico che raro nella storia della grande industria internazionale);
   ad avviso degli interroganti, contrasta, con tale precaria condizione economico-finanziaria, lo stato di passività strategica, la paralisi decisionale, l'incertezza manageriale, lo stallo organizzativo, la conflittualità interna, le ambizioni ed i comportamenti autocratici di diversi vertici delle società a cominciare da quello del Gruppo, che è stato in qualche modo occultato dall'attivismo nelle dichiarazioni e nell'attività di comunicazione e di relazione istituzionale del vertice del Gruppo che, con tutta evidenza, appare contraddittorio da oltre diciotto mesi;
   l'intenzione di dismettere i settori trasporti ed energia, in cui operano le uniche imprese del gruppo Finmeccanica che presentano sia andamenti economico-finanziari positivi, sia eccellenti possibilità competitive globali, nonché mercati settoriali internazionali fiorenti e in crescita, appare a tutti gli osservatori specializzati ed indipendenti un fenomeno eclatante di miopia e/o insipienza strategica;
   il disegno rinunciatario della cessione di Ansaldo STS e Ansaldo energia, malgrado annunci e dichiarazioni, non è finora andato in porto, e, per quanto risulta agli interroganti, queste società si sottraggono all'immobilismo soltanto grazie all'attività internazionale svolta dal loro management;
   Ansaldo Breda, ad avviso degli interroganti, non viene né gestita né riorganizzata in attesa di un'improbabile, difficile, costosa cessione, resa ancora più onerosa dal suo crollo di immagine e reputazione sul mercato internazionale causato: a) dallo stallo gestionale; b) dalle dichiarazioni ad avviso degli interroganti avventate e irresponsabili del vertice di Finmeccanica e di altri alti dirigenti del Gruppo circa la inesistente «capacità di fare i treni» dell'impresa ferroviaria; c) dalle gravi carenze in materia di sicurezza e affidabilità testimoniate dal rischio di default dei V250 in Belgio e Olanda, evidenza inconfutabile dell'incapacità tecnico-operativa degli Amministratori delegati dell'ultimo decennio, ivi compreso quello attuale, e della emarginazione e deresponsabilizzazione di tutti i dirigenti e quadri tecnici interni;
   il risultato di tale situazione è che qualsiasi acquirente interessato e capace di intervenire, apportando anche nuove tecnologie, vedi per esempio Hitachi Rail, ponga condizioni preliminari inaccettabili, tra le quali spicca la necessaria riorganizzazione competitiva: una riorganizzazione che da armi viene annunciata dai numerosi vertici operativi di Ansaldo Breda, senza mai però essere realizzata;
   anche laddove detta riorganizzazione dovesse essere, la società verrebbe pagata, nella migliore delle ipotesi, neanche in modo in irrisorio, quasi nulla, e solo a fronte della sottoscrizione di clausole capestro circa i debiti presenti e futuri e l'andamento delle commesse in portafoglio e in acquisizione;
   la dismissione a tali condizioni di una Ansaldo Breda non riorganizzata è visibilmente onerosa e condurrebbe ad assegnare all'acquirente le tecnologie e le commesse, mentre a Finmeccanica le perdite passate, presenti e future;
   secondo quanto risulta agli interroganti da fonti autorevoli, Hitachi Rail trascura il negoziato dopo mesi di due diligence, dimostrando in tal modo l'inconcludenza del vertice di Finmeccanica e di Ansaldo Breda;
   per tutte e tre le società Ansaldo non viene realizzata l'unica soluzione strategica valida: la partnership con player di rango internazionale intrinsecamente associata alla necessaria e possibile riorganizzazione congiunta;
   prosegue invece un'intollerabile passività in attesa di una improbabile o non conveniente dismissione: Energia a Doosan, player privo delle tecnologie innovative necessarie nel prossimo decennio; Breda, e solo se associata a StS, a Hitachi o altri player;
   in tale condizione Ansaldo StS ed Ansaldo Energia differiscono la indispensabile ricerca di accordi internazionali di partnership e Breda, non riorganizzata e non gestita, reitera le sue perdite inerziali;
   il progetto denominato SuperSelex ha generato il già citato mostro Selex ES, organizzativamente incontrollabile, economicamente ignoto, in cui post-merging e riorganizzazione sono stati affidati non a dirigenti tecnologici e ingegneristici ma a dirigenti delle risorse umane, incapaci di esaminare i portafogli tecnologie e prodotti delle tre società preesistenti eppure iperattivi nella riorganizzazione passiva, ovvero nell'individuazione di esuberi, come se il rilancio di efficienza e competitività di un gruppo iper-tecnologico come Selex possa prescindere dalla riorganizzazione innovativa del portafoglio tecnologie e prodotti e dei processi di ricerca e sviluppo, progettazione, ingegnerizzazione;
   la realizzazione del programma Boeing 787 Dreamliner – in cui Alenia Aermacchi è risk sharing partner di Boeing – nelle unità operative di Grottaglie (Taranto), Foggia e Pomigliano (Napoli), a oltre tre anni dal Primo Volo (15 dicembre 2009), oltre quattro anni dal PPV (pre-production verification), oltre sette anni dall'inizio della costruzione dello Stabilimento di Grottaglie, preoccupa a tal punto Boeing Aerospace da spingerla a: mantenere circa 200 ingegneri residenti per seguire l'andamento delle operazioni (engineering, manufacturing, quality) in loco; costruire una linea di back up per la sezione di fusoliera 46 (Grottaglie), lo stabilizzatore (Foggia) e le altre parti minori (Pomigliano); affiancare fornitori statunitensi agli inaffidabili fornitori italiani, storicamente protetti da accordi privilegiati industrialmente ingiustificabili;

   la politica di reindustrializzazione perseguita dagli Stati Uniti rende la possibilità di una riacquisizione Boeing dei componenti prodotti da Alenia Aermacchi per il B787 un'eventualità sempre meno remota;
   l'ipotesi di accordo tra BAE systems e EADS, resa nota a suo tempo sui siti ufficiali delle due imprese, anche se successivamente sospesa, è sufficiente a mostrare la marginalizzazione del Gruppo italiano dalle chances, dal rango, dalla stessa presenza quale player globale nel sistema competitivo mondiale dell'alta tecnologia, che non si limita ad Aerospazio, difesa e sicurezza ma include energia e trasporti;
   il Ministro dell'economia e delle finanze pro tempore aveva manifestato per iscritto, circa i manager pubblici indagati, e senza specifico riferimento a Finmeccanica, quanto segue: «Reputo opportuno che, in disparte la possibilità delle dimissioni spontanee dei soggetti coinvolti, venga adottata, nell'esercizio dei poteri dell'azionista, ogni iniziativa affinché gli organi societari, nel rispetto delle proprie competenze, effettuino i dovuti approfondimenti istruttori»; chiedendo inoltre che «si abbia cura di adottare i provvedimenti più opportuni per garantire l'efficienza delle aziende e l'immagine delle stesse, al fine di preservare il valore delle società e tutelare i diritti dell'azionista»; è infine giunto ad evocare l'eventuale sussistenza dei presupposti per promuovere da parte degli azionisti «l'azione sociale di responsabilità»;
   come noto, il vertice del gruppo è stato sostituito a seguito dell'intervento della magistratura e non certo grazie ad un intervento risolutivo del precedente Governo, nonostante il Ministero dell'economia e delle finanze rappresenti il principale azionista di Finmeccanica con una quota pari al 32,45 per cento della società e che tale partecipazione è soggetta alla disciplina dettata dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 28 settembre 1999, secondo cui tale quota non può scendere al di sotto della soglia minima del 30 per cento del capitale sociale. In buona sostanza, nessun altro azionista può detenere una quota del capitale di Finmeccanica superiore al 3 per cento senza l'approvazione del Ministero dell'economia e delle finanze;
   ad avviso degli interroganti, anche l'avvicendamento nella posizione di amministratore delegato non è stato determinato dal Governo per i disastrosi risultati economici e gli eclatanti errori strategici, interamente condivisi dal consiglio di amministrazione vigente, dal vertice precedente e da quello attuale, ma a causa delle intervenute vicende giudiziarie che tutti conoscono;
   l'attuale Governo ha reso noto che: «Il Ministero dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Presidenza del Consiglio dei ministri, intende definire procedure trasparenti per la nomina di amministratori nelle società controllate e criteri generali di valutazione delle candidature volti ad assicurare la qualità professionale e la competenza tecnica dei prescelti» come si desume dal comunicato del Ministero dell'economia e delle finanze del 28 maggio 2013 a proposito del rinvio delle nomine previste nell'assemblea di Finmeccanica del 30 maggio 2013;
   tutti i manager operativi di società sono stati esclusi dal vertice di gruppo dalle fallimentari decisioni strategiche finora perseguite e tuttora non smentite;
   è notorio ed evidente che il descritto stato di paralisi decisionale e strategica di cui alle premesse precedenti induce e produce esodi forzati e volontari di risorse pregiate, demotivazione e demoralizzazione diffuse in tutti i livelli e funzioni della struttura organizzativa e in tutti i settori della struttura strategica con costi patrimoniali (capitale umano) immediati e danni mici inevitabili e fatali –:
   quali iniziative urgenti intenda assumere il Governo, in qualità di azionista di riferimento di Finmeccanica, per contrastare
e ribaltare il corso autodistruttivo in atto del principale Gruppo industriale italiano dell'alta tecnologia;
   quali iniziative intenda adottare per conoscere dagli attuali vertici di Finmeccanica e delle società di primo livello controllate (Agusta Westland, Alenia Aermacchi, Ansaldo Energia, Ansaldo Sts, Ansaldo Breda, DRS Technologies, Selex Electronic Systems) quali siano le realistiche prospettive di risultato economico per il 2013;
   quali atti di competenza intenda assumere per incoraggiare e indirizzare la ricerca di partner competitivi di rango internazionale per Ansaldo Breda, Ansaldo Energia, Ansaldo Sts alla luce di quanto descritto dalla presente interrogazione;
   se non si ritenga opportuno avviare una valutazione approfondita sulla precaria condizione economica, strategica, organizzativa, tecnica e operativa in cui versa Selex attualmente;
   se intenda verificare, anche attraverso l'audizione presso il Ministero dello sviluppo economico dei vertici Boeing, la reale condizione – opportunità e minacce, possibilità e rischi – di un programma di vitale importanza per l'industrializzazione del Mezzogiorno quale il Boeing 787 Dreamliner;
   se intenda verificare se Finmeccanica sarebbe in grado di sopportare, nell'attuale condizione di difficoltà economico-finanziaria, il costo economico di un'eventuale decisione di Boeing di sottrarre il Programma 787 Dreamliner ad Alenia Aermacchi per effetto della sua manifesta incapacità sia di gestire il sistema logistico e la produzione di Grottaglie sia di rispettare il piano mondiale di programma;
   quali iniziative intenda assumere per invertire il processo di esclusione di Finmeccanica dal ruolo di player del sistema competitivo mondiale dell'Alta Tecnologia, processo esibito con ogni evidenza dall'estraneità dei vertici del Gruppo ai movimenti in corso nelle aggregazioni industriali europee di rango mondiale;
   quali iniziative intenda assumere per arrestare il processo di degrado del capitale umano del Gruppo a livello manageriale, tecnico, operativo, con particolare riferimento ai giovani laureati e diplomati (dirigenti, impiegati e operai) che forniscono quotidianamente un contributo professionale ed etico prezioso nelle attività di progettazione, industrializzazione, produzione;
   se il Governo non ritenga opportuno, in qualità di azionista di riferimento di Finmeccanica, e quindi un gruppo complesso per mercati, aree d'affari, tecnologie, sistemi e prodotti, promuovere la costituzione una struttura organizzativa più articolata rispondente alla struttura strategica, in cui possano avere maggior rilievo decisionale i responsabili delle Società operative, oggi esclusi da qualsiasi decisione strategica;
   quali azioni intenda intraprendere il Governo per tutelare la reputazione internazionale del Gruppo e delle sue Società, alla luce degli scandali giudiziari che hanno investito il Gruppo Finmeccanica;
   se alla luce della condizione descritta, esposta a seri problemi di sopravvivenza del Gruppo Finmeccanica stesso ma anche a preziose opportunità future, l'attuale consiglio di amministrazione di Finmeccanica ed il suo amministratore delegato siano ancora da ritenersi meritevoli di guidare il Gruppo stesso;
   se non si ritenga quanto mai utile e necessario ragionare nella prospettiva di un radicale cambiamento manageriale, a partire dalla decadenza dell'attuale consiglio di amministrazione e dalla nomina di un nuovo vertice che risponda seriamente ai requisiti preannunciati dal Ministero dell'economia e delle finanze il 29 maggio 2013;
   quali azioni urgenti il Governo intenda assumere, inoltre, affinché Finmeccanica modifichi la propria strategia industriale attraverso investimenti ed anche con trasferimento di tecnologie dal militare al civile. (3-00135)

Interrogazioni a risposta scritta:

   PARENTELA, NESCI, BARBANTI, DIENI, ZOLEZZI, DE ROSA, DAGA, SEGONI, TERZONI, TOFALO, GALLINELLA, GAGNARLI, L'ABBATE, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI e LUPO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto n. 468 del 2001 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare l'ex area industriale di Crotone è inserita nei siti di interesse nazionale (SIN);
   tale area si estende su una superficie molto vasta, di cui circa 80 ettari rappresentano le aeree delle ex fabbriche Pertusola, Agricoltura, Fosfotec e Sasol, oltre a due discariche messe in «sicurezza permanente» (oggetto di inchiesta giudiziaria a causa della tipologia dei rifiuti interrati);
   dopo una serie di conferenze di servizi decisorie, nel 2008 è stato affidato alla Syndial Spa, società del gruppo ENI che si occupa di bonifiche e di siti dismessi, il progetto operativo di bonifica (POB), che riguarda i siti di Pertusola, Agricoltura, Fosfotec e la discarica di servizio in località «Armeria»;
   l'attuale progetto operativo di bonifica (POB) come obiettivo principale non ha il recupero dell'area ma una messa in sicurezza permanente di gran parte dei suoli, ad eccezione di una decina di ettari, sui quali sono previste procedure come la «fitorimediazione» e la «rimediazione elettrocinetica» (EKRT);
   nelle aree interessate dalla messa in sicurezza permanente la concentrazione media del piombo è 5.888 mg/kg, l'arsenico è 320 mg/kg e il cadmio è 240 mg/kg;
   le tecniche non possono essere applicate con successo sul sito di Pertusola, che da solo costituisce la metà dell'area industriale, perché sono state proposte su terreni in cui la concentrazione di metalli pesanti ed arsenico è troppo elevata e, a parere degli interroganti, rischiano di compromettere irrimediabilmente lo sviluppo di un'area confinante con la città, oltre a fare ipotizzare potenziali gravi ripercussioni di carattere sanitario/epidemiologico/ambientale;
   la tecnica della messa in sicurezza permanente è prevista: «...nei casi in cui, nei siti non interessati da attività produttive in esercizio, non sia possibile procedere alla rimozione degli inquinanti pur applicando le migliori tecnologie disponibili a costi sopportabili» (decreto legislativo n. 152 del 2006, allegato 3, parte IV);
   un'altra area di Crotone, di analoghe dimensioni, denominata «area archeologica» e ricadente anch'essa in area SIN, è destinataria di un finanziamento con delibera CIPE di circa 100 milioni di euro, ed è attualmente interessata da un parziale progetto di bonifica finanziato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dalla regione Calabria attraverso l'APQ (accordo di programma quadro) stipulato tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero dello sviluppo economico e regione Calabria «tutela e risanamento ambientale nel territorio della regione Calabria del 28 giugno 2006» per un importo pari a 10.964.447 euro complessivi, di cui 6.964.000 finanziati attraverso l'APQ e la rimanente parte a carico del solo Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Questo finanziamento è stato attualmente revocato, per decorrenza dei tempi di attuazione, ma la gara d'appalto è stata svolta e regolarmente vinta da una ATI;
   la caratterizzazione del sito «area archeologica» è stata effettuata antecedentemente all'entrata in vigore della legge quadro decreto legislativo n. 152 del 2006 in base alla quale, per i siti potenzialmente contaminati, l'analisi di rischio non era prevista. Dai risultati delle caratterizzazioni dell'area archeologica, emerge che dei circa 80 ettari risultano effettivamente contaminati solo 22,5 ettari, pari al 27,6 per cento del totale. Più specificatamente, sulla base dei 77 sondaggi eseguiti in assenza di analisi di rischio: 29 risultano non contaminati, 23 risultano contaminati almeno da cadmio e quindi da bonificare, 25 risultano potenzialmente contaminati soltanto da zinco (se fosse stata fatta l'analisi di rischio sito-specifica, a parere degli interroganti anche questa parte risulterebbe da non bonificare) –:
   se non ritengano opportuna la realizzazione di un quadro programmatico che individui scadenze e capisaldi per le attività di bonifica delle aree ricadenti nel comune di Crotone per le quali al momento sono state contrattualizzate azioni prive di ogni efficacia se non realizzate secondo le procedure di bonifica ambientale previste dal decreto legislativo n. 152 del 2006 e pertanto previa applicazione delle opportune «analisi di rischio»;
   se non ritengano opportuno verificare le procedure che hanno consentito l'approvazione del progetto di bonifica del sito ex industriale, sul quale giacciono almeno 528.000 tonnellate di rifiuti pericolosi e 410.000 tonnellate di rifiuti non pericolosi che, in base al progetto di bonifica approvato, rimarranno intatte su quello stesso suolo (circa 80 ettari), tenendo conto che sul sito di Pertusola sono concentrate la maggior parte delle sostanze pericolose e la bonifica in corso prevede, solo su 10 dei circa 50 ettari, tecniche di bonifica come la «fitorimediazione» i cui tempi effettivi, dimostrabili scientificamente, sarebbero pari all'incirca a 4.000 (quattromila) anni, tempi che nel progetto in corso sono indicati in soli 10 anni, nonché «rimediazione elettrocinetica» che non ha alcun effetto di bonifica sull'arsenico, semimetallo presente sul sito in concentrazioni elevatissime;
   se non sia opportuno intervenire per l'attuazione coordinata dei piani organici di sviluppo e riqualificazione delle aree ricadenti nel comune di Crotone interessate alle operazioni di bonifica, con azioni permanenti di monitoraggio e controllo;
   per quale motivo, se il progetto di bonifica prevede aree di interventi con la fitorimediazione e la rimediazione elettrocinetica, le stesse tecniche non vengano applicate nelle aree interessate semplicemente dalla messa in sicurezza permanente. (4-00950)

   MOLTENI e MATTEO BRAGANTINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri, riunitosi il 15 giugno 2013, ha approvato un decreto-legge recante misure urgenti in materia di crescita;
   nel comunicato stampa n. 9 del Consiglio dei ministri, in cui si da notizia del varo di tale decreto e dei suoi contenuti, si può leggere al capitolo «impresa»: «10) Certificati medici inutili. Sono eliminate tutte le certificazioni mediche oggi necessarie per accedere a impieghi pubblici e privati»;
   i bandi per la selezione di volontari da impiegare in progetti di servizio civile in Italia e all'estero, ai sensi della legge n. 64 del 2001, prevedono che i candidati utilmente collocati nelle graduatorie producano un «certificato medico di idoneità fisica, rilasciato dagli organi del servizio sanitario nazionale» –:
   se il Governo non ritenga opportuno avviare azioni immediate affinché nel prossimo bando per la selezione di volontari in servizio civile, previsto per il mese di settembre 2013, sia eliminato l'obbligo, da parte dei giovani utilmente selezionati, di produrre il certificato medico di idoneità indicato in premessa. (4-00963)

AFFARI ESTERI

Interpellanza:

   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro degli affari esteri, per sapere – premesso che:
   il Parlamento russo ha approvato l'11 giugno con 436 voti a favore e un solo astenuto, la legge che vieta la propaganda omosessuale tra i minori, come reso noto da Yelena Mizulina, presidente della Commissione affari di famiglia;
   la legge approvata in seconda e terza lettura insieme dalla maggioranza della Duma mette al bando la promozione di «comportamenti sessuali non tradizionali», come è stato definito dalle autorità, tra i minori;
   la dizione utilizzata dalla legge rivela la profonda omofobia diffusa nelle istituzioni russe, le quali apparentemente condannando i comportamenti sessuali, intendono condannare l'orientamento sessuale delle persone;
   in base al testo, la promozione dei rapporti «non tradizionali» tra gli adolescenti – vale a dire «la diffusione di informazioni volte a promuoverli» – è punibile con multe sino a un milione di rubli (23 mila euro). La norma può comportare anche la sospensione delle attività delle persone giuridiche per un massimo di 90 giorni;
   il provvedimento è stato fortemente criticato dalle associazioni per i diritti delle persone omosessuali. Prima del voto, secondo quanto riferito dall'agenzia di stampa russa Interfax, in un picchetto di protesta organizzato sotto l'edificio del Parlamento nel centro di Mosca, un gruppo di nazionalisti ortodossi si è scontrato con gli attivisti per i diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali (LGBT), portando all'arresto da parte delle forze di polizia di circa 20 manifestanti;
   la paura delle associazioni è che con il passaggio della nuova legge le persone omosessuali siano più esposte ad attacchi e discriminazioni;
   Human Rights Watch parla di «una discriminazione e una violazione dei diritti umani fondamentali delle persone LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender). Cercare di escluderli come “non tradizionali” è cercare di renderli meno che umani. Cinico, e pericoloso»;
   dubbi ha espresso anche il commissario russo per i diritti umani Viadimir Lukin: «una applicazione crudele e imprudente della legge potrebbe portare a perdite e tragedie umane»;
   l'omosessualità era reato nel Paese fino al 1993, malattia mentale fino al 1999 e l'omofobia resta diffusa;
   a maggio due giovani sono stati uccisi dopo aver fatto «coming out»;
   il capo del partito di opposizione Yabloko Serghiei Mitrokhin ha bollato come «Inquisizione» le due leggi: «lo Stato sta cercando di prendere le distanze dai valori liberali europei»;
   la Germania, tramite il suo Ministro degli esteri Guido Westerwelle, politico apertamente omosessuale, si è detta «preoccupata» sul progetto di legge che in Russia punta a vietare la propaganda dell'omosessualità tra i minori. Westerwelle, in un comunicato, si è detto «molto preoccupato» e ha aggiunto che il suo ministero aggiornerà le guide per i viaggiatori, mettendo in guardia i connazionali che si recano nel paese dal progetto di legge che riguarda anche gli stranieri;
   «Non smettiamo di sperare che il Governo russo, la Duma, voglia ancora sospendere questa decisione», ha commentato il portavoce di Merkel, Steffen Seibert, nel corso di un briefing con la stampa (fonte afp);
   l'ambasciatore americano Michael McFaul si è detto «preoccupato» perché, secondo lui, il divieto di propaganda omosessuale in Russia, «contraddice lo spirito di una società democratica». Il capo missione lo ha dichiarato su Twitter in russo –:
   quali iniziative intenda assumere l'Italia nei confronti della Russia affinché siano rispettati i fondamentali diritti umani delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali e la libertà di manifestazione in qualunque sua espressione, incluso i Gay Pride;

   come il Governo italiano intenda proteggere le cittadine e i cittadini omosessuali italiani che si recano in Russia.
(2-00108) «
Zan».

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanze:

   La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   la linea Milano Genova è inserita tra i 30 progetti prioritari europei approvati dall'Unione Europea il 29 Aprile 2004, n. 24 «Asse ferroviario Lione/Genova-Basilea-Duisburg–Rotterdam/Anversa» come progetto europeo Nord-Sud Genova-Rotterdam;
   la tratta Milano-Genova «Terzo Valico dei Giovi» fa riferimento al progetto relativo alla linea ferroviaria alta capacità/velocità che metterà in collegamento Genova con Tortona, da un alto, e con Novi Ligure, dall'altro;
   con delibera CIPE n. 80 pubblicata su Gazzetta Ufficiale n. 197 del 25 agosto 2006 è stato approvato il progetto definitivo del «Terzo Valico dei Giovi Linea AV/AC Milano Genova»;
   tale opera consentirà di realizzare una rapida connessione tra il capoluogo ligure e le principali linee ferroviarie del Nord Italia, configurandosi come connessione diretta del corridoio 5 con i porti liguri;
   con il terzo Valico il Porto di Genova si doterà di una via di accesso privilegiata per il trasferimento delle merci verso l'area padana ed il nord Italia, consentendo altresì un significativo spostamento di una parte di traffico commerciale del trasporto su gomma a quello a rotaia contribuendo, con ciò, ad aumentare la capacità di smaltimento, via ferrovia, dei traffici portuali di Genova. Secondo i dati di TAV SpA l'attuale sistema dei collegamenti ferroviari tra Genova e il Nord Italia/Europa non sarà più sufficiente a garantire la domanda a partire dal 2015 circa;
   con tale intervento infrastrutturale sarà inoltre possibile, per il porto di Genova e per la regione Liguria consolidare un ruolo nazionale ed internazionale nei traffici marittimi che vedono lo scalo del capoluogo ligure quale nodo di scambio strategico per le principali compagnie armatoriali mondiali, al fine di sviluppare linee di traffico che interessino non solo il bacino del mediterraneo ma tutte le linee commerciali da e per il Far-East, da e per il Middle East, da e per il Nord e Centro America, senza contare tutte le principali destinazioni del continente africano e di quello australe;
   a seguito di quanto stabilito con la legge n. 191 del 23 dicembre 2009, all'articolo 2 commi 232 e 233, la realizzazione della tratta AV/AC Terzo Valico dei Giovi prevede la suddivisione dell'opera, da un punto di vista tecnico, economico e temporale, in 6 lotti costruttivi, individuati in relazione ai finanziamenti disponibili, di cui alla delibera CIPE 101/2009 e di cui alla delibera CIPE 84/2010;
   di questi lotti il primo ed il secondo sono già interamente finanziati a valere della delibera richiamata del CIPE;
   relativamente allo smaltimento ed alla definitiva collocazione dei materiali di risulta provenienti dall'escavazione delle gallerie, la delibera CIPE n. 80 Pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 197 del 25 agosto 2006 prevede, nella parte prima, par. 3 lettera K) che «tenendo conto delle previsioni del progetto definitivo e di quanto rappresentato dalla regione Liguria, il soggetto aggiudicatore, la regione Liguria, la provincia di Genova, i comuni interessati, l'Autorità Portuale e quanti altri specificamente competenti dovranno stipulare apposita convenzione, senza oneri aggiuntivi per il soggetto aggiudicatario rispetto a quelli stimati per il progetto definitivo, che include unicamente oneri di trasporto fino al Porto di Genova, per disciplinare l'utilizzo ai sensi della Legge 443/2001 del materiale proveniente dagli scavi del Terzo Valico, mediante abbancamento del materiale stesso, nell'ambito dei progetti relativi agli adeguamenti del Porto di Genova»;
   con riferimento a quanto sopra descritto, desta viva preoccupazione quanto letto su un articolo del Secolo XIX del 18 Giugno 2013 dal titolo: «Senza i soldi del ribaltamento a mare più difficile stoccare il materiale di scavo», in cui il Presidente dell'Autorità Portuale di Genova evidenzia le criticità nascenti da una distrazione dei fondi per il secondo lotto del Terzo Valico ad altre priorità infrastrutturali voluta dal Governo nell'ambito del decreto-legge cosiddetto «FARE», che potrebbero mettere in dubbio la corretta scansione temporale dei finanziamenti generando incertezza negli operatori, negli investitori internazionali interessati allo sviluppo del Porto di Genova ed al suo ruolo di nodo logistico per il Nord-Italia;
   a tutt'oggi il Ministero dell'economia e delle finanze è inadempiente rispetto al finanziamento di 70 milioni, garantito dall'accordo di programma firmato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dal Ministero dello sviluppo economico e successivamente confermati ed inseriti nel decreto Milleproroghe di Gennaio 2011, ma mai arrivati all'Autorità Portuale di Genova per mancata attuazione da parte del Ministero dell'economia e delle finanze;
   alla luce della citata incertezza sui finanziamenti al terzo valico, alla luce altresì della mancata corresponsione alla autorità portuale di Genova dei citati e promessi 70 milioni di euro diventa impossibile per la stessa avere la copertura finanziaria necessaria per l'avvio delle procedure prodromiche al ribaltamento a mare del materiale e conseguentemente l'impossibilità di utilizzare tale iniziativa quale deposito per lo smarino delle opere cantierate del Terzo Valico;
   la regione Liguria ha dovuto con ciò individuare altri siti per lo smarino e conseguentemente le imprese che costruiscono il terzo valico hanno dovuto riscrivere i Piani di utilizzo dei terreni perché nel frattempo era intervenuto un regolamento del Ministero dell'ambiente in materia –:
   se, per quanto di rispettiva competenza, non ritengano di procedere allo sblocco dei 70 milioni di euro per il finanziamento del ribaltamento a mare e nel contempo se non si intenda provvedere a trovare una soluzione ai Piani di utilizzo dei Terreni ed, in ultimo, se non ritengano di fornire garanzie in merito al finanziamento del secondo lotto di lavori relativi al Terzo Valico dei Giovi, con specifiche garanzie legate alle modalità di finanziamento della intera opera secondo la scansione temporale e progettuale già definita ed assunta dallo stesso Ministero nei confronti di tutti i soggetti interessati.
(2-00106) «
Oliaro».

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   la mattina del 19 giugno 2013, presso lo stabilimento di proprietà della società ACEA, sito a Paliano (FR), località castellaccio, per ragioni ancora sconosciute è scoppiato un grave incendio che ha colpito le balle di rifiuti urbani pronti per la lavorazione e trasformazione in combustibile da rifiuto (CDR);
   a seguito di tale incendio, si è sprigionata una vasta nube di colore nero che si è rapidamente estesa su tutto il territorio tra i Comuni di Paliano e Anagni, sulla cui reale composizione ed eventuale nocività non è stata diffusa alcuna notizia;
   lo spegnimento dell'incendio è stato possibile solo dopo molte ore grazie al lavoro dei Vigili del Fuoco accorsi sul sito;
   lo stabilimento è ubicato in un territorio già altamente compromesso sotto un profilo ambientale per le conseguenze di una industrializzazione selvaggia degli scorsi anni che non teneva in considerazione le conseguenze ambientali del proprio agire;
   proprio a causa di tale degrado, il territorio della Valle del Sacco veniva dichiarato in passato sito di interesse nazionale ai fini della bonifica ambientale;
   l'incendio presso lo stabilimento Acea è dunque solo l'ultimo di una serie di eventi, calamità e problemi che hanno colpito l'area della Valle del Sacco;
   con un decreto del Ministero dell'ambiente di marzo 2013, il sito veniva declassificato da sito di interesse nazionale a sito di interesse regionale, senza che nel frattempo fossero fatte tutte quelle opere di bonifica necessarie a ripristinare lo stato dei luoghi –:
   di quali elementi dispongano in relazione a quanto esposto in premessa, in particolare circa la reale composizione della nube sprigionatasi a seguito dell'incendio presso lo stabilimento di proprietà dell'ACEA situato a Paliano (FR), località Castellaccio e la sua eventuale nocività per la salute delle popolazioni circostanti;
   se non si ritenga necessario, alla luce delle considerazioni di cui in premessa, ricondurre l'area della valle del Sacco nell'ambito dei siti di interesse nazionale ai fini della bonifica ambientale.
(2-00107) «
Pilozzi, Piazzoni, Zaratti».

Interrogazione a risposta scritta:

   BIONDELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Cressa in provincia di Novara, nella zona adiacente alla stazione ferroviaria, vi è un'area denominata «Ex Mulino Saini» entro la quale vi è un edificio storico risalente al 1922. Un mulino che per l'epoca, era considerato uno dei più grandi d'Europa per la lavorazione del grano tenero, considerato che con la ristrutturazione del 1935, questo si era ingrandito andando a triplicare la sua attività diventando centro di smistamento per i paesi limitrofi;
   si tratta di un edificio che durante il periodo della guerra divenne centro di raccolta del grano e per la macinazione del riso;
   nell'anno 1961 il Molino diventò mangimificio e nel novembre dello stesso anno subì un incendio che lo danneggiò in parte. Fu ristrutturato e nel 1964 diventò proprietà del Consorzio agrario di Novara. In epoca più recente il Mulino ridusse la sua attività e finì ad essere solo punto di distribuzione per poi essere definitivamente chiuso;
   durante gli anni sono stati aggiunti impianti e strutture edilizie divenendo per il comune di Cressa e i cressesi un punto di riferimento di orgoglio e di lavoro;
   ora da qualche decennio versa in stato di abbandono pressoché totale. Le strutture si stanno lentamente degradando sia a causa delle condizioni climatiche che per intervento diretto dell'uomo. Gli amministratori locali sono fortemente preoccupati per lo stato di sicurezza dei luoghi, soprattutto per i residenti della zona (si contano diverse famiglie nel circondario) che non mancano di segnalare una situazione di totale degrado con diverse lettere di reclamo;
   l'amministrazione comunale cressese è, inoltre, a conoscenza della presenza di coperture in amianto nella zona nord del complesso. Coperture che oramai manifestano un evidente stato di sgretolamento dell'eternit. Benché, non si è oggi in grado di conoscere con esattezza la data dell'installazione dell'eternit si calcola che queste coperture hanno un'età che si aggira intorno ai 30 anni senza aver mai ricevuto nessun intervento né di smaltimento e nemmeno di rivestitura. Periodo che secondo il protocollo relativo alle coperture in amianto presente all'interno del decreto della direzione generale di sanità del 18 novembre 2008, è ampiamente sufficiente ad obbligare un intervento di bonifica;
   la presente amministrazione comunale, così come le precedenti, a partire dal 2003, ha richiesto più volte alla proprietà di interessarsi per un intervento di bonifica. Ci si è rivolti in precedenza ai Commissari liquidatori del Consorzio agrario provinciale di Novara intervenuti nella gestione dello stesso nei primi anni 2000 e, dal 2007 (fino ad oggi giugno 2013), al nuovo consiglio di amministrazione che si è poi andato ad insediare ottenendo solo nel 2007 un incontro e nel 2010 una presa di impegno da parte del nuovo consiglio di amministrazione a rimuovere erbacce e la vegetazione in eccesso che avrebbe comportato il proliferare di insetti e topi;
   il 6 aprile del 2006 è stato effettuato anche un sopralluogo da parte dell'asl Novara, un sopralluogo che non è stato soddisfacente in quanto i proprietari non si sono presentati e gli operatori hanno potuto solo limitarsi ad un controllo esterno. Come indicato dalla relazione degli operatori S.I.S.P. A.S.L. 13 (Rif Prot. SISP/B n. 17264 dell'11 aprile 2006), non si è riscontrata la presenza di roditori o altri animali nocivi; tuttavia si segnalò, in quell'occasione, che la situazione di degrado ed abbandono riscontrati andavano a creare le condizioni favorevoli all'insediamento di questi animali nocivi. La stessa relazione si concluse con l'invito ad «emettere adeguato provvedimento Sindacale affinché i soggetti interessati provvedessero alla rimozione del materiale depositato, nonché ad un intervento di manutenzione-pulizia del terreno»;
   gli stessi amministratori comunali hanno manifestato tutta la loro preoccupazione per le implicazioni sanitarie che la presenza di amianto in tale stato di degrado potrebbe avere sulla popolazione alla proprietà non ottenendo adeguate risposte a garanzia di un intervento di bonifica. Inoltre, gli amministratori non sono a conoscenza di quanti e quali materiali siano rimasti stoccati all'interno dell'area. Si tratta di pericoli che si sono amplificati nel momento in cui la recinzione che delimita l'area è stata trovata abbattuta in più punti, facendo così presupporre che persone estranee siano penetrate negli stabili;
   l'Italia è uno dei Paesi in cui il consumo, la produzione e l'importazione di amianto, sono stati tra i più alti del mondo, poiché ne è stato fatto un uso massiccio e indiscriminato fino al 1992, quando la legge n. 257 lo ha vietato;
   a tutt'oggi, nonostante il divieto di utilizzo dell'amianto risalga al 1992, vi sono ancora molti siti che debbono essere messi in sicurezza come l'area dell'ex Molino Saini –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, per quanto di loro competenza, ritengano opportuno adottare per fare in modo che i terreni e tutta l'area venga bonificata dall'amianto così come previsto dalla normativa nazionale in materia tutelando in ultima analisi la salute delle popolazioni ivi residenti come previsto dalla Costituzione. (4-00949)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta scritta:

   CARRESCIA, MANZI e LODOLINI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   la legge 25 novembre 1999, n. 452, ha istituito il museo tattile statale Omero con l'obiettivo di promuovere la crescita e l'integrazione culturale dei minorati della vista e diffondere tra essi la conoscenza della realtà, attraverso la raccolta di materiali, oggetti o riproduzioni delle diverse forme di arti plastiche e delle manifestazioni storico-culturali dell'organizzazione dell'ambiente, dello spazio e della vita dell'uomo;
   nell'estate del 2012 il museo ha iniziato il trasferimento nelle settecentesche sale della Mole Vanvitelliana di Ancona, rendendo fruibile parte della collezione permanente attraverso un percorso espositivo innovativo e multisensoriale, tecnologicamente avanzato e articolato su 1500 metri quadri per un totale di circa 300 opere e attivando il centro di documentazione e ricerca, i laboratori didattici, gli uffici;
   come noto, il museo Omero rappresenta un'eccellenza nel panorama museale nazionale e uno dei pochi esperimenti a livello europeo; svolge un'insostituibile funzione culturale e sociale consentendo l'esercizio del diritto universale alla fruizione dei beni culturali per i disabili visivi. Per tali caratteristiche è diventato meta per migliaia di visitatori ogni anno nonché il punto di riferimento per la ricerca scientifica sull'estetica della tattilità e, in collaborazione con l'ENEA e importanti imprese, per l'innovazione tecnologica finalizzata all'autonomia di ciechi e ipovedenti;
   il comma 250 dell'articolo 2 della legge finanziaria per il 2010 – legge n. 191 del 2009 – e il successivo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 195 del 2010 – hanno previsto l'erogazione di circa 1 milione di euro a sostegno delle attività del Museo Omero fino all'anno 2012;
   dal 2012 non risulta alcuna proroga dei succitati fondi e in mancanza di finanziamenti il Museo Tattile Omero rischia di dover cancellare gran parte delle sue attività che non si limitano solo al lavoro museale, ma che comprendono anche quelle didattiche, di formazione e di servizi educativi rivolti alle scuole di ogni ordine e grado, regionali ed extraregionali –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di assicurare la continuità operativa del museo tattile statale Omero che garantisce la crescita e l'integrazione culturale dei minorati della vista, attraverso l'individuazione di risorse certe ed adeguate alle sue caratteristiche e al ruolo che riveste nel panorama nazionale. (4-00952)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:

   PISICCHIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il territorio del Gargano, com’è noto, rappresenta un'oasi naturalistica di rara bellezza ed uno dei punti di forza di una regione, quella pugliese, che trova nel turismo una voce rilevantissima per la sua economia, felicemente in controtendenza rispetto al quadro di difficoltà in cui versa l'intero Paese;
   in particolare nell'area della Capitanata provata in modo profondo dalla crisi anche nel tradizionale comparto dell'agricoltura, il turismo insieme con l'enogastronomia, potrebbe rappresentare davvero una voce fondamentale per la prospettiva di ripresa, assecondando una vocazione del territorio forte e antica;
   fin dagli anni sessanta, infatti, il Gargano ha rappresentato con il suo mare, le sue bellezze naturali, le sue suggestioni, una meta del turismo internazionale grazie anche alla allocazione di importanti insediamenti alberghieri, e questo nonostante la difficoltà logistica derivante da collegamenti difficili e da una viabilità impervia;
   più recentemente la permanenza nella difficoltà dei collegamenti via terra, legati anche alla particolare conformazione orografica del territorio che peraltro è elemento costitutivo della sua bellezza naturalistica, insieme con lo sviluppo delle linee di collegamento via mare e via elicottero con le isole Tremiti, hanno concorso a deprimere le possibilità dell'area garganica, fino a configurarla quasi come un'appendice delle isole adriatiche dal punto di vista turistico;
   un sensibile miglioramento dell'economia legata ai flussi turistici nell'area sarebbe sicuramente promossa, come sottolineano i sindaci delle città garganiche, da un collegamento aereo che potrebbe rappresentare, soprattutto nei mesi estivi, ma anche in altre stagioni, considerati i considerevoli flussi di turismo religioso legati al culto di S. Pio, nella vicina San Giovanni Rotondo, un tonico straordinario per il territorio;
   l'indicazione dei sindaci garganici volta all'utilizzo di uno scalo già operativo, fa riferimento all'aeroporto militare di Amendola, a nord del capoluogo daino, che potrebbe rappresentare lo scalo di riferimento per tutta l'area;
   esempi di utilizzo di scali militari per scopi civili, sono diversi nella storia aeroportuale del territorio italiano: Ciampino è uno di questi, scalo oggi privilegiato da voli charter e compagnie low cost. Un altro importante esempio è rappresentato da Pisa che, peraltro, non ha perso il suo status militare privilegiato di Main Operative Base, pur facendo registrare un imponente traffico civile pari a 4 milioni di passeggeri annui –:
   quali iniziative il Ministro intenda assumere per consentire attraverso la disponibilità dello scalo di Amendola per uso civile, favorendo lo sviluppo turistico del territorio garganico. (4-00941)

   MARCOLIN. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il Presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia, Deborah Serracchiani, avrebbe indirizzato al Ministro della difesa una lettera in cui si proporrebbe di disporre il trasferimento a Gorizia del Multinational Cimic Group della Nato, basato attualmente a Motta di Livenza in provincia di Treviso;
   nella missiva, che appare di per sé irrituale, il presidente della regione Friuli-Venezia Giulia asserirebbe che la necessità del trasloco sorgerebbe dai danni riportati nel 2010 dalla caserma che ospita a Motta di Livenza il Multinational Cimic Group della Nato;
   il Multinational Cimic Group è un'unità alleata assimilabile ad un reggimento, specializzata nella cooperazione tra civili e militari nei teatri di crisi come l'Afghanistan, che viene alimentata con personale volontario proveniente da tutte le Armi e corpi dell'Esercito italiano nonché dalle Forze armate di Grecia, Ungheria, Portogallo e Romania;
   l'iniziativa del presidente della regione Friuli-Venezia Giulia ha destato sorpresa e meraviglia nel territorio trevigiano, inducendo il presidente della regione Veneto, Luca Zaia, ed il sindaco di Motta di Livenza, Paolo Speranzon, a sottolineare con propri comunicati come la caserma che ospita il Multinational Cimic Group non abbia riportato alcun danno nel 2010 e non sussistano quindi le circostanze di fatto invocate dal presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia come presupposto della richiesta di trasloco dell'unità;
   il Veneto ed il comune di Motta di Livenza risultano invece orgogliosi di avere l'unità Nato nel proprio territorio e sottolineano come la scelta di posizionarlo dove si trova attualmente sia dipesa da tutta una serie di vantaggi logistici tuttora evidenti –:
   se effettivamente sia giunta al Governo una richiesta di trasferimento a Gorizia del Multinational Cimic Group Nato da parte del presidente della regione Friuli-Venezia Giulia e come, eventualmente, si intenda rispondervi. (4-00944)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:

   GINEFRA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la prassi dell'Agenzia delle entrate (esempio risoluzione 62/E del 1999) risulta favorevole alle imprese di promozione turistica e ai «tour operator», prevedendo che gli stessi possono ottenere i rimborsi dell'IVA sui servizi acquistati in Italia ai sensi dell'articolo 38-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972; non ci sono state variazioni alla norma;
   recentemente l'Agenzia delle entrate ha affermato di aver mutato orientamento – sebbene la risoluzione 62/E del 1999 non sia mai stata revocata – sostenendo che i tour operator extracomunitari, non avrebbero diritto a detrarre l'IVA, ed ha emesso avvisi di accertamento per la richiesta della restituzione dei rimborsi già erogati oltre a interessi e sanzioni;
   i tour operator hanno depositato istanza di annullamento in autotutela degli avvisi di accertamento ai sensi dell'articolo 2-quater del decreto-legge 30 settembre 94, n. 564, e intrapreso contenziosi fiscali. Le prime sentenze sono già state depositate e risultano tutte favorevoli ai tour operator. L'Agenzia delle entrate ha emesso provvedimenti di annullamento parziale degli accertamenti, in cui ha espressamente riconosciuto il legittimo affidamento ingenerato dai comportamenti della stessa amministrazione, ma ha annullato le sole sanzioni e non anche l'imposta e gli interessi;
   la corte di giustizia europea – le cui sentenze hanno diretta efficacia negli ordinamenti dei singoli Stati – impone alle autorità tributarie nazionali di rispettare il principio della tutela del legittimo affidamento annullando integralmente gli accertamenti, anche con riferimento alle imposte (sentenza 14 settembre 2006, cause riunite da C-181/04 a C-183/04);
   la direzione regionale competente ha inoltrato un quesito alla direzione centrale dell'Agenzia delle entrate, chiedendo se il riconosciuto legittimo affidamento implichi l'annullamento integrale degli accertamenti (come stabilito dalla Corte di giustizia) o solo quello delle sanzioni già eseguito. La direzione centrale dell'Agenzia delle entrate – trascorsi diversi mesi – ad oggi non ha ancora risposto, sebbene abbia già riconosciuto in diverse occasioni che le sentenze della Corte di giustizia hanno diretta efficacia negli ordinamenti degli Stati membri;
   abrogare retroattivamente norme, disposizioni e interpretazioni, ledendo il tutelato principio del legittimo affidamento (riconosciuto nel caso di specie dalla stessa Agenzia delle entrate) è un'azione non condivisibile e fuori da ogni comportamento di Paese civile –:
   se vi sia la possibilità di dare una risposta interpretativa delle norme, nel rispetto di quanto già deciso dalla Corte di giustizia europea, e contemporaneamente, farle rispettare dagli uffici tributari al fine di favorire gli arrivi dei turisti stranieri nel nostro Paese, provenienti dagli Stati Uniti e dai Paesi emergenti, evitando al contempo un inutile e sfavorevole contenzioso all'amministrazione finanziaria. (5-00400)

   TARICCO, RUBINATO, FIORONI, ZANIN e BOBBA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   per quanto riguarda l'istruzione «la Repubblica individua come obiettivo prioritario l'espansione dell'offerta formativa e la conseguente generalizzazione della domanda di istruzione dall'infanzia lungo tutto l'arco della vita» (legge 10 marzo 2000 n. 62 «Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio»);
   all'obiettivo dell'espansione dell'offerta formativa concorre in maniera massiccia il sistema della scuola paritaria, attraverso un sistema virtuoso di sinergia tra risorse pubbliche e private;
   le scuole paritarie in Italia svolgono un servizio alle famiglie e ai deboli, accogliendo e formando bambini e ragazzi di ogni età scolare e di ogni estrazione sociale;
   in particolare, il servizio fornito dalle scuole materne paritarie ricopre il 45 per cento della richiesta nazionale, ospitando circa 660 mila bambini su 1,7 milioni di aventi diritto, arrivando a coprire in alcune regioni oltre il 50 per cento dell'offerta ed in Veneto addirittura il 68 per cento del servizio della scuola dell'infanzia;
   un «posto bambino» alla scuola dell'infanzia statale «costa» alla collettività 6.500 euro l'anno, mentre il contributo collettivo concesso alla scuola materna paritaria è mediamente di 425 euro, con evidente vantaggio economico per lo Stato a parità di servizio offerto alla popolazione;
   per detto servizio lo Stato si è impegnato a stanziare per le scuole paritarie di ogni ordine una cifra che oscilla dai 500 ai 540 milioni di euro annui;
   nei capitoli 1299 e 1477 dello stato di previsione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca risultano iscritti, per l'anno 2013, in favore delle istituzioni scolastiche non statali, rispettivamente, 223.000.000 e 278.921.992 euro;
   lo Stato trasferisce alle regioni le somme per il sostegno alle scuole paritarie con ritardo ormai inaccettabile di 6-8 mesi; a tale ritardo si aggiunge, come nel caso del Piemonte e di altre regioni, quello relativo al contributo regionale del 2012 che è stato stanziato ad agosto dello scorso anno e non ancora erogato;
   l'attuale situazione di difficoltà rischia di causare la chiusura di numerosi istituti con conseguenti, gravissime ricadute sull'occupazione del personale, ma soprattutto sui bambini e sulle famiglie, oltre che per le altre scuole (in primis scuole statali) incapaci di assorbire un eventuale aumento del flusso dei bambini;
   se dovesse essere messa in discussione l'erogazione dei previsti contributi al sistema della scuola paritaria, ciò potrebbe pregiudicare la sopravvivenza stessa del sistema, con il fondato rischio di un pesante aggravio delle risorse finanziarie a carico dello Stato e delle regioni per garantire il servizio formativo dell'infanzia –:
   a quanto ammontino le risorse effettivamente disponibili nel bilancio dello Stato, anche in considerazione delle disposizioni di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, che prevedono l'accantonamento di una quota di alcuni trasferimenti erariali in favore delle regioni in attesa che le stesse provvedano alla riduzione dei costi della politica, e quali iniziative il Governo intenda intraprendere per accelerare il saldo dei contributi degli anni precedenti e garantire l'effettivo trasferimento del complesso delle risorse allo scopo stanziate nel bilancio dello Stato per l'anno 2013.
(5-00405)

   GIULIETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   per il comune di Marsciano ed altri paesi limitrofi dell'Umbria colpiti dagli eventi sismici del 2009, è stato dichiarato lo stato di emergenza con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 dicembre 2009, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 4 del 7 gennaio 2010;
   con l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 3 marzo 2010, n. 3853 sono stati delineati i primi interventi urgenti, affidati alla competenza del presidente della regione Umbria nominato commissario delegato, ed è stata autorizzata la spesa di 15 milioni di euro a carico del fondo della protezione civile;
   un ulteriore finanziamento è stato concesso dal comma 84 dell'articolo 1 della legge 13 dicembre 2010 n. 220 (legge di stabilità 2011), che ha autorizzato la spesa di 3 milioni di euro per l'anno 2011 e di 3 milioni di euro per l'anno 2012;
   il 19 aprile 2012 è stato accolto dal Governo alla Camera l'ordine del giorno Sereni e altri (n. 9/5109-AR/118) che impegnava il Governo medesimo a valutare l'opportunità di estendere l'esenzione dal pagamento dell'Imu anche ai cittadini proprietari di immobili distrutti o inagibili a seguito del sisma ricadenti nei territori dei comuni per i quali è stato dichiarato lo stato di emergenza a seguito di calamità naturali avvenute successivamente al 31 dicembre 2008, tra i quali rientra anche il comune di Marsciano;
   quanto previsto dal citato ordine del giorno ha ricevuto attuazione con la legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha stabilito che i fabbricati ubicati nelle zone colpite dal sisma non concorrono a formare reddito ai fini IRPEF e IRES fino al 31 dicembre 2013 ed inoltre che i predetti fabbricati sono esenti dall'IMU fino alla definitiva ricostruzione e agibilità dei fabbricati stessi e comunque non oltre il 31 dicembre 2014; inoltre, per il comune di Marsciano non è dovuta la quota di imposta riservata allo Stato sugli immobili di proprietà dei comuni;
   la medesima legge n. 228 del 2012 autorizza altresì il comune di Marsciano ad esentare dalla tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP) le occupazioni necessarie per le opere di ricostruzione, con oneri a carico del proprio bilancio –:
   se il Governo intenda, alla luce di quanto sopra esposto, compensare con trasferimenti a carico del bilancio dello Stato le mancate entrate per il comune di Marsciano determinate dall'esenzione dalla TOSAP di cui all'articolo 1, comma 556, della legge 24 dicembre 2012, n. 228. (5-00409)

Interrogazioni a risposta scritta:

   CIPRINI, GALLINELLA, CANCELLERI, RUOCCO, D'UVA, COMINARDI, BECHIS, BALDASSARRE, RIZZETTO e TRIPIEDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   con bando del 16 novembre 2011 protocollo 146312/RU è stato indetto dall'Agenzia delle dogane il concorso per 69 posti di dirigente di seconda fascia. La prova preselettiva si è tenuta a Roma il 19 dicembre 2012;
   nelle more della assunzione dei dirigenti l'Agenzia delle dogane ricorre nel contempo all'affidamento di incarichi a «reggenti» funzionari di terza area;
   nel passato (2005, 2009 e 2011) sono state rivolte al Ministro dell'economia e delle finanze ed al Ministro della pubblica amministrazione numerose interrogazioni parlamentari con le quali si chiedevano spiegazioni rispetto alla circostanza per la quale incarichi di provvisoria reggenza di uffici dirigenziali dell'Agenzia delle dogane fossero stati assegnati a funzionari privi del requisito della laurea e i criteri di valutazione per l'assegnazione e la nomina di tali incarichi di reggenza;
   in una specifica circostanza, l'amministrazione doganale, citata in giudizio davanti al tribunale di Salerno per aver attribuito funzioni dirigenziali a funzionari privi di laurea, è stata condannata sia in primo grado che in appello e la sentenza è stata confermata in Cassazione;
   recentemente, in particolare, per quanto consta agli interroganti, vi sarebbero anomalie in ordine all'assegnazione della reggenza dell'ufficio delle dogane di Bergamo e dell'ufficio doganale di Frosinone a funzionari che risulterebbero privi del requisito della laurea;
   è noto il principio in forza del quale l'accesso ai pubblici impieghi – e segnatamente il reclutamento dei dirigenti delle amministrazioni dello Stato – è soggetto al principio della stretta legalità, con la conseguenza che è solo nella legge che la relativa disciplina deve trovare fondamento ed attuazione, di modo tale da avvenire in condizioni di effettiva e sostanziale uguaglianza, in stretta osservanza degli indefettibili principi costituzionali di buon andamento ed imparzialità dell'amministrazione. È stata ritenuta illegittima la procedura concorsuale a posti di qualifica dirigenziale indetta in violazione della disciplina minima e inderogabile stabilita – per tutte le amministrazioni statali e gli enti pubblici non economici – per l'accesso alla dirigenza dalla legislazione di riferimento (articolo 28 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e regolamento attuativo emanato con decreto del Presidente della Repubblica n. 324 del 2000);
   anche la Corte costituzionale, con le sentenze n. 103 e n. 104 del 2007, n. 161 del 2008 e n. 69 del 2011, ha negato la costituzionalità di una dirigenza di fiducia e ribadito la necessità di selezionare i dirigenti sulla base di criteri selettivi imparziali e trasparenti, evidenziando i parametri di scelta e selezione dei dirigenti –:
   se i Ministri siano a conoscenza della descritta situazione;
   se sia vero che sono stati assegnati incarichi di reggenza a funzionari privi del requisito della laurea e quale sia l'orientamento del Governo;
   se i Ministri, ciascuno per quanto di competenza, intendano attivare misure di verifica e controllo delle procedure di assegnazione di incarichi dirigenziali ai funzionari dell'amministrazione doganale;
   se i Ministri, ciascuno per quanto di competenza, ritengano opportuno assumere provvedimenti volti ad assicurare la trasparenza delle procedure di assegnazione degli incarichi di reggenza dell'Agenzia delle dogane nel rispetto dei criteri indicati dagli articoli 19 e 19-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001.
(4-00943)

   RUOCCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in un periodo di forte crisi economica e di grande difficoltà per le famiglie italiane e per le imprese sarebbe ragionevole alleggerire gli oneri relativi alla riscossione, specie se essi si aggiungono alla pretesa, spesso assai poco flessibile, di corrispondere somme, spesso ingenti, dovute all'amministrazione per ragioni che molte volte non attengono al dolo;
   questo principio di buon senso sembra tuttavia smentito nei fatti;
   l'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, così come sostituito, da ultimo, dall'articolo 14 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, prevede che decorso inutilmente il termine previsto dall'articolo 25, comma 2, sulle somme iscritte a ruolo si applicano, a partire dalla data della notifica della cartella e fino alla data del pagamento, gli interessi di mora al tasso determinato annualmente con decreto del Ministero delle finanze con riguardo alla media dei tassi bancari attivi;
   la problematica emerge, non solo dalla determinazione degli interessi di mora, ma anche dalla data della loro applicazione;
   con provvedimento direttoriale n. 124741 del 4 settembre 2009 l'Agenzia delle entrate ha comunicato che a decorrere dal 1o ottobre 2009 gli interessi di mora per ritardato pagamento delle somme iscritte a ruolo sono determinati nella misura del 6,8358 per cento in ragione annuale, pari alla media dei tassi bancari attivi del periodo 1° gennaio 2008-31 dicembre 2008, come comunicato dalla Banca d'Italia;
   con provvedimento direttoriale n. 124566 del 7 settembre 2010 l'Agenzia delle entrate ha comunicato che a decorrere dal 1o ottobre 2010 gli interessi di mora per ritardato pagamento delle somme iscritte a ruolo sono determinati nella misura del 5,7567 per cento in ragione annuale, un punto percentuale superiore alla media dei tassi bancari attivi del periodo 1° gennaio 2009-31 dicembre 2009 pari a 4,7567 per cento, come comunicato dalla Banca d'Italia;
   con provvedimento direttoriale n. 953141 del 22 giugno 2011 l'Agenzia delle entrate ha comunicato che a decorrere dal 1o ottobre 2011 gli interessi di mora per ritardato pagamento delle somme iscritte a ruolo sono determinati nella misura del 5,0243 per cento in ragione annuale, un punto percentuale superiore alla media dei tassi bancari attivi del periodo 1° gennaio 2010-31 dicembre 2010 pari a 4,0243 per cento, come comunicato dalla Banca d'Italia;
   con provvedimento direttoriale n. 104609 del 17 luglio 2012 l'Agenzia delle entrate ha comunicato che a decorrere dal 1o ottobre 2012 gli interessi di mora per ritardato pagamento delle somme iscritte a ruolo sono determinati nella misura del 4,5504 per cento in ragione annuale, pari alla media dei tassi bancari attivi del periodo 1° gennaio 2011-31 dicembre 2011, come comunicato dalla Banca d'Italia;
   con provvedimento direttoriale n. 27678 del 4 marzo 2013 l'Agenzia delle entrate ha comunicato che a decorrere dal 1o maggio 2013 gli interessi di mora per ritardato pagamento delle somme iscritte a ruolo sono determinati nella misura del 5,2233 per cento in ragione annuale, pari alla media dei tassi bancari attivi del periodo 1° gennaio 2012-31 dicembre 2012, come comunicato dalla Banca d'Italia –:
   quale sia il motivo per cui negli anni 2010 e 2011, quando i tassi bancari attivi riferiti all'anno precedente erano in discesa veniva applicata una maggiorazione di 1 punto percentuale rispetto al valore medio, mentre nell'anno 2013, a fronte di un aumento dei tassi bancari attivi riferiti all'anno precedente, è stata anticipata dal 1o ottobre al 1o maggio la decorrenza della nuova misura degli interessi di mora.
(4-00948)

   CATANOSO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 6 giugno 2013 l'Autorità per l'energia elettrica e il gas, con la delibera 250/2013/R/efr, ha comunicato il raggiungimento della soglia dei 6,7 miliardi di euro del costo indicativo cumulato annuo degli incentivi per lo sviluppo degli impianti fotovoltaici;
   il gestore dei servizi energetici, a sua volta, ha specificato che il tempo ultimo per inviare le richieste degli incentivi statali previsti dal decreto ministeriale del 5 luglio 2012 – quinto conto energia è quello del 6 luglio 2013 (proroga di 30 giorni dopo la pubblicazione della delibera dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas);
   numerose aziende in tutta l'Italia, nei giorni precedenti alla pubblicazione della delibera, aveva già stipulato vari contratti con diversi clienti/utenti e questo termine dei 30 giorni di deroga concessi è insufficiente all'adempimento dei contratti chiusi con i clienti/utenti per via di un lungo iter burocratico autorizzativo che prescinde dalla volontà e dalla responsabilità dei soggetti coinvolti nella procedura;
   la procedura di cui sopra prevede, per la realizzazione e messa in esercizio di un impianto fotovoltaico di potenza fino a 12 kWp, innanzitutto la «richiesta di connessione ad Enel» che, una volta ricevuta la richiesta, per elaborare il preventivo impiega fino a 20 venti giorni lavorativi (vale a dire un mese di calendario);
   nelle more dell'emissione del preventivo, Enel inibisce tramite il proprio portale internet i successivi passaggi che sono i seguenti: comunicazione di avvio del procedimento dell’iter autorizzativo per la costruzione e l'esercizio dell'impianto; comunicazione di chiusura procedimento autorizzativo per l'avvenuto ottenimento delle autorizzazioni alla costruzione ed esercizio dell'impianto da parte delle autorità competenti; comunicazione d'inizio dei lavori; comunicazione di fine lavori di installazione dell'impianto fotovoltaico;
   senza l'emissione del preventivo, l'Enel, quindi, blocca tramite portale tutti i successivi passaggi, con conseguenti ritardi e blocchi;
   nel momento in cui l'Enel rende disponibile il preventivo, le aziende del settore possono procedere ai successivi passaggi;
   comunicata la fine lavori, l'Enel per la realizzazione della connessione (allaccio) ha ancora a sua disposizione: 30 giorni lavorativi per i «lavori semplici» e 90 giorni lavorativi, per i «lavori complessi»;
   infine, per accedere alle tariffe incentivanti bisogna inviare tramite applicativo GSE tutta la documentazione richiesta;
   con i tempi previsti di concerto da Gse, Autorità per l'energia elettrica ed il gas e Ministeri competenti, moltissimi utenti si vedranno negati gli incentivi legati alla realizzazione degli impianti fotovoltaici;
   in sintesi, a giudizio dell'interrogante e della Conf.S.E.R.-Confcommercio (associazione che rappresenta la categoria delle aziende del settore energetico) sarebbe sufficiente prorogare la scadenza di ulteriori 30 giorni per risolvere questa problematica –:
   quali iniziative di competenza intendano adottare i Ministri interrogati per risolvere le problematiche descritte in premessa. (4-00959)

   RUOCCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il pagamento delle imposte, e quindi la contribuzione, ciascuno secondo il proprio reddito, alle spese della collettività, sono tra i doveri più importanti del cittadino e sono indicati per questo anche nella Costituzione italiana nell'articolo 53;
   l'evasione e l'elusione fiscale non sono soltanto comportamenti contrari alla legge ma danneggiano quanti assolvono il loro dovere civico, dato che essi sono chiamati a ripianare le mancate entrate con la loro contribuzione;
   da alcune evidenze sottoposte all'interrogante, comportamenti elusivi o evasivi sarebbero riscontrabili con significativa frequenza nel personale di cittadinanza italiana impiegato presso le rappresentanze diplomatiche di Stati stranieri;
   la disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti delle ambasciate, consolati, legazioni, istituti culturali ed organismi internazionali in Italia pubblicati l'11 aprile 2007 e redatta col concorso dei Ministeri del lavoro e delle politiche sociali, degli affari esteri e dalle rappresentanze sindacali prende in considerazione, nell'articolo 20 la problematica della corresponsione delle imposte, specialmente dell'Irpef;
   il suddetto articolo recita che «le Rappresentanze non sono tenute ad operare la trattenuta fiscale sugli emolumenti spettanti ai dipendenti. Tuttavia l'Agenzia delle Entrate, a specifiche richieste di alcune Rappresentanze diplomatiche, ha ritenuto che non è in contrasto con le ragioni erariali, l'effettuazione delle ritenute alla fonte, da parte delle Rappresentanze, sulle retribuzioni dei propri dipendenti»;
   si aggiunge che «al fine di consentire al lavoratore di provvedere alla corresponsione dell'imposta sul reddito (IRPEF) le Rappresentanze rilasceranno in tempo utile e comunque non oltre il 31 gennaio di ogni anno, al lavoratore stesso idonea certificazione circa gli emolumenti percepiti nel corso dell'anno precedente al netto dei contributi previdenziali»;
   nonostante la chiarezza della normativa la maggior parte delle buste paga continua a prevedere compensi al lordo, ossia le ambasciate dato che godono dell'extraterritorialità, corrispondono ai loro dipendenti emolumenti senza trattenute alla fonte, quindi senza trattenere la parte di tasse dovuta allo Stato italiano lasciando al dipendente l'onere di dichiarare in sede di dichiarazione dei redditi la reale cifra percepita;
   sembra invece un uso diffuso, specie per una parte significativa del personale di origine straniera attualmente residente in Italia che svolge la sua attività presso gli organi di rappresentanza di Stati esteri, la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi, pur percependo remunerazioni spesso considerevoli ed usufruendo di contributi pensionistici e di assegni familiari;
   non si ha peraltro notizia di efficaci attività di controllo da parte dell'Agenzia delle entrate né di altri organi di accertamento, anche perché molti dei soggetti sopra descritti sono di fatto sconosciuti, al fisco;
   la problematica, tuttavia, non risulterebbe del tutto sconosciuta agli organi dello Stato dato che il Ministero degli affari esteri provvede con una certa periodicità a far pervenire note verbali in cui si ricorda che i soggetti sopra descritti «non rientrano nell'esenzione prevista dall'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 601/1973 e pertanto sono tenuti a presentare dichiarazione annuale dei redditi a norma del decreto del Presidente della Repubblica 600/73 e al versamento delle relative imposte»;
   nonostante esistano casi di segnalazioni alle autorità competenti non risulta ad oggi che sia stata intrapresa alcuna azione per sanare questo grave comportamento che reca danni ai cittadini italiani –:
   se sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e come giustifichi l'inerzia degli organi deputati ad effettuare controlli di natura fiscale nei confronti dei cittadini residenti in Italia che, pur lavorando nelle rappresentanze diplomatiche di Stati esteri nel nostro Paese, non presentano alcuna dichiarazione dei redditi;
   quali iniziative di propria competenza intenda attuare perché comportamenti come quelli descritti in premessa e che recano grave danno ai contribuenti non abbiano a ripetersi. (4-00966)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:

   CARDINALE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 155 del 2012 ha modificato l'organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, prevedendo la soppressione di alcuni uffici giudiziari;
   l'obiettivo della riforma è quello di garantire efficienza, qualità ed uguale trattamento dei diritti dei cittadini nelle diverse aree geografiche del Paese, mediante una redistribuzione più razionale del carico di lavoro, delle risorse umane e finanziarie esistenti, in ragione delle esigenze di legalità provenienti dal territorio;
   tuttavia, si segnalano da più parti difficoltà;
   in particolare, per quanto riguarda il distretto della corte di appello di Caltanissetta gli effetti della riduzione degli organici giudiziari potrebbe comportare la perdita di almeno 15 giudici e 5 pubblici ministeri, di cui sei magistrati del tribunale di Caltanissetta e due sostituti della procura della Repubblica, pari al 20 per cento dell'attuale pianta organica, secondo le stime che risultano da un documento della camera penale e della camera civile di Caltanissetta;
   com’è risaputo, la provincia di Caltanissetta vive una particolare condizione di gravame per la presenza nel suo territorio di gruppi mafiosi e malavitosi;
   operare i tagli segnalati significherebbe indebolire l'attività di contrasto e repressione, che fino ad oggi è stata assicurata dallo Stato, alla mafia e al malaffare –:
   se il Governo, al fine di rendere effettiva ed efficace la riforma, intenda intervenire, prevedendo misure correttive della riforma stessa volte a prevenire le criticità evidenziate. (4-00946)

   TARTAGLIONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   le strutture giudiziarie presenti sulle isole minori rispondono all'esigenza di garantire adeguato accesso al sistema giudiziario anche a chi, in quanto isolano, vedrebbe limitato il suo diritto proprio a causa di tale condizione, a partire da quella logistica;
   con Decreto del presidente del tribunale di Napoli, dottor Alemi, adottato il 18 marzo 2013, è stato disposto che la sezione distaccata di Ischia, a decorrere dal 15 settembre 2013, sia accorpata alla sede centrale del tribunale di Napoli, presso il centro direzionale di Napoli;
   il presidio di giustizia è presente ad Ischia da oltre 600 anni sul territorio isolano e svolge una funzione indispensabile per i cittadini, in considerazione della specialità di isola minore terza d'Italia, dopo Sicilia e Sardegna, per densità demografica;
   i sindaci dei comuni ischitani hanno più volte chiesto tra gli altri al Ministero della giustizia e al Parlamento che nel decreto legislativo n. 155 del 2012, fosse tenuta nella dovuta considerazione la specificità territoriale e le conseguenti criticità che sarebbero scaturite dalla soppressione della sezione distaccata di Ischia;
   il bacino d'utenza è molto vasto, si tratta di circa 65.000 abitanti stabili, cui devono aggiungersi gli oltre 3 milioni di turisti che soggiornano sull'isola ogni anno;
   vi è un nutrito contenzioso, solo nell'anno 2011 per quanto riguarda la giustizia civile, esecuzione, lavoro e previdenza e volontaria giurisdizione si sono registrate 4706 pendenze, 2367 sopravvenienze e 2958 definizioni, per quanto riguarda il penale si sono avuti 647 procedimenti iscritti e 769 definiti;
   la mancanza di continuità territoriale e le difficoltà di raggiungimento della terraferma, di recente ulteriormente aggravate dalla riduzione del numero dei collegamenti marittimi comprometterebbero ancora di più l'amministrazione della giustizia in questo comprensorio;
   il Presidio di legalità territoriale ischitano non comporta oneri economici per lo Stato, poiché ubicato in edificio di proprietà comunale in comodato gratuito, mentre la sua abolizione comporterebbe ingenti spese per il trasferimento dei fascicoli, degli arredi, delle attrezzature e dell'archivio, la dismissione dei relativi rifiuti speciali, nonché, soprattutto per la quotidiana trasferta a Napoli di migliaia di persone tra cui anche dipendenti ministeriali e comunali;
   la sezione distaccata di Ischia ha sede nel medesimo immobile che ospita a titolo gratuito anche l'ufficio del giudice di pace, sopravvissuto ex lege, e la separazione dei due uffici giudiziari;
   a tutto ciò si deve aggiungere il fortissimo disagio per tutti i cittadini portatori di handicap e per le loro famiglie, che, in sede di volontaria giurisdizione, chiedono abitualmente al tribunale amministrazioni di sostegno, interdizioni, curatele, autorizzazioni correlate e rendono i conti della gestione e che con il trasferimento dell'ufficio vedrebbero complicarsi i propri adempimenti;
   il palazzo di giustizia di Napoli, già allo stato notoriamente sovraffollato, non dispone di spazi sufficienti ad accogliere tutte le otto sezioni distaccate soppresse, né le sole quattro sezioni dell'area meridionale tra cui Pozzuoli, Portici-Ercolano, Capri ed Ischia;
   la prevista istituzione di una sezione stralcio presso il tribunale di Napoli per la definizione dei procedimenti attualmente pendenti dinanzi alle sezioni distaccate aggraverebbe notevolmente il carico giudiziario della sede centrale –:
   il Governo sia intenzionato ad adottare, nei tempi e modi di cui all'articolo 1, comma 5 della legge 148 del 2011, idonee disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo n. 155 del 2012, che tengano conto della specificità territoriale e delle esigenze civili delle comunità isolane preservando i presidi giudiziari esistenti nelle isole minori, in particolare della sede del Tribunale di Napoli ubicata sull'isola d'Ischia;
   se, in subordine, il Governo, considerate le problematiche di natura logistica di tale rilevanza ed eccezionalità da non consentire in alcun modo il trasferimento delle risorse materiali, umane e dei servizi della sezione distaccata di Ischia, intenda avviare la procedura di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 155 del 2012, per l'utilizzo del Palazzo di giustizia di Ischia quale sede distaccata del Tribunale di Napoli;
   se, in subordine, il Governo abbia intenzione di assicurare con modalità diverse da quelle indicate l'effettivo e regolare esercizio del diritto di accesso alla giustizia per i cittadini delle isole minori. (4-00947)

   REALACCI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere premesso che:
   il Parlamento italiano ha convertito in legge il 22 maggio 2013 il decreto-legge del 25 marzo 2013, n. 24 con il quale ha rinviato la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) dal 31 marzo 2013 al 1o aprile 2014. Un rinvio che mal si concilia con la necessità di rispettare la dignità degli esseri umani qualunque reato abbiano commesso e che offusca il grande passo di civiltà compiuto dal Parlamento della Repubblica con la prevista chiusura per legge degli OPG ed il superamento dell'internamento negli «ex-manicomi criminali»;
   in Italia esistono ancora sei veri e propri «lager» dove giacciono recluse oltre 1500 persone;
   nelle sopraddette strutture di reclusione, spesso al limite della fatiscenza, i malati psichiatrici vivono in condizioni subumane e subiscono trattamenti spaventosi come ha testimoniato anche la Commissione parlamentare sul servizio sanitario nazionale presieduta dal già senatore Ignazio Marino nella scorsa XVI legislatura e un servizio della trasmissione «Presa Diretta» di Riccardo Iacona, trasmesso da Rai Tre, che ha destato turbamento anche nell'opinione pubblica nazionale. Chi viene internato in manicomio criminale, essendo incapace di intendere e di volere, non può essere sottoposto a processo per il reato di cui è imputato e spesso la sua permanenza in manicomio viene prorogata per anni anche sino alla morte. Una reclusione illegittima spesso definita come cosiddetto «ergastolo bianco»;
   gli ospedali psichiatrici giudiziari continuano a restare aperti perché il sistema sanitario nazionale, per tramite delle regioni, non predispone i servizi di salute mentale e di accoglienza e di tutela della pubblica sicurezza, che dovrebbero sostituire i non più tollerabili ex manicomi criminali. I malati ancora rinchiusi sono in maggioranza colpevoli di reati minori, commessi molti anni fa, e, se debitamente assistiti, non sono socialmente pericolosi. La vigente normativa precisa gli impegni di regioni e asl: obbligo di presa in carico dei malati all'interno di progetti terapeutico-riabilitativi individuali che assicurino il diritto alle cure e al reinserimento sociale, nonché impegno a favorire l'esecuzione di misure di sicurezza alternative al ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario;
   l'interrogante ha inoltre presentato un atto di sindacato ispettivo 4-00016 in materia di sovraffollamento e di sanità carceraria a cui non è stata ancora data risposta –:
   se i Ministri interrogati stiano mettendo in campo gli interventi necessari per rispettare e dare effettività alla legge che prevede la definitiva chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari e per evitare, qualora non si agisse con determinazione, il prevedibile nuovo rinvio della chiusura di luoghi di detenzione, già definiti subumani, per malati mentali che hanno violato la giustizia; se il Governo, per il tramite dei dicasteri competenti, non intenda implementare un piano nazionale di azione e di assistenza ai malati mentali ancora negli OPG affinché su tutto il territorio nazionale si possa raggiungere un livello di assistenza sanitaria e di tutela della sicurezza pubblica uniforme territorialmente; se il Governo abbia previsto iniziative finalizzate a stanziare specifiche risorse, anche per evitare procedure di infrazione comunitaria che l'Italia ha già subito in materia di detenzione carceraria e non solo relative a rei malati mentali.
(4-00965)

   RUOCCO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica dell'11 luglio 1980, n. 382, sul «Riordinamento delle docenze universitarie», stabilisce l'incompatibilità della docenza con lo svolgimento di qualsiasi attività professionale e di consulenza per i soli professori straordinari, ordinari, associati che hanno optato per il regime a tempo pieno e per la partecipazione ad organi di consulenza tecnico-scientifica dello Stato, di enti pubblici territoriali e di enti di ricerca, nonché per le attività, comunque svolte, per conto di amministrazioni dello Stato, enti pubblici e organismi a prevalente partecipazione statale purché prestate in quanto esperti nel proprio campo disciplinare e compatibilmente con l'assolvimento dei propri compiti istituzionali;
   la suddetta opzione viene compiuta attraverso una domanda dell'interessato al rettore per almeno un biennio;
   i nominativi che hanno optato per il regime a tempo pieno devono essere comunicati, a cura del rettore, all'ordine professionale affinché questi vengano esclusi dall'albo dei professionisti per essere invece inseriti in un elenco speciale;
   un gruppo di professionisti ha tuttavia constatato, attraverso il monitoraggio dei siti web istituzionali degli ordini provinciali di architetti ed ingegneri delle principali città italiane, che tale norma viene completamente disattesa;
   i suddetti professionisti, prima di sottoporre la questione all'interrogante, si sono rivolti tramite posta elettronica certificata, in data 26 maggio 2013 al Ministro di giustizia dottoressa Anna Maria Cancellieri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca professoressa Maria Chiara Carrozza, al Ministro dell'interno avvocato Angelino Alfano, al presidente del consiglio nazionale architetti architetto Leopoldo Freyrie e al presidente consiglio nazionale ingegneri ingegnere Armando Zambiano, denunciando la presunta violazione e riportando in modo circostanziato i risultati della loro rilevazione, ma non hanno ottenuto alcuna risposta;
   architetti ed ingegneri liberi professionisti subirebbero pertanto una concorrenza sleale da parte di quei docenti universitari che rilasciano consulenze al di fuori dei limiti fissati dalla legge;
   non è solo la normativa italiana, infatti, ma anche quella europea a limitare l'esercizio della libera professione da parte dei docenti universitari, dato che si troverebbero a sfruttare una posizione di privilegio;
   si dovrebbe invece lamentare, secondo l'opinione del gruppo di professionisti che si sono occupati di estendere tale contestazione, una grave assenza di controllo e una rilevante inerzia nell'irrogazione di sanzioni da parte di molti ordini professionali provinciali, che non provvederebbero quindi al rispetto delle prescrizioni normative –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intenda adottare le iniziative di competenza per impedire che gli ordini professionali, nelle loro articolazioni locali, disattendano al dettato del decreto del Presidente della Repubblica dell'11 luglio 1980, n. 382, nella parte in cui si prevede l'istituzione e l'aggiornamento degli elenchi speciali dei docenti universitari che non possono esercitare alcuna attività professionale e di consulenza, eccetto nei casi stabiliti dalla normativa;
   se siano previste sanzioni irrogabili a presidenti e ai consigli provinciali di ordini professionali che non provvedano al rispetto della suddetta normativa. (4-00968)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:

   LATRONICO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il sistema ferroviario di trasporto merci e passeggeri in Basilicata, sconta un pesantissimo quadro di riduzione di treni e tratte, nonché di perduranti ritardi e di inefficienze nei lavori di ammodernamento e di sviluppo della rete ferroviaria;
   per quanto riguarda i collegamenti ferroviari a lunga percorrenza e intra-regionali, le strategie industriali di Trenitalia hanno condotto alla soppressione di molti treni a lunga percorrenza, ponendo la Basilicata in una condizione di vero e proprio isolamento geografico;
   in particolare i cittadini della zona jonica per spostarsi in direzione centro o nord Italia sono costretti a raggiungere con altri mezzi (mezzi propri o autobus) le stazioni ferroviarie del versante tirrenico ed adriatico;
   peraltro la costa ionica e in particolare il metapontino (area ad alta potenzialità turistica) sono fuori dai progetti di alta velocità e di alta capacità e questo si aggiunge ad una ridotta qualità dei servizi resi, sia per mancata sostituzione dei treni che del materiale rotabile (che ha un'età media di 40 anni);
   la città di Matera, patrimonio mondiale dell'Unesco è l'unico capoluogo di provincia italiano a non essere servito da Ferrovie dello Stato;
   il Mezzogiorno d'Italia è già pesantemente penalizzato dalle politiche generali del trasporto ferroviario: i treni alta velocità «Frecciarossa» sono in servizio nelle sole tratte del Centro-Nord, incrementando ulteriormente lo squilibrio degli standard di servizio con il Sud del Paese;
   la Basilicata nel 2011 si è vista sostituire i due Eurostar per Roma con due intercity; a dicembre 2012, si è vista sopprimere oltre i convogli locali da Sibari a Metaponto, anche tutti i treni a lunga percorrenza verso il Nord Italia;
   in occasione della Pasqua del 2012 Legambiente Lombardia ha diramato un rapporto nel quale informava che in quei giorni 130 pullman avevano lasciato Milano per raggiungere Puglia, Calabria, Basilicata e Sicilia per il ponte pasquale. Legambiente ha messo in relazione l'incremento delle corse automobilistiche con la soppressione dei treni-notte da Milano per il Sud. Secondo il responsabile trasporti dell'associazione ambientalista «nei tre giorni prima di Pasqua, per la sola Puglia sono partiti oltre 3.000 passeggeri e altri 3.500 passeggeri sono partiti per la Basilicata, la Calabria –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle scelte di Trenitalia spa dirette alla soppressione dei treni del servizio universale a lunga percorrenza, con conseguente forte ridimensionamento del trasporto ferroviario passeggeri in Basilicata, in particolare di quello relativo alla linea jonica e alla città di Matera, che risultano isolate dal contesto ferroviario nazionale a lunga percorrenza;
   se non ritenga opportuno intervenire su Trenitalia per imporre la messa in esercizio di treni straordinari a lunga percorrenza tra il nord Italia e tutta la costa ionica e la città di Matera, quanto meno nel periodo estivo e durante le altre festività per valorizzare le attività turistico ricettive di quelle aree. (3-00132)

Interrogazioni a risposta in Commissione:

   BRUNO BOSSIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel corso dell'audizione tenutasi lo scorso 29 maggio presso la Commissione trasporti della Camera, nell'illustrare le linee programmatiche del proprio dicastero in materia di trasporto, il Ministro ha individuato nel settore del trasporto pubblico regionale e locale la vera emergenza dell'intero settore dei trasporti che l'Esecutivo ed il Parlamento sono chiamati a fronteggiare;
   tra le principali cause dell'attuale stato di sofferenza del settore il Ministro ha opportunamente evidenziato la limitatezza delle risorse finanziarie disponibili e l'inefficienza dei criteri di distribuzione delle stesse, la mancata individuazione delle specificità del trasporto pubblico locale da parte del sistema normativo e regolatorio e l'assenza di regole chiare volte a favorire un percorso graduale ma lineare di liberalizzazione, la lentezza del processo di determinazione dei costi standard per l'ottimale allocazione delle risorse e lo stimolo all'efficienza, i ritardi nei processi di riorganizzazione dei servizi, l'assenza di un piano di sostegno agli investimenti in materiale rotabile;
   la strategia illustrata per superare l'emergenza deve prevedere il coinvolgimento di tutti i livelli di governo in un processo di sviluppo la cui regia deve essere stabilita a livello nazionale, attraverso un costante coordinamento interministeriale e interistituzionale ed uno stretto raccordo tra l'attività del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Parlamento;
   dal momento che le criticità da affrontare con più urgenza sono quelle di natura finanziaria, sarebbe opportuno che tra i primi interventi da adottare rientrassero misure normative finalizzate a consentire a tutte le regioni interessate di attingere al Fondo per lo sviluppo e coesione per finanziare il pagamento dei debiti pregressi inerenti i servizi di trasporto regionale e locale, per cofinanziare gli investimenti delle imprese nell'acquisto di nuovo materiale rotabile e per far fronte, nei casi di insufficienza di altre entrate regionali, al finanziamento della spesa corrente relativa ai servizi di trasporto pubblico regionale e locale;
   misure analoghe sono state varate nell'ambito del decreto-legge n. 35 del 2013 sul pagamento dei debiti scaduti della PA, ed in particolare dall'articolo 11, commi 6, 7 e 8 del decreto che, tuttavia, hanno un ambito limitato, rispettivamente, alla sola regione Piemonte e alle regioni a statuto speciale;
   risulta necessario estendere a tutte le regioni che ne facciano espressa richiesta quanto previsto per la sola regione Piemonte dall'articolo 11, commi 6 e 7, del decreto legge 35 del 2012, circa la possibilità di utilizzare quota parte delle risorse assegnate del Fondo per lo sviluppo e la coesione per il finanziamento di piani di rientro volti a consentire il pagamento dei debiti pregressi inerenti i servizi di trasporto pubblico locale su gomma e di trasporto ferroviario regionale, essendo numerose le regioni che hanno accumulato debiti rilevanti con le aziende esercenti i servizi di trasporto pubblico locale;
   risulta necessario altresì chiarire che la programmazione regionale del Fondo per lo sviluppo e la coesione comprende, accanto al finanziamento delle infrastrutture, anche il finanziamento degli investimenti destinati all'acquisto del materiale rotabile destinato ai servizi di trasporto pubblico regionale e locale;
   i piani di programmazione 2007-2013 delle risorse di fondi per lo sviluppo e la coesione (FSC ex fonti FAS) adottati da alcune regioni, peraltro, già destinano parte di tali risorse al finanziamento degli «investimenti in materiale rotabile del trasporto pubblico regionale e locale ed occorrerebbe, però, consentire alle regioni di proporre una nuova programmazione delle risorse del Fondo che, nei limiti della disponibilità residue, dia priorità al finanziamento dei suddetti investimenti;
   occorre infine estendere anche alle regioni a statuto ordinario quanto previsto per le sole regioni a statuto speciale dall'articolo 11, comma 8, del decreto-legge 35 del 2012, circa la possibilità di utilizzare, nei casi di altre entrate insufficienti, quota parte delle risorse destinate alla programmazione regionale del Fondo per lo sviluppo e la coesione per far fronte al finanziamento della spesa corrente relativa ai servizi di trasporto pubblico regionale e locale. L'opportunità di una tale misura risulta ancor più chiara ove si consideri l'insufficiente dotazione del Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico regionale e locale di cui all'articolo 16-bis del decreto-legge n. 95/12 e successive modificazioni e integrazioni rispetto al fabbisogno di copertura (4.930 milioni di euro la dotazione del Fondo contro 6.400 milioni di euro di fabbisogno stimati dal Ministero dei Trasporti) –:
   quali siano gli intendimenti del Governo riguardo alle proposte evidenziate in premessa, con particolare riguardo all'utilizzo da parte di tutte le regioni del Fondo per lo sviluppo e la coesione per il pagamento dei debiti pregressi inerenti i servizi di trasporto pubblico locale, per le spese correnti relative ai servizi di trasporto pubblico regionale e locale, al fine di permettere il rilancio del settore.
(5-00397)

   GAROFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel corso dell'audizione in Commissione Trasporti lo scorso 29 maggio, il Ministro interrogato illustrando le nuove linee guida delle attività connesse tra la programmazione degli interventi infrastrutturali, con quelle legate alle strategie trasportistiche, ha rilevato come il «diritto alla mobilità» previsto dall'articolo 16 della Costituzione, rappresenta un obiettivo chiave del Governo, aggiungendo inoltre, la necessità di garantire la mobilità attraverso un servizio di trasporto che non penalizzi i cittadini residenti nei territori meno favoriti;
   in tale ambito il cabotaggio marittimo insulare la cui caratteristica peculiare è determinata dalla cosiddetta continuità territoriale tra la terraferma e le isole, configurata attraverso i servizi di trasporto marittimo in particolare quello veloce, rappresenta uno strumento indispensabile per assicurare i collegamenti dei passeggeri e delle merci, nei confronti di quelle aree geografiche insulari, in un quadro più generale di garanzia dell'uguaglianza sostanziale dei cittadini e di coesione di natura economica e sociale, promosso in sede europea;
   i collegamenti con le isole minori della Sicilia assicurati dalla Compagnia delle isole, nel corso dell'ultimo triennio, continuano a riscontrare particolari dif-
ficoltà nella gestione da parte dell'opera- tore, soprattutto per la mancanza di un'azione complessiva volta a stabilizzare i collegamenti che intende assicurare;
   nel 2008 attraverso una procedura di gara indetta per garantire un servizio triennale veloce nell'area dello Stretto di Messina, al fine di potenziare il trasporto marittimo veloce di passeggeri tra le città di Messina, Reggio Calabria e Villa San Giovanni, conclusasi con l'affidamento dei servizi al consorzio Metromare dello Stretto di Messina, è stato possibile constatare quanto sia fondamentale e rilevante l'esigenza di mobilità nell'ambito dell'area metropolitana dello Stretto, in particolare per i pendolari che quotidianamente si spostano tra le due sponde dello Stretto;
   la proroga fino a dicembre 2013 che assicura la continuazione del servizio pubblico di trasporto marittimo, per fare fronte all'esigenza legata all'aumento del traffico passeggeri derivante dall'approssimarsi del periodo estivo e garantire al contempo la continuità territoriale nell'area dello stretto di Messina, attraverso il trasporto marittimo veloce di passeggeri tra le città di Messina, Reggio Calabria e Villa San Giovanni, il cui contratto di servizio scade il prossimo 28 giugno, se nell'immediato rimedia alle attuali criticità, dall'altro non rappresenta una soluzione definitiva alle complessità riconducibili nel garantire una continuità permanente nei riguardi degli utenti del servizio di collegamento marittimo –:
   quali iniziative urgenti e necessarie intenda intraprendere, al fine di assicurare in modo permanente il servizio di collegamento di trasporto marittimo veloce nell'area dello Stretto di Messina, anche attraverso una immediata e nuova procedura di gara, la cui durata possa essere almeno triennale e al contempo possa garantire adeguate risorse finanziarie concrete per sostenere la prestazione in via continuativa. (5-00402)

Interrogazioni a risposta scritta:

   BERGAMINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   un recente studio sullo stato dell'arte del sistema di trasporto ferroviario nei 27 Paesi membri dell'Unione europea realizzato nel 2012 da «The european house-Ambrosetti», delinea – in particolare – un quadro chiaro dello stato di avanzamento del processo di liberalizzazione dei singoli mercati e di creazione di un mercato unico del trasporto ferroviario;
   lo studio citato evidenzia come l'Italia – che rappresenta il terzo mercato ferroviario europeo ed esprime anche il terzo operatore ferroviario – si è sempre caratterizzata per una totale assenza di precise scelte politiche in materia;
   inoltre, mentre da una parte l'Italia è tra i Paesi che più velocemente si sono adoperati per l'implementazione delle direttive europee rispetto ad altri Stati membri, dall'altra ciò non ha comportato la definizione di una chiara politica e strategia del trasporto ferroviario;
   tra gli elementi di criticità rilevati nel quadro italiano ci sono i livelli di contribuzione al servizio di trasporto pubblico locale ferroviario contenuti e non paragonabili a quelli dei principali Paesi di riferimento, in primis Francia e Germania;
   in questo contesto il trasporto pubblico locale ferroviario costituisce in Europa la spina dorsale del trasporto su rotaia, rappresentando oltre il 70 per cento dell'intera offerta di treni-chilometri percorsi e, in quasi tutti i principali Paesi europei, esso è considerato uno dei settori maggiormente strategici per la mobilità;
   al contrario in Italia il trasporto pubblico locale ferroviario è il meno remunerativo in quanto i ricavi da traffico e i corrispettivi per passeggero-chilometri percorsi sono particolarmente bassi: per quanto riguarda i primi, infatti, essi sono inferiori del 50 per cento rispetto a quelli di Francia e Germania mentre i ricavi da contribuzione pubblica sono inferiori in un range tra il 20 per cento e il 30 per cento;
   fra le raccomandazioni che il citato studio rivolge all'Italia si segnala quella relativa alla radicale revisione dell'attuale modello di finanziamento del sistema di trasporto pubblico locale ferroviario;
   con riferimento alla succitata questione, nella precedente legislatura il Governo Monti ha previsto – ai sensi dell'articolo 1, comma 301, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) che ha sostituito l'articolo 16-bis del decreto-legge n. 95 del 2012 – l'istituzione, a decorrere dal 2013, del fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario, il quale ha la precipua finalità di realizzare la razionalizzazione e l'efficientamento del settore del trasporto pubblico locale. In applicazione del citato articolo 16-bis le regioni sono tenute ad effettuare una riprogrammazione dei servizi volta a razionalizzarne la gestione sulla base di specifici obiettivi, il cui mancato raggiungimento comporta una progressiva riduzione delle risorse statali destinate alle regioni stesse;
   il comma 3 del citato articolo 16-bis stabilisce che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanarsi previa intesa in sede di Conferenza unificata, sono definiti i criteri e le modalità con cui ripartire e trasferire alle regioni a statuto ordinario le risorse stanziate sul suddetto fondo. Ad oggi il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri risulta ancora in corso di emanazione, anche se la formalizzazione dell'intesa succitata ha permesso l'emanazione del decreto interministeriale (ex articolo 16-bis, comma 6) di ripartizione, a titolo di anticipazione, tra le regioni a statuto ordinario, del 60 per cento dello stanziamento del fondo medesimo;
   la fotografia impietosa che lo studio citato fa del sistema italiano del trasporto pubblico locale ferroviario è sicuramente confermata dalle esperienze di disservizi e ritardi di chi quotidianamente utilizza il trasporto pubblico locale su rotaia;
   tra le situazioni più compromesse si segnala quella relativa al trasporto pubblico locale ferroviario della regione Toscana dove – secondo i dati raccolti nella campagna sulla mobilità sostenibile Pendolaria 2012 promossa da Legambiente – è in servizio una delle peggiori tratte del trasporto ferroviario locale italiano, la Viareggio-Firenze sulla quale, secondo le previsioni, saranno chiuse 7 stazioni con una conseguente drastica diminuzione del servizio a fronte di un aumento del 30 per cento delle tariffe regionali;
   nel 2012 – secondo quanto segnalato dall'Assemblea pendolari Lucca-Pisa – i biglietti sono, infatti, aumentati: su un tratta di 30 chilometri come Lucca-Viareggio o Lucca-Pisa, infatti, il biglietto è passato da 2,50 a 3,30 euro, gli abbonamenti settimanali da 18 a 22 euro e quelli mensili da 46 a 55 euro per chi ha un Isee superiore a 36 mila euro;
   nel 2003 un accordo tra regione, Rete ferroviaria italiana (Rfi) – gestore dell'infrastruttura ferroviaria nazionale – e le province di Lucca e di Pistoia aveva previsto interventi di potenziamento sulla Lucca-Firenze e nel 2008 il piano complessivo di interventi è stato reso, ovviamente in teoria, operativo. Esso prevedeva, tra l'altro, il raddoppio della Pistoia-Montecatini con un costo di 116 milioni di euro e la velocizzazione della tratta Montecatini-Lucca per 60 milioni di euro;
   sempre secondo quanto segnalato dall'Assemblea dei pendolari Lucca-Pisa e dal coordinamento per la difesa del trasporto pubblico, da parte della regione Toscana c’è un evidente disinteresse nei confronti dei 10 mila pendolari che utilizzano la tratta Lucca-Firenze oltre alla totale mancanza della volontà politica nel sostenere il trasporto dei pendolari su rotaia;
   alla regione Toscana i pendolari hanno formulato richieste precise (investimenti
per il raddoppio delle linee e miglioramenti tecnologici per la circolazione dei treni, sostituzione del materiale rotabile, un aumento della manutenzione sui mezzi e sulle infrastrutture per ottenere puntualità, efficienza e sicurezza), lanciando, altresì, un appello affinché la regione stessa chieda a Ferrovie dello Stato, ed in particolare a Rfi, il rispetto del contratto di servizio e l'abbandono di una politica di contrazione del personale e degli investimenti rivelatasi fallimentare;
   il 18 marzo 2013, il Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) ha dato il via libera al Contratto di programma-servizi 2012-2014 tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Rete ferroviaria italiana. I finanziamenti, pari a 4.575 milioni di euro, saranno utilizzati per attività di manutenzione ordinaria e straordinaria della rete ferroviaria, safety e security e navigazione su rotaia –:
   quali tempestive iniziative, per quanto di competenza, intenda porre in essere per rendere il trasporto pubblico locale ferroviario competitivo, verificando, altresì, l'adempimento da parte di Rete ferroviaria italiana (Rfi) degli obblighi previsti, a tale proposito, dal Contratto di programma anche con particolare riferimento alla sopradescritta situazione in cui versa il trasporto pubblico locale ferroviario della regione Toscana. (4-00945)

   BERGAMINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dopo circa un secolo di servizio, la linea ferroviaria Sicignano-Lagonegro è stata chiusa nel 1987 per consentire l'elettrificazione della linea Battipaglia-Potenza, e sostituita con l'introduzione di autoservizi su gomma;
   la linea in questione attraversava il Vallo di Diano e interessava 22 comuni per un totale di 9.000 abitanti ed un bacino di utenza di oltre 100.000 persone, senza dimenticare che la zona interessata è di enorme rilevanza turistica per le bellezze storico-paesaggistiche, dove sono presenti patrimoni Unesco come il parco del Cilento e vallo di Diano, e la certosa di San Lorenzo di Padula, nonché le grotte dell'Angelo a Pertosa e il battistero paleocristiano di S. Giovanni in fonte;
   la linea Sicignano-Lagonegro – che ufficialmente non è stata mai soppressa – affianca in quasi tutto il suo percorso l'autostrada Salerno-Reggio Calabria, della quale potrebbe costituire una valida alternativa;
   l'articolo 1 della legge 29 dicembre 2003, n. 376, recante «Finanziamento di interventi per opere pubbliche», autorizzava, per la realizzazione degli interventi finalizzati al ripristino della tratta ferroviaria Sicignano degli Alburni-Lagonegro, la spesa di 5.000.000 euro per ciascuno degli anni 2003-2005;
   negli anni, in favore della riattivazione della linea ferroviaria in questione sono sorte associazioni e da ultimo un comitato, i quali – in sinergia con i rappresentanti degli enti locali interessati – hanno portato la questione all'attenzione delle istituzioni, locali e nazionali, nonché delle stesse Ferrovie dello Stato in considerazione delle esigenze legate al pendolarismo, al turismo e allo sviluppo economico;
   anche il consiglio regionale della Campania ha riaffermato di recente l'importanza della riattivazione della linea ferroviaria Sicignano-Lagonegro e la necessità che la regione stessa abbia un ruolo strategico nelle discussione in atto al riguardo;
   nella audizione che si è svolta il 30 maggio 2013 presso la IV Commissione trasporti della regione Campania è stato sottolineato, in particolare, come un'occasione utile alla riattivazione della linea ferroviaria in questione potrebbe essere l'utilizzazione dei fondi europei 2014/2020 e l'apertura di un tavolo di confronto in sede regionale nell'ambito del contratto istituzionale di sviluppo per il completamento della direttrice ferroviaria Salerno-Reggio Calabria –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di adottare opportune iniziative, per quanto di competenza, finalizzate ad agevolare la riapertura della linea ferroviaria Sicignano-Lagonegro anche in un ottica di promozione dello sviluppo economico delle zone interessate. (4-00953)

   BRUNO, COVELLO, MAGORNO, BRUNO BOSSIO e AIELLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 10 luglio del 2009, cioè quasi quattro anni orsono, sembra che siano stati appaltati dall'Anas i lavori sulla SS 18 che interessano uno degli svincoli di Paola e precisamente quello che porta al santuario di San Francesco;
   i lavori, che appartengono ad una serie di opere riferite al Giubileo del 2000, sembra che dovessero avere una durata di 223 giorni;
   lo svincolo in questione è fondamentale per il traffico veicolare del Tirreno cosentino, per il flusso turistico estivo, per l'accesso ad uno dei santuari più importanti d'Europa e del mondo e, infine, per garantire una viabilità alternativa all'A3, unica autostrada regionale, spesso interrotta a causa dei cantieri gestiti dall'Anas;
   ad oggi niente lascia fare previsioni in merito al completamento dell'opera, l'unica cosa certa è che l'ennesima stagione estiva potrebbe essere fortemente condizionata da un cantiere che, tra l'altro, ha una sua evidente pericolosità per il traffico veicolare –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente della situazione di disagio e di pericolo descritta e se intenda, e come, intervenire per impedire ulteriori ritardi nell'esecuzione dell'opera e verificare eventuali responsabilità. (4-00957)

   REALACCI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legislazione vigente sul tema dell'inquinamento acustico ha stabilito per gli enti gestori, gli obiettivi di bonifica acustica, indicando i tempi per raggiungerli e le modalità di accantonamento delle risorse finanziarie necessarie;
   ad oggi, come lamenta la «Federazione industrie prodotti impianti ed opere specialistiche per le costruzioni» (FINCO), mentre alcuni enti o soggetti concessionari hanno avviato, se pur con ritardo, le attività richieste, pare che RFI – Rete ferroviaria italiana, società del gruppo Ferrovie dello Stato italiane spa controllata al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze, abbia disatteso obblighi di legge ed impegni assunti con la presentazione agli enti competenti dei piani di intervento per il risanamento acustico ed utilizzato risorse finanziarie già accantonate allo scopo per destinarle ad altre priorità. L'ammontare stimato relativo agli stanziamenti non più disponibili è dell'ordine di 700.000.000 euro;
   l'obbligo di procedere al piano di risanamento acustico per il principale ente gestore di infrastrutture ferroviaria è stabilito dal decreto 29 novembre 2000 recante «Criteri per la predisposizione, da parte delle società e degli enti gestori dei servizi pubblici di trasporto o delle relative infrastrutture, dei piani degli interventi di contenimento e abbattimento del rumore». L'obiettivo è il conseguimento graduale del pieno rispetto dei limiti di rumorosità ambientale stabiliti dal decreto del Presidente della Repubblica n. 459 – 18 novembre 1998 «Regolamento recante norme di esecuzione dell'articolo 11 della legge 26 ottobre 1995, n. 447, in materia di inquinamento acustico derivante da traffico ferroviario»;
   l'articolo 5, comma 1, del citato decreto 29 novembre 2000 stabilisce che «gli oneri derivanti dall'attività di risanamento sono a carico delle società e degli enti gestori delle infrastrutture e dei trasporti che vi provvedono in conformità a quanto previsto dall'articolo 10, comma 5, della legge 26 ottobre 1995, n. 447 – legge quadro sull'inquinamento acustico»;
   sussiste perciò l'obbligo per Rete ferroviaria italiana di stanziare in via ordinaria una quota fissa non inferiore al 5 per cento dei fondi di bilancio previsti per le attività di manutenzione e di potenziamento delle infrastrutture stesse e per l'adozione di interventi di contenimento ed abbattimento del rumore –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della questione e se intendano per il tramite degli uffici competenti verificare il rispetto delle disposizioni di legge vigenti da parte di RFI in materia di bonifica acustica;
   se si intenda fornire elementi dettagliati sullo stato degli interventi di bonifica acustica relativi alla rete ferroviaria nazionale finora eseguiti. (4-00964)

INTERNO

Interpellanza:

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   come ogni anno, con l'avvio della stagione estiva e con il conseguente miglioramento delle condizioni del mare, si intensificano gli sbarchi di migranti in tutto il territorio nazionale e in particolare in Sicilia, Calabria e Puglia;
   in particolare, a Lampedusa la situazione presenta già da alcuni giorni caratteristiche preoccupanti legate al fatto che il numero di presenze eccede di gran lunga la capienza del locale centro di accoglienza (oltre 1.000 persone a fronte di una capienza di 300 posti);
   la situazione dei centri di accoglienza per richiedenti asilo in tutto il territorio nazionale è caratterizzata da una costante situazione di criticità determinata dal numero eccessivo di presenze e dai lunghissimi tempi di attesa per le procedure legate alla richiesta di asilo;
   il Governo italiano, negli ultimi anni, è stato oggetto di moniti da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo rispetto alla mancata osservanza dei diritti dei migranti sul suolo italiano e al trattamento disumano e degradante degli ospiti all'interno dei centri di accoglienza;
   gli interpellanti hanno più volte denunciato pubblicamente la grave condizione di sovraffollamento in cui versano i centri di ospitalità per i migranti, una situazione decisamente inaccettabile per i migranti ospitati e per gli operatori;
   ogni anno, inevitabilmente, l'assenza di un intervento tempestivo e strutturale finisce per produrre una condizione di cosiddetta «emergenza», con tutte le intuibili conseguenze, assolutamente inaccettabili, sulla situazione dei migranti presenti sul nostro territorio, nonché sulle risorse pubbliche che potrebbero essere utilizzate in modo più efficace;
   i tempi di accesso alla procedura relativa alla domanda di protezione internazionale sono di fatto molto più lunghi rispetto a quanto stabilito nel decreto legislativo 251 del 2007, nonché a quanto stabilito dalla recente circolare del Ministero dell'interno 400/C/2013 dell'8 febbraio 2013 che, in particolare, chiarisce come la domanda di asilo si debba considerare presentata a seguito dell'avvenuta «manifestazione di volontà dell'interessato»;
   dovrebbe esserci contestualità tra detta manifestazione di volontà e la ricezione amministrativa della domanda tramite modulo C3;
   la mancata applicazione di dette norme comporta ad avviso degli interpellanti il determinarsi di situazioni di «sospensione» dei diritti connessi alla richiesta
di asilo con conseguenze di particolare gravità nei confronti dei soggetti più vulnerabili –:
   di quali informazioni dispongano i Ministri interrogati rispetto alla situazione illustrata in premessa e, in particolare, sul rapporto, alla data odierna tra presenze e disponibilità nelle diverse strutture di accoglienza;
   se i Ministri ritengano di provvedere con urgenza e, in caso affermativo, con quali tempi, ad un piano di intervento che consenta di evitare che si produca l'ennesima emergenza a fronte di un fenomeno evidentemente ormai strutturale, e dunque prevedibile con largo anticipo;
   quali iniziative urgenti il Governo intenda porre in essere affinché si giunga ad una immediata soluzione dei problemi evidenziati in premessa;
   se i Ministri intendano, e in quali forme, promuovere un processo di revisione dell'intero sistema di protezione internazionale dalla fase di accesso alla procedura alla fase dell'accoglienza.
(2-00110) «
Fratoianni, Migliore, Pilozzi, Costantino, Nicchi, Palazzotto, Piazzoni».

Interrogazione a risposta orale:

   FRAGOMELI, GUERRA, PASTORINO e RUGHETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comma 1, dell'articolo 19 del decreto-legge n. 95 del 2012 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012 (Spending review) modificando l'articolo 14 del decreto-legge n. 78 del 2010 convertito, con modificazioni dalla legge n. 122 del 2010 individua il ventaglio delle funzioni fondamentali comunali da svolgersi obbligatoriamente in forma associata attraverso unioni di comuni (ai sensi dell'articolo 32 del decreto legislativo n. 267 del 2000) o convenzioni – ad esclusione della lettera l), stato civile e servizi anagrafici – da parte dei comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, ovvero 3.000 abitanti se appartenenti o appartenuti a comunità montane;
   la soglia demografica minima da raggiungere con la forma associativa, unione o convenzione, pur nella varietà delle sue declinazioni da parte delle legislazioni regionali, non risulta essere quasi mai inferiore rispettivamente ai 5.000 ed ai 3.000 abitanti nelle aree montane;
   l'articolo 31 del decreto Presidente della Repubblica 4 dicembre 1997 n. 465 recante «Regolamento recante disposizioni in materia di ordinamento dei segretari comunali e provinciali, a norma dell'articolo 17, comma 78, della legge 15 maggio 1997, n. 127» prevede al punto 1, lettera a): i segretari comunali e provinciali sono classificati in tre fasce professionali denominate A, B e C:  a) nella fascia professionale C, sono inseriti i segretari, idonei allo titolarità di sedi di comuni fino a 3.000 abitanti, a seguito dei conseguimento dell'abilitazione concessa dalla Scuola Superiore di cui all'articolo 98, comma 4, del T.u.e.l. n. 267 del 2000;
   il generalizzato obbligo per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti di gestire in forma associata le funzioni fondamentali ovvero istituire le unioni di comuni – tra le quali rientra la funzione di segreteria comunale – rende di fatto inutilizzabili in tali enti le professionalità della fascia C che quindi non avranno più, di fatto, alcuno sbocco professionale;
   la gestione associata obbligatoria deve essere attuata entro il 31 dicembre 2013;
   appare quindi evidente la necessità di una urgente rivisitazione della suddetta fascia professionale, al fine di consentire alle costituende forme di aggregazioni comunali – attesa la sostanziale omogeneità delle problematiche a quella dei piccoli comuni – di avvalersi dell'adeguata pro- fessionalità dei segretari comunali con un trattamento economico sostenibile per i bilanci dei singoli comuni associati –:
   se il Governo non ritenga indispensabile intervenire con iniziative per consentire che i segretari comunali di fascia C possano essere assegnati a comuni e alle loro forme associative con popolazione fino a 10.000 abitanti. (3-00133)

Interrogazioni a risposta in Commissione:

   CARELLA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Gorga sito a sud della provincia di Roma è un paesino di circa 800 abitanti;
   il comandante provinciale dei carabinieri ha comunicato al sindaco ed alla giunta comunale l'intenzione dell'Arma dei carabinieri di procedere ad un piano nazionale di razionalizzazione delle caserme, prevedendone la chiusura nei centri minori, a causa della riduzione dei trasferimenti messi a disposizione dallo Stato, ed in tale razionalizzazione figurerebbe anche la caserma della locale stazione dei carabinieri;
   la decisione sarà assunta a livello nazionale dal comando generale dei carabinieri e dal Ministero dell'interno;
   la sicurezza pubblica deve essere garantita come diritto essenziale agli stessi livelli e nelle stesse condizioni in tutto il territorio italiano, costituendo essa un diritto fondamentale di ciascun cittadino, senza alcuna distinzione;
   Gorga proprio per la sua posizione geografica, arroccata sulla montagna, non può privarsi della locale stazione; diventerebbe preda di malintenzionati indisturbati nel loro agire a discapito dei cittadini indifesi che continuano a pagare le spese della diminuzione dei trasferimenti messi a disposizione dello Stato;
   non si può lasciare i cittadini soli e poco sicuri, l'accesso al paese specialmente in inverno, dalle stazioni dei comuni limitrofi, sarebbe troppo lento;
   vivere in un piccolo comune non può essere una condizione discriminante del livello di vita di chi decide di continuare a vivere in questi borghi;
   la salvaguardia e la tutela dei servizi pubblici essenziali nei piccoli comuni costituiscono le condizioni primarie per la sopravvivenza dei comuni di minore dimensione demografica che costituiscono il 70 per cento dei comuni italiani, sopravvivenza che da anni viene posta tra gli obiettivi fondamentali del legislatore nazionale –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano assumere per fermare questa ipotesi di razionalizzazione delle caserme dei carabinieri specialmente nei piccoli comuni come Gorga. (5-00399)

   TARICCO e GRIBAUDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'area pedemontana in provincia di Cuneo, in Piemonte, che raggruppa una quindicina di comuni intorno a Saluzzo, rappresenta uno tra i più importanti distretti frutticoli in Italia;
   da anni la raccolta della frutta, tra luglio e ottobre, si avvale della collaborazione di lavoratori stagionali, dapprima, negli anni settanta, provenienti dal sud Italia, e poi successivamente dal Nord Africa, dall'Albania, dall'est Europa, e, da ultimo, dalla Cina;
   la maggior parte dei protagonisti di questi flussi nel tempo si sono stabilizzati ed integrati; tuttavia, negli ultimi anni si è verificato un fenomeno nuovo costituito dai migrati africani che si spostano tra nord e sud, seguendo il ciclo delle stagioni della raccolta di frutta ed ortaggi, spesso al di fuori del sistema ufficiale dei flussi, e in concorrenza con esso, e dunque al di fuori di qualunque raccordo con il territorio;
   a partire dal 2009 la situazione ha visto un crescendo di arrivi non organizzati, e si è riusciti a farvi fronte nel 2011 grazie all'impegno del comune di Saluzzo e dei comuni circostanti, in collaborazione con la Caritas e con la fattiva collaborazione della Rete ferroviaria italiana – tramite la direzione territoriale di Torino – che ha messo a disposizione locali e servizi igienici, ancorché in condizioni precarie;
   tuttavia, nel 2012 la situazione è andata ulteriormente peggiorando, assumendo i contorni dell'emergenza, ed i consistenti sforzi fatti dalle Amministrazioni comunali di Saluzzo e dei comuni limitrofi, dalle associazioni dei produttori agricoli e dalle associazioni di volontariato, organizzati in un tavolo di lavoro formalizzato, con il coordinamento della Prefettura, non sono stati sufficienti;
   già dai primi giorni di giugno un centinaio di persone soggiornano presso la stazione ferroviaria, e verificata la indisponibilità delle Ferrovie a consentire l'utilizzo dei servizi igienici della stazione – ed anzi constatata la volontà di provvedere all'abbattimento del fabbricato concesso l'anno precedente – si è dovuto disporre lo sgombero della stazione, con accompagnamento delle persone ivi soggiornanti in strutture predisposte o messe a disposizione da alcune Amministrazioni comunali o dalle parrocchie dei comuni coinvolti;
   il comune di Saluzzo in particolare è divenuto il polo attorno al quale, in breve tempo, si è organizzato un accampamento autogestito per il ricovero di un numero rilevante di immigrati che non aveva trovato ospitalità in altre strutture, un progetto di accoglienza sostenuto anche dalla regione Piemonte;
   nei primi giorni di settembre 2012, anche a causa delle avverse condizioni atmosferiche, il problema dell'accampamento autogestito con oltre 200 persone è esploso in tutta la sua rilevanza, anche se è poi andato ridimensionandosi progressivamente fino a ottobre; all'inizio di novembre le strutture sono state chiuse o rimosse;
   le amministrazioni locali, ed in particolare il Comune di Saluzzo, hanno messo in campo tutto quanto era nelle loro possibilità, attivandosi tra l'altro per organizzare, in collaborazione con la Caritas diocesana, la Coldiretti e i Comuni limitrofi, degli spazi di accoglienza con posti letto e servizi igienici, destinati a ospitare esclusivamente le persone con un contratto di lavoro, anche intermittente, e garantendo un numero di posti letto complessivi di quasi duecento unità a partire dal mese di giugno. A tale numero va aggiunto quello dei migranti alloggiati nelle aziende, già significativo nel corso del 2012, e che si auspica possa crescere in parallelo con la fidelizzazione del rapporto tra migranti e imprenditori agricoli;
   le amministrazioni locali hanno altresì favorito l'intermediazione istituzionale tra domanda e offerta di lavoro, attraverso il coinvolgimento del centro per l'impiego di Saluzzo, svolgendo così da un lato un ruolo di censimento della forza lavoro; e dall'altro di verifica della regolarità del suo utilizzo sul territorio, anche al fine di prevenire l'insorgere di fenomeni d'intermediazione illecita quali il caporalato;
   le amministrazioni locali hanno infine cercato di evitare il formarsi di accampamenti spontanei e non controllati sul territorio comunale, mediante l'adozione, fin dal mese di aprile, di un'apposita ordinanza che prevede il divieto di campeggio o di pernottamento al di fuori degli spazi appositamente allestiti, e l'intervento della forza pubblica in caso di violazione, anche al fine di non vanificare gli sforzi messi in campo dalle associazioni di volontariato e dalle associazioni di categoria per fornire una ospitalità adeguata, ma limitata alle persone che effettivamente troveranno lavoro nel settore della frutticoltura;
   moltissimi dei migranti recentemente arrivati per la prima volta Saluzzo, e nel
saluzzese, provengono infatti dai Centri di accoglienza che sono stati allestiti per l'Emergenza nord-Africa, e poi successivamente chiusi lo scorso marzo; tuttavia, questi migranti hanno manifestato chiaramente la loro volontà di non lasciare il territorio, e sono giunti a Saluzzo o nel territorio circostante senza contatti e senza la formazione necessaria, e dunque con poche o nessuna prospettiva di lavoro;
   nonostante i flussi siano sempre più intensi e crescenti, le amministrazioni hanno fatto e stanno facendo comunque il possibile per garantire un'accoglienza dignitosa ai migranti –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare al fine di intervenire quanto prima sulla grave emergenza migratoria riguardante Saluzzo e il territorio circostante, anche alla luce del fatto che molti degli attuali migranti provengono dalla chiusura dei centri di accoglienza allestiti per l'Emergenza Nord Africa, e necessitano di una risposta su un piano umanitario che trascende le possibilità dei comuni di Saluzzo e del saluzzese e va decisamente oltre le potenzialità degli obiettivi del progetto programmato per i lavoratori stagionali. (5-00404)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza:

   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   nella regione Abruzzo i movimenti e le associazioni ambientaliste hanno promosso negli ultimi mesi campagne estremamente aggressive contro pressoché qualsiasi investimento infrastrutturale e, con particolare riferimento, alle installazioni per l'approvvigionamento energetico, trascurando colpevolmente, il patrimonio rappresentato dalle imprese abruzzesi della filiera petrolifera in un periodo di così grave crisi;
   si è conseguentemente sviluppato, nel sentire comune, un ambientalismo «politicamente corretto» che ha pervaso in maniera capillare giornali, televisioni locali e siti internet, trasmettendo falsamente l'idea che la Regione Abruzzo – e l'Italia tutta – potrebbero soddisfare la propria domanda di energia con il ricorso esclusivo alle fonti rinnovabili, mentre attualmente il nostro Paese importa ogni giorno circa 1,5 milioni di barili di petrolio, con gravi ripercussioni sulla bilancia dei pagamenti e sul sistema energetico nazionale;
   tra gli investimenti maggiormente contestati, in ragione dello stato avanzato del suo iter autorizzativo, vi è quello denominato «Ombrina Mare» (Medoilgas Italia S.p.A.) che ha ad oggetto la coltivazione di un giacimento di petrolio al largo della costa di Ortona (Chieti), le cui dimensioni sono stimate in 40 milioni di barili; il progetto stesso è stato oggetto di una campagna di propaganda dai contenuti fortemente allarmistici, e spesso di opinabile valore scientifico, tesi a creare un generalizzato clima di ostilità da parte della comunità del territorio;
   la «querelle Ombrina» ha di recente coinvolto anche i principali quotidiani nazionali (cfr. Corriere della Sera del 19 maggio 2013) e – attraverso agguerriti detrattori – il progetto è stato definito una «bomba ecologica» dai foschi tratti apocalittici, profilando mostruosi scenari di potenziale deflagrazione, evidentemente distanti da una rappresentazione realistica ed obiettiva della realtà;
   il 30 maggio 2013, sul sito Internet www.abruzzolive.tv è stato pubblicato il video «No Ombrina», realizzato con bambini delle scuole elementari Umberto I e Gabriele D'Annunzio dei Comuni di San Vito Chietino e di Rocca San Giovanni (provincia di Chieti), in cui ricorrono immagini di piattaforme petrolifere in
fiamme e simulazioni di sversamenti di petrolio che contaminerebbero larga parte dell'Adriatico;
   il video, pedissequamente ispirato ad un'iconografia ambientalista di matrice ideologica, mostra bambini, affiancati da quello che sembra il loro personale docente, che argomentano con apparente e inusitata cognizione di causa sulle qualità chimiche del petrolio e sui presunti rischi legati all'inquinamento da idrogeno solforato;
   ad avviso dell'interrogante si ravvisa nel citato video una rappresentazione faziosa e subdola del progetto che è stata offerta e la decisione di trasmettere e diffondere il video in rete rappresenta una strumentalizzazione dei giovani discenti utilizzati ai fini di una campagna di natura politico-ambientalista oltre al fatto che tale diffusione appare poco rispettosa della disciplina di tutela della privacy dei minori non essendo noto se sia stata acquisita un'autorizzazione espressa ad hoc da parte di tutti i genitori;
   nella natura propagandistica del video si riscontra inoltre, ad avviso dell'interrogante, un uso distorto di contenuti di una sedicente educazione ambientale, mancando completamente qualsiasi riferimento utile a comprendere gli effetti positivi che il progetto «Ombrina» potrebbe generare nella Regione Abruzzo, soprattutto in termini di ricaduta occupazionale e aumento degli investimenti; necessari a rappresentare compiutamente il significato complessivo del principio di «sviluppo sostenibile»;
   con riferimento al progetto «Ombrina mare» il 3 aprile 2013 la Commissione tecnica per la Valutazione dell'impatto ambientale del Ministero dell'Ambiente ha emesso un nuovo parere positivo, come si legge testualmente nel sito www.va.minambiente.it: «Con l'entrata in vigore dell'articolo 35 della legge n. 134 del 2012 è stata riavviata in data 22 novembre 2012 la procedura di Via ed è stato successivamente espresso parere positivo con prescrizioni n. 1154 del 25 gennaio 2013 dalla Commissione Tecnica di Verifica dell'Impatto Ambientale. A seguito del parere inviato dalla regione Abruzzo in data 4 marzo 2013 la Commissione ha svolto un supplemento istruttorio conclusosi con il parere n. 1192 del 3 aprile 2013 che conferma il precedente parere espresso in data 25 gennaio 2013 e precisa il quadro prescrittivo in merito alle autorizzazioni alle emissioni in atmosfera», –:
   se la complessità dell'argomento e delle sue implicazioni, oltre che la rappresentazione che ne è stata data, siano compatibili con i programmi e le modalità educative richieste con riguardo a quella particolare fascia d'età e se la dirigenza scolastica dei suddetti istituti sia stata informata sulla realizzazione del video e la natura dei contenuti trasmessi;
   se sia stata richiesta l'autorizzazione espressa dai genitori per la diffusione in rete del video realizzato.
(2-00111) «
Tancredi».

Interrogazione a risposta in Commissione:

   PICCOLI NARDELLI, NARDELLA e MALPEZZI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   secondo l’«European bullying research», parte del progetto Europe Anti-Bullying-Project, il 15,09 per cento degli studenti intervistati è stato vittima di bullismo e la maggior parte dei bulli sono compagni di classe (48,9 per cento) o comunque studenti della stessa scuola (23,4 per cento);
   secondo l'indagine sulle condizioni dell'infanzia e dell'adolescenza in Italia condotta da Telefono Azzurro e Eurispes (2011), condotta su 1.496 studenti di scuole italiane di età compresa tra i 12 e i 18 anni, le forme di prevaricazione più comunemente messe in atto sono la diffusione di informazioni false o cattive sul proprio conto (25,2 per cento), provocazioni e prese in giro ripetute (22,8 per cento) ed essere ripetutamente oggetto di offese immotivate (21,6 per cento). Il 10,4 per cento dei ragazzi intervistati ha riferito di subire una continua esclusione/isolamento dal gruppo dei pari. Si riscontra una certa prevalenza di vittime di sesso maschile per quanto riguarda gli episodi di danneggiamento (13,7 per cento di maschi contro 8,7 per cento di femmine), minacce (7 per cento contro 4,2 per cento) e percosse (4,1 per cento contro 2,5 per cento). Le forme di bullismo indiretto (verbale e relazionale) appaiono molto più diffuse rispetto alle forme di bullismo fisico;
   è di assoluta importanza l'intervento immediato e qualificato da parte del corpo docente che necessita, pertanto, di una formazione psicologica adeguata per sostenere le vittime e per educare e punire i colpevoli;
   le indagini citate mostrano una correlazione tra il bullismo e una situazione di disagio economico e lavorativo familiare, situazioni di emarginazione etnica, pessime relazioni con i genitori o comportamenti violenti nelle mura domestiche, dimostrando il ruolo centrale della famiglia nella prevenzione e nel contrasto del fenomeno;
   la scuola pubblica deve educare alla convivenza civile e promuovere comportamenti di solidarietà tra studenti, rimuovendo gli ostacoli all'integrazione e prevenendo fenomeni di emarginazione e violenza;
   a titolo di esempio, come riportato da noti organi di stampa (il quotidiano La Nazione del 9 giugno 2013), si è a conoscenza di un grave episodio di bullismo consumato ai danni di un bambino di dieci anni, studente della scuola primaria «Andrea del Sarto» di Firenze, durante la ricreazione scolastica;
   secondo le prime ricostruzioni giornalistiche il bambino, vittima dei soprusi, era stato oggetto da tempo di violenze fisiche ed offese da parte di un gruppo di compagni di scuola –:
   se il Ministero abbia in atto o preveda di attuare campagne specifiche di sensibilizzazione contro il bullismo e, in tal caso, quali attività specifiche di formazione per docenti e famiglie siano previste;
   se il Ministro interrogato non intenda verificare che nella scuola elementare dell'Andrea del Sarto di Firenze siano state adottate tutte le misure utili a prevenire questo fenomeno. (5-00408)

Interrogazioni a risposta scritta:

   TARTAGLIONE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge 21 dicembre 1999, n. 508 ha trasformato le accademie di belle arti, di danza, di arte drammatica, gli Isia, gli istituti musicali pareggiati e i conservatori di musica in «istituzioni di alta formazione», soprattutto al fine di allineare le istituzioni italiane di alta formazione agli standard europei;
   la predetta legge prevedeva all'articolo 2, comma 7, l'approvazione di una serie di regolamenti che ad oggi risultano non emanati;
   risultano approvati solo il regolamento sull'autonomia delle istituzioni (decreto del Presidente della Repubblica 28 febbraio 2003, n. 132), il «regolamento degli ordinamenti didattici» (decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio 2005, n. 212), nonché alcuni decreti direttoriali come quelli sui settori disciplinari o sui nuovi codici di inquadramento degli insegnamenti;
   non sono stati ancora emanati i regolamento riguardanti i requisiti dei docenti e delle sedi dell'Afam e si è insistito sul regime «transitorio» fino ad oggi mantenendo i nuovi corsi in fase «sperimentale»; inoltre, mancano programmi di studio aggiornati e coerenti con gli sbocchi lavorativi previsti; lo stesso sistema dei crediti formativi risulta sostanzialmente inapplicato, basti pensare che – a quanto risulta – a materie come «violino» o «flauto» vengono attribuiti di fatto solo 3 o 4 crediti, contro i 22 previsti;
   l'avvio di una riforma ha creato nel settore molte attese, ma, vista la mancata adozione dei richiamati regolamenti, anche grande delusione. Basti pensare ai professori d'orchestra nei teatri lirico-sinfonici che hanno abbandonato quest'attività in favore dell'insegnamento nei conservatori di musica riformati, trovandosi però impossibilitati a svolgere al meglio le nuove mansioni;
   la mancata adozione di alcuni regolamenti e il mancato coordinamento nella redazione di altri hanno generato tra studenti e docenti seri dubbi sulla possibilità di vedere, ad oltre tredici anni dall'emanazione della legge n. 508, la piena attuazione della riforma –:
   se il Ministro interrogato intenda dare piena attuazione al processo di riforma dell'alta formazione artistica e musicale derivato dalla legge 21 dicembre 1999, n. 508, e, in tal caso, quali siano i tempi per l'approvazione dei richiamati regolamenti. (4-00954)

   REALACCI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in una recente nota inviata dal professor Francesco Greco, Presidente dell'Associazione nazionale docenti, al capo del dipartimento per l'istruzione, dottoressa Lucrezia Stellacci si rappresenta la grave situazione di esubero che si sta determinando nella definizione degli organici di diritto per quanto riguarda l'insegnamento della Geografia 39/A;
   nella nota, scrive Greco, pervengono segnalazioni nella formulazione degli organici di diritto di una errata attribuzione delle ore di geografia 39/A ad altra classe di concorso (scienze naturali – 60/A). Ciò avviene in diverse province e determina un'indebita sottrazione di posti e di cattedre all'insegnamento di geografia e il conseguente esubero di docenti appartenenti a tale classe di concorso (39/A) ma anche un grave nocumento nel diritto degli studenti ad apprendere quanto è previsto dall'ordinamento del percorso di studi intrapreso;
   ricordando che l'ordinamento delle classi di concorso e i relativi insegnamenti sono disciplinati dal decreto ministeriale 39 del 1998 e nelle tabelle allegate a detto decreto ministeriale, sono specificate, per ciascuna classe di concorso, i titoli di studio validi per l'ammissione ai concorsi a cattedre, che sono assai diversi per le due classi di concorso de quo;
   assai diversi sono anche i contenuti dell'insegnamento della geografia impartiti negli istituti commerciali come si può riscontrare anche nel profilo culturale (allegato A) definito dalla riforma degli ordinamenti degli istituti tecnici;
   con nota n. 2320 del 29 marzo 2012, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca pur ribadendo che in assenza del regolamento relativo alla revisione delle classi di concorso, previsto dall'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008 si rende necessario in sede di costituzione degli organici e per le conseguenti operazioni di mobilità, far riferimento alle attuali classi di concorso e, nella stessa nota, aggiungeva che le stesse dovevano essere opportunamente integrate e modificate con le discipline e gli ambiti disciplinari relativi agli ordinamenti del primo, secondo e terzo anno di corso degli istituti di secondo grado;
   in considerazione di ciò trasmetteva, in allegato a detta nota, le tabelle già approvate con Decreto del Presidente della Repubblica n. 88 del 15 marzo 2010, ma con modifiche ed integrazioni che riguardavano l'attribuzione delle discipline dei vari corsi di studio alle classi di concorso;
   l'abnormità di quanto si disponeva a danno della classe 39/A è apparso da subito tanto evidente che con successiva nota (nota ministeriale n. 679 del 4 maggio 2012) si riteneva opportuno evidenziare che ad integrazione e a chiarimento di quanto comunicato con la nota n. 2320 del 29 marzo 2012, che ha trasmesso l'elenco delle classi di concorso su cui confluiscono le discipline relative ai primi tre anni degli istituti di secondo grado, si precisa che le ore di geografia in questione devono essere assegnate prioritariamente ai titolari della 39/A e, solo in fase residuale, al fine di evitare la creazione di situazioni di esubero, ai titolari della 60/A;
   ne consegue altresì che, in presenza di soprannumero, non deve procedersi alla redazione di una unica graduatoria tra i titolari delle due classi di concorso;
   infine si sottolinea che mentre nell'anno scolastico precedente la classe di concorso 39/A non presentava particolare situazione di esubero, quest'anno, invece, in tante province molti docenti perderanno la cattedra e per loro si profilano condizioni di soprannumerarietà;
   emerge inoltre dalla lettura della nota del 21 marzo 2013 (Prot. A00DPER n. 2916) della direzione generale del personale scolastico il richiamo alla nota 679 del 4 maggio 2012 in cui relativamente all'attribuzione delle ore di geografia degli indirizzi «amministrazione, finanze e marketing» e «turismo», esse devono essere assegnate prioritariamente alla A039 e solo in fase residuale, e al fine di evitare situazioni di esubero, attribuite alla classe A060. Nel contempo si ribadisce in via generale, ed in palese contraddizione con quanto disposto dalla nota 679 del 2012 per la classe A039, che l'assegnazione degli insegnamenti atipici alle classi di concorso «deve prioritariamente mirare a salvaguardare la titolarità dei docenti presenti nell'istituzione scolastica, la ottimale determinazione delle cattedre e la continuità didattica»;
   tuttavia, anche a causa dell'ambiguità della norma, risultano agli interroganti molti casi di arbitraria attribuzione a livello di Istituto con l'assegnazione di ore della classe A039 alla classe A060 in fase non residuale ed al fine della salvaguardia della titolarità di docenti della classe A060, senza tenere conto né di quanto disposto dalla nota protocollo 679 del 2012, né della situazione degli esuberi della A039 a livello provinciale;
   tale arbitraria attribuzione, oltre a danneggiare direttamente la classe di concorso A039 e gli studenti destinatari dell'insegnamento, danneggia il personale precario avente titolo, e in particolare i nuovi insegnanti abilitati dai corsi di tirocinio formativo attivo che stanno per concludersi per la classe A039;
   si ribadisce che con l'assegnazione arbitraria a insegnanti non aventi titolo e quindi privi del curriculum prescritto si viola palesemente l'articolo 33 della Costituzione laddove al comma 3 sancisce: «È prescritto un esame di Stato per la ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale» causando quindi una forte e grave penalizzazione a danno degli studenti con l'insegnamento della disciplina da parte di docenti non specialisti della stessa, e quindi vanificando il loro sacrosanto diritto ad un elevato livello qualitativo dell'offerta formativa come previsto peraltro dal «profilo dello studente» di cui al decreto del Presidente della Repubblica 88 del 2010;
   quanto descritto accade nel quadro della ulteriore penalizzazione subìta dalla disciplina con i decreti del Presidente della Repubblica 87-88-89 del 2010 cosiddetto «Riordino Gelmini» (sparizione della geografia dai bienni «dell'obbligo» indirizzi tecnici e professionali; dal triennio al biennio negli istituti tecnici commerciali; cancellazione negli istituti nautici, nei professionali per il turismo e alberghieri; accorpamento dell'insegnamento con storia nel biennio dei licei);
   sussiste la necessità di reintrodurre un sapere fondamentale di base nel sistema di istruzione ripensando il ruolo della geografia all'interno dei quadri programmatici dei vari indirizzi di studio
attribuendole una importanza, e quindi uno spazio, pari a quello riservatole negli altri paesi europei –:
   se non intenda intervenire sollecitamente affinché sia limitata, nelle more dell'approvazione del regolamento di revisione delle classi di concorso, la possibilità di insegnamento nella classe di concorso 39/A ai titolari della classe 60/A nella sola fase di mobilità annuale e a dare indicazioni agli uffici scolastici territoriali affinché intervengano nella formulazione degli organici valutando le situazioni degli esuberi a livello provinciale e non di istituto;
   se non intenda procedere al fine di riconsiderare le scelte del «riordino Gelmini» e di operare affinché la geografia, in quanto sapere disciplinare autonomo, fondamentale e imprescindibile, sia introdotta in tutti i bienni del «diritto-dovere» e sia reintrodotto nei curricoli in cui è stata eliminata per non privare gli studenti, futuri cittadini, di saperi assolutamente irrinunciabili, se vogliamo che essi possano essere attori creativi e non solo spettatori passivi nel complesso teatro del mondo. (4-00956)

   CAROCCI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 4 comma 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 88 del 2010 – Regolamento recante norme concernenti il riordino degli istituti tecnici, ai sensi dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, ha previsto che gli istituti tecnici per il settore tecnologico siano dotati di un ufficio tecnico con il compito di sostenere la migliore organizzazione e funzionalità dei laboratori a fini didattici e il loro adeguamento in relazione alle esigenze poste dall'innovazione tecnologica, nonché per la sicurezza delle persone e dell'ambiente;
   a tre anni dall'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica di cui sopra, la norma pare non essere mai stata applicata, se non in sporadici casi e sempre in fase di contratto collettivo nazionale integrativo concernenti utilizzazioni e assegnazioni provvisorie;
   la circolare ministeriale n. 10 del 21 marzo 2013, che ha attribuito, per l'anno scolastico 2013-2014, la dotazione complessiva dell'organico di diritto, prevede che «qualora le risorse di organico assegnate per l'anno scolastico lo consentano, è possibile istituire l'ufficio tecnico già in organico di diritto», precisando che può essere attivato un solo ufficio tecnico per ogni istituzione scolastica, compresi gli istituti superiori costituiti da istituti di ordine diverso, e che la scelta della classe di concorso cui assegnare l'ufficio tecnico deve essere prioritariamente finalizzata alla riduzione dell'esubero nella scuola ed in subordine nella provincia;
   da segnalazioni pervenute risulta che gli uffici scolastici territoriali non abbiano ricevuto disposizioni circa l'istituzione degli uffici tecnici nell'organico di diritto nelle scuole ove previsto –:
   se il ministro interrogato intenda verificare la corretta applicazione delle disposizioni di cui al succitato regolamento e dare così attuazione all'applicazione della norma in tempi utili per l'avvio del prossimo anno scolastico, nonché dotare le scuole di una risorsa ormai indispensabile e sanare nel contempo le relative situazioni di esubero. (4-00960)

   LAVAGNO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio superiore della pubblica istruzione è costituito da 74 membri (65 eletti e 9 designati), presieduto dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   il Consiglio esprime, anche di propria iniziativa, pareri su proposte o disegni di legge in materia scolastica. Esprime inoltre pareri obbligatori e spesso vincolanti su materie tassativamente fissate dalla legge e in particolare su provvedimenti riguardanti il personale scolastico dei ruoli nazionali (trasferimento per servizio, decadenza, dispensa, riammissione in servizio eccetera) e su questioni di programmazione e modifiche in campo scolastico, formulando inoltre proposte in ordine alla sperimentazione scolastica a livello locale e nazionale;
   la costituzione del Consiglio superiore della pubblica istruzione sarebbe dovuta coincidere con la decadenza del Consiglio nazionale, sostituito dal nuovo organo di consulenza del Ministro in materia di organizzazione e attività scolastica;
   questo, tuttavia, non è avvenuto: prima che ciò accadesse, infatti, l'articolo 6 del decreto legislativo n. 411 del 2001, modificava l'articolo 8 del decreto legislativo n. 233 del 1999, prorogando le funzioni del Consiglio nazionale e rinviando il termine dell'istituzione del Consiglio superiore. In seguito, le funzione del Consiglio nazionale sono state prorogate dal legislatore, di volta in volta, in attesa della nomina dei componenti dell'organo che avrebbe dovuto sostituirlo;
   il Consiglio nazionale della pubblica istruzione, quindi, pur dovendo essere sostituito già nel 2001, è rimasto in carica per oltre dieci anni nella composizione risultante dalle operazioni di elezione, designazione e nomina dei suoi componenti tenutasi nel 1996. La circostanza ha comportato un'evidente perdita di rappresentatività dell'organo stesso, in quanto molti dei suoi componenti hanno terminato il proprio servizio alle dipendenze dell'amministrazione scolastica e altrettanto è accaduto a chi li avevano eletti;
   alla data del 31 dicembre 2012 il Consiglio nazionale è decaduto in quanto, dopo il decreto-legge n. 216 del 2011, il legislatore non ha più provveduto a prorogarne la durata. Da tale data è cominciato a decorrere il termine di trenta giorni per la conclusione del procedimento, a iniziativa d'ufficio, destinato all'emanazione dell'ordinanza di cui all'articolo 2, comma 9, del decreto legislativo n. 233 del 1999;
   ne consegue che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è secondo l'interrogante inadempiente rispetto all'obbligo di emanare la predetta ordinanza dal 30 gennaio 2013, data nella quale il relativo procedimento doveva essere concluso. L'inadempimento nell'emissione dell'ordinanza ministeriale indispensabile per costituire il Consiglio superiore della pubblica istruzione, pregiudica la corretta procedura di definizione e validazione di molti atti legislativi e amministrativi inerenti il sistema di istruzione, oltre che estromettere completamente i rappresentanti del personale scolastico da decisioni del Ministero, in materia di istruzione universitaria, ordinamenti scolastici, programmi scolastici, organizzazione generale dell'istruzione scolastica e stato giuridico del personale, che incidono direttamente sul rapporto e sulle condizioni di lavoro –:
   se il Ministro intenda procedere in tempi rapidi alla costituzione del Consiglio superiore della pubblica istruzione e mettendolo in grado di svolgere le sue funzioni. (4-00961)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:

   OLIVERIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata dal 13 giugno iscritti e dirigenti alla Cgil picchetteranno le porte dell'ingresso principale dell'ospedale civile San Giovanni di Dio di Crotone, con la presenza annunciata dei massimi dirigenti regionali di categoria e confederali e di Salvatore Chiaramonte, della segreteria nazionale Funzione pubblica (Fp-Cgil), per protestare contra le gestione sempre più scriteriata della sanità crotonese e contro il licenziamento discriminatorio di uno dei 130 precari ex obiettivo lavoro (Antonio Vasapollo) assorbiti dalla società privata Gesan srl;
   il licenziamento, per i sindacati, sarebbe avvenuto non tenendo conto delle normali procedure che regolano i rapporti tra i lavoratori, ma solo perché lo stesso rivestirebbe la qualifica di delegato sindacale della cgil;
   il segretario provinciale della Fp-Cgil di Crotone, Franco Grillo, ha già provveduto a chiedere un incontro con il direttore generale dell'Asp competente, Antonio Rocco Nostro, al fine di verificare quale siano le effettive motivazioni che abbiano portato al licenziamento del lavoratore, delegato sindacale della cgil;
   il signor Antonio Vasapollo per quasi venti anni ha prestato servizio presso il presidio ospedaliero di Crotone; molte pertanto sarebbero le perplessità, circa la motivazione che la mancata riassunzione del lavoratore sia dovuta al non superamento del periodo di prova necessario per la riassunzione –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza del fatto rappresentato e quale sia il loro orientamento in ordine alle iniziative da assumere in merito alla presunta ingiustizia compiuta;
   se i Ministri interrogati non ritengano necessario verificare se la società privata Gesan srl abbia rispettato, nell'adottare la scelta del licenziamento, tutte le norme a tutela dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. (4-00942)

   TRIPIEDI, COMINARDI, ROSTELLATO, BALDASSARRE, CIPRINI, RIZZETTO e BECHIS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'INPS è depositaria sin dal 2001 del sistema che raccoglie ogni informazione relativa a ciascuna cassa previdenziale, essendo divenuta, di fatto, una vera e propria banca dati centrale che fornisce dati, statistiche, parametri ed accorpamenti per fasce di reddito pensionistico;
   ad avviso dell'interrogante appare singolare che i dati aggregati forniti dall'INPS in relazione alla suddivisione per fasce di reddito, sono individuati «al dettaglio» fino al valore di reddito mensile pari ad euro 2.000 per poi presentare una ulteriore ma unica fascia per i redditi superiori ad euro 2000 (range 2.000 ed oltre);
   tale metodo di classificazione adottato da INPS ad avviso degli interroganti non consente di avere adeguate informazioni proprio sulle fasce di reddito più alte e dunque di maggior interesse ai fini delle valutazioni in merito alla distribuzione del reddito pensionistico del nostro Paese –:
   se il Ministro non ritenga opportuno intervenire, per quanto di competenza, al fine di rendere più trasparente e meglio classificato il sistema informativo sui redditi pensionistici. (4-00951)

   BERGAMINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro del lavoro e delle politiche sociali ha recentemente espresso un giudizio sulle pensioni cosiddette d'oro affermando che quei trattamenti previdenziali hanno un importo così elevato tale da renderli non congrui con l'attuale contesto socio-economico e di sacrifici imposti alla generalità della popolazione;
   la grave crisi economica che interessa il nostro Paese ha risvolti drammatici in termini di sacrificio per i ceti meno abbienti e ciò può determinare problemi evidenti sotto il profilo della coesione sociale;
   la Corte costituzionale è intervenuta sul tema della pensioni d'oro dichiarando l'illegittimità costituzionale del prelievo a fini di solidarietà operato dal decreto-legge n. 98 del 2011;
   la norma dichiarata incostituzionale si collocava nel quadro di una serie di previsioni finalizzate al contenimento della spesa pubblica e alla stabilizzazione finanziaria e interveniva in un momento assai delicato per la vita economica-finanziaria del Paese;
   la difficile situazione in cui versa ancora oggi il nostro Paese impone una riflessione sulla possibilità di utilizzare strumenti eccezionali per farvi fronte, nell'arduo compito di contemperare il soddisfacimento degli interessi finanziari e di garantire i servizi e la protezione di cui tutti i cittadini necessitano;
   il Ministro in un recente intervento alla Camera dei deputati, il 12 giugno 2013, ha ribadito che si possono individuare i meccanismi idonei ad affrontare la questione delle pensioni d'oro senza incorrere in rischi di incostituzionalità;
   andrebbe, quindi, valutata l'ipotesi di un intervento su questa tipologia di pensioni essendo ben possibile l'introduzione, per singole categorie di cittadini, di specifici tributi, purché nei limiti della ragionevolezza –:
   quali siano i meccanismi idonei ad affrontare la questione sollevata in premessa per ridurre l'ammontare delle pensioni cosiddette d'oro erogate dall'INPS in un contesto di grave crisi economica;
   quali siano, allo stato attuale, i 10 trattamenti pensionistici complessivamente più onerosi per lo Stato italiano, erogati dall'INPS, tenendo conto del fatto che alcuni soggetti cumulano diverse pensioni. (4-00967)

   AIELLO, BRUNO BOSSIO, CENSORE, MAGORNO e BARBANTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in Calabria da più di 15 anni, 5.149 lavoratori socialmente utili e di pubblica utilità sono inseriti nell'organizzazione delle attività degli enti locali con ruoli e mansioni anche ad alto contenuto professionale;
   negli anni il bacino, che ammontava a circa 10.000 unità, si è notevolmente ridotto attraverso diverse forme di fuoriuscita, non ultime le stabilizzazioni dell'anno 2007/2008;
   in più di quindici anni, solo con la legge finanziaria n. 296 del 2006, articolo 1, comma 1156, lettere f) e f-bis), si è finanziato il contributo previsto dal decreto legislativo 468 del 1997 e s.m.i.. Azioni indubbiamente importanti, ma che allo stesso tempo, hanno creato evidenti discriminazioni nella categoria, lasciando anche alla discrezionalità delle singole amministrazioni lo strumento delle stabilizzazioni;
   le recenti normative sul blocco del turn over e del rispetto del patto di stabilità, se da una parte hanno reso impossibili le stabilizzazioni, dall'altra hanno consentito agli enti utilizzatori di continuare a garantire i servizi fondamentali ed essenziali a costo zero, utilizzando questi lavoratori in posizioni anche strategiche ed apicali, sfruttando i titoli di studio posseduti dai precari e la professionalità da questi acquisita. Dunque un capitale umano formato, che non può essere disperso e sul quale bisogna investire;
   attraverso una mirata politica di prepensionamenti, fuoriuscite volontarie attraverso incentivi, il «bacino» dei suddetti lavoratori si ridurrebbe sensibilmente, e l'onere finale a carico dello Stato, ai fini della stabilizzazione delle unità residue, risulterebbe contenuto;
   le contrattualizzazioni dovrebbero essere rivolte esclusivamente ai lavoratori inclusi nell'elenco definitivo pubblicato sul BURC del 5 luglio 2005 supplemento straordinario n. 1 al BURC Parte I e n. 12 del 1o luglio 2005;
   si ricorda peraltro che il personale LPU, specificità della regione Calabria, è stato equiparato, ai fini delle stabilizzazioni, al personale LSU dall'articolo 27 del decreto-legge n. 159 del 2007 convertito con modificazioni dalla legge n. 222 del 2007 –:
   se non ritenga di avviare un tavolo di concertazione con gli enti locali interessati volto, per quanto di competenza, a conseguire la contrattualizzazione dei lavoratori di cui in premessa, impegnati nelle attività socialmente utili e di pubblica utilità della regione Calabria. (4-00970)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

   CENNI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in Italia sono attualmente presenti 50.000 apicoltori con 1,3 milioni di alveari, per un fatturato complessivo di 60 milioni di euro che arriva a 2,5 miliardi se si considera il servizio di impollinazione fornito dalle api all'agricoltura;
   secondo alcuni studi di settore ed associazioni di categoria senza la presenza delle api (e di altri insetti impollinatori) il 75 per cento delle colture e l'84 per cento delle piante potrebbe rischiare di subire una «riduzione di produttività»;
   nel corso degli ultimi anni la produzione di miele ha subito gravi perdite, in termini qualitativi e quantitativi, a causa di molteplici fattori:
    nel 2008 si è verificata una vera e propria strage di api. Uno specifico monitoraggio è stato quindi predisposto, fin dal 2009, dal progetto «Apenet» finanziato e coordinato dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali: i risultati dell'indagine hanno evidenziato che una delle più rilevanti cause della moria di api sia da attribuirsi all'impiego dei neonicotinoidi nella concia delle sementi di mais. Le sospensioni cautelative predisposte dal Governo di tali prodotti ha causato effetti benefici. La stessa Unione europea ha approvato, il 25 maggio 2013, la messa al bando di tre pesticidi appartenenti alla famiglia dei neonicotinoidi;
    la produzione di miele è stata inoltre compromessa, in particolar modo nello scorso anno, dalla siccità che ha colpito l'intera nazione. I danni complessivi alle colture sono stati stimati in circa 1 miliardo ed in molte regioni è stato riconosciuto lo stato di calamità. Secondo alcune le associazioni degli apicoltori si sono riscontrati cali di produzione di circa il 65 per cento rispetto al 2011;
   sia per quanto riguarda la moria delle api, sia per ciò che concerne i danni provocati della siccità sono state attivate, sia a livello nazionale che comunitario, alcune misure tempestive ed efficaci per la rilancio del settore;
   da quanto reso noto da organi di informazione sarebbe emerso, nei giorni scorsi, un ulteriore pericolo per le api e per la produzione di miele. Nello specifico sarebbe stata rilevata la presenza, nel nostro Paese, di una specie di vespa (denominata la «Velutina») non pericolosa per l'uomo ma che aggredirebbe le api per cibarsene;
   per quali motivi tale vespa è stata inserita nella «back list» mondiale delle specie invasive, redatta dall'Unione mondiale per la conservazione della natura;
   l'allarme su tale specie invasiva era già stato lanciato nel mese di febbraio 2013 dall'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale vigilato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare). Dal 2006 la «velutina» (originaria del Sud-Est asiatico) è ufficialmente definita come «residente» in Francia e successivamente in Spagna. Secondo l'Ispra tale insetto sarebbe arrivato, in tempi brevi, in Italia e sarebbe stato opportuno creare un coordinamento a livello europeo per far fronte a tale emergenza;
   sempre secondo quanto riportato da organi di informazione in Francia la vespa «Velutina» ha trovato l’habitat ideale per riprodursi rapidamente e divenire, in pochi anni, una vera e propria emergenza nazionale: «nel biennio 2009-2010 gli apicoltori francesi hanno ridotto del 40 per cento la produzione di miele, con perdite di milioni di euro. Soltanto nel 2012 sono stati distrutti 1500 nidi di vespe ed ogni intervento arriva a costare fino a mille euro»;
   i mass media hanno annunciato, pochi giorni fa, che il Dipartimento di scienza agrarie e forestali dell'università di Torino, ha catturato un'esemplare di tale vespa. Un comunicato stampa dell'università di Torino del 27 maggio 2013 riporta testualmente: «Questa vespa può diventare una minaccia per l'apicoltura e pertanto la sua presenza va attentamente monitorata, anche a livello aziendale, e prontamente combattuta, ricordando che se si osserva uno spopolamento di alveari causati dagli attacchi di questa vespa è possibile che il nido sia presente entro un raggio di 300-500 metri»;
   secondo la Fai – Federazione apicoltori italiani, le Associazioni debbono attivarsi per una capillare azione di monitoraggio sul territorio di propria competenza e per una adeguata sensibilizzazione di tutti gli apicoltori che, tra le tante emergenze ambientali di questo periodo, sono chiamati ora a farsi carico anche di questa nuova e preoccupante calamità;
   va tenuto presente come richiamato precedentemente, che il settore apistico nazionale, nonostante gli interventi di sostegno attivati, deve ancora superare completamente le criticità che lo hanno colpito negli anni precedenti –:
   se le notizie riportate in premessa diffuse dai mezzi di comunicazione corrispondano al vero e se, considerato che l'allarme è stato lanciato dall'Ispra nei mesi scorsi sulla prossima presenza in Italia della vespa «Velutina», tale presenza rappresenti davvero un rischio consistente per il settore apristi o nazionale;
   se i Ministri interrogati stiano conseguentemente attuando misure tempestive ed adeguate di prevenzione e contrasto, concertate (data la estensione del fenomeno, ed i precedenti che riguardano altri Paesi) anche a livello comunitario;
   se, anche a seguito dei recenti provvedimenti dell'Unione europea sul blocco dei tre pesticidi appartenenti alla famiglia dei neonicotinoidi, il monitoraggio sull'apicoltura italiana stia continuando e quali siano i dati aggiornati sulla salute degli alveari, e sulla produzione di miele nazionale. (5-00403)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:

   GRIBAUDO, MOSCATT, GREGORI, PARIS, BELLANOVA, INCERTI, PASTORINO, COCCIA, CINZIA MARIA FONTANA, ARGENTIN, MARTELLI, GNECCHI, DAMIANO, LENZI, MADIA e GIACOBBE. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   su richiesta proveniente dall'INPS - concernente la possibilità di sospendere, per tutto l'anno 2013, gli obblighi assunzionali relativi ai soggetti disabili e ai centralinisti non vedenti, previsti rispettivamente dalla legge 12 marzo 1999, n. 68 e dalla legge 29 marzo 1985, n. 113 – il dipartimento della funzione pubblica ha espresso, con nota n. 23580 del 22 maggio 2013, un parere in relazione alle assunzioni effettuate in materia di quote d'obbligo ai sensi della legge 12 marzo 1999, n. 68, in materia di diritto al lavoro dei disabili;
   il dipartimento della funzione pubblica – pur stabilendo che l'obbligo di copertura della quota d'obbligo dovrà essere considerato assolutamente prioritario nella programmazione delle assunzioni al fine di poter assolvere ad esso nel più breve tempo possibile con soluzioni che garantiscano l'assenza di forme elusive del prescritto obbligo – si è espresso sostenendo che «l'obbligo di coprire le quote di riserva per le categorie protette, con l'eccezione della disciplina relativa ai centralinisti non vedenti, è sospeso fintanto che le amministrazioni pubbliche non abbiano posti disponibili nella dotazione organica e, a fortiori ratione, laddove presentino posizioni soprannumerari» e che «in presenza si soprannumerarietà, eventuali assunzioni, anche di categorie protette, oltre a violare il principio generale del divieto di assumere in presenza di posti disponibili nella dotazione organica, andrebbero ad alimentare la soprannumerarietà o le eccedenze, producendo, a fronte dell'occupazione di una categoria protetta, il rischio della perdita del posto di lavoro del personale già di ruolo che si determinerebbe quale possibile conseguenza della dichiarazione di esubero e di messa in disponibilità»;
   l'interpretazione ministeriale appare agli interroganti negativamente innovativa nella definizione dei rapporti tra la normativa di tutela dei disabili e i vincoli alle assunzioni di personale e alla organizzazione interna delle amministrazioni; sinora, infatti, a prevalere erano state le norme di garanzie delle categorie più deboli;
   la sospensione dell'obbligo di copertura delle quote – stante anche l'attuale contesto storico, caratterizzato da una crisi economica che ha relegato in una posizione di marginalità sociale una parte della popolazione – sembra non tener conto delle difficili condizioni in cui versano tali persone e, soprattutto, dei principi costituzionali che ispirano la disciplina di tale materia –:
   se, anche in ragione della straordinarietà dell'attuale contesto economico e sociale, non ritengano necessario rivedere la sospensione dell'obbligo di copertura di quota disciplinato dalla legge 12 marzo 1999, n. 68;
   quali siano i dati a disposizione relativamente al prospetto informativo di cui all'articolo 9, comma 6, della legge 12 marzo 1999, n. 68, e, in base alle cifre fornite, quali iniziative intendano adottare al fine di tutelare il diritto dei disabili al posto di lavoro, nel rispetto dei principi costituzionali e delle disposizioni di cui alla predetta legge. (5-00398)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

Interrogazione a risposta orale:

   BINETTI e GIGLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   una recente indagine, condotta dai Nas di Latina in sinergia con l'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) e dall'Istituto superiore di sanità (ISS), ha portato alla luce la produzione e il commercio di un farmaco da banco contraffatto. L'appello lanciato dal vicecomandante dei Nas Antonio Diomeda, invita chi ne fosse in possesso a non utilizzare e a riconsegnare il farmaco anti-tosse ozopulmin alla farmacia vicino casa, ai Carabinieri o ai Nas;
   i Nas assicurano di aver già ritirato tutte le confezioni presenti nelle farmacie, ma secondo le stime ci sarebbero circa 9.500 confezioni del prodotto nelle case degli italiani, con scadenza marzo 2016;
   l'indagine ha portato agli arresti domiciliari dei tre manager dell'azienda Geymonat, accusati di aver inserito al posto del principio attivo una sostanza simile, normalmente usata per cosmetici e integratori alimentari, ma farmaceuticamente inefficace;
   si tratta di un farmaco da banco per bambini e adulti, un anti-tosse ad azione balsamica – non un antibiotico – e l'assenza del principio attivo lo rende di fatto inefficace ma in grado di simularne analiticamente la presenza. I Nas sono riusciti a portare alla luce la contraffazione grazie a una segnalazione «di una farmacia di Roma», che avrebbe evidenziato uno sgretolamento sospetto delle supposte appartenenti a tre lotti. Da lì sono partite delle analisi nel marzo scorso e le ispezioni nell'azienda produttrice;
   il farmaco ozopulmin prodotto e commercializzato, su scala nazionale, è deliberatamente contraffatto e pericoloso per la salute anche di lattanti e bambini, così come hanno spiegato i Nas. I pazienti, inconsapevolmente, assumevano un farmaco «completamente inidoneo allo scopo terapeutico», come giudicato dall'ISS dopo specifiche indagini analitiche eseguite sui campioni sequestrati;
   nello specifico, dalle indagini condotte dall'AIFA e dai Nas, su delega della procura della Repubblica presso il tribunale di Frosinone, è emerso che gli indagati, rimasti privi del principio attivo a seguito di un disaccordo commerciale della ditta fornitrice, per assicurare la continuità del prodotto nelle farmacie e non perdere concorrenzialità sul mercato avevano deciso di avviare comunque la produzione dei lotti del farmaco incriminato, pur consapevoli, secondo le dichiarazioni dei Nas, di esporre a rischi per la salute un considerevole numero di persone e di bambini, mettendo in commercio un farmaco contraffatto e inidoneo al suo scopo terapeutico, che avrebbe potuto procurare un aggravamento dei problemi respiratori»;
   tutte le aziende sanitarie si stanno attrezzando per abbattere i loro costi attraverso un incremento dei farmaci generici e gli stessi medici di medicina generale, i cosiddetti medici di famiglia, propongono ai loro pazienti un farmaco nel format di generico per ridurre le spese relative. Una frode come quella oggetto di questa interrogazione riduce la fiducia dei medici e dei cittadini nei confronti dei farmaci generici e si traduce in un aumento complessivo dei costi individuali e del sistema –:
   se sia a conoscenza delle irregolarità e dei mancati controlli che hanno fatto sì che una frode, quale quella individuata in premessa e perpetrata a danno della salute, anche di bambini e di neonati potesse essere messa in atto;
   se non ritenga necessario e urgente potenziare il sistema di verifiche e di controlli per impedire che simili fatti possano nuovamente verificarsi, anche in considerazione dell'evidenza che a farne le spese sono le persone più indifese, i bambini, che dovrebbero essere tutelati al di sopra di tutto e tutti. (3-00134)

Interrogazioni a risposta in Commissione:

   CECCONI, BARONI, DALL'OSSO, DI VITA, SILVIA GIORDANO, GRILLO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   dalla letteratura scientifica unanime emerge con chiarezza che la diffusione e l'uso di farmaci contraffatti o falsificati determinano rischi di assoluta gravità per la salute dei pazienti in relazione alla dose terapeutica del principio attivo anche in relazioni agli eccipienti;
   detti fenomeni assumono una gravità ulteriore quando si tratta di contraffazione e/o falsificazione di farmaci destinati al lattante e in genere all'infanzia;
   in data 19 giugno 2013 si è appreso dagli organi d'informazione che tre dirigenti della casa farmaceutica nazionale Geymonat, sono stati arrestati dai carabinieri del Nas di Latina con l'accusa di aver contraffatto il medicinale Ozopulmin, utilizzato per la cura di affezioni respiratorie di bambini e lattanti;
   i tre dirigenti della casa farmaceutica Geymonat avrebbero messo in commercio il farmaco contro la tosse Ozopulmin sostituendo il principio attivo con un altro inefficace e capace di simularne la presenza durante i controlli;
   nelle case degli italiani ci sarebbero ancora 9500 confezioni di Ozopulmin e i carabinieri dei Nas hanno lanciato un appello affinché chi ne ha le porti immediatamente ai Nas o alle farmacie per il ritiro;
   non è stata ancora recepita la direttiva 2011/62/UE del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2001/83/CE, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per l'uso umano, al fine di impedire l'ingresso di medicinali falsificati nella catena di fornitura legale, malgrado ci sia stata una comunicazione ufficiale da parte dell'Unione europea dell'apertura di una procedura di infrazione –:
   come si sia procedendo per monitorare lo stato di salute dei bambini che hanno usato il farmaco in questione;
   quali iniziative intenda intraprendere per garantire che in Italia non circolino altri farmaci destinati all'uso umano come quelli oggetto dell'attuale sequestro del NAS, e se non ritenga possa esistere accanto a un mercato ufficiale anche un mercato «grigio» con il coinvolgimento di imprese farmaceutiche ovvero di dirigenti truffaldini di case farmaceutiche;
   se non sia il caso di assumere iniziative per recepire con urgenza la direttiva 2011/65/UE in materia di un maggior rigore sui farmaci falsificati. (5-00406)

   BINETTI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   ha destato molto interesse e grande preoccupazione il caso della piccola Sofia, la bimba fiorentina di 3 anni e mezzo affetta da leucodistrofia metacromatica, malattia degenerativa terminale che porta a progressiva paralisi e cecità;
   i genitori di Sofia hanno dato l'autorizzazione, seguendo la strada di molte altre famiglie, a sottoporre la bimba al nuovo metodo di cura sperimentato da «Stamina Foundation». Dopo la prima infusione di staminali, un giudice di Firenze ha imposto l'interruzione della cura, mentre altri giudici, in Italia, si sono pronunciati in maniera opposta;
   l'ampia discrezionalità in materia è possibile in mancanza di una specifica regolamentazione, perché non ci sono ancora sufficienti dati scientifici che confermino l'oggettiva validità della cura, per cui il responso è spesso completamente divergente sia in ambito clinico che tra gli stessi magistrati;
   sul caso è intervenuto anche il consiglio comunale di Firenze con un appello al Ministro della salute affinché la piccola Sofia possa essere curata con le staminali prodotte da «Stamina Foundation»;
   il Ministro della salute ha risposto che: «non è il Ministero a decidere se una terapia deve essere interrotta oppure no: nei mesi scorsi l'Aifa ha effettuato accertamenti e ispezioni, mentre la magistratura ha aperto alcune inchieste sul caso della “Stamina Foundation”, il cui protocollo è contestato sia dal Ministero della salute che dall'Aifa»;
   i risultati dell'indagini dell'Aifa – ha precisato il Ministro – sostengono che «il trattamento al quale era sottoposta Sofia era dannoso per la sua salute. Per questo la cura è stata interrotta». Obiezione a cui la mamma di Sofia ha ribattuto dicendo: «Dopo la prima infusione mia figlia è migliorata sotto diversi aspetti e soprattutto ha avuto salva la vita»;
   il Ministro della salute Renato Balduzzi ha comunque garantito a Sofia e a tutti gli altri bambini che hanno già iniziato questo protocollo di cura, la possibilità di fare la seconda infusione della cura già avviata; nel decreto-legge del 21 marzo si parla di: «una norma basata sul principio etico per un trattamento sanitario avviato, se non da gravi effetti collaterali, va proseguito»;
   in questo caso sembra esserci un evidente stato di conflitto tra il diritto dei genitori a garantire alla figlia il miglior trattamento disponibile in un determinato momento, anche se di natura semplicemente compassionevole e il dovere del Ministero di garantire la qualità dei trattamenti disponibili sulla base di specifiche evidenze scientifiche: resta sempre valido infatti l'antico imperativo ippocratico: «Primum non nocere»;
   se infatti il trattamento per Sofia proseguirà presso gli spedali civili di Brescia, restano fuorilegge i casi di molti altri bambini, il cui trattamento deve essere autorizzato dai giudici e successivamente condiviso e sostenuto sul piano operativo dal Ministero della salute; la disparità di posizioni nelle diverse regioni è vissuta dai genitori dei bambini affetti da patologia analoghe come una profonda ingiustizia, che aggiunge dolore a dolore e sofferenza a sofferenza;
   che sia la magistratura a decidere se si debba o meno proseguire una determinata sperimentazione esula dalla natura stessa della ricerca scientifica, dei suoi canoni teorici e dalla valutazione dei suoi risultati; all'ospedale Burlo-Garofalo di Trieste i risultati ottenuti con la sperimentazione in questione sono decisamente negativi e sono stati sospesi per ragioni cliniche: su cinque bambini sottoposti alla sperimentazione due sono morti e gli altri tre hanno dovuto sospendere la «cura», perché non solo non ne ricavavano vantaggi ma c'erano anche segni di peggioramento;
   d'altra parte la ricerca sulle cause e sulle possibilità di cura delle malattie rare in Italia è ancora fortemente penalizzata da una carente normativa specifica che sostenga gli investimenti nel campo dei cosiddetti farmaci orfani, mentre in Francia – ad esempio – esistono specifiche norme che facilitano gli investimenti e sostengono la sperimentazione;
   per una serie di ragioni di natura prevalentemente commerciale, la necessità di brevettare tempestivamente i metodi sperimentali per tutelarli da una forte concorrenza industriale, rendono più complessa una tempestiva trasparenza scientifica, indispensabile per garantire il malato da potenziali sperimentazioni prive di adeguato fondamento scientifico, che lo ridurrebbero ad una sorta di cavia; ma proprio per questo serve una normativa chiara a forte tutela del diritto dei malati ad una cura sicura –:
   quale sia il parere dato dai rispettivi comitati etici degli ospedali in cui si realizza
la sperimentazione della «Stamina Foundation» (Brescia, Pesaro, Trieste, e altri);
   in che modo e in base a quali criteri si stia affrontando il caso di Sofia attorno al quale si è concentrata l'opinione pubblica e quali iniziative si intendano prendere per garantire a tutti i pazienti con malattie rare un equo accesso alle cure, anche a quelle di carattere sperimentale, e ai servizi socio-sanitari, per non lasciare sole le persone malate e le loro famiglie;
   se non ritenga necessario intervenire anche sul piano normativo, per garantire, per quanto di propria competenza, che, per quanto riguarda le malattie rare e i possibili trattamenti sperimentali, vengano adottate misure analoghe in tutto il Paese, per tutelare il diritto alla salute senza distinzioni regionali;
   se non ritenga urgente avviare uno studio scientifico rigoroso per sgombrare il campo da polemiche, di ricercatori e personaggi di cultura, favorevoli o contrari all'uso di terapie che non sembrano avere una comprovata efficacia e appaiono addirittura pericolose. (5-00407)

Interrogazioni a risposta scritta:

   BIANCONI. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo il rapporto annuale dell'Istat presentato nel mese di maggio 2013, nel 2012 il potere d'acquisto delle famiglie italiane ha registrato una forte caduta (-4,8 per cento), con quasi 15 milioni gli individui in condizione di deprivazione o disagio economico, circa il 25 per cento della popolazione (di cui il 40 per cento al Sud);
   le famiglie italiane che, tra il 2011 e il 2012, hanno sensibilmente ridotto la qualità o la quantità degli alimentari acquistati, sono aumentate dal 53,6 al 62,3 per cento. Si stima che siano cinque milioni i connazionali con seri problemi alimentari, se non di vera e propria fame. Un dato drammatico che veniva reputato incredibile fino a pochi mesi fa;
   tale fenomeno è da ascriversi alla grave crisi in cui si trova il nostro Paese, crisi, se non aggravata, neppure sensibilmente migliorata dalle «cure» adottate dal Governo Monti nell'ultimo scorcio della XVI legislatura;
   sempre più numerosi risultano i concittadini costretti, per potersi sfamare, a fare ricorso a mense di enti caritatevoli, strutture per lo più su base volontaristica non diffuse capillarmente sul territorio;
   in un Paese nostro vicino come la Grecia, colpito da una drammatica crisi economica e che da tempo sta applicando alla lettera le misure imposte dagli organismi internazionali, il numero di cittadini coinvolti i gravi carenze alimentari è stato stimato intorno ad un quarto della popolazione;
   si stanno ora manifestando anche seri problemi di salute fra le fasce di popolazione più deboli ed indifese: un numero sempre maggiore di infanti risulta denutrita o malnutrita, mentre aumenta il numero di anziani a rischio premorienza per sottoalimentazione, rinuncia a cure e profilassi e impossibilità di acquistare medicinali;
   tanto grave appare la situazione che le autorità greche sono dovute intervenire autorizzando, addirittura, la vendita sottocosto di prodotti alimentari scaduti;
   la situazione italiana è, ovviamente, ben lungi dall'essere paragonabile a quella greca, ma tuttavia non bisogna sottovalutare inquietanti segnali che possono essere forieri di gravi problematiche sociosanitarie;
   tali notizie dovrebbero suggerire l'adozione di politiche di contrasto e di prevenzione –:
   se il Governo sia a conoscenza di tali problematiche e se sia in atto un monitoraggio della situazione;
   se esista o sia in fase di elaborazione un piano governativo di intervento.
(4-00955)

   LA MARCA. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   ogni anno migliaia di cittadini italiani residenti permanentemente all'estero, in Paesi non appartenenti all'Unione europea e con i quali non vige una convenzione bilaterale in materia di assistenza sanitaria o vige una convenzione parziale, rientrano in Italia per periodi di tempo che variano da alcune settimane ad alcuni mesi, e a volte sono costretti a ricorrere alle cure mediche nel nostro Paese;
   i cittadini italiani che trasferiscono (o hanno trasferito) la residenza in uno Stato con il quale non è in vigore alcuna convenzione con l'Italia – o è in vigore una convenzione parziale – perdono il diritto all'assistenza sanitaria da parte dello Stato italiano, sia in Italia che all'estero, all'atto della cancellazione dall'anagrafe comunale e della iscrizione all'AIRE, fatta eccezione per i lavoratori di diritto italiano in distacco, che mantengono il diritto all'assistenza sanitaria in Italia e all'estero;
   l'iscrizione all'AIRE (Anagrafe italiani residenti all'estero) o il diritto di voto in Italia, non aprono un diritto all'assistenza sanitaria in Italia;
   tuttavia ai sensi dell'articolo 2 del decreto interministeriale Sanità/Tesoro del 1o febbraio 1996, è prevista l'erogazione dell'assistenza sanitaria in Italia limitatamente alle prestazioni ospedaliere urgenti (pronto soccorso) per un periodo massimo di 90 giorni per i cittadini italiani residenti all'estero, temporaneamente in Italia, titolari di pensione italiana o che abbiano lo status di emigrato; per ottenere le prestazioni ospedaliere urgenti è necessario presentare un attestato rilasciato dal consolato competente che attesta lo stato di emigrato, in mancanza dell'attestato del consolato, può essere sottoscritta una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà in cui si dichiara, oltre al proprio stato di emigrato, che non si è in possesso di una copertura assicurativa pubblica o privata contro le malattie; decorso il termine dei 90 giorni di validità assistenziale, agli interessati sono assicurate le prestazioni urgenti con oneri a carico degli stessi;
   esiste quindi un problema di qualità dell'assistenza garantita dallo Stato italiano ai cittadini italiani che rientrano temporaneamente in Italia – limitata solo alle cure ospedaliere urgenti – e di durata della stessa assistenza che limitata a 90 giorni;
   si tratta di limiti che contravvengono ai principali fondamentali della Costituzione italiana che all'articolo 3 prevede che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge e all'articolo 38 che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo –:
   se non si ritenga quindi opportuno rendere almeno più completa l'assistenza sanitaria a favore degli emigrati italiani che rientrano in Italia per soggiorni provvisori assumendo iniziative per estendere da 90 a 180 giorni il periodo di temporanea copertura e garantendo oltre alle cure ospedaliere urgenti anche il diritto di accesso completo ai servizi di assistenza sanitaria della località in Italia in cui si trovano temporaneamente. (4-00958)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:

   SENALDI, FRAGOMELI, BONAFÈ, BRAGA, GUERRA e BENAMATI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le zone di confine con la Confederazione Elvetica e più in generale le province di Varese, Como, Lecco, Verbano-Cusio-Ossola e Sondrio, da alcuni anni sono colpite dal fenomeno della delocalizzazione delle imprese oltre confine, innanzitutto verso il Canton Ticino ed il Canton Vallese;
   gli imprenditori sono attirati oltre confine dalla semplicità e dalla velocità delle procedure amministrative ed autorizzatorie, da un sistema contributivo vantaggioso e proporzionale (esempio regime di tassazione ordinario per effettiva attività, riparto fiscale limitatamente all'utile proveniente dall'attività commerciale, aliquota Iva al 7,6 per cento), da agevolazioni fiscali ed incentivi per insediamenti produttivi che investono in settori specialistici ad alto contenuto innovativo/tecnologico oltre che dai minori costi energetici e burocratici;
   nell'ultimo periodo più di 300 attività si sono spostate dalla provincia di Varese al Canton Ticino e lo stesso fenomeno in termini proporzionalmente quantitativi si sta verificando nelle altre province sopra citate;
   la delocalizzazione delle aziende impoverisce territori che stanno particolarmente subendo le conseguenze delle crisi economica in termini di contrazione dei livelli occupazionali;
   le ricadute sulle entrate fiscali dello Stato e degli enti locali si stanno rilevando sempre più sensibili ed evidenti –:
   come intenda operare il Governo per favorire il mantenimento delle imprese sul territorio italiano;
   se il Governo ritenga possibile una rimodulazione della imposizione fiscale, in particolare dell'IRAP, per le zone di confine individuate come aree a rischio di delocalizzazione così come indicate in premessa;
   se le province di Varese, Como, Lecco, Verbano-Cusio-Ossola e Sondrio possano essere individuate come zone di sperimentazione a burocrazia zero al fine di compensare il vantaggio competitivo attualmente offerto dalla Confederazione Elvetica. (5-00401)

Interrogazioni a risposta scritta:

   FRANCO BORDO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la crisi dello stabilimento della cartiera Burgo di Mantova si inserisce in un quadro più vasto di crisi aziendali, ma che per la provincia di Mantova questa possibile chiusura costituisce un ulteriore aggravio della situazione economica ed occupazionale già arrivata a livelli inaccettabili. La provincia di Mantova consta di 415.442 abitanti suddivisi in 169.790 nuclei famigliari; nell'ultimo anno il tasso di disoccupazione si è attestato su una percentuale del 7,5 per cento con un incremento rispetto all'anno precedente di un punto e mezzo percentuale. Il saldo tra avviamenti al lavoro e cessazioni è pari a -3829 in forte controtendenza rispetto al 2012 dove tale saldo era stato di +300;
   l'approvvigionamento energetico influisce per circa il 35-40 per cento dei costi dello stabilimento, mentre nulla è stato fatto per portare lo stabilimento ad un sufficiente livello di autosufficienza, utilizzando tecnologie più avanzate e a parità di potenza installata. La mancanza di tale ammodernamento ha reso limitata la capacità produttiva;
   pur considerato che la produzione di carta da quotidiano per il gruppo Burgo non è un asset primario nel core-business del gruppo in quanto copre solo il 5-6 per cento del fatturato, si segnala che nel nostro Paese non si avrebbe più una fonte di produzione del suddetto articolo in quanto la cartiera Burgo era rimasta l'unica azienda in Italia a produrre carta da quotidiano;
   è emersa l'indisponibilità del gruppo Burgo di diversificare in proprio la produzione o di cedere a terzi la possibilità di detta diversificazione; anche tutti i tentativi esperiti in sede istituzionale a livello locale sono stati disertati dalla proprietà o non sono valsi allo sblocco della situazione, compreso quello del 4 febbraio 2013 presso il Ministero dello sviluppo economico;
   nel corso del mese di febbraio 2013 è stata sperimentata positivamente la produzione di cartoncino ondulato per imballi, materiale che viene importato dall'estero in quantità di circa 1.500.000 tonnellate/anno e lo stabilimento di Mantova sarebbe in grado motu proprio di produrne circa 200.000 con un evidente risparmio economico e con una ridotta ricaduta occupazionale; infatti, a fronte del licenziamento dei 188 occupati direttamente nello stabilimento di Mantova, ne risulterebbe un esubero di sole 60 unità riconvertibili o con accompagnamento alla pensione per le persone più anziane;
   dal 1o marzo 2013 la proprietà ha disdetto gli accordi sindacali in essere, ma ha intenzione di rinnovare l'accordo istituzionale ad operare sul territorio in scadenza agli inizi del 2014;
   il mancato ammodernamento degli impianti non ha permesso la diminuzione di emissioni nell'atmosfera ed ogni giorno di inattività a causa del fermo dello stabilimento produce un aggravio della situazione ambientale a causa del pericolo di fuoriuscita del percolato prodotto dalle tre discariche a servizio del polo produttivo della Burgo di Mantova, determinando un incremento dell'inquinamento nell'area qualora la produzione non venisse riavviata e un costo di bonifica che finirebbe per gravare sugli enti locali;
   sarebbe auspicabile un interessamento diretto del Governo in merito al pericolo di abbandono del sito produttivo senza avere effettuato la messa in sicurezza delle tre discariche a servizio dello stabilimento e le necessarie bonifiche ambientali a tutela del territorio e della salute dei cittadini –:
   se il Governo intenda attivare tutte le possibili iniziative nei confronti del gruppo Burgo e farsi promotore presso la proprietà della riapertura di un tavolo di trattativa volto a raggiungere un accordo per la riattivazione o la cessione a terzi dello stabilimento di Mantova scorporandolo dalle attività del gruppo, ad una cifra simbolica come già proposto, al fine di poter riattivare ed eventualmente riconvertire lo stabilimento stesso e non aggravare ulteriormente la crisi occupazionale della provincia di Mantova. (4-00962)

   GAGNARLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la riforma dell'OCM zucchero, approvata dall'Unione europea in data 24 novembre 2005, ha mirato a realizzare una elevata riduzione del prezzo di mercato ed una forte compressione delle quantità prodotte in Europa, nel duplice intento di avvicinare il prezzo comunitario a quello internazionale e di conformarsi ai vincoli ed alle condizioni degli accordi commerciali di libero scambio (EBA ed altri);
   l'effetto della riforma ha comportato una forte riduzione o cessazione delle produzioni nei Paesi meno competitivi, tra cui l'Italia, che ha dovuto affrontare una ristrutturazione del settore, con una riduzione (superiore al 50 per cento) della superficie a barbabietola da zucchero e del numero di impianti di trasformazione sul territorio nazionale;
   i progetti di riconversione degli zuccherifici italiani sono la conseguenza della restrittiva riforma comunitaria di cui sopra e sono frutto di un accordo per la produzione di energia da fonti rinnovabili siglato tra Actelios Spa, Società del Gruppo Falck, e SECI, holding a cui fanno capo le partecipazioni del gruppo Maccaferri;
   a Castiglion Fiorentino, in data 10 dicembre 2007, le società PowerCrop srl ed Eridania Sadam S.p.A. (in qualità di soggetti proponenti), la regione Toscana, la provincia di Arezzo, il comune di Castiglion Fiorentino e le organizzazioni sindacali dei lavoratori, con l'obiettivo di governare il processo di riconversione di un settore che, per la regione Toscana, ha rappresentato una importante risorsa economica ed occupazionale, hanno sottoscritto un accordo di riconversione produttiva di un vecchio zuccherificio ivi allocato;
   tale accordo, stipulato sulla base delle direttive del «Piano per la razionalizzazione e riconversione della produzione bieticolo-saccarifere» approvato dal Comitato interministeriale del 31 gennaio 2007, prevedeva la realizzazione e la gestione di una centrale di produzione di energia elettrica alimentata da olio vegetale, estratto da colture oleaginose e da biomasse di origine agroforestale, derivanti dallo sviluppo di una filiera agricola no food, nonché l'agevolazione agli insediamenti di iniziative produttive, preferibilmente agroindustriali;
   ad oggi tale accordo è l'unico documento valido in quanto sottoscritto ufficialmente da tutte le parti in causa e presentato nelle sedi di competenza;
   in data 11 ottobre 2011 (prot. n. 182735), la società PowerCrop spa ha richiesto ed ottenuto l'attivazione della procedura di verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale (V.I.A.), relativa al «Progetto di Polo Energie Rinnovabili di Castiglion Fiorentino», della potenza termica massima di 51,5 MWt, da realizzarsi nel comune di Castiglion Fiorentino in località Poggio Ciliegio, sito ben diverso da quello nel quale avrebbe dovuto realizzarsi la riconversione dell'ex zuccherificio;
   dalle 16 osservazioni pervenute in fase di VIA, sono emerse le seguenti principali problematiche: difformità del progetto rispetto ai pregressi accordi; svalutazione dei beni e delle attività circostanti; diminuzione della disponibilità di acqua; impatto generato dalle emissioni della Centrale sulla salute dei cittadini; impatto sul sistema del paesaggio di elevato valore; necessità di un bilancio energetico-ambientale; problematiche legate all'approvvigionamento oltre i limiti della filiera corta; perdita della biodiversità a vantaggio della monocoltura energetica;
   diverse associazioni e comitati presenti sul territorio, tra cui il Comitato Tutela Valdichiana, stanno contribuendo attivamente a salvaguardare il territorio per la difesa dei diritti alla salute e alla sicurezza dei cittadini, finanche depositando esse stesse osservazioni nell'ambito della VIA relativa al «Progetto di Polo Energie Rinnovabili di Castiglion Fiorentino»;
   in data 19 dicembre 2012 a Castiglion Fiorentino otto sindaci di altrettanti comuni della Valdichiana Aretina, con un documento congiunto hanno anch'essi espresso considerazioni sulle ricadute negative non trascurabili della centrale a biomasse, sul piano sanitario, ambientale, paesaggistico, storico-culturale, economico e lavorativo/occupazionale, invitando la società proponente, a predisporre un progetto realmente alternativo, compatibile col territorio, rispettoso delle vocazioni locali e coerente con tutti gli aspetti sopra citati;
   con deliberazione n. 67 del 21 dicembre 2012, la giunta del comune di Castiglion Fiorentino ha deliberato di non condividere il progetto della PowerCrop srl a causa delle criticità dello stesso, evidenziate nell'allegato 2 alla delibera, già evidenziate nelle 16 osservazioni pervenute in fase di VIA presso la provincia di Arezzo, ente territorialmente competente;
   lo scorso 28 marzo 2013 Enel Green Power ha siglato l'accordo definitivo per l'acquisizione da parte di Enel del 50 per cento di Powercrop; con questa acquisizione, Enel Green Power parteciperà alla realizzazione di 5 nuovi impianti con una capacità installata complessiva di 150 MW elettrici, tra cui l'impianto di Castiglion Fiorentino;
   la giunta della provincia di Arezzo, con delibera n. 207 del 15 aprile 2013, ai sensi dell'articolo 53 della legge regionale n. 10 del 2010, ha istituito il Comitato
d'inchiesta pubblica sulla valutazione d'impatto ambientale, con lo scopo di garantire l'effettiva informazione dei cittadini sul «Progetto di Polo Energie Rinnovabili di Castiglion Fiorentino»; lo stesso comitato, in data 10 maggio 2013, ha tenuto la prima riunione di insediamento, a cui sono seguite l'udienza preliminare del 30 maggio 2013, per far presentare alla PowerCrop srl la sintesi del Progetto, e le sedute del 5 giugno 2013 per l'udienza tecnico istituzionale e del 14 giugno 2013 per l'udienza generale;
   sia a livello nazionale che territoriale, non risulta necessario un aumento dell'offerta di energia elettrica in quanto, secondo dati Terna – comunicato stampa del 5 giugno 2013 – nei primi cinque mesi del 2013 la domanda nazionale di energia elettrica è risultata in flessione del 3,4 per cento rispetto al corrispondente periodo del 2012; dato confermato anche a livello territoriale, dove la variazione della domanda di energia elettrica è risultata ovunque negativa: –2,4 per cento al Nord, –3,6 per cento al Centro e –5,4 per cento al Sud;
   in merito all'aspetto sanitario, uno studio dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) pubblicato il 31 gennaio 2013, evidenzia che «L'esposizione a lungo termine al particolato fine (PM2,5) può provocare l'arteriosclerosi, dei disturbi alla nascita e delle malattie respiratorie tra i bambini»; inoltre, il progetto Review of evidence on health aspects of air pollution (Revihapp) suggerisce anche un eventuale legame con lo sviluppo neurologico, la funzione cognitiva ed i diabeti e conferma i collegamenti causali tra il particolato PM 2,5 ed i decessi dovuti a malattie cardiovascolari e respiratorie;
   come sottolineato dal Commissario europeo all'Ambiente, Janez Potočnik, che ha commissionato i suddetti studi all'Oms, è in corso un riesame 2013 della politica Ue sulla qualità dell'aria, che deve fondarsi su dati scientifici più recenti che approfondiscano i legami tra l'inquinamento atmosferico e la salute umana –:
   se il Ministro della salute, alla luce dei più recenti studi dell'OMS sui danni dell'inquinamento dell'aria sulla salute umana, e delle recenti dichiarazioni del Commissario europeo per l'Ambiente, Janez Potočnik, in merito alla revisione 2013 della Politica europea dell'aria sulla base dei sopraddetti studi, non ritenga opportuno, nell'ambito delle proprie funzioni, che la realizzazione dei nuovi insediamenti di produzione di energia da fonti rinnovabili, tra cui il «Polo Energie rinnovabili di Castiglion Fiorentino», che comportano emissioni di polveri sottili, sia conforme agli aggiornamenti normativi europei in corso di revisione;
   se il Ministro dello sviluppo economico, per quanto di propria competenza, sul tema della produzione di energia da fonte rinnovabile con particolare riguardo alle biomasse, alla luce del fatto che la domanda di energia elettrica nazionale è in netto calo ed i cicli combinati già realizzati non riescono ad essere impiegati a pieno regime, abbia intenzione di assumere adeguati ed urgenti interventi di carattere normativo, nella direzione della rimodulazione del sistema degli incentivi previsti dal decreto ministeriale del 6 luglio 2012 (attuazione articolo 24 decreto legislativo 3 marzo 2011 n. 28), a garanzia di effettiva sostenibilità ambientale degli impianti, a garanzia dell'utilizzo esclusivo o preponderante di biomasse da scarto della produzione agricola forestale, piuttosto che quelle da colture no food, appositamente dedicate alla valorizzazione energetica, a garanzia dello sfruttamento dei terreni innanzitutto per le colture edibili e le altre attività agricole (anche e soprattutto di eccellenza) e solo in maniera residuale per produzioni dedicate a fini energetici. (4-00969)

Apposizione di firme ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Marcon ed altri n. 1-00051, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Sberna, Gigli e Gadda e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Marcon, Spadoni, Beni, Sberna, Aiello, Agostinelli, Amoddio, Airaudo, Alberti, Bossa, Boccadutri, Artini, Franco Bordo, Baldassarre, Capone, Costantino, Barbanti, Civati, Di Salvo, Baroni, Coccia, Duranti, Basilio, Fossati, Daniele Farina, Battelli, Incerti, Claudio Fava, Bechis, Mognato, Ferrara, Benedetti, Raciti, Fratoianni, Massimiliano Bernini, Scuvera, Giancarlo Giordano, Paolo Bernini, Zanin, Kronbichler, Nicola Bianchi, Zappulla, Lacquaniti, Bonafede, Lavagno, Brescia, Matarrelli, Brugnerotto, Melilla, Businarolo, Migliore, Busto, Nardi, Cancelleri, Nicchi, Cariello, Paglia, Carinelli, Palazzotto, Caso, Pannarale, Castelli, Pellegrino, Catalano, Piazzoni, Cecconi, Pilozzi, Chimienti, Piras, Ciprini, Placido, Colletti, Quaranta, Colonnese, Ragosta, Cominardi, Ricciatti, Corda, Sannicandro, Cozzolino, Scotto, Crippa, Zan, Currò, Zaratti, D'Ambrosio, Dadone, Da Villa, Daga, Dall'Osso, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Furnari, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, Cristian Iannuzzi, L'Abbate, Labriola, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Mucci, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pinna, Pisano, Prodani, Rizzetto, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Rostellato, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Segoni, Sibilia, Sorial, Spessotto, Tacconi, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Turco, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zaccagnini, Zolezzi, Gasbarra, Marzano, Gigli, Gadda».

Apposizione di firme
a mozioni.

  La mozione Gregori e altri n. 1-00034, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Mongiello, Amoddio.

  La mozione Ascani e altri n. 1-00070, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Gozi, Carra, Amoddio, Mongiello.

  La mozione Bonomo e altri n. 1-00097, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Sbrollini, Sberna.

  La mozione Rostan e altri n. 1-00098, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bossa, Impegno.

  La mozione Boccuzzi e altri n. 1-00099, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Carra, Amoddio.

  La mozione Scuvera e altri n. 1-00108, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Marchi, Amoddio, Simoni, Quartapelle Procopio.

Apposizione di firme
ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Causi e altri n. 7-00041, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Paglia, Boccadutri.

Apposizione di una firma
ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Pizzolante e Cicu n. 5-00387, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Polverini.

Pubblicazione
di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato dell'interrogazione a risposta in Commissione Petrini n. 5-00396, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 36 del 19 giugno 2013.

   PETRINI, LODOLINI, LUCIANO AGOSTINI, MARCHETTI, MANZI e MORANI. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la crisi iniziata nel 2008 sta tuttora esercitando un forte impatto sul sistema creditizio italiano, portando in evidenza situazioni patrimoniali messe a dura prova. La Banca d'Italia ha più volte rammentato l'esigenza di rispettare adeguati parametri patrimoniali (in aderenza ai cosiddetti indicatori Basilea 2) e di sollecitare innovazioni e rigore nella governance degli istituti di credito, all'altezza della sfida di assicurare al sistema economico nel suo complesso il sostegno da parte di un sistema del credito adeguato. Il panorama del mercato del credito in Italia, come è noto, è stato caratterizzato da alcune tendenze di lungo periodo: dall'ingresso nell'euro si sono rafforzati il ruolo di vigilanza della Banca d'Italia e l'esplicarsi delle precipue possibilità di impulso, con l'effetto visibile di fusioni ed acquisizioni virtuose e, in alcuni casi, necessarie;
   si riscontra un panorama di rarefazione degli istituti di credito marchigiani, in cui diverse realtà pur con sedi e denominazioni regionali hanno ormai proprietà e testa pensante in altre regioni italiane. Il credito nelle Marche è progressivamente divenuto «terra di conquista» da parte di istituti provenienti da altre regioni o da altri Paesi europei, interessati a drenare risparmi da convogliare verso impieghi prevalentemente in altre aree territoriali;
   da tale desertificazione del mercato del credito regionale emergono ormai soltanto qualche banca di credito cooperativo e la Banca delle Marche, al momento la principale espressione regionale;
   vi è una profonda differenza, in termini sostanziali, fra un sistema di credito gestito a livello locale ed uno gestito a livello remoto, fra una governance radicata e una non radicata. Le banche del territorio, operando in un ambito geografico ristretto, con rapporti di relazione durevoli e una profonda conoscenza del contesto, hanno contribuito alla industrializzazione diffusa dei sistemi di piccole e medie imprese, come nelle Marche. Le imprese «banche» ricoprono una duplice responsabilità: sia gestionale («fare utili» con scelte strategiche, operative e organizzative orientate alla redditività), sia territoriale («fare sviluppo» perché la banca è un fondamentale agente di sviluppo: non solo eroga credito, ma anche seleziona progetti, veicola innovazioni, valuta le potenzialità delle imprese locali, afferma i princìpi della trasparenza, della fiducia, della solidarietà, del merito professionale; inoltre contribuisce a formare una classe dirigente locale di imprenditori, professionisti, amministratori, dirigenti). È però auspicabile una responsabilità territoriale, che richiede la propensione ad adattarsi a molteplici esigenze di sviluppo economico-sociale locale. Infatti, forti istituti di credito locali inducono anche le banche esterne a confrontarsi su specifici obiettivi di sviluppo locale: in altre parole la presenza di robuste banche del territorio costringe le banche esterne a fare maggiore attenzione alle esigenze del territorio stesso;
   la problematica del ruolo delle Fondazioni bancarie, proprietarie degli istituti di credito, è dibattuta, a partire dalla cosiddetta riforma Amato. Riemerge periodicamente la proposta che le Fondazioni escano definitivamente, ma allora il rischio è che la gestione del credito perda radici territoriali. Resta invece convincente l'idea che le condizioni di rappresentatività delle Fondazioni possano e debbano essere riviste, evitando contrapposizioni personali o tensioni che rischiano di dilaniare
la stessa potenzialità di intervento economico sul territorio, allorquando la visuale resti autocentrata ed autoriferita;
   appare opportuno mobilitare l'aggregazione e la valorizzazione delle forze economiche e sociali locali nel sostegno agli istituti di credito territoriali, mettendo a disposizione la massa finanziaria critica eventualmente necessaria in una fase di crisi congiunturale come l'attuale, evitando prospettive di acquisizione da parte di un unico soggetto economico, magari esterno al contesto territoriale;
   l'amministrazione regionale ribadisce il proprio sostegno integrato sul versante del credito, in un disegno organico che comprende la riorganizzazione della rete dei Confidi, la valorizzazione degli strumenti finanziari disponibili a livello comunitario, la velocizzazione dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione anche grazie alla cessione agli enti locali di spazi finanziari a valere sul patto di stabilità interno;
   si segnalano:
    a) l'azione di responsabilità formalmente richiesta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Macerata (Carima);
    b) la censurabile presa di posizione della Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi (Carisj) a proposito della revisione delle incompatibilità in merito alle condizioni e requisiti di eleggibilità per quanti ricoprano cariche negli organi di indirizzo e governo e la conseguente nomina del presidente della Fondazione;
    c) l'assottigliamento del margine di intervento nel capitale da parte di tutte e tre le Fondazioni partecipanti;
    d) le iniziative legali di natura sia civile che penale nei confronti della precedente dirigenza;
    e) la grave situazione amministrativa e gestionale maturata negli ultimi anni;
    f) la necessità di ridefinire il ruolo, la governance e l'area operativa della Banca delle Marche;
    g) l'esigenza di promuovere una attività di vigilanza sulle Fondazioni, sia in termini di persuasione morale che di eventuale censura di comportamenti volti a perpetuare pratiche contrarie alle finalità di buona governance dell'istituto di credito;
    h) la profondità della situazione della Banca delle Marche, rappresentabile in:
     1) forte esposizione alla crisi, con rischio di vendita a valori inferiori a quelli effettivi e sradicamento dalla realtà territoriale;
     2) bilancio approvato recentemente da Banca delle Marche che certifica perdite per 518 milioni di euro, ma con stime che, a quanto consta agli interroganti, ipotizzano cifre anche superiori;
     3) necessità, evidenziata dalla Banca d'Italia, di portare da circa 250 milioni di euro a circa 300 il fondo per la necessaria ricapitalizzazione;
     4) necessità di riorganizzare il raggio operativo della Banca, mediante la vendita o la compartecipazione delle sedi extraregionali o le sedi regionali in sovrapposizione;
     5) presenza di un piano industriale che privilegi l'efficienza ma non solo scaricandosi sul fattore lavoro;
     6) studio e proposta di alleanze funzionali per esigenze di sviluppo della Banca a livello sia nazionale che internazionale –:
   di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere per verificare la sana e prudente gestione da parte delle fondazioni che detengono partecipazioni della Banca delle Marche;
   quali iniziative, anche normative, intenda assumere in merito alla governance delle fondazioni bancarie. Se il Governo,
nell'ambito delle proprie competenze, tramite il Ministero dell'economia e delle finanze, presente nell'ambito del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR), intenda espletare compiutamente la vigilanza sulle Fondazioni che esprimono la proprietà di Banca delle Marche, favorendo i princìpi della migliore rappresentanza territoriale e la rotazione degli incarichi, anche riscontrando che le Fondazioni non interferiscano nella gestione operativa dell'Istituto di credito nello spirito della cosiddetta riforma Amato, e se, qualora i risultati della vigilanza lascino emergere elementi che possano rilevare anomalie in merito alla gestione della banca, il Governo non intenda comunicarli alla Banca d'Italia per il seguito di competenza. (5-00396)

Ritiro di un documento
del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Cicu n. 5-00214 del 30 maggio 2013.

Trasformazione di un documento
del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta orale Binetti n. 3-00009 del 26 marzo 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-00407. 


Appendice: ATTI MODIFICATI

   La Camera,
premesso che:
il Joint Strike Fighter (F-35) è un cacciabombardiere di quinta generazione, capace di trasportare anche ordigni nucleari con caratteristiche stealth e net-centriche, ovvero bassa rilevabilità da parte dei sistemi radar e capacità di interazione con tutti i sistemi di comunicazione presenti sullo scenario di guerra, che decolla ed atterra in verticale e viaggia a velocità supersoniche;
il progetto per la realizzazione di questo velivolo è frutto di un accordo tra gli Stati Uniti e 8 Paesi partner, tra cui l'Italia, partner di secondo livello, che prevede la realizzazione di 3.173 velivoli per un costo complessivo stimato di 396 miliardi di dollari, anche se nessuno, allo stato attuale, è in grado di quantificare il costo finale dell'intero progetto e quindi di ogni singolo aereo, comunque oggi stimato intorno ai 190 milioni di dollari;
tra i Paesi partner sono sempre crescenti i dubbi su questo progetto, tanto che: la Gran Bretagna deciderà il numero degli aerei da acquistare dopo la pubblicazione del Defence and Security Review, nel 2015; l'Olanda ha avviato un'inchiesta parlamentare a seguito di un pesante voto contrario al progetto; l'Australia non userà l'F-35 come piattaforma esclusiva acquistando anche altri aerei; la Turchia ha rinviato l'acquisto dei primi F-35; la Norvegia ha minacciato di ripensare le sue scelte sul JSF; la Danimarca ha riaperto la gara per decidere entro il 2015 di quale aereo dotarsi ed il Canada ha sospeso la gara per l'acquisto del nuovo caccia;
il Canada, in particolare, il ripensamento nasce dalle polemiche dovute alle omissioni sui costi fatte dal Governo: uno studio indipendente (Kpgm) ed altri organi di controllo pubblici hanno infatti stabilito che il costo complessivo in 40 anni, includendo anche l'uso e la manutenzione, è di oltre 45 miliardi di dollari, tre volte le previsioni fatte dal Governo;
ai quasi 400 velivoli che verrebbero a mancare rispetto alle ipotesi iniziali si potrebbero aggiungere anche ipotesi di tagli da parte del Pentagono rispetto ai 2.443 previsti, questo comporterebbe un ulteriore aumento del costo unitario per tutti gli acquirenti;
il programma presenta diverse criticità costantemente evidenziate e denunciate sia dal Government Accountability Office (GAO) che dal Pentagono. Oltre all'inarrestabile lievitare dei costi ed i ritardi del programma, nel tempo, si sono riscontrati molti problemi tecnici che, da un lato, portano a continui abbassamenti degli standard operativi e, dall'altro, al lievitare dei costi; i problemi del casco del pilota, la vulnerabilità ai fulmini, i problemi al motore che hanno portato allo stop dei voli dell'aereo, la denuncia dei piloti dell'incapacità di combattere non avendo nessuna chance di successo in uno scontro reale con un aereo sono solo alcuni dei maggiori problemi finora riscontrati nell'F-35;
l'Italia partecipa al progetto sin dal suo inizio, nel 1998, con una richiesta iniziale di 131 aerei, ridotta poi nel 2012 a 90 velivoli, considerati dalle Forze armate «indispensabili» perché andrebbero a sostituire tre linee di velivoli: i Tornado, gli AM-X e gli AV-8 B, senza tuttavia alcuna spiegazione circa il ruolo di un aereo tanto sofisticato, considerati gli impegni internazionali italiani;
nel 2009 le Commissioni difesa di Camera e Senato, esprimendo parere favorevole al programma, hanno posto alcune condizioni: la conclusione di accordi industriali e governativi che consentano un ritorno industriale per l'Italia proporzionale alla sua partecipazione finanziaria, anche al fine di tutelare i livelli occupazionali; la fruizione da parte dell'Italia dei risultati delle attività di ricerca relative al programma; la preventiva individuazione di adeguate risorse finanziarie che non incidano sugli stanziamenti destinati ad assicurare l'efficienza della componente terrestre e, più in generale, dell'intero strumento militare;
tali condizioni, in parte già espresse anche in precedenza, non hanno trovato riscontro nell'avanzamento del progetto: gli oneri previsti per l'Italia nelle prime tre fasi ammontano a 1.942 milioni di dollari a cui vanno aggiunti gli oltre 800 milioni di euro per la costruzione della FACO a Cameri (Novara); contestualmente le nostre industrie hanno ottenuto appalti per circa 800 milioni di dollari, a fronte dei circa 3 miliardi di euro spesi fanno un ritorno di poco sopra al 20 per cento delle spese, che difficilmente renderà possibile un ritorno di circa 14 miliardi di euro, cioè il 100 per cento più volte sbandierato dai Governi che hanno sostenuto questo progetto;
fonti governative e militari negli anni hanno ipotizzato l'arrivo di 10.000 posti di lavoro, mentre secondo stime sindacali si tratterebbe al massimo di circa 2.000 posti e per di più sarebbero ricollocazioni di lavoratori precedentemente impegnati con l’Eurofighter;
il Parlamento ha approvato una legge delega al Governo che prevede un taglio di 30.000 militari e del 30 per cento delle strutture, portando i risparmi conseguiti all'investimento, in particolare sull'F35;
secondo quanto rivelato dal quotidiano britannico Guardian, il Pentagono ha stanziato 11 miliardi di dollari per ammodernare il proprio arsenale di bombe atomiche, comprese quelle depositate nelle basi americane all'estero o in quelle di Paesi alleati;
si tratta di 200 bombe B61 a caduta libera depositate nelle basi Nato europee in Belgio, Olanda, Germania e Turchia; in Italia risultano esserci 90 bombe di cui 50 custodite nella base di Aviano in Friuli e 40 a Ghedi, vicino a Brescia, anche se le ultime stime parlano della metà, cioè 20;
degli 11 miliardi di dollari stanziati, 10 servirebbero per prolungare la vita operativa delle B61 e 1 miliardo per dotare gli ordigni di alette di coda per trasformarle in bombe atomiche guidate;
le nuove B61-12 al contrario delle vecchie B61, che hanno il sistema di puntamento analogico, avranno il puntamento digitale, compatibile con i sistemi elettronici dell'F35-A;
anche se il nostro Paese ha aderito al trattato di non proliferazione nucleare, in base all'accordo Nato di condivisione nucleare «Nuclear Sharing agreements» si prevedono una serie di impegni di condivisione di strutture ed infrastrutture: oltre allo stoccaggio delle bombe, che restano sotto il controllo degli Stati Uniti, è previsto l'addestramento di piloti italiani per il possibile uso delle armi e la partecipazione italiana alle riunioni del Nuclear Planning Committee della Nato;
il programma dell'F35 è diventato un progetto dal costo elevato a fronte di prestazioni peraltro incerte e non corrispondente alle esigenze difensive del nostro Paese, con ricadute industriali ed occupazionali molto lontane dalle aspettative, che rischia anche di compromettere le politiche di disarmo;
in una scuola su tre (su due al Sud) mancano i certificati di sicurezza. Migliaia stanno su territori a rischio sismico o idrogeologico. Si tratta non solo dell'intonaco che cade, dell'infiltrazione d'acqua, dell'umidità. Lo stato dell'edilizia scolastica nel nostro Paese è drammatico, al punto che in alcune città le amministrazioni si trovano nel dilemma se aprire una scuola non a norma o lasciare a casa i bambini;
dei 42mila edifici scolastici presenti in tutta Italia il 29 per cento non ha il certificato di agibilità sanitaria, il 42 per cento quello di agibilità statica, il 47,81 per cento non rispetta le norme anti incendio. Più del 60 per cento non è dotato neppure di scale di sicurezza o porte anti panico. E poi ci sono le strutture con l'amianto (11,13 per cento) e quelle con il radon, un gas radioattivo. Oltre il 60 per cento delle scuole ha più di 40 anni. Se poi si aggiunge che per via della loro ubicazione territoriale le nostre scuole sono soggette al rischio sismico, idrogeologico, vulcanico, industriale, il panorama assume tratti drammatici tanto da connotarsi come un'emergenza;
ma non è solo la messa in sicurezza straordinaria a mancare. Gli enti locali non hanno più i fondi neanche per la manutenzione: crescono, infatti, fino a costituire il 56 per cento del totale, gli edifici che negli ultimi 5 anni non hanno goduto di nessun tipo di intervento;
secondo un'indagine di Legambiente, sono ben 6.633 i comuni in cui sono presenti aree ad alta criticità idrogeologica, l'82 per cento del totale delle amministrazioni comunali italiane. Dal 1950 al 2009 sono state oltre 6.300 le vittime del dissesto idrogeologico;
gli effetti conseguenti ai cambiamenti climatici in atto, sono ormai tali che gli eventi estremi in Italia hanno subito un aumento esponenziale, passando da uno circa ogni 15 anni prima degli anni ’90, a 4-5 all'anno;
secondo i recenti dati forniti dal Consiglio nazionale dei geologi, dal 1996 al 2008 in Italia sono stati spesi più di 27 miliardi di euro per dissesto idrogeologico e terremoti, oltre al fatto che 6 milioni di italiani abitano nei 29.500 chilometri quadrati del territorio considerati ad elevato rischio idrogeologico, e ben 1.260.000 sono gli edifici a rischio frane e alluvioni. Di questi sono 6.000 le scuole e 531 gli ospedali;
a questo si aggiunge il crescente grado di rischio di erosione costiera, che interessa oltre 540 chilometri lineari dei litorali italiani in cui sono direttamente coinvolti beni esposti;
nell'anno scolastico 2010/2011, secondo l'Istat, risultano iscritti agli asili nido comunali 157.743 bambini di età tra zero e due anni, mentre altri 43.897 usufruiscono di asili nido convenzionati o sovvenzionati dai comuni, per un totale di 201.640 utenti;
nel 2010 la spesa imperniata per gli asili nido da parte dei comuni o, in alcuni casi, di altri enti territoriali delegati dai comuni stessi è di circa 1 miliardo e 227 milioni di euro, al netto delle quote pagate dalle famiglie;
fra il 2004 e il 2010, nonostante il graduale ampliamento dell'offerta pubblica, la quota di domanda soddisfatta è ancora limitata rispetto al potenziale bacino di utenza: gli utenti degli asili nido sono passati dal 9 per cento dei residenti tra zero e due anni dell'anno scolastico 2003/2004 all'11,8 per cento del 2010/2011, mentre rimangono molto ampie le differenze territoriali: la percentuale di bambini che usufruisce di asili nido comunali o finanziati dai comuni varia dal 3,3 per cento al Sud al 16,8 per cento al Nord-est,

impegna il Governo:

a cancellare la partecipazione italiana al programma di realizzazione dell'aereo Joint Strike Fighter-F35;
a procedere in tempi rapidi ad una attenta ridefinizione del modello di difesa italiano sulla base del dettato costituzionale e della politica estera italiana, affermando un ruolo centrale per la politica europea e sostenendo il ruolo di peacekeeping per le Forze armate;
a subordinare qualsiasi decisione sui sistemi d'arma da acquisire alla definizione del modello di difesa;
ad attivare meccanismi che favoriscano la riconversione dell'industria legata alla produzione delle armi, al fine di salvaguardare i posti di lavoro che verrebbero a mancare per la sospensione di alcuni programmi di nuovi sistemi d'arma;
ad attivarsi presso la Nato e gli Stati Uniti per chiedere una immediata rimozione di qualsiasi ordigno nucleare presente sul nostro territorio;
a destinare le somme così risparmiate ad un programma straordinario di investimenti pubblici riguardanti piccole opere e finalizzato – ad esempio – alla messa in sicurezza degli edifici scolastici, alla tutela del territorio nazionale dal rischio idro-geologico, e alla realizzazione di un piano pluriennale per l'apertura di asili nido.
(1-00051) «
Marcon, Spadoni, Beni, Sberna, Aiello, Agostinelli, Amoddio, Airaudo, Alberti, Bossa, Boccadutri, Artini, Franco Bordo, Baldassarre, Capone, Costantino, Barbanti, Civati, Di Salvo, Baroni, Coccia, Duranti, Basilio, Fossati, Daniele Farina, Battelli, Incerti, Claudio Fava, Bechis, Mognato, Ferrara, Benedetti, Raciti, Fratoianni, Massimiliano Bernini, Scuvera, Giancarlo Giordano, Paolo Bernini, Zanin, Kronbichler, Nicola Bianchi, Zappulla, Lacquaniti, Bonafede, Lavagno, Brescia, Matarrelli, Brugnerotto, Melilla, Businarolo, Migliore, Busto, Nardi, Cancelleri, Nicchi, Cariello, Paglia, Carinelli, Palazzotto, Caso, Pannarale, Castelli, Pellegrino, Catalano, Piazzoni, Cecconi, Pilozzi, Chimienti, Piras, Ciprini, Placido, Colletti, Quaranta, Colonnese, Ragosta, Cominardi, Ricciatti, Corda, Sannicandro, Cozzolino, Scotto, Crippa, Zan, Currò, Zaratti, D'Ambrosio, Dadone, Da Villa, Daga, Dall'Osso, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Furnari, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, Cristian Iannuzzi, L'Abbate, Labriola, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Mucci, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pinna, Pisano, Prodani, Rizzetto, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Rostellato, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Segoni, Sibilia, Sorial, Spessotto, Tacconi, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Turco, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zaccagnini, Zolezzi, Gasbarra, Marzano, Decaro, Pastorino, Mattiello, Gigli, Gadda».

   La Camera,
premesso che:
l'Unione europea ha recentemente lanciato un'importante iniziativa a favore dell'occupazione giovanile, mirata, in particolare, a favorire l'integrazione nel mercato del lavoro di giovani disoccupati al di fuori di ogni ciclo di istruzione e formazione, i cosiddetti neet, nelle regioni dell'Unione europea con un tasso di disoccupazione giovanile, nel 2012, superiore al 25 per cento. Si tratta della cosiddetta garanzia per i giovani (youth guarantee), il nuovo pacchetto occupazionale europeo;
la principale novità è legata all'istituzione di un fondo europeo di garanzia per l'occupazione giovanile, circa sei miliardi di euro dal 2014 al 2020, dei quali 3 miliardi di euro provenienti da una linea di bilancio specifica e gli altri 3 miliardi di euro dal Fondo sociale europeo. I fondi destinati all'iniziativa intendono rafforzare e accelerare le misure descritte nel pacchetto per l'occupazione giovanile del dicembre 2012. Tali fondi verranno messi a disposizione degli Stati membri per finanziare, nelle regioni per le quali è ammessa la contribuzione, misure attuative della raccomandazione relativa alla garanzia per i giovani concordata nell'ambito del Consiglio dei ministri del lavoro e degli affari sociali dell'Unione europea del 28 febbraio 2013;
va ricordato che l'Italia rientra, purtroppo, nei parametri fissati di accesso al fondo. Infatti, secondo quanto riportano i dati Istat, nel gennaio 2013 il tasso di disoccupazione per i 15-24enni è salito al 38,7 per cento rispetto al 37,1 per cento del dicembre 2012. In particolare, il fenomeno dei neet in Italia è cresciuto esponenzialmente. Stando al Rapporto sul benessere equo e sostenibile del 2013, nel 2009, anno di inizio della crisi, i neet erano il 19,5 per cento, mentre in due anni, nel 2011, sono cresciuti di oltre tre punti percentuali, raggiungendo il 22,7 per cento. Il dato sui neet è particolarmente allarmante in quanto spia di un disagio estremo, prima di tutto psicologico, che diventa particolarmente acuto se si considera che tra tutti i neet, l'8,8 per cento è costituito da laureati che, quindi, non possono neppure accedere ad un livello più alto di formazione per potersi rimettere in gioco. Del resto, gli strumenti comunitari di garanzia per i giovani sono già attivi in alcuni Stati membri, come la Svezia e la Finlandia, e si sono dimostrati particolarmente positivi nel rilancio del mercato del lavoro dei giovani;
l'esperienza della partecipazione italiana agli strumenti finanziari europei dimostra come sia assolutamente necessario approntare meccanismi di coordinamento a livello nazionale e territoriale in grado di operare a livello di sistema Paese, per ottenere i massimi benefici in termini di messa in atto delle politiche europee;
la garanzia per i giovani dovrebbe essere rivolta, in particolare, a tutti i giovani compresi nella fascia di età dai 15 ai 29 anni che hanno appena terminato gli studi, hanno perso un lavoro, sono inseriti in percorsi formativi e di apprendistato, nel rispetto delle definizioni stabilite dalla normativa europea. A differenza della proposta comunitaria, che fissa il limite di 25 anni per i giovani che possono accedere agli schemi di garanzia per i giovani, tali misure andrebbero estese fino ai 29 anni, in virtù della particolare configurazione demografica del nostro Paese e visto che tale limite è quello utilizzato dai principali istituti di statistica per inquadrare la problematica dei neet in Italia,

impegna il Governo:

a riconoscere l'estrema importanza degli strumenti comunitari messi in atto per il rilancio dell'occupazione giovanile, mirati, in particolare, a favorire l'integrazione nel mercato del lavoro di giovani disoccupati al di fuori di ogni ciclo di istruzione e formazione (neet);
a mettere in campo tutte le misure necessarie a recepire il sistema europeo di garanzia per i giovani, istituendo una serie di meccanismi d'intervento differenziati su più livelli, e, quindi: a) misure di contrasto alla dispersione scolastica e di sostegno al rientro nei percorsi di studio; b) misure a sostegno dell'inserimento lavorativo dei giovani diplomati e laureati; c) contrasto alla segmentazione generazionale del mercato del lavoro e della segregazione di genere;
a potenziare ed armonizzare il ruolo dei centri per l'impiego, e di tutti gli strumenti per le politiche attive sul lavoro, su tutto il territorio nazionale, rafforzandone le prerogative e istituendo una figura professionale di consulenza in materia di politiche europee per l'occupazione, attivazione dei fondi specifici e orientamento mirato;
ad attivare adeguate sedi di confronto con i rappresentanti delle regioni e delle amministrazioni locali nonché con le organizzazioni sindacali dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative su base nazionale, al fine di predisporre un'azione coordinata e condivisa per dare attuazione alle misure volte a favorire l'occupazione giovanile previste dal programma di garanzia per i giovani;
a valutare la possibilità di assumere le necessarie iniziative per istituire, al più presto e in armonia con le previsioni di bilancio, un fondo nazionale per l'attuazione della garanzia per i giovani, composto dalla quota assegnata al nostro Paese da parte del fondo europeo di garanzia per i giovani e da ulteriori risorse previste anche da altre linee di intervento comunitarie, nel quadro della programmazione 2013-2020;
ad assumere iniziative per dare vita alla defiscalizzazione ed alla decontribuzione delle nuove assunzioni a tempo indeterminato per i giovani per un periodo adeguato.
(1-00034)
(Ulteriore nuova formulazione) «Gregori, Rizzetto, Polverini, Epifani, Speranza, Damiano, Ferro, Miccoli, Bellanova, Pastorino, Carella, Casellato, Carnevali, Culotta, Cinzia Maria Fontana, Tino Iannuzzi, Giuseppe Guerini, Gribaudo, Lorenzo Guerini, Guerra, Marco Di Maio, Antezza, Moretto, Cominelli, Moscatt, Ascani, Bonomo, Narduolo, Quartapelle Procopio, Raciti, Baruffi, Faraone, Paris, Giorgio Piccolo, Gnecchi, Madia, Tentori, Zappulla, Albanella, Pizzolante, Coccia, Boccuzzi, Martelli, Mongiello, Amoddio».

   La Camera,
premesso che:
fra i segnali più indicativi, sul piano economico e sociale, della gravità dell'attuale crisi economico-finanziaria che sta vivendo l'Unione europea, il più evidente risulta la crescita del tasso di disoccupazione;
particolarmente preoccupante è l'andamento della disoccupazione giovanile: nel marzo 2013 ben 5,7 milioni di giovani, di cui 3,6 milioni nell'area euro, erano privi di lavoro. Il tasso di disoccupazione giovanile ha superato il 23,5 per cento nell'Europa a 27 e il 24 per cento nell'area euro, in aumento di 1,5 punti percentuali su base annua;
la situazione, addirittura drammatica in Grecia, dove il tasso di disoccupazione giovanile tocca quasi il 60 per cento, e in Spagna (oltre il 55 per cento), appare tuttavia ormai insostenibile anche in Italia: nel nostro Paese il tasso di disoccupazione giovanile ha, infatti, toccato il 40,5 per cento;
i dati sono ancora più allarmanti nelle aree in ritardo di sviluppo, dove l'elevatissimo tasso di disoccupazione giovanile si inserisce in un contesto già profondamente segnato dal disagio economico e sociale, acuendo i rischi di tensioni e conflittualità;
la crescente difficoltà di trovare occasioni di lavoro stabili e regolari priva le giovani generazioni del diritto di guardare al proprio futuro con ragionevoli aspettative di realizzazione e li costringe a un'umiliante condizione di vulnerabilità, incertezza e precarietà e di dipendenza economica dalle famiglie di origine;
non possono esservi solide prospettive di ripresa economica e di crescita se le giovani generazioni sono costrette a una condizione di inattività; significativa, al riguardo, è la crescita costante della percentuale di giovani che appaiono totalmente privi di fiducia nel loro avvenire non lavorando e non partecipando a nessun ciclo di formazione e istruzione (i cosiddetti neet): nell'Unione europea si tratta ormai di circa il 13 per cento dei giovani compresi tra i 15 e i 29 anni;
le dimensioni del fenomeno impongono l'immediata adozione di misure appropriate, per entità delle risorse da stanziare e per la necessità di invertire rapidamente le tendenze in atto, al fine di allargare la base occupazionale, di offrire alle giovani generazioni credibili prospettive di formazione e di lavoro stabile e non precario, attraverso quelle reali politiche attive del lavoro che sono elemento essenziale del rilancio del modello sociale europeo;
in questa materia l'adozione di iniziative a livello europeo risulta imprescindibile, in primo luogo perché l'esperienza ha dimostrato che non è possibile affidare alle limitate forze dei singoli Stati membri il compito di affrontare un'emergenza che ha assunto ormai le dimensioni cui si è fatto riferimento a prescindere da una strategia complessiva ed organica. Ciò vale, in particolare, per i Paesi i cui margini di intervento finanziari sono particolarmente ristretti per i vincoli derivanti dall'obbligo di perseguire politiche di risanamento del bilancio pubblico. In secondo luogo, non va sottovalutato il rischio che l'assenza di adeguate risposte da parte dell'Unione europea alimenti anche nelle giovani generazioni la disaffezione, già ampiamente diffusa, nei confronti delle istituzioni europee e mini la fiducia nel progetto dell'integrazione europea, che si aggiunge al rischio socio-politico già evidenziato dalla fase recessiva. Ciò sarebbe particolarmente grave, stante il fatto che le giovani generazioni sono quelle che hanno una più elevata consapevolezza dell'identità europea e appaiono più propense alla mobilità e allo scambio di esperienze formative e di lavoro: una mobilità che necessità di adeguato sostegno, con particolare riferimento ai programmi di scambio come il programma Erasmus (che attualmente rappresenta appena lo 0,35 per cento del budget europeo, che a sua volta rappresenta circa l'1 per cento del prodotto interno lordo europeo). In terzo luogo, il differenziale tra le condizioni occupazionali per i giovani all'interno dell'Unione europea (dal 59,1 per cento della Grecia al 7,6 per cento di Austria e Germania) può alimentare le frizioni interne che mettono a repentaglio la tenuta e la solidità dell'Unione stessa;
nel dicembre del 2012 la Commissione europea ha delineato, con il Youth employment package, una strategia volta a contrastare la disoccupazione giovanile e l'esclusione sociale attraverso una serie di misure dirette a promuovere l'offerta di lavoro, l'istruzione e la formazione, raccomandando l'impegno degli Stati membri a tradurre concretamente, per quanto di loro competenza, le indicazioni fornite;
il Consiglio europeo ha successivamente stanziato 6 miliardi di euro, nell'ambito del quadro finanziario pluriennale per il periodo 2014-2020, allo scopo di sostenere le misure in materia di occupazione giovanile proposte dalla Commissione europea nel dicembre 2012, con particolare riguardo al progetto denominato Youth guarantee;
tale progetto, ispirato alle esperienze di alcuni Paesi (come Austria e Finlandia), è diretto a sostenere l'investimento nel capitale umano dei giovani fino ai 25 anni, al fine di conseguire gli obiettivi previsti dalla strategia «Europa 2020»: un tasso di occupazione del 75 per cento; il 40 per cento di laureati nella fascia tra 30 e 34 anni; un tasso di dispersione scolastica al di sotto del 10 per cento e la sottrazione alla povertà e all'esclusione sociale di 20 milioni di persone all'interno dell'Unione europea;
le iniziative finora adottate richiedono, come prospettato dall'Unione europea, una forte mobilitazione degli Stati membri (i Governi dell'Unione europea si sono impegnati a istituire programmi nazionali di Youth guarantee sulla base del modello sociale comunitario) e delle parti sociali secondo una logica di partenariato attivo;
come notato nel memo della Commissione europea «EU measures to takle youth unemployment» del 28 maggio 2013, il costo dell'adozione di queste misure è molto più basso del costo dell'inazione, per le condizioni economiche presenti e per i rischi conseguenti di esclusione, povertà e salute;
il prossimo Consiglio europeo del 27 e 28 giugno 2013 dovrebbe dedicare un'attenzione particolare a questo tema, anche a seguito delle sollecitazioni e delle iniziative adottate al riguardo da diversi Paesi, tra cui in particolare l'Italia,

impegna il Governo:

a intervenire, in occasione del prossimo Consiglio europeo, per verificare la possibilità di stanziare ulteriori risorse nell'ambito del fondo sociale europeo per il finanziamento di progetti volti a contrastare in maniera efficace la disoccupazione giovanile attraverso l'offerta di lavoro stabile e regolare e a sostenere programmi di elevata qualità di istruzione e formazione per i giovani adeguati alle esigenze più avanzate del mercato del lavoro, verificando in questo contesto anche l'adeguata implementazione dei programmi per la mobilità, con particolare riferimento a Eures e al programma Erasmus for all, volto a supportare le opportunità di studio, formazione e volontariato all'estero per 4 milioni di europei dal 2014 al 2020, con un budget complessivo di 14,5 miliardi di euro (il doppio dei programmi attuali);
a ottenere che la quota parte delle risorse spettante all'Italia nell'ambito dello stanziamento complessivo di 6 miliardi di euro per la Youth employment initiative possa essere impegnato nella massima misura possibile già nel 2014;
a promuovere con urgenza le misure necessarie in materia di adattamento dei centri per l'impiego (attraverso cui, secondo alcune stime, attualmente trovano lavoro solo il 2,7 per cento dei giovani) per supportare al meglio le iniziative a favore dell'occupazione giovanile;
a manifestare l'esigenza di un più stretto collegamento tra le politiche attive del lavoro e il circuito scuola-università-lavoro, utilizzando le sinergie nell'ambito del fondo sociale europeo per portare il livello di istruzione italiano all'altezza delle esigenze del sistema produttivo e per abbattere il «costo dell'ignoranza», ovvero il divario che impedisce all'Italia una piena partecipazione a una società europea della conoscenza, intervenendo, in particolare, sugli elementi essenziali per conseguire gli obiettivi europei della «strategia 2020» in merito al livello di laureati nella popolazione adulta e alla riduzione della dispersione scolastica, favorendo azioni mirate di sostegno al diritto allo studio e l'avvio di un piano nazionale per l'edilizia scolastica;
a impegnarsi, nel contesto delle misure del pacchetto e di un generale orientamento sul capitale umano come base per crescita attraverso la creazione di un circuito virtuoso europeo tra formazione e impresa, a promuovere l'entrata in vigore entro l'estate 2013 dell'alleanza europea per l'apprendistato, volta a promuovere i programmi di apprendistato che hanno avuto maggior successo e a sviluppare curricula comuni per le professioni e adeguati sistemi di riconoscimento degli apprendistati effettuati all'estero;
a valutare la possibilità di promuovere a livello europeo l'introduzione di misure premiali e/o sanzionatorie con riferimento all'impiego delle risorse utilizzabili allo scopo, per cui una quota dei fondi disponibili verrebbe assegnata ai Paesi che conseguono gli obiettivi stabiliti e la parte non utilizzata di risorse preassegnate sarebbe revocata se non utilizzata, in questo modo introducendo un meccanismo volto a responsabilizzare gli Stati membri ad impiegare rapidamente e in maniera efficace le risorse a disposizione;
ad adottare sul piano nazionale tutte le iniziative necessarie per realizzare al più presto progressi concreti e apprezzabili in materia (con particolare riferimento alla possibilità della defiscalizzazione per le assunzioni dei giovani a tempo indeterminato da parte delle imprese), anche utilizzando quota parte delle risorse ancora disponibili e non impegnate relative alle politiche di coesione per il periodo 2007-2013, oltre che quelle previste per il periodo 2014-2020, come prospettato dal Consiglio europeo del 22 maggio 2013.
(1-00070)
(Nuova formulazione) «Ascani, Rostellato, Calabria, Tinagli, Scotto, Prataviera, Giorgia Meloni, Alfreider, Speranza, Bonomo, Boschi, Bosco, Braga, Capozzolo, Chaouki, Cimbro, Coccia, Cominelli, Crimì, Culotta, Marco Di Maio, Donati, Fanucci, Fedriga, Gadda, Gregori, Gribaudo, Laforgia, Lattuca, Lotti, Madia, Moretto, Moscatt, Narduolo, Paris, Picierno, Giuditta Pini, Quartapelle Procopio, Raciti, Rampi, Scopelliti, Tentori, Ventricelli, Zardini, Manzi, Damiano, Rizzetto, Baldassarre, Ciprini, Pinna, Giammanco, D'Incecco, Cardinale, Costantino, Ricciatti, Dorina Bianchi, Antezza, Boccuzzi, Gozi, Carra, Amoddio, Mongiello».

   La Camera,
premesso che:
l'attuale istituto del Servizio civile nazionale affonda le radici nelle lotte per il diritto all'obiezione di coscienza, che videro un primo riconoscimento da parte del Governo con l'approvazione della legge n. 772 del 1972 «Norme in materia di obiezione di coscienza». Tale legge introdusse per i giovani richiamati al servizio di leva la facoltà di dichiararsi obiettore di coscienza per motivi morali, religiosi e filosofici ed istituì il servizio sostitutivo civile alternativo al servizio militare e, quindi, parimenti rispondente al dovere di servire la Patria;
con la legge n. 230 del 1998 l'obiezione di coscienza fu finalmente riconosciuta quale diritto soggettivo del cittadino nell'ambito del diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione riconosciute dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e dalla convenzione internazionale sui diritti civili e politici. La stessa legge sanciva che il servizio civile, diverso per natura e autonomo dal servizio militare, rispondesse parimenti al dovere costituzionale di difesa della Patria e fosse ordinato ai fini enunciati nei «Principi fondamentali» della Costituzione;
la legge n. 230 istituì altresì l'Ufficio nazionale per il servizio civile nell'ambito della Presidenza del Consiglio dei ministri, sottraendo la gestione del servizio civile al Ministero della difesa. Nacque anche il Fondo nazionale per il servizio civile – per la gestione dei fondi necessari al funzionamento del servizio civile – e la Consulta nazionale per il servizio civile, quale «organismo permanente di consultazione, riferimento e confronto» per l'ufficio nazionale composta da rappresentanti delle amministrazioni centrali dello Stato, dai maggiori enti di servizio civile, dalla rappresentanza dei comuni italiani e dalle associazioni rappresentative degli obiettori; successivamente la consulta fu integrata da un rappresentante delle regioni e delle province autonome, designato dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano (decreto legislativo n. 77 del 2002) e dai rappresentanti dei volontari in servizio civile, che hanno sostituito i rappresentanti degli obiettori. Attualmente la Consulta, soppressa dai tagli del 2012, è stata ricostituita con costi zero ed include 15 membri, tra cui rappresentanti dei volontari, degli enti, dei comuni italiani, delle regioni e province autonome e del dipartimento nazionale di protezione civile;
il 6 marzo 2001 con la legge n. 64 nasce il Servizio civile nazionale, a base volontaria, che ha convissuto con il servizio sostitutivo civile obbligatorio fino al giugno 2005. Il Servizio civile nazionale, nella prima fase, è stato aperto a uomini e donne, cittadini italiani tra i 18 e i 26 anni e poi esteso fino 28 anni compiuti;
la prima fase del servizio civile volontario iniziò con il significativo ingresso delle donne: nel dicembre del 2001, infatti, i primi progetti videro l'impiego di 180 donne e 1 uomo (i maschi erano ancora in gran parte obbligati ai servizio di leva);
secondo la legge n. 64 del 2001 il Servizio civile nazionale è finalizzato a (articolo 1):
a) concorrere, in alternativa al servizio militare obbligatorio, alla difesa della Patria con mezzi ed attività non militari;
b) favorire la realizzazione dei principi costituzionali di solidarietà sociale;
c) promuovere la solidarietà e la cooperazione, a livello nazionale ed internazionale, con particolare riguardo alla tutela dei diritti sociali, ai servizi alla persona ed alla educazione alla pace fra i popoli;
d) partecipare alla salvaguardia e tutela del patrimonio della nazione, con particolare riguardo ai settori ambientale, anche sotto l'aspetto dell'agricoltura in zona di montagna, forestale, storico-artistico, culturale e della protezione civile;
e) contribuire alla formazione civica, sociale, culturale e professionale dei giovani mediante attività svolte anche in enti ed amministrazioni operanti all'estero;
la partecipazione all'interno del servizio civile nazionale crebbe dai 181 ragazzi e ragazze avviati nel 2001 fino ai 45.890 del 2006. Il Governo, infatti, sostenne il servizio civile nazionale aumentando le risorse e il numero di posti con un trend positivo fino al 2006, quando si giunse a 57.119 posti messi a bando e 45.890 volontari avviati al servizio. Dal 2007 le risorse dedicate al servizio civile nazionale sono invece andate verso un continuo decrescendo, fino alla mancata promulgazione del bando ordinario 2012, alla previsione di stanziamenti per soli 15.000 volontari per l'anno in corso e ad una più generale situazione di incertezza per l'esistenza stessa del servizio civile nazionale;
nel 2006, con l'entrata in vigore del decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77 anche le regioni e province autonome entrarono a far parte del meccanismo di gestione del servizio civile nazionale. Parallelamente le regioni iniziarono anche un percorso autonomo con la promulgazione di leggi regionali per un servizio civile regionale, con caratteristiche e, talvolta, finalità diverse da quello nazionale;
l'articolo 9 della legge n. 64 del 2001 prevede, inoltre, la possibilità per i giovani volontari di prestare servizio anche presso «enti e amministrazioni operanti all'estero, nell'ambito di iniziative assunte dall'Unione europea, nonché in strutture per interventi di pacificazione e cooperazione fra i popoli, istituite dalla stessa Unione europea o da organismi internazionali operanti con le medesime finalità ai quali l'Italia partecipa». Dal 2001 ad oggi 3.782 volontari hanno operato in diversi Paesi dell'Europa, dell'Africa, dell'Asia, dell'Oceania e dell'America Latina, prevalentemente nel settore della cooperazione, dell'assistenza e dell'educazione;
queste esperienze e un comune percorso sul servizio civile avviato in altri Paesi europei hanno portato nel 2009 ad elaborare il progetto sperimentale europeo «European Civic Service: A Commom Amicus», con lo scopo di stimolare la nascita di un modello europeo di servizio civile. Questa rimane, ad oggi, una sfida aperta;
il 13 settembre 2011 è stato infine pubblicato il bando speciale a 6 volontari da impiegare nel progetto sperimentale: «Caschi bianchi: oltre la vendetta», proposto dal Comitato per la difesa non armata e non violenta (DCNAN). Il Comitato DCNAN è stato soppresso in seguito alla spending review del 2012;
il Servizio civile nazionale ha dato, inoltre, in diverse occasioni un contributo a risollevare la situazione di zone colpite da catastrofi naturali, mettendo in campo volontari tramite bandi speciali (Abruzzo 2009, Emilia-Romagna 2012);
il servizio civile è l'unica forma istituzionale di difesa della Patria non armata e non violenta (articolo 52 della Costituzione italiana) e il suo valore educativo porta i giovani a sperimentare e praticare con maggior consapevolezza la cittadinanza attiva, sviluppando il senso civico ed una maggiore percezione dei valori democratici, ad aiutare la categorie più vulnerabili dei cittadini (persone con disabilità, cittadini stranieri, bambini in situazioni difficili, malati terminali, e altri) nonché ad aiutare a salvaguardare il patrimonio artistico, culturale ed ambientale dello Stato;
nonostante il ruolo strategico di strumento utile alla coesione sociale, all'educazione alla partecipazione delle nuove generazioni, alla formazione personale e professionale dei giovani nonché ad un loro orientamento verso il mondo del lavoro, questo Istituto della Repubblica non ha ricevuto un adeguato finanziamento da parte dello Stato che permettesse la partecipazione di tutti quei giovani che ne facessero richiesta, evitando quindi il rischio di creare l'ennesima occasione d’élite, anzi i tagli lineari praticati negli ultimi anni dai Governi si sono abbattuti anche sul servizio civile che ha visto le proprie risorse ridursi drasticamente: dai 299 milioni di euro del 2008, ai 170 milioni di euro nel 2009, ai 100 milioni nel 2010-2011, ai 68 milioni nel 2012 con conseguente riduzione dei giovani che vi hanno potuto partecipare (dai 51.273 posti disponibili nel 2007, ai 20.157 posti disponibili nel 2011);
il 2012 è stato un anno particolarmente travagliato per la sopravvivenza del servizio civile giacché la carenza di fondi non ha reso possibile la pubblicazione di alcun bando per i volontari portando quindi a zero il contingente;
per il 2013 la legge di stabilità ha stanziato 71 milioni di euro, più altri finanziamenti dovrebbero derivare dalla divisione dell'esiguo fondo pari a 16 milioni di euro previsto dall'articolo 1, comma 270, sempre della legge di stabilità (legge 24 dicembre 2012 n. 228) fra le finalità di cui all'elenco 3 dello stesso comma; a questi finanziamenti si dovrebbero aggiungere i circa 50 milioni di euro reperiti dal Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione pro tempore Riccardi, che consentirebbe di garantire per il 2013 18.800 posti;
da una prima analisi predisposta dagli uffici competenti, come confermato dal nuovo Ministro per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili, calcolando la spesa unitaria di ogni volontario, più le spese di gestione si immagina che potranno essere avviati circa 15.000 ragazzi più 450 all'estero per il bando 2013 del servizio civile, che visti i ripetuti ritardi nello stanziamento dei fonti, non partiranno prima del gennaio 2014, lasciando scoperto in sostanza tutto il 2013 arrestando così l'avvio di migliaia di progetti, di attività, di servizi alle persone bisognose;
le associazioni e i rappresentanti del mondo del servizio civile, in numerose occasioni hanno evidenziato con forza quanto sia importante mantenere per il prossimo bando, atteso da migliaia di giovani sostanzialmente da oltre un anno, almeno il numero di volontari del bando 2011;
il servizio civile nazionale è una risorsa fondamentale non soltanto per migliaia di organizzazioni sociali e di enti locali, per la sopravvivenza di moltissimi servizi volti a favorire la coesione sociale e la tutela dei diritti delle fasce deboli, ma rappresenta un'occasione unica e straordinaria per decine di migliaia di giovani ogni anno. In questi ultimi giorni abbiamo ascoltato molti interventi affrontare la questione dei giovani, ripetendoci spesso che se non investiamo su di loro il paese muore. Ecco il servizio civile è un ottimo modo di investire su giovani,

impegna il Governo:

ad esperire ogni tentativo per stanziare i fondi necessari a garantire gli impegni presi per l'anno in corso;
ad individuare i fondi per una programmazione triennale del bando per il servizio civile, che renda possibile una regolarizzazione della progettazione e dei bandi;
ad adottare ogni iniziativa affinché sia attribuita una specifica delega per il Servizio civile nazionale, in modo da garantire agli organismi preposti alla gestione un coerente indirizzo politico in materia di Servizio civile nazionale;
a favorire, per quanto di competenza, una riforma della disciplina del Servizio civile nazionale in Italia e all'estero garantendo, anzitutto, la stabilità del sistema attraverso la definizione di un contingente fisso annuale di almeno 40.000 volontari da avviare al servizio e garantendo la conseguente copertura economica attraverso una programmazione pluriennale di spesa, affinché il Servizio civile nazionale torni ad essere una risorsa per il Paese e uno strumento di difesa non violenta della patria.
(1-00097) «Bonomo, Narduolo, Ascani, Beni, Bobba, Capone, Carnevali, Casati, Chimienti, Di Vita, Fossati, Gigli, Iori, Lattuca, Lenzi, Marcon, Miotto, Misiani, Mogherini, Piccoli Nardelli, Patriarca, Pelillo, Peluffo, Petitti, Piazzoni, Piccione, Polverini, Quartapelle Procopio, Santerini, Sereni, Borghi, Bonafè, Preziosi, Realacci, Fauttilli, Bellanova, Melilla, Baroni, Dall'Osso, Lorefice, Silvia Giordano, Mantero, Nesci, Colonnese, Villecco Calipari, Braga, Gadda, Tentori, Mattiello, Sbrollini, Sberna».

   La Camera,
premesso che:
con legge n. 6 del 6 febbraio 2009, il Parlamento italiano ha istituito la Commissione Parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti;
tale Commissione ha depositato agli atti parlamentari la propria relazione finale, approvata nella seduta della Commissione stessa del 5 febbraio 2013 e comunicata alle Presidenze di Camera e Senato il 6 febbraio 2013;
la Commissione – tra gli altri temi affrontati – ha avuto modo di approfondire, mediante audizioni, studi, ricerche ed interlocuzioni di vario tipo, l'annosa questione connessa al reiterato fenomeno dei roghi tossici nella cosiddetta «terra dei fuochi»;
nel corso dell'inchiesta svolta, numerose sono state le voci che hanno denunciato il preoccupante fenomeno dei rifiuti bruciati in strada o nelle campagne e delle gravi conseguenze in termini sanitari che ne possono derivare, derivanti dal fatto che spesso vengono bruciati rifiuti contenenti sostanze tossiche e pericolose;
tale fenomeno, specie per quanto concerne l'attività di contrasto, ha determinato in via immediata grosse criticità sul piano investigativo – repressivo;
sul tema, la Commissione, nel luglio del 2009, ha audito anche l'allora prefetto di Napoli, il quale ha avuto modo di stigmatizzare alcune criticità del fenomeno in questione, con particolare riferimento allo smaltimento degli pneumatici, per il quale, è stata posta in evidenza la bassissima percentuale di trattamenti leciti, rispetto a quelli illeciti;
la Guardia di finanza ha effettuato un'accurata analisi del fenomeno in questione ed è stato verificato come non più del 20 per cento dei rifiuti sia smaltibile legalmente nella provincia di Napoli, il che, ovviamente, incentiva il ricorso al sistema illecito;
quello degli incendi dei rifiuti nella cosiddetta «terra dei fuochi» è un fenomeno molto diffuso e particolarmente grave, tenuto conto della tipologia dei rifiuti bruciati (rifiuti tossici e pericolosi) nonché della incapacità dimostrata dalle istituzioni di porre freno a fenomeni così imponenti e diffusi di inquinamento ambientale;
nel tempo, il fenomeno, tanto dannoso quanto irrefrenabile, ha portato alla nascita di numerosi comitati spontanei, associazioni e movimenti civici, sorti con l'intento di informare, contrastare gli illeciti e sensibilizzare la cittadinanza circa gli effetti deleteri dei roghi;
sul punto, è stato sentito, al termine della missione effettuata dalla Commissione nel luglio 2009, anche il rappresentante dell'associazione denominata «Terra dei fuochi», il quale ha espresso in termini molto duri quella che è la situazione di vasti territori della provincia di Napoli e Caserta, gravemente compromessi dal punto di vista ambientale a causa degli incendi praticamente continui di rifiuti pericolosi, senza che si riesca in alcun modo a porvi freno da parte delle forze dell'ordine;
lo stesso prefetto, inoltre, ha dichiarato che, in più occasioni, sono state avviate azioni di contrasto rispetto agli autori degli incendi anche attraverso un maggiore controllo del territorio, ma i risultati ottenuti sono stati sempre scarsi;
recentemente, le istituzioni locali hanno provato ad affrontare in modo sinergico il fenomeno, costituendo un tavolo di confronto al quale hanno partecipato la prefettura di Napoli, la prefettura di Caserta, le forze dell'ordine, i vigili del fuoco, le Aassll, la camera di commercio, le associazioni di categoria, i consorzi preposti alle varie filiere, al fine di adottare una linea univoca per contrastare il fenomeno ed individuare delle misure di contrasto rispetto al fenomeno dei roghi, anche ricorrendo ad ordinanze ex articolo 54 Testo unico n. 267 del 2000;
nel corso della riunione di cui sopra ed in numerosi ulteriori passaggi, il prefetto ha rappresentato la necessità di intensificare l'attività di controllo del territorio coinvolgendo i corpi di polizia municipale e provinciale negli interventi di prevenzione ambientale, di vigilanza e di rimozione dei rifiuti abbandonati anche nelle ore notturne, nonché la necessità di mettere a punto misure di prevenzione in modo da non privilegiare solo l'azione repressiva;
anche i magistrati di Napoli sono stati ascoltati dalla Commissione di cui sopra ed hanno confermato tutte le difficoltà prima descritte;
la problematica dello smaltimento illecito degli pneumatici è stata affrontata anche di recente dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con decreto ministeriale n. 82 del 2011, con il quale il detto Ministero ha dato il via alla costituzione di società consortili, alle quali viene dato l'obbligo di intercettare e smaltire una quantità di pneumatici fuori uso corrispondente almeno a quella immessa sul mercato nazionale nell'annualità precedente;
la Commissione ha prestato, in sintesi, particolare attenzione al fenomeno dei roghi tossici, acquisendo informazioni oltreché da rappresentanti degli enti territoriali, da magistrati e da appartenenti alle forze dell'ordine, anche da Maurizio Patriciello, parroco di San Paolo Apostolo in Caivano, in ragione del sul diretto contatto con il territorio, da Antonio Marfella, oncologo dell'istituto Pascale di Napoli, in merito alle conseguenze dal punto di vista sanitario del fenomeno in questione, ed, infine, da Lucio Iavarone, rappresentante dei comitati dei cittadini contro i fuochi tossici, il quale, da ultimo, ha rappresentato la situazione di esasperazione dei cittadini che subiscono le conseguenze dannose dei roghi e che hanno più volte denunciato il fenomeno e costituito diversi comitati, precisando che il WWF ha anche organizzato ronde per il controllo del territorio;
purtroppo, nonostante l'impegno profuso dalle istituzioni locali, eppur a fronte della piena consapevolezza del problema, deve osservarsi come nessuna attività efficace sia stata messa in atto per sradicare un fenomeno di una gravità inaudita, tanto che le forze dell'ordine interpellate hanno evidenziato l'obiettiva difficoltà di intervento;
in particolare, l'esperienza degli anni addietro, ha palesato come sia possibile, in realtà, soltanto tamponare i singoli episodi, ma non il fenomeno nel suo complesso, che continua a persistere alimentando una economia illegale dello smaltimento dei rifiuti che è inaccettabile in una regione già ampiamente provata dagli inquinamenti imponenti che si sono consumati in passato e continuano a devastare il territorio;
non va, inoltre, in alcun modo trascurato il fatto che tali attività criminali determinano conseguenze disastrose per l'ambiente e per la salute dei cittadini, come risultato in modo chiaro ed univoco dai dati statistici elaborati dalle istituzioni sanitarie nazionali e locali circa il rilevante numero di malattie, soprattutto di origine tumorale, accertate nelle province di Napoli e Caserta e nei comuni maggiormente colpiti dal fenomeno dell'illecito smaltimenti di rifiuti tossici e nocivi, come appurato da due recenti e significative indagini epidemiologiche, una coordinata direttamente dall'Istituto superiore della sanità, l'altra dall'Istituto Monaldi di Napoli;
quanto evidenziato dalla Commissione parlamentare d'inchiesta, trova tristemente conferma, ancora oggi, atteso che non è possibile rilevare una strategia complessiva e sinergica tra le istituzioni centrali e locali tesa a contrastare in maniera radicale tale fenomeno: una strategia che, inevitabilmente non potrà prescindere da uno stringente e continuo supporto agli enti locali che, per primi, quali organi di prossimità, sono costretti a far fronte a tali emergenze;
nota positiva, tra le tante drammatiche, è che il fenomeno in questione ha portato, nel tempo, alla costituzione di numerosi gruppi spontanei di cittadini e comitati civici, nati per svolgere un'azione di contrasto all'illegalità diffusa sopra descritta, sia attraverso un'azione di sensibilizzazione che attraverso un'opera di presidio del territorio e di denunzia; ciò va tenuto in stretta considerazione, per avere la misura del grado di allarme sociale che il fenomeno della «terra dei fuochi», da anni, genera nella cittadinanza napoletana, esposta ad una vera e propria tragedia collettiva che trova negli impietosi numeri degli studi oncologici ed epidemiologici la più tristemente nota e drammatica conseguenza dell'uso distorto e dissennato che si è fatto del territorio negli ultimi anni,

impegna il Governo:

a perpetuare una politica di inasprimento delle pene per i reati ambientali, da assimilarsi, a tutti gli effetti, sostanziali e processuali, a quelli di stampo mafioso e/o terroristico;
ad assumere tutte le iniziative economiche e normative che garantiscano un presidio costante e permanente delle aree delle province di Napoli e Caserta, storicamente, tradizionalmente e notoriamente oggetto di tali attività criminali, adottando ogni metodo e strategia – compreso l'uso dell'esercito e delle unità cinofile – possibili ed in grado di contrastare il fenomeno dei roghi tossici descritto in premessa;
ad istituire quanto prima un tavolo interministeriale che si occupi delle questioni indicate in premessa, composto dal Ministero della giustizia, dell'interno, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, della salute e delle politiche agricole alimentari e forestali, anche al fine di assumere ogni iniziativa economica e normativa utile, per assicurare – in tempi rapidi e certi – il rilancio dell'attività di bonifica dei suoli inquinati, ai fini del loro recupero e della loro riconversione;
ad adottare ogni iniziativa di competenza, in specie di tipo normativo, per una revisione delle funzioni delle agenzie regionali per la protezione ambientali, valutando – se del caso – di assegnare al personale delle stesse anche i poteri di polizia giudiziaria;
ad avviare ogni iniziativa di competenza utile a mettere in condizione le aziende sanitarie locali di svolgere l'indispensabile attività di informazione e sensibilizzazione nei confronti della cittadinanza circa le cause e gli effetti nefasti dei roghi tossici sulla popolazione.
(1-00098) «Rostan, Antimo Cesaro, Capozzolo, Valiante, D'Agostino, Cimmino, Sottanelli, Salvatore Piccolo, Giorgio Piccolo, Rocchi, Verini, Realacci, Vargiu, Vecchio, Cera, Rughetti, Ribaudo, Manfredi, Tartaglione, Bossa, Impegno».

   La Camera,
premesso che:
il decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, e successive modificazioni, recante il codice delle assicurazioni private, stabilisce, all'articolo 138, la predisposizione di una specifica tabella, unica su tutto il territorio della Repubblica, delle menomazioni alla integrità psico-fisica comprese tra dieci e cento punti e del valore pecuniario da attribuire ad ogni singolo punto di invalidità comprensiva dei coefficienti di variazione corrispondenti all'età del soggetto leso, nonché, all'articolo 139, la predisposizione, con la medesima procedura, di una specifica tabella delle menomazioni alla integrità psico-fisica comprese tra uno e nove punti di invalidità;
finalità degli articoli 138 e 139 del citato decreto legislativo, e dei successivi provvedimenti attuativi, è pertanto la fissazione in maniera univoca, ai fini del risarcimento del danno in sede assicurativa della responsabilità civile automobilistica, dei valori economici e medico-legali per la valutazione del danno alla persona derivante da lesioni che abbiano determinato macrolesioni e lesioni di lieve entità;
il Ministro della salute ha istituito, il 26 maggio 2004, una commissione di studio, composta dai rappresentanti del medesimo Ministero, dei Ministeri del lavoro e delle politiche sociali, dello sviluppo economico, della giustizia, dell'Inail, dell'Ania, e da esperti in medicina legale, e successivamente integrata con rappresentanti delle associazioni familiari e vittime della strada e dell'osservatorio della Lega italiana dei diritti dell'uomo;
i lavori della commissione di studio si sono conclusi con la redazione di uno schema di tabella, oggetto di una valutazione preliminare del Consiglio dei ministri, il 3 agosto 2011, e successivamente del parere della sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato, l'8 novembre 2011;
il 7 giugno 2011, tuttavia, era intervenuta in materia la sentenza della Corte di cassazione n. 12408, la quale aveva stabilito che nella liquidazione del danno alla persona, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l'adozione della regola equitativa di cui all'articolo 1226 del codice civile, deve garantire non solo l'adeguata considerazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile ed iniquo che danni identici possano essere liquidati in misura diversa solo perché le relative controversie sono decise da differenti uffici giudiziari dall'affermazione del generale principio di uguaglianza, la Corte di cassazione aveva tratto la conclusione che, sempre in assenza dei criteri stabiliti dalla legge e in virtù dei suoi compiti di indicazione ai giudici di merito di criteri uniformi, i criteri per la liquidazione del danno alla persona fossero individuati nelle cosiddette «tabelle» di riferimento per la stima del danno alla persona elaborate dal tribunale di Milano, trattandosi del criterio più diffuso sul territorio nazionale;
gli effetti distorsivi derivanti dalla differenziazione territoriale dei risarcimenti dei danni non patrimoniali sono stati rilevati anche nel citato parere del Consiglio di Stato, il quale ha ritenuto che l'esigenza di porre rimedio a tali distorsioni «appare sicuramente condivisibile e coerente con le esigenze ordinamentali di parità di trattamento tra situazione analoghe, nonché in linea con i più recenti arresti giurisprudenziali della Corte di cassazione», tra i quali viene ricordata proprio la sentenza della Corte di cassazione, sezione III, 7 giugno 2011, n. 12408;
se lo schema di decreto del Presidente della Repubblica datato marzo 2013 ed avente ad oggetto il regolamento recante le tabelle delle menomazioni all'integrità psico-fisica ai sensi degli articoli 138 e 139 del decreto legislativo n. 209 del 2005 sembrerebbe, pertanto, risolvere in via definitiva il problema relativo all'adozione di criteri uniformi su tutto il territorio nazionale dei risarcimenti, dal confronto con le tabelle del tribunale di Milano emerge una riduzione dei valori risarcitori che ha suscitato molte proteste da parte delle associazioni delle vittime di sinistri stradali, che lo hanno considerato «fortemente lesivo della dignità umana e non rispondente alle esigenze di solidarietà consolatorie, riparatorie e satisfattive del danno da RC-auto»;
va considerato che il danno alla persona è composto da due componenti: il danno patrimoniale, calcolabile oggettivamente, e il danno non patrimoniale, non calcolabile oggettivamente, ma attribuito «equamente» dai tribunali o dalle tabelle, a sua volta distinto tradizionalmente in danno biologico, ossia il valore della perdita della funzionalità biologica dovuta alla lesione, il danno morale, variabile da caso a caso, tra il 25 ed il 50 per cento del danno biologico, e il danno esistenziale, molto soggettivo e variabile;
la tabella unica è difficilmente comparabile con le tabelle del tribunale di Milano, poiché queste regolamentano tutto il danno non patrimoniale, inglobando accanto al danno biologico anche il danno morale con riferimento a una liquidazione congiunta complessiva dei danni riconosciuti, mentre la tabella unica prevista nello schema di decreto del Presidente della Repubblica regolamenta il solo danno biologico «standard», ferma restando la necessità di determinazione aggiuntiva dell'eventuale danno morale, poiché, ai sensi degli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private gli importi possono essere aumentati nella misura massima del 30 per cento per le macrolesioni e del 20 per cento per le lesioni lievi, quando la menomazione incida su aspetti dinamico relazionali della persona;
indubbiamente, ragionare sulla congruità dell'ammontare dei risarcimenti è un esercizio difficile, perché attiene a un valore non monetizzabile, pertanto, lo scopo dell'emanando provvedimento dovrebbe essere esclusivamente quello di stabilire convenzionalmente criteri risarcitori certi e uniformi territorialmente, adeguati per le vittime e sostenibili relativamente alla spesa assicurativa;
peraltro, esiste una evidente correlazione tra importo dei premi ed entità dei risarcimenti che, per quanto riguarda il settore della responsabilità civile automobilistica, presenta dati articolati e non sempre univoci; tuttavia sono molti i fattori che influenzano il livello dei premi, come rilevato dalle recenti conclusioni dell'indagine svolta dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato sulle procedure di risarcimento diretto e gli assetti concorrenziali del settore;
tutto ciò rende evidente come sia indispensabile, per il Parlamento, promuovere un approfondimento, mediante un rapido e approfondito confronto sulla materia nei suoi vari aspetti, sociali, sanitari, economico-finanziari, e un proficuo confronto sia con il Governo sia con tutti gli altri soggetti coinvolti;
questa urgenza è resa ancor più necessaria dalla circostanza, che sullo schema di decreto del Presidente della Repubblica non è previsto un parere delle competenti Commissioni parlamentari, dal momento che sarà emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400,

impegna il Governo

a sospendere l’iter di approvazione del decreto del Presidente della Repubblica avente ad oggetto il regolamento recante le tabelle delle menomazioni all'integrità psico-fisica ai sensi degli articoli 138 e 139 del decreto legislativo n. 209 del 2005 fino all'espletamento di un approfondito ma rapido confronto nelle Commissioni parlamentari competenti, così da tenere conto delle indicazioni che emergeranno in tali sedi, anche al fine di garantire l'adeguato contemperamento tra le esigenze di tutelare le vittime degli incidenti stradali e quelle di contenere i costi delle polizze della responsabilità civile automobilistica.
(1-00099)
(Nuova formulazione) «Boccuzzi, Causi, Verini, Martella, Fregolent, Gutgeld, Biffoni, Impegno, Lenzi, Pelillo, Sanga, Antezza, Carra, Amoddio».

   La Camera,
premesso che:
l'Italia è agli ultimi posti in Europa negli indicatori principali relativi al benessere e ai diritti dell'infanzia;
la povertà minorile non è solo un fenomeno inaccettabile dal punto di vista etico e della violazione dei diritti, ma anche una pesante ipoteca sul destino di centinaia di migliaia di bambini e bambine nonché sul futuro dell'intero Paese;
la critica situazione economica che sta attraversando il Paese viene pagata duramente dalle nuove generazioni e rischia di creare nei prossimi anni drammatiche ripercussioni sociali;
come, evidenziano, gli ultimi dati Istat in Italia 1.822.000 tra bambini e adolescenti (pari al 17,6 per cento) vive in condizioni di povertà. Anche il rapporto UNICEF rileva che siamo di fronte ad una vera e propria «emergenza infanzia»; sul tema è intervenuto anche il Garante per l'infanzia Vincenzo Spadafora, sottolineando che il 7 per cento dei suddetti minorenni vive in povertà assoluta e che questa grave deprivazione materiale riguarda, nel Mezzogiorno, il 70 per cento di coloro che vivono in nuclei familiari con 3 o più minorenni; molte sono le segnalazioni di enti locali riguardanti il crescente numero di bambini e bambine che arrivano a scuola la mattina senza aver consumato un pasto adeguato la sera precedente;
diversi problemi rilevanti derivano da questa situazione: oltre ai rischi per la salute fisica connessi alla malnutrizione/denutrizione, anche problematiche correlate all'abbandono scolastico e a diverse forme di dipendenze e devianza sociale;
le conseguenze della povertà infantile connesse alla scarsa scolarità si traducono poi in scarso sviluppo delle conoscenze e, quindi, in bassa produttività, bassa occupazionalità; e quindi maggiori costi sociali e una maggiore domanda di servizi di welfare, con evidenti ricadute sulla spesa pubblica;
la situazione, che continua a peggiorare con l'aggravarsi della crisi economica, deriva anche da politiche socio-educative carenti e frammentarie, ben lontane da quelle degli altri Paesi europei;
in Italia negli ultimi anni c’è stata una costante riduzione dei finanziamenti destinati a famiglie, infanzia e maternità; il Fondo nazionale delle politiche sociali è passato da 1 miliardo di euro nel 2007 a 45 milioni nel 2013;
sono stati pesantemente ridotti i fondi per i servizi educativi e scolastici e depauperati i bilanci degli enti locali, rendendo insostenibili molte reti di welfare inclusivo, anche nelle realtà in cui esiste una forte tradizione culturale di sostegno sociale e comunitario;
complessivamente, nello studio Unicef che ha esaminato le condizioni di vita dei bambini dei 29 Paesi dalle economie più avanzate, l'Italia si trova al 22° posto; nello specifico, l'Italia è nelle retrovie in particolare per quanto riguarda l'istruzione (al 25° posto), al 22° per la partecipazione a forme di istruzione superiore, al 24° per i risultati scolastici conseguiti e, viceversa, al secondo posto per i neet (bambini e adolescenti che non studiano e non lavorano);
la Commissione europea nella sua raccomandazione «Investire sui bambini: rompere il ciclo vizioso di svantaggio» sollecita gli Stati membri a metter al centro della loro agenda il tema dell'infanzia e degli investimenti necessari per combattere la povertà dei bambini per garantire a tutti di crescere uguali;
nella raccomandazione la Commissione ricorda inoltre che la riduzione della povertà e dell'esclusione sociale è uno degli obiettivi della Strategia Europa 2010, la prevenzione e la lotta alla povertà minorile devono dunque essere tra gli obiettivi prioritari dei Governi degli Stati membri;
sempre nella raccomandazione la Commissione sprona gli Stati a fare uso di alcuni strumenti in favore dei minori svantaggiati che già esistono come il Fondo di aiuti europei agli indigenti – creato nel 2012 al fine di rafforzare l'inclusione sociale e combattere la povertà nell'Unione a sostegno dei programmi nazionali che prestano un'assistenza non finanziaria alle persone indigenti per ridurre la deprivazione alimentare e la deprivazione materiale grave – il programma di distribuzione di frutta e latte nelle scuole, attivo dal 2009, il Fondo sociale europeo e il Fondo per lo sviluppo regionale;
la povertà è strettamente legata anche al fenomeno della dispersione scolastica, limita le opportunità educative e di crescita, aggrava i già pesanti divari territoriali che affliggono il Paese;
la povertà infantile è acuita dalla diminuzione nell'accesso alle cure mediche e alla prevenzione sanitaria che sono drasticamente crollate di fronte ad una mancanza di mezzi economici delle famiglie;
è peggiorata, inoltre, la qualità dell'alimentazione di bambini e bambine ed adolescenti;
un dato ancora più drammatico è l'allontanamento dei minorenni dal nucleo familiare per questioni di indigenza della famiglia di origine che arriva sino alla perdita della capacità genitoriale;
particolare rilievo rivestono le povertà immateriali, tra cui la situazione dei figli coinvolti nelle separazioni genitoriali altamente conflittuali, spesso vittime innocenti dei rancori di coppia,

impegna il Governo:

a dotarsi di una strategia nazionale che preveda una pluralità di misure per contrastare le diverse manifestazioni della povertà che agisca su diverse dimensioni, anche sfruttando a pieno gli strumenti finanziari che l'Unione europea mette a disposizione;
ad elaborare un apposito piano di contrasto alla povertà minorile e giovanile, finalizzato anche a combattere la dispersione scolastica e a favorire l'inclusione lavorativa dei giovani che escono dalle comunità di tipo familiare, reperendo le necessarie risorse e considerando lo stanziamento delle medesime non una spesa che crea debito, ma un investimento sul capitale umano, per il progresso sociale ed economico del Paese;
ad assumere iniziative per istituire un apposito Fondo nazionale cui possano accedere gli enti locali, su parametri che tengano in considerazione le condizioni di povertà minorile e che permettano la garanzia di diritti di cittadinanza (come il diritto all'istruzione, alla fruizione delle mense, del trasporto scolastico, e altro), stabilendo meccanismi di monitoraggio e sanzionatori per evitare che finanziamenti e obiettivi concordati con le regioni e gli enti locali vengano disattesi;
ad assumere iniziative per rifinanziare in modo adeguato la legge n. 285 del 1997 «disposizioni per la promozione dei diritti e le opportunità dell'infanzia e l'adolescenza»;
a prevedere misure urgenti ed interventi di sostegno per consentire ai minori di essere educati nell'ambito della propria famiglia, anche dando immediata attuazione, attraverso l'emanazione dei previsti decreti legislativi, alla legge n. 219 del 10 dicembre 2012;
a prevedere iniziative urgenti atte a specificare che le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia;
a favorire il consolidamento delle reti di associazioni di volontariato nell'ambito familiare che sviluppino legami solidali tra famiglie e tra le generazioni nella direzione del welfare solidale e relazionale, fondato su un mix di risorse economiche e relazionali;
a mettere a sistema tutte le sperimentazioni positive e le buone pratiche già esistenti in Italia.
(1-00108) «Scuvera, Iori, Zampa, Capone, Roberta Agostini, Albanella, Argentin, Basso, Bazoli, Beni, Biondelli, Boschi, Cardinale, Carnevali, Carocci, Carra, Casati, Cenni, Chaouki, Cimbro, Coccia, Cominelli, Coscia, D'Incecco, Marco Di Maio, Ermini, Fabbri, Fossati, Gadda, Gandolfi, Gasparini, Giorgis, Giulietti, Gnecchi, Gozi, Gregori, Gribaudo, Giuseppe Guerini, Guerra, Iacono, Incerti, La Marca, Laforgia, Lattuca, Lenzi, Maestri, Malpezzi, Manzi, Marantelli, Marzano, Mongiello, Morani, Moretti, Moscatt, Mura, Narduolo, Nicoletti, Patriarca, Porta, Rostan, Sbrollini, Tidei, Tullo, Velo, Zappulla, Zardini, Capodicasa, Crivellari, Rubinato, Rocchi, Rigoni, Mogherini, Cani, Culotta, Marchi, Amoddio, Simoni, Quartapelle Procopio».

   La VI Commissione,
premesso che:
l'evasione fiscale rappresenta un problema rilevante dal punto di vista economico e del benessere sociale perché comporta effetti negativi sull'equilibrio finanziario sull'equità, sulla distribuzione del reddito e sull'efficienza nell'allocazione delle risorse;
il contrasto all'evasione deve essere un elemento centrale e imprescindibile nell'azione di risanamento della finanza pubblica, sia per i suoi effetti diretti sull'entità delle entrate sia per la redistribuzione del prelievo fiscale;
secondo il direttore centrale per la ricerca economica della Banca d'Italia, nel corso della recente audizione sul Documento di economia e finanza, l'elevato livello di evasione fiscale rende il carico sui contribuenti onesti ancora più ingente, determina distorsioni nell'offerta di fattori produttivi e fenomeni di concorrenza sleale ed è di ostacolo alla crescita della dimensione delle imprese;
il gruppo di lavoro sull'economia sommersa e i flussi finanziari istituito dal Ministero dell'economia e delle finanze ha stimato, per il 2008, il valore aggiunto prodotto nell'area del sommerso economico tra un minimo di 255 miliardi di euro e un massimo di 275 miliardi di euro, pari rispettivamente al 16,3 e al 17,5 per cento del prodotto interno lordo;
tuttavia, il concetto economico di valore aggiunto non è esattamente sovrapponibile a quello di base imponibile, così che per ottenere una corretta rappresentazione dei mancati versamenti d'imposta occorre quantificare il tax gap, che misura la differenza tra la raccolta «potenziale», ovvero ciò che dovrebbero versare i contribuenti in ottemperanza alla legislazione vigente, e la raccolta effettiva, vale a dire quanto viene effettivamente versato;
l'Agenzia delle entrate si è dotata di uno strumento per misurare il tax gap, che include l'evasione intenzionale e i mancati versamenti dovuti a errori nell'interpretazione delle norme e alle crisi di liquidità indotte dal ciclo economico;
è importante differenziare il tax gap per tipologie di imposta, poiché il comportamento del contribuente può variare sia in ragione delle fattispecie economiche che creano base imponibile, sia per le caratteristiche proprie del tributo: secondo uno studio pubblicato sulla rivista della società italiana di statistica, il gap Iva rispetto a quella potenziale risulta superiore al 25 per cento e si colloca su livelli più elevati di circa il 15 per cento rispetto alla media europea, mentre il gap Irap è inferiore a quello dell'Iva dimostrando la minore evadibilità di questo tributo rispetto all'Iva;
le misure adottate con il decreto-legge n. 201 del 2011 – che hanno, tra l'altro, ridotto la soglia legale di utilizzo del contante per i pagamenti, previsto l'obbligo di comunicazione da parte delle banche e degli altri operatori finanziari delle movimentazioni risultanti dai conti intrattenuti con i clienti, anche ai fini della migliore programmazione dei controlli, e riconosciuto benefici fiscali nei confronti di artisti, professionisti, persone fisiche e società di persone esercenti attività imprenditoriali, a condizione che essi adempiano a una serie di obblighi di trasparenza – appaiono necessarie per favorire l'emersione delle basi imponibili e accrescere l'efficacia dell'azione di contrasto ma non sufficienti a garantire la necessaria riduzione dell'evasione;
il disegno di legge di delega per la revisione del sistema fiscale presentato dal Governo il 18 giugno 2012, approvato in prima lettura dalla Camera, il cui iter non si è concluso entro il termine della legislatura scorsa, prevedeva tra l'altro specifiche norme per il contrasto all'evasione e all'elusione fiscale nonché il riordino dei fenomeni di erosione fiscale;
l'azione di controllo degli organi amministrativi non può che essere uno degli elementi della complessiva strategia messa in campo per accrescere la tax compliance e la legalità dei comportamenti fiscali, strategia che deve basarsi non solo sugli strumenti repressivi ma soprattutto sugli strumenti organizzativi, tecnologici e procedurali volti a sollecitare comportamenti collaborativi finalizzati all'emersione delle basi imponibili, rendendo non possibile o, comunque, non conveniente l'evasione;
la Corte dei conti, nel Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica, ha sottolineato «l'esigenza di un significativo mutamento nella strategia fiscale perseguita dal legislatore, che piuttosto che perseguire il recupero delle somme non versate dopo che l'evasione si è prodotta, possa favorire maggiormente l'emersione spontanea delle basi imponibili e la tempestiva acquisizione delle relative imposte attraverso un uso più efficace delle moderne tecnologie informatiche e telematiche e un ruolo attivo degli enti finanziari coinvolti»,

impegna il Governo:

a dare rapida attuazione alle misure previste nel piano d'azione contro la frode e l'evasione fiscale presentato dalla Commissione europea il 6 dicembre 2012;
a predisporre un rapporto annuale sull'economia non osservata e sull'evasione fiscale e contributiva, che fornisca una stima ufficiale dell'ammontare delle risorse sottratte al bilancio pubblico dall'evasione, con la massima disaggregazione possibile dei dati a livello territoriale, settoriale e dimensionale, e che individui le linee di intervento e prevenzione contro la diffusione del fenomeno dell'evasione e per stimolare l'adempimento spontaneo degli obblighi fiscali;
a favorire in ogni modo l'adempimento spontaneo degli obblighi fiscali, mediante l'introduzione di norme volte alla costruzione di un migliore rapporto tra fisco e contribuenti attraverso forme di comunicazione e cooperazione rafforzata, di incentivi sotto forma di minori adempimenti per i contribuenti e di riduzioni delle eventuali sanzioni, nonché forme specifiche di interpello preventivo con procedura abbreviata, prevedendo altresì che le imprese di maggiori dimensioni costituiscano sistemi aziendali strutturati di gestione e controllo del rischio fiscale, con una chiara attribuzione di responsabilità nel sistema dei controlli interni;
a valutare l'opportunità di prevedere l'obbligo di fatturazione elettronica e di trasmissione telematica dei corrispettivi, estendendo quanto già previsto nei confronti della pubblica amministrazione ai sensi del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 3 aprile 2013, n. 55, in attuazione della normativa prevista dai commi da 209 a 214 della legge 244 del 2007, a fronte di una riduzione degli adempimenti amministrativi e contabili dei contribuenti, specie per le ditte individuali e i professionisti con il contestuale superamento degli obblighi di emissione di scontrini e ricevute di carattere fiscale e di compilazione del modello studi di settore;
a valutare l'opportunità di mantenere l'obbligo di comunicazione dei dati dei clienti consumatori finali che hanno effettuato acquisti di importo superiore a 3.600 euro, misura che, oltre a sembrare oggi scarsamente utile, per il sovrapporsi all'obbligo di comunicazione delle operazioni da parte degli intermediari finanziari, rischia di indurre effetti negativi sui consumi o, peggio, di incrementare la propensione ad effettuare acquisti di beni e servizi «in nero»;
a introdurre l'obbligo di transazione tracciata per tutte le operazioni tra soggetti IVA indipendentemente dai limiti di importo;
a migliorare il flusso di informazioni riguardanti la formazione dell'IVA a debito e a credito, allineandosi alle best practice a livello europeo; verificando, in particolare, la possibilità di reinserire le dichiarazioni IVA periodiche;
a verificare la possibilità di introdurre meccanismi di disincentivo all'evasione dell'IVA sui beni e servizi intermedi, con particolare riferimento ai meccanismi di reverse-charge, di applicazione del meccanismo di deduzione base da base per alcuni settori e di versamento dell'imposta da parte degli enti della pubblica amministrazione che acquistano beni o servizi soggetti all'imposta;
a verificare la possibilità di promuovere una piattaforma informatica tra le Agenzie delle entrate territoriali e gli enti locali, finalizzata a strutturare e condividere un sistema informativo di monitoraggio e controllo del pagamento delle imposte/tributi erariali e locali;
ad assumere iniziative dirette a prevedere l'obbligo di riscossione dei compensi professionali corrisposti da consumatori finali e soggetti non Iva mediante sistemi di pagamento tracciati e l'utilizzazione di un apposito conto corrente dedicato;
a riconoscere come rilevanti ai fini fiscali solo i costi e le spese il cui pagamento sia effettuato mediante sistemi tracciati, sia nell'ambito delle attività d'impresa e professionali, sia ai fini della deduzione dal reddito complessivo o della detrazione dall'imposta di oneri;
a emanare al più presto il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze finalizzato a individuare una lista di Paesi in ragione del rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo ovvero della mancanza di un adeguato scambio di informazioni anche in materia fiscale di cui all'articolo 28, commi 7-bis e seguenti, del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, recante la normativa antiriciclaggio, valutando altresì l'opportunità di stabilire una norma generale che renda inopponibili all'amministrazione finanziaria italiana i rapporti economici di qualsiasi tipo intercorsi, anche solo indirettamente, con soggetti domiciliati in stati che non forniscono informazioni idonee ad identificare gli effettivi titolari e beneficiari dei rapporti;
a valutare l'opportunità di introdurre l'obbligo di autotutela da parte dei dirigenti dell'amministrazione finanziaria sia nel caso di errori determinati dalla stessa amministrazione che nell'ipotesi di errori sanabili commessi dal contribuente e, conseguentemente, a sopprimere l'istituto della mediazione fiscale che ha aggravato gli oneri per i contribuenti e ha indebolito la capacità di deterrenza del sistema di controlli;
ad assumere iniziative per prevedere strumenti di controllo per le vendite effettuate tramite distributori automatici, ripristinando la previsione già contenuta nella legge n. 244 del 2007, inspiegabilmente abrogata poco prima che il sistema di controllo entrasse in operatività, dall'articolo 16, comma 4, del decreto-legge n. 185 del 2008;
a valutare l'opportunità di aumentare a un terzo del minimo la sanzione amministrativa tributaria in caso di acquiescenza, adesione all'accertamento o al verbale di constatazione e a ripristinare la responsabilità degli amministratori di società, esclusa per effetto dell'articolo 7 del decreto-legge n. 269 del 2003;
a valutare l'opportunità di assumere iniziative per elevare la misura edittale delle sanzioni penali previste nei casi di condotte fraudolente, allo scopo di consentire, in presenza di gravi indizi, l'utilizzazione dei più efficaci mezzi di indagine giudiziaria;
a riconsiderare l'assetto organizzativo dell'amministrazione finanziaria e le sue tecnologie, accrescendo la sua capacità di assistenza e di confronto con il contribuente già nella fase dell'adempimento fiscale, allo scopo di pervenire ad una effettiva semplificazione amministrativa e a una rilevante riduzione dei costi connessi all'adempimento medesimo.
(7-00041) «Causi, Colaninno, Fregolent, Bargero, Bonifazi, Capozzolo, Carbone, De Maria, De Menech, Marco Di Maio, Fragomeli, Ginato, Lorenzo Guerini, Gutgeld, Leonori, Lodolini, Pelillo, Petrini, Ribaudo, Rostan, Sanga, Paglia, Boccadutri».

   PIZZOLANTE, CICU, POLVERINI. —Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
il 1o ottobre 2012, è stata approvata la legge n. 177, che ha apportato modifiche al decreto legislativo n. 81 del 2008 relativo alla sicurezza sul lavoro;
tale provvedimento stabilisce la valutazione obbligatoria del rischio di ritrovamento di ordigni bellici durante la realizzazione di opere di scavo;
la problematica, nonostante i circa 70 anni dall'ultimo conflitto mondiale è purtroppo ancora oggi attuale. Infatti, dai dati ufficiali del Ministero della difesa, si evince che sono circa 100.000 i ritrovamenti che ogni anno mediamente vengono effettuati nel corso di operazioni di bonifica preventiva e nel nord-est del Paese si ritrovano addirittura ancora numerosi ordigni risalenti alla Prima guerra mondiale. Una parte di questi ordigni è a caricamento chimico. A tali ritrovamenti vanno aggiunti quelli accidentali che spesso vengono riportati dalla cronaca anche recente e a volte con danno alle persone;
la legge n. 177 del 2012, al fine di poter produrre tutti gli effetti per il raggiungimento di una maggiore sicurezza delle maestranze impegnate in opere di scavo, deve essere seguita da un decreto interministeriale; con tale decreto, previsto nella stessa legge, viene nominata una commissione di esperti per la formazione di un albo entro il termine di sei mesi dalla entrata in vigore della stessa legge: tale termine è scaduto il giorno 2 maggio 2013. È da porre in evidenza che l'albo diventa essenziale per l'accertamento preventivo dei requisiti che debbono essere posseduti dai soggetti ai quali conferire il servizio di bonifica quando il coordinatore della progettazione abbia ritenuto doversi procedere alla bonifica preventiva del sito nel quale è collocato il cantiere. Allo stato attuale per la carenza normativa i controlli sui requisiti sono solo cartacei e limitati, d'altra parte non può essere bloccata un'attività tanto delicata ed, inoltre, è altresì possibile eludere i controlli da parte dell'autorità militare per le imprese –:
come mai tale provvedimento non sia stato ancora emanato nonostante le delicatezza della materia da normare.
(5-00387)

   PETRINI, LODOLINI, LUCIANO AGOSTINI, MARCHETTI, MANZI e MORANI. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la crisi iniziata nel 2008 sta tuttora esercitando un forte impatto sul sistema creditizio italiano, portando in evidenza situazioni patrimoniali messe a dura prova. La Banca d'Italia ha più volte rammentato l'esigenza di rispettare adeguati parametri patrimoniali (in aderenza ai cosiddetti indicatori Basilea 2) e di sollecitare innovazioni e rigore nella governance degli istituti di credito, all'altezza della sfida di assicurare al sistema economico nel suo complesso il sostegno da parte di un sistema del credito adeguato. Il panorama del mercato del credito in Italia, come è noto, è stato caratterizzato da alcune tendenze di lungo periodo: dall'ingresso nell'euro si sono rafforzati il ruolo di vigilanza della Banca d'Italia e l'esplicarsi delle precipue possibilità di impulso, con l'effetto visibile di fusioni ed acquisizioni virtuose e, in alcuni casi, necessarie;
   si riscontra un panorama di rarefazione degli istituti di credito marchigiani, in cui diverse realtà pur con sedi e denominazioni regionali hanno ormai proprietà e testa pensante in altre regioni italiane. Il credito nelle Marche è progressivamente divenuto «terra di conquista» da parte di istituti provenienti da altre regioni o da altri Paesi europei, interessati a drenare risparmi da convogliare verso impieghi prevalentemente in altre aree territoriali;
   da tale desertificazione del mercato del credito regionale emergono ormai soltanto qualche banca di credito cooperativo e la Banca delle Marche, al momento la principale espressione regionale;
   vi è una profonda differenza, in termini sostanziali, fra un sistema di credito gestito a livello locale ed uno gestito a livello remoto, fra una governance radicata e una non radicata. Le banche del territorio, operando in un ambito geografico ristretto, con rapporti di relazione durevoli e una profonda conoscenza del contesto, hanno contribuito alla industrializzazione diffusa dei sistemi di piccole e medie imprese, come nelle Marche. Le imprese «banche» ricoprono una duplice responsabilità: sia gestionale («fare utili» con scelte strategiche, operative e organizzative orientate alla redditività), sia territoriale («fare sviluppo» perché la banca è un fondamentale agente di sviluppo: non solo eroga credito, ma anche seleziona progetti, veicola innovazioni, valuta le potenzialità delle imprese locali, afferma i princìpi della trasparenza, della fiducia, della solidarietà, del merito professionale; inoltre contribuisce a formare una classe dirigente locale di imprenditori, professionisti, amministratori, dirigenti). È però auspicabile una responsabilità territoriale, che richiede la propensione ad adattarsi a molteplici esigenze di sviluppo economico-sociale locale. Infatti, forti istituti di credito locali inducono anche le banche esterne a confrontarsi su specifici obiettivi di sviluppo locale: in altre parole la presenza di robuste banche del territorio costringe le banche esterne a fare maggiore attenzione alle esigenze del territorio stesso;
   la problematica del ruolo delle Fondazioni bancarie, proprietarie degli istituti di credito, è dibattuta, a partire dalla cosiddetta riforma Amato. Riemerge periodicamente la proposta che le Fondazioni escano definitivamente, ma allora il rischio è che la gestione del credito perda radici territoriali. Resta invece convincente l'idea che le condizioni di rappresentatività delle Fondazioni possano e debbano essere riviste, evitando contrapposizioni personali o tensioni che rischiano di dilaniare la stessa potenzialità di intervento economico sul territorio, allorquando la visuale resti autocentrata ed autoriferita;
   appare opportuno mobilitare l'aggregazione e la valorizzazione delle forze economiche e sociali locali nel sostegno agli istituti di credito territoriali, mettendo a disposizione la massa finanziaria critica eventualmente necessaria in una fase di crisi congiunturale come l'attuale, evitando prospettive di acquisizione da parte di un unico soggetto economico, magari esterno al contesto territoriale;
   l'amministrazione regionale ribadisce il proprio sostegno integrato sul versante del credito, in un disegno organico che comprende la riorganizzazione della rete dei Confidi, la valorizzazione degli strumenti finanziari disponibili a livello comunitario, la velocizzazione dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione anche grazie alla cessione agli enti locali di spazi finanziari a valere sul patto di stabilità interno;
   si segnalano:
    a) l'azione di responsabilità formalmente richiesta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Macerata (Carima);
    b) la censurabile presa di posizione della Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi (Carisj) a proposito della revisione delle incompatibilità in merito alle condizioni e requisiti di eleggibilità per quanti ricoprano cariche negli organi di indirizzo e governo e la conseguente nomina del presidente della Fondazione;
    c) l'assottigliamento del margine di intervento nel capitale da parte di tutte e tre le Fondazioni partecipanti;
    d) le iniziative legali di natura sia civile che penale nei confronti della precedente dirigenza;
    e) la grave situazione amministrativa e gestionale maturata negli ultimi anni;
    f) la necessità di ridefinire il ruolo, la governance e l'area operativa della Banca delle Marche;
    g) l'esigenza di promuovere una attività di vigilanza sulle Fondazioni, sia in termini di persuasione morale che di eventuale censura di comportamenti volti a perpetuare pratiche contrarie alle finalità di buona governance dell'istituto di credito;
    h) la profondità della situazione della Banca delle Marche, rappresentabile in:
     1) forte esposizione alla crisi, con rischio di vendita a valori inferiori a quelli effettivi e sradicamento dalla realtà territoriale;
     2) bilancio approvato recentemente da Banca delle Marche che certifica perdite per 518 milioni di euro, ma con stime che, a quanto consta agli interroganti, ipotizzano cifre anche superiori;
     3) necessità, evidenziata dalla Banca d'Italia, di portare da circa 250 milioni di euro a circa 300 il fondo per la necessaria ricapitalizzazione;
     4) necessità di riorganizzare il raggio operativo della Banca, mediante la vendita o la compartecipazione delle sedi extraregionali o le sedi regionali in sovrapposizione;
     5) presenza di un piano industriale che privilegi l'efficienza ma non solo scaricandosi sul fattore lavoro;
     6) studio e proposta di alleanze funzionali per esigenze di sviluppo della Banca a livello sia nazionale che internazionale –:
   di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere per verificare la sana e prudente gestione da parte delle fondazioni che detengono partecipazioni della Banca delle Marche;
   quali iniziative, anche normative, intenda assumere in merito alla governance delle fondazioni bancarie. Se il Governo, nell'ambito delle proprie competenze, tramite il Ministero dell'economia e delle finanze, presente nell'ambito del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR), intenda espletare compiutamente la vigilanza sulle Fondazioni che esprimono la proprietà di Banca delle Marche, favorendo i princìpi della migliore rappresentanza territoriale e la rotazione degli incarichi, anche riscontrando che le Fondazioni non interferiscano nella gestione operativa dell'Istituto di credito nello spirito della cosiddetta riforma Amato, e se, qualora i risultati della vigilanza lascino emergere elementi che possano rilevare anomalie in merito alla gestione della banca, il Governo non intenda comunicarli alla Banca d'Italia per il seguito di competenza. (5-00396)