ATTI DI CONTROLLO E DI INDIRIZZO

Seduta n. 556 di mercoledì 27 gennaio 2016

INDICE


ATTI DI INDIRIZZO:

Mozione:
  Taricco  1-01126  33155

Risoluzioni in Commissione:
 I Commissione:
  D'Ambrosio  7-00894  33156
 VIII Commissione:
  Zolezzi  7-00893  33159

ATTI DI CONTROLLO:

Presidenza del Consiglio dei ministri.

Interrogazione a risposta orale:
  Toninelli  3-01967  33161

Interrogazione a risposta in Commissione:
  L'Abbate  5-07517  33161

Interrogazione a risposta scritta:
  Nesci  4-11820  33162

Ambiente e tutela del territorio e del mare.

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
 VIII Commissione:
  Grimoldi  5-07541  33163
  Matarrese  5-07542  33164
  Pastorelli  5-07543  33165
  Mannino  5-07544  33166
  Mariani  5-07545  33168

Interrogazione a risposta in Commissione:
  Latronico  5-07548  33168

Beni e attività culturali e turismo.

Interrogazioni a risposta in Commissione:
  L'Abbate  5-07516  33170
  Di Benedetto  5-07551  33171

Interrogazione a risposta scritta:
  Vezzali  4-11819  33172

Economia e finanze.

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
 VI Commissione:
  Bernardo  5-07523  33173
  Pelillo  5-07524  33174
  Gebhard  5-07525  33174
  Paglia  5-07526  33175
  Savino Sandra  5-07527  33176
  Pisano  5-07528  33176
  Busin  5-07529  33177

Interrogazioni a risposta in Commissione:
  Moretto  5-07521  33178
  Becattini  5-07549  33179

Giustizia.

Interrogazioni a risposta scritta:
  Costantino  4-11806  33180
  Lauricella  4-11807  33181
  D'Incà  4-11813  33181

Infrastrutture e trasporti.

Interrogazioni a risposta in Commissione:
  Busin  5-07519  33184
  Carra  5-07522  33186
  Vallascas  5-07550  33186

Interrogazioni a risposta scritta:
  Agostinelli  4-11808  33187
  Brandolin  4-11812  33189
  Grimoldi  4-11814  33189
  Pastorelli  4-11817  33190

Interno.

Interrogazioni a risposta scritta:
  Daga  4-11805  33191
  Di Maio Luigi  4-11809  33191
  Dieni  4-11810  33193
  D'Attorre  4-11818  33194

Istruzione, università e ricerca.

Interrogazione a risposta scritta:
  Cirielli  4-11811  33195

Lavoro e politiche sociali.

Interrogazioni a risposta in Commissione:
  Cominardi  5-07547  33196
  Tripiedi  5-07552  33197

Politiche agricole alimentari e forestali.

Interrogazioni a risposta in Commissione:
  L'Abbate  5-07513  33198
  L'Abbate  5-07515  33199
  L'Abbate  5-07518  33199
  Romanini  5-07546  33200

Interrogazioni a risposta scritta:
  Rizzo  4-11815  33201
  Maestri Andrea  4-11816  33202

Salute.

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
 XII Commissione:
  Monchiero  5-07530  33203
  Rondini  5-07531  33204
  Lorefice  5-07532  33205
  Lenzi  5-07533  33206
  Nizzi  5-07534  33207

Interrogazioni a risposta in Commissione:
  Giordano Silvia  5-07512  33208
  L'Abbate  5-07514  33209
  Grillo  5-07520  33210

Interrogazione a risposta scritta:
  Capelli  4-11802  33211

Sviluppo economico.

Interpellanza:
  Saltamartini  2-01243  33213

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
 X Commissione:
  Galgano  5-07536  33214
  Polidori  5-07537  33216
  Ricciatti  5-07538  33217
  Crippa  5-07539  33218
  Benamati  5-07540  33219

Interrogazione a risposta in Commissione:
  Lattuca  5-07535  33220

Interrogazioni a risposta scritta:
  Sibilia  4-11803  33221
  Quaranta  4-11804  33222

Apposizione di firme a mozioni  33222

Apposizione di firme a risoluzioni  33223

Pubblicazione di testi riformulati  33223

Mozione:
  Bordo Franco  1-01116  33223

Interrogazione a risposta scritta:
  Scotto  4-11770  33224

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo  33225

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo (ex articolo 134, comma 2, del Regolamento)   33226

ERRATA CORRIGE  33226

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:

   La Camera,
   premesso che:
    la Rai — Radiotelevisione Italiana S.p.A, una delle più grandi aziende di comunicazione d'Europa, è il quinto gruppo televisivo del continente ed è concessionaria in esclusiva del servizio pubblico radiotelevisivo che esercita, in Italia, secondo quanto previsto dalla legge 3 maggio 2004, n. 112;
    la predetta legge definisce in particolare i compiti del servizio pubblico generale radiotelevisivo e quelli di pubblico servizio in ambito regionale e provinciale, tra i quali l'obbligo di garantire la copertura integrale del territorio nazionale;
    Rai Way è una società per azioni del gruppo Rai, proprietaria della rete di diffusione del segnale radiotelevisivo della Rai, che ha il compito di gestire e mantenere efficienti tali impianti di diffusione; Rai Way è presente capillarmente su tutto il territorio nazionale disponendo di una sede centrale a Roma, 23 sedi territoriali e oltre 2.300 siti dislocati sul territorio italiano;
    la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) ha stabilito che l'imposta sul possesso della tv, comunemente nota come «canone Rai», di valore pari a 100 euro, sia inserita nella bolletta elettrica e versata ratealmente a partire dal mese di luglio 2016;
    numerosi sindaci e amministratori di comuni italiani delle aree montane, alpine e appenniniche, segnalano da tempo, dopo l'introduzione del digitale terrestre, costanti e crescenti difficoltà di accesso al servizio televisivo da parte di singoli e famiglie residenti in queste zone, in particolare nei borghi più difficilmente raggiungibili delle aree interne;
    nel 2014 il Corecom, il Comitato regionale che vigila sulle comunicazioni in Piemonte, ha svolto un sondaggio tra i comuni regionali, diffondendo gli esiti in una nota dello scorso ottobre 2015: si evince che i problemi di ricezione del segnale Rai sono riconducibili a più macroaree, quelle attigue alla Lombardia, per problemi di interferenza, e quelle montane, per assenza del segnale;
    la copertura integrale del territorio viene meno in molti comuni montani e collinari italiani, soprattutto del Piemonte, ma anche della Lombardia, dell'Emilia Romagna, nel Parmense, nel Piacentino e nell'area tra Cesena e Forlì, del Veneto, nell'area di Pordenone, ma disagi si sono evidenziati in tutto l'arco alpino e in moltissime aree appenniniche; in questi territori troppe comunità vedono una ricezione difficoltosa e limitata, e versano in una situazione di grave disagio per quanto riguarda la fruizione dei servizi Rai;
    molti sindaci dei territori interessati hanno rappresentato, in più occasioni, tale disagio attraverso comunicazioni scritte ad una pluralità di destinatari: Rai, regioni, Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Governo;
    Uncem, a livello nazionale tramite le sue delegazioni regionali, ha svolto negli ultimi anni numerose azioni a difesa degli utenti residenti nelle Terre Alte, al fine di assicurare loro parità di trattamento e di servizio rispetto a chi risiede nelle aree urbane;
    per assicurare la trasmissione del segnale televisivo anche nelle valli più interne e nelle zone d'ombra non raggiunte dal segnale delle torri gestite da Rai Way, negli ultimi dieci anni numerosi enti territoriali — in primis, le comunità montane e le unioni montane — in diverse regioni italiane, hanno acquistato e gestiscono direttamente — con costi notevoli – impianti di diverse dimensioni e potenza;
    in questo periodo, migliaia di comuni stanno approvando in consiglio o in giunta un ordine del giorno nel quale
sostengono la necessità di ottenere un tavolo di monitoraggio nazionale, con la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, l'Intergruppo parlamentare per lo Sviluppo della Montagna e l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, affinché vengano individuate le aree alpine e appenniniche dove il segnale tv è pessimo o comunque inadeguato;
    la necessità di ridurre l'evasione dell'imposta sul possesso della tv, ora notevolmente limitata grazie al nuovo sistema di pagamento, è da tempo segnalata e condivisa, ma non meno rilevante deve essere l'impegno di assicurare contestualmente da parte di Rai Way un adeguato servizio agli utenti, consentendo la ricezione di tutti i canali, in particolare quelli del servizio pubblico,

impegna il Governo:

   in vista dell'inserimento del canone nella bolletta elettrica, ad avviare un completo monitoraggio su tutto il territorio italiano riguardo ai livelli di effettiva ricezione del segnale televisivo, coinvolgendo nel monitoraggio le regioni, le unioni di comuni e le associazioni di enti locali quali Anci e Uncem;
   a promuovere, anche, ove necessario, attraverso una modifica del contratto di servizio, il potenziamento delle infrastrutture per la trasmissione del segnale televisivo, in particolare nelle aree montane e più interne del Paese;
   ad attivare un tavolo interministeriale relativo alle strategie per risolvere il problema dell'elevato divario digitale nelle aree montane, alpine e appenniniche, secondo quanto previsto dall'Agenda digitale nazionale, con particolare riguardo alle difficoltà di ricezione del segnale tv e radio;
   a promuovere, nell'ambito del contratto di servizio, il rafforzamento e l'ampliamento dell'informazione regionale e locale, anche riattivando e potenziando trasmissioni in materia di montagna e di ambiente, in costante interlocuzione con la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.
(1-01126) «
Taricco, Bergonzi, Berlinghieri, Braga, Lodolini, Giulietti, Borghi, Sereni, Mariani, Grassi, Verini, Amato, Senaldi, Patrizia Maestri, D'Ottavio, Zanin, Richetti, Paolo Rossi, Becattini, Benamati, Ascani, Albanella, Capone, Carrescia, Carnevali, Casellato, Ventricelli, Bonomo, Malisani, Rubinato, Romanini, Miotto, Bargero, Patriarca, Lattuca».

Risoluzioni in Commissione:

   La I Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 3 del decreto-legge 29 ottobre 1991, n. 345, ha disposto l'istituzione della direzione investigativa antimafia (D.I.A.) nell'ambito del dipartimento della pubblica sicurezza, con il compito di assicurare lo svolgimento, in forma coordinata, delle attività di investigazione preventiva attinenti alla criminalità organizzata, nonché di effettuare indagini di polizia giudiziaria relative esclusivamente a delitti di associazione di tipo mafioso o comunque ricollegabili all'associazione medesima;
    la direzione investigativa antimafia è oggi disciplinata dall'articolo 108 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136;
    così come riportato dal proprio sito istituzionale, la D.I.A. è un organismo investigativo con competenza monofunzionale, composta da personale specializzato a provenienza interforze, con il compito esclusivo di assicurare lo svolgimento, in forma coordinata, delle attività di investigazione preventiva attinenti alla criminalità organizzata, nonché di effettuare indagini di polizia giudiziaria relative esclusivamente a delitti di associazione mafiosa o comunque ricollegabili all'associazione medesima;
    in particolare, le attività di investigazione preventiva sono finalizzate alla definizione delle connotazioni strutturali, delle articolazioni, dei collegamenti interni ed internazionali, nonché degli obiettivi e delle modalità operative delle principali organizzazioni criminali;
    alla D.I.A. sono assegnate le funzioni di analisi dei fenomeni criminali di stampo mafioso, nonché di studio e approfondimento dei relativi processi evolutivi, al fine di orientare tempestivamente le investigazioni giudiziarie in modo da contrastare più efficacemente la criminalità mafiosa;
    tra i principali obiettivi della direzione investigativa antimafia risulta di particolare importanza la lotta economico-finanziaria, perseguita attraverso l'aggressione ai patrimoni illecitamente accumulati, i quali dopo essere stati opportunamente individuati e sottoposti a confisca, vengono successivamente restituiti a tutta la collettività;
    la fondamentale azione di contrasto ai capitali illeciti del crimine organizzato ha comportato, dal 2011 a oggi, una reimmissione di denaro nelle casse dello Stato 13.109.644.567 di euro di beni sottoposti a sequestro, e 6.285.726.819 di euro di patrimoni confiscati, senza considerare i dati relativi ai beni sequestrati e confiscati prima delle modifiche operative introduzione del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159;
    così come riportato dal «Rapporto annuale della Direzione investigativa antimafia», illustrato in data 15 dicembre 2015 presso il Ministero dell'interno, il valore di beni sequestrati alle associazioni criminali nell'anno attualmente in corso ammonterebbe a circa 2,6 miliardi di euro, mentre 530 milioni di euro risultano essere i patrimoni sottoposti a confisca;
    in tale sede lo stesso Ministro dell'interno ha considerato la direzione investigativa antimafia come «una intuizione felice che ha avuto una sua traduzione felice nella realtà, (...) una intuizione di Giovanni Falcone che è avvenuta (...) ed è stata realizzata», e secondo cui «la magistratura deve giovarsi della D.I.A. più che può e con i prefetti bisogna fare più squadra»;
    è stata altresì sottolineata l'importanza di una recente operazione antimafia, portata a termine dai carabinieri di Reggio Calabria con 36 provvedimenti di fermo, la quale ha consentito lo smantellamento di diverse cosche operanti in varie province per il controllo e lo sfruttamento di risorse economiche illecite, attraverso una serie di delitti contro il patrimonio e l'incolumità personale;
    le competenze organizzative e strutturali della direzione investigativa antimafia, nonché i rapporti con le forze di polizia, sia per le investigazioni di tipo preventivo che per quelle di natura giudiziaria, sono disciplinate, come richiamato, dalle disposizioni presenti nel decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159;
    la D.I.A. è articolata su tutto il territorio nazionale grazie alla presenza di dodici centri operativi e di nove sezioni distaccate, le cui funzioni e compiti sono opportunamente ripartite per assicurare una efficiente copertura operativa ed un ampio raggio dell'azione investigativa, in stretta collaborazione con le altre forze di polizia;
    la struttura centrale di supporto della direzione investigativa antimafia, ai cui vertici si trovano un direttore scelto a rotazione tra i dirigenti della polizia di Stato e gli ufficiali generali dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, che abbiano maturato specifica esperienza nel settore della lotta alla criminalità organizzata, si compone di una
divisione di gabinetto, tre reparti, rispettivamente deputati alle «investigazioni preventive», «investigazioni giudiziarie» e «relazioni internazionali ai fini investigativi», e sette uffici;
    con provvedimento del direttore della D.I.A. i centri operativi possono essere articolati in una o più sezioni, ubicate in località diversa da quella in cui ha sede il centro operativo dal quale dipendono;
    sull'attività svolta e sui risultati conseguiti dalla direzione investigativa antimafia, il Ministro dell'interno riferisce, ogni sei mesi, al Parlamento;
    in data 31 luglio 2014 la Commissione parlamentare d'Inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, con il fine di assumere informazioni utili ad ottenere un quadro generale relativo ad uno dei territori maggiormente interessati da fenomeni di tipo mafioso, ha visitato la città di Foggia;
    durante tale visita la Commissione d'inchiesta ha potuto verificare la grave situazione di una provincia, qual è quella di Foggia, che presenta caratteri di notevole criticità data la presenza di sodalizi criminali che da tempo compromettono il pieno sviluppo economico e imprenditoriale nel territorio foggiano;
    dalla documentazione acquisita durante tale missione emergono fondamentali informazioni circa l'attuale condizione di emergenza della provincia di Foggia;
    secondo tale documentazione le maggiori preoccupazioni nascerebbero dalla cosiddetta «Società foggiana», organizzazione il cui sodalizio è composto da gruppi che si aggregano e disgregano in relazione alle variazioni degli equilibri di potere e ai periodi di detenzione degli affiliati;
    tale organizzazione risulta operante nel territorio attraverso attività di estorsione, usura, traffico di stupefacenti, riciclaggio di denaro sporco sono le principali attività ed il metodo mafioso concretizzatosi in omicidi, danneggiamenti, intimidazioni (anche attraverso gambizzazioni e percosse), consentendo alla stessa «Società» un controllo capillare del territorio cittadino, nonché la capacità di instaurare relazioni forti con i clan di San Severo, Cerignola, Vico del Gargano e, in alcuni casi, con quelli della Campania e della Calabria;
    la «Società» estende oggi la propria azione fino alla vicina San Severo, stringendo patti con le famiglie criminali del Gargano, una delle consorterie mafiose più potenti ed agguerrite della provincia di Foggia, le quali si sono ormai trasformate da realtà agropastorali in realtà mafiose ben connotate ed articolate, con una pluralità di gruppi criminali spesso costituiti sulla base di legami prettamente familiari, ed organizzati secondo una distribuzione di tipo orizzontale e priva di gerarchie;
    è possibile verificare, infatti, come la criminalità garganica si sia ormai trasformata in struttura mafiosa «moderna», dedita al traffico degli stupefacenti, al contrabbando di T.L.E. ed al sistema di tipo estorsivo, con un notevole ampliamento dei propri interessi illeciti e con una capillarità territoriale sempre più elevata;
    la criminalità organizzata, presente in provincia di Foggia non è assimilabile ad altre realtà criminose presenti sul territorio nazionale, in quanto è caratterizzata da notevole frammentazione dei sodalizi criminosi, dalla capacità di diversificare e variare i propri interessi e così rinnovarsi –, si apprende dalla documentazione, in particolare da quella fornita dalla prefettura di Foggia – ed anche se non è presente una struttura unitaria, la compagine criminale agisce seguendo una strategia ben definita che prevede l'occupazione ed il governo del territorio, l'acquisizione di ingenti risorse finanziarie, la disponibilità di mezzi e uomini ben armati, un programma d'espansione progressiva e illimitata;
    attraverso recenti inchieste relative alla «mafia foggiana» è possibile constatare,
infine, l'attuazione di «proficue alleanze economiche con importanti cartelli mafiosi, come il clan dei Casalesi, l'infiltrazione all'interno delle pubbliche amministrazioni, con particolare riferimento alle attività di raccolta e di trasporto dei rifiuti solidi urbani della città di Foggia, nonché lo spostamento di ingenti capitali all'interno dei settori strategici dell'economia locale e nazionale;
    le associazioni criminali operanti nel territorio, secondo le informazioni rilevate dalla Commissione parlamentare, utilizzerebbero ormai uno schema d'azione sempre più legato al modello di «mafia degli affari», un sistema di gestione degli illeciti che oggi caratterizza le più importanti organizzazioni criminali italiane;
    in considerazione delle peculiari attività di tipo economico-finanziario illecitamente condotte dalla criminalità organizzata operante nel territorio, si ritiene oltremodo necessaria la predisposizione di misure idonee al contrasto del fenomeno mafioso, quale l'istituzione di un presidio della direzione investigativa antimafia (D.I.A.) presso la città di Foggia, la cui attività di indagine garantirebbe un'adeguata contrapposizione alle organizzazioni criminali di ivi operanti, anche attraverso la sottrazione di patrimoni illeciti da restituire alla collettività, assicurando così le necessarie condizioni di sicurezza e libero sviluppo del territorio,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per istituire una sezione operativa della direzione investigativa antimafia (D.I.A.), con una dotazione organica adeguata, pari ad almeno 20 unità di personale specializzato, presso la città di Foggia.
(7-00894) «
D'Ambrosio, D'Uva, Colletti, De Lorenzis, Sarti, Bonafede, Businarolo, Scagliusi, Brescia».

   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    la discarica di Ca’ Filissine (Vr) rappresenta una grave emergenza ambientale, legata principalmente ad una malagestione del sito, quale impianto autorizzato allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (RSU) e rifiuti assimilabili agli urbani (RSA), affidato in concessione in originariamente alla società Aspica srl, successivamente incorporata dalla società Daneco gestioni Impianti spa (dal 1987);
    successivamente, a seguito dell'approvazione di un progetto di ampliamento della discarica, il comune ha affidato i relativi lavori e la gestione direttamente alla concessionaria, Daneco spa, in forza di una nuova convenzione stipulata il 1o novembre 1999, con durata decennale e con protrazione della stessa oltre dieci anni «ove a tale data non risultasse esaurita la volumetria prevista nel progetto della discarica per il tempo necessario al totale completamento dell'impianto»;
    le problematiche principali legate alla discarica derivano da una gestione gravemente lacunosa soprattutto sotto il profilo della manutenzione dell'impianto e del controllo del livello di percolato come indicato da ANA nel rapporto del 17 giugno 2015; infatti è presente una perdita nel sito, segnalata sin dal 2006 dalle rilevazioni di ARPAV, ma mai correttamente individuata, ed inoltre da circa due anni la discarica tracima, avendo il livello di percolato superato il battente di 36 metri;
    quella della discarica di Ca’ Filissine rappresenta una questione complessa e delicata, che va avanti ormai da molti anni: nel 2006 la discarica è stata oggetto di un provvedimento di sequestro preventivo da parte dell'autorità giudiziaria per l'inquinamento delle acque di falda e l'attività di conferimento dei rifiuti è stata sospesa quando la volumetria dell'impianto non era ancora esaurita. Nel 2007 i consulenti tecnici della procura hanno individuato la discarica di Pescantina quale unica fonte dell'inquinamento della falda acquifera. Successivamente è stato ordinato il dissequestro dell'area e la restituzione all'ente proprietario, previa regolarizzazione amministrativa e adozione dei provvedimenti atti ad evitare ulteriori infiltrazioni;
    le gravi problematiche connesse alla discarica hanno scatenato la crisi comunale del maggio 2013, conclusasi con le dimissioni dell'allora sindaco Alessandro Reggiani e al commissariamento del comune attraverso la nomina del vice prefetto dottoressa Maria Machinè a commissario straordinario per la provvisoria gestione del comune;
    nel gennaio 2014 sono stati arrestati i vertici della Daneco spa, proprio nel momento cruciale della presentazione pubblica delle linee guida per la bonifica e messa in sicurezza di Ca’ Filissine, con accuse diverse, che vanno dalla truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, alla corruzione e all'attività finalizzata al traffico illecito di rifiuti;
    la durata decennale della convenzione risulta ormai superata ed il mancato esaurimento della volumetria della discarica è imputabile al solo sequestro della discarica, conseguente all'inquinamento della falda acquifera;
    il 13 settembre 2015 la giunta comunale di Pescantina ha approvato il progetto di bonifica che prevede una ripresa del conferimento di rifiuti speciali presso la discarica, e non più rifiuti solidi urbani, per arrivare alla chiusura del sito al 2030: si tratta, cioè, di conferire circa 2 milioni e 677 mila tonnellate di rifiuti speciali che porterebbero l'altezza finale a 75 metri in dal fondo della discarica, con un notevole rialzo dell'impianto rispetto ai 33 metri attuali;
    nonostante il 13 settembre 2015 la giunta comunale di Pescantina, approvando la modifica dell'originario progetto, abbia deliberato di tener conto delle indicazioni dell'ANAC, interessata alla questione, prescindendo dal diretto coinvolgimento della Daneco spa nella fase di aggiornamento del progetto e intendendo attivare per la successiva fase di realizzazione e gestione della discarica procedure di evidenza pubblica secondo la normativa di settore, occorre tenere presente che l'intervento debba essere ricondotto alla sola applicazione delle misure necessarie a porre in essere la sicurezza del sito dal punto di vita impiantistico ed ambientale, impedendo l'apporto di nuovi rifiuti e respingendo qualsiasi approvazione di progetti di diverso contenuto;
    la previsione della nuova tipologia dei rifiuti (da rifiuti solidi urbani a rifiuti speciali non pericolosi) comporta una modifica sostanziale dell'oggetto dell'attuale convenzione con Daneco spa, poiché si prevede un cambiamento del piano tariffario ed una presumibile variazione della modalità di trattamento dei rifiuti, per cui sarebbe necessario l'affidamento della gestione della discarica attraverso una procedura ad evidenza pubblica;
    occorre evidenziare che il piano regionale di gestione dei rifiuti urbani e speciali vieta l'apertura di nuove discariche in zone di ricarica degli acquiferi e il sito di Ca’ Filissine rappresenta, ad oggi, un'emergenza ambientale e un grave pericolo per la salute della popolazione, visto che come summenzionato la discarica tracima percolato direttamente nei terreni circostanti ed ha una perdita di materiale inquinante in falda;
    di recente i sindaci dei comuni interessati ed alcuni cittadini hanno avviato una raccolta di firme per l'indizione di un referendum relativo al piano di bonifica del comune, che prevede la ripresa dei conferimenti in discarica per oltre dieci anni;
    il collocamento di una enorme discarica di rifiuti speciali comporterebbe inoltre una ricaduta negativa non solo a livello turistico e sul piano commerciale ma anche per quanto riguarda la produzione
del vino che nei territori interessati, in particolare nella zona della Valpolicella, rappresenta un volano per lo sviluppo economico dell'intera area,

impegna il Governo:

   ad adottare le opportune iniziative, finalizzate all'inserimento del sito della discarica di cui in premessa tra i siti di interesse nazionale (SIN) da bonificare, nonché a reperire adeguate risorse economico-finanziarie necessarie alla bonifica del sito e, nello specifico, finalizzate ad estrarre il percolato presente nella discarica ed arrivare al riempimento di minima con materiale inerte in modo da far scolare «naturalmente» le acque ed evitare così la formazione di nuovo percolato;
    ad acquisire, per quanto di competenza e in raccordo con l'Anac, elementi in ordine alla correttezza delle procedure per la chiusura della discarica o per l'affidamento della gestione ad altra società.
(7-00893) «
Zolezzi, Businarolo, Colletti, Agostinelli, Benedetti, Busto, De Rosa, Mannino, Micillo, Daga».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:

   TONINELLI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. – Per sapere – premesso che:
   da informazioni riportate dalla stampa nazionale (trafiletto intitolato «Riforme in aula il 20, opposizioni in rivolta» su La Repubblica, 14 gennaio 2016, pagina 4) risulta che nel corso di un recente dibattito sul calendario dei lavori parlamentari sarebbe emerso che «il dottore Aquilanti (segretario generale di Palazzo Chigi) stato negli uffici della Cassazione a provare la causa di un'armonizzazione del voto referendario con il voto amministrativo», con riferimento ad un possibile tentativo di forzatura sui tempi legislativamente previsti per la consultazione degli elettori per il referendum di cui all'articolo 138 della Costituzione prevista per l'anno in corso –:
   se corrisponda al vero quanto riportato in premessa;
   se il Governo stia in ogni caso valutando la con convocazione per il referendum di cui all'articolo 138 della Costituzione prevista per l'anno in corso per un per un differente da quello annunciato, ovvero il prossimo mese di ottobre. (3-01967)

Interrogazione a risposta in Commissione:

   L'ABBATE, SCAGLIUSI e CARIELLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la legge 7 agosto 2015, n. 214, concernente «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche» all'articolo 10 prevede il «Riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura» e, con il comma 1, lettera c) fissa principi e criteri per la ridefinizione dei loro compiti e delle loro funzioni, «con particolare riguardo a quelle di pubblicità legale generale e di settore, di semplificazione amministrativa, di tutela del mercato, limitando e individuando gli ambiti di attività nei quali svolgere la funzione di promozione del territorio e dell'economia locale, nonché attribuendo al sistema camerale specifiche competenze, anche delegate dallo Stato e dalle regioni, eliminando duplicazioni con altre amministrazioni pubbliche, limitando le partecipazioni societarie a quelle necessarie per lo svolgimento delle funzioni istituzionali nonché per lo svolgimento di attività in regime di concorrenza, a tal fine esplicitando criteri specifici e vincolanti, eliminando progressivamente le partecipazioni societarie non essenziali e gestibili secondo criteri di efficienza da soggetti privati»;
   a luglio 2015, la cordata composta da Bologna Fiere, Ferrara Fiere, Sogeicos SpA e camera di commercio di Bari ha ottenuto l'approvazione unanime del Consiglio generale della Fiera del Levante per la gestione dell'Ente fieristico barese nell'ambito della cosiddetta «privatizzazione» dello stesso. Quella della cordata capitanata dalla camera di commercio di Bari (che attualmente detiene il 51 per cento e che potrebbe raggiungere il 90 per cento delle quote della cordata qualora non vengano trovati imprenditori locali disposti a prenderne parte, fermo restando l'avallo del consiglio dell'Ente Fiera) è stata l'unica offerta al secondo bando redatto dall'attuale presidente Ugo Patroni Griffi e dovrebbe prevedere un canone legato al 2 per cento sul fatturato oppure al 20 per cento sugli utili, con un importo minimo per le casse dell'Ente fiera pari a 100.000 euro l'anno. La camera di commercio di Bari, inoltre, con provvedimento di giunta n. 102 del 14 luglio 2014, aveva deliberato precedentemente di versare all'Ente fieristico la somma di 1,5 milioni di euro, quale contributo straordinario e supplementare in conto capitale richiesto dalla Fiera del Levante ai soci (per complessivi 9 milioni di euro a cui ha contribuito anche la regione Puglia con 4,5 milioni di euro) nell'ambito del programma di risanamento finanziario e di riequilibrio economico promosso dalla regione Puglia;
   in data 12 ottobre 2015, il consiglio d'amministrazione dell'Ente fieristico approva una proposta di contratto di gestione, dopo aver ottenuto l'approvazione politica del comune di Bari e della regione Puglia. Si rimane in attesa del responso dei soci emiliani;
   appare agli interroganti di dubbia legittimità e comunque non in linea con il riordino delle funzioni delle camere di commercio, l'iniziativa imprenditoriale della camera di commercio di Bari –:
   se il Governo sia a conoscenza della cosiddetta «privatizzazione» della gestione della Fiera del Levante che vede protagonista la camera di commercio di Bari;
   se il Governo ritenga opportuna questa operazione per la gestione patrimoniale e finanziaria della camera di commercio di Bari, nel rispetto dei principi di armonizzazione della finanza pubblica, come previsto dall'articolo 4 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, e sue successive modificazioni, operazione ad avviso dell'interrogante in contrasto con quanto previsto dalla legge 7 agosto 2015, n. 214, posto che, in particolare, si fa riferimento a risorse pubbliche per finanziare una nuova iniziativa di gestione chiaramente privata, visti i soggetti coinvolti. (5-07517)

Interrogazione a risposta scritta:

   NESCI, GRILLO, LOREFICE, MANTERO, PARENTELA e DIENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto raccontano le cronache locali, un neonato è morto il 25 gennaio durante il parto nell'unità operativa complessa di ostetricia e ginecologia dell'ospedale «Annunziata» di Cosenza;
   a darne notizia lo stesso direttore generale dell'azienda ospedaliera, Achille Gentile, evidenziando le condizioni in cui è avvenuto il decesso intorno alle ore 17;
   secondo quanto riferito dal direttore generale, «il parto, avvenuto per via spontanea, ha presentato difficoltà al momento dell'espulsione del feto, morto per cause ancora in corso di accertamento. Sono buone le condizioni di salute della donna, alla terza gravidanza, ricoverata stamane (lunedì 25 gennaio, nda) e sottoposta a tutti gli accertamenti strumentali che risultavano regolari»;
   la direzione aziendale, informata dal direttore facente funzioni dell'unità operativa, Clemente Sicilia, «ha immediatamente disposto una indagine interna, così da acquisire gli elementi necessari per fornire una compiuta valutazione dell'accaduto, accertare eventuali responsabilità e adottare i conseguenti provvedimenti»;
   su quanto è accaduto è intervenuta anche la regione Calabria, che ha aperto immediatamente un'inchiesta interna: «In merito al tristissimo e gravissimo evento luttuoso, il presidente della Regione ha disposto che il Dipartimento Tutela della Salute aprisse un'immediata e rigorosa inchiesta sull'evento stesso»;
   secondo quanto riferito dalle cronache locali, anche il Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, ha inviato gli ispettori della sua struttura all'ospedale di Cosenza per indagare sulla morte del neonato;
   in via preventiva «anche d'intesa con la struttura commissariale, il direttore generale dell'Azienda ospedaliera di Cosenza è stato invitato a sospendere immediatamente il ginecologo coinvolto fino al completamento delle indagini che saranno avviate dal Dipartimento e dagli organi competenti»;
   dall'inizio dell'anno è l'ennesimo caso che si registra in Calabria, dopo la morte di un feto avvenuto a Vibo Valentia poco prima del parto, come denunciato dalla prima firmataria del presente atto nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-11694;
   a parere degli interroganti urge fare presto chiarezza sull'accaduto, anche perché sono svariati i casi di decessi di neonati o delle madri partorienti nelle strutture ospedaliere calabresi, riscontrati negli ultimi mesi;
   tali vicende non possono prescindere da una ricognizione puntuale sulle carenze della rete dell'assistenza calabrese in ordine all'evento del parto;
   nella fattispecie, come già denunciato in precedenti atti parlamentari (n. 4-08940, n. 4-08250 e la succitata n. 4-11694), desta forte preoccupazione la situazione della terapia intensiva neonatale regionale, per cui – secondo quanto detto agli interroganti dallo stesso personale medico – andrebbero ricavati subito nuovi posti dedicati, per evitare di mandare mamme e famiglie fuori regione, il che è un rischio più che concreto;
   tale carenza di personale sanitario, ovviamente, è causa di pesanti sofferenze dell'utenza –:
   di quali elementi disponga il Ministro della salute a seguito dell'ispezione ministeriale;
   quali iniziative di competenza intendano intraprendere per garantire sicurezza in tutte le strutture in cui si può partorire in Calabria, nel rispetto dell'articolo 32 della Costituzione. (4-11820)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:

   GRIMOLDI e MOLTENI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della risposta del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali all'interrogazione n. 3-01941, presentata dai sottoscritti, in ordine alle sanzioni applicate dal Corpo forestale dello Stato agli artigiani di Como per gli errori formali presenti nei documenti di accompagnamento degli scarti di lavorazione del legno conferiti nel centro di raccolta differenziata di Cantù, i giornali locali riportano una serie di iniziative intraprese dalle associazioni di categoria, Confartigianato, Confederazione nazionale dell'artigianato e della piccola e media impresa (Cna), comune e rappresentanti politici del territorio, che chiedono al Governo il riesame del caso;
   infatti, alle imprese che hanno conferito i propri rifiuti nel centro di Cantù, gestito da Econord, sono state applicate dal Corpo forestale dello Stato multe pesantissime, da 3.000 euro ad oltre 20.000 euro, per errori formali nei documenti e nei formulari di accompagnamento degli scarti di lavorazione;
   si tratta di sanzioni superiori a quelle previste per l'abbandono di rifiuti che, ai sensi dell'articolo 255 del codice dell'ambiente, si prevedono da trecento euro a tremila euro con aggravio fino al raddoppio se l'abbandono riguarda rifiuti pericolosi;
   gli artigiani e tutti i cittadini sono sconcertati, visto che le imprese oneste, che pagano per conferire i propri scarti di legno nelle discariche o nei centri di recupero, vengono multate con cifre inique per sbagli formali compilando i formulari, mentre, quelle disoneste, che buttano i rifiuti per strada o nelle campagne, commettendo gravi illeciti ambientali, non vengono nemmeno ricercate;
   secondo gli interroganti è inaccettabile colpire in questo modo un settore artigianale importantissimo per l'economia del Paese, essendo il distretto del mobile della Brianza un'eccellenza in specializzazione e produzione di qualità, con un alto potenziale creativo del sistema produttivo e indiscusse competenze tecniche e professionali;
   non è corretto trattare imprese oneste alla stregua dei «furbetti», scoraggiando implicitamente i cittadini dall'applicazione della legge; tanto più che, spesso, si tratta di imprese a conduzione familiare, di anziani che, da anni, offrono al nostro Paese l'eccellenza del made in Italy e che stentano a seguire le modifiche normative, nonché di imprese che, in buona fede, conferiscono i propri rifiuti al entro di raccolta differenziata;
   nella seduta n. 542 della Camera dei deputati, martedì 22 dicembre 2015, il Governo, rappresentato dal Sottosegretario di Stato dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Silvia Velo, ha accolto l'ordine del giorno n. 9/2093 – B/35 sul medesimo argomento, che impegna il Governo «a valutare la possibilità di adottare le opportune iniziative, anche avviando un'apposita indagine per accertare i motivi di quanto esposto nella premessa, adottando azioni precise per esonerare le imprese malcapitate da inique sanzioni, e, nel caso, correggere le norme che per inesattezze formali mettono in crisi le imprese oneste che conferiscono i propri rifiuti di lavorazione in discarica» –:
   se non si intenda riesaminare per quanto di competenza, la questione delle sanzioni applicate agli artigiani di Como per gli errori formali presenti nei documenti di accompagnamento degli scarti di lavorazione del legno conferiti nel centro di raccolta differenziata di Cantù, verificando la possibilità di prevedere una moratoria sulle sanzioni comminate fino al chiarimento del caso e/o la modifica delle norme. (5-07541)

   MATARRESE e D'AGOSTINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il centro di raccolta differenziata del comune di Noicattaro, in provincia di Bari, che è stato realizzato con fondi del P.O. FESR 2007 2013 dal consorzio A.T.O. Bari 5, è stato consegnato all'ente nel 2013 ed è disciplinato dal decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare dell'8 aprile 2008, che prevede «...aree presidiate ed allestite ove si svolga attività di raccolta, mediante raggruppamento per frazioni omogenee per il trasporto agli impianti di recupero, trattamento e, per le frazioni non recuperabili, di smaltimento, dei rifiuti urbani e assimilati...»;
   la struttura rientra in un progetto complessivo che prevede la realizzazione di tre centri di raccolta rifiuti nei comuni di Putignano, Noicattaro e Mola di Bari per un importo complessivo di circa 1.450.000 euro. La spesa è stata suddivisa in parti uguali tra i comuni che hanno singolarmente contribuito anche con un cofinanziamento di 150 mila euro;
   secondo quanto si evince dagli organi di stampa, il contratto per l'affidamento della gestione e il conseguente avvio all'esercizio della struttura sarebbe stato aggiudicato nel 2014 per un importo di 89.679,54 euro;
   secondo quanto si evince da fonti di stampa, a seguito dell'aggiudicazione del contratto di affidamento della gestione, l'Asl avrebbe contestato la non conformità alle prescrizioni di legge dei servizi igienici (privi di qualsiasi areazione), delle altezze degli uffici (inferiori ai limiti prescritti), della piattaforma carrabile per lo scarico dei rifiuti (priva di barriere protettive) nonché la mancanza di sistemi di climatizzazione degli uffici, del bagno e dell'aula didattica;
   per i motivi sopra esposti, la procedura relativa al rilascio del certificato di agibilità dell'immobile, iniziata nel settembre 2014, risulterebbe ancora pendente e di fatto la struttura risulta non utilizzata, nonostante il cospicuo impiego di risorse statali ed europee per la realizzazione dell'opera;
   il perdurare dell'inagibilità del centro condiziona fortemente la raccolta differenziata dei rifiuti ed è causa di disagi evidenti per la popolazione in quanto i rifiuti sono vistosamente ammassati all'esterno dell'impianto –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero e, in caso affermativo, di quali notizie disponga in merito allo stato attuale della struttura e del suo eventuale adeguamento alle prescrizioni di legge e messa in esercizio e se quindi intenda porre in essere iniziative di propria competenza, anche promuovendo una verifica da parte del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, al fine di far luce sul problema insorto che impedisce il corretto smaltimento dei rifiuti sul territorio. (5-07542)

   PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) ha consegnato, al Ministro interrogato, l'aggiornamento della relazione prevista ai sensi del decreto legislativo n. 31 del 2010 sulla proposta di Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) alla localizzazione del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi predisposta dalla Sogin Spa (Gestione impianti nucleari);
   tale aggiornamento era stato richiesto dai Ministri competenti affinché l'istituto svolgesse verifiche, ai fini della validazione dei risultati cartografici ed in merito alta coerenza degli stessi con i criteri stabiliti dalla guida tecnica n. 29 dell'Ispra e dalla Iaea (International Atomic Energy Agency), sulla revisione operata dalla Sogin nel reperire i rilievi formulati dall'istituto stesso sulla proposta della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee già presentata nel mese di gennaio 2015;
   la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee, cioè la mappa dei luoghi idonei ad ospitare il deposito nazionale, con annesso il parco tecnologico, opera che deve accogliere tutti i rifiuti radioattivi presenti in Italia, ci viene imposta dall'Unione europea (Dir. 2011/77 EURATOM, recepita con il decreto legislativo n. 45 del 2014);
   sembra che, sull'aggiornamento della proposta della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee e della relativa documentazione a supporto presentato dalla Sogin, l'Ispra non abbia formulato ulteriori rilievi e, pertanto, prima della pubblicazione, mancherebbe solo il nulla osta dei Ministri competenti;
   diverse fonti giornalistiche riportano l'indiscrezione che diverse zone della Sicilia, in maniera particolare il territorio della provincia di Enna e aree limitrofe, potrebbero figurare come siti idonei a ospitare depositi di rifiuti radioattivi;
   il 7 settembre 2015, presso il centro polifunzionale del comune di Enna si è tenuta la conferenza: «Deposito Nazionale dei Rifiuti Radioattivi e Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee», organizzata dal «COTAS», il Comitato tutela ambiente e salute di Enna, dove è emerso con forza che il territorio ennese, ed in particolare i giacimenti di Assoro-Agira, Salinella e Resuttano, potrebbero «ospitare» sia le scorie nucleari a bassa radioattività provenienti dalle attività mediche, sia quelle ad alta e bassa attività provenienti dal « decommissioning» delle centrali nucleari non più in funzione;
   tutto ciò sembra impensabile per l'interrogante, considerato l'alto rischio di sismicità, la presenza di falde acquifere e la vicinanza all'Etna — vulcano attivo più grande d'Europa –. La presenza del lago Pozzillo, sito di interesse comunitario e delicato habitat di rare specie migratorie, è il bacino artificiale più grande della Sicilia e fornisce il 70 per cento del fabbisogno irriguo di tutta la Sicilia orientale;
   l'Italia, grazie al referendum del 1987, è stato il primo Paese tra i più industrializzati a dire no al nucleare. Nonostante questo l'eco, dell'utilizzo dell'atomo, per la produzione di energia elettrica, nel nostro Paese ancora si sente. Illuminanti sul tema sono le conclusioni della ricerca « The economic future of nuclear power», condotta dall'Università di Chicago nell'agosto 2004, per conto del Dipartimento dell'energia statunitense sui costi del nucleare confrontati con quelli della produzione termoelettrica da gas naturale o carbone. Secondo tale studio i costi da nucleare variano da un minimo di 47 a un massimo di 71 dollari contro i 35-45 dei cicli combinati a gas naturale;
   il nostro Paese, ad oggi, conta, secondo l'inventario Apat, circa 25 mila m3 di rifiuti, 250 tonnellate di combustibile irraggiato e circa 1500 m3 di rifiuti prodotti annualmente da ricerca, medici e industria, più 80-90 mila m3 di rifiuti derivanti dallo smantellamento delle 4 ex centrali nucleari –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover, prima della pubblicazione della Cnapi, informare in maniera adeguata e con la massima trasparenza, le comunità locali interessate su tutti i rischi legati ad una eventuale localizzazione del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, ponendo tutte le dovute e necessarie precauzioni ad un territorio con forte sismicità, dovute anche alla presenza di un vulcano, tuttora, attivo come l'Etna. (5-07543)

   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con una prima sentenza, nel 2007, la Corte di giustizia dell'Unione europea (Cgue) ha dichiarato che l'Italia era venuta meno, in modo generale e persistente, agli obblighi relativi alla gestione dei rifiuti stabiliti dalle direttive relative ai rifiuti, ai rifiuti pericolosi e alle discariche di rifiuti;
   nel 2013, la Commissione europea ha ritenuto che l'Italia non avesse ancora adottato tutte le misure necessarie per dare esecuzione alla sentenza del 2007. In particolare, 218 discariche ubicate in 18 delle 20 regioni italiane non erano conformi alla direttiva «rifiuti»; inoltre, 16 discariche su 218 contenevano rifiuti pericolosi in violazione della direttiva «rifiuti pericolosi»; infine, l'Italia non aveva dimostrato che 5 discariche fossero state oggetto di riassetto o di chiusura ai sensi della direttiva «discariche di rifiuti»;
   nel corso della causa c-196/13, la Commissione europea ha affermato che, secondo le informazioni più recenti, 198 discariche non erano ancora conformi alla direttiva «rifiuti» e che, di esse, 14 non erano conformi neppure al direttiva «rifiuti pericolosi». Inoltre, sarebbero rimaste due discariche non conformi alla direttiva «discariche di rifiuti»;
   nella sentenza della Cgue del 2 dicembre 2014, la Corte ha ricordato, innanzitutto, che la mera chiusura di una discarica o la copertura dei rifiuti con terra e detriti non è sufficiente per adempiere agli obblighi derivanti dalla direttiva «rifiuti». Pertanto, i provvedimenti di chiusura e di messa in sicurezza delle discariche non sono sufficienti per conformarsi alla direttiva. Oltre a ciò, gli Stati membri sono tenuti a verificare se sia necessario bonificare le vecchie discariche abusive e, all'occorrenza, sono tenuti a bonificarle. Il sequestro della discarica e l'avvio di un procedimento penale contro il gestore non costituiscono misure sufficienti. La Corte ha rilevato poi che, alla scadenza del termine impartito, lavori di bonifica erano ancora in corso o non erano stati iniziati in certi siti; riguardo ad altri siti, la Corte ha contestato che non è stato fornito alcun elemento utile a determinare la data in cui detti lavori sarebbero stati eseguiti. La Corte, quindi, ne è arrivata alla conclusione che l'obbligo di recuperare i rifiuti o di smaltirli senza pericolo per l'uomo o per l'ambiente, nonché quello, per il detentore, di consegnarli ad un raccoglitore che effettui le operazioni di smaltimento o di recupero di rifiuti, o di provvedere egli stesso a tali operazioni, sono stati violati in modo persistente;
   la Corte è arrivata alla conclusione che l'Italia non ha adottato tutte le misure necessarie a dare esecuzione alla sentenza del 2007 e che è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto dell'Unione europea. Di conseguenza, la Corte ha condannato l'Italia a pagare una somma forfettaria di 40 milioni di euro. La Cgue ha rilevato poi che l'inadempimento perdura da oltre sette anni e che, dopo la scadenza del termine impartito, le operazioni sono state compiute con grande lentezza; un numero importante di discariche abusive si registra ancora in quasi tutte le regioni italiane. Essa considera quindi opportuno infliggere una penalità decrescente, il cui importo sarà ridotto progressivamente in ragione del numero di siti che saranno messi a norma conformemente alla sentenza, computando due volte le discariche contenenti rifiuti pericolosi. L'imposizione, su base semestrale, consentirà di valutare l'avanzamento dell'esecuzione degli obblighi da parte dell'Italia. La prova dell'adozione delle misure necessarie all'esecuzione della sentenza del 2007 dovrà essere trasmessa alla Commissione europea prima della fine del periodo considerato. La Corte ha condannato quindi l'Italia a versare altresì una penalità semestrale a far data dal 2 dicembre 2014 e fino all'esecuzione della sentenza del 2007. La penalità sarà calcolata, per quanto riguarda il primo semestre, a partire da un importo iniziale di 42.800.000 euro. Da tale importo saranno detratti 400.000 euro per ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi messa a norma e 200.000 di euro per ogni altra discarica messa a norma. Per ogni semestre successivo, la penalità sarà calcolata a partire dall'importo stabilito per il semestre precedente, detraendo i predetti importi in ragione delle discariche messe a norma in corso di semestre;
   il 13 luglio 2015 la Commissione europea ha inviato all'Italia una lettera con cui sollecita il pagamento della penale dovuta per il primo semestre successivo alla sentenza. La penale richiesta in tale lettera ammonta a 39.800.000 euro, importo che è stato calcolato sulla base delle informazioni trasmesse dalle autorità italiane in merito ai progressi realizzati nella messa in conformità delle discariche giacché, alla data del 2 giugno 2015, esistevano ancora 185 discariche non conformi alle direttive europee, ossia inottemperanti a quanto stabilito dalla più volte richiamata sentenza della Cgue;

   il 2 dicembre 2015 è scaduto il secondo semestre successivo alla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea in merito alla causa c-196/13 –:
   se la Commissione europea abbia comunicato all'Italia l'ammontare della sanzione relativa al secondo semestre successivo alla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea in merito alla causa c-196/13 ed, eventualmente, a quanto ammonterebbe la richiamata sanzione. (5-07544)

   MARIANI, GHIZZONI, BRAGA, BRATTI, BORGHI e GADDA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 9 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, al fine di realizzare interventi di incremento dell'efficienza energetica degli edifici scolastici e universitari, ha disciplinato la possibilità di concedere, nel, limite di 350 milioni di euro, finanziamenti a tasso agevolato a valere sulle risorse del fondo rotativo per il finanziamento delle misure finalizzate all'attuazione del protocollo di Kyoto, avvalendosi della Cassa depositi e prestiti spa quale gestore del fondo stesso;
   il decreto ministeriale 14 aprile 2015 ha successivamente individuato i criteri e le modalità di concessione, erogazione e rimborso dei finanziamenti fissando il 22 settembre quale data ultima per presentare la domanda di ammissione al finanziamento;
   in particolare, gli interventi finanziabili riguardavano: l'analisi, il monitoraggio, l'audit e la diagnosi energetica; sostituzione dei soli impianti, incluse le opere necessarie alla loro installazione e posa in opera, comprensivi della progettazione e certificazione energetica ex ante ed ex post; riqualificazione energetica dell'edificio inclusi gli impianti e l'involucro comprese le opere necessarie alla installazione e posa in opera, oltre che della progettazione e certificazione energetica ex ante ed ex post;
   le istanze registrate dal Ministero competente risultano essere state solo 248, per un totale di 610 interventi distribuiti su tutto il territorio italiano, con un impegno di spesa pari a 110 milioni di euro, poco meno di un terzo dei fondi invece stanziati; i requisiti minimi da rispettare – al fine di accedere al finanziamento – come indicati all'articolo 4, comma 1, del decreto ministeriale 14 aprile 2015, non parevano particolarmente restrittivi;
   al programma avrebbero dovuto pervenire maggiori richieste, data l'ampia disponibilità di risorse finalizzate all'innovazione mediante tecnologie sostenibili e, quindi, destinate a rendere le scuole quali ambienti più sicuri, efficientate energeticamente e meno onerose nella gestione;
   considerato ancora il basso livello medio della qualità e dell'impiantistica di molti edifici scolastici, è da escludere la mancanza di interventi necessari –:
   se il Ministro interrogato non ravveda vincoli o restrizioni nel decreto ministeriale 14 aprile 2015 tali da causare l'esiguità delle istanze pervenute e accolte e quindi quali ulteriori iniziative di competenza intenda assumere — anche in raccordo con il Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca e con l'unità di missione per il coordinamento e impulso nell'attuazione di interventi di riqualificazione dell'edilizia scolastica — al fine di rendere le scuole più efficienti e sostenibili dal punto di vista energetico. (5-07545)

Interrogazione a risposta in Commissione:

   LATRONICO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Governo italiano non ha ancora comunicato alla Commissione europea né il programma nazionale in materia di gestione del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi ai sensi della direttiva 2011/70/Euratom, né la relazione nazionale sull'applicazione di tale direttiva che si era impegnato a definire entro dicembre del 2014;
   la Commissione europea è pronta ad inviare all'Italia una nuova lettera di messa in mora, atto che apre formalmente la procedura di infrazione per non essersi ancora dotata di un programma nazionale di gestione in sicurezza delle scorie dalla loro generazione fino allo smaltimento finale;
   da parecchi mesi trapelano dagli organi di stampa una serie di indiscrezioni sull'individuazione di possibili siti su cui costruire il futuro deposito nazionale, inseriti nella carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (CNAPI), che dovrà essere approvata dai Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico e la cui pubblicazione, prevista per il settembre 2015, è slittata a data da destinarsi;
   sulla definizione prevista per legge del deposito unico nazionale si registra un preoccupante silenzio del Governo e delle strutture collegate a partire dalla Sogin che dopo una costosissima campagna pubblicitaria continua a negare l'elenco dei siti. Sono circa 30 mila i metri cubi di scorie stoccati temporaneamente da nord a sud della Penisola, in attesa di un programma di smaltimento definitivo e in attesa della realizzazione del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi;
   l'Italia è l'unico Paese dell'Unione europea, con Portogallo e Grecia, che ancora non si è dotato di un deposito nazionale per le scorie nucleari e radioattive che ogni giorno vengono prodotte da ospedali e fabbriche. Secondo quanto riportato da organi di informazione, i territori potenzialmente idonei a ospitare il deposito nazionale delle scorie nucleari si trovano nel Sud della Puglia, in alcune aree della Basilicata ionica e del Molise, in qualche zona costiera della Campania, del Lazio e della Toscana, mentre sono escluse per ragioni economiche Sardegna e Sicilia e altre tre regioni come Marche, Umbria ed Emilia Romagna a causa del rischio sismico;
   sono trascorsi 12 anni da quando nel novembre 2003 uno «Studio per la localizzazione di un sito per il deposito nazionale centralizzato per i rifiuti radioattivi» realizzato dalla Sogin, individuò come territorio idoneo ad ospitare tale deposito il sito di Scanzano Ionico in Basilicata. Per il sito di Scanzano Ionico ci furono tali proteste che il progetto venne prima abbandonato e poi rinviato a data da destinarsi e la critica maggiore che fu rivolta allora ai decisori pubblici fu quella di aver deciso senza il coinvolgimento della popolazione locale;
   il Governo deve dire con chiarezza e trasparenza quello che intende fare e non può continuare a sfuggire e delegare su una vicenda delicata. La Basilicata e i comuni dell'Alta Murgia pugliese sono contrari a qualsiasi ipotesi di deposito unico nucleare e la designazione di Matera a Capitale della cultura europea 2019 deve puntare alla valorizzazione del suo paesaggio, delle produzioni agroalimentari e del territorio;
   nonostante la carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (CNAPI) e i relativi studi sulle aree potenzialmente idonee effettuati dalla SOGIN siano ancora coperti da segreto di Stato e la popolazione lucana sia allarmata sulla base solo di indiscrezioni trapelate tramite organi di stampa, molti comuni dei territori interessati si sono dichiarati comuni denuclearizzati –:
   se il Ministro interrogato non ritenga quanto prima di rendere pubblica la carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (CNAPI) e quali chiarimenti intenda fornire sui tempi di realizzazione del deposito per tranquillizzare le popolazioni lucane e pugliese e gli amministratori locali. (5-07548)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:

   L'ABBATE e SCAGLIUSI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   Snam Rete Gas S.p.a., società soggetta all'attività di direzione e coordinamento dell'Eni s.p.a, in data 22 marzo 2010 ha presentato alla provincia di Bari istanza per la procedura di assoggettabilità a valutazioni di impatto ambientale per il progetto del metanodotto denominato impianto di riduzione HPRS 10 P 75/24 bar; spina per Polignano a Mare DN 150 (6”) DP 24 bar, comprensiva dei ricollegamenti a comune di Polignano a Mare DN 100 (4”), Puglialimentare DN 100 (4”) e Aladin DN 100 (4”); rimozione di un tratto dell'esistente metanodotto «Bitetto-Monopoli» DN 125 (P 60 bar) e degli allacciamenti al Comune di Mola di Bari e Vetrerie Meridionali. L'opera si sviluppa in regione Puglia, interessando i comuni di Polignano a Mare, Noicattaro, Conversano, Triggiano e Monopoli, in provincia di Bari;
   in data 6 ottobre 2010, alcuni cittadini del comune di Polignano a Mare chiesero alla locale amministrazione e alla società Snam che il punto di consegna «spina per Polignano» fosse portato lontano dal precedente, in quanto quest'ultimo risultava collocato oramai a ridosso del paese, ovvero sulla strada provinciale Polignano-Castellana subito dopo la circonvallazione, in area diffusamente costruita. Richiesta reiterata in data 26 gennaio 2011, ancora il 26 maggio 2011 nonché il 13 giugno 2011;
   in data 21 giugno 2011, cinque consiglieri comunali di Polignano, nel presentare «osservazioni al progetto del metanodotto Snam Bitetto-Monopoli» contestarono, tra l'altro, il fatto che il nuovo tracciato del metanodotto attraversasse un carrubeto plurisecolare. Precisamente: «Il tracciato del nuovo metanodotto, in particella 1319 e Fgl 22, rivela due incongruenze di devastante impatto ambientale:
    a) attraversa e supera, sconvolgendola, e sconvolgendo il delicato equilibrio ambientale, una mena-lama profonda 2 metri e larga oltre 4, con gravissimi rischi in caso di allagamenti, come quelli del 2006;
    b) il metanodotto Snam, nella stessa particella, passa a pochi metri di distanza da un enorme carrubo ultramillenario avente la circonferenza di 12 metri lineari, un vero e proprio “monumento” da salvaguardare, collocato in un contesto ambientale assolutamente caratteristico, mantenuto intatto e sinora preservato dagli attuali proprietari, meritevole della massima tutela ambientale»;
   i proprietari del carrubeto, a loro volta, si attivarono nei confronti degli organi competenti, producendo una serie di istanze dirette a preservare le alberate di pregio da qualsiasi tipo di «aggressione». In particolare, produssero: osservazioni al PPTR Puglia 26 settembre 2013; diverse lettere alla Snam, al sindaco di Polignano, al presidente del consiglio comunale di Polignano, al Corpo forestale dello Stato, alla commissione locale paesaggio nonché istanza al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Con le predette comunicazioni, i proprietari del carrubeto:
    a) richiesero l'imposizione del vincolo paesaggistico sull'intera area del carrubeto stesso pari a 2.500 metri quadrati, (ciò, ovviamente, toglieva ogni valore commerciale all'immobile);
    b) offrirono al comune di Polignano la piena disponibilità affinché venissero effettuate visite scolastiche (costo zero presso il carrubeto;
   le predette iniziative determinarono l'impegno della soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Bari che, in data 18 settembre 2013, scrisse al comune di Polignano una lettera avente per oggetto «segnalazione di area eccezionale valore paesaggistico» (Fg. 22 Ptc. 1319) nel cui: contenuto è possibile leggere: «si ravvede, in particolare, la necessità di segnalare a codesto ente il valore paesaggistico rappresentato dal carrubeto plurisecolare sito nella particella in oggetto [...] si invita inoltre codesto Comune a farsi promotore presso la Regione Puglia affinché valuti la possibilità di includere tale area nelle specifiche forme di tutela ai sensi del PPTR adottato con delibera della Giunta Regionale 2 agosto 2013 n. 1435». Con propria nota prot. 20348/2013, il comune di Polignano scrisse: «si vigilerà sul mantenimento dello stato dei luoghi affinché sia evitato qualsiasi pregiudizio ai beni localizzati all'interno del suddetto terreno agricolo». Una dichiarazione che, al di là di un mero adempimento burocratico, ad avviso dell'interrogante non ha visto mai seguire un impegno concreto da parte dell'ente locale nel mettere in discussione in alcun modo le decisioni della società privata;
   il consiglio comunale del 26 giugno 2015 che avrebbe dovuto approvare apposita variante al piano regolatore generale per autorizzare la costruzione del metanodotto attraversante, nonostante tutto quanto sin qui ricordato, il carrubeto de quo, fu rinviato su richiesta di un consigliere comunale a successiva data per necessari approfondimenti e verifiche. Successivamente, si sono susseguiti contatti tra comune di Polignano e Snam Rete Gas che hanno portato la società a mutare, a parere degli interroganti in peggio, le condizioni dell'attraversamento del carrubeto de quo. Progetto trasmesso al comune barese nei primi giorni dell'ottobre 2015;
   la deviazione del metanodotto rispetto al percorso originario, oltre che pregiudicare seriamente il carrubeto, solleva la Snam dall'obbligo di rimuovere vecchie tubazioni oggi sepolte dal materiale accumulatosi a causa dell'interramento di una lama sul cui fondo quelle tubazioni sono collocate;
   in Italia esistono solo altri due carrubi comparabili con quello in questione: uno a Rosolini, in provincia di Siracusa in Sicilia, l'altro a Gallipoli (Lecce). Ambedue adeguatamente protetti;
   il comune di Polignano ha sinora omesso di compilare l'elenco degli alberi monumentali così come previsto dalla legge 14 gennaio 2013, n. 10 «Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani»;
   va richiamato l'articolo 7, comma 4, della legge 14 gennaio 2013, n. 10 –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano attuare, per quanto di competenza, per tutelare il carrubeto, ed in special modo il carrubo monumentale, sito nell'agro di Polignano a Mare (BA) interessato dal metanodotto Snam Rete Gas esposto in premessa;
   se i Ministri interrogati non ritengano che il percorso indicato da Snam Rete Gas vada in contrasto con la legge 10 del 2013 e se non sia più opportuno utilizzare il vecchio tracciato del metanodotto ovvero una nuova «deviazione», diversa da quella attuale, in grado di preservare il patrimonio paesaggistico e naturalistico in questione. (5-07516)

   DI BENEDETTO, BRESCIA, MARZANA, D'UVA, LUIGI GALLO, VACCA e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da fonti giornalistiche la notizia del cantiere per la costruzione di un bar sulla terrazza del «Palazzaccio», come viene chiamata la sede della Corte di cassazione. L'opera, che inizia a essere visibile, presumibilmente in ferro e vetro, si staglierà nel panorama romano in perfetta linea con il cupolone di San Pietro e di Castel Sant'Angelo;
   lo storico palazzo di giustizia, sottoposto a vincolo, fu costruito tra il 1889 e il 1911, sulla sponda destra del Tevere, nel cuore della città, area, anch'essa, sottoposta a tutela;
   è difficile credere che un bar sulla terrazza di un edificio storico e in un'area centrale della città sia stato ritenuto di minimo impatto visivo tale da non deturpare panorama. Desterebbe stupore leggere di un provvedimento della Soprintendenza ai beni culturali motivato in tal senso;
   sicuramente un bar a esclusivo beneficio dei magistrati non costituisce un servizio che valorizza l'immobile. L'elegante bar, anche se pagato con risorse pubbliche, sarà privilegio solo di pochi;
   inoltre, sono altre le priorità che necessitano di pronto intervento all'interno dell'edificio, come, ad esempio, la riparazione e manutenzione degli ascensori, il rifacimento dell'impianto di riscaldamento e dei servizi igienici al primo piano;
   si è consapevoli che il paesaggio, nonché il patrimonio storico e artistico della Nazione devono essere tutelati, come sancito dall'articolo 9 della Carta costituzionale e non possono, in alcun modo, subire una compensazione con quelli che, presumibilmente, sono privilegi e non diritti –:
   se il Governo sia a conoscenza dell'opera in corso e del costo di quest'ultima;
   se siano state date autorizzazioni, per quanto di competenza, e secondo quali criteri logico-giuridici;
   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare a salvaguardia del patrimonio storico-artistico. (5-07551)

Interrogazione a risposta scritta:

   VEZZALI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'attuale stato di sofferenza degli uffici che operano direttamente sul patrimonio (soprintendenze, poli museali, segretariati regionali), dovuto alla riforma già in atto con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 171 del 2014, e caratterizzato anche da numerose difficoltà relative all'attuale carenza di personale, alle attività di divisione e trasferimento patrimoniale, alla frammentazione delle competenze e degli incarichi, che gli uffici che operano sul territorio stanno affrontando con enormi sforzi e sacrificio dei dipendenti, impedisce di gestire con efficacia la riforma che arriva a meno di un anno dalla precedente e con questa, in palese contraddizione;
   queste problematiche, già rappresentate al Ministro e al Governo e gli appelli fatti nel corso del 2015, incidono sulle attività istituzionali penalizzando il compito e l'operatività degli uffici stessi, in particolare nel settore dell'archeologia e vanificano gli sforzi quotidiani dei lavoratori;
   il nuovo decreto prevede una riorganizzazione del personale del Ministero («legge Madia»), ma lascia agli uffici sul territorio l'onere e i disagi di trasferimenti e accorpamenti di risorse umane e strumentali (magazzini, archivi, sedi centrali, nuclei e altri); per cui le poche forze in campo, saranno impiegate nella riorganizzazione logistica, nelle mere operazioni burocratiche a scapito dell'efficacia, efficienza ed economicità dei servizi ai cittadini e della tutela;
   gli archeologi dello Stato dovrebbero prendendosi cura del territorio, dei monumenti e dei reperti, in quanto braccio operativo e organo tecnico-scientifico di ricerca che per legge svolge quella «adeguata attività conoscitiva» preliminare ad ogni forma di tutela amministrativa, conservazione, fruizione e valorizzazione;
   la riorganizzazione potrebbe far assumere responsabilità di procedimenti di scavo e conservazione del patrimonio archeologico a dirigenti con meno competenze tecnico-scientifiche specifiche rispetto ai funzionari che andranno a dirigere e ai professionisti esterni a cui daranno i pareri;
   la qualità del lavoro nel settore della tutela archeologica, senza la guida di dirigenti con competenze specialistiche, senza depositi, senza laboratori, senza archivi, senza biblioteche, non potrà che andare incontro ad uno scadimento e ad una burocratizzazione generalizzati;
   il potenziamento della salvaguardia del patrimonio archeologico all'interno delle soprintendenze uniche rischia di generare confusione di competenze e frammentazione di funzioni che dovranno essere affrontate da tecnici a cui non viene riconosciuta la specifica professionalità, che lavoreranno senza mezzi con il conseguente allungamento di tutte le procedure di controllo tecnico ed amministrativo, con inevitabili ritardi e disagio per cittadini e imprese;
   l'azione di tutela e ricerca sugli ambiti regionali, finora garantita dalle soprintendenze archeologiche, potrebbe essere penalizzata a tutto detrimento della conoscenza e della operatività dello Stato sul patrimonio archeologico presente capillarmente sul territorio;
   la mancanza di conoscenze approfondite dei meccanismi propri degli uffici che materialmente curano i beni culturali sul territorio provoca un ulteriore taglio alle poche energie rimaste in campo;
   nella bozza di riforma del codice degli appalti se dovessero scomparire gli articoli che finora hanno normato la cosiddetta «archeologia preventiva», si rinuncerebbe alla tutela nelle sue forme più avanzate, con palese tradimento dei principi sanciti dall'articolo 9 della Carta Costituzionale –:
   se la riforma possa portare alla perdita di efficacia dell'azione di tutela e conservazione del patrimonio archeologico nazionale che il personale qualificato del Ministero deve prioritariamente garantire;
   se le soprintendenze uniche possano determinare una frammentazione di funzioni e di competenze determinando un allungamento delle procedure di controllo;
   se la burocratizzazione eccessiva non possa penalizzare la qualità del lavoro nel settore archeologico che potrebbe essere affidato a dirigenti con competenze tecnico scientifiche inadeguate rispetto alle funzioni da svolgere. (4-11819)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:

   BERNARDO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il comma 73 dell'articolo 1 della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità per il 2016) contiene disposizioni in materia di sgravio IRAP per i lavoratori stagionali nel settore del turismo;
   la norma prevede che la deduzione (IRAP) è ammessa nei limiti del 70 per cento della differenza ivi prevista, calcolata per ogni lavoratore stagionale impiegato per almeno centoventi giorni per due periodi d'imposta, a decorrere dal secondo contratto stipulato con stesso datore di lavoro nell'arco di due anni a partire dalla data di cessazione del precedente contratto;
   la dizione «per almeno centoventi giorni per due periodi di imposta» richiede un chiarimento applicativo –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per specificare, in sede di applicazione del comma 73 dell'articolo 1 della legge n. 208 del 2015, che le centoventi giornate lavorative siano da intendersi come impegno minimo di giorni complessivo nei due anni e non per il singolo periodo di imposta. (5-07523)

   PELILLO e FRAGOMELI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità per il 2016, legge 28 dicembre 2015, n. 208, contiene una complessiva riforma della tassazione immobiliare, volta principalmente a ridurre il carico fiscale attraverso l'esenzione IMU sui terreni agricoli e sui cosiddetti «macchinari imbullonati», nonché l'esenzione TASI per la prima casa, per complessivi 4,5 miliardi annui;
   in relazione agli immobili ad uso produttivo, le norme introdotte nella legge di stabilità per il 2016 chiariscono che, dal 1o gennaio di quest'anno, la determinazione della rendita catastale degli immobili a destinazione speciale e particolare, censibili nelle categorie catastali dei gruppi D ed E, sia effettuata tramite stima diretta, tenendo conto del suolo e delle costruzioni, nonché degli elementi ad essi strutturalmente connessi che ne accrescono la qualità e l'utilità, nei limiti dell'ordinario apprezzamento, escludendo esplicitamente dalla stessa stima diretta i macchinari, congegni, attrezzature ed altri impianti, funzionali allo specifico processo produttivo (ivi compresi i cosiddetti «imbullonati»);
   il comma 19 dell'articolo 1 della citata legge n. 208 del 2015 chiarisce la tempistica del riaccatastamento dei beni classificati nelle categorie catastali interessate dalla modifica: dal 1o gennaio 2016, gli intestatari catastali degli immobili delle categorie D ed E, possono presentare atti di aggiornamento ai sensi della disciplina generale (decreto ministeriale 19 aprile 1994, n. 701), per la rideterminazione della rendita catastale degli immobili già censiti nel rispetto delle modifiche sopra illustrate;
   ai sensi del comma 20, limitatamente all'anno di imposizione 2016, per gli atti presentati entro il 15 giugno 2016, le rendite catastali rideterminate hanno effetto dal 1o gennaio 2016, con effetto retroattivo;
   a titolo di compensazione del minor gettito ai comuni derivante dalle citate norme sull'accatastamento degli immobili produttivi e a destinazione speciale, il comma 21 attribuisce loro un contributo annuo di 155 milioni di euro da ripartire con decreto emanato, entro il 31 ottobre 2016, dal Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'interno, secondo una metodologia adottata sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali –:
   al fine di assicurare una più ordinata applicazione della predetta disciplina tributaria, nonché al fine di dare maggiore certezza agli enti locali, se non ritenga opportuno prevedere la concessione di una anticipazione di cassa ai comuni coinvolti, nelle more del definitivo riparto delle risorse destinate a compensare il minor gettito derivante dalla norma. (5-07524)

   GEBHARD. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 3, comma 3, del decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175, come modificato dalla legge di stabilità per il 2016 (legge 28 dicembre 2016, n. 208), elenca i soggetti che devono inviare i dati relativi alle prestazioni erogate al Sistema tessera sanitaria per la realizzazione della banca dati del Modello 730 precompilato, che sono: «le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, i policlinici universitari, le farmacie, pubbliche e private, i presidi di specialistica ambulatoriale, le strutture per l'erogazione delle prestazioni di assistenza protesica e di assistenza integrativa, gli altri presidi e strutture accreditati per l'erogazione dei servizi sanitari e gli iscritti all'Albo dei medici chirurghi e degli odontoiatri»;
   il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 31 luglio 2015 ha poi chiarito le specifiche tecniche sulle modalità di trasmissione all'Agenzia delle entrate, con il dettaglio delle spese da comunicare;
   da notizie di stampa si è appreso che l'Agenzia delle entrate ha concesso una piccola proroga, al 9 febbraio 2016, per l'invio dei dati relativi alle prestazioni erogate nel 2015, mentre la legge di stabilità per il 2016 è intervenuta con riferimento alle prestazioni sanitarie che verranno erogate, a partire dal 1o gennaio 2016, da parte delle strutture autorizzate e non accreditate, le quali dovranno inviare i dati sulle prestazioni sanitarie erogate con le medesime modalità previste per gli altri soggetti individuati dall'articolo 3, comma 3, del decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175;
   esistono poi anche altre categorie professionali, che non rientrano strettamente nell'elenco di cui all'articolo 3, comma 3, del decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175, ma che erogano comunque prestazioni sanitarie, come i fisioterapisti e i logopedisti ed assimilati, ad esempio, per le quali non risulta chiaro se siano obbligati alla trasmissione dei dati al Sistema tessera sanitaria –:
   se possa assumere le iniziative di competenza per chiarire se l'obbligo di trasmissione dei dati al Sistema tessera sanitaria sulle prestazioni sanitarie erogate sia tassativo solo per i soggetti indicati nella norma, oppure se ricorra anche per altre categorie professionali che, comunque, effettuano prestazioni sanitarie, e a decorrere da quando. (5-07525)

   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal quotidiano Repubblica, la Apple Italia srl, rea di aver sottratto al fisco italiano per omessa dichiarazione dei redditi ai fini Ires dal 2008 al 2013 circa 880 milioni di euro, il 29 dicembre 2015 ha formalizzato un accordo con l'Agenzia delle entrate, versando l'importo di 318 milioni di euro e cioè quanto dalla stessa richiesto nei verbali di accertamento per sanare la pendenza fiscale;
   tale formalizzazione, con la quale la società ha quindi accettato tutti i rilievi emersi dalle accurate ispezioni che hanno visto sinergicamente impegnati l'Anti-frode, l'Ufficio grandi contribuenti e l'Ufficio ruling internazionale dell'Agenzia delle entrate, crea un precedente importante, visto che proprio la Apple persegue la stessa strategia elusiva in altri Paesi dell'Unione europea, attraverso la quale negli ultimi sette anni l'ha vista denunciare nel solo nostro Paese fatturati annuali esigui che non superavano i 30 milioni di euro, a fronte di vendite che invece avrebbero sistematicamente sfiorato il miliardo di euro;
   l'indagine dell'Agenzia delle entrate, coadiuvata dal procuratore di Milano Francesco Greco, ha potuto accertare che l'evasione è stata possibile grazie al meccanismo della cosiddetta esterovestizione che prevedeva all'interno di Apple Italia Srl l'annidamento, in maniera occulta, di una struttura svincolata rispetto alle attività ausiliarie di mero supporto alle vendite e di consulenza svolte dalla società residente in Italia (alla quale venivano riconosciuti i soli ricavi atti a sostenere i costi di esercizio), ma che lavorava come stabile organizzazione italiana alle dipendenze delle controllanti irlandesi e americane, svolgendo una vera e propria attività di vendita sul territorio per conto di Apple Sales International: grazie poi ad accordi con i Governi dei Paesi nei quali finivano i veri utili, il colosso americano dell'innovazione tecnologica aveva potuto pagare, per ben sette lunghi anni, aliquote fiscali prossime allo zero;
   il suddetto accordo può definirsi storico poiché rappresenta la prima volta che la Apple risolve un contenzioso fiscale con l'erario di uno dei Paesi in cui opera, potendo perciò diventare un «modello» da esportare anche negli altri Paesi dell'Unione europea dove Apple ha altre pendenze fiscali analoghe;
   al momento non è dato sapere se l'accordo, rivelatosi, tra l'altro, particolarmente oneroso per lo Stato italiano, oltre al pagamento della transazione, preveda ulteriori condizioni o termini, salvo quanto riportato dal quotidiano Sole 24 ore, secondo il quale fonti della procura di Milano confermerebbero che oltre al pagamento della multa la Apple Italia srl sarà soggetta per i prossimi cinque anni ad una procedura di ruling internazionale per determinare la percentuale delle imposte da pagare in Italia e in Irlanda –:
   a quali condizioni si sia chiuso il contenzioso tributario, se cioè esso riguardi solo il passato o anche il futuro, e se comprenda anche impegni e clausole extra fiscali, quali ad esempio gli investimenti realizzati dalla Apple sul territorio italiano. (5-07526)

   SANDRA SAVINO e RUSSO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dal 1o gennaio è in vigore per le scommesse sportive la tassazione sul MOL (margine operativo lordo);
   questa rivoluzione, che uniformerà il sistema italiano al mercato estero, porterà effetti benefici su tutte le scommesse, tranne quelle ippiche, e produrrà un maggior equilibrio sul mercato a favore del giocatore, al quale saranno offerte dal concessionario quote più vantaggiose;
   la tassazione sul margine operativo lordo ed il palinsesto complementare provocheranno un'ulteriore crescita sull'offerta delle scommesse sportive, in particolare per quelle Live, che sinora erano fortemente penalizzate dalla precedente tassazione sulla produzione;
   i negozi di scommesse trasformeranno quindi gli spazi disponibili per dedicarli alle nuove opportunità di offerta, a discapito dell'ippica, che subirà una ennesima penalizzazione in aggiunta a quella già subita per i giochi virtuali;
   la scommessa ippica da vent'anni non viene aggiornata alle richieste ed alle innovazioni che si sono sviluppate nel mercato del gioco;
   il settore, senza una innovazione e riforma, continuerà a subire un'inarrestabile riduzione del fatturato, con una diretta ripercussione negativa su tutta la relativa filiera agricola;
   alla luce dello stato dell'arte il sistema ippico non sarebbe in condizione di subire nessun altra penalizzazione, pena il collasso totale, con una riduzione anche per le entrate fiscali;
   un emendamento presentato nella legge di stabilità a firma Russo, respinto, avrebbe riequilibrato la differenza di tassazione tra quelle sportive e quelle ippiche;
   il Governo ha accolto l'ordine del giorno n. 9/3444-A/357 che suggerisce questa soluzione di riequilibrio sul fronte delle differenti tassazioni nelle scommesse sportive rispetto a quelle ippiche –:
   quali iniziative urgenti di competenza il Governo intenda porre in essere onde evitare il collasso per asfissia e ad horas della filiera ippica. (5-07527)

   PISANO, PESCO e ALBERTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 22, comma 1, lettera c), del Testo unico sulle imposte dei redditi prevede che dall'imposta lorda si scomputano «le ritenute alla fonte a titolo di acconto operate, anteriormente alla presentazione della dichiarazione dei redditi, sui redditi che concorrono a formare il reddito complessivo e su quelli tassati separatamente. Le ritenute operate dopo la presentazione della dichiarazione dei redditi si scomputano dall'imposta relativa al periodo d'imposta in cui sono operate»;
   l'articolo 79 del testo unico delle imposte sui redditi, rubricato «scomputo delle ritenute», rinvia al citato articolo 22 quanto alla disciplina dello scomputo delle ritenute, a titolo d'acconto ai fini IRES;
   secondo il chiaro dettato normativo, dunque, può verificarsi che la ritenuta venga operata nell'anno successivo a quello di competenza del ricavo o compenso sul quale è operata, ma prima del termine di presentazione della dichiarazione dei redditi: in questo caso, la legge prevede che la ritenuta debba essere scomputata nella dichiarazione dei redditi dell'anno di competenza del ricavo o compenso;
   tale disposizione è stata introdotta con il fine di consentire al contribuente di detrarre la ritenuta nella stessa dichiarazione di competenza del ricavo, anche se subita nel periodo d'imposta successivo: si tratta dunque di una misura di favore che consente di non posticipare lo scomputo della ritenuta;
   tuttavia, tale disposizione presenta profili di criticità che vanno evidenziati: innanzitutto va rilevato che lo scomputo della detrazione operato l'anno successivo a quello di competenza nella dichiarazione relativa al periodo precedente, comporta notevoli complicazioni di carattere contabile e dichiarativo in conseguenza dello sfasamento temporale delle relative annotazioni; inoltre, va rilevato che il carattere precettivo della disposizione, che impone al contribuente di riportare la detrazione nella prima dichiarazione utile, comporta la perdita del diritto alla detrazione in caso di omessa indicazione, salva la possibilità di effettuare una dichiarazione correttiva con conseguente aggravio di oneri;
   la soluzione auspicabile sarebbe quella di rendere facoltativa la scelta del contribuente di riportare le dette ritenute nella prima dichiarazione utile o, al più tardi, nella dichiarazione dell'anno in cui le ritenute sono state operate; peraltro, tale misura non arrecherebbe alcun onere per le casse dello Stato, in quanto si traduce in una mera posticipazione del termine di fruizione della ritenuta –:
   nell'ottica della semplificazione fiscale, se non ritenga opportuno assumere iniziative normative volte a prevedere che le ritenute alla fonte a titolo di acconto operate nell'anno successivo a quello di competenza, e prima della dichiarazione dei redditi, possano essere scomputate nella stessa dichiarazione dei redditi di competenza dei ricavi o compensi sui quali sono operate, ovvero, in alternativa, nella dichiarazione dei redditi relativa all'anno in cui sono state effettivamente operare. (5-07528)

   BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dagli amministratori comunali di diversi enti locali si apprende che, in seguito alle nuove disposizioni sulla Tasi contenute nella legge di stabilità 2016, in cui si stabilisce l'esenzione dal pagamento di questo tributo sulla prima casa, i comuni virtuosi che, nel 2015, hanno scelto di rinunciare al gettito Tasi, non riceveranno, in merito alla stessa, alcun contributo del fondo di solidarietà;
   la questione è stata sollevata anche da fonti accreditate di stampa, che riportano come questa situazione si riscontri in diversi comuni d'Italia in cui, spesso, alla scelta di non applicare il tributo, per non gravare sui cittadini, si è accompagnato un considerevole sforzo, da parte degli amministratori, per garantire la continuità dei servizi con la stessa qualità;
   le stesse considerazioni valgono anche per quei comuni che, nel 2015, hanno contenuto le aliquote, evitando quindi ulteriori aggravi tributari, e che, ugualmente, non hanno operato tagli ai servizi offerti alla popolazione;
   in entrambi i casi, infatti, questi comuni non riceveranno alcuna compensazione e, ancora una volta, saranno premiati i sindaci che hanno mantenuto o aumentato i tributi, perché soltanto questi riceveranno un aumento del fondo di solidarietà;
   si tenga inoltre presente che la maggior parte di questi enti locali sono piccoli comuni, per i quali non soltanto è considerevolmente più gravoso e complicato mantenere i servizi in mancanza di una entrata così importante per i loro bilanci, ma sono anche comuni per i quali il contributo statale, anche se di ridotto importo, può essere molto prezioso per la gestione di così piccole realtà –:
   in modo il Governo intenda compensare i comuni virtuosi che non hanno istituito la Tasi e che, di conseguenza, non avranno trasferimenti dallo Stato per equivalente, come specificato in premessa. (5-07529)

Interrogazioni a risposta in Commissione:

   MORETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 10, comma 1, n. 20), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, recante il testo unico dell'imposta sul valore aggiunto, prevede l'esenzione IVA per le prestazioni educative dell'infanzia e della gioventù e quelle didattiche di ogni genere, anche per la formazione, l'aggiornamento, la riqualificazione e riconversione professionale, rese da istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni e da ONLUS, comprese le prestazioni relative all'alloggio, al vitto e alla fornitura di libri e materiali didattici, ancorché fornite da istituzioni, collegi o pensioni annessi, dipendenti o funzionalmente collegati, nonché le lezioni relative a materie scolastiche e universitarie impartite da insegnanti a titolo personale;
   la suddetta disposizione normativa subordina l'applicazione dell'agevolazione fiscale dell'esenzione da imposta al verificarsi congiunto dei seguenti due requisiti: a) requisito oggettivo: le prestazioni devono essere di natura educativa dell'infanzia e della gioventù o didattica di ogni genere, ivi compresa l'attività di formazione, aggiornamento, riqualificazione e riconversione professionale; b) requisito soggettivo: le prestazioni devono essere rese da istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni;
   al fine di soddisfare il citato requisito soggettivo, l'Agenzia delle entrate, con la circolare ministeriale 22/E del 18 marzo 2008 ha chiarito che sono riconducibili nell'ambito applicativo del beneficio dell'esenzione dall'Iva anche «le prestazioni educative, didattiche e formative approvate e finanziate da enti pubblici», in quanto nel finanziamento del progetto educativo e didattico sarebbe insita l'attività di controllo e di vigilanza da parte dell'ente pubblico (amministrazioni statali, regioni, enti locali, università, e altro) avente ad oggetto i requisiti soggettivi e la rispondenza dell'attività resa agli obiettivi formativi di interesse pubblico che l'ente è preposto a tutelare;
   alla luce di questa interpretazione il finanziamento del progetto da parte dell'ente pubblico costituisce in sostanza il riconoscimento per atto concludente della specifica attività didattica e formativa posta in essere;
   la medesima circolare precisa che l'esenzione in questi casi è limitata all'attività di natura educativa e didattica specificatamente approvata e finanziata dall'ente pubblico e non si riflette sulla complessiva attività svolta dall'ente;
   la circolare nulla dice invece circa modalità alternative di riconoscimento e non fornisce indicazioni in ordine all'entità o alle modalità di effettuazione del finanziamento da parte di enti pubblici utile ai fini dell'agevolazione; sarebbe pertanto necessario un chiarimento in merito ai predetti aspetti;
   la citata interpretazione dell'Agenzia delle entrate prevede l'applicazione dell'agevolazione a taluni soggetti escludendone tuttavia altri che non sono nelle condizioni di richiedere finanziamenti ad enti pubblici o nell'ipotesi in cui lo stesso ente pubblico non sia nelle condizioni di erogarlo –:
   al fine di una corretta interpretazione delle disposizioni volta ad evitare il contenzioso con l'amministrazione finanziaria, quale sia l'entità e la modalità di effettuazione del finanziamento da parte di enti pubblici necessario ai fini dell'applicazione dell'esenzione IVA di cui all'articolo 10, comma 1, n. 20), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, ma soprattutto quale modalità alternative al finanziamento ai fini del riconoscimento del medesimo requisito soggettivo. (5-07521)

   BECATTINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste Italiane è una società per azioni di proprietà dello Stato italiano che tramite il Ministero dell'economia e delle finanze detiene circa il 60 per cento del capitale sociale ed è posta sotto il controllo e la vigilanza del Ministero dello sviluppo economico;
   Poste Italiane s.p.a. è tra le più grandi aziende italiane di servizi (operativa nel settore postale, finanziario, assicurativo e nella telefonia mobile), con oltre 135 mila addetti di cui circa 10 mila dipendenti in Toscana e con una relazione semestrale presentata il 31 luglio 2015 che ha segnato un utile netto di 435 milioni di euro;
   il centro di meccanizzazione postale (CMP) di Sesto Fiorentino (Firenze) che occupa attualmente 650 persone, cui si aggiunge un notevole indotto occupazionale pari a 200 addetti, per un totale di circa 850 occupati, è il più importante sito industriale postale della Toscana;
   il piano industriale di Poste Italiane prevede una riduzione dei centri di meccanizzazione postale presenti in Italia, che passeranno dagli attuali 16 a 10, pertanto il CMP di Sesto Fiorentino verrebbe declassato a semplice Centro Prioritario (CP) entro il 2017, con conseguente drastica riduzione del personale e rilevanti ripercussioni sociali sul territorio;
   l'amministratore delegato Francesco Caio ha annunciato importanti investimenti nel settore della logistica di Poste Italiane;
   il CMP di Sesto Fiorentino è situato in una posizione strategica dal punto di vista logistico: è infatti vicino ad opere infrastrutturali importanti quali l'aeroporto, la ferrovia e l'autostrada ed a poca distanza dal porto di Livorno, tra i più rilevanti centri di smistamento commerciale ed industriale dell'intera regione toscana;
   il CMP è inoltre geograficamente posto all'interno dell'area industriale della Piana Fiorentina, una tra le più importanti d'Italia, ad alta densità di insediamenti infrastrutturali, industriali, commerciali e produttivi e che dà occupazione a circa 22.000 persone;
   a parere dell'interrogante vi sono quindi tutte le condizioni perché il sito di Sesto Fiorentino svolga un ruolo cardine nel piano industriale di Poste Italiane come polo logistico, in virtù delle sue caratteristiche di posizionamento geografico e della potenziale capacità di costituire uno snodo centrale nella rete infrastrutturale sopra descritta –:
   se i Ministri interrogati non ritengano doveroso ed urgente verificare i fatti suesposti ed assumere iniziative, per quanto di competenza, per evitare il ridimensionamento del CMP di Sesto Fiorentino al fine di sventare gravi danni all'occupazione e ad uno dei sistemi industriali più importanti del territorio, impegnandosi per una riconversione del sito postale che vada nella direzione di sviluppare le sue potenziali capacità logistiche. (5-07549)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:

   COSTANTINO, DANIELE FARINA, DURANTI e RICCIATTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 30 luglio 2011 il quarantenne Bernardino Budroni, seguito dalla polizia di Stato sul grande raccordo anulare di Roma, all'altezza dell'uscita Nomentana è stato ucciso dall'agente di polizia Michele Paone;
   Budroni è stato ucciso da uno dei due proiettili calibro nove esplosi dall'agente contro la Ford Focus che stava conducendo inseguito dalla volante della polizia, il secondo proiettile lo ha infatti colpito al fianco sinistro, perforando cuore e polmone causandone una morte quasi immediata;
   al momento dell'uccisione l'automobile di Budroni si era arrestata a un guard-rail, avendo un'ulteriore vettura dei carabinieri coinvolta nell'inseguimento superato la Ford focus, rendendole impossibile ulteriori fughe o spostamenti;
   l'inseguimento è avvenuto in seguito alla segnalazione alle forze dell'ordine degli schiamazzi notturni di Budroni sotto casa della sua fidanzata, dove aveva anche rotto porte e cancelli, dandosi poi alla fuga terminata sul raccordo anulare romano;
   l'agente Paone, interrogato dal pubblico ministero due giorni dopo l'uccisione, dichiara che i colpi erano stati esplosi con l'obiettivo di colpire uno pneumatico della Ford focus e fermare la vettura in fuga;
   la difesa che assiste i familiari del deceduto sostiene però che la versione di Paone non sia compatibile con i fatti, in quanto l'esplosione del secondo colpo, quello mortale, è avvenuta quando l'autovettura del fuggitivo era già ferma e impossibilitata a scappare;
   il giudice di primo grado assolve l'agente Paone perché non era stata accertata la sua responsabilità penale per omicidio colposo, riconoscendo l'uso legittimo delle armi, ricorrendo all'articolo 53 del codice penale per cui un pubblico ufficiale può ricorrere all’«uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all'Autorità», ma, secondo la difesa dei familiari di Budroni nessun rischio del genere sembrava essere in atto essendo il veicolo del fuggitivo ormai definitivamente bloccato e non vi era più la necessita di vincere la «resistenza» a cui fa riferimento l'articolo 53 sopra citato;
   la perizia richiesta dal pubblico ministero dimostra, inoltre, che l'auto di Budroni, al momento dell'arresto a ridosso del guard-rail, fosse già in rallentamento evidente e non stesse accelerando per proseguire la fuga, altrimenti i danni alla carrozzeria subiti dall'autovettura, sarebbero stati di gran lunga più importanti del graffio riportato;
   nel frattempo, nel 2013, due anni dopo il suo decesso, il signor Budroni è stato condannato a due anni e un mese di reclusione (dallo stesso giudice, il dottor Polella, che aveva processato e assolto per omicidio colposo l'agente che aveva esploso il colpo mortale) per un altro reato (il furto della borsa della sua ex fidanzata, refurtiva effettivamente ritrovata a casa del Budroni), e alla famiglia del deceduto il tribunale di Tivoli ha emesso una condanna al pagamento di una pecuniaria di 150 euro;
   per l'articolo 69 del codice penale il procedimento, con il decesso, viene estinto con sentenza di non luogo a procedere –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente dei fatti esposti in premessa e se non intenda valutare se sussistano i presupposti per promuovere un'ispezione ministeriale al tribunale di Roma ai fini dell'esercizio dei poteri di competenza. (4-11806)

   LAURICELLA, BRUNO BOSSIO, AIELLO e CARBONE. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   già nel 1971 la popolazione di Filicudi si ribellò alla decisione di destinare un gruppo di mafiosi al soggiorno coatto sull'isola;
   nonostante quella sommossa, l'isola ha continuato ad essere sede di soggiorno obbligato per delinquenti, anche appartenenti alle organizzazioni mafiose;
   l'ex sindaco di Lipari Mariano Bruno il 26 gennaio 2012 annunciava a « Il Notiziario delle Eolie online» le strategie per stroncare i crescenti ed allarmanti fenomeni malavitosi (investimenti poco chiari, presenza di soggetti in soggiorno obbligato), che metterebbero a repentaglio la tranquillità delle isole;
   il 2 aprile 2015 il sindaco di Lipari Giorgianni annunciava l'assenso del Ministero dell'interno all'affitto dell'ex albergo Filadelfia 2 alla tenenza dei carabinieri affinché si realizzasse l'ampliamento dell'organico dell'Arma e, conseguentemente, l'aumento dei necessari controlli sul territorio;
   dall'anno 2000 l'arcipelago delle isole Eolie è inserito nella lista dei siti patrimonio dell'umanità e la presenza di soggetti in soggiorno obbligato risulta deleteria per la loro immagine nel mondo;
   se attualmente nelle isole Eolie siano presenti soggetti sottoposti a misure di soggiorno obbligato;
   se il potenziamento della locale caserma dei carabinieri, divenuta tenenza, sia una condivisibile misura per una migliore e maggiore organizzazione del controllo del territorio eoliano o se sia, invece, la semplice conseguenza della eventuale decisione di destinare quote più ampie di soggetti condannati o indagati per reati di mafia sottoposti a misure di soggiorno obbligato nelle isole Eolie e se queste ultime, dunque, risultino essere ancora inserite nella lista dei luoghi individuati come sedi per il soggiorno obbligato.
(4-11807)

   D'INCÀ, BRUGNEROTTO, PETRAROLI e CRIPPA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il 9 aprile 2015 avviene una sparatoria dentro il palazzo di Giustizia di Milano, con tre morti e due feriti: Claudio Giardello, accusato di bancarotta, ha sparato 13 colpi uccidendo il giudice Fernando Ciampi, il suo ex difensore e un altro uomo. Voleva vendicarsi del fallimento della sua società. L'assassino era entrato nel palazzo di giustizia usando un falso tesserino, da un ingresso laterale riservato a magistrati, avvocati e cronisti;
   il 10 aprile 2015 il Ministro della giustizia, Andrea Orlando, afferma come la sanguinosa sparatoria nel palazzo di Giustizia di Milano sia uno di quegli eventi che debbono necessariamente generare una svolta, specificando che tutti i procuratori generali sarebbero stati convocati al Ministero per discutere delle misure di sicurezza in atto nei tribunali italiani. Anche il Ministro dell'interno Angelino Alfano parla di «qualcosa di gravissimo, di inaccettabile, che nel nostro Paese ha dei precedenti, ma che non doveva succedere. Faremo di tutto perché non succeda più». «Sia fatta piena luce sulla dinamica dei fatti» dice il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella; il premier Renzi parla di «falle evidenti»;
   nella situazione attuale, il servizio di vigilanza esterno dei palazzi di giustizia è di competenza dei comuni, d'intesa con le prefetture: per legge, può essere anche affidato con gara d'appalto a ditte di vigilanza privata, come avvenuto proprio nel tribunale di Milano. Invece, la sicurezza interna è disposta sulla base di provvedimenti che competono al procuratore generale presso la corte d'appello e, salvo casi di assoluta urgenza, quelle disposizioni vengono adottate, sentito il prefetto e i capi degli uffici giudiziari interessati;
   si tratta di un meccanismo parcellizzato, dunque, che non prevede finora il coinvolgimento centralizzato, a livello di cabina di regia, del Ministero della giustizia, né quello del Viminale. La stessa associazione nazionale magistrati, pur non entrando nel dettaglio dei singoli casi, avverte che la qualità della sicurezza dei palazzi di giustizia dovrà essere sottoposta a un attento esame;
   la necessità di una supervisione centrale era emersa nell'ottobre del 2007, in occasione di una sparatoria con tre morti nel tribunale di Reggio Emilia, durante una causa di divorzio. All'epoca, il dicastero della giustizia, guidato da Clemente Mastella, rigettò eventuali responsabilità dicendo di non avere «alcun ruolo»: una nota diffusa dall'allora capo dipartimento Claudio Castelli si richiamava al «decreto del 1993», ribadendo che toccava (e tocca ancora oggi) ai procuratori generali, presso le 26 corti d'appello, adottare i provvedimenti necessari ad assicurare la «sicurezza interna delle strutture in cui si svolge attività giudiziaria». Da allora, nulla si è fatto per modificare la modalità di gestione;
   nonostante le parole del Ministro Orlando di attribuire al Ministero della giustizia la competenza diretta sulle spese di funzionamento di tutti gli uffici giudiziari, la Camera dei deputati, ad agosto 2015, ha approvato nel corso dell'esame del disegno di legge di conversione del decreto sulle misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile, l'articolo 21-quinquies che, di fatto, secondo gli interroganti sconfessa quanto annunciato dal Ministro Orlando e risolve «all'italiana» il problema: in relazione al previsto passaggio dai comuni allo Stato delle attività di manutenzione degli uffici giudiziari, questi, fino alla fine del 2016, possono continuare ad avvalersi del personale comunale, sulla base di specifici accordi da concludere con le amministrazioni locali, per le attività di custodia, telefonia, riparazione e manutenzione ordinaria. Sarà una convenzione quadro previamente stipulata tra il Ministero e l'Anci a delineare i contorni della collaborazione. Poi, con il 2017, si vedrà;
   su una ventina di città, solo in sei tribunali, anche avvocati e magistrati sono sottoposti ai controlli al metal detector. Per il resto è una giungla di regole non rispettate, superficialità nelle verifiche ai varchi e nessun piano di sicurezza;
   un servizio televisivo di ottobre 2015 di Valerio Staffelli (Striscia la notizia) mostra come nel tribunale di Perugia manchino completamente i controlli, non solo all'ingresso, ma anche davanti alle aule di udienza e alla stanza del presidente che possono essere raggiunti da chiunque, senza identificazione o controllo. Nel palazzo antistante, sempre sede di giustizia, lo scanner all'ingresso non funziona e anche se il metal detector segnala la presenza di oggetti metallici, chi entra non viene fermato e controllato (http://www.striscialanotizia.mediaset.it/video/sicurezza-nei-tribunali_23685.shtml);
   a Venezia due anni fa è stata inaugurata la cittadella della giustizia ma i metal detector non sono mai entrati in funzione a Palazzo Cavalli, dove ha sede la procura, l'ufficio gip e il tribunale monocratico. Al tribunale civile e alla corte d'Appello, a Palazzo Grimani, all'accesso non c’è alcun controllo e ci sono solo due carabinieri nei corridoi. Ci sono anche esempi di tribunali dove i controlli sono assicurati da forze dell'ordine, guardie giurate e metal detector: a Genova, a Firenze, a Reggio Calabria, a Bari e a Siracusa. A Roma, negli uffici del penale e del civile, per avvocati e magistrati nella maggior parte dei tribunali, c’è un varco dedicato e basta esibire il tesserino o avere
al seguito la scorta per superare velocemente la barriera dei controlli;
   la situazione del tribunale di Rovigo è impietosa da lungo tempo: a quanto consta all'interrogante nessun poliziotto o carabiniere o guardie giurate a vigilare all'ingresso, nemmeno agenti della polizia penitenziaria, anche se il carcere è a pochi passi di distanza; nessun tornello, metal detector o barriera di sorta tra la pubblica via e gli uffici di avvocati e magistrati o le aule dove si tengono le udienze. Unico deterrente le telecamere di videosorveglianza, utili forse più a rassicurare che a impedire eventuali azioni criminali. È piuttosto semplice accedere al primo piano dove siedono ad esempio il presidente Adalgisa Fraccon o il giudice Carlo Negri, già oggetto di minacce terroristiche in passato. Soltanto teoricamente più difficile appare arrivare al secondo, negli uffici del procuratore capo Carmelo Ruberto: ma qualche telecamera in più, una porta a vetri dalla quale si accede agli spazi della procura e un'anticamera con una persona che filtra gli appuntamenti, non possono esser considerate adeguate misure di protezione;
   Racanelli e Napoletano, rispettivamente segretario e presidente di Magistratura indipendente (MI), denunciano con forza che «le aggressioni ai magistrati sono il frutto avvelenato di una campagna denigratoria che da più parti viene condotta contro la categoria, attraverso continui attacchi alla giurisdizione e una costante e sterile opera di delegittimazione tesa a far sì che le tensioni sociali e il malcontento, che caratterizzano il presente momento storico, si dirigano contro chi svolge il delicato compito di far rispettare ed applicare la legge»;
   a ottobre 2015, magistrati del distretto di corte di appello di Napoli hanno subito atti di intimidazione e aggressione. A distanza di pochi giorni diversi Consiglieri della corte di appello lavoro sono stati destinatari di un volantino contenente minacce: il 9 ottobre Vincenza Barbalucca del tribunale di Nola, è stata vittima di minacce nel corso di un'udienza; il 13 ottobre Tina Donadio del tribunale di Torre Annunziata è stata minacciata nella camera di consiglio;
   a Rovigo il 22 settembre 2015, il viceprocuratore onorario Alessia Pirani è stato aggredito da una imputata di cui aveva chiesto la condanna. A gennaio 2016 l'avvocato Anna Osti del foro di Rovigo è stata minacciata con un cacciavite nei corridoi del tribunale di Rovigo e ha subito un secondo tentativo di aggressione, che l'ha costretta a rifugiarsi nello studio di un giudice. Il tribunale di Rovigo è già stato evacuato tre volte in un anno e mezzo per allarme bomba: 24 aprile e 2 dicembre 2015, 15 gennaio 2016;
   nonostante quanto successo, nessuna misura speciale, almeno nell'immediatezza, è stata adottata a Rovigo: è stata nominata una sottocommissione che si occupi dei passaggi necessari all'affidamento a privati di un servizio di sorveglianza e delle procedure necessarie per installare metal detector alle due entrate della struttura di via Mazzini, oltre che a quella di Palazzo Paoli. I tempi della burocrazia, uniti anche alla suddivisione di compiti e competenze tra Ministero della giustizia e comune di Rovigo, stanno tuttavia rallentando le operazioni. Le forze dell'ordine fanno quanto possono, nella ristrettezza di organico attuale;
   il 12 gennaio 2015, il presidente della regione Lombardia, Roberto Maroni, a margine della cerimonia di intitolazione dell'aula, al secondo piano del tribunale di Milano alle vittime del 9 aprile 2015, quando Claudio Giardiello uccise tre persone ha affermato: «Non entro nel merito delle vicende giudiziarie. Sono qui per testimoniare l'impegno della Regione per garantire la sicurezza a un luogo sacro come quello dell'amministrazione della giustizia dei cittadini. Poi, non è compito nostro garantire la sicurezza, ma è giusto che le istituzioni si uniscano in questi atti
simbolici. Il Governo, il Ministro dell'interno devono poi fare in modo che questi luoghi siano davvero protetti e tutelati» –:
   se siano a conoscenza dei fatti e quali iniziative intendano mettere in campo, per garantire concretamente la sicurezza nei palazzi di giustizia italiana;
   se si intendano adottare iniziative normative al fine di attribuire al Ministero della giustizia la competenza diretta sulle spese di funzionamento di tutti gli uffici giudiziari, con un coinvolgimento centralizzato, a livello di cabina di regia, del Ministero della giustizia e del Ministero dell'interno in modo da superare la parcellizzazione delle competenze, tenendo conto che il servizio di vigilanza esterno dei palazzi di giustizia attualmente è di competenza dei comuni d'intesa con le prefetture e che la sicurezza interna è disposta sulla base di provvedimenti che competono al procuratore generale presso la corte d'appello; 
   se intendano assumere iniziative per modificare l'articolo 21-quinquies del decreto-legge n. 83 del 2015 sulle misure urgenti, materia fallimentare, civile e processuale civile affinché avvenga in tempi brevi, e comunque non oltre i termini previsti dalla legge (31 dicembre 2016), il passaggio dai comuni allo Stato delle attività di manutenzione degli uffici giudiziari, per le attività di custodia, telefonia, riparazione e manutenzione ordinaria.
(4-11813)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:

   BUSIN. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con un comunicato stampa del 14 gennaio 2016, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha dato notizia in merito alla firma del protocollo d'intesa che definisce i termini per il passaggio della concessione della tratta autostradale Modena-Brennero, attualmente affidata ad Autobrennero spa, ad una società interamente pubblica, ai fini della gestione della concessione in house, prorogando in questo modo di ulteriori 30 anni la concessione agli stessi soci di maggioranza della Autobrennero;
   per i 314 chilometri della tratta dell'A22, hanno firmato le 16 amministrazioni pubbliche socie dell'attuale gestione e in particolare i presidenti delle province autonome del Trentino Ugo Rossi e dell'Alto Adige Arno Kompatscher;
   secondo il comunicato del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la linea ferroviaria del Brennero rappresenta uno dei corridoi principali e un investimento strategico per il Paese e, inoltre, gli investimenti previsti dal nuovo protocollo, sono coerenti con i progetti sul territorio; la concessione in house con soggetti pubblici dovrebbe garantire, secondo il Governo, il rispetto agli obiettivi strategici, un migliore assetto viabilistico e più lavoro;
   il comunicato evidenzia che verranno sbloccati anche i finanziamenti per le tratte ferroviarie del Brennero, con 400 treni al giorno e nel 2016 verrà appaltato anche il quarto lotto, dando continuità ai cantieri;
   la Modena-Brennero incassa circa 350 milioni all'anno e, quindi, la nuova società in house gestirà circa 11-12 miliardi di euro in 30 anni, con un guadagno netto di circa 4-5 miliardi di euro per i gestori locali che, tra l'altro, trattengono i 9/10 delle imposte, Iva, Ires e Irpef, nelle loro casse;
   il protocollo firmato non prevede, a difesa dell'interesse pubblico nazionale e come avvenuto con Cal e Cav, l'ingresso di Anas nella nuova società di gestione della Modena-Brennero; in questo modo viene impedito che questa possa sviluppare progetti e ottenere risorse da utilizzare, come prevede la sua ragione sociale, nell'interesse della intera rete stradale nazionale. Si tratta infatti della tutela dell'interesse territoriale, piuttosto che del «pubblico interesse» alla base della concessione in house. La Modena-Brennero è una delle autostrade a più alta redditività d'Italia e gli utili andranno a beneficio delle province autonome di Trento e Bolzano che avranno il controllo dei 4/5 del capitale sociale e alle quali spetteranno anche i 9/10 delle imposte sugli utili, Iva e Irpef, pagate da Modena-Brennero spa, in virtù della autonomia speciale, visto che la sede della società è a Trento;
   da quanto si apprende dai giornali, il protocollo d'intesa prevede la realizzazione di una serie di opere autostradali a pagamento di adduzione alla autostrada Modena-Brennero, quali la Cispadana, la Ferrara-Mare, la Campogalliano-Sassuolo, nonché la realizzazione della nuova terza corsia solo nella tratta Verona-Modena, opere promosse in project financing o realizzate direttamente dalla stessa Modena-Brennero spa;
   pertanto, la provincia autonoma di Trento, quale socia di assoluta maggioranza di A22, da un lato, promuove tali opere di adduzione di nuovo traffico su gomma e nuovi pedaggi verso l'A22 e, dall'altro, con scelte evidentemente ad avviso dell'interrogante contraddittorie e anche contro un ampio schieramento trentino di favorevoli, a partire dalle categorie economiche, si oppone, da decenni, in virtù delle ricche prerogative riconosciute all'autonomia amministrativa speciale, al completamento A31 della Valdastico Nord sino all'innesto sull'A22;
   le dichiarazioni alla stampa dei presidenti delle province autonome di Trento e Bolzano e dei vertici della Modena-Brennero spa, hanno rivelato che la proroga di 30 anni, senza gara europea, della concessione dell'A22, si sarebbe fatta principalmente per finanziare il potenziamento ferroviario del Brennero, garantendo il conferimento del cosiddetto Fondo Ferrovia di A22, pari a 550 milioni di euro e il versamento di 34,2 milioni di euro all'anno per 30 anni, per un valore complessivo di 1,026 miliardi di euro, quando, invece, tali risorse a giudizio dell'interrogante, avrebbero dovuto comunque essere garantite per lo stesso scopo dal concessionario dell'autostrada Modena-Brennero, anche se questo fosse stato scelto con gara, in base all'articolo 55 della legge n. 449 del 1997 (Fondo Ferrovia) e all'articolo 47 della legge n. 122 del 2010 (contributo per la nuova ferrovia del Brennero) –:
   se corrisponda al vero che gli enti locali sottoscrittori del protocollo di intesa con il Governo per l'assegnazione in house dell'autostrada A22 si siano opposti all'ingresso di Anas nella società e per quale motivo il Governo, a difesa dell'interesse pubblico nazionale, non si sia opposto a tale pretestuosa scelta, a giudizio dell'interrogante evidentemente finalizzata a mantenere solo su quei territori la ricchezza che genera;
   se corrisponda al vero che il protocollo di intesa prevede la realizzazione delle opere autostradali citate in premessa e quali siano le intenzioni del Governo in merito alle scelte a giudizio dell'interrogante, evidentemente contraddittorie assunte dalla provincia autonoma di Trento circa la realizzazione del completamento dell'autostrada della Valdastico Nord sino all'innesto sull'A22, in considerazione del fatto che lo stesso Governo è chiamato a rappresentare gli interessi nazionali al tavolo istituzionale per il completamento della A31 Valdastico, costituito tra la regione Veneto, la provincia autonoma di Trento e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   quali siano gli orientamenti del Governo in merito alla utilità della costituzione della nuova società ai fini del finanziamento del potenziamento ferroviario del Brennero, considerate le ingenti risorse pubbliche che comunque verranno lasciate nella disponibilità delle province autonome di Trento e Bolzano, grazie agli utili netti ottenuti dai pedaggi e alle tasse pagate da Modena-Brennero spa, in virtù della normativa speciale in materia fiscale;

   se il Governo abbia mai ottenuto chiarimenti dalla Modena-Brennero spa circa la destinazione delle somme ingenti degli interessi maturati sugli accantonamenti per il fondo Ferrovia, maturati dal 1997 al 2014, data di scadenza della concessione di A22, che, invece, in base alla legge n. 449 del 1997, erano esentati da tassazione e dovevano comunque andare ad incrementare lo stesso fondo Ferrovia e se sia a conoscenza di eventuali rilievi della Corte dei conti su tale questione. (5-07519)

   CARRA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Goito, comune della provincia di Mantova, è attraversato da un'importante infrastruttura stradale che collega le città di Mantova e Brescia, infrastruttura sulla quale transitano, ogni giorno, migliaia di veicoli leggeri e pesanti;
   con il superamento del progetto del Tribe Alto il territorio di questo comune rischia di essere penalizzato con l'impossibilità di realizzare una tangenziale che inizialmente era prevista quale opera accessoria;
   in assenza della suddetta infrastruttura, il rischio concreto è quello di rimanere senza un'arteria in grado di alleggerire il traffico che opprime il centro del Paese;
   nei comuni limitrofi, come Marmirolo, che ha una tangenziale, e anche Guidizzolo che vede prossimo lo sblocco dei lavori di realizzazione della tangenziale, il problema è stato risolto o in via di soluzione, liberando i centri dal traffico e inquinamento;
   la priorità è quella di individuare un possibile percorso istituzionale nonché di ricerca delle risorse necessarie, anche con il coinvolgimento di soggetti privati, per consentire la realizzazione di una tangenziale anche per il comune di Goito –:
   se il Ministro interrogato intenda, per quanto di competenza, parte attiva di questo processo promuovendo un incontro con tutti i soggetti istituzionali ed economici afferenti al territorio del comune di Goito al fine di individuare una soluzione possibile per consentire la realizzazione di una tangenziale in grado di alleggerire il centro abitato dalla presenza del traffico e abbattere il tasso di inquinamento e smog. (5-07522)

   VALLASCAS e NICOLA BIANCHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi è stato siglato un protocollo d'intesa tra Regione Autonoma della Sardegna e Trenitalia s.p.a. per la gestione dei servizi di trasporto ferroviario nell'isola per l'anno 2016;
   il documento sarebbe preparatorio a un futuro contratto di servizio che, nelle previsioni, dovrebbe durare sino al 2025;
   in occasione dell'annuncio della firma del protocollo d'intesa, alcuni organi di stampa avrebbero sollevato forti perplessità sugli scenari che si potrebbero prospettare a partire dal 2017, quando, potrebbe essere bandita una gara pubblica per l'affidamento del servizio;
   in particolare, sarebbero state pubblicate alcune indiscrezioni su un presunto disinteresse di Trenitalia per il servizio svolto in Sardegna, disinteresse che potrebbe sfociare in un vero e proprio disimpegno dell'azienda nell'isola;
   questa circostanza desterebbe una legittima preoccupazione nell'isola, in considerazione dei forti ritardi nello sviluppo dei trasporti e dei collegamenti interni, con particolare riguardo ai trasporti ferroviari;
   la Sardegna sconta le difficoltà legate alla mancata realizzazione di una moderna rete ferroviaria in grado di collegare i principali centri del territorio;
   è il caso di riferire che la rete ferroviaria si sviluppa per 1.038 chilometri (430 chilometri a scartamento ordinario e 608 chilometri a scartamento ridotto) e risulta fortemente sottodimensionata rispetto alle esigenze di mobilità di cittadini e imprese della Sardegna;
   questa inadeguatezza infrastrutturale si è manifestata con la recente immissione in servizio dei primi degli otto treni Atr 365 acquistati dalla regione Sardegna per un importo di circa 80 milioni di euro, treni che allo stato attuale non possono dispiegare tutta la loro potenza e che impiegano ben 2 ore e 48 minuti per percorrere appena 251 chilometri;
   la densità infrastrutturale nell'isola è inferiore del 20 per cento rispetto a quella nazionale con una percentuale elevata (il 73 per cento rispetto al 59 per cento del dato italiano) di rete che non supera i 9 metri di sezione trasversale;
   dall'inadeguatezza dei collegamenti ne deriva una complessiva situazione di isolamento che accentua alcuni fenomeni fortemente negativi per la società sarda, come lo spopolamento delle zone interne, il mancato presidio dei territori, l'abbandono delle attività ad essi collegate e un generale impoverimento delle aree abbandonate;
   in questo contesto, risulterebbe oltremodo insostenibile per la società sarda un eventuale disimpegno e abbandono dell'isola da parte di Trenitalia, abbandono che comporterebbe, tra le altre cose, l'ingresso di nuovi soggetti privati con il conseguente pericolo dell'accentuarsi di logiche di mercato che mal si concilierebbero con l'essenzialità di un servizio in un settore che presenta molteplici elementi di criticità e diseconomie;
   nei giorni scorsi, il Ministro interrogato, nel corso di un'audizione in Commissione trasporti della Camera dei deputati, sul tema della privatizzazione di Ferrovie dello Stato Italiane, nel parlare delle diverse situazioni locali avrebbe detto che all'interno del Gruppo «ci sono molti settori che hanno problemi di performance, come trasporto pubblico regionale e merci. L'Italia è un Paese che ha molta velocità sulla rete AV e poca velocità e poca efficienza sul trasporto pubblico regionale», «chiediamo un forte investimento sul parco rotabile, perché crediamo che il tema del trasporto regionale, che riguarda milioni di cittadini ogni mattina, sia un tema decisivo. Questo settore ha bisogno ancora secondo noi di attenzione»;
   Trenitalia è una società partecipata al 100 per cento dal gruppo Ferrovie dello Stato italiane, società per azioni con partecipazione statale totale attraverso il Ministero dell'economia e delle finanze –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   se non ritenga opportuno verificare i reali intendimenti di Trenitalia in merito al mantenimento della gestione dei trasporti ferroviari in Sardegna;
   quali iniziative di competenza intenda adottare per contribuire al rafforzamento dei trasporti ferroviari in Sardegna colmando i profondi ritardi accumulati, che determinano fenomeni quali l'isolamento interno, l'abbandono e il degrado di ampie aree dell'isola. (5-07550)

Interrogazioni a risposta scritta:

   AGOSTINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   quattro funzionari, tra cui uno del provveditorato delle opere pubbliche, sono stati condannati dalla Corte dei Conti delle Marche a risarcire settecentomila euro all'Inrca (Istituto nazionale di riposo e cura per gli anziani) con riguardo alla ricostruzione del nuovo pensionato Tambroni ad Ancona;
   nel 1982 una frana investì la vecchia struttura per anziani gestita dall'Inrca. Venne, quindi, approntato e finanziato un progetto da otto milioni di euro per la realizzazione di un nuovo centro, il Tambroni;
   i lavori iniziarono nel 2001 e soltanto nel 2006 l'ingegnere Cipriani, responsabile unico del procedimento, segnalò delle difformità rispetto al progetto, ciò che portò l'Autorità di vigilanza dei lavori pubblici a informare la procura di Ancona;
   il procedimento penale si concluse con l'assoluzione di tutti gli imputati; secondo il tribunale gli inadempimenti della ditta costruttrice erano numerosi, ma rilevanti solo sul piano civilistico;
   i funzionari pubblici condannati dalla Corte dei Conti sono: il direttore dei lavori, Emilio Bona, condannato a risarcire 300 mila euro; il responsabile unico del procedimento, l'ingegnere Corrado Maria Cipriani, condannato a risarcire 200 mila euro; l'ex capo del comune e collaudatore, l'Ingegnere Carlo Galeazzi, condannato a 110 mila euro di risarcimento; il collaudatore Giulio Cesare Pedicini, condannato a pagare 90 mila euro;
   il nome dell'ingegnere Corrado Maria Cipriani compare anche in un'altra vicenda giudiziaria: l'inchiesta coordinata dal sostituto procuratore del tribunale di Bari, Gianrico Carofiglio, che ha svelato pericolosi intrecci tra tecnici anconetani e personaggi legati a Cosa Nostra, nell'ambito delle operazioni di completamento dell'ansa di Marisabella e di allargamento del molo Pizzoli a Bari;
   nonostante questi scandali il dottor ingegnere Corrado Maria Cipriani si è occupato anche della costruzione della nuova caserma di polizia di Jesi in qualità di coordinatore dei lavori (confronta Doc 1 – verbale di sorteggio pubblico nella procedura negoziata per l'affidamento dei lavori di completamento del secondo piano della nuova sede del commissariato di pubblica sicurezza e distaccamento di polizia stradale di Jesi);
   si apprende da fonti stampa che i lavori, iniziati il 24 agosto 2011, dovevano essere terminati il 14 agosto 2012; per realizzare il complesso sarebbe stata necessaria una certa cifra che, al termine della gara d'appalto, risultava essere di euro 1.231.973,43;
   se i lavori fossero stati realizzati nei tempi previsti, quel finanziamento sarebbe bastato per realizzare tutta l'opera, ma questo non è avvenuto: i lavori sono andati a rilento fino a bloccarsi del tutto e a richiedere un ulteriore finanziamento. Al 31 marzo del 2015 il cantiere era del tutto fermo;
   sempre da fonti stampa si apprende che solo il 26 dicembre 2015 gli uffici della mobile e della stradale sono stati trasferiti nella nuova sede del commissariato, dalle loro vecchie sedi di via Montello e viale Papa Giovanni XXIII –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza del coinvolgimento dell'ingegnere Corrado Maria Cipriani nelle citate vicende giudiziarie (operazioni di completamento dell'ansa di Marisabella e di allargamento del molo Pizzoli a Bari; ricostruzione del nuovo pensionato Tambroni ad Ancona);
   quali iniziative di competenza intenda adottare o abbia già adottato nei confronti del medesimo Cipriani e quali siano le ragioni della sua sostituzione nella procedura negoziata per l'affidamento dei lavori di completamento del secondo piano della nuova sede del commissariato di pubblica sicurezza e distaccamento di polizia stradale di Jesi (confronta doc. 1);
   quale sia lo stato attuale dei lavori e quali le ragioni del ritardo;
   se il ritardo ed il conseguente aumento dei costi dell'opera non configurino un inadempimento contrattuale e quali siano le conseguenze ex lege ed ex contractu;
   se il trasferimento nella nuova sede sia avvenuto legittimamente, previo regolare collaudo;
   se intenda assumere le iniziative di competenza per far valere, in caso di riscontrate irregolarità, eventuali responsabilità
civili, contabili ed amministrative, attivando tutti i poteri ispettivi e sanzionatori del caso di specie. (4-11808)

   BRANDOLIN. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il mandamento monfalconese è un territorio su cui insistono grandi realtà industriali (Fincantieri, A2A, Mangiarotti) e uno scalo portuale con un intenso traffico merci;
   nell'anno 2015, il porto di Monfalcone ha movimentato 3.523.013 tonnellate di carichi, con un aumento del 13,8 per cento rispetto al 2014;
   in particolare, il trasporto di bramme che viaggiano per gomma, quantificabile sulla misura delle 500.000 tonnellate all'anno, interessa la tratta Monfalcone – San Giorgio di Nogaro (dove sono operative importanti realtà siderurgiche) che viene percorsa su strade provinciali e regionali con danni non indifferenti al sedimestradale e disagi per i 60.000 cittadini dell'intero mandamento monfalconese (provincia di Gorizia) e ai 50.000 di quello cervignanese (provincia di Udine);
   nel corso degli ultimi anni, inoltre, si sono verificati diversi incidenti con protagonisti questi mezzi di trasporto eccezionali fortunatamente senza vittime ma comunque con feriti e con grandi preoccupazioni per la popolazione;
   i trasporti eccezionali avrebbero come alternativa l'autostrada A4, il cui ingresso «Monfalcone est» si trova a meno di 4 chilometri di distanza dal porto e raggiungibile con una bretella di tipo autostradale;
   gli stessi utilizzano l'autorizzazione periodica alla circolazione, che secondo il regolamento di attuazione del codice della strada viene consentita a «veicoli adibiti al trasporto di elementi prefabbricati compositi e di apparecchiature industriali complesse per l'edilizia, per i quali il trasporto, compatibilmente con le caratteristiche dei percorsi richiesti, rientri nei limiti dimensionali e ponderali seguenti: altezza 4,30 m, larghezza 2,55 m, lunghezza 35 m, massa complessiva 108 t» (articolo 13, comma 2 punto B, lettera f) nonché a «veicoli adibiti al trasporto di coils e laminati grezzi» (articolo 13, comma 2, comma 2 punto B, lettera g));
   tale autorizzazione non è però attualmente consentita per i veicoli di cui alle lettere f) e g) per il transito sulle strade classificate di tipo A (autostrade), ai sensi dell'articolo 2, comma 2 del codice;
   da parte di tutti i nove, più cinque comuni ricadenti nell'area dei due mandamenti da anni viene invocata come urgente una modifica a tale regolamento che consenta ai suddetti mezzi di utilizzare il tratto autostradale Lisert-San Giorgio di Nogaro (lunghezza circa 36 km) evitando così il transito nei centri abitati;
   per realizzare tale risultato sarebbe necessario modificare il punto B dell'articolo 13 del regolamento prevedendo il divieto di concessione periodica per il transito sulle strade classificate di tipo A «salve deroghe esercitabili dall'ente proprietario o dal concessionario esclusivamente per motivate ragioni e per percorrenze lungo tali strade non superiori a 50 km» –:
   con quali modalità e tempistica si ritenga di poter intervenire per l'auspicata modifica del regolamento di esecuzione e di attuazione del codice della strada così garantendo una maggiore sicurezza sulle strade locali ai cittadini dei due territori monfalconese e cervignanese. (4-11812)

   GRIMOLDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la realizzazione di alcune opere viarie nell'area nord della cintura milanese e nel territorio brianzolo sarebbero fondamentali per ridurre il traffico automobilistico e per diminuire gli effetti nocivi dell'inquinamento che da esso deriva;
   la realizzazione della nuova linea tranviaria da Bresso a Seregno che interesserebbe altri importanti comuni come Cusano Milanino o Pademo Dugnano, favorendo la mobilità alternativa al mezzo privato di oltre mezzo milione di abitanti rappresenta un passo importante per migliorare la qualità dell'aria e contrastare i livelli di inquinamento atmosferico locale;
   la realizzazione della linea tranviaria Bresso-Seregno, già appaltata e persino cantierizzata, e stata bloccata, a quanto consta all'interrogante, per questioni burocratiche e per il ritardo di mesi non giustificato di un nullaosta da parte del Cipe;
   il livello di inquinamento ha raggiunto dei livelli preoccupanti nelle grandi città italiane, rappresentando ormai una vera e propria emergenza ambientale –:
   quali siano le ragioni che impediscono il regolare prosieguo dell'opera tramviaria da Bresso a Seregno e se il Ministro non ritenga urgente, assumere ogni iniziativa di competenza per accelerare la realizzazione di questo importante collegamento per le importanti ricadute in termini di benefici per la mobilità pubblica dei cittadini lombardi e per il conseguente miglioramento della qualità dell'aria. (4-11814)

   PASTORELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il tormentato completamento della superstrada Rieti-Terni, per decenni una sorta di «tela di Penelope» sembra ad un punto di svolta quanto, nel 2014, la conferenza servizi Anas-direzione generale dei lavori, raccolti tutti i pareri necessari aveva dato l’«ok» per la realizzazione degli ultimi 800 metri ed, in particolare, aveva rilasciato il nulla osta per la costruzione del sistema di rotatorie e svincoli che avrebbero collegato la superstrada a Colli sul Velino e da lì all'intera dorsale dei comuni reatini confinanti con l'Umbria, fino a Leonessa;
   il nulla osta di cui sopra si riferiva agli ultimi 800 metri della superstrada, quelli ancora mancanti che, dalla galleria di Piè di Moggio, avrebbero definitivamente unito Rieti con la provincia di Terni;
   da anni oramai gli abitanti del luogo aspettavano la realizzazione dell'uscita per Colli sul Velino senza il quale il territorio a nord-ovest della provincia di Rieti sarebbe uscito «monco», in quanto avrebbe consentito di collegare direttamente tutti i comuni della dorsale reatina, compresi Cantalice e Leonessa, alla superstrada Rieti-Terni con innegabili ricadute turistiche per l'intero territorio ma anche avvantaggiando coloro che, per raggiungere la Valnerina ternana, non sarebbero più stati costretti ad attraversare Terni;
   la consegna prevista per fine 2015 nella zona ternana, a tutt'oggi, non si è ancora realizzata a causa non solo dei ritardi, nell'esecuzione dei lavori dovuti alla realizzazione del ponte sul Velino ma soprattutto all'inchiesta che ha investito la Tecnis che ha creato un'interruzione dei lavori che non sono più ripresi;
   a tal proposito, è opportuno ricordare che la recente indagine sugli appalti dell'Anas ha coinvolto anche i vertici della società Tecnis, considerata un colosso delle costruzioni con 1.200 lavoratori in organico. Alla bufera giudiziaria è seguita l'interdittiva antimafia emessa dal prefetto di Catania a carico dell'azienda che è stata quindi commissariata –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'annosa vicenda che interessa il cantiere in questione e quali iniziative, per quanto di competenza, anche intervenendo presso l'ANAS, intenda adottare per arrivare al completamento di quel tratto di strada che viene rinviato da troppi anni e la cui ultimazione è di fondamentale importanza per l'intero territorio. (4-11817)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:

   DAGA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi gli abitanti del comune di Labico – la cui popolazione residente è di circa seimila persone – si sono visti recapitare 9.583 avvisi di pagamento relativi ad omessi o insufficienti pagamenti di tasse comunali;
   l'importo complessivo degli avvisi di pagamento ammonta a 11.626.000 euro, che corrisponde ad un valore medio per ogni abitante, compresi i bambini, di circa 2000 euro;
   l'enormità della richiesta deriva dalla decisione dell'amministrazione comunale di affidare la riscossione e l'accertamento dell'ICI, TARSU, IMU, TARI e TASI a una società di Lucca, la A e G spa, alla quale è stato riconosciuto un aggio dell'11,19 per cento per la durata di cinque anni;
   a quanto risulta il comune di Labico, al fine di effettuare il riconoscimento dei cospicui debiti fuori bilancio contratti, ha avviato un piano decennale di riequilibrio finanziario ai sensi degli articoli 243 e seguenti del decreto legislativo n. 267 del 2000 (testo unico degli enti locali);
   come attestano i comunicati di chiarimento pubblicati sul sito istituzionale del comune di Labico probabilmente per la fretta con cui è stata gestita l'operazione di recupero crediti, si sono verificati moltissimi errori e richieste di pagamento assolutamente irragionevoli, ma che hanno creato inevitabile disagio e preoccupazione tra i cittadini;
   il rischio è che trascorrano i 60 giorni previsti entro i quali i cittadini sono tenuti a regolarizzare la propria posizione, senza che sia data loro la possibilità di contestare errori ed imprecisioni di cui non sono responsabili, visto la lentezza con cui si stanno effettuando le verifiche sulla correttezza dei calcoli effettuati e delle cifre richieste;
   i consiglieri dell'opposizione hanno chiesto al sindaco di avvalersi della procedura di annullamento d'ufficio, tenuto conto dei numerosi vizi procedimentali riscontrati –:
   se il Governo non ritenga – avvalendosi all'uopo della Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali, di cui agli articoli 155 del testo unico enti locali e 3 del decreto-legge n. 174 del 2012 – di avviare il monitoraggio della situazione finanziaria dell'ente e dei relativi equilibri di bilancio al fine di verificare che, alla luce delle ulteriori criticità emerse, sussistano ancora le condizioni per il rispetto del piano di riequilibrio finanziario.
(4-11805)

   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 2 novembre 2015 è stato pubblicato sul sito internet del Ministero dell'interno il «Bando di gara per l'affidamento in 2 lotti per le strutture di attendamento per l'accoglienza dei migranti presso i porti di Taranto e Augusta»;
   più precisamente, si tratterebbe di un bando di forniture emanato dal dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione concernente la «Procedura aperta ex articolo 55, comma 5, del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 per l'affidamento in 2 lotti della Fornitura e posa in opera, comprensiva di trasporto, installazione, montaggio e manutenzione di strutture di attendamento per accoglienza dei migranti presso il Porto di Taranto (lotto n. 1) e il Porto Commerciale di Augusta (lotto n. 2)»;
   secondo quanto appreso dall'interrogante, il Ministero dell'interno starebbe provvedendo a individuare e attrezzare, in conformità a quanto stabilito dalla cosiddetta «agenda Juncker» in materia di immigrazione, le aree per la collocazione dei punti di sbarco e identificazione dei migranti, cosiddetti hot spot;
   tuttavia, all'interrogante risulta che tale bando sia stato emanato senza che l'autorità portuali di Augusta abbiano concesso la preventiva e necessaria autorizzazione alla realizzazione delle predette strutture;
   occorre peraltro considerare che, secondo quanto segnalato all'interrogante, le medesime aree sarebbero interessate da concessioni a soggetti privati che non risulterebbero, al momento, essere state revocate. Inoltre, non potrebbero essere avviati i cantieri previsti per i prossimi mesi per la realizzazione di progetti già appaltati e finanziati, con la conseguente perdita di finanziamenti già previsti;
   in aggiunta a tutto ciò, secondo quanto segnalato all'interrogante, si porrebbe in palese violazione degli articoli 4, 6 e 18 della legge 28 gennaio 1994, n. 84. In particolare, si configurerebbe una violazione dell'articolo 4 laddove vengono classificati i porti e definite le relative funzioni; in effetti, secondo quanto disposto dal comma 1-bis del citato articolo dovrebbe avere esclusivamente «funzioni commerciale, industriale e petrolifera, di servizio passeggeri, peschereccia e turistica e da diporto» ovvero funzioni radicalmente diverse rispetto a quelle previste da un hot spot;
   peraltro, si ravviserebbe anche una violazione della lettera c) del comma 1 dell'articolo 6 della citata legge n. 84 del 1994, laddove si prevede che uno dei compiti dell'autorità portuale sia «l'affidamento e il controllo delle attività dirette alla fornitura a titolo oneroso agli utenti portuali di servizi di interesse generale, non coincidenti, né strettamente connessi alle operazioni portuali di cui all'articolo 16, comma 1, individuati con decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione, da emanarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge». Non risulta all'interrogante che tale procedura sia stata ottemperata;
   inoltre, l'articolo 18 della medesima legge n. 84 del 1994, affida all'autorità portuale il compito di dare in concessione le aree demaniali e le banchine comprese nell'ambito porti per l'espletamento delle operazioni portuali, limitatamente allo svolgimento di funzioni attinenti ad attività marittime e portuali: ciò non sarebbe avvenuto, dal momento che risulterebbe all'interrogante non solo la mancanza di un qualsiasi provvedimento di concessione o affidamento da parte dell'autorità portuale di Augusta per l'utilizzo dell'area interessata dal bando di gara, ma addirittura vi sia stato un parere contrario del comitato portuale dell'autorità alla realizzazione del cosiddetto hot spot all'interno dell'area portuale;
   secondo fonti di stampa, la procura della Repubblica di Siracusa starebbe valutando se procedere in relazione ad un esposto depositato sulla base delle medesime segnalazioni concernenti la mancata autorizzazione;
   l'interrogante agirà in ogni sede nazionale e sovranazionale al fine di ripristinare la legalità e evitare la costruzione di questo hot spot che da un lato minaccerebbe la sicurezza della cittadinanza e, dall'altro, frustrerebbe ogni opportunità di sviluppo economico-commerciale della città legata ad un porto già classificato come core, nonché recentemente individuato come sede di autorità di sistema portuale –:
   quale sia la posizione dei Ministri interrogati in relazione alla vicenda illustrata in premessa;
   se il Ministro dell'interno abbia chiesto l'autorizzazione dell'autorità portuale di Augusta e, in caso positivo, se l'abbia ottenuta prima dell'emissione del citato bando; qualora tale autorizzazione non sia stata richiesta, non sia stata concessa o sia
stata negata, se il Ministro dell'interno non ritenga di dover agire in autotutela sospendendo qualsiasi procedura e verificando la possibilità di ritiro del bando, in tal caso evidentemente viziato;
   se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti abbia autorizzato l'installazione di tale hot spot; qualora l'abbia fatto per quale ragione abbia concesso il suo assenso; qualora non l'abbia fatto, se non intenda adottare iniziative anche nei rapporti con il Ministero dell'interno, a tutela delle proprie competenze. (4-11809)

   DIENI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nella sera del 25 gennaio 2016 la stazione Termini di Roma è piombata nel panico a causa della presenza nella struttura di un uomo che portava in mano, ben visibile, un fucile, che poi si è scoperto essere un giocattolo destinato al figlio;
   a quanto emerge dalle notizie pubblicate sulla stampa, egli si sarebbe servito dapprima della metropolitana B1, dove sarebbe stato segnalato alla stazione di piazza Bologna, e in seguito avrebbe percorso indisturbato il tragitto che porta sino ai binari;
   nonostante l'installazione da parte delle Ferrovie dello Stato italiane di barriere che inibiscono l'accesso alle banchine e l'obbligo, per coloro che intendono transitare, del passaggio attraverso varchi vigilati, nei quali il personale dovrebbe effettuare verifiche di sicurezza sulla validità del titolo di viaggio, l'uomo, continuando a portare con sé il fucile giocattolo, saliva senza problemi sul treno diretto ad Anagni;
   sul treno sarebbe quindi stato controllato, su richiesta del capotreno, da un maresciallo dei carabinieri fuori servizio che avrebbe constatato l'inoffensività della riproduzione del fucile e la presenza del tappo rosso che qualifica i giocattoli;
   inconsapevole delle ricerche nel frattempo avviate su larga scala e dall'allarme generato nella stazione, che è stata in seguito evacuata, il maresciallo avrebbe quindi lasciato libero il soggetto, il quale poi avrebbe fatto uso di un ulteriore mezzo pubblico diretto verso la città di Fiuggi;
   l'uomo, che ha portato allo scatenarsi di una vera e propria emergenza, sarebbe stato identificato solo nella giornata del 26 gennaio;
   la risposta dell'imponente apparato di sicurezza della Capitale, peraltro rafforzato ulteriormente a seguito della strage di Parigi del 13 novembre 2015, di fronte alla presenza di un uomo recante con sé un'ipotetica arma in bella mostra che percorre indisturbato più di 2 chilometri sulla rete metropolitana, giungendo nella principale e più presidiata stazione ferroviaria della città senza incontrare alcun ostacolo, non è sicuramente adeguata rispetto alle attese di sicurezza dei cittadini;
   viene da chiedersi inoltre se le barriere installate nelle principali stazioni del Paese e che hanno incrementato i disagi per i passeggeri, non abbiano dimostrato inequivocabilmente in questo caso come esse servano forse a diminuire la presenza di free riders, ma non abbiano alcun effetto sulla sicurezza –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ravvisi un evidente problema di sicurezza nel fatto che un uomo con una presunta arma in mano percorra indisturbato svariati chilometri sul sistema di trasporto pubblico della Capitale e delle province circostanti;
   se le barriere presenti nelle principali stazioni del Paese abbiano funzioni attinenti alla sicurezza o se siano semplicemente un sistema per verificare il pagamento del titolo di viaggio da parte dei passeggeri. (4-11810)

   D'ATTORRE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   a Catanzaro, alla via G. Pepe n. 23, ha sede un Istituto originariamente denominato «Conservatorio delle Verginelle», ente morale fondato il 25 novembre 1822 con regio decreto di Re Ferdinando I;
   l'Ente ebbe, come fini statutari, l'accoglimento delle fanciulle orfane catanzaresi, la loro rieducazione morale ed il loro avviamento al lavoro, secondo il regolamento stilato dal nobile Bernardo de Riso e datato 17 aprile 1811.  Nel 1890 l'Istituto cadde sotto la vigilanza ed il controllo della Congregazione di Carità, a cui lo Stato,  attuazione della legge 17 luglio 1890, n. 6972 (legge Crispi), aveva affidato il compito di razionalizzare l'attività delle opere pie e di controllarne strettamente gli ingenti patrimoni. Con regio decreto 8 novembre 1938, l'amministrazione dell'Istituto venne accorpata all'orfanotrofio «G. Rossi» di Catanzaro (poi acquisito dal comune di Catanzaro)  e, quindi, reso autonomo con decreto del Presidente della Repubblica 1o ottobre 1951, previo favorevole parere dell'amministrazione provinciale, del comune di Catanzaro e dell'E.C.A., succedutasi alla Congregazione di carità e, per l'articolo 16 dello statuto, retto da un consiglio di amministrazione composto da cinque componenti di nomina pubblica (prefettura, provincia, comune ed E.C.A.);
   per gli effetti, l'Istituto, ex IPAB, ha sempre mantenuto la sua natura pubblicistica, peraltro sottolineato che gli amministratori sono sempre stati di nomina pubblica e che l'Ente è stato assoggettato ai vincoli contabili di cui al regio decreto 30 dicembre 1923, con gestione controllata dall'E.C.A., elemento radicalmente ostativo, questo, alla privatizzazione dell'ente, indicato nell'articolo 8 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 febbraio 1990;
   in veste di ente pubblico, l'Istituto ha incassato contributi pubblici, nonché gestito un immenso patrimonio, costituito da una pluralità di immobili, frutto delle molteplici donazioni e lasciti effettuati a favore dell'istituto nell'arco di quasi due secoli;
   in qualità di ente pubblico, l'Istituto ha utilizzato come sede, per espressa volontà regia, e di fatto sin dal 1811, l’ex Monastero di Santa Maria della Stella. La struttura, di circa 8.000 metri quadri, ricca di terrazze e giardini, costruita nel 1585 sotto il Pontificato di Sisto V, fu acquisita al demanio da Giocchino Murat che, chiuso il convento e disperso le suore, aveva adibito lo storico Immobile a caserma, in virtù del regio decreto 7 agosto 1809, n. 448, che ha sancito l'acquisizione allo Stato di Monasteri di Ordini possidenti. Va sottolineata, infine, che, con regio decreto 6 novembre 1816, n. 533, Re Ferdinando IV aveva confermato le acquisizioni, le destinazioni e le Concessioni di immobili operate durante il regno napoleonico, contestualmente riaffermandone la demanialità e l'inalienabilità;
   il cespite in parola, peraltro, figura tra i beni ad uso civico indicati nel decreto 20 marzo 1928 del reale commissariato usi civili della Calabria, affisso all'albo del comune di Catanzaro il 23 marzo 1928, il quale, per ultimo, figura sottoposto alla tutela della legge 1o giugno 1939, n. 1089, per come modificata dal decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, giusta nota 15 dicembre 2000 n. 5050/M, della soprintendenza per i beni ambientali, architettonici, artistici e storici della Calabria – sede di Cosenza;
   le irregolarità riscontrate nella ex Ipab Istituto Stella, deputata alla conservazione di tanta memoria storica, negli ultimi anni, sono così gravi e ripetute da costituire una delle pagine più oscure e degradate della storia di Catanzaro, sicuramente scritta per una deviata e distorta concezione della subordinazione delle risorse agli interessi della politica, in un territorio ricchissimo di Patrimonio Pubblico, derivato dai beni feudali ed ecclesiastici acquisiti al demanio statale e comunale durante il regno napoleonico e borbonico, nonché dalle concessioni immobiliari ai numerosi enti pubblici di assistenza presenti sul territorio: In Charitate Christi, Umberto I, Rossi, Bambinello Gesù, Stella. Ci si è chiesto, conseguentemente, se, nella Calabria della povertà e del bisogno, politici ed alti burocrati, ancora oggi, alimentino il loro potere ed il loro benessere attraverso la distrazione e lo sperpero delle pubbliche risorse, secondo le vecchie logiche e consuetudini di connotazione mafiosa;
   tanto esposto, in ordine all'Ente Assistenziale «Stella», si rappresenta i pubblici amministratori, e tutti i pubblici poteri delegati al controllo dell'ente (comune, regione, prefettura) hanno fatto di tutto: perseguito, contro legge, la sua privatizzazione per trasferire alla sfera del privato un ingente patrimonio pubblico; coinvolto i pubblici poteri in una miriade di strumentali ricorsi per inibire il passaggio dell'ente al comune di Catanzaro, in forza all'articolo 1 della legge regionale n. 6 del 1985; impedito l'insediamento dei rappresentanti del Comune in seno all'Istituto, e, con esso, la verifica degli atti amministrativi e dei Bilanci; permesso ad ignoti di utilizzare le risorse finanziarie e patrimoniali senza averne titolo; permesso ad ignoti l'utilizzo della struttura per altre attività (corsi di formazione, pensionato per studentesse, scuole di ballo), infine, addirittura, l'immobile è stato oggetto di temporanea requisizione per decreto prefettizio n. 1072 Gab. dell'8 luglio 2000 per farne sede della scuola di belle arti (ex prefetto Gallito, incorso in plurime condanne per corruzione –:
   di quali informazioni, per quanto di competenza, dispongano i Ministri interrogati sui motivi che sono alla base della situazione in cui versa l'immenso patrimonio dell’ex «Ipab Stella»;
   se non intendano ricostruire, per quanto di competenza, quale fine abbiano fatto i sui beni, oggetto di tante donazioni elargite in due secoli;
   quali siano le ragioni per le quali una struttura pubblica, demaniale, di ingente valore e la cui proprietà è alienabile ed imprescrittibile, appare soggiacere ad interessi privati non definiti, nel più completo disinteresse delle istituzioni locali;
   per quale ragione alcuna istituzione abbia esercitato il controllo su chi attualmente occupa l’ex monastero, a quale titolo e che uso ne faccia;
   quali ragioni abbiano permesso le istituzioni statali, preposte alla difesa dei pubblici interessi non abbiano adeguatamente tutelato tale patrimonio;
   se il Ministro non intenda promuovere la costituzione di una commissione ministeriale che faccia piena luce sui fatti esposti, anche direttamente sentendo la Guardia di finanza di Catanzaro che detiene ogni documentazione storica sulla demanialità dell'Istituto assistenziale Stella con sede in Catanzaro, nonché in ordine ai suoi beni dotali, ingentissimi, con modalità ad avviso dell'interrogante dubbie ascritti, di fatto alla sfera del privato. (4-11818)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:

   CIRIELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con precontratto sottoscritto nel settembre 2012 dall'allora dirigente preposto all'edilizia scolastica dell'ente provinciale di Salerno e la curia arcivescovile di Amalfi si conveniva il trasferimento nell'edificio dell'ex Seminario di Amalfi dell'istituto tecnico per il turismo «Marini-Gioia», dislocato temporaneamente nei due edifici di Amalfi e Minori;
   nonostante gli accordi sottoscritti e l'importanza strategica del trasferimento presso il nuovo edificio scolastico dell'ex seminario di Amalfi, i cui lavori di ristrutturazione sono stati finalizzati ad accogliere il suddetto istituto tecnico, a tutt'oggi non sembra esserci la volontà della provincia di Salerno di portare a compimento il trasferimento e onorare gli impegni assunti in sede di firma del contratto;
   in particolare, nel corso degli ultimi incontri tenutisi, nel novembre 2015, presso la provincia di Salerno, sarebbero sorti contrasti legati non già all'innovazione della didattica e alla tutela della sicurezza degli studenti, ma ad esigenze di carattere prettamente economico;
   secondo quanto emerge da una nota del consiglio d'istituto del «Marini-Gioia» Prot. n. 6798/A23 del 14 dicembre 2015 « a) è apparsa contrastante la volontà dell'Ente Provinciale sulla decisione di trasferire PTIT presso l'edificio dell’ex Seminario e non sono, allo stato, chiare tutte le condizioni per onorare il precontratto in essere; [...]c) sembra che incida negativamente nella decisione la stipula contrattuale tra il Comune di Minori e l'Ente Provinciale per il permanere della sezione distaccata del Turistico a Minori.»;
   come si legge nel suddetto documento, la stipula di quest'ultimo contratto tra il comune di Minori e la provincia risale al 2014 quando erano già in essere sia il precontratto sottoscritto con la curia arcivescovile sia i lavori in corso all’ex Seminario finalizzati ad accogliere l'istituto tecnico;
   secondo l'ente provinciale occorrerebbe, poi, un parere favorevole da parte di tutti i sindaci della Costiera amalfitana per il trasferimento presso l’ex Seminario di Amalfi e in tal senso, durante l'ultimo incontro del 25 novembre 2015, si sarebbero già espressi favorevolmente i sindaci di Amalfi, Maiori, Positano e Scala (questi ultimi due su delega del sindaco di Amalfi);
   le carenze esistenti nelle attuali sedi di Amalfi e di Minori sono state da tempo segnalate dall'istituzione scolastica interessata;
   l'importanza strategica del trasferimento presso il nuovo edificio scolastico dell'ex Seminario, i cui lavori di ristrutturazione, in questi anni, sono stati finalizzati ad accogliere l'istituto tecnico per il turismo, è innegabile, in quanto risolverebbe definitivamente gli annosi problemi, non più derogabili, relativi all'innovazione della didattica e alla sicurezza degli alunni di tutti gli istituti superiori accorpati nel «Marini-Gioia» –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, ritenga opportuno adottare per addivenire a una rapida soluzione della vicenda che tenga in debito conto, oltre alle necessità didattiche degli studenti, la sicurezza e l'idoneità degli spazi, ai fini della tutela della salute e del benessere degli alunni, del personale e dell'utenza scolastica tutta. (4-11811)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:

   COMINARDI, TRIPIEDI, CHIMIENTI, CIPRINI, DALL'OSSO e LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il fondo di previdenza del clero secolare e per i ministri di culto delle confessioni religiose diverse dalla religione cattolica è stato istituito presso l'INPS ai sensi dell'articolo 1 della legge 22 dicembre 1973, n. 903, con lo scopo di concedere agli iscritti una pensione di vecchiaia, di invalidità nonché una pensione ai superstiti e viene alimentato dai contributi degli iscritti e dal contributo dello Stato italiano;
   come riportato dal quotidiano online « liberoquotidiano.it», articolo del 19 luglio 2015, dal titolo «Inps, “Fondo clero” in rosso: le pensioni dei preti ci costano 2 miliardi di euro», emerge che all'esito dell'operazione trasparenza, denominata «Porte Aperte», risulterebbe costantemente in passivo il «fondo clero», che eroga la pensione a circa 13.788 sacerdoti, con un disavanzo patrimoniale di oltre 2,2 miliardi di euro che sarebbe coperto dalla fiscalità generale. Inoltre, secondo l'articolo, lo sbilancio del fondo del clero fra il 2002 e il 2015 sarebbe cresciuto da 56 a 115 milioni di euro;
   in merito all'alimentazione del Fondo di previdenza del clero e dei ministri di culto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica, gli interroganti evidenziano che, ai sensi degli articoli 6 e 21 della legge n. 903 del 1973, il fondo sarebbe alimentato dal contributo annuo obbligatoriamente dovuto da ogni iscritto nonché dal contributo dello Stato italiano che, con decreto del 7 ottobre 2014 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, è stato aumentato, a decorrere dal 1o gennaio 2013, da euro 7.693.286,34 a euro 7.924.084,93;
   alla luce delle disposizioni richiamate, gli interroganti intendono evidenziare come l'attuale disciplina normativa regolatrice del Fondo di previdenza del clero non possa ritenersi sostenibile all'interno del sistema previdenziale italiano, considerato che i contributi previdenziali e i trattamenti pensionistici sono rispettivamente versati e riconosciuti in misura fissa. Inoltre, la legge n. 903 del 1973 non sembrerebbe tenere conto della differenza tra i contributi effettivamente versati e la complessiva quota di risorse necessaria per far fronte alla concessione e l'erogazione dei trattamenti pensionistici in favore degli iscritti a tale Fondo, determinando un gravoso disavanzo per le casse dell'Inps e dello Stato italiano –:
   se il Ministro interrogato non intenda evidenziare i motivi che hanno comportato il deficit del Fondo di previdenza del clero sopra riportato e, di conseguenza, se non ritenga urgente e doveroso adottare le iniziative necessarie al fine di modificare l'attuale regime previdenziale a cui sono sottoposti gli iscritti al Fondo, abrogando il contributo dello Stato italiano di cui all'articolo 21 della legge n. 903 del 1973, anche al fine di salvaguardare il sistema previdenziale italiano. (5-07547)

   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, LOMBARDI, DE ROSA, BUSTO, ALBERTI e DALL'OSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Ciet impianti Spa, era un'azienda italiana leader nella progettazione, realizzazione e manutenzione di sistemi integrati ad alto contenuto tecnologico ed era una dei più importanti player italiani nel settore delle telecomunicazioni e dell'energia;
   dal sito dell'azienda, si legge che, grazie anche alla collaborazione dell'azienda Mancini Group Srl, Ciet disponeva di un fatturato medio annuo di 130 milioni di euro ed impiegava più di 1000 tra dirigenti ingegneri, tecnici, impiegati ed operai distribuiti sul territorio nazionale mediante la costituzione di sedi periferiche coordinate dalla direzione generale e operativa della sede principale di Arezzo;
   all'indirizzo reperibile in rete «www.ammstraordmancini.it», si legge che le società Mancini Group Srl, Ciet Impianti Spa, Cometi Spa, Mancini RE Srl, TTE Spa e Sicurt Spa, tutte facenti parte del «Gruppo Mancini» sono state ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria, regolata dal decreto-legge 23 dicembre 2003 n. 347, con decreto del Ministro dello sviluppo economico del 9 agosto 2013. Con il detto decreto è stato nominato commissario straordinario l'avvocato Antonio Casilli. Il tribunale di Arezzo, con sentenza del 22 agosto 2013, ha poi dichiarato, ai sensi dell'articolo 2 del decreto-legge 23 dicembre 2003 n. 347, lo stato di insolvenza delle predette società;
   molti dei lavoratori coinvolti nella crisi delle società indicate, sono entrati in regime di ammortizzatore sociale, ma per diversi di loro la spettante cassa integrazione straordinaria non è stata ancora erogata. È il caso di diversi lavoratori della Ciet Impianti spa, i quali hanno segnalata agli interroganti che da agosto 2015 è stata riconosciuta loro la cassa integrazione guadagni straordinaria ma che, allo stato attuale, non hanno ancora ricevuto. A detta degli interessati lavoratori, la causa di tali ritardi è da ricercarsi in un rimpallo di responsabilità fra ministeri ed Inps;
   alla data del deposito di detto atto parlamentare, molti dei lavoratori che non hanno percepito alcuna cassa integrazione guadagni straordinaria, con le loro famiglie si trovano a vivere in evidente disagio economico. Lo stato di povertà di molti dei lavoratori che da circa sei mesi non percepiscono alcun compenso, genera un più che evidente stato di assoluta urgenza per la risoluzione della situazione descritta –:
   se corrispondesse al vero la notizia che i lavoratori della Ciet Impianti spa non abbiano ancora usufruito cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga promessa, per quale motivo non sia stato ancora attivato detto procedimento concordato dal Governo con le parti sociali;
   sempre se la notizia corrispondesse al vero, se i Ministri interrogati, per quanto di competenza non intendano attivarsi per corrispondere nell'immediato ai lavoratori interessati, compresi quelli appartenenti alle altre aziende sopraindicate che nell'eventualità si ritrovino nella medesima situazione, le somme loro spettanti della cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga, comprese quelle arretrate non ancora erogate. (5-07552)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:

   L'ABBATE, GALLINELLA, PARENTELA, BENEDETTI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   i consorzi di tutela svolgono essenzialmente funzioni di tutela, promozione e valorizzazione del prodotto oltre a curare gli interessi relativi alle denominazioni;
   ai fini del riconoscimento il consorzio deve dimostrare la partecipazione agli organi sociali delle categorie di riferimento individuate all'interno di ciascuna filiera produttiva; nel caso della filiera dell'olio la percentuale di partecipazione dei soggetti produttori è pari al 66 per cento mentre il restante 34 per cento è ripartito tra frantoiani ed imbottigliatori come stabilito dalla vigente normativa;
   per alcuni consorzi, quali in particolare il consorzio «Terra di Bari» è estremamente complesso mantenere i requisiti di rappresentatività in quanto molte aziende olivicole si inseriscono nel sistema di certificazione della DOP «Terra di Bari» esclusivamente per poter accedere al beneficio del sostegno accoppiato di cui all'articolo 68 del Regolamento (UE) 73/2009 senza tuttavia iscriversi al consorzio;
   posto che il prodotto tutelato è l'olio e non le olive, così come più volte chiarito dallo stesso Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e considerato che, come risulta da dati ufficiali, su una quantità di olive certificate dall'ente camerale pari a 100, solo il 40 per cento diventa olio DOP Terra di Bari, sarebbe opportuno rivedere i criteri di rappresentatività e i soggetti certificatori della DOP anche in considerazione del nuovo sistema di pagamento unico per superficie previsto nel Regolamento (UE) 1307/2013 –:
   quali iniziative intenda intraprendere al fine di garantire l'operatività dei consorzi della filiera dell'olio, in particolare il Consorzio «Terra di Bari» ed evitare che l'iscrizione al sistema di certificazione della DOP da parte delle aziende olivicole sia esclusivamente un canale per accedere al premio PAC a prescindere da qualsiasi condivisione dei valori consortili. (5-07513)

   L'ABBATE, GALLINELLA, PARENTELA e GAGNARLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della epidemia causata dal batterio Xylella fastidiosa che ha devastato intere coltivazioni della regione Puglia, la tutela dell'olivicoltura regionale, e in particolare di quella salentina, è diventata una priorità non solo nazionale ma anche europea;
   tra gli interventi messi a punto per fronteggiare l'emergenza fitosanitaria e sostenere le aziende agricole gravemente danneggiate, il decreto legge 5 maggio 2015, n. 51, convertito dalla legge 2 luglio 2015, n. 91, consente l'accesso agli interventi compensativi di cui al fondo di solidarietà nazionale istituito dal decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102, alle imprese agricole che hanno subito danni a causa di infezioni di organismi nocivi ai vegetali con priorità, tra l'altro, per quelli legati alla diffusione del batterio Xylella fastidiosa;
   esperite tutte le procedure necessarie ad attivare gli interventi, al fine di ovviare ai danni causati alle produzioni agricole e alle strutture aziendali, il 21 luglio 2015 il Ministro interrogato ha firmato il decreto di declaratoria del carattere di eccezionalità delle infezioni di Xylella fastidiosa, che consente, di fatto, alle aziende interessate di beneficiare delle provvidenze previste;
   il citato decreto legislativo n. 102 del 2004 dispone che possono beneficiare degli interventi compensativi le imprese agricole che hanno subito danni superiori al 30 per cento della produzione lorda vendibile ma molte aziende interessate dal disseccamento rapido dell'ulivo hanno produzioni differenziate costituite non solo da uliveti ma anche da frutteti e vigneti; è indispensabile chiarire, per consentire la fruizione degli indennizzi alla maggior parte delle aziende danneggiate, se la quota in parola è da riferire alla sola produzione olivicola o se debba invece calcolarsi sul totale delle colture;
   a oggi, in attesa di una più chiara definizione dei percorsi di accesso ai benefici economici, la regione Puglia ha interrotto le procedure per la ripartizione dei fondi ed è pertanto previsto un prolungamento dei tempi che certamente aggrava la condizione di molte aziende che registrano una significativa contrazione dei propri redditi –:
   se non ritenga urgente assumere iniziative al fine di chiarire la norma di cui all'articolo 5 del decreto legislativo n. 102 del 2004 e consentire l'accesso agli indennizzi per le aziende agricole interessate dall'emergenza fitosanitaria causata dal batterio Xylella fastidiosa. (5-07515)

   L'ABBATE, PARENTELA, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA, GAGNARLI, LUPO e CARIELLO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   è res nota che il settore olivicolo-oleario nazionale attraversa una fase di profonda crisi strutturale e, considerato il pregio della produzione italiana di olio che costituisce una delle eccellenze del made in Italy agroalimentare, sono necessari interventi volti a recuperare e rilanciare la produttività;
   il decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51, recante disposizioni urgenti in materia di rilancio dei settori agricoli in crisi, di sostegno alle imprese agricole colpite da eventi di carattere eccezionale e di razionalizzazione delle strutture, ministeriali’ all'articolo 4 prevede «Disposizioni urgenti per il recupero del potenziale produttivo e competitivo del settore olivicolo-oleario»;
   con l'articolo 4, comma 1 «È istituito presso il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali un Fondo per sostenere la realizzazione del piano di interventi nel settore olivicolo-oleario con una dotazione iniziale pari a 4 milioni di euro per l'anno 2015 e a 14 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017»;
   inoltre, con l'articolo 4, comma 1 è previsto che «entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore», «con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, adottato previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono definiti i criteri e le modalità di attuazione del piano di interventi» –:
   quali iniziative il Ministro in indirizzo intenda attuare, con la massima celerità, affinché venga scongiurata la perdita della prima tranche di finanziamenti prevista dal decreto-legge n. 51 convertito dalla legge n. 91 del 2015 pari a 4 milioni di euro. (5-07518)

   ROMANINI, PATRIZIA MAESTRI e CARRA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Eridania Saddam, del Gruppo Maccaferri, ha annunciato la sospensione della prossima campagna bieticola 2016 per lo stabilimento di San Quirico di Trecasali (Parma);
   le ragioni di tale scelta, spiegate dall'azienda stessa in un comunicato stampa, derivano principalmente dalla scarsità delle offerte di coltivazione presentate dai bieticoltori per le semine di quest'anno nel bacino delle zuccherificio di San Quirico. Ciò a fronte del basso prezzo dello zucchero a livello europeo che con le forti eccedenze presenti sul mercato hanno causato un tracollo del prezzo dello zucchero in Italia;
   gli stessi motivi avevano già minato la campagna 2015, poi realizzata con volumi ridotti, grazie all'accordo interprofessionale per lo zuccherificio di San Quirico siglato al tavolo di filiera istituito presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, fra il gruppo Eridania Saddam e la Confederazione nazionale bieticoltori italiani. Un obiettivo che si auspicava di realizzare anche quest'anno, anche a fronte del fatto che nella legge di stabilità si è ricominciato a erogare parte dei finanziamenti dovuti, 5 milioni di euro in due anni, e in considerazione dell'impegno del Ministero che ha confermato i 17 milioni di euro di aiuti accoppiati al settore;
   lo zuccherificio di San Quirico impiega 80 lavoratori dipendenti e 150 stagionali, mentre sono oltre 1.200 i bieticoltori, iscritti alle associazioni di categoria, per un bacino che interessa le province di Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena, Mantova, Cremona e Lodi;
   nella nota emessa l'azienda precisa che «la conservazione dell'intero apparato tecnico e amministrativo e organizzativo, relativo alla trasformazione dello zucchero presente nell'impianto di San Quirico viene comunque garantita in modo da consentire un'eventuale ripresa dell'attività nel prossimo anno». Ciò nonostante sul territorio interessato alla produzione e coltivazione della barbabietola vi è estrema preoccupazione per il protrarsi di una crisi che peggiora anno dopo anno;
   più volte il Ministro interrogato, intervenuto sulla situazione dell'industria dello zucchero italiana, ha espresso l'intenzione di compiere un ulteriore passo per una strategia nazionale ed europea, in vista della fine del regime delle quote zucchero prevista per il 2017, mirata ad un rilancio di una filiera storica del nostro Paese e strategica per tutto l'agroalimentare italiano;
   in particolare il Consiglio dei ministri dell'agricoltura e della pesca dell'Unione europea nel 2015 ha avuto all'ordine del giorno «Il Futuro del settore saccarifero europeo» proprio su richiesta della delegazione italiana ed in tale occasione, il Ministro, sostenuto da diverse altre delegazioni – tra cui Austria, Belgio, Germania, Spagna — ha evidenziato la necessità di interventi straordinari volti ad affrontare le difficoltà per gli operatori del comparto saccarifero derivanti dall'attuale situazione di mercato e dalla decisione comunitaria di terminare il regime delle quote zucchero nel 2017;
   lo zuccherificio Eridania di San Quirico è uno dei tre ultimi impianti di trasformazione rimasti in Italia, dei 19 che ve ne erano, dopo il drastico ridimensionamento prodotto dalla riforma del settore bieticolo-saccarifero varata nel 2006. L'Italia è il Paese che con quella riforma ha rinunciato al maggior volume di quote con una riduzione del 67 per cento e già oggi la produzione nazionale di zucchero non arriva a coprire un terzo del consumo –:
   se la situazione che si è determinata per la campagna bieticolo-saccarifera dell'anno 2016, cioè la sospensione della produzione da parte di Eridania Sadam, sia nota al Ministro;
   se non ritenga necessario compiere ogni intervento atto a salvaguardare quel che è rimasto di un comparto strategico per il Paese come quello bieticolo-saccarifero, a non disperdere la sua residua capacità economica ed occupazionale, a mantenere e valorizzare la coltura della barbabietola nella rotazione delle aziende agricole, ad assicurare una produzione nazionale di qualità, nel rispetto di ogni regola sociale e ambientale per approvvigionare il mercato italiano in maniera sicura e stabile di una commodity indispensabile come lo zucchero;
   se sia intenzionato ad intraprendere qualche iniziativa per mantenere attivo nella filiera dello zucchero italiano anche questo impianto che ha generato risultati importanti per tanti anni a vantaggio dell'agroalimentare italiano e dell'agricoltura padana;
   se non ritenga necessario convocare le parti, ed in particolare l'azienda di trasformazione, per sondarne le intenzioni e per verificare a quali condizioni sia possibile, anche agendo a livello europeo in considerazione della fine del sistema delle quote, dare una prospettiva alla produzione bieticolo-saccarifera del Nord Italia, anche al fine di salvaguardare gli attuali livelli occupazionali. (5-07546)

Interrogazioni a risposta scritta:

   RIZZO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'area a nord est della Piana di Catania rappresenta un bacino agricolo della zona molto ricco di produzione di arance e ortaggi, delimitandosi tra la strada statale 417 Catania-Gela e la strada provinciale 74/II, attorno al bivio «Iannarello»;
   con ordinanza del 5 ottobre 2007, l'allora provincia regionale di Catania chiuse la strada provinciale 74/II. Fu vietato a qualsiasi mezzo, specie quelli agricoli, di raggiungere i fondi e di collegare i versanti della strada statale 417 con la strada statale 288;
   la località Iannarello è sempre stata fulcro e luogo ideale di incontri tra commercianti, produttori e mediatori della Piana di Catania, oggi è una zona semideserta, dove avviene di rado l'incontro fra la domanda e l'offerta;
   come si evince anche da un articolo de La Sicilia del 21 gennaio 2016 a firma Polizzi, diversi agricoltori oltre a denunciare i danni subiti dal fenomeno della cascola degli agrumi, cioè la caduta prematura dei frutti o dei boccioli da alberi e arbusti da frutto, denunciano l'assenza totale delle istituzioni dell'area metropolitana di Catania anche rispetto alle mutazioni morfologiche avvenute a causa degli straripamenti del torrente «Sbardalasino», affluente del fiume Gornalunga e al protrarsi dell'ordinanza di chiusura della strada provinciale 74/II che coinvolge circa 200 aziende del territorio che raccolgono almeno 500 operatori economici –:
   se il Governo sia a conoscenza delle gravi difficoltà in cui versano gli operatori economici di questa zona della Sicilia;
   se si intenda promuovere immediatamente un tavolo tecnico di discussione tra i rappresentanti locali delle associazioni aziendali, la prefettura, il commissario dell'ex provincia di Catania per definire un piano di azione certo e misurabile. (4-11815)

   ANDREA MAESTRI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, BRIGNONE, CIVATI, MATARRELLI, PASTORINO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea sembra sempre più intenzionata ad avviare il processo, di revisione delle norme che disciplinano l'etichettatura dei vini, previste dal regolamento (CE) n. 607/2009 «recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 479/2008 del Consiglio per quanto riguarda le denominazioni di origine protette e le indicazioni geografiche protette, le menzioni tradizionali, l'etichettatura e la presentazione di determinati prodotti vitivinicoli»;
   nella fase di preparazione della proposta di modifica del regolamento, la direzione generale agricoltura e sviluppo rurale della Commissione europea ha ipotizzato infatti di liberalizzare l'uso nell'etichettatura di tutti i vini, compresi quelli senza indicazione geografica, di quei nomi di varietà che oggi sono riservati in virtù delle norme comunitarie vigenti. In pratica si tratta di consentire l'uso di denominazioni senza un riferimento geografico ma con solo il nome del vitigno, senza curarsi del fatto che la storia e la tradizione le abbiano legate a un determinato territorio;
   il risultato sarebbe una pericolosa banalizzazione di alcune tra le più note denominazioni nazionali che si sono affermate sui mercati nazionale ed estero grazie al lavoro dei vitivinicoltori italiani;
   Coldiretti lancia l'allarme, dichiarando che valgono almeno 3 miliardi di euro i vini made in Italy, identificati da denominazioni, che rischiano ora di essere «scippate» all'Italia se la Commissione europea consentirà anche ai vini stranieri di riportare in etichetta nomi dei vitigni, quali ad esempio, Aglianico, Albana, Barbera, Brachetto, Cortese, Fiano, Lambrusco, Greco, Nebbiolo, Picolit, Primitivo, Rossese, Sangiovese, Teroldego, Trebbiano, Verdicchio, Negroamaro, Falanghina, Vermentino o Vernaccia, sfruttando così il lavoro portato avanti da anni dai produttori italiani;
   per il presidente di Coldiretti Ravenna, Massimiliano Pederzoli, «Non è ammissibile consentire l'uso di denominazioni senza un riferimento geografico, basate solo sul nome del vitigno. Non possiamo permettere una banalizzazione delle nostre denominazioni conosciute all'estero proprio grazie al lavoro dei nostri vitivinicoltori». Con la liberalizzazione «verrebbe infatti a perdersi la storia e la tradizione che legano il vino al territorio da cui deriva, per questo è necessario venga stralciata la proposta di modifica del regolamento ipotizzata dalla Direzione Agricoltura e Sviluppo Rurale della Commissione europea»;
   nel solo territorio ravennate, il comparto vitivinicolo, con i suoi preziosi vini di Sangiovese, Albana e Trebbiano, ha numeri importanti: detiene, infatti, una superficie vitata di circa 16 mila ettari, la più ampia dell'Emilia-Romagna, con una produzione totale in quintali pari a 3.605.590 (elaborazione Coldiretti su dati (Istat 2014), un 25 per cento della quale utilizzata per produrre vini DOC. Voce importante è quella dell’export che a livello regionale vale qualcosa come 390 milioni di euro, di questi il 35 per cento prodotti in provincia di Ravenna. I mercati di destinazione sono la Germania (49 per cento), gli Stati Uniti (8 per cento) e la Gran Bretagna (7 per cento);
   secondo il presidente di Coldiretti Ravenna, se passasse l'ipotesi di riforma, «si andrebbe a danneggiare fortemente il nostro vino creando meccanismi di concorrenza sleale all'interno della Ue in quanto qualsiasi produttore straniero potrebbe immettere sul mercato generici vini “Sangiovese di Romagna”, o “Albana”, o Trebbiano, godendo della notorietà delle rispettive denominazioni di origine (Doc e Docg), che hanno fatto conoscere questi prodotti nel mondo». La revisione del regolamento minerebbe conseguentemente l'immagine dei vini italiani, per la mancanza di altrettante qualità organolettiche;
   si ricorda incidentalmente la vicenda del Tocai Friulano storico vino italiano così denominato da secoli che ha dovuto cambiare il proprio nome in Friulano a causa di una controversia con l'Ungheria, produttrice di un diverso vino dal nome simile, il Tokaj ungherese. La vicenda si è conclusa in sede di (UE) con la decisione 23 novembre 1993, n. 93/724/CE. Con la pronuncia ricordata, la unione europea ha approvato l'intesa con l'Ungheria per la protezione della denominazione dei vini originari del predetto territorio nazionale. La conclusione dell'accordo negoziato tra la unione europea e la Repubblica d'Ungheria sulla tutela e il controllo reciproci delle denominazioni dei vini ha avuto l'obiettivo di combattere più efficacemente la concorrenza sleale nell'esercizio del commercio e di tutelare meglio il consumatore;
   i vini italiani rappresentano, assieme ad altri nostri prodotti di eccellenza, uno dei migliori veicoli per promuovere la produzione italiana all'estero e la cultura stessa del nostro Paese. Una ulteriore importante considerazione è relativa al grande valore economico rappresentato dal settore vinicolo il Italia, tanto che le esportazioni di vino nel 2015 hanno raggiunto il risultato record di 5,5 miliardi di euro con un aumento del 7 per cento sul dato del 2014, con ripercussioni notevoli in termini occupazionali, poiché il settore vitivinicolo offre un lavoro a circa un milione e duecentomila persone –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero, se siano a conoscenza del Ministro interrogato e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti intenda assumere al fine di scongiurare il pericolo sopra descritto, in considerazione dell'alto valore culturale del vino, che non è un semplice prodotto commerciale ma il frutto di un lavoro che ha visto l'impegno di generazioni di viticoltori che hanno tramandato il proprio sapere, aggiornato alla luce delle moderne tecnologie;
   se il Governo non ritenga opportuno adottare tutte le iniziative urgenti necessarie a scongiurare il pericolo di perdere l'identità territoriale del vino italiano e se intenda fornire ogni elemento utile sulle intenzioni della Commissione europea in relazione alla modifica del regolamento (CE) n. 607/2009. (4-11816)

SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XII Commissione:

   MONCHIERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Ministero della salute del 2 aprile 2015, n. 70 «Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera» pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 127 del 4 giugno 2015 articola, al punto 9.2 dell'allegato 1, la rete ospedaliera dell'emergenza su quattro livelli di operatività: ospedale sede di pronto soccorso, presidi ospedalieri in zone particolarmente disagiate, ospedale sede di D.E.A. di I livello, ospedale D.E.A. di II secondo livello;
   l'analisi svolta da AIGO, l'Associazione italiana dei gastroenterologici e endoscopisti digestivi ospedalieri, dal Ministero della salute, sulla base dei dati forniti dallo stesso Ministero (Convenzione tra AIGO e il dipartimento della programmazione e dell'ordinamento del servizio sanitario nazionale, decorrente dal marzo 2013 al settembre 2014), sull'appropriatezza dei ricoveri ospedalieri dei pazienti affetti da malattie dell'apparato digerente (MAD) rileva che il numero di tali ricoveri è di 1.000.000 mediamente per anno, che solo il 7,3 per cento dei ricoveri avviene in unità di gastroenterologia contro il 53,75 per cento in chirurgia e il 25,79 per cento in medicina e che questi dati contrastano, però, con l'analisi delle SDO – schede di dimissioni ospedaliera – di tali pazienti, in quanto esse risultano appropriate nelle altre specialità al 66,5 per cento e ben all'81,27 per cento in gastroenterologia;
   i dati esaminati confermano inoltre una mortalità intraospedaliera bassa per MAD urgenti trattati in gastroenterologia (1,70 per cento) contro il 3,83 per cento di MAD trattati in tutte le altre specialità;
   la gravità della principale emergenza in gastroenterologia, l'emorragia digestiva, viene spesso sottovalutata: questa patologia, infatti, registra in pronto soccorso una mortalità simile a quella dell'infarto (5-6 per cento), ma non è percepita come altrettanto pericolosa e se curata in gastroenterologia presenta un tasso di mortalità intraospedaliera minore (2,15 per cento) rispetto a quello rilevato nelle altre specialità (3,45 per cento);
   in regione Veneto e Lombardia è stata già identificata una rete per le emergenze gastroenterologiche (in particolare per l'emorragia gastro-enterica);
   la mancata estensione a tutto il territorio nazionale costituisce una discriminazione nei confronti dei cittadini che a tale rete non possono accedere –:
   se non ritenga opportuno revisionare il regolamento di cui al decreto ministeriale n. 70 del 2 aprile 2015, al fine di riconoscere la rete per le urgenze gastroenterologiche e identificare la gastroenterologia nei dipartimenti di emergenza e accettazione di I e II livello, sostenendo, all'interno del medesimo regolamento la dizione «Endoscopia digestiva ad elevata complessità» con quella di «UO di gastroenterologia ed endoscopia digestiva», oltre ad intraprendere iniziative per implementare tale reti all'interno delle regioni. (5-07530)

   RONDINI e CAPARINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   dal 20 gennaio 2016 tutte le società sportive, anche dilettantistiche, devono disporre di un defibrillatore semiautomatico (DAE o AED) e di personale adeguatamente formato durante le partite e gli allenamenti (decreto-legge 13 settembre 2012, n.158 cosiddetto «decreto Balduzzi»); l'adeguamento da parte delle associazioni sportive dilettantistiche al «decreto Balduzzi» in materia di «salvaguardia della salute dei cittadini che praticano attività sportiva agonistica, non agonistica o amatoriale...» rischia di generare notevoli difficoltà spingendo alla chiusura le realtà meno attrezzate dal punto di vista organizzativo;
   in particolar modo la modifica alla normativa crea grossi problemi organizzativi alle piccole strutture palesemente penalizzate e, al contrario, di conseguenza agevola i grossi circoli;
   il decreto del Ministero della salute del 23 aprile 2012 detta che tutte le associazioni e società sportive, anche dilettantistiche, ad eccezione di quelle «che svolgono attività sportiva con ridotto impegno cardiocircolatorio, quali bocce (escluse bocce in volo), biliardo, golf, pesca sportiva di superficie, caccia sportiva, sport di tiro (lancio del piattello tiro con l'arco, e altro), giochi da tavolo e sport assimilabili» saranno soggette agli obblighi del decreto;
   la normativa non pone vincoli numerici, ma deve essere garantita la presenza di personale formato sia durante le partite, sia durante gli allenamenti, così come stabilito dalle linee guida (allegato E) del decreto del Ministero della salute del 23 aprile 2012;
   potrebbe, ad esempio, essere sufficiente, per assolvere agli obblighi di legge, formare solo l'allenatore (se la sua presenza fosse garantita durante tutte le attività) oppure gli assistenti, dirigenti e/o qualche giocatore, in modo da garantire sempre la presenza di almeno una persona preparata. Purtroppo, ci sono molti soggetti di formazione, più o meno seri, che propongono pacchetti di formazione che non hanno i requisiti previsti dalla legge per poterlo fare;
   le strutture interessate finora gestite amatorialmente e grazie al supporto di associazioni sportive in genere dal 20 gennaio 2016 non sono più messe in grado di operare, con un evidente danno sociale ed economico per la collettività;
   una delle contraddizioni si evince da come appaia impensabile prevedere la garanzia della incolumità fisica ad un podista, che pur tesserato FIDAL, da amatore si alleni al di fuori di strutture sportive e come non sia ancora obbligatoria in tutte le regioni, solo alcune hanno già provveduto, la presenza di DAE nelle scuole medie e superiori dove l'educazione fisica è una materia praticata come di fatto nelle associazioni sportive;
   appare evidente quindi la inadeguatezza del sistema formativo che: 1) non segue le linee guida internazionali AHA o ERC; 2) non si basa su una didattica la cui qualità sia riconosciuta (come ad esempio l'American Heart Association, che ogni anno forma 13 milioni di persone in tutto il mondo); 3) non è accreditato nella regione o provincia autonoma dove si svolge l'attività sportiva; 4) non dispone di istruttori certificati e riconosciuti dalla regione/provincia autonoma (alcune regioni/province autonome – come quella di Trento – ad esempio, hanno un albo degli istruttori autorizzati, generalmente disponibile online);
   defibrillatore deve essere presente e può essere acquistato dalla società sportiva, da un gruppo di società sportive o da chi gestisce l'impianto sportivo (in questi ultimi due casi, il defibrillatore può essere condiviso tra più società sportive che condividono gli stessi spazi per le proprie attività) e, in ogni caso, ciascuna società sportiva deve assicurarsi (e ne è responsabile) della presenza defibrillatore e di personale formato, si pone il problema dell'esborso economico –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere per la corretta applicazione della norma agevolando la formazione e l'acquisto delle attrezzature senza pesare in alcun modo sulle associazioni lontane che già tanto fanno per la promozione dello sport di base. (5-07531)

   LOREFICE, GRILLO, BARONI, MANTERO, SILVIA GIORDANO, COLONNESE e DI VITA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sulla base di un'inchiesta realizzata tra i suoi associati, l'Associazione chirurghi ospedalieri italiani (Acoi), ha denunciato il progressivo deterioramento della qualità dei bisturi con conseguenze sia estetiche, perché il taglio perde la famosa precisione chirurgica, sia infettive perché, aumentando il trauma cutaneo per incidere una superficie, si aumenta il rischio di contaminazione batterica della ferita, inoltre secondo i chirurghi ospedalieri, dovendo aumentare la forza per incidere una superficie, si rischia di tagliare oltre le intenzioni dell'operatore;
   gli amministratori delle ASL hanno giustificato le ragioni dell'impiego di questi bisturi con la necessità di contenere i costi, ma la continua ricerca del prezzo di mercato più basso, con criteri di valutazione spesso discutibili la parte delle commissioni regionali, secondo l'Acoi, «ha determinato un livellamento verso il basso della qualità: il prezzo non può e non deve essere l'unico criterio di valutazione, a scapito della qualità e della sicurezza»;
   peraltro, tale scelta si rivelerebbe antieconomica, in quanto per uno stesso intervento può essere necessario utilizzare più bisturi, cosa che non si verificherebbe con un buon bisturi che, al contrario, potrebbe essere utilizzato più volte durante lo stesso intervento;
   a questa denuncia si affiancano quella fatta nei mesi scorsi dal presidente della Società italiana di chirurgia il quale aveva segnalato che i guanti di lattice forniti erano troppo sottili e che i medici erano costretti a usarne due paia assieme nonché, quella relativa misuratori della glicemia cinesi non funzionanti che portarono molti malati diabetici al pronto soccorso;
   nei giorni scorsi anche l'Associazione Biomedicali di Assobiomedica, che riunisce le imprese produttrici di dispositivi medici aveva invocato criteri «di sicurezza» nelle gare di acquisto per le forniture al servizio pubblico per evitare che basi d'asta molto basse possano lasciar ampio spazio alle cosiddette «cineserie» importate da mercati emergenti;
   è necessario assicurare quindi che nelle procedure per gli acquisti di forniture sanitarie l'aspetto qualitativo e la sicurezza dei pazienti siano primari rispetto al criterio della vantaggiosità dell'offerta –:
   se non ritenga di avviare una verifica sui fatti esposti in premessa, che sembrano interessare quasi tutti gli ospedali italiani, e di adottare conseguentemente tutte le iniziative di competenza volte a tutelare e garantire la salute dei pazienti assicurando la piena funzionalità dei dispositivi medici impiegati dagli operatori. (5-07532)

   LENZI, MURER, AMATO, ARGENTIN, CARNEVALI, PIAZZONI, SBROLLINI, MARIANO, FOSSATI, D'INCECCO, BENI, PAOLA BOLDRINI e MIOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le polemiche sollevate dalla trasmissione televisiva «Presa diretta» e da un articolo dell'autorevole New York Times ripropongono il problema della piena applicazione della legge n. 194 del 1978 già sollevato peraltro in questa legislatura, in una recente mozione a prima firma Lenzi e sottoscritta da numerosi deputati (1-00074) approvata dalla Camera l'11 giugno 2013;
   vale la pena ricordare che l'obiezione di coscienza è prevista all'articolo 9 della legge n. 194 del 1978: «Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l'interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione»; al terzo comma si precisa che: «l'obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l'interruzione della gravidanza, e non dall'assistenza antecedente e conseguente all'intervento»; lo stesso articolo stabilisce, però, al quarto comma che: «Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure previste dall'articolo 7 e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l'attuazione anche attraverso la mobilità del personale»;
   la legge n. 194 del 1978 distingue, quindi, tra diritto del singolo all'obiezione e diritto della donna alla libera scelta in materia di procreazione, e tra diritto del singolo ad obiettare ad una legge dello Stato e obbligo per lo Stato di dare attuazione al servizio previsto;
   in Italia il 70 per cento dei medici e degli infermieri sono obiettori di coscienza. Questa è la media, perché ci sono regioni d'Italia dove l'obiezione è ancora più alta. La Calabria sta al 73 per cento, la Campania all'82 per cento, in Puglia gli obiettori di coscienza sono l'86 per cento del totale, in Sicilia si ha l'87,6 per cento di obiettori e nel Lazio l'80 per cento. In Basilicata siamo arrivati al 90 per cento di obiettori e il Molise ha la maglia nera, con il 93,3 per cento, che significa che in quella regione sono solo due i medici che applicano la legge n. 194 e praticano l'interruzione volontaria della gravidanza. Ma il dato che impressiona di più è che, se si escludono la Valle D'Aosta che sta al 13,3 per cento e la Sardegna che sta al 49,7 per cento, tutte le regioni di Italia sono sopra il 50 per cento, anche le regioni cosiddette di sinistra, Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Marche. Questo significa che praticare l'interruzione di gravidanza è diventato per le donne italiane un percorso ad ostacoli e contro il tempo;
   non è così nel resto d'Europa. In Francia tutti gli ospedali pubblici hanno l'obbligo per legge di rendere disponibili i servizi di interruzione della gravidanza. In Inghilterra è obiettore solo il 10 per cento dei medici ed esistono centri di prenotazione aperti 24 ore su 24, sette giorni su sette, e, infine, tutti gli operatori che decidono di lavorare nelle strutture di pianificazione familiare non possono dichiararsi obiettori. In Svezia non esiste il diritto all'obiezione di coscienza –:
   quale sia ad oggi il reale stato di applicazione della legge n. 194 del 1978, nonché quali iniziative intenda predisporre, nei limiti delle proprie competenze, affinché nell'organizzazione dei sistemi sanitari regionali si attui il quarto comma dell'articolo 9 della legge n. 194 del 1978, nella parte in cui si prevede l'obbligo di controllare e garantire l'attuazione del diritto della donna alla scelta libera e consapevole, anche attraverso una diversa gestione e mobilità del personale, garantendo la presenza di un'adeguata rete di servizi sul territorio in ogni regione. (5-07533)

   NIZZI e FABRIZIO DI STEFANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 ottobre 2015 è stata nominata come presidente del consiglio di amministrazione dell'Istituto zooprofilattico sperimentale dell'Abruzzo e del Molise «G. Caporale» di Teramo l'avvocato Manola Di Pasquale;
   l'articolo 7, comma 1, del vigente decreto legislativo n. 39 del 2013 «Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190» stabilisce, tra le varie disposizioni, che a coloro che nell'anno precedente siano stati componenti del consiglio di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti della medesima regione che conferisce l'incarico non possono essere conferiti gli incarichi di amministratore di ente pubblico di livello regionale;
   l'articolo 17, comma 1, del decreto legislativo n. 39 del 2013 prevede che: «Gli atti di conferimento di incarichi adottati in violazione delle disposizioni del presente decreto e i relativi contratti sono nulli»;
   l'articolo 1, comma 2, lettera l), del citato decreto legislativo contempla fra gli incarichi inconferibili anche quelli concernenti organi di indirizzo: «Ai fini del presente decreto si intende: l) per ”incarichi di amministratore di enti pubblici e di enti privati in controllo pubblico”, gli incarichi di Presidente con deleghe gestionali dirette, amministratore delegato e assimilabili, di altro organo di indirizzo delle attività dell'ente, comunque denominato, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico»;
   la legge regionale 21 novembre 2014, n. 41, denominata «Riordino dell'Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell'Abruzzo e del Molise G. Caporale», reca la seguente disposizione all'articolo 8, comma 1: «Il Consiglio di Amministrazione, che dura in carica quattro anni, è composto da tre membri, muniti di diploma di laurea magistrale o equivalente ed aventi comprovata professionalità ed esperienza in materia di sanità pubblica veterinaria e sicurezza degli alimenti, di cui uno designato dal Ministro della Salute, uno designato dalla Regione Abruzzo ed uno designato dalla Regione Molise»;
   l'avvocato Manola Di Pasquale è stata riconfermata consigliere comunale dal 2014 del comune di Teramo, città con più di 15.000;
   per inciso, l'avvocatessa Di Pasquale, per quanto è possibile conoscere dal suo curriculum vitae pubblico, non pare agli interroganti abbia comprovata esperienza in materia di sanità pubblica veterinaria e sicurezza degli alimenti, come previsto dalla norma;
   in data 9 gennaio 2016 è stato nominato direttore dell'Istituto zooprofilattico sperimentale dell'Abruzzo e del Molise «G. Caporale» il dottor Mauro Mattioli;
   il Ministro, relativamente alla possibile nomina del professor Mauro Mattioli, in data 11 gennaio 2016 ha formalmente espresso, al presidente della regione Abruzzo, parere contrario alla nomina del professor Mauro Mattioli a direttore dell'Istituto –:
   se gli incarichi affidati all'avvocato Di Pasquale e al professor Mauro Mattioli siano stati correttamente conferiti a norma di legge e quali iniziative di competenza il Ministero intenda assumere in merito anche alla eventuale nullità degli atti conseguenti. (5-07534)

Interrogazioni a risposta in Commissione:

   SILVIA GIORDANO, COLONNESE, MANTERO, LOREFICE, DI VITA, GRILLO e BARONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 5 ottobre 2015 il Ministero della salute ha pubblicato i dati dell'Istituto superiore di sanità (ISS) sui tassi di vaccinazione pediatrici. La copertura nel nostro Paese per poliomielite, tetano difterite e epatite B sono al di sotto del 95 per cento, valore che scende all'86 per cento per anti morbillo, rosolia e parotite, 4 punti in meno rispetto alla rilevazione precedente;
   dopo la pubblicazione dei suddetti dati, i vaccini sono stati al centro del dibattito dell'opinione pubblica; sul tema si sono moltiplicati articoli e interviste con tesi molto contrastanti, sia su in giornali che in televisione;
   il 18 ottobre 2015 il dottor Stefano Montanari è stato ospite in prima serata nel programma « open space» in cui ha affermato «Noi abbiamo analizzato 28 vaccini, in 27 vaccini abbiamo trovato la presenza di polveri inquinanti solide, inorganiche, non biodegradabili e non biocompatibili. Queste sostanze fanno terribilmente male. Queste sono polveri che sono quasi sempre molto piccole, più Piccole di 2,5 micron, questa è una misura importante, perché OMS nel 2013 ha stabilito, quello che noi aveva detto molti anni prima, cioè queste polveri sono cancerogene, queste polveri passano da madre a feto, queste polveri possono arrivare al cervello e causare malattie neurologiche, cosa peraltro scritta in tutti i bugiardini dei vaccini. I risultati di queste analisi sono stati pubblicati nel libro Case Studies in Nanotoxicology edito da Academic Pr uno dei più grandi editori al mondo del settore»;
   il 21 ottobre 2015 nella trasmissione televisiva la gabbia, andata in onda in prima serata su La 7, il dottor Montanari ha affermato «analizzando 27 vaccini ho trovato la presenza di acciaio, alluminio, ferro, sodio, rame, cloro e tantissime altre particelle. Queste particelle nella maggior parte dei casi non provocano nulla, ma se e quando arrivano al cervello fanno dei disastri, possono provocare dei danni irreversibili. Io non sono contrario alle vaccinazioni, le vaccinazioni sono utilissime, io sono contro i vaccini per come sono preparati oggi, che sono un vero e proprio cocktail di porcherie, su 27 vaccini ad uso umano analizzati 27 risultano inquinati»;
   secondo i dati auditel tali trasmissioni sono seguite da un pubblico che varia da 600.000 alle 800.000 persone, onde evitare ulteriori allarmismi è parere dell'interrogante che il Ministero chiarisca i fondamenti scientifici di quanto dichiarato dal dottor Montanari, data la mancanza di affermazione del Ministero a riguardo;
   la dott.ssa Antonietta Gatti su « La Stampa» ha scritto «Nelle mie osservazioni al microscopio elettronico io ho visto presenze estranee che a mio avviso non hanno niente a che fare con il vaccino e la sua funzione. Particelle di Piombo, di acciaio, di Zolfo e Bario. Suppongo che si tratti d'inquinanti, cioè di qualcosa di non voluto correlato al processo industriale di produzione. Le ditte produttrici hanno un controllo solo sul processo e le verifiche sul prodotto finito non sono così stringenti. Ora l'iniezione di questi corpi estranei e di virus anche molto aggressivi seppur "debilitati" può produrre tutti gli effetti indesiderati che la casa farmaceutica dichiara. È una questione di causalità. Se il detrito come uno di quelli che ho rilevato nei vaccini portato dal sangue va ad aderire alle pareti del cuore, può indurre una semplice tachicardia. Se, invece, finisce nel cervello, può indurre infiammazioni, cioè encefalopatie e, per la sua tossicità chimica, può indurre necrosi»;
   i risultati scientifici delle analisi sui vaccini condotte dal dottor Montanari e dalla dottoressa Gatti sono stati pubblicati nel libro Case Studies in Nanotoxicology;
   in una intervista il dottor Montanari ha affermato: «Se da una parte imperversano le mamme che, palesemente ignoranti sull'argomento, incolpano i vaccini di ogni male del mondo e, giusto tra parentesi, mi è stato appena chiesto se i vaccini possono causare scoliosi, dall'altra il campo è occupato da veri e propri criminali. Mentire sull'attività reale dei vaccini, mentire sugli effetti collaterali negando anche le evidenze più evidenti, insabbiare sul nascere il problema degli inquinanti come se si trattasse d'immaginazione, condurre sperimentazioni addirittura ridicole, minacciare chi ha dubbi ed è restio a vaccinare i figli, praticare vaccinazioni palesemente illegali come la famigerata esavalente: tutte cose al di fuori della morale e della legittimità. Ecco, io non posso accettare situazioni del genere e chiedo che sia fatta finalmente luce sui vaccini. Malauguratamente vaccini e quattrini fanno una rima baciata e, se è vero che con i quattrini non si compra tutto, si possono comprare molte cose. Compresa l'anima di chi l'anima la mette in vendita. Se la luce non vuole essere fatta, mi si permetta di pensare male»;
   secondo il presidente dell'Istituto superiore di sanità, Walter Ricciardi, i medici sfavorevoli alla vaccinazione sono la minoranza ma sufficienti per innescare nei genitori la miccia del dubbio sulla presunta pericolosità di farmaci, poi il passaparola tra le mamme fa il resto. Per invertire la curva occorre intervenire sui medici con iniziative di formazione. Solo un cambiamento culturale può risolvere il problema alla radice;
   tutto ciò è affermato anche dal nuovo PNPV 2014 – 2016 che auspica la realizzazione di interventi di informazione e comunicazione di provata efficacia per fronteggiare il fenomeno della esitazione sui vaccini –:
   se siano state eseguite analisi sui vaccini al fine di verificare l'eventuale presenza di micro e nanoparticelle metalliche, e, in caso di risposta affermativa, quali siano stati i risultati e dove sia possibile visionare tale pubblicazione;
   se non ritenga necessario, per eliminare il dubbio sulla presunta pericolosità dei vaccini, smentire pubblicamente quanto affermato dal dottor Montanari con dati scientifici;
   se non siano state eseguite verifiche, se non ritenga opportuno intervenire affinché l'Istituto superiore di sanità svolga analisi dettagliate ed adeguate a verificare l'eventuale presenza di polveri inquinanti nei vaccini, e quali sono le ragioni di tali ritardi;
   se i dati esposti sui vaccini nel libro Case Studies in Nanotoxicology siano corretti. (5-07512)

   L'ABBATE, PARENTELA, MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA, GAGNARLI e LUPO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   al fine di monitorare, tutelare e rendere trasparente il mercato dei conigli vivi da carne da allevamento nazionale è stata istituita la Commissione unica nazionale — CUN con il compito di definire anticipatamente tendenze di mercato e prezzi relativi alla settimana successiva;
   il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha incaricato la Borsa merci telematica italiana società cooperativa per azioni di sovrintendere alle funzioni di segreteria della CUN conigli vivi con una azione di supporto nella definizione, su base settimanale, degli elementi informativi necessari ai commissari per svolgere il proprio lavoro;
   risulta all'interrogante che Borsa merci telematica abbia chiesto al Ministero della salute di poter inoltrare direttamente alle ASL delle regioni ove hanno sede la maggior parte degli allevamenti e dei macelli la richiesta di fornitura dei dati in loro possesso relativi ai carichi di macellazione dei conigli;
   il Ministero non ha accolto la suddetta richiesta ritenendo più opportuno procedere direttamente a verificare la disponibilità, da parte delle regioni, dei dati in questione per poi trasmetterli a Borsa merci telematica al fine di consentirgli lo svolgimento del lavoro;
   ad oggi, nonostante la richiesta di cui sopra sia stata inoltrata nel 2013, non risulta trasmesso a Borsa merci telematica alcun elemento informativo da elaborare, con conseguente impossibilità per la CUN di operare e procedere alla definizione dei prezzi di riferimento –:
   di quali ulteriori elementi disponga il Ministro in relazione a quanto espresso in premessa e se non ritenga di dover procedere con urgenza alla raccolta dei dati in possesso delle regioni e alla loro trasmissione a Borsa merci telematica, anche in considerazione della recente istituzione delle commissioni uniche nazionali per le filiere maggiormente rappresentative del sistema agricolo-alimentare, introdotta dal decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51 convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 2015, n. 91, per la cui operatività è indispensabile poter disporre di elementi informativi aggiornati e dettagliati. (5-07514)

   GRILLO, BARONI, COLONNESE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da notizie stampa riportate da vari giornali on-line (Primo numero; Termoli online, Altro Molise, in articoli tra settembre 2012 e dicembre 2013) si apprende che i vertici dell'ASREM (azienda sanitaria regionale del Molise) non utilizzano più agenzie interinali di lavoro per assunzioni in sanità;
   tale decisione è stata assunta dopo un'inchiesta dei nas provinciali, che avevano effettuato ispezioni al poliambulatorio di Termoli, all'ospedale «G. Vetri» di Larino e all'ospedale «F. Veneziale» di Isernia. Indagati fisioterapisti, infermieri e personale di un'agenzia interinale di Termoli;
   l'inchiesta è partita a seguito di una prassi consolidata, negli ultimi sette anni, di assunzione di nuova occupazione per le strutture sanitarie solo attraverso le agenzie interinali molisane; tale inchiesta risulta essere conclusa;
   secondo le indagini e da quanto riportato dalle fonti giornalistiche, presso l'agenzia interinale di Termoli veniva «selezionato» personale «raccomandato» e le undici persone iscritte nel registro degli indagati dovrebbero rispondere del reato di assunzioni irregolari, oltre al fatto che gli assunti avrebbero ricoperto posizioni contrattuali differenti dalle mansioni per le quali erano concretamente impiegati;
   permane a tutt'oggi il blocco dei concorsi e dello scorrimento delle graduatorie di vincitori di concorsi nella sanità molisana, che arreca un danno ai diritti di quei cittadini vincitori di concorsi;
   la regione Molise ha siglato con il Ministero della salute il piano di rientro dal disavanzo delle spese sanitarie il 27 marzo 2007;
   nel monitoraggio formale dei risultati ottenuti dalla regione Molise per quanto riguarda la gestione del personale, nella riunione di dicembre 2011 sul sito del Ministero della salute si legge: «il ricorso a forme di lavoro flessibile diverso dal rapporto di dipendenza nonché a personale a tempo determinato giustificato con l'esigenza della garanzia dei LEA è particolarmente rilevante in alcuni settori dell'attività ospedaliera. Gli organismi di monitoraggio hanno rilevato come la gestione del personale risulti totalmente priva di governo da parte dell'ASREM e come la stessa continui ad agire in violazione del blocco del turn over.» –:
   se siano a conoscenza dell'indagine giudiziaria sopra menzionata, che ha investito l'ASREM;
   se il Governo, nell'ambito del monitoraggio sull'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, sia a conoscenza del numero di lavoratori assunti attraverso agenzie interinali ed impiegati a tempo determinato nelle strutture sanitarie della regione Molise e quale sia la loro entità dal 2011 ad oggi;
   se il Governo non ritenga, per quanto di competenza, che l'utilizzo del lavoro interinale comporti un aggravio di spesa per le casse dell'ASREM, anche in presenza di vincitori di concorso in sanità in regione Molise e sia in contrasto con una gestione controllata delle spese sanitarie;
   se il Governo non ritenga, nell'ambito delle proprie competenze e per quanto riguarda il monitoraggio formale dei provvedimenti che la regione Molise è tenuta a realizzare per il rientro dal disavanzo delle spese sanitarie, d'intraprendere tutte le iniziative per verificare la correttezza nelle assunzioni di personale nel settore sanitario in regione Molise. (5-07520)

Interrogazione a risposta scritta:

   CAPELLI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda sanitaria locale di Nuoro è al momento gestita da un commissario straordinario, nominato con delibera della giunta regionale n. 51/2 del 20 dicembre 2014; a detto commissario, con la medesima delibera è stato assegnato l'obiettivo specifico di «valutare i costi e le eventuali criticità del contratto di concessione relativo alla progettazione, costruzione e gestione dei lavori di ristrutturazione e completamento mediante project financing, con particolare riferimento al costo dei servizi oggetto dell'atto aggiuntivo n. 2 approvato dalla Asl di Nuoro con deliberazioni n. 293 del 4 marzo 2013 e n. 1824 del 19 dicembre 2013, definizione dei relativi margini di risparmio e adozione delle azioni conseguenti»;
   su tale contratto di concessione è in corso, e sarebbe in Via di conclusione, una specifica istruttoria dell'Anac (Autorità nazionale anticorruzione);
   la stessa Anac, nelle linee guida sulla finanza di progetto, approvate con determinazione n. 10 del 23 settembre 2015, al paragrafo 3.1, pagina 8, precisa quanto segue: «(...) Si richiama, pertanto, l'attenzione delle stazioni appaltanti ad una corretta valutazione della ricorrenza, nelle singole fattispecie, delle condizioni e dei presupposti che caratterizzano il contratto di concessione; distinguendolo dal differente strumento contrattuale dell'appalto. Una corretta qualificazione giuridica dell'operazione posta in essere è, infatti, presupposto indispensabile per la corretta individuazione della disciplina giuridica e contabile da applicare. A tale riguardo, si richiamano le conseguenze in punto di responsabilità amministrativa e contabile per gli eventuali maggiori costi sopportati dall'amministrazione a causa di un utilizzo improprio dei Contratti di Ppp e del PF. In particolare, giova sottolineare come il giudice amministrativo abbia sancito la nullità per illiceità della causa, ai sensi dell'articolo 1344 del codice civile ("contratto in frode alla legge"), di un contratto di concessione nel quale non erano stati osservati i precetti comunitari nella distribuzione dei rischi (v. Tar Sardegna, sentenza 10 marzo 2011, n. 213). Sotto il profilo della responsabilità amministrativo-contabile la Corte dei Conti ha più volte evidenziato come sia necessario accertare che il contratto da concludere abbia le caratteristiche proprie del Ppp con utilizzo di risorse private ai sensi del comma 15-ter dell'articolo 3 del Codice e non rappresenti, invece, un meccanismo elusivo del divieto di indebitamento dell'Ente sia per precedenti violazioni del patto di stabilità che per mancato rispetto dei parametri ex articolo 204 TUEL (v. ex multis Corte dei Conti, Sez. Reg. Contr. Veneto, 2 settembre 2011, n. 352/2011/par, in tema di leasing immobiliare)»;
   il passaggio sopra richiamato riguarda la situazione della asl di Nuoro ed il contratto di concessione ricordato;
   il commissario straordinario, nel perseguimento dell'obiettivo assegnatogli, e in ciò affiancato, dal mese di aprile 2015 da un nuovo direttore amministrativo, ha avviato una certosina azione di verifica che ha portato a mettere in luce i numerosi vizi di legittimità, nonché l'antieconomicità, sia dell'atto aggiuntivo n. 2, sia del contratto originario;
   grazie anche alla collaborazione attivata con 1'UTFP (unità tecnica per la finanza di progetto) ed in piena collaborazione con le altre autorità interessate, il commissario straordinario ha ottenuto di recente un puntuale ed articolato parere da parte della citata unità tecnica, che nel contempo ha effettuato un'attenta analisi dei PEF (piani economico-finanziari), che conferma le criticità già rilevate dalla gestione commissariale; il commissario ha, quindi, proceduto, con deliberazione n. 1679 del 28 dicembre 2015, ad avviare il procedimento di annullamento dell'atto aggiuntivo n. 2, nonché ad una fase di revisione, giuridica ed economica, del contratto originario, nei limiti di quanto consentito dalla legge e nell'ottica di una corretta riallocazione dei rischi a carico del concessionario, e ciò al fine di garantire l'interesse pubblico al completamento delle opere di valenza strategica per la sanità nuorese;
   in tale scenario, nel quale la direzione aziendale sta operando in una situazione di particolare delicatezza e complessità, si assiste ad un operato del collegio sindacale della Asl di Nuoro che non appare in linea con l'azione della direzione; infatti, anziché concentrarsi sulle proprie funzioni, con modalità irrituali ed anomale, e basandosi anche su lettere anonime tutte finalizzate a destabilizzare la direzione aziendale nel suo complesso, il succitato collegio sindacale di fatto tende a mettere in discussione l'azione della direzione, creando una inevitabile turbativa nella difficile azione che la stessa sta portando avanti, con particolare riferimento al contratto di project financing;
   si ricorda che ai sensi dell'articolo 3-ter del decreto legislativo n. 502 del 1992 (riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), un collegio sindacale, dura in carica tre anni ed è composto da cinque componenti, di cui due nominati dalla regione, uno designato dal Ministro dell'economia e delle finanze, uno dal Ministro della salute, e uno dalla Conferenza dei sindaci; il collegio sindacale, ai sensi del primo comma dell'articolo 3-ter del citato decreto legislativo n. 502 del 1992, ha, tra l'altro i compiti di verificare l'amministrazione dell'azienda sotto il profilo economico e di vigilare sull'osservanza della legge;
   risulta evidente, a giudizio dell'interrogante considerazione di quanto finora emerso, con riferimento al contratto di project financing, ed in particolare con riferimento all'atto aggiuntivo n. 2, approvato nel 2013 e stipulato nel mese di gennaio 2014, che nessuna delle principali funzioni attribuite dalla legge al collegio sindacale sia stata adeguatamente svolta, in quanto se fossero stati garantiti un'adeguata vigilanza e controllo, sia sotto il profilo della legittimità agli atti, che sotto il profilo economico, l'azienda non avrebbe avuto i danni economici che stanno, invece, emergendo ed ai quali, faticosamente, la dirigenza aziendale sta oggi ponendo rimedio con atti concreti di
natura stragiudiziale, assumendosi una responsabilità amministrativa e patrimoniale per sopperire a quello che risulta agli interpellanti essere stato un inesistente sistema di controlli interni, che è venuto a mancare nell'ambito della asl di Nuoro proprio a causa dell'attività del collegio sindacale ancora operante: infatti, nessun concreto contributo risulta agli interpellanti essere stato fornito dal collegio sindacale al commissario; ad esempio, laddove questo, di, propria iniziativa, ha deciso di applicare l'iva al 10 per cento, e non al 22 per cento come preteso, il collegio ha espresso parere contrario alla delibera del commissario sul canone integrativo di disponibilità relativo alle opere ricomprese nel project financing, venendo, quindi, meno, a parere degli interpellanti, alla propria funzione di organo garante della legittimità ed economicità dell'azione aziendale;
   per contro, tale collegio, fin dall'insediamento del commissario straordinario, ha posto in essere, a quanto consta all'interrogante, comportamenti non collaborativi nei confronti dello stesso, sia contestandone con motivazioni infondate l'imprescindibile ricorso a legali esperti della materia, sia con il tentativo, già ricordato, di mettere in discussione la dirigenza aziendale, nei confronti della quale ha operato, con numerose azioni, sulla base di segnalazioni anonime e non, che, a giudizio degli interpellanti, sono state di rilevante gravità, tanto che la stessa si è vista costretta a ricorrere, a propria tutela, all'autorità giudiziaria;
   nel momento in cui la giunta regionale ha incaricato un commissario straordinario della gestione della asl di Nuoro, nella consapevolezza di una situazione che presentava elementi di criticità per profili di illegittimità ed antieconomicità di atti posti in essere in virtù del ricordato contratto di concessione, sarebbe stato necessario intervenire, a parere degli interpellanti, anche nei confronti del collegio sindacale, data l'evidente situazione di potenziale, se non addirittura effettivo, conflitto di interessi che viene a determinarsi per un collegio che si trova oggi ad ingerire in atti che hanno invece lo scopo di ripristinare legittimità ed economicità nell'ambito aziendale –:
   quali iniziative di competenza intendano intraprendere i Ministri interrogati, di concerto con gli altri soggetti interessati, ed in particolare con la regione Sardegna, per affrontare concretamente una situazione critica quale è quella descritta in premessa determinatasi a causa dell'atteggiamento che risulta all'interrogante evidentemente ostruzionistico, per non dire di peggio, del collegio sindacale della, asl di Nuoro, in modo da favorire, in una fase delicatissima quale è quella attuale, che vede impegnato il commissario straordinario, l'azione di revisione del project financing della asl di Nuoro, operando altresì affinché si ponga fine, sempre per quanto di competenza, anche all'azione di turbativa che deriva dai comportamenti assunti dal collegio nei confronti della dirigenza aziendale, che ha attuato un'azione di risanamento economico e di ripristino della legalità, garantendo, al contempo, per quanto di propria competenza, il supporto all'azione del commissario da parte di figure di esperti che ne coadiuvino l'azione di risanamento.
(4-11802)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza:

   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, recante attuazione della direttiva 97/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio prevede l'affidamento del servizio universale alla società Poste Italiane;

   la società Poste Italiane può stipulare accordi con operatori privati favorendo il miglioramento della qualità dei servizi stessi anche attraverso l'utilizzazione delle professionalità già esistenti;
   in seguito a queste collaborazioni protratte da anni, sono stati siglati degli accordi con le organizzazioni sindacali per individuare soluzioni idonee a salvaguardare i livelli occupazionali interni ed esterni a Poste italiane e il Ministero delle comunicazioni ha avviato un tavolo di concertazione in proposito;
   in data 11 dicembre 2007 è stato sottoscritto un memorandum fra l'allora Ministero delle comunicazioni, Poste italiane e le agenzie di recapito con l'obiettivo di tutelare gli attuali livelli occupazionali interni a Poste italiane e alle agenzie di recapito nel rispetto degli accordi sindacali attraverso l'avvio di una gara da albo per l'esternalizzazione di alcuni servizi;
   nel memorandum di cui sopra il Ministero delle comunicazioni (ora Ministero dello sviluppo economico) si è impegnato a sostenere un tavolo di concertazione fra le parti sia per definire puntualmente i contenuti del servizio universale sia per individuare ogni iniziativa utile a realizzare lo sviluppo del settore, monitorando al contempo anche gli eventuali problemi occupazionali;
   all'interrogante risulta che non sia mai stato dato seguito al suddetto memorandum e che i lavoratori delle agenzie di recapito, ad esempio su Roma i lavoratori della Romana Recapiti, non siano stati tutelati nel processo di riorganizzazione di Poste italiane, che anche in questi giorni ha avviato un nuovo piano assunzioni senza considerare gli operatori privati che hanno lavorato per anni a servizio di Poste italiane –:
   quali siano le motivazioni che hanno impedito un corretto e completo svolgimento del tavolo di concertazione fra Poste Italiane, agenzie di recapito e Ministero dello sviluppo economico e quali siano le iniziative previste per la salvaguardia dei livelli occupazionali e delle realtà imprenditoriali in considerazione del processo di liberalizzazione del mercato.
(2-01243) «
Saltamartini».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

X Commissione:

   GALGANO e BOMBASSEI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nonostante il crollo del costo del petrolio registrato negli ultimi tempi, i prezzi della benzina in Italia non sono diminuiti in proporzione, in quanto a gravare in maniera decisiva sui prezzi alla pompa sono soprattutto le imposte;
   considerate le quotazioni attuali del greggio, il cui costo è sceso del 19 per cento rispetto al 2008, il prezzo del carburante alla pompa non dovrebbe superare i 44 centesimi, se si escludessero le imposte che gravano sul costo totale;
   negli ultimi anni il peso fiscale sui carburanti è cresciuto in modo vertiginoso ed inarrestabile, fino ad arrivare alla situazione attuale in cui le imposte (accise ed Iva) rappresentano ben oltre i due terzi del costo di un litro di benzina alla pompa;
   facendo qualche calcolo, si potrebbe dire che, neanche se il prezzo del petrolio dovesse raggiungere il suo minimo storico, che fu toccato il 10 dicembre 1998 quando le quotazioni del greggio calarono a 9 dollari e 55 centesimi, la benzina costerà meno di un euro al litro, in quanto attualmente circa il 70 per cento del prezzo totale del carburante è destinato all'erario;
   la pervicacia del fisco sui carburanti emerge da un confronto fatto dall'ufficio studi della Confartigianato fra i prezzi attuali e quelli di sette anni fa, quando il costo del greggio sui mercati internazionali era pressoché agli stessi livelli;
   nel dicembre 2008, tenendo conto che la moneta europea era decisamente più forte di oggi sul dollaro, le quotazioni del brent si attestavano intorno ai 29 euro e il prezzo medio alla pompa del gasolio per autotrazione era di 1 euro e 111 centesimi. Oggi, con un costo medio del petrolio a circa 30 euro, il prezzo medio della nafta è invece di 1 euro e 251 centesimi, con un aumento complessivo del 12,6 per cento. E questo nonostante il prezzo al netto delle imposte sia sceso del 18,8 per cento;
   questo significa che, nel corso degli ultimi sette anni si è verificato un rincaro del gasolio del 31,4 per cento, esclusivamente attribuibile alle imposte: nel dettaglio, in questo arco di tempo, le accise sono aumentate del 46 per cento e il peso dell'Iva è cresciuto del 21,8 per cento. Va poi rilevato che l'Iva non si calcola sul prezzo netto del carburante, ma anche sulle accise, con il risultato surreale che sulle imposte grava un'altra imposta;
   proseguendo nel confronto, alla fine del 2008 le imposte toccavano 60,82 centesimi, rappresentando il 54,7 per cento del prezzo finale del gasolio, mentre, ad inizio 2016, si è arrivati a 84,31 centesimi e la percentuale è salita al 67,4 per cento del totale. Si tratta di una differenza di oltre 23 centesimi al litro che, considerando i 22 milioni di tonnellate di gasolio che ogni anno vengono consumate in Italia, determina per il fisco un maggiore introito di quali 5,2 miliardi di euro ogni dodici mesi. Il solo effetto delle imposte sulle imposte è di quasi 14 centesimi al litro, pari a circa 3 miliardi di euro sui consumi totali di gasolio;
   se si considerano i prezzi della benzina le cose non vanno meglio: su ogni litro, le accise gravano per quasi 73 centesimi e, se si aggiunge anche l'Iva (con il solito meccanismo dell'imposta sulle imposte), il prelievo fiscale è praticamente di un euro su un costo alla pompa di 1,421 euro. Dato che, escludendo le imposte e con le quotazioni attuali del greggio un litro di benzina non dovrebbe costare più di 44 centesimi, se ne deduce che poco meno del 70 per cento, del prezzo finale va al fisco;
   l'analisi dell'ufficio studi della Confartigianato dimostra che i consumatori italiani pagano il gasolio più caro in Europa, con le uniche eccezioni di Svezia e Regno Unito, nonostante il prezzo netto italiano sia appena al ventesimo posto nel continente. Anche il prezzo italiano della benzina è il più alto in Europa (solo nei Paesi Bassi è maggiore). Nel nostro Paese, un litro costa 1,421 euro, mentre la media europea è di 1,273, (tralasciando i prezzi negli Stati Uniti, 47 centesimi, e Arabia Saudita, 23 centesimi) e la differenza è interamente dovuta al meccanismo dell'imposta sull'imposta, ovvero dell'Iva anche sulle accise. Negli Stati Uniti un litro costa solo 47 centesimi di euro, in Arabia Saudita 23 centesimi;
   come denunciato dalle associazioni dei consumatori, le attuali imposte applicate sui carburanti in Italia si traducono in un pesante aggravio per i cittadini «pari a ben +72 euro annui in termini diretti (vale a dire per i pieni di carburante) e a +59 euro annui in termini indiretti (a causa all'impatto del costo dei carburanti sui prezzi dei beni di prima necessità che, nel nostro Paese, sono distribuiti per l'86 per cento su gomma)». Un totale che ammonta a 131 euro annui –:
   alla luce di quanto esposto in premessa, quali iniziative intenda il Governo intraprendere per evitare che, in Italia, il prezzo totale del carburante, sia in termini di benzina che di gasolio, nonostante il costo del greggio sia negli ultimi tempi notevolmente diminuito, continui ad essere tra i più cari in Europa, nonché quali iniziative intenda assumere affinché le imposte non gravino in maniera così pesante sui prezzi alla pompa e, soprattutto, si eviti quel meccanismo perverso dell'imposta sulle imposte, ossia dell'Iva calcolati anche sulle accise. (5-07536)

   POLIDORI e RUSSO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con il comma 18-bis dell'articolo 12 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, la Buonitalia spa, già in liquidazione dal 13 settembre 2011, e stata soppressa, con attribuzione delle funzioni all'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, ex ice;
   con la stessa norma, si prevedeva che, nel termine di 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, avvenuta il 15 agosto 2012, venisse emanato un primo decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, per disporre il trasferimento all'Agenzia delle funzioni e delle risorse umane di Buonitalia spa in liquidazione, ma ciò sarebbe dovuto avvenire a seguito dell'espletamento di un'apposita procedura selettiva di verifica dell'idoneità, da espletare nei limiti ed a valere sulle facoltà assunzionali dell'ente;
   il 31 luglio 2013, il tribunale del lavoro di Roma ha dichiarato con sentenza l'illegittimità del licenziamento dei 19 lavoratori a tempo indeterminato della Buonitalia spa in liquidazione poiché intervenuto successivamente al trasferimento ex lege del personale dipendente all'Agenzia con addebito alla stessa Agenzia del mancato trasferimento e della mancata attuazione del disposto normativo;
   i lavoratori di Buonitalia spa in liquidazione hanno notificato all'Agenzia, nella persona del suo presidente pro tempore, Riccardo Maria Monti, un atto di costituzione in mora e diffida ai sensi dell'articolo 328, comma 2, del codice penale, al quale è seguito, decorsi 30 giorni senza che l'Agenzia avesse provveduto a dare attuazione al disposto normativo, il 14 febbraio 2015, ricorso dinanzi al tribunale del lavoro di Roma;
   successivamente, è stata emanata la legge 27 dicembre 2013, n. 147, che, all'articolo 1, comma 478 prevede che: «All'articolo 12, comma 18-bis, quinto periodo, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012 n. 135, le parole: «da espletare nei limiti e a valere sulle facoltà assunzionali dell'ente, di verifica dell'idoneità, sono inquadrati» sono sostituite dalle seguenti: «di verifica dell'idoneità, da espletare anche in deroga ai limiti alle facoltà assunzionali, sono inquadrati anche in posizione di sovrannumero rispetto alla dotazione organica dell'ente, riassorbibile con le successive vacanze»;
   il 13 gennaio 2014, il TAR del Lazio, sezione II, ter ha accertato l'inadempienza dei Ministeri competenti per la mancata allegazione al decreto della tabella di corrispondenza di cui al comma. 18-bis dell'articolo 12, obbligandoli a provvedere nel termine di 60 giorni con condanna al pagamento delle spese legali;
   con sentenza del tribunale del lavoro di Roma, l'Agenzia è stata condannata a care immediata attuazione alle disposizioni illegittimamente disattese e conseguentemente ad assumere i ricorrenti, ex dipendenti di Buonitalia spa corrispondendo loro le mensilità pregresse dal 28 febbraio 2013, nonché al pagamento delle spese legali;
   a seguito dei procedimenti giudiziari intentati, ad oggi, l'ICE, a quanto risulta agli interroganti ha versato come risarcimenti la somma di circa 88.000 euro quali stipendi non corrisposti, sono stati notificati ulteriori decreti ingiuntivi e sono in esecuzione diversi atti di pignoramenti presso terzi;
   allo stato attuale, senza tenere conto delle cause di risarcimento civile che saranno intentate a breve, secondo alcuni calcoli, tra rimborsi e pagamento delle spese legali, la somma da corrispondere al personale della società soppressa ammonterebbe ad oltre 2 milioni di euro;
   a questa cifra si dovrà aggiungere un ulteriore anno e mezzo di stipendi arretrati e non corrisposti che l'ICE dovrà versare a seguito della sentenza del tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Terza Sezione Bis), Tar Roma, pubblicata il 25 gennaio 2016, che ha annullato il concorso, ritenuto illegittimo e riportando di fatto la situazione indietro di un anno;
   il TAR del Lazio (n. 00943/2016 REG.PROV.COLL.) ha accolto interamente il ricordo presentato dagli ex dipendenti di Buonitalia spa, in particolare laddove il bando dove è censurato per avere indetto una vera e propria procedura concorsuale in luogo di una procedura selettiva idoneativa, come era invece previsto dall'articolo 12, comma 18-bis del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, come modificato dall'articolo 1, comma 478, della legge 27 dicembre 2013, n. 147;
   tali somme ovviamente saranno corrisposte dall'ICE a fronte di nessuna prestazione di lavoro e ciò nonostante la disponibilità degli ex dipendenti di Buonitalia spa che avevano chiesto, in seguito all'approvazione del provvedimento normativo di trasferimento all'ICE, di sospendere la procedura di licenziamento collettivo già avviata dal liquidatore della società;
   tale situazione sta provocando un danno erariale sempre più grande che non solo si sarebbe potuto evitare se, a suo tempo, l'ICE avesse seguito le indicazioni ricevute dalla funzione pubblica ed attuato puntualmente il disposto normativo, ma che potrebbe essere quanto meno interrotto se si seguisse la stessa procedura che ha visto recentemente il trasferimento dei dipendenti di ISA spa e SGFA in ISMEA, fattispecie analoga a quella di Buonitalia ma trattata diversamente: i dipendenti di queste ultime spa sono stati trasferiti direttamente per legge in ISMEA senza alcuna prova idoneativa e con continuità salariale e lavorativa;
   a tal proposito infatti si ricorda come la legge di stabilità 2016, all'articolo 1, comma 376, con la soppressione di due spa a capitale pubblico del Ministero delle politiche agricole alimentare e forestali, ISA e SGFA. (come Buonitalia), abbia disposto che i dipendenti di queste fossero trasferiti «a domanda» in ISMEA (ente pubblico, come ICE), ovvero senza dover sostenere alcuna prova, come accaduto nei passati e recenti processi di accorpamento tra aziende pubbliche; nei confronti dei dipendenti ex Buonitalia si continua invece ad assistere, da parte dell'ICE, ad un atteggiamento ostativo e dilatorio nell'applicare la norma, ai limiti del boicottaggio, rappresentando un'eccezione di cui non si conoscono precedenti –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato in ordine ai fatti rappresentati e quali iniziative per quanto di competenza intenda adottare al fine di garantire la piena e rapida applicazione di quanto disposto dalla normativa che consente il trasferimento del personale ex Buonitalia all'Agenzia, per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione in particolare alla luce della recente pronuncia del Tar Lazio, anche al fine di evitare un ulteriore danno erariale, e risolvere così la vicenda dei dipendenti ex Buonitalia, accertando altresì eventuali responsabilità da parte del management dell'Agenzia. (5-07537)

   RICCIATTI, PALAZZOTTO, FERRARA e DURANTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il settore dei call-center è interessato da fenomeni diffusi di delocalizzazione che ne determinano una continua contrazione;
   tale contrazione incide non solo sui livelli occupazionali, ma anche sui livelli salariali dei lavoratori messi in competizione con i lavoratori di Paesi in cui il costo del lavoro è notevolmente più basso del nostro sottoponendoli a ingenti fenomeni di dumping sociale;
   in un quadro normativo incerto e deficitario l'unica norma che sembra tutelare minimamente il settore, in particolare per quel che concerne i fenomeni di delocalizzazione, è quella di cui all'all'articolo 24-bis del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, recante: «Misure a sostegno della tutela dei dati personali, della sicurezza nazionale, della concorrenza e dell'occupazione nelle attività svolte da call center»;
   tale norma prevede regole precise per le aziende che decidano di trasferire il traffico delle chiamate italiane in Paesi stranieri, che vanno dalla protezione dei dati sensibili dei clienti (numeri di carte di credito, conti correnti e dati anagrafici) alla tutela dei lavoratori italiani, oltre all'obbligo per le società di call center di informare l'utente se al momento della chiamata risponderà un operatore italiano o straniero. Una norma che prevede per le aziende sanzioni fino a 10.000 euro per ogni giorno di mancato rispetto;
   dubbi sulla reale applicazione dell'articolo 24-bis decreto-legge n. 83 del 2012 sono stati sollevati più volte dalle organizzazioni sindacali;
   nel novembre 2015 i lavoratori del call-center Almaviva delle sedi di Palermo e Catania, per quanto risulta agli interroganti, hanno presentato una diffida formale al Ministro dello sviluppo economico chiedendo l'applicazione delle norme contenute nel citato articolo 24-bis;
   in particolare, nell'ambito delle diffida citata si chiedeva di procedere agli accertamenti e alle eventuali sanzioni pecuniarie previsti dalla legge –:
   quanti siano stati gli accertamenti svolti da parte del Ministro interrogato, ed eventualmente a quali esiti abbiano portato, in osservanza di quanto previsto dall'articolo 24-bis del decreto-legge 22 giugno 2012 n. 83, convertito, con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134. (5-07538)

   CRIPPA, CANCELLERI, DA VILLA, DELLA VALLE, FANTINATI e VALLASCAS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il fondo finanziato dagli incassi delle multe comminate dall'Antitrust è destinato alla tutela dei consumatori, per assistere i cittadini contro eventuali abusi delle aziende, garantire la genuinità dei prodotti e proteggere dalle contraffazioni alimentari, o ancora salvaguardare l'autenticità del made in Italy, ma è usato purtroppo in modo completamente diverso;
   si apprende da fonti giornalistiche che ogni anno il Ministero dello sviluppo economico stanzierebbe 20 milioni di euro a favore della tutela del mercato, come sopra definita. La somma in questione rappresenterebbe una piccolissima parte dei fondi incamerati dall'Antitrust con le multe comminate alle imprese per comportamenti anticoncorrenziali. Ma è quanto basta alle associazioni locali e nazionali dei consumatori per sopravvivere. Ciononostante, sul sito del Ministero non c’è alcun dettaglio sui beneficiari dei fondi né tanto meno il resoconto delle attività effettivamente realizzate dalle associazioni;
   il Ministero dello sviluppo economico mette a bando i fondi ricevuti dall'Antitrust attraverso la «Direzione generale per il mercato, la concorrenza, il consumatore, la vigilanza e la normativa tecnica», guidata da Gianfrancesco Vecchio che, intervistato da ilfattoquotidiano.it, precisa che una decina di milioni vanno alle regioni, mentre altri dieci sono destinati ad iniziative a tutela dei consumatori di carattere nazionale. Di questa cifra, 4,5 milioni sono stati recentemente messi a bando dalla direzione generale destinandoli alle venti associazioni che fanno parte del Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti; ci si chiede per quali progetti. Ad oggi, questo resta un punto interrogativo. Sul sito del Ministero noi c’è infatti ancora traccia dell'esito del bando che, per la prima volta nella storia, ha tagliato fuori due associazioni del CNCU;
   tra gli esclusi figura l'Adusbef, che si è vista bocciare un progetto e ha deciso di chiedere l'accesso agli atti per procedere a un ricorso sull'assegnazione dei fondi. In una missiva inviata al Ministro Guidi e all'autorità anticorruzione di Raffaele Cantone, l'associazione lamenta un sistema di valutazione estremamente discrezionale, cui si aggiunge una scarsa trasparenza della procedura;
   il problema principale non è tanto lo specifico bando, ma la reale utilità delle iniziative effettuate finora a tutela dei consumatori, colpiti duramente dai recenti salvataggi bancari –:
   se corrisponda al vero quanto descritto in premessa e se il Ministro non reputi opportuno adottare ogni iniziativa utile al fine di rendere pubblica e trasparente la procedura di assegnazione ai beneficiari delle risorse del fondo di cui all'articolo 1, comma 148, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, controllarne le attività effettivamente realizzate e finalizzare le risorse in esso contenute unicamente a iniziative a tutela del consumatore. (5-07539)

   BENAMATI, GINEFRA, SENALDI, ARLOTTI, MONTRONI, BARGERO, CANI e TIDEI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 7 ottobre 2015 è stato sottoscritto a Roma, presso il Ministero dello sviluppo economico, il protocollo d'intesa per la soluzione della vertenza dell'OM Carrelli elevatori di Bari-Modugno, stabilimento con circa 200 lavoratori pugliesi che è chiuso dal 2012;
   l'accordo si prefigge di realizzare, attraverso la partecipazione del fondo di investimento statunitense LCV Capital Management, selezionato dal Ministero dello sviluppo economico, negli impianti ex-Om Carrelli Elevatori di Modugno e Isotta Fraschini di Gioia Tauro, il progetto della «Tua Autoworks» per produrre e commercializzare un'autovettura superleggera, in materiale composito (polipropilene e fibra di vetro), durevole e facilmente riparabile;
   il piano industriale prevede che dei 226 milioni di euro di euro disponibili, di cui 81 già spesi, 75 saranno destinati all'avvio della produzione e i restanti ai costi di marketing e collaterali. A Bari l'impegno finanziario è di 37 milioni di euro con 636 dipendenti assunti entro sei anni (saranno subito assunti i 194 ex dipendenti collocati in mobilità), mentre a Gioia Tauro è previsto un investimento di 39 milioni di euro con 888 posti a regime al terzo anno. Le rimanenti 252 unità fanno riferimento alle attività della holding. Per la rete commerciale, Lcv punta su un piano boutique — sarà la prima vettura a non avere concessionarie ma solo boutique nei centri città, che partirà da 16 unità e che dopo 6 anni dovrebbe raggiungere i 42 punti vendita. Negli stabilimenti pugliesi sarà realizzato il telaio della nuova automobile, mentre a Gioia Tauro saranno costruiti i pannelli e la componentistica dell'auto. Nell'area portuale di Gioia Tauro è prevista la realizzazione di un nuovo capannone per il quale l'Autorità ha già indetto la gara. L'avvio della produzione della vettura di fascia C, paragonabile a BMW e Mercedes, è previsto entro il quarto trimestre del 2017;
   sul territorio pugliese sono due gli obiettivi che questo protocollo d'intesa si prefigge: la reindustrializzazione del sito e la ricollocazione del personale: con il suddetto protocollo la Regione Puglia, con un investimento complessivo di circa dieci milioni di euro di euro, si è impegnata a riqualificare i lavoratori, formando nuove competenze e ad intervenire nell'infrastrutturazione dell'intera area industriale, a servizio anche delle altre industrie del settore automotive del polo barese;
   su richiesta della regione Puglia per la prima volta in un simile protocollo è stata inserita una clausola secondo la quale se l'investimento non si perfezionerà con la ricollocazione di tutta la platea dei cassintegrati, potrà intervenire la revoca del finanziamento;
   l'azienda ha costituito una holding, la «Tua Autoworks Italia Spa» che ha creato le due controllate «Tua Autoworks Calabria srl» e «Tua Autoworks Puglia Srl»;
   una volta chiuso l'iter istituzionale, si dovrebbe procedere con l'allestimento dello stabilimento che dovrebbe produrre la prima macchina entro il mese di ottobre del 2016;
   nell'ultimo incontro al Ministero dello sviluppo economico, tenutosi l'11 gennaio 2016, Invitalia avrebbe chiesto altri venti giorni di tempo per la verifica del contratto di sviluppo necessario ad assicurare l'implementazione del piano industriale di Tua Autoworks, la società del fondo statunitense LCV Capital Management interessata a rilevare il sito; un ulteriore incontro a livello nazionale dovrebbe svolgersi all'inizio del marzo 2016 mentre nelle prossime settimane sarebbero previste riunioni a livello territoriale;
   a giugno 2016 si concluderà il periodo di mobilità per gli oltre 200 dipendenti della ex OM Carrelli;
   sull'impianto pugliese gli adempimenti previsti dall'accordo preliminare sarebbero stati evasi positivamente mentre sembrerebbe esserci un problema procedurale sull'impianto calabrese in quanto l'Autorità portuale, proprietaria delle aree che dovrebbero passare a Lcv non avrebbe ancora provveduto a rilasciare il proprio nulla osta per il trasferimento delle stesse e il fondo statunitense intenderebbe procedere all'investimento solo quando avrà chiuso entrambe le procedure (quella pugliese e quella calabrese) –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere perché si approdi ad una rapida conclusione della parte preliminare del progetto al fine di ricollocare di tutti gli ex dipendenti Om Carrelli, assicurando il cronoprogramma previsto dal protocollo d'intesa anche per la parte di competenza dell'autorità portuale di Gioia Tauro.
(5-07540)

Interrogazione a risposta in Commissione:

   LATTUCA e BRATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   da fonti giornalistiche (Il resto del Carlino edizione Cesena del 25 gennaio 2016) risulta all'interrogante che nei prossimi mesi ENI avrebbe intenzione di ripristinare e riattivare un pozzo, denominato «Morena» per l'estrazione del gas metano situato a circa 3 miglia dalla costa di Cesenatico, e che risulta essere ormai inattivo da diversi anni;
   a quella distanza dalla costa insistono diversi impianti di mitilicoltura e tale distanza risulta di gran lunga inferiore alle 12 miglia, riferimento stabilito dalla legislazione vigente;
    l'area interessata è a naturale e forte vocazione turistica e un impianto di tale natura rischia di avere ripercussioni negative sull'economia di un territorio caratterizzata prevalentemente dal turismo balneare;
   inoltre, parte importante della comunità scientifica da tempo denuncia il rischio di correlazione tra attività estrattive di idrocarburi e i fenomeni di subsidenza e dissesto idrogeologico che vedono il territorio in questione particolarmente a rischio –:
   se le notizie relative alla riattivazione del suddetto pozzo di gas naturale corrispondano a verità ed eventualmente quali siano i termini della concessione che autorizzerebbe tale ripresa nonché quali iniziative intenda assumere il Governo per garantire la piena e puntuale applicazione di tutta la normativa vigente, anche in attuazione di atti e convenzioni internazionali, al fine di tutelare l'ambiente e l'ecosistema, all'interno del perimetro delle aree marine e costiere, come appunto quella di Cesenatico. (5-07535)

Interrogazioni a risposta scritta:

   SIBILIA, TOFALO, COLONNESE, FICO e LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel 2011 l'Irisbus di Flumeri (AV), società dell'Iveco (Gruppo Fiat), ha chiuso i battenti;
   in data 18 settembre 2013 è stata discussa ed approvata alla Camera dei deputati la mozione per la definizione di un piano nazionale del trasporto pubblico locale e la risoluzione delle vertenze di Irisbus e BredaMenariniBus;
   in data 22 ottobre 2014 il primo firmatario del presente atto ha presentato un'interrogazione al Ministro dell'economia e delle finanze e a quello dello sviluppo economico sulla vicenda dell'Irisbus, interrogazione che ad oggi non ha ancora ricevuto risposta;
   a novembre 2014 è nata ufficialmente l'Industria Italiana Autobus il cui pacchetto azionario è detenuto all'80 per cento da King Long Italia, con Stefano Del Rosso amministratore delegato, e al 20 per cento da Finmeccanica;
   a partire da questa data si sono moltiplicati gli incontri presso il Ministero dello sviluppo economico finalizzati a cercare il percorso più breve per la riapertura della fabbrica di Valle Ufita e il ritorno al lavoro degli operai;
   ad aprile 2015 per la ripresa delle attività l'amministratore delegato Del Rosso ha presentato ad Invitalia un piano di rilancio industriale con una richiesta di investimento per 31 milioni di euro, di cui 25 andranno restituiti. A settembre 2015 Invitalia ha definito «tecnicamente corretta» l'istanza prodotta, chiedendo successivamente alcune integrazioni;
   in data 15 ottobre 2015 è stato pubblicato un articolo sul sito on line repubblica.it intitolato «Bredamenarini, l'amministratore delegato Del Rosso: “Nessun allarme”» e firmato da Marco Bettazzi in cui si legge: in una lettera riservata inviata mesi fa al sottosegretario Claudio De Vincenti, che ha seguito l'operazione Industria italiana autobus, King Long Europe scrive che la casa madre cinese Xiamen King Long ha rifiutato fin dal 2013 il progetto di acquisizione della Bredamenarini. «Xiamen King Long non ha mai commissionato alcun investimento a favore di Bredamenarini/Industria Italia autobus – si legge nella lettera – King Long si è sempre astenuta dall'aiutare il sig. Del Rosso. Riteniamo che Xiamen King Long sia stata usata dal sig. Del Rosso per dare a Lei e al Ministero l'impressione che King Long avrebbe investito nel progetto al fine di ricevere garanzie finanziarie dal Governo italiano». Secondo King Long, Industria italiana autobus aveva «una resistenza al credito sotto la media». Svela poi che la stessa King Long ha un credito e una causa per 5 milioni di euro con Del Rosso, perché questo «ha interrotto i pagamenti dei suoi debiti». «Tutte falsità – risponde Del Rosso – Io ho fatto la scelta di fare un'azienda totalmente italiana e questa cosa non ha fatto piacere alla King Long»;
   questa vicenda è stata poi rilanciata dal Quotidiano del Sud in data 24 ottobre 2015 con la pubblicazione dei documenti di cui sopra;
   dall'inizio del 2016 il tavolo presso il Ministero dello sviluppo economico è slittato già tre volte e non si registrano ad oggi concreti passi in avanti per la riapertura dello stabilimento di Flumeri;
   alla questione della ristrutturazione dello stabilimento e dell'avvio della produzione, dato per certo entro settembre 2016 dall'amministrazione delegato di Industria Italiana Autobus Del Rosso in molte dichiarazioni pubbliche, si aggiunge anche il problema della cassa integrazione 2016 per i lavoratori –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda porre in essere per addivenire in tempi rapidi ad una conclusione della vertenza, se ritenga che nel percorso che ha portato alla nascita dell'Industria Italiana Autobus siano stati commessi degli errori alla luce delle dichiarazioni rese dai vertici della King Long cinese, a che punto sia la richiesta di finanziamento per 31 milioni di euro inoltrata ad Invitalia dall'amministratore delegato di Industria Italiana Autobus Del Rosso con annesso piano di rilancio industriale e se ritenga percorribile la strada che potrebbe portare all'acquisizione e conseguente autogestione da parte degli ex operai di Irisbus che attendono da anni, ormai, di tornare al lavoro. (4-11803)

   QUARANTA, RICCIATTI, FERRARA, DURANTI, PELLEGRINO, ZARATTI, PANNARALE, SANNICANDRO, FRANCO BORDO, FRATOIANNI, AIRAUDO, PLACIDO, SCOTTO, FASSINA, FAVA, GREGORI, RICCIATTI, D'ATTORRE, MARCON, CARLO GALLI, PIRAS, FOLINO, MELILLA, ZACCAGNINI, COSTANTINO, DANIELE FARINA, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, NICCHI, PAGLIA e PALAZZOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'assemblea dei lavoratori dell'Ilva di Cornigliano (Genova) convocata nei giorni scorsi da Fiom e Failms ha deciso l'occupazione della fabbrica per alzata di mano e in tale occasione la Fiom ha evidenziato come sia necessaria «una vera convocazione per l'incontro a Roma, non una data su una mail. L'intenzione è di non riprendere il lavoro finché non sarà garantito che all'incontro — fissato per il 4 febbraio — partecipi anche il Ministro Federica Guidi, titolare dello Sviluppo Economico, e Giuliano Poletti, Ministro del lavoro»;
   ad avviso degli interroganti il Governo deve ascoltare le ragioni dei lavoratori dell'Ilva e convocare al più presto un tavolo a Palazzo Chigi. Il bando di vendita dell'Ilva non può rimettere in discussione l'accordo di programma siglato a Genova nel 2005, perché gli accordi fatti vanno rispettati. Non si possono scaricare sulle lavoratrici e sui lavoratori i costi dell'operazione di vendita dell'Ilva, e il Governo su questo punto deve essere chiaro: gli attuali livelli occupazionali e la continuità di reddito vanno tutelati. Bisogna intervenire anche sui contratti di solidarietà per riportarli al 70 per cento, così come previsto prima del Jobs Act. Questo vale per i lavoratori e le lavoratrici di tutti i siti dell'Ilva, da Genova a Taranto. Il bando di vendita dell'Ilva, invece, non fornisce alcuna garanzia in questo senso;
   il Governo deve assumersi le proprie responsabilità e annunciare al più presto la presenza dei Ministri interrogati il 4 febbraio 2016, quando si discuterà del futuro di Ilva. Lo chiedono i lavoratori che non vogliono interloquire con un tecnico, anche perché nel 2005 il Governo insieme ad amministratori locali e ai sindacati ha firmato un accordo di programma dove si impegnava — a fronte della chiusura degli impianti a caldo e di 400.000 metri quadri di aree restituite alla città — a mantenere occupazione e reddito;
   i timori dei lavoratori sono giusti, visto che a breve il Governo si appresterà a definire gli accordi per la cessione ai privati dell'Ilva e la questione riguarda 1.600 posti di lavoro su Genova e circa 16.000 nel resto d'Italia, con un indotto stimato di diecimila persone –:
   quali iniziative urgenti si intendano assumere alla luce di quanto descritto in premessa al fine garantire la presenza «politica» dei Ministri interrogati nell'ambito di un tavolo di confronto con i sindacati il 4 febbraio 2016, così da rispondere in modo chiaro e risolutivo alle istanze dei lavoratori dell'ILVA e da garantirne la piena tutela occupazionale in base agli accordi già sottoscritti, oltre che il rilancio e la riconversione ambientale della stessa azienda. (4-11804)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Morassut e altri n. 1-01102, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 gennaio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sbrollini.

  La mozione Venittelli e altri n. 1-01123, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 gennaio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Capozzolo.

  La mozione Lupi e altri n. 1-01124, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 gennaio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Calabrò.

Apposizione di firme a risoluzioni.

  La risoluzione in Commissione Causi e altri n. 7-00433, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Paola Boldrini.

  La risoluzione in Commissione Taranto e altri n. 7-00851, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Giampaolo Galli.

  La risoluzione in Commissione Carra e altri n. 7-00863, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 dicembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Terrosi, Cenni.

  La risoluzione in Commissione Piazzoni e altri n. 7-00880, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Di Salvo, Cinzia Maria Fontana, Minnucci, Tidei.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Franco Bordo n. 1-01116, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 555 del 26 gennaio 2016.

   La Camera,
   premesso che:
    l'uso degli autovelox rappresenta uno strumento essenziale per assicurare l'efficacia della sicurezza stradale, la tutela delle vite umane e il rispetto delle norme di velocità del codice della strada;
    come dimostrato da numerose esperienze comunali, vi è una diretta correlazione tra l'impiego dell'autovelox e la diminuzione degli incidenti stradali. Secondo i dati del comune di Milano, ad esempio, gli incidenti con feriti nelle 7 strade dove nel mese di marzo 2014 sono stati posizionati gli autovelox per il controllo delle velocità. Nei primi 9 mesi del 2014, infatti, sono stati 106, con una media mensile di 11,7. Nel 2013 erano stati 288 con una inedia mensile di 24 (un totale di 216 se, a titolo di raffronto, volessimo considerare solo i primi 9 mesi del 2013);
    con sentenza n. 113 del 2015, la Corte Costituzionale, pur ricordando l'importanza dello strumento come mezzo impiegato per l'accertamento di violazioni del codice della strada, ha richiamato l'attenzione delle autorità competenti e delle società costruttrici degli impianti sull'importanza di effettuare regolari e costanti opere di manutenzione e verifica del corretto funzionamento degli autovelox stessi;
    come sottolineano numerose associazioni di settore, dall'Aci all'Asaps, appare rilevante stabilire un diretto legame tra i ricavi in capo agli enti locali derivanti dal pagamento delle sanzioni amministrative per multe accertate sulla base dell'impiego dell'autovelox e il loro utilizzo per solo per finalità, comunque, legate alla sicurezza stradale, alla manutenzione stradale e all'educazione al codice della strada;
    al Governo, per il tramite dei due ministeri competenti, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministero dell'interno, spetterebbe un ruolo di maggiori impulso e coordinamento anche rispetto all'introduzione di un quadro sanzionatorio
per quegli enti locali che non rispettino le previsioni normative che prevedono l'utilizzo di una quota del 50 per cento delle entrate provenienti da sanzioni comminate attraverso l'utilizzo degli autovelox per la realizzazione di interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture stradali, ivi comprese la segnaletica e le barriere, e dei relativi impianti, nonché al potenziamento delle attività di controllo e di accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale, ivi comprese le spese relative al personale;
    il comma 12-bis dell'articolo 142 del codice della strada prevede espressamente che: «I proventi delle sanzioni derivanti dall'accertamento delle violazioni dei limiti massimi di velocità stabiliti dal presente articolo, attraverso l'impiego di apparecchi o di sistemi di rilevamento della velocità ovvero attraverso l'utilizzazione di dispositivi o di mezzi tecnici di controllo a distanza delle violazioni ai sensi dell'articolo 4 del decreto-legge 20 giugno 2002, n. 121, convertito, con modificazioni, dalla legge 1o agosto 2002, n. 168, e successive modificazioni, sono attribuiti, in misura pari al 50 per cento ciascuno, all'ente proprietario della strada su cui è stato effettuato l'accertamento o agli enti che esercitano le relative funzioni ai sensi dell'articolo 39 del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 381, e all'ente da cui dipende l'organo accertatore, alle condizioni e nei limiti di cui ai commi 12-ter e 12-quater. Le disposizioni di cui al periodo precedente non si applicano alle strade in concessione. Gli enti di cui al presente comma diversi dallo Stato utilizzano la quota dei proventi ad essi destinati nella regione nella quale sono stati effettuati gli accertamenti»,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa, anche normativa, finalizzata ad accertare la piena osservanza da parte degli enti locali di quanto previsto dall'articolo 142, comma 12-bis, 12-ter e 12-quater del codice della strada;
   a porre in essere ogni iniziativa, di competenza finalizzata a garantire i più elevati standard costruttivi, l'affidabilità tecnica e l'innovazione tecnologica dei dispositivi di rilevazione automatica della velocità al fine di tutelare la sicurezza e gli interessi dell'utente della strada;
   ad adottare ogni iniziativa di competenza finalizzata a migliorare, lungo ogni tipo di strada, la segnaletica relativa alla presenza di dispositivi di rilevazione automatica della velocità.
(1-01116)
(Nuova formulazione) «Franco Bordo, Melilla, Pellegrino, Folino, Scotto, Fassina, Airaudo, Fava, Placido, Gregori, Ricciatti, D'Attorre, Ferrara, Marcon, Carlo Galli, Duranti, Piras, Fratoianni, Quaranta, Zaccagnini, Costantino, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Sannicandro, Zaratti».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Scotto n. 4-11770, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 553 del 22 gennaio 2016.

   SCOTTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il sito di Stabiae registra mediamente ogni anno circa trentamila visitatori: per dare un nuovo impulso turistico al sito la soprintendenza Pompei e il comune di Castellammare di Stabia hanno, nel corso degli anni, stipulato accordi e proposto progetti per la realizzazione di un parco archeologico e di un museo che possa raccogliere le opere, le suppellettili e quant'altro rinvenuto dagli scavi della collina di Varano. I reperti stabiani sono attualmente conservati nell'antiquarium statale di Castellammare di Stabia realizzato da Libero D'Orsi nel 1959, ma chiuso al pubblico dal
1997, mentre un'altra parte è custodita al museo archeologico nazionale di Napoli;
   nel 2015 gli scavi hanno fatto registrare 51.186 visitatori, attestandosi al novantunesimo posto tra i siti museali statali più visitati in Italia;
   le origini della città di Stabiae (oggi Castellammare di Stabia) risalgono al VII sec. a.C. con la presenza di traffici commerciali etruschi, greci, sanniti e, poi, romani. Nell'89 a.C., la città fu distrutta da Silla e fu poi definitivamente sepolta dall'eruzione del Vesuvio (79 d.C.). Sul ciglio settentrionale del poggio di Varano sono stati ritrovati i resti di numerose ville residenziali in posizione panoramica, con vasti quartieri abitativi, strutture termali, portici e ninfei splendidamente decorati;
   il sistema culturale stabiese si fonda prevalentemente su tre «asset»:
    parco archeologico dell'antica Stabiae;
    palazzo reale di Quisisana, da intendersi anche quale «contenitore multifunzionale»;
    rete civica museale (polo museale);
   il sistema così delineato rappresenta un esempio di offerta culturale integrata in un contesto ambientale, paesaggistico, enogastronomico e turistico di pregio; una sorta di «triangolo turistico e culturale» ai cui vertici troviamo Pompei e l'area vesuviana, Sorrento e la sua penisola e il parco regionale dei Monti Lattari;
   il patrimonio culturale stabiano va fatto pienamente rientrare nel sistema di offerta imperniato su «Pompei ed Ercolano» sito Unesco dal 1997;
   le risorse culturali e ambientali sono il vero «patrimonio nascosto» di Castellammare di Stabia, capace sia di rilanciare l'industria del turismo sia di concorrere alla riscoperta dell'identità collettiva;
   le diverse iniziative che si stanno sviluppando a sostegno dei beni culturali della Campania rischiano di essere complete se non si valorizza anche Stabia. Rischia solo di risaltare in negativo la scomparsa del nome anche dalla denominazione della soprintendenza: non più soprintendenza di Pompei, Ercolano e Stabia, ma solo «Soprintendenza Pompei»;
   la recente decisione di dotare gli scavi di Ercolano di autonomia organizzativa e gestionale, affidandola a un direttore da selezionare con bando europeo, da un lato, rischia di lasciare nell'ombra il sito di Stabiae, dall'altro potrebbe rivelarsi un'opportunità, avendo liberato la soprintendenza Pompei dell'onere di doversi occupare di Ercolano;
   se non ritenga urgente che al più presto il Governo, insieme alla regione, al comune e alla soprintendenza di Pompei, convochi un incontro per definire gli interventi necessari per il rilancio delle risorse archeologiche e museali al fine di:
    a) firmare la convenzione con la soprintendenza Pompei per il trasferimento dei reperti dell'Antiquarium alla Reggia;
    b) attivare un tavolo istituzionale per definire la gestione della Reggia e l'uso dei relativi spazi;
    c) stipulare un protocollo d'intesa con la soprintendenza Pompei per la creazione del parco archeologico di Stabiae. (4-11770)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Mura n. 5-04012 del 12 novembre 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione Mariani n. 5-06993 del 13 novembre 2015;
   interpellanza urgente Capelli n. 2-01236 del 25 gennaio 2016.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo (ex articolo 134, comma 2 del Regolamento).

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta L'Abbate e altri n. 4-09640 del 1o luglio 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07513;
   interrogazione a risposta scritta L'Abbate e altri n. 4-09849 del 16 luglio 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07514;
   interrogazione a risposta scritta L'Abbate e altri n. 4-10025 del 29 luglio 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07515;
   interrogazione a risposta scritta L'Abbate e Scagliusi n. 4-10738 del 14 ottobre 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07516;
   interrogazione a risposta scritta L'Abbate e altri n. 4-10742 del 14 ottobre 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07515;
   interrogazione a risposta scritta L'Abbate e altri n. 4-11088 del 12 novembre 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07518.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in Commissione De Lorenzis n. 5-07255 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 539 del 18 dicembre 2015. Alla pagina 32098, seconda colonna, dalla riga quarantottesima alla riga cinquatunesima, deve leggersi: «terminale offshore, anche al fine di riportare il bacino di carenaggio nelle condizioni di sicurezza imposte per autorizzare il suo funzionamento», e non come stampato.

  L'interrogazione Ricciatti ed altri n. 5-07484, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 gennaio 2016 deve intendersi n. 5-07487 e non 5-07484, come stampato nell'indice e alla relativa pagina.


Appendice: ATTI MODIFICATI

   La Camera,
premesso che:
la candidatura olimpica di Roma, già formalizzata per l'edizione del 2024, è una grande opportunità per l'Italia intera e per la sua capitale per consolidare l'immagine e la realtà di una grande nazione che continua a proporsi con forza e autorevolezza sulla scena internazionale. Un evento che, messo in relazione con il Giubileo del 2025, potrà essere occasione per contribuire alla sintesi ideale e spirituale di un messaggio mondiale che partendo dall'Italia e si rivolga a tutte le donne e a tutti gli uomini del pianeta;
Roma ospitò le Olimpiadi nel 1960. Nella memoria di molti italiani e di tutto il mondo sono ancora vive immagini indimenticabili: l'arrivo vittorioso e a piedi nudi di Abebe Bikila sotto l'Arco di Costantino, il volo dei colombi dalla pista al passaggio vittorioso di Livio Berruti nella finale dei 200 metri, le gare di lotta sotto la Basilica di Massenzio e degli altri atleti che accesero quel grande evento. Immagini che hanno lasciato per decenni un segno positivo di pace e di valore universale sia di Roma che delle Olimpiadi che si sono diffuse in tutto in mondo. Quella edizione olimpica è stata a lungo considerata la migliore, la più evocativa e la più in sintonia con lo spirito olimpico. La città fu al centro del mondo e le sue bellezze storiche, archeologiche e naturali, furono uno spettacolo nello spettacolo. Le sue infrastrutture moderne furono la testimonianza di una città e di una nazione in crescita e restarono patrimonio della capitale;
anche per questo, la candidatura all'edizione 2024 può e deve puntare ad unire Roma allo spirito nazionale; una candidatura non cittadina, non solo romana ma italiana, nella quale possa riconoscersi – diversamente da altre circostanze – tutto il Paese. L'evento olimpico può essere quindi anche un'occasione per volgere ancor più in positivo e consolidare il complesso e spesso contraddittorio rapporto tra Roma e lo Stato nazionale. Tra la capitale e la coscienza nazionale;
grazie anche alle nuove indicazioni del Comitato olimpico internazionale, infatti, la candidatura olimpica di Roma per il 2024 può e deve assumere un respiro nazionale e meno cittadino. Riportare le Olimpiadi a Roma è – oggi più che mai – portare le Olimpiadi in Italia;
il successo dell'Expo di Milano d'altronde racconta che l'Italia, come tutte le grandi nazioni, ha bisogno di grandi momenti internazionali che propongano il Paese, le sue città, le sue bellezze e le sue eccellenze. Sempre l'Expo di Milano ha mostrato che il Paese, anche in condizioni difficili, sa reagire e dimostrare i suoi valori e le sue qualità. Le Olimpiadi di Roma, nel 2024 sarebbero, quindi, un'ulteriore occasione per modernizzare, rigenerare la Capitale e dare ulteriore impulso all'immagine dell'intera nazione in tutto il mondo;
le Olimpiadi possono fornire l'opportunità per rafforzare la posizione della capitale come grande città mondiale della ricerca, della formazione e dell'innovazione, completando i campus universitari pubblici e realizzando infrastrutture di mobilità e una ricettività olimpica da riconvertire poi in ricettività per studenti e docenti dopo i Giochi. Gli stessi impianti sportivi e le infrastrutture indispensabili per ospitare il grande evento, diventeranno un patrimonio della città e del Paese e potranno essere parte di un grande distretto universitario internazionale;
l'evento olimpico può risultare utile alla crescita e allo sviluppo solo se coerente con piani e programmi condivisi e contributo di opere e interventi fruibili in futuro, in tale prospettiva, appare auspicabile una programmazione degli interventi che possa rappresentare anche l'opportunità per il recupero, la valorizzazione ed il coinvolgimento delle periferie;
l'Agenda Olimpica 2020 ha rivoluzionato i criteri di selezione della città olimpica, ponendo al centro della valutazione l'effetto catalizzatore del grande evento rispetto ai piani di sviluppo a lungo termine del Paese che sarà individuato quale sede dei Giochi nel settembre 2017;
il documento riporta una serie di raccomandazioni finalizzate a garantire una maggior snellezza organizzativa dei Giochi Olimpici, mitigando le richieste che in passato avevano costituito fattori di difficoltà operativa e gestionale e fonte di eccessivi investimenti da parte delle città ospitanti;
in quest'ottica, le strutture fondamentali per l'organizzazione di un'Olimpiade vanno progettate e costruite in sinergia con gli stakeholder, gettando le basi di una solida eredità della manifestazione, nonché evidenziando le potenziali ricadute occupazionali, nell'immediato e nel lungo periodo, che potranno generarsi in occasione della progettazione, della realizzazione e della gestione della manifestazione olimpica;
le scelte strategiche che caratterizzano la candidatura di Roma, quali la costituzione di un comitato in house, la decisione di utilizzare per il 70 per cento strutture già esistenti, l'individuazione di un piano dei trasporti dei Giochi completamente incentrato su infrastrutture già pianificate, seguono fedelmente le indicazioni dell'Agenda 2020 in termini di legacy, contenimento della spesa, attenzione all'ambiente e alle esigenze della città;
per rafforzare la credibilità della candidatura italiana, anche nei confronti dell'opinione pubblica nazionale, appare indispensabile assicurare la massima conoscenza e partecipazione relativamente ai contenuti di un rigoroso e dettagliato piano finanziario,

impegna il Governo:

a proseguire il lavoro avviato, sostenendo attivamente il lavoro del Comitato olimpico e del Comitato promotore nelle sedi istituzionali e in ambito internazionale;
a promuovere, in collaborazione con il Comitato olimpico e con il Comitato promotore, eventi di promozione su tutto il territorio nazionale volti a far percepire le possibili olimpiadi di Roma 2024 come una grande opportunità di crescita e sviluppo per l'intero paese e non solo per la capitale;
ad individuare, in collaborazione con l'amministrazione comunale, le più opportune localizzazioni coerenti con le linee di sviluppo, di crescita e di riqualificazione stabilite dalla comunità cittadina e dai competenti enti locali, investendo su opere pubbliche funzionali allo svolgimento delle gare ma che dopo l'evento possano essere riconvertite diventando fruibili e funzionali allo sviluppo urbano e del movimento sportivo e avendo cura che tale patrimonio contribuisca alla crescita della pratica sportiva diffusa e popolare, oltre che quella professionistica e di più alto livello;
ad operare per la predisposizione di un programma di opere e interventi in coerenza con gli indirizzi dell'Agenda Olimpica 2020;
a promuovere, in preparazione dell'evento, momenti di studio e approfondimento sulla storia e sulle finalità dei Giochi Olimpici nelle scuole di tutto il territorio nazionale;
a sottoporre, d'intesa con il comune di Roma Capitale, il programma degli interventi olimpici ad un'ampia campagna di informazione, di consultazione e di partecipazione dei cittadini dei territori interessati, per dare al programma stesso un carattere aperto e trasparente.
(1-01102) «
Morassut, Giachetti, Orfini, Melilli, Argentin, Boccadutri, Bonaccorsi, Carella, Coscia, Ferro, Pierdomenico Martino, Mazzoli, Meta, Miccoli, Minnucci, Piazzoni, Tidei, Stella Bianchi, Coccia, Brandolin, Miotto, Marroni, Sbrollini».

   La Camera,
   premesso che:
    da alcune settimane il Molise è interessato da uno sciame sismico che sta generando particolare apprensione tra la popolazione;
    suddetto sciame in base ai dati dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia è iniziato il 12 gennaio 2016 e in data 16 gennaio ha fatto registrare la scossa di magnitudo più elevata con 4,3 gradi della scala Richter, con epicentro tra Baranello, Vinchiaturo e Campobasso;
    anche in concomitanza con una ondata di maltempo le scuole sono state chiuse alcuni giorni prima di tornare alla normalità;
    nei giorni successivi le scosse sono state molte e di intensità avvertita dalla popolazione e dopo alcuni giorni di attenuazione il fenomeno ha ripreso con scosse che variano intorno al 2 grado della scala Richter;
    secondo gli esperti, ogni anno, in Italia, ci sono in media una trentina di sciami sismici: alcuni durano pochi giorni altri un mese e il 20-25 per cento supera i 30 giorni e c’è un 10 per cento, come nel caso della Garfagnana e del comprensorio del Pollino che superano i 4 mesi;
    anche il sisma dell'Aquila fu preceduto da uno sciame sismico durato moltissimo tempo;
    la zona in cui si stanno ripetendo da giorni scosse di terremoto «è» secondo i sismologi «ad alta pericolosità sismica», come tutta la catena dell'Appennino centro meridionale, anche se questi eventi nell'area di Campobasso non sono stati frequentissimi mentre nell'area molisana di scosse sismiche ce ne sono state spesso;
    nella comunità molisana è ancora vivo il ricordo della tragedia di San Giuliano di Puglia che, nell'ottobre del 2002 costò la vita a 27 bambini nel crollo della scuola e, storicamente, del terremoto del 1805 che colpì Bojano costò la vita ad oltre 5 mila persone;
    lo spettro della faglia del Matese, capace di rilasciare energia per magnitudo anche superiori a 7 punti della scala Richter, vede il mondo scientifico studiare la serie sismica in corso con la massima vigilanza e attenzione;
    secondo i geologi il 70 per cento delle scuole del territorio è a rischio sismico e così buona parte degli edifici pubblici;
    la convivenza con questo fenomeno alimenta preoccupazioni sulla stabilità degli edifici e sulle misure di prevenzione da adottare,

impegna il Governo:

   ad adottare attraverso la protezione civile e tutti gli organi competenti, d'intesa con la regione Molise le seguenti iniziative:
    a) verificare la sicurezza antisismica in via prioritaria degli edifici scolastici e delle strutture ospedaliere della regione nonché di tutti gli edifici e le infrastrutture pubbliche in particolare viadotti, gallerie, dighe;
    b) ed avviare una campagna di informazione sui comportamenti da tenere in caso di sisma, rivolto in particolare alle scuole;
    c) verificare che, in ogni comune, sia stato predisposto e sia operativo un piano di emergenza per affrontare un eventuale grave evento sismico;
    d) stanziare specifiche risorse per l'adeguamento sismico degli edifici pubblici a partire dalle scuole;
    e) finanziare progetti sismologici per il Molise al fine di monitorare la faglia del Matese, coinvolgendo l'università e l'ordine dei geologi.
(1-01123) «Venittelli, Mongiello, Carloni, Cimbro, Covello, D'Incecco, Fedi, Giuliani, Malisani, Oliverio, Porta, Preziosi, Valeria Valente, Capozzolo».

   La Camera,
   premesso che:
    il 27 novembre 2015, l'Istat ha pubblicato i dati sul monitoraggio delle nascite relativi all'anno 2014. Lo studio a confermato la recente tendenza del nostro Paese al decremento demografico;
    in particolare, emerge dai dati una forte flessione negativa del tasso di natalità: l'anagrafe ha, infatti, registrato quasi 12.000 nuovi nati in meno rispetto al 2013 e all'incirca 74.000 in meno rispetto al 2008;
    secondo l'ente di ricerca, la media aggiornata di figli per donna è di 1,37 (ancora in diminuzione rispetto a 1,46 del 2010); tale media è di 1,29, se il campione è composto di sole donne italiane. La natalità si è abbassata significativamente anche per le cittadine straniere residenti; si è passati da una media di 2,65 del 2008 a una di 1,97 del 2014;
    tali cifre evidenziano la profonda trasformazione demografica e sociale in atto in Italia – analogamente, peraltro, a quanto accade anche nell'intero continente europeo – caratterizzata dall'accelerazione del processo di invecchiamento della popolazione e da profondi mutamenti della struttura delle famiglie. Parallelamente, gli attuali tassi di natalità non sono considerati sufficienti a garantire il ricambio generazionale. Difatti, se si prendono in esame le coppie di genitori italiani, le nascite sono quasi 86.000 in meno negli ultimi sei anni. Le donne italiane in età riproduttiva sono sempre meno e hanno una propensione ad avere figli sempre più bassa. Le ultime stime evidenziano un dato allarmante: la popolazione femminile in età feconda in soli tre anni è passata dal 45 al 43,6 per cento, perdendo mezzo punto percentuale all'anno (a questo ritmo la popolazione fertile scenderebbe a zero in 90 anni);
    la soluzione alla cosiddetta «questione demografica» non può nemmeno essere rinvenuta nei flussi migratori. Ciò è vero per l'Italia, come per l'intera Europa, o meglio, questa sostituzione di popolazione è possibile, e già viene prevista dai più attenti demografi, che però ne sottolineano il carattere e le conseguenze traumatiche, di vera e propria decadenza di una intera esperienza storica di civilizzazione;
    la sostituzione morbida immaginata dalle consolatorie utopie multiculturali non è possibile per i presentatori del presente atto di indirizzo perché se (e fino a quando) i flussi immigratori non superano determinate soglie dimensionali, anche gli immigrati rapidamente invertono la tendenza: in Italia, la popolazione immigrata è passata da livelli di fecondità largamente superiori alla soglia di ricambio generazionale, a livelli che ne permettono appena il ricambio e tendono ad abbassarsi ulteriormente. In assenza di politiche specifiche, infatti, le coppie straniere incontrano le stesse difficoltà che incontrano le coppie italiane ad avere figli e spesso le madri si trovano nella condizione di non poter scegliere la maternità senza rinunciare al lavoro. Inoltre, gli immigrati non possono essere considerati – in termini di capitale sociale – sostitutivi dei quasi 4,6 milioni di italiani residenti all'estero, una grande percentuale dei quali costituita da giovani talenti che si spostano perché altrove ci sono condizioni per ottenere maggiori gratificazioni;
   i rischi sociali ed economici di queste tendenze non sono ancora adeguatamente valutati dall'opinione pubblica e dalle stesse istituzioni politiche che hanno, finora, dedicato a questo tema un'attenzione molto parziale ed iniziative sporadiche;
    tralasciando l'essenziale ruolo di coesione sociale della famiglia, colpisce che tutto il dibattito, ormai pervasivo sulla crescita economica, sottovaluti clamorosamente il tema demografico. Eppure, analisi economiche, ormai consolidate, evidenziano come una popolazione giovane, in crescita nel numero, nella collocazione sociale e nel livello di coscienza di sé, sia un fattore essenziale per la riproduzione di quel capitale sociale qualificato richiesto dall'economia della conoscenza, ma sia anche la base necessaria di un adeguato livello di domanda di beni e servizi e quindi di tenuta e sviluppo del mercato. Al contrario, l'invecchiamento demografico rappresenta un vero e proprio freno ad una crescita duratura, sia dal lato del calo della produttività, che da quello dell'aumento della spesa pubblica incomprimibile: la crescita percentuale di anziani e pensionati, infatti, è destinata a pesare come un macigno sulle principali voci del bilancio pubblico. Si parla a questo proposito di «debito demografico», contratto dal Paese nei confronti delle generazioni future, soprattutto in termini di previdenza, spesa sanitaria e assistenza;
    a fronte di questi trend sociali appaiano sempre più scopertamente il ritardo culturale e la disinformazione di coloro che sottovalutano l'importanza dei temi valoriali legati alla famiglia e alla natalità, senza comprendere come proprio l'indebolimento di questi fattori culturali sia la causa più profonda di quella che rischia di diventare una catastrofe sociale;
    la supponenza e l'egemonia su importanti canali di trasmissione comunicativa e mediatica, esercitate da un ristretto ceto pseudointellettuale, che ha sempre bollato i valori della famiglia con il marchio della arretratezza, hanno contribuito a rafforzare le tendenze più regressive della società contemporanea;
   ma, rispetto a questi fenomeni profondi e di lunga durata, non va sottovalutato il ruolo dell'azione di Governo: in Italia, nella fase più recente, non sono mancati provvedimenti che vanno nella giusta direzione, ma fa ancora fatica a concretizzarsi un'iniziativa politica e legislativa ad ampio raggio per il riorientamento dell'intero welfare verso la famiglia e per la progressiva trasformazione dell'organizzazione del lavoro in direzione della conciliazione fra lavoro e famiglia;
    ma ciò che è essenziale, nel breve periodo, è incrementare immediatamente un insieme di misure di sostegno economico alla famiglia e alla natalità. Sebbene, infatti, negli ultimi anni l'azione del Governo si sia già orientata in questa direzione, le iniziative normative adottate sono state sporadiche e i loro effetti non omogenei su tutto il territorio nazionale;
    indagini socioeconomiche accurate dimostrano, infatti, che uno dei freni principali allo sviluppo del nucleo familiare è costituito proprio dalla mancanza di risorse economiche, indispensabili soprattutto nei primi anni di vita del bambino, quando l'offerta educativa e di relazione è decisiva per farne emergere le potenzialità;
    è senz'altro apprezzabile che nella legge di stabilità per il 2016 siano state inserite misure quali il rifinanziamento del «bonus bebè», ovvero di un contributo economico, operativo già dal 2015, che viene riconosciuto ai neogenitori che rispettano determinati requisiti reddituali e che viene erogato fino al terzo compleanno del bambino. Analogo apprezzamento deve riconoscersi alle previsioni del diritto alla «maternità Inps» per le neomamme; alle disposizioni riguardanti il riconoscimento del congedo parentale anche ai neopapà, allo scopo di coinvolgere entrambi i genitori nella cura dei figli, nonché a favorire la conciliazione del lavoro con il nuovo ruolo genitoriale; all'istituzione della carta della famiglia, destinata, su richiesta, alle famiglie con almeno 3 figli minori a carico, grazie alla quale si possono ottenere sconti per l'acquisto di beni e di servizi ovvero riduzioni tariffarie con i soggetti pubblici o privati che intendano aderire all'iniziativa;
    queste misure di sostegno economico non basteranno, da sole, ad aggredire le cause meno palesi di quel trend negativo che si è ricordato, che ha radici profonde e che richiederebbe un ripensamento delle politiche sociali, delle politiche per l'occupazione e, date le sue implicazioni culturali, anche della comunicazione radiotelevisiva e delle politiche educative;
    ma queste misure di sostegno economico, se costantemente sviluppate e arricchite, possono cominciare a incidere sulle decisioni di migliaia di persone e avere l'effetto di far percepire il senso di un salto di qualità nelle politica del Governo;
    un esempio virtuoso – sotto questo profilo – ci viene dalla Francia, che in pochi anni è riuscita a invertire il trend demografico avverso, dando vita ad un sistema organico nel quale le famiglie con più di un figlio ricevono sostanziosi contributi e quelle con un reddito più basso possono beneficiare anche di altre forme di sostegno, come contributi per l'alloggio, per i libri scolastici e addirittura per le vacanze. È previsto, inoltre, un contributo economico in favore della prima infanzia dal settimo mese di gravidanza fino al compimento del terzo anno di età;
    le famiglie italiane e i giovani che sono nell'età di dare vita a una nuova famiglia attendono un segnale in questa direzione, che sia, al tempo stesso, una risposta credibile del Governo alle concrete difficoltà che attendono chi intraprende la strada della costruzione di una famiglia e della genitorialità e un chiaro messaggio di favore da parte di uno Stato che si dimostri capace di attuare principi costituzionali fra i più condivisi dagli italiani;
    l'incoraggiamento attivo dello Stato – attraverso idonee misure – a dare vita a quella «società naturale fondata sul matrimonio» (articolo 29 della Costituzione), basata sulla genitorialità, cioè in grado di «mantenere, istruire ed educare i figli (articolo 30 della Costituzione) non può essere né contrapposto strumentalmente al riconoscimento di altri diritti, né equiparato a un processo di progressiva estensione di diritti individuali che l'evoluzione sociale richiede;
    confondere questi piani è rischioso, mentre l'azione di allargare e portare su un livello superiore le politiche per la famiglia, coraggiosamente avviate dal Governo, permette di affrontare con lungimiranza un problema economico e sociale molto reale nonché di venire incontro a bisogni concreti e largamente diffusi e di riavvicinare milioni di persone alle istituzioni;
    le misure di maggiore impatto dovrebbero affermare il principio che la parte del reddito che serve a mantenere i figli non deve essere tassata, riconoscendo una no tax area che copra il reddito di sussistenza della famiglia (principio affermato in Germania a livello costituzionale); in termini di provvedimenti di più immediata implementazione, si dovrebbe puntare all'elevazione degli attuali massimali per i figli a carico, riconoscendo una più accentuata progressione per le famiglie via via più numerose e riconoscendo una specifica detrazione aggiuntiva per i genitori a carico del contribuente, al fine di incentivare il sostegno dei genitori in difficoltà economiche o non autonomi da parte dei figli;
    avrebbe una notevole efficacia sulla fascia della prima infanzia una deduzione ai fini dell'Irpef per le spese sostenute per la cura e per la tutela della salute della puerpera e del bambino; analogamente, potrebbero essere adottate una serie di misure per la realizzazione dei piani relativi agli asili nido;
    parallelamente, occorrerebbe intervenire – tramite un meccanismo di credito di imposta – in favore delle imprese che assumono donne lavoratrici per evitare che le difficoltà della crisi si scarichino indirettamente proprio sulle donne lavoratrici che affrontano la difficile sfida della conciliazione della vita familiare e di quella lavorativa;
    ma, soprattutto, occorrerebbe dare alle famiglie e ai giovani italiani un forte segnale di fiducia e di speranza nel futuro e, questo, è uno dei modi più diretti ed efficaci per farlo oggi a disposizione del Governo,

impegna il Governo:

   a promuovere una politica trasversale di sostegno della famiglia, quale nucleo fondamentale della società, rispondendo – al tempo stesso – ad una grave emergenza economica e sociale e ad un'esigenza di attuazione della Costituzione;
   a riconoscere, quale priorità inderogabile nelle linee politico-programmatiche dell'azione di Governo, la prosecuzione della politica per l'accesso alla casa in affitto e in proprietà da parte delle giovani famiglie, nonché l'attuazione di interventi in materia di servizi socio-educativi per l'infanzia, rinforzando – in parallelo – le politiche attive di sostegno alla conciliazione di lavoro e doveri genitoriali;
   ad assumere iniziative per la revisione del regime fiscale della famiglia, che operi da efficace stimolo alla genitorialità, e rappresenti un reale sostegno ai nuclei familiari con più figli e a quelli di nuova costituzione.
(1-01124) «Lupi, Buttiglione, Alli, Dorina Bianchi, Binetti, Sammarco, Tancredi, Vignali, Bosco, D'Alia, Garofalo, Minardo, Calabrò».

  Le Commissioni VI e X,
   premesso che:
    il libro verde «Verso un mercato integrato dei pagamenti» mira alla costruzione graduale di un'area unica dei pagamenti in euro (AUPE) – basata cioè sul presupposto che non vi sia distinzione tra pagamenti elettronici al dettaglio (bonifici, addebiti diretti e carte di pagamento) in euro, transfrontalieri e nazionali – attraverso l'introduzione di misure che favoriscano la diffusione dei pagamenti elettronici;
    requisito essenziale per il funzionamento e lo sviluppo di un'economia è l'efficienza dei sistemi di pagamento che dimostrino di rispondere ai requisiti di trasparenza, sicurezza e velocità delle transazioni;
    nell'attuale contesto di forte evoluzione tecnologica, di progressiva dematerializzazione e di interconnessione su scala globale delle dinamiche produttive e finanziarie, i pagamenti effettuati con strumenti alternativi al contante, quali carte di credito e debito, computer e dispositivi mobili, stanno assumendo un ruolo sempre più centrale, anche nell'agenda strategica degli Stati e delle istituzioni sovranazionali;
    accelerare la transizione verso sistemi socio-economici non più principalmente basati sull'uso della carta moneta è un passaggio obbligato per i Paesi avanzati;
    secondo quanto emerge dal rapporto dello studio Ambrosetti, tra il 2001 e il 2012 il numero delle transazioni elettroniche nel mondo è più che raddoppiato, arrivando a 333 miliardi di transazioni, pari al 60 per cento del valore dei pagamenti totali (oltre 20 mila miliardi di dollari); le economie emergenti in Asia, Africa, Est Europa e Sud America segnano tassi di crescita tra il 15 per cento e il 20 per cento all'anno, mentre Europa e Nord America, pur con incrementi più moderati, pesano per i due terzi delle transazioni complessive;
    una ricerca del CNEL del 23 gennaio 2014 intitolata «Moneta elettronica: osservazioni e proposte» sottolinea i benefici sociali della moneta elettronica in termini di: riduzione del costo del contante (che la Banca d'Italia stima in 8 miliardi di euro annui, pari allo 0,52 per cento del prodotto interno lordo, di cui il 49 per cento a carico delle banche e il 51 per cento a carico delle imprese e delle famiglie); tracciabilità di tutte le transazioni con evidenti riflessi positivi rispetto alla lotta alla evasione fiscale, al riciclaggio e alla corruzione; semplificazione della contabilità per le banche, le imprese e la pubblica amministrazione; riduzione dei costi sociali (furti, scippi, rapine); possibilità di creazione di nuove imprese dedicate all'implementazione di nuove tecnologie; stimolo alla diffusione di una cultura digitale;
    in Italia l'uso del contante è ancora predominante: anche se il numero di operazioni pro-capite effettuate con strumenti elettronici ha mostrato un incremento nel corso degli ultimi anni, esso è ancora al di sotto della media dei Paesi europei;
    secondo i dati della Banca d'Italia, in Italia, nel 2013, sono state regolate 74 operazioni pro-capite con strumenti alternativi al contante contro le 194 dei Paesi dell'area dell'euro (ultimo dato disponibile al 2012);
    un impulso alla diffusione di strumenti elettronici è in grado di produrre effetti benefici per i consumatori, le imprese, le amministrazioni pubbliche e l'economia nel suo complesso; infatti, il sommerso e l'economia criminale sono fortemente correlati con l'uso del contante e incidono per oltre il 27 per cento del prodotto interno lordo;
    sempre secondo la Banca d'Italia, nel confronto internazionale e tra le regioni italiane emerge che tra le principali determinanti del basso utilizzo di strumenti di pagamento elettronici figurano le differenze nel reddito pro capite e nel grado di sviluppo e di diffusione dei punti di accettazione delle carte di pagamento presso le imprese e i liberi professionisti;
    a livello europeo, la Commissione europea ha adottato una comunicazione che definisce 16 azioni concrete volte a raddoppiare entro il 2015 la quota di e-commerce delle vendite al dettaglio – attualmente al 3,4 per cento – oltre alla quota dell'economia online sul PIL europeo complessivo, che al momento è inferiore al 3 per cento;
    la direttiva sui servizi di pagamento (direttiva 2015/2366) ha innovato il mercato dei pagamenti, introducendo un nuovo quadro giuridico e regolatorio per stimolare la concorrenza, facilitando l'ingresso nel mercato di nuovi fornitori, e consentendo lo sviluppo di metodi innovativi di pagamento, soprattutto mobile;
    il recente Regolamento (UE) 2015/751 del Parlamento europeo e del Consiglio, inoltre, ha introdotto un tetto alle commissioni interbancarie dello 0,2 per cento sulle operazioni effettuate con carte di debito (bancomat) e dello 0,3 per cento sulle operazioni con carte di credito;
    sul fronte interno, il decreto 14 febbraio 2014, n. 51 del MEF ha dettato alcune regole per contenere i costi delle commissioni per i pagamenti elettronici e ha individuato gli obblighi a carico dei soggetti che gestiscono i pagamenti elettronici; le commissioni devono essere differenziate sulla base dei volumi delle transazioni eseguite con carta presso ciascun esercente ovvero presso gruppi di esercenti unitariamente convenzionati; inoltre, le commissioni devono essere riviste almeno annualmente, valutandone un abbassamento correlato al volume e al valore delle operazioni di pagamento effettuate presso l'esercente. Per i pagamenti di importo non superiore a trenta euro devono essere applicate commissioni inferiori qualora siano effettuati con terminali evoluti di accettazione multipla (ovvero POS con tecnologie ulteriori rispetto alla banda magnetica e al microchip);
    per quanto riguarda i pagamenti nei settori del commercio e dei servizi, dal 1o luglio 2014 le imprese ed i professionisti che effettuano vendita di prodotti e prestazione di servizi sono tenuti ad accettare pagamenti effettuati con carte di debito (cosiddetto «obbligo di POS» di cui all'articolo 15 del decreto-legge n. 179 del 2012); il decreto 24 gennaio 2014 del Ministero dello sviluppo economico ha previsto l'obbligo di accettare pagamenti con carte di debito per acquisiti superiori a 30 euro;
    da ultimo, la legge di stabilità 2016 estende l'obbligo per i commercianti e i professionisti di accettare pagamenti anche mediante carte di credito, oltre che di debito, tranne nei casi di oggettiva impossibilità tecnica; inoltre si introduce l'obbligo di accettare pagamenti elettronici anche con riferimento ai dispositivi di controllo di durata della sosta;
    occorre dare ulteriore impulso alla maturazione del mercato italiano dei pagamenti elettronici e adottare misure che favoriscano l'adozione spontanea di terminali POS, fisici o virtuali, da parte di commercianti e professionisti;
    secondo un comunicato stampa diffuso l'8 luglio 2014 dal presidente di Netcomm – Consorzio del commercio elettronico italiano – lo sviluppo del commercio elettronico e dei servizi online rappresenta un notevole potenziale portatore di benefìci economici, sociali e societari; l'economia di internet crea 2,6 posti di lavoro per ogni lavoro perso e offre una maggiore scelta ai consumatori anche nelle zone rurali e remote;
    secondo il citato comunicato, in Italia le imprese che vendono online sono solo il 4 per cento del totale, l'accesso alla banda larga rimane carente e i finanziamenti necessari per attivare gli investimenti risultano problematici; i servizi digitali della pubblica amministrazione sono di difficile accesso e una parte consistente di italiani non ha fiducia negli acquisti online;

impegnano il Governo:

   a provvedere già in occasione della legge di delegazione europea al recepimento della Direttiva 2015/2366 relativa ai servizi di pagamento;
   ad assumere iniziative per potenziare l'utilizzo delle carte di pagamento, incentivando – eventualmente con detrazioni fiscali – i soggetti che effettuano attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, all'installazione di terminali POS, che prevedano il pagamento anche tramite dispositivi mobili;
   a valutare iniziative per introdurre, intanto, un pricing fisso per le transazioni effettuate presso gli impianti di distribuzione di carburante e presso le rivendite di tabacchi per i servizi prestati dalle stesse per conto dello Stato;
   a valutare la possibilità che le commissioni pagate dagli esercenti che svolgano la funzione di intermediari nei confronti di soggetti pubblici o di società partecipate dagli enti pubblici siano poste a carico della pubblica amministrazione beneficiaria del pagamento;
   a istituire un tavolo di confronto tra il Governo, le banche e i rappresentanti degli operatori economici e professionali, al fine di ridurre al minimo i costi di utilizzo delle carte di pagamento a carico di commercianti, artigiani e professionisti, anche prevedendo la possibilità per le banche di offrire contratti di comodato gratuito di terminali POS, nonché la possibilità per le medesime banche di facilitare le anticipazioni e i finanziamenti in relazione alle operazioni transate o prenotate con le carte di credito, nel rispetto del merito creditizio;
   a prevedere misure premiali per i consumatori che utilizzino carte di pagamento e sistemi di pagamento avanzati, privilegiando carte e sistemi a più contenuto costo totale;
   a verificare l'opportunità di una revisione della «non discrimination rule» in linea con le indicazioni del Libro verde della Commissione europea del 2012 «Verso un mercato europeo integrato dei pagamenti», nonché possibili misure premiali per gli esercenti correlate all'incremento del fatturato rispetto all'anno precedente;
   ad assumere iniziative per introdurre un «indicatore sintetico di costo» (ISC) che chiarisca il costo complessivo di tutte le spese sostenute dall'esercente nel corso di un anno per il terminale POS e garantisca la vera trasparenza e il confronto tra gli operatori;
   a incentivare la possibilità per gli utenti di effettuare online i pagamenti dei servizi resi dalla pubblica amministrazione e consentire alle imprese di integrare la fatturazione elettronica verso le amministrazioni con le procedure di pagamento, al fine di ridurre i costi di esecuzione delle attività amministrative, contabili e finanziarie;
   a provvedere alla contestuale e necessaria dotazione di POS presso tutte le strutture della pubblica amministrazione;
   a realizzare un'adeguata campagna di comunicazione istituzionale volta a informare i consumatori sui benefici sociali determinati dalla moneta elettronica e sui livelli di sicurezza delle carte, ad oggi percepiti come inadeguati dal pubblico, nonché per la familiarizzazione e il corretto uso dei nuovi strumenti di pagamento;
   ad assumere iniziative per definire standard di sicurezza per le transazioni online orientati alla tutela del consumatore, al fine di migliorare la fiducia nell'utilizzo di piattaforme di acquisto telematico, con particolare riguardo alla trasparenza e alla chiarezza delle informazioni, alla garanzia dei prodotti venduti e dei servizi offerti, nonché all'esigenza di evitare le cosiddette truffe telematiche a danno dei cittadini;
   ad attuare iniziative per favorire l'interoperabilità nel settore dei pagamenti mobili e dei pagamenti elettronici, distinguendo tra interoperabilità tecnica e interoperabilità commerciale, ossia la possibilità per i commercianti di scegliere gli acquirer e per i clienti di scegliere gli emittenti, indipendentemente dal luogo in cui operano;
   ad attuare le necessarie iniziative volte al potenziamento delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione previste all'Agenda digitale europea, nonché dalla Strategia per la crescita digitale e dalla Strategia italiana per la banda ultralarga, con lo scopo di sfruttare al meglio le tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) per favorire lo sviluppo dell’e-commerce, l'innovazione, la crescita economica e la competitività.
(7-00433)
«Causi, Benamati, Pelillo, Epifani, Petrini, Bargero, Basso, Marco Di Maio, Marco Di Stefano, Folino, Fragomeli, Gutgeld, Lodolini, Montroni, Senaldi, Sberna, Taranto, Tidei, Paglia, Ricciatti, Ferrara, Bonifazi, Capozzolo, Carella, Colaninno, Currò, De Maria, Fregolent, Ginato, Gitti, Moretto, Ragosta, Ribaudo, Sanga, Zoggia, Arlotti, Becattini, Bini, Camani, Cani, Donati, Galperti, Ginefra, Impegno, Martella, Peluffo, Scuvera, Vico, Paola Boldrini».

   Le Commissioni VI e X,
premesso che:
nel regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento, così si legge al considerando (44): «Le piccole e medie imprese (PMI) sono uno dei pilastri dell'economia dell'Unione, tenuto conto del ruolo fondamentale da esse svolto nel creare crescita economica e garantire occupazione. La ripresa e futura» crescita dell'economia dell'Unione dipendono in larga misura dalla disponibilità di capitali e finanziamenti che permettano alle PMI stabilite nell'Unione di realizzare gli investimenti necessari all'adozione delle nuove tecnologie e attrezzature occorrenti per accrescerne la competitività. Il numero limitato di fonti alternative di finanziamento ha reso le PMI stabilite nell'Unione ancora più sensibili all'impatto della crisi bancaria. Risulta pertanto importante provvedere a colmare l'attuale lacuna in materia di finanziamento delle PMI e garantire un adeguato flusso di crediti bancari alle PMI nell'attuale contesto. Le coperture patrimoniali verso le esposizioni verso le PMI dovrebbero essere ridotte mediante l'applicazione di un fattore di sostegno pari allo 0,7619 in modo da consentire agli enti creditizi di aumentare i prestiti alle PMI. Per conseguire tale obiettivo, gli enti creditizi dovrebbero utilizzare efficacemente l'alleggerimento dei requisiti patrimoniali, derivante dall'applicazione del fattore di sostegno, allo scopo esclusivo di assicurare un adeguato flusso di crediti alle PMI stabilite nell'Unione. Le autorità competenti dovrebbero monitorare periodicamente l'importo totale delle esposizioni degli enti creditizi verso le PMI e l'importo totale della detrazione di capitale»;
l'introduzione, nell'ambito del citato regolamento, dello «SMEs SF» (small and medium enterprises supporting factor, fattore di supporto per le piccole e medie imprese) è stata il risultato degli approfondimenti richiesti, nel 2012, dalla Commissione europea all'EBA (European Banking Authority) circa la possibile adozione di un fattore di correzione applicabile alle esposizioni verso le piccole e medie imprese;
tali approfondimenti – anche sulla scorta delle sollecitazioni congiuntamente formulate dall'ABI e da tutte le principali associazioni imprenditoriali italiane – hanno condotto – in ragione del minor rischio sistemico delle suddette esposizioni – alla definizione di un fattore di ponderazione compensativo degli incrementi dei requisiti patrimoniali richiesti alle banche, da cui è risultata la conferma – per i crediti fino a 1,5 milioni di euro alle micro piccole e medie imprese con fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro – del coefficiente patrimoniale dell'8 per cento di cui alle già vigenti regole di «Basilea 2» in luogo dell'incrementato coefficiente del 10,5 per cento secondo le nuove disposizioni di «Basilea 3»;
sempre secondo le previsioni del regolamento (UE) n. 575/2013, la Commissione europea provvederà – entro il 2 gennaio 2017 – a trasmettere al Parlamento europeo ed al Consiglio una relazione – accompagnata da eventuale proposta legislativa – sull'impatto dello «SMEs SF», previo rapporto dell'EBA alla Commissione medesima circa: «a) l'analisi dell'evoluzione delle tendenze e delle condizioni relative ai prestiti per le PMI ...; b) l'analisi dell'effettiva rischiosità delle PMI dell'Unione nel corso di un intero ciclo economico; c) la coerenza dei requisiti in materia di fondi propri stabiliti nel presente regolamento per il rischio di credito sulle esposizioni verso le PMI, con i risultati dell'analisi di cui alle lettere a) e b)»;
nel corso dello «Stakeholder Meeting» del mese di giugno 2015, l'EBA ha avviato un'analisi preliminare delle «non compliances europee rispetto a Basilea 3», e successivamente – il 31 luglio 2015 – ha aperto una procedura di consultazione sullo «SMEs SF» ai fini della predisposizione di un report finale da presentare – nel prossimo mese di febbraio – alla Commissione europea;
nel position paper del mese di ottobre 2015 – predisposto in risposta alla consultazione avviata dall'EBA – l'ABI conclude sottolineando che, nel loro insieme, le evidenze analitiche supportano: a) la richiesta di mantenimento dello «SMEs SF»; b) la conferma del fatto che la misura non ha impedito la desiderata crescita degli indici di capitalizzazione ed ha invece determinato un impatto di 20 basis points in termini di minore assorbimento di capitale regolamentare di migliore qualità (circa 10,5 miliardi di euro a vantaggio di maggiori finanziamenti potenziali per oltre 150 miliardi di euro, con benefici più rilevanti in Italia, Francia e Spagna); c) l'evidenziazione, in un ancor breve periodo di applicazione della misura, di effetti positivi che hanno mitigato le conseguenze di una recessione profonda e prolungata; d) la registrazione della convergenza, a supporto della misura, di ragioni macroeconomiche e di ragioni strutturali, poiché la minore rischiosità dei portafogli di prestiti alle piccole e medie imprese rispetto ai portafogli di prestiti alle grandi imprese è dovuta ad un effetto di diversificazione che rende il tasso di default dei primi meno volatile;
il position-paper si conclude con l'estratto della condivisione delle altre associazioni imprenditoriali espressa nei seguenti termini: «I commenti di ABI sono condivisi dalle associazioni imprenditoriali italiane Alleanza delle cooperative italiane, Casartigiani, CIA, Coldiretti, CNA, Confagricoltura, Confartigianato, Confcommercio, Confesercenti, Confindustria, che rappresentano le PMI in tutti i settori economici: agricoltura, artigianato, industria, turismo, servizi e commercio. L'introduzione dello “SME Supporting Factor” (SME SF) è stata fortemente sostenuta da queste associazioni insieme all'ABI. Dopo il primo periodo di applicazione, le associazioni imprenditoriali italiane sono soddisfatte dei risultati della misura. Le evidenze fornite dall'ABI sottolineano l'importanza dello SME SF nel compensare – senza accrescere il rischio dei portafogli bancari – l'incremento quantitativo dei requisiti minimi di capitale, evitando così il rischio di un'ulteriore riduzione nella fornitura di prestiti alle piccole e medie imprese. In considerazione di queste evidenze e delle persistenti restrizioni nell'erogazione del credito alle PMI, le associazioni imprenditoriali italiane supportano la richiesta di ABI per il mantenimento dello SME SF»;
sembrerebbe comunque emergere, da parte dell'EBA, una posizione dubitativa circa la possibilità di mantenere il «fattore di supporto per le PMI» oltre la fase temporanea che si concluderà nel 2016, e tale posizione – se confermata – costituirebbe ragione di forte preoccupazione, posto che – dalla sua entrata in vigore nel gennaio 2014 – lo «SMEs SF» ha mostrato di agire efficacemente – attraverso i minori accantonamenti di capitale di vigilanza richiesti alle banche a fronte di prestiti erogati alle piccole e medie imprese a sostegno di una classe dimensionale di imprese, che svolge un ruolo determinante nell'intera Unione europea;
va infatti ricordato che – secondo dati EBA – il nostro Paese produce il 79,9 per cento dell'occupazione e il 67,6 per cento del valore aggiunto attraverso l'operato delle piccole e medie imprese; valori simili si registrano in Spagna – il 74,2 per cento dell'occupazione ed il 63,3 per cento dell'occupazione – e valori significativi si registrano, comunque, anche in Paesi con maggior presenza di big corporate – Francia, Finlandia, Germania e Gran Bretagna – con tassi di occupazione derivanti dalle piccole e medie imprese compresi tra il 63 e il 53 per cento e con un tasso di partecipazione alla formazione del valore aggiunto tra il 58,5 ed il 50,3 per cento;
secondo quanto emerge dal già citato position paper ABI, va inoltre segnalato che – nei primi 19 mesi di operatività dello «SMEs SF» – il credito alle piccole e medie imprese e aumentato in Europa mediamente del 2 per cento e, in Italia, dell'1,8 per cento, mentre l'erogato alle grandi imprese è diminuito in media europea del 7 per cento e, in Italia, del 2,9 per cento; quanto alle condizioni di accesso al credito, l'indice registra – nei 20 mesi precedenti l'introduzione del fattore di supporto – un miglioramento di 4 punti base per le imprese con meno di 50 addetti, di 9 punti base per le imprese tra 50 e 250 addetti, di 10 punti base per le imprese con oltre 250 addetti, mentre – nei 20 mesi successivi all'introduzione del fattore di supporto – il miglioramento delle condizioni risulta di 27 punti per le piccole imprese, di 25 punti per le medie imprese, di 11 punti per le grandi imprese;
il fattore di supporto per le piccole e medie imprese assume particolare rilevanza per il nostro Paese, ove si stima che la sua mancata conferma metterebbe in discussione – in termini di volumi e condizioni – un ammontare di prestiti pari a circa 20 miliardi di euro;
il tema va altresì affrontato nell'ambito di uno scenario in cui «la correzione degli squilibri nella struttura finanziaria delle imprese italiane richiede – come ha scritto il Governatore Visco – l'attivazione prolungata nel tempo di diversi strumenti di politica economica in un quadro coerente di riforme» ed in cui «la soluzione del problema della scarsa accessibilità al credito da parte delle aziende – come si legge nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2015 – è un tema di primaria importanza che coinvolge diversi attori e richiede un intervento su diversi fronti», nonché alla luce di quanto si evidenzia nel Rapporto sulla stabilità finanziaria – pubblicato da Banca d'Italia nel mese di novembre 2015 – ove, tra l'altro, così si osserva: «In Italia l'uscita dalla recessione favorisce un graduale ritorno alla crescita del credito al settore privato; se valutato in rapporto al prodotto, tale credito rimane tuttavia assai inferiore ai valori medi di lungo periodo»;
la conferma dell'applicazione dello «SMEs SF» rientra dunque – concorrendo alla costruzione delle – condizioni di un mercato del credito fluido, efficiente ed accessibile da parte delle micro, piccole e medie imprese, tra gli strumenti necessari – in Europa e, in particolare, in Italia – per il sostegno della ripresa,

impegnano il Governo

a sviluppare ogni iniziativa utile all'avanzamento – in sede di Commissione europea e di Consiglio – del confronto e, dell'approfondimento sulle ragioni del mantenimento dello strumento del «fattore di supporto delle piccole e medie imprese» (SMEs Supporting Factor), sulla scorta di quanto delineato all'articolo 501 del regolamento UE n. 575/2013 in materia di requisiti prudenziali di capitale regolamentare per enti creditizi ed imprese di investimento e nell'ambito della valutazione d'impatto di cui al paragrafo 4 dello stesso articolo.
(7-00851) «Taranto, Causi, Benamati, Pelillo, Arlotti, Zoggia, Becattini, Martella, Scuvera, Senaldi, Bargero, Cani, Petrini, Lodolini, Ginefra, Tidei, Peluffo, Vico, Montroni, Galperti, Bini, Marco Di Maio, Barbanti, Giampaolo Galli».

   La XIII Commissione,
   premesso che:
    l'Italia è oggi il primo produttore mondiale di vino con un quantitativo di produzione stimato a 48,9 milioni di ettolitri annui;
    il settore vitivinicolo, ed in particolare quello a denominazione di origine protetta, rappresenta un comparto fondamentale per l'intero sistema economico, produttivo ed occupazionale del nostro paese per numero di addetti della filiera (circa 1 milione e 250 mila), volume di fatturati (circa 9,4 miliardi di euro annui) ed esportazioni (circa 5,1 miliardi di euro all'anno);
    il settore vitivinicolo è quindi un volano irrinunciabile per la promozione del « Made in Italy» nel mondo;
    gli ultimi dati ufficiali Istat (relativi all'anno solare 2013) indicano infatti che il 38,5 per cento della produzione italiana è stato di vini Doc e Docg (denominazione di origine controllata e denominazione di origine controllata e garantita), in crescita «dell'8,2 per cento sul 2012, mentre i vini Igp (indicazione geografica protetta) hanno rappresentato il 35 per cento della produzione, con un incremento del 25,8 per cento rispetto al 2012. Conseguentemente i vini senza denominazione, chiamati anche «vini comuni», rappresentano solo il 26,5 per cento del totale;
    il primato italiano si registra anche rispetto ai vini certificati Dop ed Igp (523 denominazioni pari al 33 per cento dell'intero paniere europeo), con una produzione complessiva che si attesta intorno ai 22 milioni di ettolitri e un fatturato stimato alla produzione per l'imbottigliato di 7,1 miliardi di euro (2,7 miliardi di euro per lo sfuso), di cui 4,3 destinati all’export, con oltre 200.000 operatori coinvolti;
    nell'Unione europea la produzione e la classificazione dei vini sono disciplinate da appositi regolamenti comunitari e dalle relative norme nazionali applicative. Nel corso degli ultimi anni la legislazione si è aggiornata con l'emanazione della nuova Ocm «Vino»: il riferimento principale è il regolamento (Ce) n. 479/2008 del Consiglio per quanto riguarda le denominazioni di origine protette e le indicazioni geografiche protette, le menzioni tradizionali, l'etichettatura e la presentazione di determinati prodotti vitivinicoli;
    successivamente con il regolamento (Ce) n. 607/2009, la Commissione europea ha disposto le «modalità di applicazione del regolamento (Ce) n. 479/2008;
    nel dettaglio il paragrafo 4 dell'articolo 62 del regolamento (Ce) n. 607/2009 cita testualmente: «I nomi di varietà di uve da vino e i loro sinonimi elencati nell'allegato XV, parte B, del presente regolamento che contengono in parte una denominazione di origine protetta o un'indicazione geografica protetta e si riferiscono direttamente all'elemento geografico della denominazione di origine protetta o dell'indicazione geografica protetta, possono figurare esclusivamente sull'etichetta di un prodotto a denominazione di origine protetta o indicazione geografica protetta o a indicazione geografica di un paese terzo»;
    in sintesi, ad oggi, i nomi di varietà di uva da vino, ed i loro sinonimi, contenuti nell'allegato sopracitato non possono essere utilizzati nell'etichettatura dei vini senza indicazione geografica (ex vini da tavola, chiamati anche «vini varietali») ed il loro utilizzo è limitato alle condizioni d'uso espressamente previste negli allegati. In particolare, i nomi di varietà possono essere utilizzati solo su vini a Do e Ig, provenienti dai Paesi espressamente e tassativamente indicati negli allegati;
    recentemente è stato avviato, presso le competenti istituzioni dell'Unione europea, il processo di revisione delle norme comunitarie che disciplinano l'etichettatura dei vini, finora contenute nel regolamento (Ce) n. 607/2009. La Commissione europea ha inoltre precisato che tale revisione non riguarderà la parte A, ma potrebbe comunque coinvolgere la parte B del citato allegato XV;
    in preparazione di una proposta di regolamento in merito, la direzione generale agricoltura e sviluppo rurale della Commissione europea ha presentato alcune opzioni di riforma;
    la Commissione europea non ha infatti escluso di autorizzare l'uso nell'etichettatura di tutti i vini, compresi quelli senza indicazione geografica prodotti in uno qualsiasi degli Stati membri dell'Unione europea, di quei nomi di varietà che oggi sono riservati a specifiche denominazioni d'origine protette (Dop) o indicazioni geografiche protette (Dop) di precisi Stati membri;
    modificare la parte B del citato allegato XV potrebbe conseguentemente aprire forme di liberalizzazione sull'uso dei nomi elencati permettendone l'utilizzo nelle etichette di prodotti senza nessuna indicazione geografica;
    in Italia se la Commissione europea decidesse di procedere secondo le opzioni di modifica presentate sarà possibile per un qualsiasi vino comune europeo riportare in etichetta nomi di vitigni quale, tra gli altri, quello del «Lambrusco»;
    questa forma di liberalizzazione contrasta palesemente con i principi sanciti dal citato paragrafo 4 dell'articolo 62 del regolamento (Ce) n. 607/2009;
    le proposte di revisione delle norme comunitarie che disciplinano l'etichettatura dei vini stanno causando grande preoccupazione nell'intero settore vitivinicolo nazionale. È stato infatti evidenziato come l'appiattimento di vitigni che rappresentano un'autentica bandiera delle produzioni italiane a generici varietali che potranno un domani essere liberamente prodotti e commercializzati ovunque, significa distruggere l'immagine che le realtà locali hanno costruito in secoli di duro lavoro e fatica; è stato poi rimarcato come ciò comporterebbe una banalizzazione di alcuni dei principi su cui si regge la forza del settore vitivinicolo nazionale, con possibili ripercussioni negative sulla redditività dell'attività agricola in ampie aree rurali del Paese e che riportare il corretto nome del vitigno nelle etichette legato effettivamente alla zona di produzione rappresenta una scelta irrinunciabile per la tutela del made in Italy ed un fattore qualificante per i consumatori di tutto il mondo;
    il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, quale autorità pubblica preposta alla salvaguardia degli interessi socio-economici dell'intera filiera vitivinicola di qualità nazionale, si è opposto alla revisione dei principi espressi dal citato paragrafo 4 dell'articolo 62 del regolamento, fatta salva la possibilità di utilizzare i vitigni in questione nell'etichettatura di altri vini DOP o IGP europei o IG dei Paesi terzi già espressamente indicati nell'allegato XV;
    rispetto a tale problematica i Paesi europei sembrano schierati differentemente: la Spagna è infatti intervenuta sostenendo la necessità di una semplificazione che porti alla possibilità di utilizzare tutte le varietà di vite per le quali è ammessa la coltivazione nell'etichettatura dei vini (Dop, Igp e senza indicazione geografica). A tale richiesta si sono associate Danimarca, Regno Unito, Svezia, Bulgaria e Polonia (nazioni quindi non produttori di vino, con interessi più vicini a quelli del commercio che della produzione). Sul fronte opposto, in linea di principio, Francia, Austria, Germania, Ungheria, Romania ed Portogallo hanno manifestato posizioni più vicine a quella italiana chiedendo una semplificazione che tenga comunque conto del legame tra le tipologie di vite ed i territori di produzione,

impegna il Governo

a mettere in campo ogni iniziativa necessaria in ambito comunitario affinché, nei processi in atto di revisione delle norme comunitarie, che disciplinano l'etichettatura dei vini promossa dalla Unione europea, con particolare riferimento al Lambrusco, vengano confermati e rafforzati i principi sanciti dal paragrafo 4 dell'articolo 62 del regolamento (Ce) n. 607/2009 e venga conseguentemente vietata ogni modifica della parte B dell'allegato XV di cui in premessa, che possa consentire di inserire nell'etichettatura dei vini, compresi quelli senza indicazione geografica prodotti in uno qualsiasi degli Stati membri dell'Unione europea, quei nomi di varietà di vitigno che oggi sono riservati esclusivamente a specifiche denominazioni d'origine protette o indicazioni geografiche protette.
(7-00863) «Carra, Romanini, Baruffi, Benamati, Gandolfi, Ghizzoni, Incerti, Iori, Lacquaniti, Patrizia Maestri, Malpezzi, Marchi, Patriarca, Giuditta Pini, Richetti, Terrosi, Cenni».

   La Commissione XII,
   premesso che:
    la legge 8 novembre 2000, n. 328, finalizzata a promuovere interventi sociali, assistenziali e sociosanitari volti a superare la semplice assistenza del singolo, garantendo il sostegno della persona all'interno del proprio nucleo familiare, ha cambiato profondamente il sistema dei servizi e degli interventi sociali affermatosi fino ad allora sul territorio italiano ricoprendo un ruolo decisivo, in molti casi, per una sua effettiva attuazione;
    contestualmente all'approvazione di detta legge, ha visto la luce la legge costituzionale n. 3 del 2001, legge di riforma del titolo V della Costituzione. Con essa la competenza normativa esclusiva in materia di servizi socio-assistenziali è stata attribuita, in via residuale, in capo alle regioni, permanendo in capo allo Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Tale ridefinizione del riparto di competenze tra il livello centrale e quello regionale ha senza dubbio attenuato secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, la forza riformatrice della legge n. 328 del 2000, pur rimanendo quest'ultima ancora oggi, a quindici anni dalla sua approvazione, legge quadro di riferimento per il sistema di welfare italiano. La sua attuazione si è dunque affermata sulla base di leggi regionali di recepimento e riordino del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Occorre tuttavia precisare che non tutte le regioni hanno provveduto ad emanare l'apposita normativa attuativa: sono 14 infatti (assieme alla provincia autonoma di Trento) quelle che si sono mosse in questa direzione, ridefinendo il quadro organico del settore;
    la legge n. 328 del 2000 ha messo in campo un esteso tentativo di decentramento territoriale e di redistribuzione delle responsabilità, investendo gli enti locali di un ruolo centrale – anche in virtù del principio della sussidiarietà verticale – e caratterizzandosi per la promozione dell'integrazione tra i diversi attori istituzionali e sociali nel senso della ricerca di un livello adeguato di collaborazione, programmazione e gestione condivisa del sistema locale dei servizi. In tale ottica gli enti locali sono chiamati ad implementare forme di aggregazione intercomunale (ambiti territoriali) e a promuovere forme unitarie di organizzazione e gestione associata dei servizi in ambito distrettuale (piano di zona) attraverso accordi formali;
    per gestione associata dei servizi sociali deve dunque intendersi l'utilizzo di una forma organizzativa per la gestione unitaria dei servizi sociali di più comuni. La sua dimensione ottimale di riferimento comprende tutti i comuni dell'ambito sociale e il suo obiettivo strategico è quello di garantire in modo efficiente ed omogeneo i livelli essenziali delle prestazioni sociali (LEPS) in tutto il territorio;
    la forma per la gestione associata dei servizi sociali viene lasciata, da tutte le regioni, alla autonoma determinazione dei comuni che possono scegliere fra le forme previste dal testo unico degli enti locali (decreto legislativo n. 267 del 2000 – testo unico degli enti locali, in seguito TUEL);
    le possibili forme associative degli enti locali sono previste dal TUEL agli articoli 30 (convenzioni), 31 (consorzi), 32 (unioni di comuni), 33 (esercizio associato di funzioni e servizi) e 34 (accordi di programma). Alcune regioni hanno ampliato inoltre le citate possibilità. È il caso, ad esempio, della provincia autonoma di Bolzano che ha previsto con legge, un'azienda dei servizi sociali ad hoc per la gestione dei servizi sociali della città di Bolzano, o della regione Friuli-Venezia Giulia che ha previsto che i comuni possano costituire, anche in forma associata con altri enti locali e con soggetti privati, nuove aziende pubbliche di servizi alla persona (ASP) per gestire servizi socio-assistenziali e socio-sanitari, si tratta di una possibilità già introdotta dalla regione Emilia Romagna e in seguito anche dalla regione Puglia e dalla regione Marche. Realtà di gestione associata diverse sono nate anche in assenza di indicazioni normative regionali: è il caso delle aziende speciali (consortili o monocomunali) sviluppatesi nella regione Lombardia;
    il quadro delineato mostra con chiarezza come sussistano diverse possibilità organizzative per la realizzazione della gestione associata dei servizi sociali, ciò in forza del dato normativo, ma anche sulla scia di indicazioni ed esperienze assai diverse che provengono dalle regioni e dai comuni;
    semplificando, la scelta di gestione associata può essere realizzata secondo le seguenti possibilità: i patti di collaborazione amministrativi, come le convenzioni tra comuni oppure la delega dei comuni alle azienda sanitaria locale (Asl); la società o l'ente di diritto pubblico, come l'azienda speciale anche consortile, il consorzio, la comunità montana, l'unione di comuni; la società di diritto privato come la società per azioni, la società a responsabilità limitata e la fondazione;
    le possibilità sopra elencate presentano, ciascuna, determinate caratteristiche funzionali e aspetti peculiari. Senza dubbio alcuno le società o gli enti di diritto pubblico mostrano particolari punti di forza e vantaggi per gli enti locali, avendo personalità giuridica e autonomia gestionale, amministrativa e finanziaria. I patti di collaborazione amministrativa, d'altro canto, rappresentano una forma associativa «leggera», ampiamente diffusa, specie in determinate esperienze regionali;
    quest'ultima forma associativa tra comuni per la gestione dei servizi sociali, soprattutto quando è realizzata nella forma dell'accordo di programma, incontra specifici aspetti problematici, legati essenzialmente al fatto che l'organo di indirizzo politico (il comitato o la conferenza dei sindaci) non possiede uno status giuridico riconosciuto, ovvero è privo di personalità giuridica autonoma. In questo caso, la gestione del piano sociale di zona ricade formalmente e contabilmente sul comune capofila, che tuttavia non usufruisce di nessuna deroga specifica ai vincoli di legge per lo svolgimento di una funzione che in realtà investe non il proprio territorio ma quello di un numero più o meno ampio di comuni;
    in molti casi, il comune capofila non è individuato in modo stabile e definitivo dalla legge regionale, ma la funzione viene assunta a rotazione dai vari comuni appartenenti all'ambito territoriale. Tutto ciò determina notevoli problemi relativamente alla gestione finanziaria dei fondi, alla gestione tecnico-amministrativa dei servizi e alla situazione lavorativa e professionale degli operatori afferenti alla struttura tecnica (usualmente denominata «ufficio di piano»), deputata all'attuazione delle linee di indirizzo formulate dall'organo di indirizzo politico e a svolgere funzioni di supporto tecnico dello stesso e di gestione ed implementazione dei servizi e degli interventi sociali;
    riguardo ai lavoratori degli uffici di piano, essi sono da anni sottoposti a un regime di precariato, con tipologie contrattuali che vanno da contratti a tempo determinato a contratti di collaborazione coordinata e continuativa, ai contratti stipulati con lavoratori con partite iva o che operano presso agenzie interinali; alcuni servizi sono inoltre esternalizzati a cooperative sociali. Quest'ultima ipotesi desta particolare preoccupazione in quanto le professionalità in questione svolgono funzioni particolari, che spesso attengono al controllo sui percorsi di affidamento e alla valutazione dei risultati inerenti la programmazione degli interventi socio-sanitari. Appare quantomeno discutibile, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, che si possa giungere all'esternalizzazione di figure professionali deputate a valutazioni oggettive che, per essere tali, devono risultare scevre da qualsiasi condizionamento. Quanto esposto, assieme al quadro normativo sui contratti di lavoro dei soggetti che operano alle dipendenze della pubblica amministrazione e sui vincoli finanziari degli enti locali, rendono di fatto impossibile un'assunzione a tempo indeterminato di questi tecnici. Ciò a discapito delle importantissime funzioni svolte, fondamentali per una piena ed efficace applicazione della legge n. 328 del 2000 e per consentire un'evoluzione dei servizi locali di welfare che miri alla qualità e alla appropriatezza delle risposte ai bisogni socio-sanitari rilevati;
    le esperienze di gestione associata dei servizi sociali realizzate attraverso la costituzione di società o enti di diritto pubblico (aziende speciali e consortili, consorzi, società della salute) comportano indubbiamente determinati vantaggi che muovono innanzitutto dall'azione di un soggetto unico, ove l'adesione degli enti locali determina una maggiore condivisione degli interessi anche in presenza di un'azione di indirizzo politico più incisiva. Tali vantaggi possono declinarsi in un miglioramento dell'integrazione socio-sanitaria, nella possibilità di reinvestire le economie di scala realizzate, nella capacità di mobilitare e valorizzare le risorse territoriali in un contesto più ampio di quello comunale, nella riduzione dei costi indotti e gestionali, nonché dei tempi decisionali, nella possibilità di usufruire di personale tecnico dell'ufficio di piano stabile, attraverso una pianta organica definita;
    la realizzazione di tali modelli di gestione associata dei servizi sociali ha incontrato tuttavia diverse difficoltà dovute principalmente a una normazione a volte contraddittoria e promanante da fonti legislative diverse;
    riguardo alla competenza normativa occorre ribadire come la materia dei servizi sociali, a Costituzione vigente, sia attribuita in via esclusiva alla potestà normativa delle regioni e come la Corte costituzionale, con la sentenza n. 272 del 2004, abbia dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 113-bis del TUEL – che recava disciplina statale dei servizi privi di rilevanza economica 2, in quanto, nella valutazione della Consulta, i servizi citati non afferiscono alla materia della concorrenza (di esclusiva competenza statale). La relativa disciplina è dunque estranea alla potestà legislativa statale ma appartiene a quella delle regioni;
    successivamente a tale pronuncia, si sono tuttavia susseguite una serie di norme statali che hanno contribuito a complicare il quadro normativo e posto rilevanti difficoltà per alcuni modelli di gestione associata dei servizi sociali operanti in diverse regioni;
    basti pensare agli effetti dell'articolo 2, comma 28, della legge n. 244 del 2007 (legge di stabilità per l'anno 2008) in forza del quale a ogni amministrazione comunale veniva consentita l'adesione ad una unica forma associativa tra quelle previste dagli articoli 31, 32 e 33 del TUEL. Tale disposizione è venuta meno per i consorzi socio-assistenziali in forza della previsione di cui all'articolo 20, comma 5, lettera f) quater del decreto-legge n. 90 del 2014, così come convertito dalla legge n. 114 del 2014;
    la legge di stabilità per l'anno 2010, legge n. 191 del 2009 ha poi disposto la soppressione ope legis, con l'articolo 2, comma 186, dei consorzi di funzioni costituiti ai sensi dell'articolo 31 del TUEL, mettendo ulteriormente in difficoltà gli enti locali;
    a seguire, alcune norme del decreto-legge n. 95 del 2012 (cosiddetto spending review), nello specifico, il dettato dell'articolo 19, hanno previsto, per i comuni al di sotto dei 5.000 abitanti, l'obbligo all'esercizio in forma associata, mediante unione dei comuni o convenzioni, delle funzioni fondamentali. A riguardo si è posto il dubbio se tale obbligo potesse essere assolto dalle aziende sociali; dubbio non sciolto definitivamente date le interpretazioni di carattere opposto addotte dalla Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per il Lazio, nella deliberazione del 17 maggio 2013, e dalla Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, nella deliberazione del 16 gennaio 2013;
    il recente decreto legislativo n. 39 del 2013, recante alcune disposizioni contro la corruzione ha stabilito inoltre (articolo 11, commi 2 e 3 e articolo 12 comma 4) l'inconferibilità e l'incompatibilità alla carica di amministratore di ente pubblico per coloro i quali rivestano il ruolo di componente di una giunta comunale o di consigliere comunale di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione. La norma, pur avendo una ratio fondata, investe in maniera rilevante il settore dei servizi sociali, in quanto comporta che, in un'ottica associativa, i comuni con popolazione maggiore non possano esprimere il presidente in seno all'ente di diritto pubblico costituito per la gestione associata dei servizi sociali. Essendo tali servizi principalmente finanziati con risorse dei singoli enti locali, l'adesione dei comuni alla gestione associata è in larga parte condizionata alla capacità di esprimere efficacemente rappresentanza politica. Un'interpretazione restrittiva della norma citata pone un ostacolo importante all'incentivo alla gestione associata, se percepita come limite alla rappresentanza dei comuni negli organi decisori;
    le ragioni alla base della gestione associata dei servizi sociali promossa dalla legge n. 328 del 2000 si sono dimostrate più che fondate, garantendo: una maggiore distribuzione uniforme dei servizi nel territorio nazionale e i livelli essenziali delle prestazioni sociali anche nei piccoli comuni, una gestione unica del piano di zona, la possibilità di sviluppare economie di scala, l'innalzamento della qualità organizzativa e il miglioramento qualitativo e sul piano dell'efficienza dei servizi sociali. Nonostante ciò, sulla specifica materia, interventi legislativi da parte di fonti diverse hanno portato alla creazione negli ultimi anni di un corpus normativo contraddittorio e disomogeneo, dove la successione in un arco temporale relativamente breve di norme statali, regionali e di pronunce della Corte costituzionale ha contribuito alla creazione dell'attuale situazione di confusione normativa, rendendo difficile e incerto per gli enti locali investire in questa direzione;
    la riforma costituzionale attualmente in via di approvazione ha riportato nel novero della potestà legislativa dello Stato la disciplina delle disposizioni generali e comuni in materia di politiche sociali e sanitarie, potestà che, nell'ultima versione del nuovo Titolo V approvato al Senato, può essere devoluta alle regioni con legge statale. La riforma attribuisce altresì alla competenza legislativa esclusiva statale la nuova materia delle disposizioni di principio sulle forme associative dei comuni;
    l'esperienza di questi 15 anni di applicazione della legge n. 328 del 2000 ha mostrato, da un lato, la necessità che le forme di gestione associata dei servizi sociali tengano conto delle esigenze, degli obiettivi e delle caratteristiche locali, dall'altro, maggiori problematiche per le forme di gestione associata che si sviluppano in assenza di un autonomo soggetto dotato di personalità giuridica; la gestione associata dei servizi sociali, in quanto modalità organizzativa essenziale all'attuazione di diritti fondamentali, necessita di norme di chiusura chiare, che permettono in situazioni di inadempienza o inefficienza, agli enti sovraordinati di agire in via sostitutiva, secondo un indirizzo definito,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per chiarire il quadro normativo sopra citato, con particolare riguardo alle disposizioni inerenti ai consorzi socio-assistenziali e alle aziende speciali, ridefinendo in modo chiaro le condizioni entro cui gli enti locali possono aderire e dar vita a tali forme strumentali per la gestione associata dei servizi sociali;
    a promuovere in sede di Conferenza Unificata un tavolo di confronto sul tema della gestione associata dei servizi sociali, facendo sì che 2, nel rispetto delle specifiche competenze normative 2, le regioni indichino le modalità di gestione associata dei servizi sociali di cui possono usufruire gli enti locali, esprimendo chiara preferenza per le forme associative dotate di autonoma personalità giuridica, condizionando le forme convenzionali alla stabile afferenza dell'ufficio di piano a un determinato ente locale e valutando altresì la possibilità di stabilire un regime specifico per le funzioni svolte dai comuni capofila.
(7-00880) «Piazzoni, Lenzi, Amato, Mariano, Giuditta Pini, Patriarca, D'Incecco, Sbrollini, Paola Boldrini, Carnevali, Capone, Di Salvo, Cinzia Maria Fontana, Minnucci, Tidei».

   La Camera,
   premesso che:
    l'uso degli autovelox rappresenta uno strumento essenziale per assicurare l'efficacia della sicurezza stradale, la tutela delle vite umane e il rispetto delle norme di velocità del codice della strada;
    come dimostrato da numerose esperienze comunali, vi è una diretta correlazione tra l'impiego dell'autovelox e la diminuzione degli incidenti stradali. Secondo i dati del comune di Milano, ad esempio, gli incidenti con feriti nelle 7 strade dove nel mese di marzo 2014 sono stati posizionati gli autovelox per il controllo delle velocità. Nei primi 9 mesi del 2014, infatti, sono stati 106, con una media mensile di 11,7. Nel 2013 erano stati 288 con una inedia mensile di 24 (un totale di 216 se, a titolo di raffronto, volessimo considerare solo i primi 9 mesi del 2013);
    con sentenza n. 113 del 2015, la Corte Costituzionale, pur ricordando l'importanza dello strumento come mezzo impiegato per l'accertamento di violazioni del codice della strada, ha richiamato l'attenzione delle autorità competenti e delle società costruttrici degli impianti sull'importanza di effettuare regolari e costanti opere di manutenzione e verifica del corretto funzionamento degli autovelox stessi;
    come sottolineano numerose associazioni di settore, dall'Aci all'Asaps, appare rilevante stabilire un diretto legame tra i ricavi in capo agli enti locali derivanti dal pagamento delle sanzioni amministrative per multe accertate sulla base dell'impiego dell'autovelox e il loro utilizzo per solo per finalità, comunque, legate alla sicurezza stradale, alla manutenzione stradale e all'educazione al codice della strada;
    al Governo, per il tramite dei due ministeri competenti, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministero dell'interno, spetterebbe un ruolo di maggiori impulso e coordinamento anche rispetto all'introduzione di un quadro sanzionatorio per quegli enti locali che non rispettino le previsioni normative che prevedono l'utilizzo di una quota del 50 per cento delle entrate provenienti da sanzioni comminate attraverso l'utilizzo degli autovelox per la realizzazione di interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture stradali, ivi comprese la segnaletica e le barriere, e dei relativi impianti, nonché al potenziamento delle attività di controllo e di accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale, ivi comprese le spese relative al personale;
    il comma 12-bis dell'articolo 142 del codice della strada prevede espressamente che: «I proventi delle sanzioni derivanti dall'accertamento delle violazioni dei limiti massimi di velocità stabiliti dal presente articolo, attraverso l'impiego di apparecchi o di sistemi di rilevamento della velocità ovvero attraverso l'utilizzazione di dispositivi o di mezzi tecnici di controllo a distanza delle violazioni ai sensi dell'articolo 4 del decreto-legge 20 giugno 2002, n. 121, convertito, con modificazioni, dalla legge 1o agosto 2002, n. 168, e successive modificazioni, sono attribuiti, in misura pari al 50 per cento ciascuno, all'ente proprietario della strada su cui è stato effettuato l'accertamento o agli enti che esercitano le relative funzioni ai sensi dell'articolo 39 del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 381, e all'ente da cui dipende l'organo accertatore, alle condizioni e nei limiti di cui ai commi 12-ter e 12-quater. Le disposizioni di cui al periodo precedente non si applicano alle strade in concessione. Gli enti di cui al presente comma diversi dallo Stato utilizzano la quota dei proventi ad essi destinati nella regione nella quale sono stati effettuati gli accertamenti»,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa, anche normativa, finalizzata ad accertare la piena osservanza da parte degli enti locali di quanto previsto dall'articolo 142, comma 12-bis, 12-ter e 12-quater del codice della strada;
   a porre in essere ogni iniziativa, di competenza finalizzata a garantire i più elevati standard costruttivi, l'affidabilità tecnica e l'innovazione tecnologica dei dispositivi di rilevazione automatica della velocità al fine di tutelare la sicurezza e gli interessi dell'utente della strada;
   ad adottare ogni iniziativa di competenza finalizzata a migliorare, lungo ogni tipo di strada, la segnaletica relativa alla presenza di dispositivi di rilevazione automatica della velocità.
(1-01116)
(Nuova formulazione) «Franco Bordo, Melilla, Pellegrino, Folino, Scotto, Fassina, Airaudo, Fava, Placido, Gregori, Ricciatti, D'Attorre, Ferrara, Marcon, Carlo Galli, Duranti, Piras, Fratoianni, Quaranta, Zaccagnini, Costantino, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Sannicandro, Zaratti».

   SCOTTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il sito di Stabiae registra mediamente ogni anno circa trentamila visitatori: per dare un nuovo impulso turistico al sito la soprintendenza Pompei e il comune di Castellammare di Stabia hanno, nel corso degli anni, stipulato accordi e proposto progetti per la realizzazione di un parco archeologico e di un museo che possa raccogliere le opere, le suppellettili e quant'altro rinvenuto dagli scavi della collina di Varano. I reperti stabiani sono attualmente conservati nell'antiquarium statale di Castellammare di Stabia realizzato da Libero D'Orsi nel 1959, ma chiuso al pubblico dal 1997, mentre un'altra parte è custodita al museo archeologico nazionale di Napoli;
   nel 2015 gli scavi hanno fatto registrare 51.186 visitatori, attestandosi al novantunesimo posto tra i siti museali statali più visitati in Italia;
   le origini della città di Stabiae (oggi Castellammare di Stabia) risalgono al VII sec. a.C. con la presenza di traffici commerciali etruschi, greci, sanniti e, poi, romani. Nell'89 a.C., la città fu distrutta da Silla e fu poi definitivamente sepolta dall'eruzione del Vesuvio (79 d.C.). Sul ciglio settentrionale del poggio di Varano sono stati ritrovati i resti di numerose ville residenziali in posizione panoramica, con vasti quartieri abitativi, strutture termali, portici e ninfei splendidamente decorati;
   il sistema culturale stabiese si fonda prevalentemente su tre «asset»:
    parco archeologico dell'antica Stabiae;
    palazzo reale di Quisisana, da intendersi anche quale «contenitore multifunzionale»;
    rete civica museale (polo museale);
   il sistema così delineato rappresenta un esempio di offerta culturale integrata in un contesto ambientale, paesaggistico, enogastronomico e turistico di pregio; una sorta di «triangolo turistico e culturale» ai cui vertici troviamo Pompei e l'area vesuviana, Sorrento e la sua penisola e il parco regionale dei Monti Lattari;
   il patrimonio culturale stabiano va fatto pienamente rientrare nel sistema di offerta imperniato su «Pompei ed Ercolano» sito Unesco dal 1997;
   le risorse culturali e ambientali sono il vero «patrimonio nascosto» di Castellammare di Stabia, capace sia di rilanciare l'industria del turismo sia di concorrere alla riscoperta dell'identità collettiva;
   le diverse iniziative che si stanno sviluppando a sostegno dei beni culturali della Campania rischiano di essere complete se non si valorizza anche Stabia. Rischia solo di risaltare in negativo la scomparsa del nome anche dalla denominazione della soprintendenza: non più soprintendenza di Pompei, Ercolano e Stabia, ma solo «Soprintendenza Pompei»;
   la recente decisione di dotare gli scavi di Ercolano di autonomia organizzativa e gestionale, affidandola a un direttore da selezionare con bando europeo, da un lato, rischia di lasciare nell'ombra il sito di Stabiae, dall'altro potrebbe rivelarsi un'opportunità, avendo liberato la soprintendenza Pompei dell'onere di doversi occupare di Ercolano;
   se non ritenga urgente che al più presto il Governo, insieme alla regione, al comune e alla soprintendenza di Pompei, convochi un incontro per definire gli interventi necessari per il rilancio delle risorse archeologiche e museali al fine di:
    a) firmare la convenzione con la soprintendenza Pompei per il trasferimento dei reperti dell'Antiquarium alla Reggia;
    b) attivare un tavolo istituzionale per definire la gestione della Reggia e l'uso dei relativi spazi;
    c) stipulare un protocollo d'intesa con la soprintendenza Pompei per la creazione del parco archeologico di Stabiae. (4-11770)

   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 23 febbraio 2006 il Ministro delle attività produttive, di concerto con quello dell'ambiente e su istanza di una società privata, ha concesso per decreto l'autorizzazione a realizzare un impianto industriale offshore galleggiante di rigassificazione di GNL (gas naturale liquefatto), permanentemente, ancorato al fondo marino e collegato tramite gasdotto alla rete di distribuzione in terraferma, localizzato in un «sito» al largo della costa toscana, tra Livorno e Pisa, al confine delle acque territoriali italiane;
   il terminale galleggiante FSRU (floating storage and regasification unit) «Toscana» è un'opera di una tipologia unica, mai realizzata prima anche per la nota pericolosità delle operazioni di trasbordo in mare di combustibili infiammabili di questo tipo;
   nell'area del rigassificatore, posto a circa 14,5 miglia di distanza dal porto di Livorno, in conformità a quanto stabilito dall'ordinanza n. 137/2013 della Capitaneria di porto di Livorno, per motivi di sicurezza, sono stati posti vincoli di vario grado per la navigazione, con l'istituzione di tre aree – la zona di interdizione totale, di limitazione e di preavviso – in cui la navigazione, la sosta, l'ancoraggio, la pesca nonché qualunque altra attività di superficie o subacquea sono vietate, con conseguente danno per l'attività del porto, del turismo e dell'attività di pesca locale;
   il funzionamento del rigassificatore è notevolmente limitato dalla natura di quel tratto del mar Tirreno, peraltro soggetto a frequenti e forti mareggiate e il numero dei giorni in cui il rigassificatore potrebbe non essere in grado di operare sono inevitabilmente destinate ad aumentare, anche a causa dell'impatto dei cambiamenti climatici;
   il terminale in questione non è ancora oggetto di un contratto definito e a lungo termine per la fornitura di gas, anche perché è piuttosto evidente per l'interrogante che nel Paese c’è una cospicua sovraccapacità di importazione di gas rispetto alla domanda, grazie anche alla crescita delle energie rinnovabili, che sempre di più allontana il Paese dalla dipendenza dalle forniture di combustibili fossili;
   premessa necessaria alla permanenza del rigassificatore offshore OLT risulta essere, in forza del parere favorevole alla compatibilità ambientale reso dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, la presenza e la disponibilità di un «bacino di carenaggio di grandi dimensioni adatto per eseguire eventuali lavori da eseguire sullo scafo del terminale». Nella specie, si tratta del bacino di carenaggio del porto di Livorno le cui dimensioni e caratteristiche lo collocano fra i più grandi del Mediterraneo dal lontano 1975;
   a fondamento della citata previsione prescrittiva si pongono esigenze di sicurezza per il caso, a titolo esemplificativo, dell'apertura di una falla da collisione che potrebbe rivelarsi fatale se non vi fosse o non fosse funzionante un bacino di carenaggio delle dimensioni necessarie per effettuare gli eventuali lavori. Esigenze di sicurezza che non potrebbero essere neanche soddisfatte altrimenti, considerata la mancanza di un diverso bacino di carenaggio in grado di ospitare il terminale a largo delle coste livornesi-pisane;
   la disponibilità di un bacino di grandi dimensioni è altresì richiesto, ai fini della presenza del rigassificatore, dallo Studio di impatto ambientale, nella sintesi non tecnica, del 15 febbraio 2013, predisposto dalla stessa OLT;
   allo stato, tuttavia, risulta una grave dismissione del bacino di carenaggio livornese. Fino al 2007 si è infatti registrata un'elevata operatività del porto fino all'accordo di programma per lo sviluppo e la trasformazione urbanistica dell'ex cantiere navale Orlando e delle aree portuali limitrofe cui è seguito un sistematico comportamento omissivo di ciascun soggetto coinvolto, mancando dei necessari interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria dei beni. Ne sono derivati la dismissione e il sostanziale abbandono del bacino di carenaggio che pertanto non risulta affatto funzionante;
   in una relazione peritale del 2008, resa nel corso di un procedimento penale sulla vicenda, relativa allo stato di conservazione ed efficienza del bacino grande di carenaggio di Livorno, il consulente tecnico del pubblico ministero ha avuto cura di rilevare che la manutenzione sia stata trascurata per lunghissimi anni, peraltro il degrado estremo a cui sono arrivati le strutture e gli impianti del Bacino appare imputabile soprattutto alla carente, se non del tutto cessata, opera di manutenzione maturata negli ultimi anni, che hanno portato il bacino da funzionante, sia pure con pecche dovute alla vetustà, alla completa inagibilità funzionale. Detto stato di dismissione per omessa manutenzione è confermato altresì dalla relazione della capitaneria di porto di Livorno del 2009, resa alla procura di Livorno;
   ne deriva che, con la conclamata dismissione del grande bacino in muratura, vengono ad essere minate secondo l'interrogante le previsioni di cui al decreto n. 01256 del 15 dicembre 2004 del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che, di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, ha espresso giudizio di compatibilità ambientale positivo con prescrizioni in merito al progetto per la realizzazione e l'esercizio del terminale galleggiante per la rigassificazione di gas naturale liquido;
   si aggiunga che a giugno 2015 è scaduto il termine ultimo per il ricevimento delle richieste di invito per la gestione del grande bacino e, nel valutare le offerte pervenute ed i successivi piani di impresa, l'autorità portuale di Livorno è chiamata ad affrontare le condizioni attuali del bacino grande, anche al fine del mantenimento del rigassificatore, di cui – come detto – il grande bacino è condizione necessaria, valorizzando all'uopo le capacità tecniche, imprenditoriali e finanziarie che gli aspiranti concessionari dovranno possedere per riattivare il grande bacino e per restituirgli la necessaria conformità, con ripercussioni favorevoli sui posti di lavoro per la ripresa delle riparazioni navali –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto indicato in premessa e quali iniziative intendano promuovere, nell'ambito delle rispettive competenze, per affrontare questa perdurante situazione di ambigua equivocità dovuta alla compresenza del grande bacino di carenaggio dismesso e non funzionante e del terminale offshore, anche al fine di riportare il bacino di carenaggio nelle condizioni di sicurezza imposte per autorizzare il suo funzionamento;
   se i Ministri interrogati nei limiti delle rispettive competenze, intendano considerare l'ipotesi, acclarata la particolare fragilità e delicatezza ambientale del sito in questione e l'assenza delle garanzie di sicurezza, di sospendere l'efficacia dell'autorizzazione all'esercizio del terminale rigassificatore galleggiante FSRU Toscana e procedere ad un riesame dell'autorizzazione concessa. (5-07255)