XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 31 luglio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    con una risoluzione del 28 marzo 2014, il Consiglio Onu dei diritti umani ha condannato la Corea del Nord per le sistematiche, massicce e gravi violazioni dei diritti umani – crimini contro l'umanità compresi – che continuano a essere commesse nel Paese;
    centinaia di migliaia di persone, come denunciato più volte da Amnesty International e confermato di recente dal rapporto della Commissione d'inchiesta delle Nazioni Unite sulla Corea del Nord, sono detenuti in campi di prigionia politica e in altre strutture detentive del Paese. Molte di loro non hanno commesso alcun reato se non quello «associativo», dovuto al fatto di essere parenti di persone colpevoli di reati politici. Il testo del rapporto riporta testimonianze dirette e indirette che hanno fatto luce su un Paese definito «senza paragoni nel mondo contemporaneo» dal giudice australiano Michael Kirby che ha guidato il lavoro della commissione d'inchiesta Onu. Le responsabilità, si sottolinea nel rapporto, sono molteplici ma alla fine riconducibili ai più alti livelli del governo, che coscientemente pone in uno stato di sudditanza e paura estrema la popolazione, perseguendo duramente e senza alcun rispetto per trattati e convenzioni internazionali ogni forma di dissenso o comportamenti giudicati anormali o anche solo stravaganti;
    tali abusi sono stati ripetutamente segnalati anche da numerose organizzazioni internazionali e da testimoni come Shin Dong-Hyuk, esule nordcoreano fuggito dal campo di prigionia a 23 anni, il quale nell'aprile 2015 ha visitato l'Italia e raccontato, la sua esperienza di prigionia fin dalla nascita. Queste testimonianze si aggiungono alla documentazione di numerosi organismi internazionali che hanno provato l'esistenza di almeno 6 campi di concentramento, con oltre 15.000 prigionieri politici ed altri detenuti per un totale di prigionieri stimabile intorno alle 200.000 unità;
    la Corea del Nord sta attraversando un nuovo periodo di carestia simile a quello dei primi anni novanta che, assieme alla catastrofica politica economica, portò alla morte di milioni di cittadini nord coreani. Nonostante la grave situazione alimentare del Paese, il Governo nord coreano pone numerose limitazioni alle agenzie internazionali e alle organizzazioni non governative indipendenti che portano aiuti; inoltre, il sistema giudiziario della Repubblica democratica popolare, di Corea non risulta essere libero e indipendente, la pena di morte è applicata per numerosi reati, e il codice penale non risulta in linea con gli standard internazionali, così da legittimare abusi e decisioni arbitrarie. Le libertà di opinione, espressione e associazione sono gravemente compresse dalle autorità governative nonostante le garanzie costituzionali;
    la Corea del Nord ha sottoscritto importanti convenzioni internazionali, tra le quali il Patto internazionale sui diritti civili e politici e la Convenzione sul diritti del fanciullo;
    il Parlamento europeo ha approvato diverse risoluzioni mettendo in evidenza la criticità della situazione dei diritti umani nella Corea del Nord ed ha esortato le autorità del Paese a porre fine agli abusi perpetrati ai danni della popolazione cessando le esecuzioni, le torture ed i lavori forzati e garantendo l'accesso all'assistenza alimentare;
    risulta chiaro che l'avvicendamento al potere di Kim Yon-un, succeduto al padre Kim Jong-il alla fine del 2011, non abbia apportato alcun miglioramento della situazione dei diritti umani nella Corea del Nord;
    numerose organizzazioni non governative internazionali per i diritti umani hanno esortato l'Unione europea ad occuparsi maggiormente della questione dei diritti umani nella Corea del Nord,

impegna il Governo:

   ad adoperarsi in tutte le sedi internazionali, in particolare l'ONU e l'Unione europea, affinché si continuino ad evidenziare e condannare le violazioni dei diritti umani perpetrate dalla Corea del Nord;
   ad assumere iniziative, per quanto di competenza, presso il Governo della Repubblica democratica popolare di Corea affinché possano cessare al più presto le gravi violazioni dei diritti umani, si possa mettere fine alle esecuzioni capitali e si possano chiudere i campi di prigionia e «rieducazione».
(1-00966) «Nicoletti, Carrozza, Dell'Aringa, Grande, Locatelli, Misiani, Patriarca, Schirò, Zampa, Stella Bianchi».


   La Camera,
   premesso che:
    molti cittadini hanno ricevuto «maxi-bollette» di luce e gas per pagare sostanziosi conguagli che, in molti casi, così come riportato anche da alcuni organi di informazione, sono stati il frutto di anni di addebiti dovuti a conteggi di consumi stimati, ma non effettivi, poiché spesso vengono ignorate le letture dei contatori, ad errori di valutazione o, comunque, a fatturazioni incongrue certamente non imputabili agli utenti;
    molti consumatori, non avendo strumenti idonei per difendersi e far valere i propri diritti o, più semplicemente, per non entrare nel complesso ed oneroso meccanismo per l'accertamento della verità per via amministrativa o giudiziaria, rischiano di trovarsi di fatto costretti a pagare cifre importanti di alcune migliaia di euro, per evitare il distacco dell'energia elettrica;
    a fronte di numerosi reclami e segnalazioni ricevuti anche da parte diverse associazioni dei consumatori, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato in data 13 luglio 2015 ha dato notizia di aver avviato quattro procedimenti istruttori nei confronti delle società per azioni Eni, Acea Energia, Edison Energia, Enel Energia, Enel Servizio Elettrico;
    tale indagine è volta ad accertare eventuali violazioni del codice del consumo in merito a varie condotte degli operatori: la fatturazione basata su consumi presunti, la mancata considerazione delle autoletture, la fatturazione a conguaglio di importi significativi, anche a seguito di conguagli pluriennali, la mancata registrazione dei pagamenti effettuati, con conseguente messa in mora dei clienti fino talvolta al distacco, nonché il mancato rimborso dei crediti maturati dai consumatori;
    la crisi economica ha già colpito duramente tante famiglie italiane e queste maxi-bollette di conguaglio non fanno altro che peggiorarne la situazione finanziaria,

impegna il Governo:

   ad intervenire a livello legislativo varando al più presto una moratoria su queste «maxi-bollette» in modo da bloccare quanto prima i pagamenti di questi importi, fino a quando le autorità competenti non abbiano completato le verifiche sulla condotta dei suddetti operatori in merito alle eventuali violazioni del codice del consumo;
   ad intervenire a livello legislativo stabilendo che, nel caso in cui le autorità competenti ravvisassero comportamenti scorretti da parte dei gestori dei servizi, i cittadini interessati non siano tenuti a pagare queste bollette di conguagli per gli anni passati e che gli stessi gestori siano obbligati a rimborsare tempestivamente gli utenti, nel caso in cui questi ultimi avessero già versato, interamente o in parte, gli interi o i parziali importi indebitamente richiesti attraverso questo tipo di fatturazioni illegittime;
   ad assumere iniziative per stabilire a livello legislativo il principio per cui nessun utente-consumatore può essere chiamato a sostenere spese per conguagli concernenti consumi presunti anteriori ai due anni precedenti la data di fatturazione.
(1-00967) «Baldelli, Bernardo, Matarrese, Allasia, Gigli, Rampelli, Rizzetto, Abrignani, Polverini, Alli, Saltamartini».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia oggi è rappresentata nel mondo attraverso una rete diplomatica (peraltro ancora modellata sull'impianto di mezzo secolo fa) di 319 uffici tra ambasciate, rappresentanze permanenti presso le organizzazioni internazionali, delegazioni diplomatiche speciali, uffici consolari e istituti italiani di cultura, che svolgono un ruolo importante per la cooperazione politica, la promozione delle relazioni economiche, la cooperazione allo sviluppo, la cooperazione culturale e scientifica e i servizi ai cittadini italiani in mobilità e ai cittadini residenti all'estero;
    sotto questo profilo va rilevato che la distribuzione geografica delle nostre sedi appare incoerente perché è ancora troppo concentrata in Europa e troppo poco proiettata sui mercati emergenti; delle 127 ambasciate, infatti, il 34 per cento si concentra ancora nell'area europea;
    la riorganizzazione della rete diplomatica si configura dunque non come un'opzione, bensì come una necessita, dovuta soprattutto per motivazioni geopolitiche. Infatti si prospetta l'esigenza, per il nostro Paese, di una rete diplomatica più coerente all'evoluzione del quadro internazionale;
    come si evince dal rapporto «Farnesina 2015», al 31 dicembre 2012 il Ministero degli affari esteri (Mae) impiegava 4.216 unità di ruolo e 2.532 a contratto, per un totale che non raggiungeva le 7.000 unità. Impietoso il confronto europeo: la Francia disponeva di circa 14.074 unità di personale (9.021 di ruolo e 5.053 a contratto); la Germania di 11.117 (5.847 di ruolo e 5.270 a contratto); il Regno Unito di 13.266 (4.581 di ruolo e 8.685 a contratto), quest'ultimo con un rapporto personale di ruolo/personale a contratto addirittura invertito rispetto al nostro;
    la nostra rete estera sconta, comunque, alcune criticità importanti, la prima delle quali riguarda la scarsità di risorse umane visto che attualmente il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale la gestisce con oltre 1000 unità complessive in meno rispetto al 2004. Tra l'altro, attualmente i funzionari diplomatici dell'Italia sono 898 (l'organico ne prevedrebbe 1.019). Nel confronto europeo, il Regno Unito ne ha 3.350, la Francia 2.700, la Germania 1.865; insomma, siamo di fronte a un evidente squilibrio non funzionale fra risorse umane e sedi presenti, a detrimento dell'efficienza;
    un'altra criticità riguarda le risorse finanziarie; il bilancio del Ministero degli affari esteri (dati aggiornati al 2013) è lo 0,24 per cento del bilancio dello Stato (dati inclusivi dell'Aiuto pubblico allo sviluppo) mentre quello francese fa registrare 1'1,78 per cento, quello tedesco 1'1,15 per cento, quello spagnolo lo 0,37 per cento mentre l'Olanda è addirittura il 2,5 per cento. Insomma, vengono destinate alla politica estera risorse in assoluto insufficienti per il tipo di contesto geopolitico in cui ci troviamo a operare;
    per quanto consta ai firmatari del presente atto il costo totale della rete estera (inclusi le scuole e i corsi di italiano all'estero) equivale al 44 per cento del bilancio della Farnesina;
    l'intero sistema diplomatico-consolare e degli istituti di cultura rappresenta una risorsa preziosa per la protezione e la proiezione globale dei nostri interessi politici, economici, culturali e linguistici, che deve essere rafforzata e potenziata nelle aree geografiche strategicamente più rilevanti;
    già con la legge di stabilità 2007 (legge n. 296 del 2006, articolo 1, comma 404, lettera g)) era stato previsto che all'avvio della ristrutturazione, da parte del Ministero degli affari esteri, della rete diplomatica, consolare e degli istituti di cultura in considerazione del mutato contesto geopolitico, soprattutto in Europa, e in particolare all'unificazione dei servizi contabili degli uffici della rete diplomatica aventi sede nella stessa città estera, le funzioni delineate dal nuovo regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 1o febbraio 2010 n. 54 fossero svolte dal responsabile dell'ufficio unificato;
    successivamente, il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante «Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo», convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, individua nel suo primo articolo, la riorganizzazione della rete diplomatica-consolare tra le misure essenziali della spending review;
    infatti si può evincere come i cambiamenti geopolitici e le stesse esigenze della spending review si muovano su una stessa direzione: rendere la rete diplomatica italiana più rispondente ai nuovi scenari internazionali e dunque creata per il mondo di oggi e non per l'Italia di ieri;
    la situazione economica attuale ha determinato, in seguito, necessarie riduzioni della spesa, come richiesto dalla Commissione incaricata della spending review e come previsto, in linea con i precedenti provvedimenti, dal decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, che, all'articolo 2 comma 5, ha imposto al Ministero degli affari esteri obblighi più stringenti al fine di realizzare la riorganizzazione della rete diplomatico-consolare, in particolare richiedendo una riduzione del 20 per cento del personale diplomatico e dirigenziale e il 10 per cento del restante personale di ruolo, appartenente alle aree funzionali;
    dal 2008 al 2013, il Ministero ha effettuato una riduzione della spesa di quasi il 28 per cento; nel medesimo periodo, le attività culturali, educative, ricreative e informative degli italiani all'estero, nonché l'insegnamento della lingua e della cultura italiana all'estero hanno subito una riduzione della spesa, rispettivamente dell'87 per cento circa e del 74 per cento, risultando i capitoli di bilancio di gran lunga più dissanguati;
    la Commissione per la spending review del Ministero degli affari esteri, insediata nel 2011, considerava «indispensabile continuare nell'azione già avviata di razionalizzazione della rete estera, dalla presenza scolastica, dal patrimonio mobiliare, dai contributi alle organizzazioni internazionali e in parallelo agire in un'ottica pluriennale sull'efficienza della struttura e sulla qualità della spesa, soprattutto incidendo su quella per il personale, che rappresenta il 47,2 per cento del totale anche a causa delle progressive forti riduzioni del bilancio della Farnesina»;
    i tagli operati negli anni sul bilancio complessivo del Ministero hanno prodotto un impoverimento del ruolo e dei servizi offerti dalle strutture estere, quando non addirittura lo smantellamento e la chiusura delle sedi consolari, che rappresentano strumenti essenziali ai fini della proiezione internazionale del nostro Paese e della tutela dei concittadini all'estero; tra l'altro, il 4 aprile 2014 il Consiglio dei ministri ha definitivamente affossato le speranze della foltissima comunità italiana nella Repubblica Dominicana di non vedere chiusa l'ambasciata d'Italia nella capitale Santo Domingo, come da programma annunciato dall'allora Ministro Bonino e successivamente dal Ministro pro tempore Mogherini;
    l'allora Viceministro agli affari esteri, Marta Dassù, nel corso delle audizioni davanti alle Commissioni parlamentari competenti, tenute a partire dall'8 agosto 2013 e proseguite il 18 settembre successivo, il 16 gennaio e 5 febbraio 2014, aveva più volte ricordato che la riorganizzazione della rete diplomatico-consolare è una necessità dettata non solo da motivazioni geopolitiche, precisando che essa si configura anche come un vero e proprio obbligo di legge mirante a un potenziamento della presenza italiana nelle aree geografiche emergenti e che tale riorganizzazione non avrebbe dovuto sottostare a una logica di tagli lineari, in base alla quale non si attuerebbe un reale efficientamento della rete, ma, al contrario, il mantenimento delle discrepanze tra Paesi extraeuropei con economie emergenti (attualmente sottorappresentati) e realtà europee ormai mature dove vigono meccanismi di tutela comune del cittadino;
    il piano presentato dal Ministero nel luglio 2013, intitolato «Riorientamento della rete consolare», contraddice quanto indicato dalla Commissione per la spending review e quanto affermato dalla citata Marta Dassù, perseverando nella logica dei tagli lineari ai servizi, lasciando inalterata la composizione della spesa, in particolare quella riguardante il personale, confermando l'anomalia del «modello» italiano rispetto agli assetti vigenti negli altri Paesi europei, a cominciare da un rapporto tra personale di ruolo inviato dall'Italia e inserito nella rete consolare e personale a contratto assunto in loco fortemente sbilanciato a favore del primo;
    le chiusure previste dal citato piano appaiono in contraddizione con i criteri fissati dalla Commissione per la spending review. Quest'ultima, infatti, aveva raccomandato, tra l'altro: a) il riequilibrio delle sedi, orientato alle nuova priorità e alla riduzione delle sedi consolari situate in Europa, con il contestuale mantenimento dei servizi (consolari, economici, culturali); b) la gestione amministrativa unificata tra sedi situate nella stessa città e/o Stato o area geografica contigua; c) la revisione della rete degli Istituti italiani di cultura, con l'accorpamento funzionale e logistico degli stessi, ove possibile, all'interno delle ambasciate (con un risparmio di circa 2,5 milioni di euro all'anno); d) l'individuazione della lista stabile degli Istituti di cultura;
    sotto questo profilo va sottolineato, ad esempio, il caso dell'istituto italiano di cultura di Salonicco, che produce fondi ed è, dunque, in grado di svolgere la propria attività con costi molto ridotti per il Ministero mentre, per converso, la sua soppressione condurrebbe a concentrare nella sola (e lontana) Atene gli uffici italiani in Grecia. Analogo discorso vale per la Turchia, dove la programmata soppressione della sede distaccata di Ankara, che aveva competenza per una vasta zona, produrrà la conseguenza di affidare a un unico istituto italiano di cultura la competenza per una vasta area territoriale, acuendo le difficoltà di mantenere elevato, o comunque efficace, lo standard degli istituti e il livello dei servizi offerti ai cittadini;
    la soppressione di altre strutture, (scongiurate le chiusure degli Istituti italiani di cultura di Lione e Stoccarda), dove è forte la presenza italiana, e in generale di quegli istituti che hanno sede in aree di forte richiesta di corsi di lingua italiana, non è accompagnata da adeguati chiarimenti su come verranno sostenute e svolte le attività di promozione della cultura italiana;
    da un'attenta analisi del citato rapporto «Farnesina 2015» non risulta o programmati gli opportuni servizi sostitutivi, cui pure aveva accennato l'allora Viceministro Marta Dassù nel corso delle citate audizioni parlamentari;
    nonostante le riduzioni previste, continuano a persistere situazioni di compresenza di più strutture diplomatiche nella stessa sede, come ad esempio in Svizzera;
    il Ministero, pur essendo stato più volte invitato dai parlamentari ad aprire un dialogo per condividere dati certi su spese e risparmi e per avviare un confronto sulle necessità e le priorità, ha di fatto proseguito nelle linee che si era dato;
    il processo di riorganizzazione della rete dovrà, in ogni caso, avere un respiro anche europeo, ovvero la rete diplomatica italiana dovrà riuscire a sfruttare sinergie potenziali con il Servizio europeo di azione esterna (SEAE);
    ciò posto, nel caso di soppressione di uffici consolari è impegno del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale assicurare forme di assistenza adeguate ai connazionali;
    a tale fine, occorrerà potenziare le sedi riceventi sia in termini di risorse umane che di tecnologia informatica;
    la soppressione di alcune sedi consolari, situate in Paesi dove le nostre collettività risultano maggiormente integrate, è controbilanciata dal rafforzamento della presenza istituzionale in aree di nuova priorità e nei mercati emergenti;
    la ratio del piano di orientamento della rete degli uffici all'estero intende creare una rete diplomatica-consolare in grado di essere uno strumento finalizzato alla competitività internazionale e al contempo garantire la crescita del nostro Paese;
    il progetto di riorganizzazione si prefigge il perseguimento di importanti obiettivi;
    innanzitutto liberare risorse da investire nei nuovi mercati emergenti per orientare nuovamente la rete diplomatica attualmente eurocentrica verso i nuovi scenari internazionali,

impegna il Governo:

   a riconsiderare tutte le decisioni fin qui prese per il riorientamento della rete consolare, così come progettato dal Ministero degli affari esteri;
   a ridurre significativamente la presenza diplomatico-consolare in Europa attraverso il graduale trasferimento del personale ivi operante verso i Paesi emergenti e nelle aree di nuova priorità;
   a privilegiare, laddove possibile e opportuno, forme di impiego stabile in seno ai consolati e alle ambasciate;
   a circoscrivere ai casi di più stretta contingenza la stipula di contratti a termine o comunque a porre in essere ogni iniziativa utile a limitare le criticità, anche di natura contributiva, derivanti dall'applicazione di contratti a tempo, soprattutto in assenza di accordi bilaterali in materia di lavoro e previdenza sociale;
   a definire regole di trasparenza anche attraverso la pubblicizzazione dei curricula;
   a superare la logica dei tagli lineari, elaborando e presentando alle competenti commissioni parlamentari un piano di riorientamento della rete e dei servizi diplomatici consolari, in linea con le direttive contenute nella legge sulla revisione della spesa a invarianza dei servizi e con il rapporto della Commissione per la spending review del Ministero degli affari esteri;
   a salvaguardare i servizi alle comunità italiane attraverso l'elaborazione tempestiva di un dettagliato piano di servizi sostitutivi, quale ad esempio quello del funzionario itinerante, che minimizzi le criticità derivanti dai tagli alle strutture, valutando la diversità dei servizi offerti nelle sedi all'interno dell'Unione europea rispetto a quelli previsti per le sedi extra-Unione europea;
   a prevedere l'informatizzazione dei servizi consolari, tenendo anche conto delle criticità dei singoli territori nei quali verranno realizzati;
   a valutare, nell'ottica del risparmio, un piano di riduzione che vada oltre la rete diplomatico-consolare per coinvolgere tutti i capitoli rimodulabili del bilancio del Ministero degli affari esteri, nonché quelli che richiedano interventi di modifica legislativa, e a considerare, come possibile direttiva d'indirizzo del piano, un potenziamento delle strutture adibite alla diffusione della lingua e cultura italiana, che agevoli l'aumento del sostegno ai ricercatori all'estero, come peraltro previsto dagli impegni assunti in precedenza dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;
   a indicare analiticamente, per ogni singolo intervento di riduzione o riorientamento della rete estera del Ministero degli affari esteri, i risparmi che si prevede di conseguire.
(1-00968) «Grande, Del Grosso, Spadoni, Di Battista, Manlio Di Stefano, Sibilia, Scagliusi».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VIII e XIII,
   premesso che:
    la laguna di Orbetello, situata in provincia di Grosseto, è una zona dal rilevante valore ambientale e naturalistico e rappresenta un volano irrinunciabile per l'economia e l'occupazione territoriale;
    una parte della laguna di Ponente è protetta nell'Oasi del WWF della riserva naturale laguna di Orbetello di Ponente e del bosco di Patanella. Sull'area insiste anche la riserva naturale laguna di Orbetello, in gestione alla provincia di Grosseto e la zona di protezione speciale (Zps) «laguna di Orbetello». La laguna è inoltre una zona umida di importanza internazionale secondo la «Convenzione di Ramsar»: nelle sue acque nidificano o transitano di passaggio molte specie protette di volatili;
    le acque della laguna sono ricche di pesce di alta qualità come spigole, orate, muggini e anguille. Il pescato viene lavorato in alcuni stabilimenti di trasformazione locali o venduto in molti mercati d'Italia e anche all'estero. Pregiata è la produzione della bottarga di muggine e la preparazione delle anguille;
    la particolare conformazione della laguna (che presenta uno specchio d'acqua di oltre 2.500 ettari ed una profondità media di meno di un metro) ne fa un sistema ambientale molto delicato e vulnerabile, che necessita di una serie continuativa di interventi manutentivi e gestionali tali da conservare e migliorare progressivamente l'attuale stato di equilibrio ambientale. A causa dello scarso apporto di acqua dal mare e dell'immissione di scarichi ricchi di nitrati e di sali di potassio, provenienti dalle colture agricole, che hanno determinato il proliferare delle alghe, ed il conseguente impoverimento di ossigeno, la laguna di Orbetello è quindi un ambiente ad alto rischio;
    proprio a seguito di una grave crisi ambientale che ha causato una ingente moria di pesci nel corso degli anni ’90, che ha avuto il suo periodo più acuto nella primavera del 1993, la laguna di Orbetello è stata dichiarata «area ad elevato rischio di crisi ambientale»;
    successivamente, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha chiesto al Ministro per il coordinamento della protezione civile pro tempore, l'adozione di un'ordinanza che consentisse l'attuazione di interventi urgenti ed in conseguenza di ciò è stata emanata la prima ordinanza per la nomina del commissario delegato al risanamento della laguna;
    da anni sono state intraprese azioni e procedure gestionali finalizzate al risanamento della laguna, tra le quali l'incremento dello scambio tra mare e laguna, grazie alla messa in esercizio di idrovore nel periodo primaverile-estivo;
    con una serie di ordinanze e di decreti del Presidente del Consiglio dei ministri la gestione commissariale si è protratta fino al 2014;
    è emersa in questi anni l'assoluta necessità, da parte delle istituzioni coinvolte, di procedere gradualmente dalla fase commissariale a quella ordinaria affidando gestione e competenze della laguna agli enti locali dotando, al contempo, le amministrazioni territoriali di opportuni finanziamenti statali capaci di strutturare un'adeguata programmazione al fine di prevenire emergenze ambientali e salvaguardare le ricchezze naturali della zona;
    in questa direzione è stata inoltre presentata alla Camera dei deputati (sia nella XV che nella XVII legislatura) una apposita proposta di legge denominata «Istituzione del Consorzio per la gestione e la salvaguardia della laguna di Orbetello»;
    nel mese di febbraio 2014 regione toscana, provincia di Grosseto e comune di Orbetello hanno firmato un accordo di programma per la gestione della laguna e del suo ecosistema: una gestione unitaria, fino al 2016, che assicuri la raccolta delle alghe che si accumulano in superficie, il loro trattamento e collocazione finale, ma anche la manutenzione dei canali necessari a migliorare la circolazione delle acque in laguna ed interventi per la conservazione di fondali e sponde. Una regia unica degli enti locali competenti in regime ordinario, necessaria al termine della lunga gestione commissariale e della fase transitoria assicurata dalla regione Toscana fino alla fine del 2014;
    tale accordo prevede che la regione Toscana provvederà a bandire la gara per affidare il servizio di gestione della laguna fino al 2017. Nel frattempo, nel 2015, la gestione provvisoria concordata è stata affidata al comune di Orbetello;
    va specificato che l'accordo sopracitato non è stato però firmato dal Ministero dell'economia e delle finanze, nonostante la laguna faccia parte del demanio marittimo e lo stesso dicastero ne sia proprietario;
   a seguito del rifiuto ad assumersi quelle che la regione ritiene responsabilità statali, la regione medesima è ricorsa al Tar del Lazio, chiedendo che il Ministero paghi quanto dovuto e cioè il costo della gestione e del recupero e smaltimento delle alghe;
    nonostante le istituzioni locali abbiano messo a disposizione anche una serie di mezzi, natanti, pompe e strumenti vari da utilizzare per la gestione della laguna e vi sia stato uno stanziamento complessivo della regione Toscana di 7 milioni di euro per tre anni, è palese che le risorse economiche degli enti locali competenti (comune di Orbetello e provincia di Grosseto) non siano assolutamente sufficienti a far fronte a situazioni emergenziali che interessano ciclicamente la laguna di Orbetello;
    nella seconda metà del mese di luglio del 2015, anche a causa delle ondate anomale di calore che hanno interessato gran parte d'Italia, la laguna di Orbetello è stata oggetto di una vera e propria catastrofe ecologica che sta tenendo impegnati anche la protezione civile e il Corpo forestale dello Stato;
    è stata rilevata, in pochi giorni, la morte di oltre 200 tonnellate di pesci: si tratta di un bilancio ancora provvisorio, ma che fa classificare tale disastro come il peggiore degli ultimi 70 anni;
    l'intera zona, dal 20 luglio 2015, è oggetto di un monitoraggio continuato e straordinario da parte dell'Arpat (Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana);
    le analisi hanno rilevato che il fenomeno di moria è da attribuire unicamente ad un evento anossico (mancanza di ossigeno nell'acqua), mentre è da escludere qualsiasi evento distrofico (processo solfato riducente con sviluppo di componenti tossiche, quali idrogeno solforato), evento, quest'ultimo, che è stato quasi sempre la diretta causa della morte della fauna ittica che si è verificata ciclicamente negli ultimi decenni;
    la regione Toscana, di concerto con il comune Orbetello e la provincia di Grosseto, ha annunciato che richiederà per la laguna lo stato di calamità naturale;
    le prime stime, secondo il presidente della «Orbetello Pesca Lagunare» Pierluigi Piro, parlano di una perdita economica per l'indotto territoriale di «circa 20 milioni di euro» e di «oltre 100 addetti» che potrebbero rischiare il posto di lavoro;
    a fronte di tale emergenza il sindaco di Orbetello Monica Paffetti ha dichiarato di aver «predisposto una ordinanza urgente per effettuare interventi in stato di emergenza» e di aver «chiesto al prefetto la convocazione di un tavolo per poterci confrontare e valutare le possibili soluzioni, dato che la problematica è di tipo “sovra comunale” e riveste le caratteristiche di urgenza»;
    l'assessore regionale all'ambiente della Toscana Federica Fratoni ha parlato di «un evento straordinario che ci ha colto impreparati; faremo di tutto per ottenere risorse per tutelare una grande realtà economica fiore all'occhiello della zona e della Regione. La Regione interesserà del problema anche il Governo centrale perché quest'ultima non può garantire delle risorse e la dimensione del fenomeno è talmente vasta che le risorse dovranno essere chieste al Governo»;
    è inoltre emerso da organi di informazione che non sarebbero stati effettuati negli anni passati a guida della gestione commissariale gli interventi strutturali del bacino, ed in particolare quei canali interni che avrebbero consentito un naturale ricambio delle acque nella laguna;
    appare quindi evidente, aldilà delle singole responsabilità, che il modello di governance attuale della laguna di Orbetello, pur affidando le competenze della laguna agli enti territoriali, manca però di adeguate risorse economiche e tecniche capaci di assicurare una corretta gestione di un ecosistema così complesso e fragile e che interessa un vasto e diversificato tessuto ambientale, occupazionale ed economico,

impegna il Governo:

   ad aderire, tramite il Ministero dell'economia e delle finanze in qualità di ente titolare della proprietà demaniale marittima, all'accordo di programma citato in premessa per la gestione della laguna di Orbetello o a valutare altre forme di gestione della laguna che prevedano comunque il coinvolgimento diretto dello Stato;
   ad assumere iniziative per stanziare annualmente adeguate risorse economiche per assicurare, di concerto con gli altri enti territoriali preposti, la corretta gestione del complesso e delicato ecosistema ambientale della laguna di Orbetello, al fine di prevenire e contrastare, anche attraverso la realizzazione di adeguati interventi infrastrutturali ad oggi mancanti, i disastri ecologici che ciclicamente stanno interessando la fauna ittica presente nella laguna di Orbetello;
   ad assumere iniziative volte ad accelerare i tempi di adozione del decreto per la dichiarazione dello stato di calamità o di avversità meteomarina e, conseguentemente, ad assumere iniziative per prevedere stanziamenti economici, agevolazioni ed interventi contributivi e creditizi per le attività della filiera ittica ed ammortizzatori sociali per i lavoratori coinvolti che ricadono nel territorio della laguna di Orbetello, al fine di sostenerne la continuità produttiva ed occupazionale, anche attraverso un apposito finanziamento del fondo di solidarietà nazionale della pesca e dell'acquacoltura, istituito dall'articolo 14 del decreto legislativo 26 maggio 2004, n. 154;
   ad assumere ogni altra utile iniziativa a tutela del settore ittico e dell'acquacoltura che risulta pesantemente danneggiato dalla situazione di cui in premessa.
(7-00753) «Sani, Realacci, Dallai, Oliverio, Borghi, Venittelli, Capozzolo, Braga, Mariani, Manciulli, Cenni, Mazzoli, Terrosi, Prina, Mongiello, Cova».


   Le Commissioni VIII e XIII,
   premesso che:
    la laguna di Levante di Orbetello in questi giorni è colpita da una grave crisi anossica che ha provocato la moria di tonnellate di pescato. Il 18 luglio già la regione Toscana stava presidiando l'andamento della situazione critica della laguna, dove il caldo aveva determinato un innalzamento delle temperature delle acque e il conseguente rischio di mancanza di ossigeno. La temperatura dell'acqua è arrivata a sfiorare i 32 gradi centigradi con forte stress per la fauna marina;
    per far fronte al problema si sarebbe attivato il Comitato scientifico per monitorare la situazione, mentre il comune di Orbetello avrebbe attivato le pompe che immettono in laguna acqua dal mare ed avrebbe inserito venti ossigenatori per scongiurare conseguenze alla fauna ittica e alle attività turistico/produttive ad essa collegate. Sempre in data 18 luglio il sindaco di Orbetello, Monica Paffetti, ha rassicurato la popolazione con le seguenti parole: «l'amministrazione, insieme al comitato scientifico, sta mettendo in atto ogni mezzo per limitare il danno»;
    il 20 luglio i parametri di ossigeno della laguna sono stati dichiarati in miglioramento, senza nuove morie di orate (pesci sensibili agli sbalzi termici), tuttavia la crisi ancora non poteva considerarsi risolta. Sempre il sindaco di Orbetello dichiarava: «Il pesce, che si concentra nella zona di Ansedonia, è ben ossigenato e non presenta segni di cedimenti di salute»;
    il 22 luglio è stato aperto il canale di Fibbia al flusso delle acque lagunari in uscita; la scelta di questo canale era l'unico modo di evitare una moria di 300 tonnellate di pesci accalcati sotto Ansedonia ed evitava che le carcasse e i prodotti di decomposizione dei pesci morti in prossimità della diga lato Levante, portate in quelle aree dal vento di maestrale, uscissero in mare defluendo dalla Feniglia lato laguna verso la foce di Ansedonia;
    nonostante queste misure parziali, comunque tardive, nella notte tra il 24 e il 25 luglio si è verificato un fenomeno anossico che ha determinato una moria di pesci per 40 tonnellate, fino ad arrivare, negli ultimi tre giorni, alla raccolta di oltre 200 tonnellate di pesce morto;
    le prime segnalazioni del biologo Mauro Lenzi, membro del Comitato tecnico scientifico previsto dall'accordo di programma per il monitoraggio della laguna, sono datate 10 marzo, quando lo stesso aveva evidenziato l'innalzamento termico delle acque lagunari e altri problemi legati al carico organico delle masse vegetali, alla riduzione dell'ossigeno disciolto nella notte. Il comitato scientifico aveva dunque chiesto una manutenzione della laguna che consentisse di essere pronti ad affrontare l'estate;
    quando in estate aumentano le temperature vengono attivate, a cura dell'ente gestore, le idrovore per ossigenare le acque della laguna a beneficio della fauna ittica. La situazione la laguna di Ponente, sulla quale sono stati effettuati anche negli anni scorsi i maggiori interventi per il problema delle alghe, gode al momento di un buono stato di salute: il problema è concentrato esclusivamente a Levante. Sinora tramite il piano di gestione triennale della laguna, che ha consentito di lavorare incessantemente nel bacino di Ponente, in cui giacevano 44.000 tonnellate di alghe concentrate in 400 ettari, si è riusciti a ridurre il carico organico dei sedimenti dal 20 al 7 per cento. Questo ha consentito di scongiurare gli eventuali rischi di anossia dovuti alle alte temperature,

impegnano il Governo:

   ad assumere iniziative volte a riconoscere urgentemente adeguati indennizzi alle aziende danneggiate dai fenomeni descritti in premessa, anche attraverso agevolazioni fiscali, ed ammortizzatori sociali per i lavoratori dipendenti coinvolti;
   ad assumere iniziative per promuovere, in accordo con la regione Toscana, un adeguamento dei recapiti fognari agli impianti di itticoltura;
   ad assumere iniziative con riferimento allo specchio di Levante, per l'immediata attivazione del nuovo programma istituzionale di intervento;
   a favorire e sostenere la riattivazione del laboratorio di ecologia lagunare di Orbetello al fine di consentire il monitoraggio permanente degli impianti presenti nella laguna e la migliore gestione di questo peculiare ambiente marino;
   ad assumere ogni opportuna iniziativa di competenza per sostenere la filiera ittica e il settore dell'acquacoltura colpiti dagli eventi di cui in premessa.
(7-00754) «Benedetti, Busto, Gagnarli».


   La VII Commissione,
   premesso che:
    l'Italia celebra, nel corso di questo 2015, il Settantesimo anniversario della Resistenza e della Guerra di liberazione;
    con la risoluzione approvata dalla VII Commissione la n. 8-0100, si è inteso attribuire alla ricorrenza del Settantesimo della Liberazione un valore propulsivo di ricerca e iniziative capaci di portare a sintesi e valorizzare a livello nazionale quanto già svolto a livello locale;
    la stessa risoluzione indica, in questo orizzonte, alcuni ambiti emergenti, cui fare riferimento;
    la Resistenza è un processo unico e unitario che attraversa l'Italia intera, manifestandosi in ciascun luogo in modi e tempi, con forme e risultati assai diversi quali le peculiari situazioni locali e le circostanze rendevano possibili;
    il significato e la partecipazione del Mezzogiorno all'affrancamento di tutto il Paese dal Nazifascismo va dunque valorizzato in questo quadro;
    Napoli, la Campania e le regioni meridionali, hanno vissuto, a partire dal tragico settembre 1943, vicende separate e al tempo stesso intrecciate a quelle in corso nel resto dell'Italia. In questo quadro si collocano le Quattro Giornate di Napoli (96 ore tra fine settembre e primi di ottobre 1943) nel corso delle quali la città insorse, costringendo prima dell'arrivo delle truppe alleate, i tedeschi ad abbandonarla;
    l'avvenimento che valse alla città il conferimento della medaglia d'oro al valor militare consenti alle forze alleate di trovare al loro arrivo il 1o ottobre del 1943 una città già libera dalla occupazione nazista. Napoli, fu la prima tra le grandi città europee ad insorgere con le sole forze del suo popolo, con successo, contro l'occupazione nazista;
    le più recenti celebrazioni del settembre 2013, a Napoli, alla presenza del Capo dello Stato, ne hanno recuperato pienamente il significato storico, oltre che di trasmissione del ricordo, riferendosi alla memoria come «diritto» la cui fruizione libera ed integrale, è dovuta alle generazioni più giovani;
    la memoria della Resistenza al Nord come al Sud, appare oggi sbiadita in larghe fasce della popolazione e specialmente nei giovani. Ciò è dovuto certamente ai grandi cambiamenti degli ultimi decenni, oltre che alla distanza dei 70 anni;
    anche la memoria di quelle eroiche giornate, nella città di Napoli, pur in presenza di pregevoli iniziative delle istituzioni cittadine e dell'Istituto Campano per la storia della resistenza, oltre che delle associazioni partigiane, è andata affievolendosi;
    si propone che tutti coloro (istituzioni, associazioni, mondo della cultura e dell'arte) che a livello locale sono impegnati nella difesa dei principi della Costituzione e dei valori democratici propri della lotta di Liberazione, in accordo con le istituzioni scolastiche, si uniscano, continuando sulla strada già da anni battuta, per diffondere, con maggiore continuità e incisività, la conoscenza degli eventi legati «al prima, durante e poi delle Quattro Giornate e della lotta di Liberazione» tramite un progetto unitario «per il diritto alla memoria» rivolto ai giovani e alle scuole napoletane;
    per salvare la memoria è soprattutto necessario che si manifesti una domanda di interesse da parte delle giovani generazioni. Non è certo mancata fin qui una iniziativa delle scuole e di molti insegnanti, ma sui legami tra passato, presente e futuro si richiede un impegno costante tale da stimolare nei giovani una presa di coscienza del significato più profondo di dignità e riscatto in quella lotta del passato e da sviluppare capacità di reazione nel presente, contrastare nuove forme di discriminazione e razzismo, promuovere percorsi di dialogo e pace;
    in tal senso le scuole potranno dare vita ad una molteplicità di esperienze in campo culturale e artistico come: esercizi di scrittura creativa, poesia, nuova drammaturgia, recitazione musica, pittura, scultura, danza. Tali esperienze potranno trovare sintesi in una manifestazione culturale che coinvolga le scuole e la città in uno dei grandi teatri napoletani;
    in attuazione di quanto già previsto nella risoluzione n. 8-0100 – approvata dalla Commissione VII il 17 marzo 2015 – per favorire la creazione della rete dei luoghi si intende perseguire il recupero delle epigrafi commemorative e il ritrovamento dei luoghi della memoria;
    manca a tutt'oggi un censimento del patrimonio costituito dalle epigrafi commemorative presenti sul territorio della città di Napoli. Molti luoghi di memoria legati al secondo conflitto sono oggi completamente trasformati, cancellati o de dati e le stesse epigrafi si conservano con grande difficoltà. La recente dedicazione del ponte cosiddetto della sanità alla memoria della partigiana Maddalena Cerasuolo suggerisce l'idea di un più ampio censimento e studio a livello di quartiere e municipalità delle epigrafi presenti nell'area urbana, segnatamente di quelle riferite alla Quattro Giornate di Napoli;
    un percorso di rivisitazione, che preveda anche la «adozione di luoghi ed epigrafi», si colloca in continuità con i progetti dominati «la scuola adotta un monumento» ideati e realizzati già da molti anni, con successo nelle scuole napoletane tanto da essere trasferiti come buone prassi in molte altre città;
    resta fermo il rigoroso rispetto del principio costituzionale della libertà di insegnamento, nei limiti delle attribuzioni istituzionali,

impegna il Governo:

   a promuovere gli studi e le ricerche sulla esperienza storica della lotta al nazifascismo e della Resistenza nel Mezzogiorno traendo stimolo e profitto dai risultati già conseguiti e dal lavoro benemerito svolto dall'Istituto Campano per la storia della resistenza dell'antifascismo e dell'età contemporanea «Vera Lombardi»;
   a favorire la collaborazione sinergica tra gli uffici della direzione scolastica della Campania, le istituzioni napoletane e campane, il comune di Napoli, l'Istituto campano per la storia della resistenza, l'ANPI e altre istituzioni culturali e associazioni, al fine di realizzare unitariamente il progetto «per il diritto alla memoria» nelle scuole napoletane.
(7-00756) «Sgambato, Carloni, Ghizzoni, Manzi, Bossa, Salvatore Piccolo, Capozzolo, Piccoli Nardelli, Valeria Valente, Giorgio Piccolo, Tino Iannuzzi, Palma, Manfredi, Amendola, Rostan, Impegno, Tartaglione».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    la legge n. 16 del 27 gennaio 2000 «Ratifica ed esecuzione dell'accordo europeo sulle grandi vie navigabili di importanza internazionale» riconosce di rilevante importanza europea il sistema idroviario padano-veneto oltre ad un corridoio costiero che mette in collegamento le acque interne navigabili nazionali con il resto delle idrovie europee;
    in linea con quanto sopra espresso nasce l'esigenza legislativa di considerare zone di navigazione promiscua le acque costiere fino a tre miglia dalla costa, le acque dei porti marittimi, le foci dei fiumi, per la parte marittima, i canali e le zone di navigazione della laguna veneta, sotto la giurisdizione dell'autorità marittima, di cui all'articolo 4 della legge 5 marzo 1963, n. 366, e successive modifiche e integrazioni;
    al fine di sviluppare e incentivare la navigazione interna e di favorire la creazione di una rete di vie navigabili integrata, anche mediante l'efficace gestione del sistema idroviario padano – veneto, occorre oggi una nuova forma di governance del sistema stesso;
    è riconosciuto che la navigazione interna nazionale poggia quasi interamente sul sistema idroviario padano – veneto e che, come da sua classificazione, esso potrebbe offrire una risorsa al trasporto e alla logistica nazionale in termini di minor impatto ambientale e efficientamento del trasporto;
    relativamente alla gestione del sistema delle acque interne navigabili, sia ai fini turistici, crocieristici, del diporto e commerciali, è evidente la frammentazione istituzionale e di competenze;
    una miglior organizzazione e una gestione integrata del sistema idroviario padano – veneto potrebbero diventare il modello da estendere ad altri sistemi delle vie navigabili interne presenti nel Paese;
    risulta necessario introdurre strumenti flessibili e finalizzati alla realizzazione di economie ed omogeneità di azione tra i diversi gestori della rete idroviaria;
    occorre, sempre nell'ottica di un maggior sviluppo del trasporto fluviomarittimo, organizzare in modo più integrato ed organico le relazioni tra porti e retro-porti o interporti oltre che le aree della intermodalità;
    l'ottimizzazione della gestione si pone come obiettivo anche la riduzione della spesa pubblica;
    il Consiglio dei ministri ha già approvato in via preliminare il 3 luglio 2015,su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il piano strategico nazionale della portualità e della logistica, da adottarsi con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in attuazione della legge 11 novembre 2014, n.164 «Sblocca Italia» attraverso il quale si intende favorire la crescita economica del Paese con il rafforzamento della competitività del sistema portuale e logistico italiano;
    nel piano strategico nazionale della portualità e della logistica è stata delineata una strategia integrata, con azioni da compiere sia nei porti sia sulla loro accessibilità – da mare e da terra – al fine di potenziare il ruolo dell'Italia nel Mediterraneo e negli scambi internazionali, definendo numerose azioni per la semplificazione amministrativa, l'efficienza dei controlli e delle procedure di sdoganamento, la promozione dell'intermodalità e dei collegamenti di ultimo miglio, considerando come parte di questo sistema integrato anche le via navigabili interne,

impegna il Governo

al fine di sviluppare ed incentivare la navigazione interna oltre che di favorire la creazione di una rete di vie navigabili integrata, mediante l'efficace gestione del sistema idroviario padano – veneto di cui alla legge 29 novembre 1990, n. 380, a mettere in atto tutte le iniziative necessarie, nei tempi più brevi possibili, per l'istituzione presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di un Comitato nazionale della navigazione interna.
(7-00755) «Crivellari, Carra».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MICCOLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   lo smaltimento dei rifiuti in Italia ha avuto un quadro organico con il decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 10 settembre 1982 (in attuazione delle direttive CEE n. 75/442, n. 76/403 e n. 78/319);
   con la direttiva CEE 91/689 vengono definiti alcuni rifiuti pericolosi;
   la decisione 94/904/CE del Consiglio istituisce un elenco di rifiuti pericolosi proprio ai sensi della citata direttiva 91/689/CEE;
   la decisione 2000/532/CE, entrata in vigore il 1° gennaio 2002, contiene l'elenco dei codici CER (Catalogo europeo dei rifiuti);
   il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 contenente «Norme in materia ambientale» (smi) contiene tra l'altro «le opzioni che garantiscono in conformità a quanto stabilito dai commi da 1 a 3, il miglior risultato in termini di protezione della salute umana e dell'ambiente». In esso sono elencati i rifiuti speciali pericolosi (allegato «D» IV parte) e vengono sanciti il principio di sussidiarietà e di leale collaborazione e la possibilità del ricorso al potere sostitutivo del Governo;
   la direttiva europea del 5 aprile 2006/12/CE definisce i termini: «rifiuto», «produttore», «detentore» e «gestione»;
   con la legge 27 dicembre 2006 n. 296 (finanziaria per il 2007, articolo 1, comma 1116), viene definita lo «tracciabilità dei rifiuti»;
   il decreto n. GAB/DEC/43/07 (23 febbraio 2007), sulla base della sopraindicata legge, prevede la realizzazione del progetto «sistema integrato per la sicurezza e la tracciabilità dei rifiuti (SISTRI);
   il 31 luglio 2007 (prot. SEC. 36/07) la Selex Service Management spa presenta al Ministero il progetto esecutivo del sistema SISTRI;
   il 5 settembre 2008, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, il progetto, le opere, i servizi e le forniture per la realizzazione del sistema SISTRI vengono dichiarate «segrete»;
   la direttiva 2008/98/CE del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti abroga alcune direttive (revisione della direttiva 2006/12/CE); pone obblighi agli Stati membri; indica il principio «chi inquina paga»; ridefinisce molti termini quali: «rifiuto», «rifiuto pericoloso», «raccolta», «raccolta differenziata e altro»;
   indica agli Stati membri di tener «conto dei principi generali in materia di protezione dell'ambiente di precauzione e sostenibilità, della fattibilità tecnica e praticabilità economica, della protezione delle risorse nonché degli impatti complessivi sociali, economici, sanitari e ambientali»;
   il 21 maggio 2008, con il primo Consiglio dei ministri tenuto a Napoli dal nuovo Governo appena insediato, presieduto da Silvio Berlusconi, viene approvato il decreto-legge n. 90 del 23 maggio 2008 con cui viene autorizzata una operazione di ordine pubblico (definita poi «operazione strade pulite»). Si individuano dieci siti in cui realizzare altrettante nuove discariche – che vengono contestualmente dichiarate zone di interesse strategico nazionale di competenza militare – e si prevedono sanzioni fino al commissariamento per i comuni che non dovessero portare a regime la raccolta differenziata. Si procede con la nomina, a sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, con delega all'emergenza rifiuti, del capo della protezione civile Guido Bertolaso, già commissario nel 2006-2007. L'articolo 9, però, in deroga a tutte le norme vigenti in materia, comprese quelle comunitarie, autorizza lo smaltimento nelle nuove discariche anche dei rifiuti pericolosi: ceneri pesanti e scorie, contenenti sostanze pericolose; ceneri leggere, contenenti sostanze pericolose; fanghi prodotti da trattamenti chimico-fisici, contenenti sostanze pericolose; altri rifiuti (compresi materiali misti) prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti, contenenti sostanze pericolose;
   il 14 dicembre 2009, nonostante quanto indicato dall'articolo 4 della direttiva 2008/98/CE in termini di «politica dei rifiuti» ovvero «in modo pienamente trasparente» sulla base del sopracitato decreto rifiuti n. GAB/DEC/43/07 del 2007) doc. 864/04, nella sede del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, tramite contratto di affidamento diretto, viene individuato il soggetto affidatario del progetto SISTRI in Selex Service Management spa;
   Selex-Sema, nell'ottobre 2010, doveva mettere in linea la seconda parte del SISTRI: il programma di registrazione della movimentazione detto anche TRR; in altre parole applicazione che permette agli utenti iscritti al sistema d'inserire le giacenze dei propri rifiuti sui registri cronologici. Dopodiché si possono creare le schede di movimentazione dove vengono coinvolti i 3 principali interlocutori: produttore, trasportatore, destinatario, (discarica). Nel 2011 è stato fatto un primo test del sistema che ha rappresentato il punto di partenza per avviare un processo di modifiche e miglioramenti all'applicazione e alla piattaforma di servizio;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 20 del dicembre 2012, in attesa di alcune verifiche, sospende il SISTRI, le attività operative fino ad ottobre 2013, prevedendo tuttavia un riavvio (aprile 2012) delle attività di back office da parte di Selex-Sema per il riallineamento delle anagrafiche degli utenti SISTRI attraverso una procedura di ricontatto di ogni singola azienda iscritta per la verifica e l'aggiornamento dei dati presenti a sistema. Di tale sistema, anche a causa di rinvii e proroghe, la parte riguardante la movimentazione, è avviata ufficialmente a ottobre 2013;
   dal 2013, a causa di una serie di modifiche alla normativa per l'adesione al SISTRI, il numero di imprese coinvolte/obbligate ad aderire è passato da circa 290.000 e circa 74.000, di fatto rendendo il sistema dal punto di vista del business non più sostenibile. L'azienda ha autorizzato la cassa integrazione a 0 ore (ad eccezione di alcune funzioni quali ingegneria e servizi) da luglio 2012 ad aprile/maggio 2013. Allo stato attuale, circa il 40 per cento dei dipendenti Sema non ha attività, avendo come unico progetto in essere il SISTRI;
   nel luglio 2014, la Selex-Sema lamenta che: «i numerosi interventi sul SISTRI, avvenuti senza alcun coinvolgimento della società – hanno comportato un enorme squilibrio contrattuale, tanto nella fase precedente la sospensione del programma (per effetto, ad esempio, degli oneri aggiuntivi sostenuti a fronte di modifiche normative, richieste del Ministero, mancati pagamenti di fatture emesse e numerose proroghe all'entrata in vigore del sistema con la conseguente riduzione degli utenti e dei relativi contributi) quanto in quella di riavvio, così da minarne irrimediabilmente il profilo economico-finanziario e la sostenibilità della sua prosecuzione. Il conseguente possibile default di Selex Sema è stato sinora evitato grazie all'ingente e continuo apporto di fondi da parte della controllante»;
   con legge 11 agosto 2014 n. 116 «Al fine di prevenire procedure d'infrazione ovvero condanne della Corte di giustizia dell'Unione europea per violazione della normativa dell'Unione europea (articolo 14) il termine finale di efficacia del contratto, come modificato ai sensi del comma 9, è stabilito al 31 dicembre 2015». «All'attuale società concessionaria del SISTRI è garantito l'indennizzo dei costi di produzione consuntivati sino al 31 dicembre 2015, previa valutazione di congruità dell'Agenzia per l'Italia digitale, nei limiti dei contributi versati dagli operatori alla predetta data»; «entro il 30 giugno 2015 il Ministero dell'ambiente avvia le procedure per l'affidamento della concessione del servizio nel rispetto dei criteri e delle modalità di selezione disciplinati dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.»;
   con tale norma, Selex-Sema appare obbligata a protrarre il contratto fino al 31 dicembre 2015;
   rimane comunque in piedi una situazione anomala giacche: da una parte il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ritiene che il SISTRI debba essere superato perché obsoleto, posticipando, di fatto, al gennaio 2016 l'entrata in vigore del regime sanzionatorio relativo alle attività operative sul SISTRI; dall'altra parte avvia da febbraio 2015 la vigenza del regime sanzionatorio relativo alla mancata iscrizione o al mancato pagamento del contributo, obbligando le aziende ad iscriversi al SISTRI e a pagare i contributi degli anni 2011-2014-2015 (per chi non avesse pagato gli anni precedenti) entro il 30 aprile 2015 applicando per i morosi sanzioni economiche abbastanza pesanti;
   il 26 giugno 2015 è stata pubblicata sul sito della Consip la documentazione della gara SISTRI (come previsto da decreto entro il 30 giugno 2015) per conto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (MATTM). Il bando prevede una procedura ristretta – a lotto unico – per la concessione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI), del valore stimato di 260 milioni di euro per 60 mesi rinnovabile per ulteriori 24. Per la prequalifica si deve presentare la documentazione richiesta entro il 5 agosto 2015;
   negli stessi giorni la Commissione ambiente della Camera ha impegnato il Governo di «valutare l'adozione di tutti gli atti necessari a ridurre adeguatamente il contributo annuale di iscrizione al Sistri» dal 1° gennaio 2016 e «fino alla piena operatività, previo collaudo con esito positivo, del nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti, realizzato dal concessionario che risulterà vincitore della gara»;
   la Selex Service Management è un'azienda costituitasi nel 2005, interamente controllata da Selex Electronic Systems (del gruppo Finmeccanica – di cui il maggiore azionista è il Ministero dell'economia e delle finanze) ed è una società per azioni uni-personale (un unico socio responsabile limitatamente, infatti per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio);
   a dicembre 2014 il SISTRI ha ottenuto il certificato di verifica e conformità (commissione nominata con decreto 4491/TRI/DI/N del 20 settembre 2013). Le verifiche semestrali condotte dall'AGID, a partire dal 2013 e tuttora in corso, hanno sempre portato ad un esito di conformità anche relativamente alle numerose variazioni normative, che hanno resi necessari interventi adeguativi: in ultimo ad esempio riguardo alle caratteristiche di pericolo, così come recepito dalla normativa europea in materia;
   in Selex-Sema è stata avviata una cassa integrazione ordinaria per una parte dei lavoratori a zero ore fino a giugno; poi sarà attivo il contratto di solidarietà per tutti i lavoratori e le lavoratrici fino a dicembre 2015. Dopo tale mese non si hanno indicazioni, se non che il consiglio di amministrazione ha deliberato la messa in liquidazione per i problemi economici e di prospettiva;
   va tenuto conto dell'importanza del tema della gestione dei rifiuti, che ricade tra le competenze di più Ministeri, vari enti ed uffici quali: ambiente e della tutela del territorio e del mare, semplificazione e pubblica amministrazione, sviluppo economico e salute;
   per una migliore soluzione necessitano rapidità e trasparenza, come indicato dall'Unione europea ed è compito dello Stato attivare le migliori conoscenze ed energie;
   nel progetto Sistri un ruolo centrale di vigilanza, prevenzione e repressione delle violazioni compiute in danno dell'ambiente è quello conferito al nucleo operativo ecologico dei carabinieri (NOE), alle dipendenze funzionali del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio;
   per quanto riguarda competenza ed abilità (Know-how e skill) della Selex-SEMA, queste esistono in quanto patrimonio di persone con anni di esperienza –:
   se, oltre alla designazione della stazione appaltante, ritenga necessario od opportuno avvalersi di strumenti giuridici d'immediata attuazione ed efficacia;
   se intenda, in tale quadro, assumere iniziative per confermare, modificare e/o ampliare le competenze dei soggetti, sopra indicati, addetti alla gestione ed al controllo, già previsti dal SISTRI;
   se si intenda convocare al Ministero dello sviluppo economico le organizzazioni sindacali e il vertice dell'azienda per cercare una soluzione utile alla salvaguardia occupazionale dei lavoratori di Selex-sema, stante l'esperienza acquisita. (5-06231)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FORMISANO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Associazione «Chi ama la Sicilia» ha richiesto, in data 26 maggio 2015, un incontro con il presidente della regione siciliana e il presidente del CAS (Consorzio per le autostrade siciliane) per definire e valutare i presupposti per l'abolizione immediata del pedaggio dell'autostrada A20 Palermo-Messina;
   l'istanza è stata formulata alla luce delle condizioni dell'autostrada, che non parrebbero giustificare il pagamento di servizi pressoché inesistenti: la tratta risulta, infatti, mal servita; le condizioni del manto stradale sono alquanto precarie e pericolose per l'incolumità degli automobilisti che vi transitano; le gallerie risultano avere una illuminazione non adeguata agli standard di sicurezza stradale; i guardrail si trovano in pessimo stato di manutenzione, mentre le stazioni di rifornimento di carburante presenti nella tratta Palermo-Messina risultano essere in numero piuttosto esiguo;
   l'autostrada Palermo-Messina, gestita dal Consorzio per le autostrade siciliane (CAS), rappresenta un'arteria di fondamentale importanza perché collega il capoluogo di regione a Messina, e costituisce un indispensabile transito soprattutto per chi deve raggiungere la Calabria o altre regioni d'Italia;
   tale asse viario è diventato poi ancor più essenziale dopo il cedimento del viadotto Himera che ha paralizzato i collegamenti al centro della Sicilia e la A19 Palermo-Catania;
   è del 5 marzo 2015 una denuncia di Salvatore Vinci, segretario del Sindacato italiano lavoratori di polizia della CGIL, in tema di morti sulle autostrade siciliane: «A Messina, e relativa provincia si muore sulle autostrade perché si vola giù dai viadotti protetti dai guardrail non a norma, si muore perché si sbanda sulle pozzanghere che si formano ad ogni pioggia, si muore per mancanza di manutenzione e di asfalto drenante nei punti più critici»;
   l'ultimo caso di cronaca, in ordine di tempo, che ha interessato l'autostrada A20 reca la data del 23 aprile 2015, quando un costone di roccia è franato lungo l'autostrada Palermo-Messina, all'altezza di Campofelice di Roccella, interrompendo il transito delle auto dirette a Messina;
   gli utenti siciliani, all'evidenza amareggiati e insoddisfatti per il pessimo stato dell'arteria autostradale, richiedono a gran voce l'abolizione del pedaggio, poiché alla corresponsione del prezzo per l'attraversamento del tratto non corrisponde affatto una ricezione di servizi adeguati –:
   se siano a conoscenza dei fatti su esposti ed abbiano posto in essere, di concerto con la regione siciliana, iniziative, per quanto di competenza, atte a pervenire a una possibile abolizione del pedaggio lungo la tratta autostradale A20 che collega Palermo a Messina e se sia nelle loro possibilità indicarne modalità e tempistiche;
   se sia intenzione del Governo farsi carico degli eventuali mancati introiti del pedaggio, stimati in circa 100 mila euro al mese. (4-10080)


   TOFALO, PETRAROLI, SIBILIA e COLONNESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 47 della Costituzione prevede che la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti;
   le cooperative edilizie sono società senza scopo di lucro, la cui finalità è la costruzione di abitazioni destinate ai propri soci; per questo comprare casa tramite le cooperative, può risultare vantaggioso per chi non ha tante disponibilità economiche;
   con vari articoli per mezzo stampa, si evincono criticità su quella che sia la reale ed effettiva gestione di queste cooperative criticità che si ripercuotono sulla vita dei cittadini –:
   quale iniziative di competenza intenda assumere, anche sul piano normativo, per risolvere le criticità emerse come ad esempio la predisposizione da parte delle cooperative di graduatorie limitate a progetti di non ancora precostituita fattibilità;
   se intenda assumere iniziative normative per vincolare le decisioni di allontanamento effettuate dai consigli d'amministrazione delle cooperative e la riassegnazione degli alloggi, ad eventuale pronuncia dell'autorità giudiziaria che ratifichi tale decisione;
   se intenda assumere iniziative affinché le cooperative pubblichino il proprio libro soci, o almeno lo rendano accessibile agli stessi soci della cooperativa;
   quali iniziative intenda mettere in atto per eliminare il vuoto normativo che permette ai soci che abbiano soddisfatto le loro esigenze, di poter delegare e quindi esprimere preferenze su progetti su cui non hanno alcun interesse. (4-10087)


   TOFALO, PETRAROLI, SIBILIA e COLONNESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la nave HEDIA il 14 marzo 1962 nel sud del Mediterraneo in prossimità dell'isola di La Galite, a poco più di venti miglia nautiche al largo della costa Tunisina e in prossimità del confine con le acque algerine, di 2.300 tsl, battente bandiera liberiana, salpata il giorno 10 da Casablanca in Marocco e in rotta per Venezia con un carico di fosfati, al comando del padrone marittimo Federico Agostinelli di Fano, con a bordo diciannove uomini d'equipaggio tutti italiani, tranne un britannico del Galles, sta affrontando il mare in burrasca. Alle ore 10,00 invia un messaggio radio a Venezia dove si trova l'agente della società armatrice. Il messaggio dice: «10.00 Galite 6512 n807 persistendo passeremo sud Sicilia Hedia». La nave trasmette il suo messaggio mentre si trova in una zona di mare molto frequentata non solo dal traffico mercantile, ma anche da navi militari statunitensi, sovietiche, francesi e italiane, tutte dotate di apparecchiature radio e radar con caratteristiche ben superiori rispetto a quelle in dotazione alle navi mercantili. Dopo quel messaggio la Hedia non dà più notizie. Attesa a Venezia per i giorni 18 o 19 marzo non vi arriverà mai. La nave scompare con l'intero equipaggio;
   sempre nel 1962, alcuni mesi dopo la scomparsa della Hedia, sul quotidiano di Venezia Il Gazzettino del 14 settembre compare un articolo accompagnato da una telefoto ANSA scattata alcuni giorni prima, il 2 settembre, dal fotografo di guerra inglese Jim Howard per conto dell'agenzia francese UPI (United Press International) di Parigi. La telefoto mostra un gruppo di persone con caratteristiche somatiche europee composto da una ventina di uomini nei giardini del consolato francese di Algeri. Pur avendo subito riproduzioni e trasmissioni, l'immagine è sufficientemente chiara da permettere il riconoscimento dei visi. La didascalia della foto dice: «Algeri. Un gruppo dei prigionieri europei rilasciati ieri dagli algerini attende nei giardini del Consolato francese che si concludano le formalità burocratiche». Fonti imprecisate dicono che lo stesso giorno in cui la foto è stata scattata il consolato sia stato attaccato dai guerriglieri algerini e dato alle fiamme e anche se non confermata la notizia appare credibile;
   errori, omissioni, cose dette e smentite, affermazioni ambigue, foto misteriose avvolgono la vicenda della Hedia in una nebbia. Molto di quanto avvenuto dopo quel 14 marzo 1962 contrasta con la linearità costituita dall'ipotesi del semplice affondamento. Tenendo conto della situazione di guerra in cui si trovava la zona di Mediterraneo in cui la nave è scomparsa e delle vicende legate ai traffici di armi che durante quella guerra hanno visto protagoniste tante navi, ad avviso degli interroganti è possibile formulare anche alcune ipotesi che vadano al di là di quella ufficiale –:
   se intendano rendere noto ogni utile elemento in possesso del Governo che riguarda la nave HEDIA;
   quali iniziative di competenza intendano adottare per fare luce sulla vicenda. (4-10090)


   CARIELLO, CASTELLI, CASO, BRUGNEROTTO, D'INCÀ e SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   da informazioni diffuse a mezzo stampa, specificatamente dal quotidiano Libero del 24 aprile 2015, con un articolo di Franco Bechis, si apprende la notizia di una «non virtuosa» gestione del personale dirigente di prima e seconda fascia, in espressa violazione della disciplina in materia, decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri (da ora in poi PCM);
   la «non virtuosa gestione» del personale dirigente di prima e seconda fascia è desumibile dal fatto che pur constando la Presidenza del Consiglio dei ministri, di circa n. 230 dirigenti di ruolo ai sensi dell'articolo 19, commi 4, 5 e 5-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001, gli incarichi di vertice amministrativo come capi dipartimento e capi uffici autonomi, sono da oltre 15 anni appannaggio di circa 10/15 dirigenti che oramai hanno costituito quella che all'interrogante appare una lobby fortissima immune ai vari cambiamenti di Governo avvenuti nel tempo, il cui agere appare rivolto all'autoconservazione del posto che sfugge secondo l'interrogante dalle logiche della meritocrazia, delle capacita professionali e gestionali (solo a titolo esemplificativo si richiama il recente caso «Incalza»);
   suddetta gestione, protrattasi per anni, ha generato un aumento considerevole del contenzioso tra il personale dipendente e la amministrazione pubblica governativa, arrivando ad un numero di 800 giudizi pendenti innanzi a tribunali ordinari e amministrativi, contro decreti del Presidente del Consiglio dei ministri illegittimi, per demansionamento e/o dequalificazione professionale molti dei quali vedono la Presidenza del consiglio dei ministri soccombente per «danno erariale»;
   sempre dalla fonte giornalistica citata in premessa, si evince, a dimostrazione di quanto appena esposto, che l'aumento dello stanziamento del capitolo di spesa della Presidenza del Consiglio dei ministri destinato alla copertura delle spese di lite, che la stessa amministrazione è chiamata a sostenere a seguito delle soccombenze in giudizio, da 15 milioni di euro previsto per l'anno 2014 ha raggiunto i 60 milioni di euro per l'anno 2015;
   negli ultimi due anni, infatti, numerosi sono dirigenti di prima e seconda fascia di ruolo della Presidenza del Consiglio dei ministri, allo scadere del loro incarico triennale, che rimangono per mesi inutilizzati e quindi senza incarico generando un danno sotto molteplici profili: quello erariale, nel continuare a corrispondere agli stessi dirigenti seppur non destinatari di nuovo e diverso incarico e quindi non impiegati professionalmente-retribuzione fissa, dando incarico contestualmente al dirigenti non dei ruoli della Presidenza del Consiglio dei ministri, così detti esterni, contravvenendo alle disposizioni in ambito di spending review diventate negli ultimi anni più stringenti (decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135);
   Arcangelo D'Ambrosio, segretario generale di DIRSTAT (Sindacato dei dirigenti della Pubblica Amministrazione) ha presentato esposto sulla irregolarità della Presidenza del Consiglio dei ministri nella gestione del personale. Esposto che ad oggi è ancora all'esame della procura regionale del Lazio della Corte dei conti, dell'ufficio di controllo sugli atti della Presidenza del Consiglio e della procura di Roma, senza aver ancora quindi concluso l'istruttoria, dove al suo interno si sollevano molteplici violazioni della legge di cui all'articolo 19 del decreto legislativo n. 165 del 2001, nella fattispecie concreta di conferimento di incarichi dirigenziali senza rispettare le procedure contrattuali, sebbene sia l'articolo 19, comma 1-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001 e successive modificazioni, sia i contratti collettivi di riferimento (articolo 5, commi 3, 4 e 6, del contratto collettivo nazionale integrativo relativo al personale dirigente dell'area VIII – Presidenza del Consiglio dei ministri, relativo al quadriennio normativo 2002-2005 e biennio economico 2002-2003, sottoscritto il 27 marzo 2007), sia le specifiche direttive della Presidenza (articolo 2, comma 1, lettera a), articolo 3 ed articolo 5, comma 1, lettera a), della direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri per la disciplina del conferimento, mutamento e revoca degli incarichi dirigenziali, in data 23 gennaio 2008), prevedano la pubblicità dei posti dirigenziali vacanti e delle procedure di copertura degli incarichi, per collocare presso la Presidenza del Consiglio i propri fedelissimi, vicinissimi al Presidente ASTRID, generando altresì demansionamento e quindi cambiamento illegittimo di mansioni. L'esposto in parola, rileva, infatti che «Nell'ultimo anno le suddette reiterate violazioni della citata normativa in materia di conferimento degli incarichi dirigenziali hanno assunto una particolare gravità, derivante dal fatto, da un lato l'amministrazione ha conferito incarichi dirigenziale a personale cosiddetto esterno ai ruoli della Presidenza del Consiglio dei ministri, e dall'altro ha lasciato e sta lasciando, inspiegabilmente ed arbitrariamente numerosi dirigenti di prima fascia e qualche dirigente di seconda senza incarico dirigenziale e ciò pur in presenza di un gran numero di uffici dirigenziali vacanti»;
   gli atti di conferimento dei suddetti incarichi dirigenziali, nonostante la quantomeno dubbia legittimità risultano essere stati, peraltro, regolarmente registrati dalla sezione della Corte dei conti deputata al controllo della legittimità degli atti della Presidenza del Consiglio dei ministri;
   la Corte dei conti, inoltre, in sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato nell'ordinanza congiunta del 4 dicembre 2014, nella delibera n. 23/2014/G a pagina n. 26 riporta che dalla Presidenza del Consiglio dei ministri «Non sono state riferite, infine, posizioni soprannumerarie, contenziosi in atto e nemmeno assunzioni dal 2011» seppur, di fatto, la Presidenza del Consiglio dei ministri sia sommersa da ricorsi, proposti innanzi ai tribunali civili e amministrativi dei propri dipendenti il cui esito vede spesso soccombente la Presidenza del Consiglio dei ministri e delle quali si trova ed esprimersi sulle ipotesi di «danno erariale» la stessa Corte dei conti e abbia, sempre la Presidenza del Consiglio dei ministri, preceduto dall'anno 2012 all'assunzione di circa 15 dirigenti e 26 funzionari;
   tuttavia, recente, è la sentenza della Corte Costituzionale n. 175/2015, depositata dal presidente Aldo Criscuolo in data 23 luglio 2015, che dichiarando «l'illegittimità costituzionale sopravvenuta, a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione di questa sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica e nei termini indicati in motivazione, del regime di sospensione della contrattazione collettiva, risultante da: articolo 16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, come specificato dall'articolo 1, comma 1, lettera c), primo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell'articolo 16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111); articolo 1, comma 453, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014) e articolo 1, comma 254, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2015)» «salva» il Governo dal dovere di restituire ai dipendenti pubblici gli importi economici persi per effetto del prolungato blocco contrattuale (triennio 2010-2012 e triennio 2013-2015), ma obbliga lo stesso Governo ad aprire la trattativa contrattuale pubblica, con effetto economico a far data dalla sentenza stessa ovvero dal 23 luglio 2015, considerando il rinnovo del blocco per un altro triennio (2013-2015) e la norma che blocca l'erogazione della indennità di vacanza contrattuale fino al 2018 resa strutturale dalla legge n. 190 del 2014, legge di stabilità per l'anno 2015, incostituzionali –:
   se e quali iniziative, il Presidente del Consiglio dei ministri, in virtù di quanto enucleato in premessa, intenda adottare al fine di dare piena attuazione a quanto disposto al comma 3 dell'articolo 97 del testo Costituzionale nell'organizzazione della dotazione organica dei pubblici uffici afferenti alla Presidenza del Consiglio e alle strutture ministeriali, secondo le disposizioni di legge, in modo, come recita l'articolo de quo, che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione, e quindi una classe dirigente capace professionalmente e adeguatamente impiegata e impegnata a perseguire e soddisfare l'interesse pubblico nel supportare i politici pro-tempore;
   se intenda assumere iniziative per porre fine alla condotta sopra citata in modo da non generare un aumento delle voci di costo del bilancio dello Stato relative alle spese per liti e contenziosi, considerato che già i conti pubblici evidenziano una sostanziale necessità di applicare, nella gestione della finanza pubblica, il criterio dell'economicità e della revisione della spesa. (4-10094)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE ROSA, BUSTO, DAGA, TERZONI, MICILLO, MANNINO e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il livello del fiume Ticino diminuisce di circa dieci centimetri al giorno, mettendo a rischio le oltre settemila aziende agricole del territorio e le attività che fanno del fiume la loro fonte di sopravvivenza;
   la notevole quantità d'acqua usata da Expo2015 per riempire i canali limitrofi e la cosiddetta «lake arena» del sito espositivo hanno notevolmente ridotto la portata del Ticino. Il livello del fiume risulta essere di 3 metri sotto la media, in alcune zone del suo letto l'acqua ha lasciato spazio a secche e cumuli di sabbia così alti da essere quasi impossibili da rimuovere, arrecando gravissimo pregiudizio alle biodiversità presenti nell'area;
   il rischio di siccità è ormai una realtà tanto che il consorzio del Ticino ha chiarito che se non si rivedranno le direttive del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ticino dovesse avere scarsa disponibilità d'acqua, la priorità di utilizzo delle acque andrà all'agricoltura, come da normativa, impoverendo significativamente l'allestimento del sito Expo2015, con gravi ricadute di immagine per il nostro Paese;
   secondo l'accordo sulla gestione delle acque, raggiunto tramite la decisione presa a Roma dal Comitato istituzionale per la regolazione delle acque del lago e del fiume, nel Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e presieduto dal Ministro Gian Luca Galletti, d'intesa con le regioni interessate (la Lombardia e il Piemonte), si è stabilito di portare la quota massima di gestione del lago Maggiore, precedentemente ridotta dallo stesso Ministero ad 1 metro, fino a quota 1,25 per arrivare a 1,5 metri di livello dell'acqua in cinque anni;
   la gestione imposta con il livello di riferimento a 1,25 metri, causando modifiche frequenti dei livelli e delle portate di valle e di livello a monte, porterà rilevanti danni agli ambienti naturali presenti posti sotto tutela oltre ad invalidare 5 anni di sperimentazione del deflusso minimo vitale attuata secondo programmi definiti dalle 2 regioni;
   sarebbe invece opportuno il ripristino immediato a 1,5 metri, come avvenuto fino al recente 2013. Per 7 anni è stato mantenuto tale livello senza che fossero evidenziate criticità significative di alcun tipo né idrauliche né di uso del territorio, come invece paventato, superficialmente, dalla Confederazione Svizzera, anzi nel 2012 anno di forte siccità in tutta Italia questo 0,50 metri in più avevano garantito la riserva d'acqua che aveva consentito di soddisfare tutte le esigenze sia agricole che ambientali –:
   per quale motivo il Governo non abbia assunto iniziative per valutare in ogni suo aspetto e criticità, preventivamente all'approvazione del progetto del sito dell'Expo2015, il rapporto fra costi e benefici che avrebbe comportato l'utilizzo delle acque del Ticino;
   se il Governo fosse consapevole, alla luce delle valutazioni tecniche disposte, che l'utilizzo delle acque del Ticino per il sito Expo avrebbe creato una stretta interdipendenza fra i criteri minimi necessari alla sopravvivenza delle attività interconnesse al fiume Ticino ed alla sua biodiversità e le esigenze di produzione delle centrali idroelettriche delle pre-Alpi italiane e del Canton Ticino;
   se, alla luce di quanto sopra esposto, non si ritenga opportuno assumere iniziative per rivedere il livello di 1 metro e 25 sopra lo zero idrometrico del lago Maggiore, deciso dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in accordo con le regioni Lombardia e Piemonte e autorità di bacino, ed innalzarlo immediatamente a 1,5 metri. (5-06229)

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   c’è una strage paragonabile alla tragedia della Terra dei fuochi, ma molto più silente perché in questo caso non ci sono appelli, mobilitazioni o interventi politici: si tratta della strage silenziosa della ex Isochimica di Pianodardine, provincia di Avellino, la fabbrica che ha bonificato tremila treni delle Ferrovie dello Stato;
   risale a due giorni fa l'ultimo decesso che rende ancora più impressionanti i numeri di questa vicenda: 333 dipendenti, 237 malati, 20 morti, 4 decessi solo nel 2015;
   unica speranza rimane la maxi inchiesta avviata dalla procura di Avellino, che ha rinviato a giudizio 29 imputati tra cui il proprietario dello stabilimento Elio Graziano, il sindaco Paolo Foti, l'ex primo cittadino Giuseppe Galasso e funzionari delle Ferrovie dello Stato;
   il Giudice per le udienze preliminari deciderà a ottobre 2015 ma le accuse sono gravissime: disastro ambientale, omicidio plurimo colposo, lesioni, falso in atto pubblico e omissione di atti di ufficio;
   dalla lettura degli atti di inchiesta emerge che sotto terra, seppelliti nel cortile davanti all'ex fabbrica dove si scrostavano le pareti dei treni, ci sono due milioni e 276 mila chili di amianto di tipo blu, il più pericoloso, perché è sufficiente inalarne una sola fibra per ammalarsi;
   queste fibre letali sono state respirate per anni dagli operai dell'Isochimica che toglievano l'amianto a mani nude, senza tute di protezione né mascherine e con loro le hanno respirate le mogli, che lavavano a casa le tute dei mariti piene di particelle d'amianto;
   uno studio dell'ospedale «Scarlato» di Scafati ha rivelato che il 100 per cento degli operai che si sono sottoposti volontariamente alle analisi è risultato contaminato e a conclusioni analoghe sono giunte le perizie del «Sacro Cuore» e di Antonio Giordano, l'oncologo impegnato proprio nell'emergenza della Terra dei fuochi, spiegando ai magistrati che il «tempo di latenza» della malattia sarebbe scaduto in un periodo compreso tra i 20 e i 25 anni e che, dunque, il numero di morti è destinato inevitabilmente ad aumentare;
   già da anni era stata segnalata la pericolosità del sito, che, tra l'altro, operava a meno di cento metri in linea d'aria dagli insediamenti abitativi e addirittura da un istituto scolastico, una scuola elementare, del rione Ferrovia-Pianodardine;
   ogni tentativo di allarme è caduto nel vuoto e oggi sono i cittadini a pagare il prezzo di tale inaccettabile immobilismo –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità della situazione, quali iniziative di competenza ritengano opportuno adottare al riguardo. (4-10092)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   ALLASIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 15 ottobre 2013 l'amministrazione comunale di Torino ha decretato la chiusura del complesso delle gallerie del museo civico intitolato a Pietro Micca;
   la scelta di disporre la chiusura delle gallerie sembrerebbe dipenda dalle infiltrazioni di acqua che negli anni le avrebbero rese pericolanti;
   secondo quanto si apprende dalla stampa in realtà sembrerebbe che tale scelta sia riconducibile al danneggiamento di importanti reperti verificatosi durante l'apertura del cantiere per la realizzazione del parcheggio di corso Galileo Ferraris, dove sembrerebbe siano stati abbattuti importanti resti della Cittadella sotterranea;
   nel 2008 la Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio del Piemonte evidenziava che i lavori connessi alla realizzazione del parcheggio interrato avrebbero comportato la perdita di strutture residue della Cittadella, corrispondenti alle cortine murarie della «Mezzaluna degli invalidi»;
   la stessa sosteneva che la perdita di importanti testimonianze dell'identità storica torinese avrebbe avuto un impatto emotivo molto forte sulla cittadinanza;
   il comune di Torino sembra sia intenzionato a voler procedere nella realizzazione del parcheggio nell'area archeologica dedicata a Pietro Micca, senza prendere in considerazione le proposte della cittadinanza per la conservazione dei reperti all'interno di un parco archeologico appositamente costruito. I lavori attualmente sono fermi facendo presupporre che ci possano essere gli estremi per la valutazione di una diversa progettazione a tutela delle parti riemerse;
   durante gli scavi, iniziati nel novembre 2014, sono emersi resti delle fortificazioni esterne alla Cittadella, in particolare la muratura di contenimento del Rivellino degli Invalidi ed una galleria di contromina del sistema difensivo della Cittadella;
   alla data dell'11 giugno 2015 risultavano ancora presenti resti di murature di contenimento del Rivellino degli Invalidi, dell'imbocco di una galleria e di un pozzo di aerazione della galleria stessa;
   il polo museale della città di Torino è un'attrattiva turistica riconosciuta in tutto il mondo; è necessario pertanto che siano adottate immediate iniziative di tutela e conservazione dei reperti storici rinvenuti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e quali immediate iniziative di competenza intenda adottare per fare in modo che i cittadini possano fruire del patrimonio di gallerie e di murature del passato che sono la testimonianza nel mondo dell'identità storica della città di Torino. (4-10079)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   BRUGNEROTTO e D'INCÀ. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 luglio 2015 il signor D.D.M., persona fisica, riceveva l'intimazione di pagamento n. 113 2015 9007 5477 04/000 con la quale gli veniva richiesto il pagamento entro cinque giorni della somma di euro 1.889.747,99; l'intimazione di pagamento gli viene notificata in qualità di «SOCIO DELLA SOCIETÀ IL QUADRIFOGLIO S.N.C. DI O.P. e C.» costituita in data 15 giugno 1983 e che prevedeva che l'amministrazione e la rappresentanza della società spettassero solo al signor O.P., che era anche il commercialista della società, con il potere di compiere qualsiasi atto di ordinaria e straordinaria amministrazione;
   il signor D.D.M. è stato socio della suddetta società sino al 19 gennaio 1996, e non è mai stato assolutamente a conoscenza del modus di amministrare del socio poiché non ne aveva l'amministrazione;
   nel 1987 il signor D.D.M. cedeva parte delle sue quote al socio O.P. che concentrava, quindi, nelle sue mani l'80 per cento circa del capitale sociale; in data 30 dicembre 1992 la società «Il Quadrifoglio s.n.c.» diveniva sostanzialmente inattiva per mancanza di struttura, macchinari e dipendenti, in seguito alla cessione di ramo d'azienda operata a favore della società «Il Quadrifoglio s.r.l.»;
   in data 19 gennaio 1996 il signor D.D.M. cedeva la sua quota sociale ed usciva definitivamente dalla società che, comunque, risultava già inattiva dalla cessione di ramo d'azienda; in data 25 ottobre 2005, a quasi dieci anni dal recesso, al signor D.D.M. venivano notificate, per la prima volta, n. 4 cartelle di pagamento che venivano impugnate con ricorso in commissione tributaria provinciale di Treviso;
   il ricorso in Commissione tributaria provinciale si concludeva con una sentenza di rigetto, motivo per cui il signor D.D.M. proponeva ricorso in appello avanti la Commissione regionale tributaria che pronunciava la sentenza di accoglimento del ricorso. In seguito alla vittoria in Commissione tributaria regionale del Veneto, Equitalia provvedeva a cancellare l'ipoteca sul bene immobile del signor D.D.M.;
   l'intimazione di pagamento appena notificata indica i seguenti tipi di atti per i quali risulta assolutamente impossibile comprendere a cosa si riferiscano. È impossibile infatti capire a quali imposte si riferiscono e per quali anni, poiché indicano solo il numero delle cartelle; se non si possiede la cartella (e spesso accade perché le cartelle non sono state correttamente notificate) non si capisce il motivo della richiesta:
    1) cartella 113 2002 002400 1162 501 notificata in data 9 agosto 2002 di euro 537.392,22;
   2) cartella 113 2002 002597 8123 501 notificata in data 25 ottobre 2005 di euro 996,23;
   3) cartella 113 2004 00016 30277 501 notificata in data 28 febbraio 2004 di euro 1.351.359,54.
   risulta immediatamente che per la cartella indicata con il numero 2 di euro 996,23 è già intervenuta la sentenza della Commissione tributaria regionale Veneto (vi è corrispondenza di numero); oltre a questo, le altre due cartelle indicate risultano essere notificate rispettivamente 13 e 11 anni or sono; risulterebbe per le altre due cartelle indicate l'annullamento delle stesse in data 27 ottobre 2005, senza dimenticare che per le cartelle indicate non è dato comprendere a quali tributi si riferiscano;
   in data 26 giugno 2006 il signor D.D.M. subiva il fermo amministrativo del veicolo; mentre in data 30 gennaio 2007 subiva l'ipoteca legale sull'abitazione ereditata dal padre poi cancellata in seguito alla sentenza della commissione tributaria regionale; solo in quegli anni, il signor D.D.M. veniva informato del processo penale a carico dell'altro socio; infatti, recatosi all'agenzia delle entrate di Vittorio Veneto, comprendeva che la situazione era molto seria e complessa, pertanto, decideva di chiedere dei chiarimenti direttamente all'ex socio che lo informava dell'avvenuta sentenza;
   in seguito a questa notizia essenziale D.D.M. decideva di presentare, in data 15 marzo 2007, formale istanza in autotutela all'Agenzia delle entrate; il signor D.D.M. era venuto in possesso della sentenza penale contro il socio, dalla quale si evidenziavano i capi di imputazione; si poteva leggere che il signor O.P. quale legale rappresentante e responsabile della ditta «il Quadrifoglio s.n.c. di O.P. & C.» emetteva fatture per operazioni inesistenti e con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, quale socio della ditta «il Quadrifoglio s.r.l.» nonché contabile ed autore materiale, emetteva nei confronti di alcune ditte, tra cui la il quadrifoglio s.n.c. fatture per operazioni inesistenti;
   il signor D.D.M. non era e non è mai stato l'amministratore della società come è evidenziato anche dalla visura camerale e come è stato dimostrato nel processo penale; le cartelle sono state notificate alla società «Il Quadrifoglio s.n.c.» e, quindi, il signor D.D.M., che già dalla fine del 1992 non poteva più frequentare la società anche a causa del cambio di serrature, non poteva certo essere a conoscenza di quanto il fisco chiedeva alla società;
   a dimostrazione del recesso del socio, nonché della sua completa estraneità al caso de quo, la sentenza penale di condanna dell'amministratore della società è di estrema utilità ed evidenza; dalla stessa è ravvisabile l'assenza della qualifica di socio da parte del signor D.D.M. (a partire dal 19 gennaio 1996) ed il conferimento solo ed esclusivamente in capo al signor O.P. del potere di amministrare e del potere di gestire anche contabilmente la società di cui era il rappresentate legale (si veda pagina 3 della citata sentenza);
   quest'ultimo, infatti, è riuscito a rendere completamente inattivo il Quadrifoglio s.n.c., utilizzandolo per «favorire (...) l'evasione delle imposte dei destinatari delle fatture» di cui era anche contabile emettendo fatture per operazioni inesistenti che poi hanno portato agli avvisi di accertamento nei confronti della società e per essa nei confronti del socio recesso (quest'ultimo completamente all'oscuro di tali attività criminose). Infatti «è stato provato che la società il Quadrifoglio s.n.c., a partire dal 31 dicembre 1992 non aveva più dipendenti» (cfr. doc. 4 pagina 22);
   pertanto, le fatture emesse dalla società non possono che essere emesse per operazioni inesistenti. Le considerazioni sopra svolte, ad avviso degli interroganti, non lasciano dubbio sulla illegittimità della notifica dell'intimazione di pagamento al signor D.D.M.;
   in data 15 luglio 2015 l'avvocato di Federcontribuenti, Alessandra Cadalt ha inviato a Equitalia e all'agenzia delle entrate una relazione dettagliata dei fatti e la richiesta urgente di sospensione della intimazione di pagamento;
   successivamente l'Agenzia delle entrate – direzione provinciale di Treviso – ha risposto per iscritto inviando una lettera al signor D.D.M., presso lo studio legale dell'avvocato Cadalt, e ad Equitalia nord spa, comunicando che «lo scrivente ufficio non può accogliere la richiesta urgente di sospensione e/o sgravio relativa all'intimazione (...) trattandosi di atti rientranti nell'esclusiva competenza dell'agente di riscossione. Il cessato ufficio delle entrate di Vittorio Veneto ha iscritto a ruolo imposte sanzioni ed interessi ad avvisi di accertamento resisi definitivi per mancata impugnazione solo nei confronti della società «il Quadrifoglio snc di O.P. & C.» ed indicando come destinatario della notifica il signor O.P. Ugualmente in ordine alla cartella da liquidazione ex articolo 36-bis. Da interrogazione degli identificativi cartella, risulta che all'atto della formazione della cartella, l'agente della riscossione ha inserito come coobbligato tra gli altri anche il signor D.D.M. provvedendo quindi alla notifica allo stesso di atti successivi riferiti le procedure di riscossione. Pertanto come anzidetto rientra nell'esclusiva competenza dell'agente della riscossione l'adozione di procedimenti di sospensione o di annullamento del coobbligato (501) in cartella»;
   sono molti i casi che dimostrano come Equitalia non tenga conto delle cartelle annullate dalle commissioni tributarie, delle cartelle prescritte o delle sentenze penali discordanti; nonostante la documentazione e la sentenza penale che ha condannato il solo socio di maggioranza, 8 anni fa Equitalia ha tentato di ipotecare l'abitazione del contribuente e di iscrivere un fermo amministrativo sul suo veicolo: ci si chiede se l'agenzia di riscossione fosse a conoscenza delle circostanze che lo avrebbero liberato da ogni responsabilità; non è la prima volta che Equitalia procede alla riscossione forzata anche in presenza di sentenze che annullano le cartelle; da varie testimonianze risulta inoltre che molte notifiche non vengano mai ricevute dai cittadini in quanto l'Agenzia delle entrate ed Equitalia continuerebbero ad utilizzare indirizzi errati e le cartelle non verrebbero notificate correttamente;
   appare agli interroganti che Equitalia in alcuni casi adotti comportamenti discutibili –:
   se non ritenga di intervenire urgentemente affinché l'agente per la riscossione di Equitalia nord s.p.a. sospenda immediatamente l'intimazione di pagamento per i motivi sopra esposti;
   se non ritenga di intervenire urgentemente affinché l'Agenzia delle entrate di Conegliano e Treviso annulli immediatamente la cartella 113 2002 002400 1162 501 notificata in data 9 agosto 2002 di euro 537.392,22; la cartella 113 2002 002597 8123 501 notificata in data 25 ottobre 2005 di euro 996,23; la cartella 113 2004 00016 30277 501 notificata in data 28 febbraio 2004 di euro 1.351.359,54, per i motivi sopra esposti;
   quali iniziative urgenti intenda avviare a tutela dei cittadini, affinché non si ripetano ancora casi simili. (4-10089)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRIPPA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 7 agosto 2012, n. 137, si vanno a dare disposizioni sul procedimento disciplinare delle professioni regolamentate;
   al comma 1 si legge che «Presso i consigli dell'ordine o collegio territoriali sono istituiti consigli di disciplina territoriali cui sono affidati i compiti di istruzione e decisione delle questioni disciplinari riguardanti gli iscritti all'albo»;
   all'interno del bollettino ufficiale del Ministero della giustizia n. 23 del 15 dicembre 2012 è pubblicato il regolamento per la designazione dei componenti dei consigli di disciplina dell'Ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori;
   in data 20 dicembre 2012 viene inviata dal consiglio nazionale degli architetti ai consigli provinciali la circolare n. 152 con oggetto «Regolamento recante riforma degli ordinamenti professionali» in cui si fa riferimento al fatto che «[...] tale Regolamento produrrà efficacia a partire dall'insediamento dei Consigli di disciplina che avverrà con le nuove procedure dopo l'insediamento dei nuovi Consigli provinciali.»;
   in data 17 settembre 2013 si è insediato il nuovo consiglio dell'Ordine degli architetti della provincia di Novara;
   nonostante il decreto del Presidente della Repubblica 137 del 2012, il regolamento pubblicato sul bollettino del Ministero della giustizia 23/2012 e la circolare del Consiglio nazionale 152/2012 non risultano all'interrogante notizie riguardo all'insediamento presso l'ordine locale sopracitato del consiglio di disciplina, mantenendo esso le sue funzioni come proprie del nuovo consiglio eletto;
   ad oggi sul sito del consiglio provinciale degli architetti di Novara non risulta all'interrogante la pubblicazione dell'elenco dei componenti di alcun consiglio di disciplina;
   il Ministero della giustizia svolge la funzione di vigilanza su alcuni ordini professionali, tra cui quello degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopracitati;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative affinché il consiglio provinciale degli architetti di Novara rispetti la normativa riguardo all'insediamento del consiglio di disciplina attivandosi con qualunque strumento in proprio potere, senza escludere la possibilità dello scioglimento del consiglio insediatosi nel settembre 2013 commissariando di conseguenza le sue funzioni in attesa di una regolamentazione degli organi previsti dalla normativa;
   al fine di evitare situazioni similari a quella descritta in premessa, se sia stata messa in opera un'azione di monitoraggio del rispetto della normativa sopracitata da parte del Ministero della giustizia insieme al consiglio nazionale degli architetti, e, in caso di risposta affermativa, se siano stati messi in atto controlli che possano verificare il rispetto dell'obbligo di insediamento dei consigli di disciplina presso le sezioni locali degli ordini;
   in caso di risposta affermativa quali siano i risultati ottenuti dall'opera di monitoraggio sopracitata. (5-06227)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COCCIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi giorni abbiamo assistito all'interno del carcere Regina Coeli di Roma a casi di suicidio di due detenuti;
   tali episodi vanno inseriti in un contesto assai complesso per la vita dei detenuti nelle nostre carceri: il numero degli agenti penitenziari sotto organico, la presenza insufficiente di psicologi per l'assistenza dei detenuti, il perdurare dell’«emergenza caldo» che ha fatto aumentare in modo significativo le segnalazioni di sofferenza e preoccupazione da parte dei detenuti, dei loro familiari e dei legali;
   le cifre e le carenze del sistema carcerario italiano emergono dal nono rapporto nazionale sulle condizioni di detenzione «Senza Dignità» stilato dall'associazione Antigone: l'Italia è il Paese con le carceri più sovraffollate dell'Unione europea. Ci sono 140 detenuti ogni cento posti, mentre il tasso d'affollamento medio in Europa è del 99,6 per cento. In totale i detenuti negli istituti italiani sono 66.685. Ben 1.894 in più rispetto al gennaio 2010, quando fu decretato lo stato d'emergenza per il sovraffollamento carcerario;
   nei primi mesi del 2014 sono tornati ad aumentare i casi di suicidio nelle nostre carceri: il 40 per cento dei decessi avvenuti nelle celle è rappresentato da suicidi. Un dato che torna a crescere dopo una leggera flessione registrata nel 2013, quando i detenuti che si suicidarono furono il 30 per cento dei detenuti complessivamente deceduti;
   la Società italiana di psichiatria riporta un altro dato emblematico per capire la grave condizione vissuta negli istituti di pena: sono circa diecimila, infatti, le persone che soffrono di una patologia psichiatrica, su un totale di sessantaquattromila detenuti (circa il 16 per cento);
   appare evidente la necessità di adottare misure tempestive in grado di fronteggiare le numerose criticità che investono le strutture penitenziarie italiane nelle quali molti detenuti vivono in una condizione di gravissimo disagio –:
   quali iniziative urgenti si intendano intraprendere al fine di introdurre misure volte a facilitare le condizioni di vita dei detenuti e come intenda estendere tali interventi a tutte le strutture penitenziarie del Paese. (4-10084)


   DANIELE FARINA, FRANCO BORDO e SANNICANDRO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il carcere minorile Beccaria volge in una drammatica situazione, come riportato da notizie stampa, nonché da visite nell'istituto di pena;
   da ultimo, in tale struttura – che ospita una cinquantina di detenuti, molti dei quali con problemi psichici – una settimana fa, si è verificato il tentato suicidio di un 17enne con problemi di tossicodipendenza;
   il tragico evento è stato sventato per l'intervento degli agenti della polizia penitenziaria e in una situazione nella quale al turno notturno sono solo tre gli agenti a disposizione per tutti i piani dell'edificio; sezioni che si raggiungono esclusivamente con le scale, visto che non ci sono ascensori interni;
   qualche giorno fa, inoltre, un altro detenuto ha dato fuoco alla sua cella;
   nel tempo, nella struttura, hanno avuto luogo tentativi di suicidio, aggressioni ad agenti di polizia penitenziaria e tra detenuti, nonché rivolte;
   quella del carcere minorile Beccaria di via Calchi Taeggi è un'agonia, lenta e inesorabile, fatta di carenze di personale, lavori di ristrutturazione non ancora completati e la presenza – sempre più alta tra i giovani reclusi – di ragazzi con problemi psichici; malattie non così gravi da rendere incompatibile, la detenzione, ma di fronte alle quali la struttura non è sufficientemente organizzata;
   tra i problemi, vi è la carenza cronica di personale e la deficitaria organizzazione del lavoro; peraltro, attualmente il Beccaria è in ristrutturazione e la compressione degli spazi sta rendendo la situazione ancora più difficile;
   quanto al personale di sorveglianza, grande parte – in ogni caso insufficiente – è impiegato in compiti diversi dalla vigilanza, magari negli uffici amministrativi, oppure è distaccato in altre zone d'Italia;
   va sottolineato, non in ultimo, che circa un anno fa il Ministero della giustizia dispose che al Beccaria dovessero essere ospitati ragazzi anche fino ai 25 anni, se i reati fossero stati compiuti nell'età minorile;
   trattasi di carcerazione di giovani, molti dei quali condannati 5 o 8 anni prima, e spesso per la commissione di un unico reato;
   detta carcerazione non può che distruggere equilibri inequivocabilmente raggiunti con molta fatica nel lavoro, nella coppia, e in altro;
   riguardo tali casi, gli operatori dovrebbero predisporre progetti per il reinserimento (nei confronti di soggetti, appunto, spesso già reinseriti), ovvero le esigue energie educative e sociali dovrebbero cimentarsi per cambiare ciò che la vita concreta del giovane – adulto aveva già provveduto a costruire;
   ciò avrebbe senso se tali ragazzi fossero reduci da reati recenti; ma se è da anni che hanno cambiato vita, spezzarne l'equilibrio trovato a fatica, non può che apparire un controsenso;
   quanto sarebbe auspicabile è la modifica della normativa che prevede sempre la carcerazione per i reati ostativi; per i minori, tale obbligo preventivo dovrebbe essere rimosso, o almeno attribuito alla scelta del giudice di sorveglianza, con ciò spezzando l'automatismo che impone la detenzione prima di poter considerare una pena alternativa;
   è evidente infatti che al tempo nel quale il giudice ha emesso la sentenza e ha dovuto notificare la pena, i minori hanno magari cambiato domicilio, o non ne avevano uno regolare; ma quando un ragazzo di 20 o 25 anni, identificato per caso, viene prelevato dal lavoro per entrare in carcere, raramente lo troverà quando uscirà –:
   quali iniziative urgenti intenda intraprendere al fine di alleviare la situazione di invivibilità che caratterizza il carcere minorile Beccaria;
   se non ritenga di assumere al più presto iniziative a livello normativo, per modificare la disciplina concernente la modalità di esecuzione della pena per i reati ostativi. (4-10086)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PAOLA BOLDRINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nulla osta alla trasformazione in autostrada della superstrada Ferrara-Mare come previsto dalla gara assegnata, nel 2011, alla cordata guidata da Autobrennero;
   l'ultimo ostacolo giudiziario è stato rimosso, dopo ben sei anni in cui si sono avuti ben ventidue pronunciamenti di natura giudiziaria e amministrativa, sembrerebbe potersi definire concluso il calvario che accompagna il percorso di trasformazione in, autostrada della superstrada Ferrara-Mare;
   l'ultimo atto è stato il pronunciamento del Consiglio di Stato che, ribaltando quanto stabilito dal Tar di Bologna, ha riconosciuto le ragioni di Autobrennero contro il gruppo Toto Costruzioni in merito al project financing, di cui ora è titolare il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per la progettazione, riqualificazione funzionale della citata arteria da trasformare appunto in autostrada;
   ora, si può procedere per il progetto definitivo, che deve ottenere tutti i pareri e quindi far partire i lavori;
   questo tratto di strada, di circa 70 chilometri, in estate soprattutto, è molto trafficato per via del consistente flusso turistico;
   inoltre, tale infrastruttura, viene utilizzata dai mezzi pesanti per raggiungere zone artigianali e/o industriali ubicate lungo il percorso con la necessità di continui interventi di manutenzione nonché evidenziando anche problemi in termini di sicurezza;
   superati gli ostacoli di natura burocratica e giudiziaria è molto importante che si proceda a questo investimento per un alleggerimento del traffico a beneficio del settore turistico della costa nonché per l'intero tessuto economico comprensoriale che ha bisogno di muovere le merci da Ferrara al mare e alla romea, fino ad arrivare al porto di Ravenna finendo per innestarsi con il tratto già esistente della Cispadana e del casello Ferrara Sud –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato al fine di consentire finalmente la realizzazione di questa opera di ammodernamento e di trasformazione in autostrada di un'arteria, fortemente attesa dalle comunità di riferimento, già inserita tra le priorità infrastrutturali della regione Emilia Romagna, e strategica, in chiave economica e di sviluppo per tutto il comprensorio.
(5-06232)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CANCELLERI e SIMONE VALENTE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la circolare del 15 luglio 2015 emessa dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti firmata dal D.G. Enrico Pujia chiarisce che il decreto n. 79 del 2 marzo 2012 si applica solo al naviglio mercantile e che il diporto ne rimane totalmente escluso a prescindere dalle dimensioni delle unità. La circolare estende infatti l'esclusione anche alle navi classificate come passenger ship, ma che di fatto svolgono attività di diporto, sia privata, sia commerciale;
   il decreto n. 79 del 2 marzo 2012, il cosiddetto «decreto Clini-Passera» recante «Disposizioni generali per limitare o vietare il transito delle navi mercantili per la protezione di aree sensibili nel mare territoriale». In particolare l'articolo 1, comma 1, del decreto dispone che nella fascia di mare che si estende per due miglia marine dai perimetri esterni dei parchi e delle aree protette nazionali marini e costieri, istituiti con la legge 31 dicembre 1982, n. 979 e con la legge 6 dicembre 1991, n. 394, e all'interno dei medesimi perimetri, sono vietati la navigazione, l'ancoraggio e la sosta delle navi mercantili adibite al trasporto di merci e passeggeri superiori alle 500 tonnellate di stazza lorda. In relazione alla tipologia dei traffici che ordinariamente interessano le fasce di mare individuate dal presente comma o alle caratteristiche morfologiche del territorio, l'autorità marittima competente può disporre, per la fascia esterna ai predetti perimetri, limiti di distanza differenti allo scopo di garantire la sicurezza anche ambientale della navigazione e per l'accesso e l'uscita dai porti;
   alla luce delle suindicate statuizioni contenute nel decreto interministeriale 2 marzo 2012, n. 79, con le quali viene conferita alle autorità marittime la facoltà di imporre limiti di distanza differenti, in data 7 luglio 2015 è stata emanata dall'ufficio circondariale marittimo di Santa Margherita Ligure l'ordinanza n. 138 del 2015 che, modificando la precedente ordinanza n. 56 del 2012, ha stabilito che le navi da crociera possono dare fonda anziché a 0,7 miglia dal perimetro esterno dell'Area marina protetta a 0,3 miglia di tale perimetro in un'area parallela alla costa e compresa tra la Cervara e Portofino;
   il «decreto Clini—Passera» è stato emanato in virtù dell'articolo 83 del codice della navigazione, come modificato dall'articolo 5 della legge 7 marzo 2001, n. 51, con cui è prevista la possibilità per il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di limitare o vietate il transito e la sosta di navi mercantili nel mare territoriale, per motivi di ordine pubblico, di sicurezza della navigazione e, di concerto con il Ministro dell'ambiente della tutela del territorio e del mare, per motivi di protezione dell'ambiente marino, determinando le zone alle quali il divieto si estende;
   va preso atto dei recenti incidenti della navigazione occorsi in prossimità di aree di grande valore ecosistemico ed ambientale e dalla significativa rilevanza socioeconomica delle risorse ivi esistenti e, in quanto tali, soggette a particolari regimi di tutela;
   le coste della penisola italiana ed i mari che la circondano sono particolarmente vulnerabili ai rischi del trasporto marittimo e della navigazione, anche tenuto conto del lentissimo ricambio che caratterizza le acque del bacino del Mediterraneo;
   va considerato il rischio di grave inquinamento dell'ambiente marino collegato al trasporto marittimo che può derivare dalle sostanze pericolose e nocive trasportate dalle navi come carico o come propellente per i fini della stessa navigazione;
   tutte le aree costiere italiane, come ad esempio l'area del circondario marittimo di Santa Margherita Ligure sopracitata, sono meritevoli di giusta preservazione, che sappia contemperare la salvaguardia dei benefici e degli interessi derivanti dal turismo nautico con la tutela delle aree marine e costiere particolarmente vulnerabili perché interessate da notevoli volumi di traffico –:
   quali iniziative intendano assumere al fine di fronteggiare le criticità emerse nell'applicazione del cosiddetto «decreto Crini-Passera» sopra evidenziate;
   se in particolare per l'area del Circondario marittimo di Santa Margherita Ligure siano state svolte le opportune valutazioni di rischio al fine di contemperare le esigenze del mantenimento del mercato crocieristico con la tutela dei passeggeri e dell'ecosistema dell'area.
(4-10078)


   PALAZZOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 117 della Costituzione stabilisce che gli aeroporti rientrino tra le materie di competenza concorrente Stato-regioni, per cui spetta allo Stato la disciplina dei principi fondamentali in materia ed alle regioni l'emanazione delle norme di attuazione e regolamentari;
   la procedura di individuazione degli aeroporti di interesse nazionale e di interesse strategico contenuta nel piano nazionale degli aeroporti assegna all'aeroporto «Vincenzo Florio» di Trapani-Birgi il ruolo di scalo di interesse nazionale;
   l'aeroporto «Vincenzo Florio» di Trapani-Birgi nel periodo 2014 ha registrato il transito di oltre 1,5 milioni di passeggeri;
   stando allo studio della società KPMG il valore per l'economia generato dal traffico dell'aeroporto «Vincenzo Florio» nel periodo 2010-14 si attesta a circa 900 milioni di euro per la parte occidentale della regione Sicilia;
   la presenza e l'attività dello scalo trapanese, per concorde opinione di tutti gli attori economici dell'area di Trapani, ha rappresentato una fondamentale chiave per lo sviluppo, il turismo e l'occupazione;
   lo scalo è gestito dalla società Airgest, società di capitali partecipata per il 60 per cento da enti pubblici (regione siciliana e camera commercio di Trapani);
   in particolare la regione siciliana è, a quanto consultabile sul sito istituzionale della società Airgest, socio di maggioranza della Airgest stessa possedendo il 59,7 per cento del pacchetto azionario anche a seguito di acquisizione delle quote acquistate dall'ex provincia di Trapani nel novembre 2013;
   nel 2013/2014, anche a seguito dell'apertura dell'Aeroporto «Pio La Torre di Comiso» per incentivare la presenza del vettore Ryanair nello scalo trapanese si è proceduto ad accordo di comarketing tra camera di commercio di Trapani e la società «Airport Marketing Service Limited» che gestisce l'attività di marketing per la compagnia Ryanair;
   in base a tale accordo i comuni della ex provincia di Trapani e la camera di commercio di Trapani si impegnavano a versare, in quota proporzionale al numero della popolazione, una cifra complessiva di euro 2 milioni e 225.000 euro annualmente per il periodo di tre anni alla «Airport Marketing Service Limited» da versare in quattro rate annuali;
   al momento quasi la totalità dei comuni non risulta aver pagato la quota spettante; da fonti di stampa si apprende che al 23 luglio 2015 risultavano versate solo quote pari a euro 263.000 circa;
   in data 30 luglio 2015 l'assemblea dei sindaci dei comuni dell'ex provincia di Trapani ha confermato il proprio impegno economico a supporto dell'accordo di co-management. Nella stessa sede numerosi amministratori hanno, comunque, richiamato l'attenzione sull'assenza della regione siciliana in questa complicata fase e stigmatizzato il comportamento e il disinteresse della stessa regione siciliana;
   appare evidente come, anche qualora agli impegni confermati seguissero i versamenti delle quote relative alla prima metà del 2015, mancherebbe del tutto un progetto di sviluppo strategico per lo scalo «Vincenzo Florio» di Trapani-Birgi, come per altro dimostrato dal reiterarsi dei ritardi nei versamenti da parte degli enti locali;
   a complicare la situazione si è aggiunta la cessazione dalla carica del consiglio di amministrazione di Airgest venuto meno, come da mandato, dopo l'approvazione del terzo bilancio;
   per quanto risulta all'interrogante, ad oggi, non risultano iniziative intraprese dal socio di maggioranza dell'Airgest, la regione siciliana, per giungere alla nomina di un nuovo consiglio di amministrazione;
   per altro questa vacatio cade in un momento di forti tensioni, non solo per il mancato trasferimento delle somme da parte degli enti locali, ma anche per le modalità di redistribuzione della somma di euro 5 milioni riconosciuta dall'ENAC come, primo e parziale, ristorno per i danni economici causati dalla chiusura dello scalo trapanese nella seconda metà del 2011 a seguito delle operazioni militari in Libia;
   tale somma, a cui seguirà un secondo versamento per giungere alla cifra finale di euro 10 milioni, è stata versata all'ex provincia di Trapani ed è stata, dall'attuale commissario straordinario dell'ente, destinata per il 70 per cento ad Airgest e per il restante 30 per cento ai comuni creando, in tal modo, nuovo fronte di attrito tra enti locali e soci Airgest;
   gli allarmi sulla situazione di Birgi e i rischi di ridimensionamento dell'attività dello scalo, a seguito del mancato versamento delle quote relative all'accordo di co-marketing, sono stati lanciati già a fine 2014 da operatori economici del trapanese senza che la regione siciliana si adoperasse per una positiva risoluzione della vicenda;
   detto disinteresse della regione è stato più volte lamentato tanto dagli operatori economici quanto dai sindaci dei commi dell'ex provincia di Trapani. In particolare appare incomprensibile un mancato intervento del governo regionale nei confronti di Ryanair per costruire un'offerta strategica che interessasse l'intero sistema aeroportuale dell'isola;
   la volontà della regione Siciliana più volte annunciata a mezzo stampa di collocazione sul mercato di quote societarie dell'Airgest senza, per altro, mai procedere in tal senso ha presumibilmente aggravato la situazione di incertezza circa il futuro dello scalo di Trapani-Birgi –:
   se il Ministro interrogato sia conoscenza dei fatti descritti in premessa e, in tal caso, quali elementi intenda fornire al riguardo e quali iniziative di competenza intenda assumere per favorire la piena operatività dello scalo di Trapani-Birgi;
   se il Ministro interrogato non ritenga, anche alla luce del citato piano nazionale degli aeroporti, che possibile ridimensionamento dell'operatività di Trapani-Birgi causerebbe un grave nocumento per la tenuta dell'intera struttura aeroportuale nazionale;
   come si concili quella che appare con tutta evidenza, ad avviso dell'interrogante, una totale assenza di programmazione di natura strategica nella gestione degli scali aeroportuali siciliani con i principi contenuti nel piano nazionale degli aeroporti. (4-10083)


   FORMISANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'ANAS spa, di proprietà interamente statale, avente per unico socio il Ministero dell'economia e delle finanze, gestisce, come noto, la rete stradale ed autostradale italiana; i compiti di vigilanza tecnica e operativa sono attribuiti al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   la gestione degli ultimi dieci anni circa ha evidenziato delle criticità imbarazzanti, sia dal punto di vista dei costi di gestione sostenuti, che dei numerosi crolli di strade e ponti susseguitisi lungo tutto il tratto autostradale italiano;
   per quanto riguarda le spese ed i costi di gestione, a titolo di esempio, si rileva quanto segue:
    a) l'avanzo d'amministrazione dell'azienda, è passato, da un miliardo e 300 milioni di euro, circa del 2006, ad appena dieci milioni, la differenza, però, non risulta spesa in opere pubbliche, ma per contenziosi su lavori in corso, varianti suppletive, interventi di progetto inizialmente non conteggiati, vale a dire per costi lievitati rispetto alle previsioni della dirigenza;
    b) la spesa per la costruzione della nuova corsia della Strada statale Jonica, oggetto di un procedimento innanzi alla Corte dei conti conclusosi nei giorni scorsi, è invece passata da 126 a 339 milioni di euro;
   valutando i crolli di strade e ponti, registratisi negli ultimi anni, si evidenzia, a titolo non esaustivo, che:
   il 29 aprile 2009 è sprofondata un'arcata del ponte sul Po tra San Rocco al Porto e Piacenza, in quella occasione quattro automobilisti rimasero feriti, uno in maniera grave, su quel tratto di ponte crollato, l'Anas ha riferito di essere intervenuta un anno prima con lavori di consolidamento;
    sempre nel 2009 sono avvenuti altri due crolli sulla Teramo-Mare;
    il 2 marzo 2011 le impalcature del ponte sulla statale 407 Basentana a Calciano (MT) si sono abbassate all'improvviso di 2 metri;
    nello stesso periodo sempre in Basilicata è stato chiuso il ponte di Baragiano;
    otto giorni dopo, in Puglia, è crollato una parte del ponte tra Vieste e Peschici sulla statale 89;
    l'11 maggio di due anni fa, stessa sorte per un ponte Anas in Abruzzo sulla linea ferroviaria tra Terni e Rieti all'altezza di Scoppito;
    una decina d'anni fa sulla statale 42 in provincia di Brescia si è spezzato il viadotto Capodiponte, il sinistro causò la morte di un camionista;
    il 28 maggio 2009 è collassato un tratto del ponte Geremia II (CL);
    una porzione dei viadotto Verdura è crollato (squarciatosi di fatto a metà) il 2 febbraio 2013, lungo la strada statale 115 che collega Agrigento con Sciacca;
    il 7 luglio dello stesso anno, in contrada Petrulla, in territorio di Licata (Agrigento), sulla statale 626 che collega Campobello di Licata, Ravanusa e Canicattì, le carreggiate di un ponte si sono piegate verso il basso a causa di un cedimento strutturale, toccando il fondo da un'altezza di quattro metri;
    nel luglio 2014 è stato chiuso al traffico per problemi di stabilità il viadotto Carabollace, nei pressi di Sciacca;
    l'ultimo episodio di instabilità strutturale, attualmente sottoposto a verifica tecnica, è da registrare per il viadotto Akragas, meglio conosciuto come Ponte Morandi, il serpentone costruito su un sito archeologico;
    i primi di marzo 2015 è stata la volta del crollo del viadotto «Italia», sulla Salerno Reggio Calabria, che ha provocato una vittima, un giovane operaio;
    ancora, il 10 aprile 2015 un pilone dell'autostrada A19 Palermo-Catania ha ceduto tra gli svincoli di Scillato e Tremonzelli, in direzione del capoluogo etneo;
    non va sottaciuto, infine, il caso del viadotto Scorciavacche sulla strada statale Palermo-Agrigento, inaugurato alla vigilia di Natale 2014, e crollato a capodanno dopo appena una settimana –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanti sono, nel complesso, i ponti e le strade, di competenza dell'azienda pubblica, crollati nell'ultimo decennio e se abbiano provveduto a valutare quali sono e Saranno, in termini precisi, le spese che l'Anas Spa dovrà sostenere per porre rimedio ai crolli innanzi indicati, nonché agli altri eventi verificatisi, e per ripristinare i tratti interessati;
   se sia nelle possibilità dei Ministri interrogati riferire nello specifico:
    a) a quanto ammontava la spesa originaria dei lavori per la realizzazione delle infrastrutture poi crollate;
    b) se la spesa preventivata è coincisa con quella effettivamente sostenuta o da sostenere, ovvero ha subito degli aumenti in corso d'opera;
    c) a quanto ammontano le spese eventualmente sostenute e/o da sostenere oltre quelle originariamente preventivate e concordate e dunque in quali cifre è collocabile lo spreco di danaro pubblico;
    d) quali sono le procedure che i dicasteri intendono adottare per accertare la rispondenza dell'operato dei dirigenti dell'ANAS ai principi di buon andamento della pubblica amministrazione, ed ai criteri di efficacia, efficienza ed economicità;
    e) se, all'esito di tale verifica, seguiranno eventuali iniziative che avranno ripercussioni sui dirigenti di tale azienda pubblica e sui criteri di scelta degli stessi, per il futuro;
    f) se verranno adottate iniziative per ridurre le spese, eliminando figure e strutture superflue;
   se i Ministri interrogati, ritengano opportuno inoltrare segnalazioni alla magistratura contabile in merito ai casi clamorosi sopra indicati, ed a quelli che dovessero presentarsi in futuro, affinché venga accertata l'eventuale sussistenza di danni erariali sussumibili a tali condotte.
   (4-10091)

INTERNO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi, il presidente dell'Aics di Bologna, Serafino D'Onofrio, e molti suoi colleghi, hanno ricevuto decine di telefonate da uomini che chiamano da un numero «sconosciuto», i quali, affermando di appartenere ad un sindacato di polizia, chiedono, anche al fine di evitare «controlli e ispezioni», un contributo per l'abbonamento alla loro rivista di 140 euro e per ricevere adesivi e altro materiale dell'associazione;
   a una delle persone chiamate che cercava di capire di quale sindacato si stesse parlando, è stato fatto il nome del Coisp: una sigla sindacale che effettivamente esiste e che di recente è salita agli onori della cronaca per aver querelato la mamma di Federico Aldrovandi;
   Stefano Del Monaco, presidente dell'associazione Fuoridea, nell'intento di smascherare la truffa, è andato oltre, lasciando l'indirizzo per ricevere il pacco di riviste; ma, di fronte al pagamento in contrassegno di 168 euro, non l'ha ritirato e neanche aperto, rinviandolo al mittente chiuso;
   il Coisp però, nel frattempo, su carta intestata e da un indirizzo mail certificato, gli presenta la pubblicazione del sindacato e lo ringrazia per la «fiducia accordata»;
   si legge nella mail che «l'abbonamento annuale al bimestrale Ps sicurezza e polizia dà diritto al ricevimento di sei numeri con periodicità bimestrale oltre l'annuario di presentazione, un piccolo omaggio da parte della casa editrice dove abbiamo deciso di raccontare le origini della polizia con i suoi percorsi storici e culturali fino ai giorni nostri»;
   a preoccupare D'Onofrio (che, per tutelare i propri associati, ha deciso di denunciare l'accaduto alle forze dell'ordine, portando la mail del Coisp alla polizia postale) è anche il fatto che un elenco di numeri e nominativi pubblicati online «come elemento di trasparenza» possano venire utilizzati per attività di dubbia legittimità, come sta accadendo;
   a Bologna, ad esempio, l'Aics conta 350 associazioni per un totale di 85.000 tesserati: in molti casi si tratta di associazioni che non hanno un ufficio, per cui i responsabili hanno messo i propri numeri di cellulare direttamente online;
   è sembrato improbabile che quegli imprecisati «venditori» fossero in qualche modo collegati a un sindacato di polizia: lo stesso questore di Bologna, Ignazio Coccia, di fronte alla già richiamata denuncia fatta dal presidente, aveva escluso il coinvolgimento di qualsiasi sigla di rappresentanza degli agenti;
   il fatto strano è che, come si può facilmente vedere dal sito del Coisp, la quota di adesione per l'abbonamento «ordinario» alla rivista bimestrale di informazione, cultura e attualità sindacato (Ps Sicurezza e polizia) è proprio di 140 euro (160 per l'abbonamento «sostenitore» e 180 per il «benemerito»);
   in rete, tra l'altro, si trovano notizie relative a una truffa analoga a questa risalente ad alcuni anni fa: evidentemente si tratta di una modalità già utilizzata dai truffatori –:
   se non intenda in tempi rapidi fare chiarezza sulla vicenda, nonché adottare ogni iniziativa di competenza al riguardo.
(2-01052) «Molea».

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 26 luglio 2015 è stata distrutta dalle fiamme l'auto della consigliera comunale di Baronissi, Maria De Caro, eletta alle scorse amministrative 2014 con deleghe alle attività produttive, eventi e fiere;
   secondo l'allarme lanciato dalla stessa donna, l'incendio è scoppiato intorno alle 4.00 e immediato è stato l'intervento sul posto dei vigili del fuoco e dei carabinieri dell'aliquota operativa della compagnia di Mercato San Severino;
   i militari indagano a 360 gradi senza escludere nulla, ma farebbe pensare che già nel mese di marzo si era registrato un episodio simile ai danni dell'assessore Migliore;
   ad avviso dell'interrogante, sono sempre più numerosi i casi di atti violenti generati da un pericoloso inasprimento del confronto politico che non si addice affatto al principio del rispetto della democrazia –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, atteso il ruolo di consigliere comunale della vittima, se risultino le cause e la matrice dell'incendio alla luce dell'attività politica svolta dalla consigliera comunale. (4-10093)


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 23 settembre 2013 con apposita delibera della giunta comunale n. 290 il comune di Chiaramonte Gulfi, in provincia di Ragusa, procedeva ad emanare avviso pubblico per la selezione di soggetti del terzo settore finalizzato alla gestione di servizi di accoglienza, integrazione e tutela per richiedenti asilo;
   al fine di esperire la gara per l'affidamento dei servizi, il comune di Chiaramonte Gulfi, con determina dirigenziale n. 195, del 14 ottobre 2013, costituiva apposita commissione;
   l'esito della gara vedeva il servizio assegnato alla cooperativa sociale onlus Nostra Signora di Gulfi;
   in data 14 gennaio 2014 il consiglio comunale di Chiaramonte Gulfi a seguito di apposita delibera consiliare istituiva una commissione d'indagine inerente alla manifestazione di interesse contenuta nella delibera n. 290;
   il lavoro della commissione di indagine si concludeva con una relazione accurata frutto di numerose audizioni;
   la relazione editata dalla commissione di indagine rilevava diverse anomalie nell’iter dell'avviso pubblico e nell'assegnazione del servizio alla cooperativa Nostra Signora di Gulfi;
   a seguito dell'esito della gara, l'opera pia Istituto Rizza-Rosso inviava in data 21 gennaio 2014, all'autorità nazionale anticorruzione una richiesta di parere segnalando presunte irregolarità nell'affidamento del servizio;
   in particolare si segnalavano la mancanza da parte dell'ente vincitore della dichiarazione, espressamente richiesta nel bando, del requisito relativo alla gestione nell'ultimo biennio di servizi relativi a richiedenti asilo;
   nello stesso esposto indirizzato all'autorità nazionale anticorruzione l'opera pia Rizza-Rosso segnalava anche presunte irregolarità amministrative in carico al comune di Chiaramonte Gulfi, ed in particolare si citava l'esistenza di un protocollo di intesa firmato dal comune di Chiaramonte Gulfi e la cooperativa Nostra Signora di Gulfi in data 4 ottobre 2013, e cioè ben 4 giorni prima della scadenza del termine di presentazione delle domande di partecipazione al bando;
   in tale convenzione l'assessorato allo sport del comune ragusano metteva a disposizione della citata cooperativa Nostra signora di Gulfi le strutture sportive del comune per le attività di integrazione dei richiedenti asilo;
   a seguito d'istruttoria in data 30 settembre 2014 con delibera n. 7 l'autorità nazionale anticorruzione inviava al comune di Chiaramonte Gulfi copia della delibera stessa relativa all'affidamento dei servizi S.P.R.A.R.;
   in tale delibera l'A.N.A.C. prese in esame le osservazioni dell'opera pia Rizza-Rosso e le controdeduzioni del comune di Chiaramonte Gulfi e rilevava l'esistenza di anomalie tanto nella fase prodromica alla gara quanto nella fase di svolgimento della stessa. In particolare venivano rilevate le seguenti criticità:
    a) veniva segnalata la mancata adeguata diffusione e conoscibilità dell'avviso di selezione;
    b) veniva rilevata la mancanza di un prezzo a base di gara nell'avviso. Mancanza che, oltre a essere grave anomalia, scrive nella delibera l'A.N.A.C., costituisce un grave deterrente alla partecipazione all'avviso rimanendo indeterminata la quota di contribuzione a carico del soggetto attuatore;
    c) il criterio di valutazione definito «contesto» e l'assegnazione dei «punti» appare censurabile. In particolare per incongrua commistione tra i parametri «radicamento territoriale» e «conoscenza delle caratteristiche del fenomeno» e per l'eccessivo e sproporzionato valore in termini di punteggio assegnato al parametro «Contesto»;
    d) il protocollo di intesa stipulato in data 4 ottobre 2013 tra assessorato allo sport del comune di Chiaramonte e la coop Nostra Signora di Gulfi, pur non costituendo vantaggio per la citata coop, sembrerebbe chiaramente anticipare l'esito della selezione ben prima della valutazione dei progetti presentati. Valutazione svoltasi in data 16 ottobre 2013;
    e) le attestazioni presentate dalla coop Nostra Signora di Gulfi appaiono di dubbia ammissibilità. In particolare, le convenzioni e le attestazioni presentate dalla citata coop risultano sottoscritte in data posteriore alla pubblicazione del bando da parte del comune di Chiaramonte oppure non recano alcuna data. Violando in tal modo un principio base rappresentato dalla necessità da parte del soggetto concorrente di possedere titoli richiesti in data antecedente al bando stesso;
    f) la mancanza, non sanata, del riferimento da parte della cooperativa Nostra Signora di Gulfi della dichiarazione inerente il requisito «aver gestito, nell'ultimo biennio, servizi afferenti alla presa in carico di soggetti richiedenti/titolari di protezione internazionale...»;
    g) non appare motivata la presenza del dottor Alessandro Licitra come consulente esperto del sindaco anche limitatamente ad una richiesta di consulenza e appoggio da parte della commissione di valutazione, in quanto l'articolo 84, comma 8, del codice dei contratti prevede espressamente il requisito di comprovata e specifica competenza dei componenti della commissione di valutazione;
   dalle deduzioni riportate l'A.N.A.C. rilevava come l'aggiudicazione dei servizi messi a bando da parte della cooperativa Nostra Signora di Gulfi sia avvenuta in maniera difforme dalle norme;
   a seguito della deliberazione dell'A.N.A.C. in data 6 novembre 2014 il comune di Chiaramonte Gulfi richiedeva al dipartimento di libertà civili e immigrazione del Ministero dell'interno di conoscere le determinazioni dello stesso Ministero in merito alla questione;
   a tale richiesta in data 12 novembre 2014 il dipartimento libertà civili e immigrazione del Ministero con nota a firma del vice capo dipartimento dottoressa Scotto Lavinia rispondeva che lo stesso dipartimento stava predisponendo l'invio di chiarimenti relativo al sistema S.P.R.A.R. nel suo complesso e in particolare sui controlli formali e sostanziali dei progetti territoriali;
   nella stessa nota il Ministero autorizzava l'erogazione delle somme del progetto relativo al territorio di Chiaramonte Gulfi alla cooperativa Nostra Signora di Gulfi;
   lo stesso dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione rispondendo a nuovo sollecito di intervento formulato in data 11 novembre 2014 da parte dell'opera pia istituto Rizza-Rosso reiterava la propria non competenza in merito alle segnalazioni formulate dall'Autorità nazionale anti corruzione, ribadendo la non possibilità di intervento in merito alle procedure adottate dagli enti locali per l'affidamento del servizio di accoglienza, tutela ed integrazione dei richiedenti asilo;
   ad oggi non risultano provvedimenti da parte del comune di Chiaramonte Gulfi in merito alle anomalie ed irregolarità segnalate dall'A.N.A.C;
   la relazione redatta dall'A.N.A.C. sulle irregolarità e sulle anomalie avrebbe dovuto per se stessa costituire ad avviso dell'interrogante, motivo valido per avviare una procedura di verifica interna sull'affidamento del servizio SPRAR nel territorio del comune di Chiaramonte Gulfi e per interessare la competente prefettura;
   la mancata certificazione di una comprovata esperienza della cooperativa Nostra Signora di Gulfi nell'ambito dei servizi di accoglienza per richiedenti asilo, costituisce secondo l'interrogante, un grave nocumento all'azione di accoglienza e integrazione per l'utenza del progetto SPRAR attivo nel territorio di Chiaramonte Gulfi –:
   sulla base di quali presupposti il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno abbia dichiarato la propria incompetenza in merito alle segnalazioni formulate dall'Autorità nazionale anticorruzione e quali eventuali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere al riguardo;
   se il Ministro non ravvisi in tali anomalie motivo sufficiente per interrompere i finanziamenti statali erogati alla cooperativa;
   se il Ministro non ritenga opportuno fornire i dovuti dettagli rispetto a quale sia il sistema di verifica e controllo in merito allo svolgimento delle gare per l'affidamento dei servizi rientranti nell'ambito dei progetti SPRAR;
   se il Ministro non intenda chiarire quale sia la procedura che intenda adottare in caso di evidenti e palesi irregolarità nell'aggiudicazione della gare per l'affidamento dei servizi nell'ambito dei progetti SPRAR. (4-10096)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VENITTELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 5, comma 3-bis, del decreto-legge n. 51 del 2015 incrementa la dotazione finanziaria (250.000 euro per l'anno 2015 e 2 milioni di euro per il 2016) del fondo di solidarietà nazionale della pesca e dell'acquacoltura di cui all'articolo 14 del decreto legislativo n. 154 del 2004, così come modificato dal decreto legislativo n. 100 del 2005;
   l'accesso alle risorse di tale fondo di solidarietà – in base al comma 4 dell'articolo 14 del decreto legislativo n. 154 del 2004 – può essere richiesto da una o più regioni o dalle associazioni di categoria; successivamente il Ministro competente dispone una verifica da parte di un istituto scientifico (CNR o ICRAM) e infine, con proprio decreto, dichiara lo stato di calamità o di avversità meteomarine. Solo al termine di questo iter le imprese di pesca o acquacoltura coinvolte in eventi calamitosi e che hanno subito danni economicamente quantificabili possono inviare le istanze per accedere agli interventi del fondo di solidarietà;
   il decreto-legge n. 51 del 2015 prevede che le imprese del settore, che operano in territori colpiti da avversità atmosferiche nel periodo tra il 1o gennaio 2012 e la data di entrata in vigore del decreto medesimo, possano presentare domanda per accedere agli interventi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, che è la legge n. 91 del 2 luglio 2015 e quindi entro i primi giorni del mese di settembre 2015;
   i tempi per completare l’iter previsto dal comma 4 dell'articolo 14 del decreto legislativo n. 154 del 2004 sopra descritto rischiano di erodere buona parte dei 60 giorni a disposizione delle imprese colpite da calamità per inoltrare le domande di accesso agli interventi del fondo di solidarietà, con il risultato di rendere inapplicabile la norma e di lasciare le imprese danneggiate prive della possibilità di ottenere un risarcimento almeno parziale dei danni subiti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga di assumere iniziative volte ad accelerare i tempi di emanazione del decreto per la dichiarazione dello stato di calamità o di avversità meteomarine ovvero a prorogare il termine per la presentazione, da parte delle imprese di pesca o acquacoltura coinvolte in eventi calamitosi, delle domande per accedere agli interventi del fondo di solidarietà di cui all'articolo 14 del decreto legislativo n. 154 del 2004, così come modificato dal decreto legislativo n. 100 del 2005. (5-06228)

Interrogazioni a risposta scritta:


   L'ABBATE, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, GALLINELLA, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la meccanizzazione agricola è uno dei fattori produttivi più importanti per la moderna agricoltura, poiché consente di aumentare in modo considerevole la produttività diminuendo i costi di produzione. La riduzione dei costi di produzione in agricoltura, con particolare riferimento a quelli energetici, costituisce uno dei temi prioritari d'intervento del legislatore nazionale per contribuire ad aumentare i redditi degli agricoltori e ridurre i prezzi dei prodotti agricoli. Per questo motivo, la normativa vigente permette l'approvvigionamento di carburanti agricoli a prezzo agevolato (con accisa statale ridotta), rendendo l'utilizzo dei mezzi agricoli conveniente per le aziende;
   sono definiti carburanti agricoli il gasolio e la benzina esenti dall'imposta di fabbricazione, e soggetti ad aliquota IVA ridotta. Questi carburanti sono denaturati con sostanze rivelatrici per distinguerli da quelli destinati all'autotrazione. La determinazione dei consumi medi dei prodotti petroliferi da ammettere all'impiego agevolato in agricoltura (lavori agricoli, orticoli, in allevamento, nella silvicoltura e piscicoltura e nelle colture in serra) è stata definita dal decreto ministeriale del 26 febbraio 2002 e calcolata (1/ha – come da Allegato 1 al suddetto decreto) tenendo conto dell'evoluzione tecnologica delle macchine agricole, degli impianti di irrigazione, degli impianti di riscaldamento di serre ed allevamenti e dell'affermazione di nuove tecniche ed operazioni colturali e modalità di gestione degli allevamenti;
   la legge di stabilità 2013 (legge 228/2012) al comma 517 dell'articolo 1, ha previsto una riduzione a regime dei consumi medi standardizzati di gasolio agricolo da ammettere all'impiego agevolato del 5 per cento rispetto a quanto previsto dal succitato decreto ministeriale del 2002, con una riduzione del 10 per cento limitatamente all'anno 2013;
   la legge di stabilità 2014 (legge 147/2013) al comma 710 dell'articolo 1 modifica la legge di stabilità 2013 e riduce ulteriormente a regime i consumi da ammettere all'impiego agevolato del 15 per cento. Al comma 292, inoltre, prevede l'incremento (dopo l'emanazione di un decreto ministeriale) per il triennio 2014-2016 dei consumi medi da immettere all'impiego agevolato rispettivamente di 4 milioni di euro per il 2014, 21 milioni di euro per il 2015 e 16 milioni di euro per il 2016. Una norma che andrebbe a compensare parzialmente la riduzione a regime introdotta dal comma 710;
   la legge europea-bis, all'articolo 25, ha ridotto per le medesime cifre relative al 2014-2015-2016 i consumi medi da immettere all'impiego agevolato, al fine di coprire delle disposizioni tributarie e, di fatto, annullando la parziale compensazione introdotta dalla legge di stabilità precedente;
   risulta evidente che una riduzione così netta delle quantità da immettere all'impiego agevolato penalizza il comparto agricolo, già pressato dalla crisi economica, in quanto il costo del gasolio rappresenta uno dei quei costi che maggiormente incidono nella gestione di un'impresa agricola e, di conseguenza, sui costi di produzione dei prodotti e sui successivi prezzi di vendita;
   a seguito della perturbazione che ha portato le temperature oltre i 40 gradi mettendo a dura prova il settore agricolo, con particolare riferimento ai vigneti che con il protrarsi di queste condizioni climatiche rischia di arrivare prematuramente a maturazione, la CIA (Confederazione italiana agricoltori) ha lanciato l'allarme sia per il settore agricolo sia per quello zootecnico, preoccupata per l'insufficienza di acqua ad uso irriguo. Proprio per questo, il Presidente nazionale Dino Scanavino ha chiesto di aumentare la quota di gasolio agevolato in tutte le regioni per irrigare e salvaguardare le produzioni agricole, colpite dal caldo torrido in queste settimane. Mais, soia, pomodoro, orticole, olivo e vite sono in profonda sofferenza per l'assenza prolungata di piogge e per le temperature elevate e stanno richiedendo vere e proprie irrigazioni d'emergenza che fanno consumare alle aziende agricole una quantità ingente di gasolio agricolo per innaffiare: il problema non è solo il costo sostenuto per irrigare, ma è relativo anche alle scorte di gasolio per gli agricoltori che vanno rapidamente esaurendosi –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative affinché vengano previste nuove quote per il gasolio agevolato in agricoltura, vista l'eccezionalità atmosferica dell'ultimo periodo che mette a serio rischio intere colture, andando incontro a quegli agricoltori (già penalizzati dai precedenti provvedimenti riportati in premessa) costretti, per forza di cose, ad irrigazioni straordinarie. (4-10081)


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la laguna di Levante di Orbetello in questi giorni è colpita da una grave crisi anossica che ha provocato la moria di tonnellate di pescato. Il 18 luglio già la regione Toscana stava presidiando l'andamento della situazione critica della laguna, dove il caldo aveva determinato un innalzamento delle temperature delle acque e il conseguente rischio di mancanza di ossigeno. La temperatura dell'acqua è arrivata a sfiorare i 32 gradi centigradi con forte stress per la fauna marina;
   per far fronte al problema si sarebbe attivato il Comitato scientifico per monitorare la situazione, mentre il comune di Orbetello avrebbe attivato le pompe che immettono in laguna acqua dal mare ed avrebbe inserito venti ossigenatori per scongiurare conseguenze alla fauna ittica e alle attività turistico/produttive ad essa collegate. Sempre in data 18 luglio il sindaco di Orbetello, Monica Paffetti, ha rassicurato la popolazione con le seguenti parole: «l'amministrazione, insieme al comitato scientifico, sta mettendo in atto ogni mezzo per limitare il danno»;
   il 20 luglio i parametri di ossigeno della laguna sono stati dichiarati in miglioramento, senza nuove morie di orate (pesci sensibili agli sbalzi termici), tuttavia la crisi ancora non poteva considerarsi risolta. Sempre il sindaco di Orbetello dichiarava: «Il pesce, che si concentra nella zona di Ansedonia, è ben ossigenato e non presenta segni di cedimenti di salute»;
   il 22 luglio è stato aperto il canale di Fibbia al flusso delle acque lagunari in uscita; la scelta di questo canale era l'unico modo di evitare una moria di 300 tonnellate di pesci accalcati sotto Ansedonia ed evitava che le carcasse e i prodotti di decomposizione dei pesci morti in prossimità della diga lato Levante, portate in quelle aree dal vento di maestrale, uscissero in mare defluendo dalla Feniglia lato laguna verso la foce di Ansedonia;
   nonostante queste misure parziali, comunque tardive, nella notte tra il 24 e il 25 luglio si è verificato un fenomeno anossico che ha determinato una moria di pesci per 40 tonnellate, fino ad arrivare, negli ultimi tre giorni, alla raccolta di oltre 200 tonnellate di pesce morto;
   le prime segnalazioni del biologo Mauro Lenzi, membro del Comitato tecnico-scientifico previsto dall'accordo di programma per il monitoraggio della laguna, sono datate 10 marzo, quando lo stesso aveva evidenziato l'innalzamento termico delle acque lagunari e altri problemi legati al carico organico delle masse vegetali, alla riduzione dell'ossigeno disciolto nella notte. Il comitato scientifico aveva dunque chiesto una manutenzione della laguna che consentisse di essere pronti ad affrontare l'estate;
   quando in estate aumentano le temperature vengono attivate, a cura dell'ente gestore, le idrovore per ossigenare le acque della laguna a beneficio della fauna ittica. La situazione della laguna di Ponente, sulla quale sono stati effettuati anche negli anni scorsi i maggiori interventi per il problema delle alghe, gode al momento di un buono stato di salute: il problema è concentrato esclusivamente a Levante. Sinora tramite il piano di gestione triennale della laguna, che ha consentito di lavorare incessantemente nel bacino di Ponente, in cui giacevano 44.000 tonnellate di alghe concentrate in 400 ettari, si è riusciti a ridurre il carico organico dei sedimenti dal 20 al 7 per cento. Questo ha consentito di scongiurare gli eventuali rischi di anossia dovuti alle alte temperature –:
   se non ritenga, per quanto di competenza, di dover intraprendere ogni utile iniziativa volta ad accertare le cause della mancata adozione delle misure preventive necessarie e di chiarire le motivazioni per le quali, nello specchio di Levante, non sia ancora funzionante il nuovo programma istituzionale di intervento. (4-10082)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SILVIA GIORDANO, COLONNESE, GRILLO e LOREFICE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con la deliberazione n. 788 del 5 agosto del 2014, il direttore generale dell'asl di Salerno, Antonio Squillante, aveva aggiudicato in via definitiva l'appalto del servizio di assistenza domiciliare all'Rti Medicasa-Magaldi;
   la deliberazione n. 788 prevedeva l'affidamento triennale del servizio di «Affidamento delle prestazioni infermieristiche, riabilitative e di aiuto infermieristico e sanitarie per il servizio delle cure domiciliari per l'Asl Salerno», gara aggiudicata alla R.T.I. Medicasa Italia s.p.a. di Milano e Magaldi Life s.r.l. di Salerno, per una spesa annuale di 4 milioni di euro circa e per tutta la durata dei tre anni del servizio appunto di euro 13.178.810,00 IVA esclusa;
   subito dopo l'aggiudicazione dell'appalto, il consorzio Icaro – Consorzio Cooperative Sociali Onlus ha adito il Tar di Salerno con ricorso n. 2095/2014 chiedendo la revoca dell'aggiudicazione e eccependo vizi di illegittimità nella procedura di bando adottata dall'Asl Salerno;
   il 18 giugno 2015, la prima sezione del Tar di Salerno, con sentenza n. 1586/2015, ha accolto il ricorso presentato dal consorzio Icaro, impresa classificata al secondo posto nella graduatoria dell'Asl, dichiarando inefficace il contratto con RTI e riconoscendo il diritto del consorzio Icaro all'aggiudicazione della gara e al subentro nel contratto entro 15 giorni dalla sentenza, così come riportato dal quotidiano on line www.salernonotizie.it;
   dalla delibera del direttore dell'asl di Salerno n. 726 del 22 luglio 2015, si evince l'affidamento dell'incarico di rappresentanza e difesa dell'asl a due avvocati del foro di Salerno nel ricorso d'appello presentato al Consiglio di Stato avverso la sentenza n. 1586/2015 del Tar di Salerno che affidava l'appalto dell'assistenza domiciliare al consorzio Icaro –:
   se e quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Governo, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, per scongiurare il blocco delle cure domiciliari assistenziali erogate dall'asl di Salerno ed evitare gravi disagi agli utenti salernitani sottoposti a tali cure, salvaguardando così i livelli essenziali di assistenza. (5-06226)

Interrogazione a risposta scritta:


   SOTTANELLI e VARGIU. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'A.I.A.S. ONLUS – Associazione italiana assistenza ai disabili di Sulmona (L'Aquila) è un'associazione di volontariato di genitori, fondata dal professor Sante Ventresca, attuale presidente, che opera dal 1972 nel campo dell'assistenza di persone affette da vari tipi di minorazioni (ritardo psicomotorio a causa di anomalie di sviluppo o di lesioni del sistema nervoso centrale, sindrome di Down, paralisi motoria e/o carenza funzionale, e altro);
   il progetto ispiratore dell'attività dell'A.I.A.S. è di rimuovere le cause di isolamento ed emarginazione sociale dei ragazzi attraverso azioni mirate volte a stimolare la loro affettività e socialità e a mettere al centro la vita di relazione, dando forma alle emozioni che altrimenti non troverebbero un'adeguata dimensione per esprimersi, soprattutto laddove manca o è insufficiente il supporto parentale;
   la regione Abruzzo, ai sensi della legge regionale n. 2 del 2005, con determinazione dirigenziale del comune di Sulmona n. 241 del 21 maggio 2011, ha autorizzato l'A.I.A.S. ONLUS ad istituire un centro diurno socio-abilitativo-formativo incentrato su moderne forme di «terapia occupazionale» e rivolto in particolar modo ai ragazzi ultradiciottenni residenti a Sulmona e nei comuni limitrofi. Il centro è concepito per favorire un rapporto continuativo di «dopo scuola» e può accogliere fino a 25 ospiti;
   tale centro (realizzato grazie alle donazioni di numerosi benefattori e alla manodopera di volontari) ricopre una superficie di circa 500 metri quadrati risponde alle normative vigenti in termini di funzionalità e sicurezza e può contare su due laboratori di ergoterapia, una palestra, un refettorio ed un ampio spazio verde attrezzato. La struttura è aperta dal lunedì al venerdì, con orari e programmi personalizzati e concordati con le famiglie dei disabili, in considerazione della tipologia e delle esigenze del singolo ospite. È servito da un minibus attrezzato di proprietà dell'associazione che, dalle 8,30, inizia a prelevare dalle abitazioni gli utenti del centro, per poi riaccompagnarli a casa intorno alle 13, dopo aver svolto le attività socio-abilitativo-formative;
   ispirando la propria missione all'esperienza nord-americana e canadese, l'A.I.A.S. ha creato anche una seconda residenza per il «Dopo di noi» e «Durante noi in caso di necessità» orientata alle degenze più o meno temporanee, coincidenti con la momentanea assenza di uno o entrambi i genitori dei pazienti. È nata così la residenza per disabili «Villa Gioia A.I.A.S. Onlus», unica nella provincia dell'Aquila e nell'entroterra abruzzese;
   Villa Gioia è stata autorizzata all'esercizio dei servizi alla persona ai sensi della succitata legge regionale n. 2 del 2005, con determinazione del comune di Sulmona del 20 novembre 2012 – protocollo n. 47363. La somma totale per la costruzione della struttura è ammontata a 784.500 euro ed ha beneficiato di finanziamenti pubblici e privati. I primi sono stati erogati ai sensi del decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 13 dicembre 2001, n. 470 «Regolamento concernente criteri e modalità per la concessione e l'erogazione dei finanziamenti di cui all'articolo 81 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, in materia di interventi in favore dei soggetti con handicap grave privi dell'assistenza dei familiari». Quanto ai finanziamenti privati, oltre il 20 per cento è stato elargito dalle donazioni della Fondazione Carispaq – Cassa di risparmio della provincia dell'Aquila (pari a 156.000 euro) e dalle donazioni della BCC – Banca di credito cooperativo (pari a 11.000 euro);
   l'immobile si estende su una superficie di 1.000 metri quadrati che insiste su un vasto terreno di 10.000 metri quadrati lungo la S.R. 479, distante solo 1 chilometro dalla città di Sulmona, raggiungibile e servita da mezzi pubblici comunali e regionali. La residenza dispone di un parcheggio di circa 2.000 metri quadrati e di uno spazio verde altrettanto esteso, oltre 5.000 metri quadrati per le attività sportive, di floricoltura e per le coltivazioni, uno spazio coperto all'aperto di circa 80 metri quadrati, un ampio laboratorio per la terapia occupazionale, una palestra, un refettorio, uno studio medico, una sala per incontri conviviali ed eventi, una postazione con personal computer ed un luogo di culto. Anche Villa Gioia dispone di un minibus dotato di pedana per il trasporto dei suoi ospiti;
   l'insieme delle attività previste dal piano didattico delle residenza di Villa Gioia è finalizzata alla valorizzazione delle capacità residuali ed al potenziamento delle autonomie individuali dei ragazzi disabili (rientrano, ad esempio, tra tali attività: preparare la tavola per i pasti e rassettare la sala mensa dopo averli consumati, curare l'igiene personale, coltivare la lettura e la scrittura, usare il personal computer e seguire la musicoterapia). Particolare importanza nella terapia occupazionale è riservata alla cesellatura di prodotti artigianali in metallo e alla manifattura di prodotti in alabastro e ceramica;
   in linea con le direttive regionali che prevedono che la capacità ricettiva delle strutture residenziali per disabili disponga dai 7 ai 20 posti letto (oltre a 2 posti per le emergenze), la residenza «Villa Gioia» dispone di 20 posti letto organizzati in 10 camere, con servizi completi di doccia. L'arredo delle stanze e dei servizi è stato ideato con colori vivaci e differenziati, in modo tale che il disabile possa sempre riconoscere facilmente la sua camera, il suo letto ed il suo armadio. Per coloro che hanno problemi motori più gravi è stata realizzata un'ampia toilette «assistita» che offre la possibilità di effettuare la doccia utilizzando l'apposita barella, ciò a vantaggio sia dell'utente che dell'operatore addetto;
   la struttura rappresenterebbe un virtuoso esempio di sinergia tra pubblico e privato finalizzato non solo ad offrire una moderna risposta ai problemi legati alla marginalità e alla disabilità di numerose famiglie residenti nella provincia dell'Aquila, ma anche uno strumento per intercettare una potenziale leva occupazionale in un territorio, quale quello della Valle Peligna, che vive da anni una pesante sofferenza economica;
   la residenza per disabili «Villa Gioia A.I.A.S. Onlus» con sede a Sulmona è stata ultimata e autorizzata all'esercizio nel 2012 ed è stata ispezionata e relazionata con esito positivo dai N.A.S. di Pescara il 24 maggio 2013. Essa sarebbe pertanto potenzialmente pronta ad offrire un'ampia gamma di servizi all'avanguardia, eppure, incredibilmente, dopo tre anni dall'autorizzazione formale, la regione Abruzzo non ha ancora proceduto all'accreditamento e al convenzionamento della struttura e non ha ancora rilasciato il «nulla osta» a favore della medesima residenza;
   il caso dell'A.I.A.S. ONLUS è emblematico della situazione che caratterizza le associazioni di volontariato nel nostro Paese, ciò in riferimento all'impatto vitale che esse rivestono nella comunità territoriale di riferimento e, in generale, nell'intera comunità nazionale. Esse infatti, nel fornire risposte concrete ai vari bisogni immediati, spesso si trasformano in una sorta di ammortizzatore sociale o «tappabuchi» delle deficienze ed inefficienze delle istituzioni e diventano a pieno titolo soggetti proattivi nella programmazione, gestione e valutazione degli interventi sociali e sanitari, specie per le categorie di cittadini più deboli ed emarginati. Una delle principali richieste che, in questa prospettiva, si leva dalle associazioni di volontariato nei confronti delle istituzioni è volta soprattutto all'individuazione di maggiori agevolazioni fiscali e tributarie già riconosciute alle persone fisiche aventi diritto (ad esempio: applicazione dell'aliquota Iva agevolata del 4 per cento per l'acquisto di autoveicoli per disabili, esenzione dal pagamento del bollo auto e dell'imposta di trascrizione, agevolazioni sulle utenze, e altro) –:
   se non ritenga opportuno, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, assumere iniziative per introdurre modifiche alla disciplina vigente in materia di agevolazioni fiscali e tributarie a favore delle associazioni di volontariato volte a prevedere l'estensione dell'esenzione dal pagamento, della tassa automobilistica di circolazione, l'applicazione dell'IVA agevolata del 4 per cento per l'acquisto dei veicoli destinati al trasporto dei disabili, nonché a prevedere delle agevolazioni fiscali sulle utenze intestate alle associazioni di volontariato. (4-10088)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LOSACCO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito della strategia «Europa 2020» e dell'Agenda digitale europea la Commissione europea ha fissato obiettivi, stabilendo alcuni target, per la realizzazione di nuove infrastrutture con l'obiettivo che entro il 2020 il 100 per cento della popolazione sia sottoscrittore di un servizio di connettività di almeno 30 Mbps e almeno il 50 per cento della popolazione sia sottoscrittore di un servizio a 100 Mbps;
   il Governo, coerentemente con questi obiettivi, ha approvato le strategie per la banda ultralarga e per la crescita digitale;
   secondo il recente DESI 2015 (Digital Economy and Society Index), l'Italia risulta in fondo alla classifica europea, su ventisette Paesi, per connettività nella banda ultralarga;
   il comune di Roma ha recentemente approvato il regolamento per la localizzazione, l'installazione e la modifica degli impianti di connettività mobile (voce e dati), che, tra l'altro, prevede una valutazione preventiva di impatto ambientale sulle antenne, anche laddove non sussistano vincoli di carattere monumentale, architettonico, paesaggistico e ambientale;
   non sempre in via preventiva è possibile arrivare a una valutazione corretta delle reali esigenze di connettività;
   viene previsto dallo stesso regolamento il divieto di installazione delle stazioni radio base di connettività mobile (voce e dati) entro un raggio di 100 metri dai cosidetti «siti sensibili» (ospedali, case di cura e di riposo, scuole ed asili nido, oratori, orfanotrofi, parchi gioco, ivi comprese le relative pertinenze);
   il nuovo regolamento prevede la creazione di un piano territoriale della telefonia mobile e di un registro cittadino delle antenne, ma a oggi non esistendo un catasto del comune di Roma con la individuazione dei siti sensibili, è di fatto impossibile ottemperare alla disposizione;
   la possibilità concreta di attuazione di questa norma è oggi quanto mai necessaria e urgente per consentire gli investimenti nelle reti di telecomunicazioni in banda ultralarga nella città di Roma;
   in occasione del Giubileo straordinario indetto dal Papa, la città di Roma sarà chiamata, a partire dal mese di dicembre fino a novembre 2016, ad accogliere e quindi garantire una dignitosa ospitalità a milioni di pellegrini provenienti da tutto il mondo che ovviamente utilizzeranno i servizi di banda ultralarga –:
   quali iniziative urgenti, anche di carattere normativo, il Governo intenda promuovere sia per favorire gli investimenti infrastrutturali da parte delle imprese di telecomunicazioni, sia per consentire ai cittadini e ai turisti di usufruire di servizi in banda ultralarga coerenti con quanto stabilito nelle strategie di Governo richiamate, con particolare riferimento al territorio del comune di Roma. (5-06230)


   TARICCO, PRINA, BORGHI, GALPERTI, ARLOTTI, MANFREDI e TIDEI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Sant'Anna di Vinadio, leader nel settore dell'acqua minerale e del beverage, denuncia ormai da mesi una situazione di seria difficoltà causata da continue e prolungate interruzioni della fornitura di elettricità da parte di Enel Spa nello stabilimento di Vinadio (Cuneo);
   lo stabilimento di Vinadio, che è fra i più moderni d'Europa, è dotato di dodici linee produttive, tra quelle dedicate all'imbottigliamento dell'acqua minerale e quelle dedicate al confezionamento dei bicchierini di tè freddo SanThé e nettari di frutta SanFruit;
   il disservizio, consistente in interruzioni totali anche per quattro ore, forniture parziali – con il 25-30 per cento dell'energia necessaria a far funzionare tutte le linee – anche fino a diciotto ore, non ha carattere temporaneo né deriva da circostanze atmosferiche particolari;
   la mancata fornitura di energia proprio durante il picco stagionale di vendite provoca danni enormi: più di 50 milioni di bottiglie non consegnate, per oltre 75 milioni di acqua minerale invenduta, con una conseguente perdita economica che si può quantificare in circa 3 milioni di euro al mese;
   l'interruzione improvvisa di energia per durate non quantificabili né prevedibili causa, inoltre, un effetto a catena sulle linee che lavorano ad alta velocità e sulle linee dedicate alla produzione di tè freddo e nettari di frutta che, inoltre, devono essere necessariamente sottoposte a un processo di sanificazione che richiede otto-dieci ore di tempo ulteriori dal momento in cui torna a regime la fornitura di energia;
   a ciò si aggiungono i danni, che richiedono ulteriori tempi di manutenzione, ai componenti elettronici, computer, server, e altro, per l'azienda che, tra l'altro, nell'ultimo biennio ha fatto un enorme investimento in Ict verso la totale digitalizzazione;
   anche sul piano dell'occupazione, l'impossibilità di far funzionare lo stabilimento a pieno regime comporta gravissime conseguenze per l'azienda, che di recente ha assunto nuovo personale;
   il disservizio impedisce, inoltre, di onorare gli impegni presi con i clienti, che presentano richieste di risarcimento all'azienda per problemi indipendenti dalla sua volontà;
   risulta all'interrogante che, nonostante le numerose segnalazioni inviate all'Enel, interpellata anche sul piano contrattuale già in data 8 giugno 2015, l'azienda non ha ricevuto risposte e ha ottenuto, come unico e discutibile risultato, quello di evitare i black-out totali, mentre proseguono quelli parziali, che consentono di lavorare soltanto al 30 per cento dei normali standard operativi;
   gli investimenti per l'innovazione, pur fondamentali per la competitività, servono a poco se non è garantita la fornitura di energia, anzi rischiano di essere pesantemente e negativamente influenzati da un accesso all'energia problematico e più costoso che in altri Paesi europei diretti concorrenti;
   la mancanza di infrastrutture adeguate e che garantiscano i servizi di base, sono un problema tangibile e incidente sullo sviluppo del territorio, non consentendo una crescita adeguata e, in alcuni casi, causando una retrocessione rispetto a delle posizioni acquisite a fatica negli anni –:
   di quali elementi disponga il Governo in merito a quanto esposto in premessa e, alla luce della vicenda descritta, se il Governo intenda assumere iniziative di competenza anche normative per impedire che la mancanza o la scarsa qualità dei servizi di base compromettano l'attività, lo sviluppo e la permanenza stessa delle aziende, con grave pregiudizio per l'intera economia del territorio. (5-06233)


   RICCIATTI, FRANCO BORDO, FERRARA, SCOTTO, QUARANTA, PIRAS, MELILLA, DURANTI, PELLEGRINO, GIANCARLO GIORDANO, SANNICANDRO, LUCIANO AGOSTINI e MARCHETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 giugno 2015 l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) ha approvato i due provvedimenti relativi all'autorizzazione per Poste Italiane alla consegna a giorni alterni in alcuni ambiti territoriali e la nuova manovra tariffaria per il servizio universale postale;
   con riferimento specifico alla modalità di recapito a giorni alterni (relatore il commissario Antonio Nicita), l'Autorità chiarisce, in una nota stampa, di aver «definito i criteri che devono essere rispettati per individuare i Comuni interessati dalla misura, in virtù delle particolari circostanze, anche di natura geografica, che caratterizzano l'ambito del recapito postale sul territorio italiano. L'attuazione del recapito a giorni alterni (secondo lo schema bisettimanale, lunedì-mercoledì-venerdì-martedì-giovedì) avverrà in tre fasi successive che saranno avviate rispettivamente il 1o ottobre 2015, il 1o aprile 2016 e non prima del mese di febbraio 2017. La prima fase coinvolgerà una ristretta fascia di popolazione (pari allo 0,6 per cento della popolazione nazionale) fino al massimo del 25 per cento nella fase conclusiva»;
   a seguito di tale decisione, Poste Italiane ha annunciato che l'autorizzazione Agcom consente «di procedere nell'attuazione del Piano Quinquennale di Sviluppo “Poste 2020”, predisposto dal management di Poste Italiane in vista della prossima quotazione in Borsa»;
   dall'annuncio dei possibili tagli, all'inizio del 2015, c’è stata una ampia sollevazione delle comunità interessate, delle istituzioni locali e da parte di diversi parlamentari, volta a scongiurare il piano di tagli sopratutto per la penalizzazione delle zone periferiche del Paese;
   ad aprile 2015 Poste Italiane aveva annunciato la sospensione del piano per aprire dei tavoli con le istituzioni territoriali coinvolte;
   la notizia di una ripresa della procedura di attuazione del piano di razionalizzazione ha sollevato nuovamente – e a giudizio degli interroganti, più che giustificatamente – l'opposizione delle tante istituzioni territoriali (alcune regioni come la Toscana, ma anche diversi comuni e province, come quella di Pesaro e Urbino) direttamente interessate dal piano di tagli e riduzioni di orario degli uffici postali;
   la Camera dei deputati in data 12 maggio 2015 approvava la mozione Franco Bordo ed altri n. 1- 00818 nel testo riformulato, insieme ad altre di analogo indirizzo, che impegnava il Governo, tra le altre cose, ad «adoperarsi per garantire la capillarità sul territorio e la permanenza degli uffici postali nei comuni rurali, montani e svantaggiati» e a «favorire la prosecuzione del confronto costruttivo già in corso tra Poste Italiane Spa, regioni e comuni, con l'obiettivo di ridiscutere il piano di razionalizzazione degli uffici postali al fine di assicurare la piena operatività del servizio universale e di evitare che le decisioni assunte arrechino disagi agli abitanti dei comuni più disagiati del Paese, che si vedrebbero privati dell'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità, così come previsto dall'accordo siglato tra Poste Italiane Spa e lo Stato»;
   tale confronto costruttivo è stato disatteso dall'azienda, con l'annuncio di dar esecuzione al piano di riorganizzazione a partire dal 7 settembre 2015;
   a livello nazionale il piano di razionalizzazione prevede la chiusura di 455 uffici e la riduzione di orario per 608, nella regione Marche la chiusura di 10 e la riduzione di orario per 23 uffici, mentre, per la provincia di Pesaro e Urbino, il piano prevede la chiusura di 3 uffici postali (Pesaro Cacciatori, Novilara e Petriano) e la riduzione di orario di altri 9 (Belforte all'Isauro, Pianello di Cagli, Smirra di Cagli, Isola di Fano nel comune di Fossombrone, Fratterosa, Monteciccardo, Piagge, San Giorgio di Pesaro, Serra S.Abbondio);
   secondo il piano di Poste Italiane, autorizzato da Agcom, a partire dal febbraio 2017 la popolazione coinvolta dal sistema di distribuzione a giorni alterni ammonterà al 25 per cento della popolazione italiana;
   secondo quanto riporta l'agenzia di stampa Reuters Italia (25 giugno 2015) «Fonti della Commissione Ue hanno fatto sapere nei giorni scorsi che questi numeri sarebbero al di fuori della normativa Ue, che permette eccezioni molto limitate per la consegna della posta non quotidianamente. L'eccezione massima finora consentita è stata per la Grecia (dove il 6,8 per cento della popolazione riceve la posta a giorni alterni) anche in virtù della grande quantità di isole che compongono il territorio greco. Deroghe sono state applicate in totale in favore di 14 paesi Ue, ma nella gran parte dei casi per consegne limitate a meno dell'1 per cento della popolazione. Se il piano di Poste resta com’è, la Commissione avvierebbe già a luglio il lavoro tecnico per avviare una possibile procedura di infrazione nei mesi successivi» –:
   se i Ministri interrogati non intendano verificare eventuali incompatibilità del piano di riorganizzazione di Poste Italiane rispetto alla normativa europea, al fine di scongiurare probabili procedure di infrazione;
   quali iniziative intendano assumente, nell'ambito delle rispettive competenze, affinché il piano di razionalizzazione proposto da Poste Italiane rispetti gli indirizzi contenuti nelle mozioni di cui in premessa;
   quali iniziative di competenza intendano adottare i Ministri interrogati per garantire la piena operatività del servizio universale, in particolare modo per i cittadini che risiedono in aree periferiche del Paese. (5-06234)


   RICCIATTI, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DURANTI, DANIELE FARINA, FERRARA, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, MARCON, ZACCAGNINI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, SANNICANDRO, SCOTTO e ZARATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la vertenza Ikea, sorta a seguito della disdetta unilaterale del contratto integrativo da parte dell'azienda, è ancora in una fase di stallo;
   in data 29 luglio 2015, infatti, le parti «hanno formalizzato la sospensione della trattativa, registrando il permanere di distanze ancora ingestibili» (nota Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl e Uiltucs, riportata da ANSA, 30 luglio 2015), circostanza che ha portato le organizzazioni sindacali alla proclamazione di un nuovo pacchetto di 24 ore di sciopero, da gestire a livello locale;
   Ikea ha ribadito che, conformemente a quanto annunciato nel mese di maggio 2015 da settembre saranno attivi gli effetti della disdetta unilaterale del contratto integrativo;
   in data 15 luglio 2015, nel corso del question time alla Camera dei deputati, la Ministra dello sviluppo economico Guidi, in risposta ad una interrogazione presentata dall'interrogante e dall'onorevole Stefano Quaranta, aveva espresso la disponibilità del Governo ad «instaurare un tavolo per facilitare il dialogo tra le parti», pur riconoscendo che le tematiche che riguardano la contrattazione aziendale non coinvolgono la Pubblica amministrazione, essendo un rapporto tra le parti –:
   considerata la conclamata difficoltà delle parti, almeno sino ad oggi, nel trovare una mediazione tra le diverse posizioni, mentre le condizioni di contratto peggiorative avranno comunque avvio a partire dal prossimo settembre, se non si ritenga di dare seguito all'annunciata disponibilità, convocando in tempi rapidi un tavolo di confronto. (5-06235)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FORMISANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 17 giugno 2015 un comunicato stampa della rappresentanza sindacale dell'azienda metalmeccanica Cisa Allegion, ha annunciato un piano di ristrutturazione interno che coinvolgerà i tre siti di Faenza;
   l'azienda ha fatto sapere, in un incontro tenutosi martedì 16 giugno 2015 con la rappresentanza sindacale unitaria e la sigla Cgil, che ha iniziato un piano di riorganizzazione per fare fronte alla crisi di fatturato e di redditività;
   i siti di Faenza occupano circa 300 tra operai e impiegati e rappresentano una importantissima realtà industriale che non può permettersi in alcun modo di essere ridimensionata, anche alla luce delle profondissime ferite occupazionali che il territorio ha già patito;
   «La Cisa – afferma la Cisl – ha annunciato l'esternalizzazione della produzione di tutte le lavorazioni meccaniche in Paesi a basso costo del lavoro. Attualmente nella sola Faenza occupa 526 dipendenti totali. Di questi ci è stato annunciato un esubero di circa 240 unità, senza contare i dipendenti delle aziende di forniture. Interessato anche lo Stabilimento di Monsanpolo del Tronto nelle Marche con 20 esuberi su 236 dipendenti»;
   nel primo incontro del 23 giugno 2015 l'azienda ha fatto l'annuncio ufficiale al Ministero dello sviluppo economico, descrivendo le motivazioni: alto costo del lavoro, bassa redditività e fatturato in calo negli ultimi sette anni, prodotto a basso valore aggiunto;
   il 16 luglio al Ministero dello sviluppo economico, la direzione Allegion Cisa ha presentato un piano industriale, che se da un lato prevede investimenti per 17 milioni di euro in tre anni, dall'altro lato conferma i 258 potenziali esuberi frutto del trasferimento di gran parte dell'attuale produzione in Paesi dove il costo del lavoro è più basso per incrementare i margini aziendali;
   l'azienda, a fronte di una precisa richiesta delle sigle sindacali, ha dichiarato di non avere intenzione di fare forzature sulla trattativa in modo unilaterale, rendendosi disponibile a proseguire la trattativa in un incontro svoltosi il 24 luglio 2015 presso il Ministero dello sviluppo economico –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se abbia avuto modo di seguire il percorso della trattativa e se siano state attuate tutte le forme di tutela volte a garantire un sostegno al rilancio dell'impresa e a scongiurare operazioni di delocalizzazione e di riduzione del personale in Italia. (4-10085)


   NUTI, DI VITA, MANNINO e LUPO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 16 febbraio 2011 veniva firmato un primo accordo di programma per la disciplina degli interventi di riqualificazione e reindustrializzazione del polo industriale di Termini Imerese: nel testo dell'accordo si evidenziava la necessità di sviluppare interventi con una tempistica congruente con le esigenze di rioccupazione della manodopera, stabilendo un tempo massimo di 36 mesi per attuare investimenti programmati stimati in più di un miliardo di euro per il triennio 2011-2013, di cui 450 milioni di euro forniti dalle finanze pubbliche, in particolare 100 milioni dal Ministero dello sviluppo economico e 350 milioni dalla regione Sicilia;
   tale primo accordo di programma è fallito, tant’è che al raggiungimento del sopra indicato termine di 36 mesi, non vi era alcuna proposta concreta da parte di attori privati per il polo di Termini Imerese;
   successivamente la società GRIFA spa aveva avanzato una proposta di costruzione di veicoli ibridi che prevedeva investimenti pubblici per circa 250 milioni di euro e investimenti privati da parte di questa società per circa 100 milioni di euro;
   tuttavia, come si è già avuto modo di denunciare tramite un atto di sindacato ispettivo, risulta agli interroganti che questa società era stata costituita solo nel corso del 2014 e non aveva alcun tipo di esperienza produttiva; non aveva personale dipendente; non era in possesso né di un piano industriale valido né di un prototipo su cui basare la produzione di veicoli ibridi ed elettrici; non era dotata dei requisiti minimi di solidità finanziaria e non vi erano istituti bancari disposti ad erogare alcun finanziamento o sostenere un aumento di capitale; la titolarità delle scatole cinesi a cui faceva capo questa società era opaca, a partire dalla piccola srl che ne deteneva la proprietà; gli stessi vertici amministrativi e dirigenziali di Grifa risultavano poi essere vicini alla famiglia Agnelli e alla FIAT e, in certi casi, coinvolti in scandali e fallimenti societari;
   dopo aver denunciato tutte queste perplessità, la GRIFA spa, anche in forza del fatto che non avrebbe potuto procedere alla ricapitalizzazione necessaria per poter accedere ai finanziamenti pubblici e quindi portare avanti il proprio progetto industriale, il 16 dicembre 2016, a pochi giorni dal termine della cassa integrazione per gli operai di Termini Imerese, ha ritirato la propria proposta;
   contestualmente si è fatta avanti una nuova società, la METEC spa dell'imprenditore Roberto Ginatta legato a doppio filo alla FIAT: in particolare risulta che il principale cliente della METEC sia proprio FIAT, per la quale produce componentistica per autovetture, mentre Roberto Ginatta e Andrea Agnelli possiedono, con quote alla pari, la società Investimenti industriali spa che si occupa di «acquisto, gestione e vendita di partecipazioni e titoli pubblici e privati in genere e la concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, nonché il coordinamento tecnico, amministrativo e finanziario delle società partecipate;
   il 19 dicembre, solo 3 giorni dopo la presentazione della proposta da parte di METEC, è stato firmato da Ministero dello sviluppo economico, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, regione siciliana, comune di Termini Imerese, un nuovo accordo di programma che prevede da una parte la ricollocazione di tutti gli operai nell'arco di tre anni e, dall'altra parte, l'avvio di un progetto industriale inizialmente basato sulla produzione di componentistica e successivamente anche sulla produzione di veicoli ibridi, nonostante METEC non abbia alcuna esperienza in produzione di veicoli di alcun tipo;
   agli interroganti risulta quantomeno difficile che in soli tre giorni la METEC spa possa aver prodotto e presentato con i dovuti dettagli un progetto industriale per il rilancio di Termini Imerese e gli attori istituzionali coinvolti, in particolare il Ministero dello sviluppo economico e Invitalia, possano aver esaminato la proposta e aver formulato un parere appropriato, anche alla luce dei precedenti tentativi di accordo, poi falliti;
   similmente a quanto accaduto in precedenza con la società GRIFA spa, anche la BLUTEC spa, società di scopo creata appositamente dalla METEC spa per il rilevamento del polo industriale di termini Imerese, non avrebbe i capitali necessari per poter accedere ai finanziamenti pubblici, così come concordato nell'accordo di programma;
   infatti, per potere accedere ai benefìci pubblici concessi dal contratto di sviluppo, l'investimento complessivo minimo richiesto, escluse le attività di trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli, è di 20 milioni di euro;
   risulterebbe infatti che il capitale sociale di BLUTEC spa deliberato sia di 24 milioni di euro ma solo 6 milioni risultano essere realmente versati; inoltre, la società si era impegnata al momento della firma a dicembre ad aumentare il proprio capitale sociale sino a 100 milioni di euro entro 90 giorni ma ad oggi non ha versato un solo euro;
   inoltre, nel verbale di accordo del 22 dicembre del 2014 si può chiaramente leggere al punto 1 che il Governo ha acquisito «da parte di Invitalia la positiva valutazione di ammissibilità alla finanza agevolata (Contratto di Sviluppo)»; tuttavia, come testimoniano numerosi articoli di stampa nei mesi a seguire, il contratto di sviluppo attualmente sarebbe ancora nella fase istruttoria;
   a quanto si apprende, a distanza di circa 7 mesi dalla firma, i corsi di formazione e riqualificazione delle maestranze, previsti nell'accordo di programma e presumibilmente fondamentali per modificare la produzione del polo industriale di Termini Imerese da auto a componentistica, non sarebbero ancora iniziati;
   agli interroganti, quanto sopra esposto in merito alla BLUTEC spa, risulta essere piuttosto simile a quanto descritto in merito alla GRIFA spa: in entrambi i casi le società hanno un capitale deliberato tale da poter accedere alla finanza agevolata garantita da un contratto di sviluppo ma il capitale realmente versato è ben al di sotto di tale soglia; entrambe hanno promesso, invano, un aumento del capitale in pochi mesi sino a 100 milioni di euro; in entrambi i casi l'amministrazione delle aziende è legata al Gruppo FIAT e alla famiglia Agnelli;
   l'accordo di programma firmato nel dicembre 2014 prevede all'articolo 7, punto 5) che «il Gruppo di coordinamento e controllo, in riferimento alle date del 30 giugno e 31 dicembre di ogni anno di validità del presente Accordo, predispone una relazione tecnica sullo stato di attuazione degli interventi»; tuttavia, agli interroganti non risulta che via sia traccia di questa relazione;
   gli interroganti condividono nuovamente le preoccupazioni espresse in fine dell'articolo di Panorama del 28 ottobre 2014, come già riportato in un precedente atto di sindacato ispettivo sempre relativo a Termini Imerese, ove si legge che «sia il sindacato che la politica siciliana [...] aspettano che si realizzi il “loro” piano che consiste [...] nel far passare il tempo. Basta guardare le date: prima di dicembre la Fiat offrirà un incentivo all'uscita ai suoi dipendenti; per tutti gli altri il 30 dicembre scadrà la cassa integrazione, il 31 dicembre i dipendenti saranno tutti in mobilità, il primo gennaio passano in carico a Grifa, (o a chi per lei) e il 2 gennaio tornano in cassa integrazione per almeno 4 anni. Perché il “piano” funzioni occorre trovare una società finta (e Grifa è perfetta) alla quale accollare persone vere, illudendole con un piano industriale finto così da usare soldi pubblici veri per pagare una cassa integrazione vera e corsi di formazione finti organizzati da enti politicizzati, gestiti dai sindacati rassegnati per riqualificare in modo finto persone vere, in attesa che un'altra società finta presenti un piano industriale finto»;
   ad avviso degli interroganti questa operazione in realtà finisce di fatto per illudere ancora una volta le centinaia di lavoratori di Termini Imerese da anni posti in cassa integrazione, nella sostanziale acquiescenza dei sindacati dei lavoratori e dei vertici politici sia locali che nazionali, supportati dal gruppo Fiat utilizzando impropriamente milioni di fondi pubblici –:
   se i finanziamenti pubblici relativi all'accordo di programma afferente il polo Industriale di Termini Imerese firmato nel dicembre del 2014 siano già stati erogati e in quale misura;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere, visto il mancato aumento di capitale da parte di BLUTEC spa necessario per accedere ai finanziamenti pubblici, fondamentali per poter avviare il progetto di reindustrializzazione del polo di Termini Imerese e reimpiegare le maestranze;
   cosa preveda nel dettaglio il progetto industriale presentato da BLUETEC, anche fornendo la relativa documentazione;
   se non intenda rendere pubblica la relazione tecnica sullo stato di attuazione degli interventi di cui all'articolo 7, punto 5, dell'accordo di programma firmato nel dicembre 2014.   (4-10095)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza urgente Dorina Bianchi n. 2-00959 dell'8 maggio 2015.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BARONI, GRILLO, DI VITA, MANTERO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, CECCONI e DALL'OSSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la relazione dell'Agenas relativa all'andamento della spesa sanitaria negli anni 2008-2013 ha evidenziato come la regione Lazio nel 2013 continui ad avere un disavanzo di gestione di 669,626 milioni di euro, ripianati con l'aumento dell'addizionale IRPEF regionale (tasse dei cittadini) che ha portato nelle casse della regione medesima un'entrata di 791 milioni di euro;
   la ASL RM G insiste su un vasto territorio della regione Lazio prevalentemente nella zona est della capitale avendo come sede principale Tivoli;
   si è accertato che l'ospedale di Tivoli, grazie alle segnalazioni dei cittadini a cui è seguita un'indagine del Movimento 5 Stelle, ripresa dal Fatto quotidiano TV del 23 gennaio 2015, attende da quattro anni l'apertura del nuovo e modernissimo reparto di emodinamica, chiuso per mancanza di personale e costato ai cittadini stessi oltre tre milioni di euro;
   la mancata apertura di questo reparto costringe i pazienti di quel quadrante colpiti da IMA (infarto miocardico acuto) ad essere ricoverati nel reparto attrezzato più vicino, ossia quello del Policlinico Umberto I di Roma, mettendo a repentaglio molte vite umane che non vengono curate in maniera appropriata nella cosiddetta «ora d'oro», ovvero la prima ora dall'insorgere dei sintomi della patologia in questione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se la mancata apertura del reparto di emodinamica dell'ospedale di Tivoli possa dipendere dalla carenza di risorse derivante dall'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario. (4-08425)

  Risposta. — In merito all'interrogazione parlamentare in esame, la prefettura-ufficio territoriale del governo di Roma ha comunicato quanto indicato dal direttore generale dell'azienda sanitaria locale RM/G.
  Ai fini del reperimento di personale, è in corso di espletamento l'avviso pubblico regionale per il personale infermieristico.
  Per quanto riguarda la copertura di n. 3 posti di tecnici di radiologia da dedicare alla emodialisi del presidio Ospedaliero di Tivoli, sono in corso le procedure per l'espletamento dell'avviso pubblico di mobilità regionale per titoli e colloquio.
  La Regione Lazio ha autorizzato n. 4 deroghe all'assunzione di dirigenti medici di cardiologia, e conseguentemente la ASL RM/G ha proceduto mediante l'utilizzo sia delle graduatorie esistenti, attraverso le quali è stata assunta una unità (che ha regolarmente preso servizio in data 16 luglio 2014), sia della procedura della mobilità a livello nazionale, che ha permesso l'assunzione di una seconda unità (che prenderà servizio in data 1o settembre 2015).
  Per il concorso dei rimanenti n. 2 posti, è in corso di adozione la nomina della relativa commissione.
  Nelle more dell'espletamento di tutte le citate procedure, ai fini della completa definizione organizzativa del servizio in esame, la ASL RM/G sta valutando la possibilità di una sua parziale apertura.
  La ASL RM/G ribadisce l'assoluto rilievo dato alla unità operativa complessa di emodinamica del presidio ospedaliero di Tivoli, la cui attivazione è inserita tra le priorità del piano strategico aziendale, adottato con delibera n. 853 del 14 novembre 2014.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   MASSIMILIANO BERNINI, CRISTIAN IANNUZZI, DAGA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere è stata predisposta e coordinata dall'Ufficio nazionale antidiscriminazioni (UNAR), istituito presso il dipartimento Pari opportunità della Presidenza del Consiglio, in ottemperanza con quanto previsto dal programma promosso dal Consiglio d'Europa;
   la Strategia nazionale è finalizzata alla realizzazione di un piano triennale di azioni pilota (2013-2015), integrate e multidisciplinari, volte alla prevenzione e al contrasto delle discriminazioni in tale ambito;
   nel solco di tali iniziative si inserisce la decisione del liceo Giulio Cesare di Roma di proporre la lettura di alcune pagine di un libro della scrittrice Melania Mazzucco, Sei come sei, che affronta il tema dell'omosessualità;
   l'iniziativa ha scatenato reazioni dei rappresentanti di estrema destra, Lotta studentesca, organizzazione giovanile vicina a Forza Nuova, che ha esposto uno striscione sul liceo Giulio Cesare contornato da bandiere e fumogeni gialli con la scritta «Maschi selvatici non checche isteriche», mentre altri gruppi di estrema destra hanno esposto un lenzuolo con la scritta Emergenza omofollia;
   l'azione ha suscitato, da parte della società civile e delle associazioni e gruppi GLBTQ, profondo sdegno e preoccupazione e per i toni discriminatori ed omofobi utilizzati;
   l'organizzazione Lotta Studentesca nacque nel 1978 a Roma per confluire di fatto qualche anno dopo, con alcuni suoi esponenti di spicco, nella eversione criminale e omicida dei NAR e di Terza Posizione;
   gli appartenenti a Forza Nuova e a Lotta Studentesca non sono nuovi a simili iniziative, visto che già nell'aprile del 2013, non lontano dal liceo Giulio Cesare, presso il liceo Tasso di Roma, sedicenti esponenti delle stesse formazioni, distribuirono volantini che riproducevano il simbolo redivivo di Terza Posizione, con la famigerata runa Wolfsangel nazista, fuorilegge dal settembre 1980;
   è preoccupante la presa di posizione del leader romano di Lotta studentesca, Andrea Di Cosimo, noto negli ambienti giovanili per le posizioni apertamente neofasciste ed offensive nei confronti dei partigiani, nonché noto a alle forze di polizia come aggressivo tifoso ultrà, addirittura trovato in possesso di candelotti fumogeni allo stadio Olimpico; durante le vicende sopra esposte, affermava, come riportato in vari organi di stampa: «episodi di questo tipo non avvengano più e che romanzi del genere vengano eliminati definitivamente dalla scuola pubblica», incoraggiando la messa all'indice, in una sorta di rogo omofobo, dei libri che trattano le tematiche LGBT –:
   di quali ulteriori informazioni disponga sui fatti di cui alla premessa;
   quali legami continuino a emergere tra il mondo degli ultras sportivi protagonisti di tafferugli e di violenze e quello dei gruppi violenti di estrema destra, spesso a connotazione omofoba e antisemita;
   se l'organizzazione Lotta Studentesca dopo gli anni ’80 corrisponda ad una organizzazione legalmente costituita, ancora oggi;
   se e quali controlli, per quanto di competenza, abbia avviato o intenda avviare sulle attività delle formazioni di estrema destra presenti nel nostro Paese responsabili di azioni aggressive che preoccupano l'opinione pubblica.
(4-04744)

  Risposta. — Nella mattinata del 28 aprile 2014, sul marciapiede antistante il liceo classico «Giulio Cesare» di Roma, circa sessanta militanti di «Lotta Studentesca» hanno scandito slogan ed esposto due striscioni di tenore omofobo, allontanandosi prima dell'arrivo del personale della Digos immediatamente inviato sul posto.
  L'iniziativa è verosimilmente riconducibile al fatto che, nei giorni precedenti, alcuni docenti dell'istituto avevano fatto leggere in classe dei passi del libro «Sei come Sei» della scrittrice Stefania Mazzucco, in cui vengono descritti rapporti omosessuali.
  Al riguardo, sono state rinvenute diverse copie di un volantino, a firma «Rotta di Collisione» – movimento di centrodestra vicino al partito Fratelli d'Italia dal titolo «Emergenza omofollia».
  Per quanto riguarda l'episodio verificatosi sempre a Roma presso il liceo classico «Torquato Tasso», si evidenzia che il 5 aprile 2013 il personale della Digos, intervenuto per verificare un'attività di volantinaggio, non ha rilevato quanto segnalato, apprendendo tuttavia che, alle ore 8.30 del medesimo giorno, sei militanti di «Lotta Studentesca» avevano distribuito volantini contro la privatizzazione della scuola, il caro libri ed altre tematiche collegate e, nel contempo, avevano anche tentato invano di colpire uno studente che, dopo aver letto il volantino, lo aveva gettato via.
  Nella circostanza, non sono state rilevate scritte murali riconducibili a movimenti della destra extraparlamentare.
  Relativamente a «Lotta Studentesca», si rappresenta che essa identifica una compagine giovanile del movimento «Forza Nuova», attiva soprattutto nelle scuole medie superiori dove ha dato vita ad iniziative di protesta contro la privatizzazione, il caro libri, i tagli dei fondi destinati all'edilizia scolastica, la riforma «Gelmini» ed altro.
  Per ciò che concerne il Daspo, per la durata di due anni, irrogato al signor Andrea Di Cosimo, leader romano del suddetto gruppo, si segnala che tale provvedimento è stato emesso al termine dell'incontro di calcio Roma-Lazio dell'8 aprile 2013, poiché lo stesso, sottoposto a controllo nelle vicinanze dello stadio «Olimpico», era stato trovato in possesso di due fumogeni.
  Ad eccezione del sopracitato episodio, il signor Di Cosimo non si è mai distinto nel contesto delle tifoserie ultras capitoline che, come appurato dall'attività infoinvestigativa, risultano orientate politicamente verso gli ambienti della destra extraparlamentare.
  Al riguardo si precisa che è stata rilevata una sorta di osmosi tra i due ambienti, con la presenza di personaggi legati alla tifoseria ultras romanista e laziale in manifestazioni di piazza della destra extraparlamentare.
  Più in generale le problematiche connesse all'intolleranza e alle disparità fondate sull'orientamento sessuale sono alla costante attenzione di questa Amministrazione che non sottovaluta la gravità degli eventi riconducibili alla cosiddetta «matrice omofobica», in quanto espressione di oggettiva  discriminazione e di metodi violenti finalizzati a compromettere la pacifica convivenza.
  Per ciò che concerne le iniziative intraprese a livello centrale, presso il Dipartimento della pubblica sicurezza opera l'Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad), istituito nel settembre 2010 per rispondere operativamente alla domanda di sicurezza delle persone a rischio di discriminazione mettendo «a sistema» le attività svolte dalla Polizia di Stato e dall'Arma dei Carabinieri.
  L'Osservatorio con la sua attività si propone di offrire non solo lo spaccato conoscitivo sull'eterogeneo mondo delle discriminazioni ma anche di fungere da collettore generale delle segnalazioni provenienti da tutte le fonti esterne che richiedono interventi mirati da parte degli organi info-investigativi che agiscono sul territorio.
  In ambito locale, le Forze di polizia, nell'espletamento dei propri compiti istituzionali, vigilano in modo rigoroso sul piano della prevenzione e del contrasto dei fenomeni discriminatori.
  A tal fine, le stesse dispongono e rivedono periodicamente, in sede di coordinamento tecnico, le misure per assicurare un più capillare controllo del territorio con priorità ai servizi di sorveglianza per la tutela degli obiettivi maggiormente esposti.
  Costante è, inoltre, il monitoraggio delle attività degli appartenenti ai movimenti politici più estremisti ed intransigenti.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano Libero, nell'edizione del 19 febbraio 2015, riportava la notizia secondo la quale il Governo italiano, nello specifico il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, rientra tra i finanziatori governativi della «Clinton Foundation»;
   il contributo alla Fondazione dei Clinton, adesso rinominata «Bill, Hillary & Chelsea Clinton Foundation» dopo la cessazione dall'incarico di Segretario di Stato dell'amministrazione Obama da parte di Hillary, si aggirerebbe tra i 100 ed i 250 mila euro nel solo 2013 (non si conosce il dato preciso in quanto il database della Fondazione ordina unicamente per «range» la donazione omettendo la cifra effettiva);
   non si comprende, secondo l'estensore dell'articolo, a quale titolo il dicastero dell'ambiente abbia effettuato la donazione, se magari su «disposizione» della Presidenza del Consiglio dei ministri o su propria iniziativa e non si comprende, inoltre, quale dei due ministri abbia autorizzato la donazione, se il Ministro Clini o il Ministro Orlando;
   oltre alla donazione da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, secondo quanto riporta il quotidiano Libero e come si può evincere dall'elenco dei sottoscrittori italiani, si possono notare le donazioni da parte di grandi società pubbliche (di diritto privato) e private come Enel, Lottomatica, Monte dei Paschi di Siena e Pirelli;
   a giudizio dell'odierno interrogante tale donazione non appare congrua rispetto alle funzioni dei fondi stanziati con il bilancio dello Stato per il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che, non dovrebbero essere destinati per tali scopi, magari filantropici ma fuori dalla competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   a giudizio dell'odierno interrogante non si potrebbe né, tantomeno, dovrebbe contribuire con denaro pubblico ad attività private, anche se lodevoli e meritevoli;
   in un periodo di ristrettezze di bilancio come quello che sta attraversando il nostro Paese da molti anni, contribuire con denaro pubblico ad iniziative, non solo private ma in più straniere, costituisce secondo l'interrogante un affronto ed uno schiaffo morale nei confronti dei tanti italiani che non riescono ad affrontare le spese minime per la sopravvivenza. Non si riesce a giustificare tale spesa quando, viceversa, dal Governo in carica, di allora come di quello attuale, si oppongono carenze di risorse economiche per affrontare qualunque spesa pubblica destinata al benessere della collettività –:
   da quale capitolo di bilancio siano stati prelevati i soldi per questo contributo, chi li abbia autorizzati e quale provvedimento intenda adottare al riguardo. (4-08325)

  Risposta. — Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha aderito alla «Clinton Global Initiative» (citata dall'interrogante come «Clinton Foundation») negli anni 2009, 2010, 2011 e 2013, corrispondendo, per ciascuno di questi anni, la relativa quota associativa pari a 20.000 USD (ossia 14.065 euro nel 2009, 14.570,88 euro nel 2010, 14.490 euro nel 2011 e 14.765,59 euro nel 2013).
  I relativi provvedimenti di spesa, emanati con decreto direttoriale, risultano a firma del dottor Corrado Clini quale direttore generale pro tempore e sono stati effettuati a valere sui seguenti capitoli di bilancio:
   2214 P.G. 13 per il 2009;
   2214 P.G. 1 per il 2010;
   2038 P.G. 1 per il 2011,
   2215 P.G. 1 per il 2013.

  Si rappresenta che la sfida globale della «Clinton Global Initiative», organizzazione fondata dal Presidente Clinton quale momento di incontro e scambio tra i governi, il settore privato e le organizzazioni non governative, investe quattro aree tematiche quali la economic empowerment, istruzione, ambiente ed energia e global health, dando vita ad azioni di avvicinamento a modelli di sostenibilità ambientale e alla presentazione di progetti nell'ambito dello sviluppo sostenibile e della convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici nei paesi in via di sviluppo, a cui è destinata la contribuzione dell'Italia.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CIRIELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sono testimoni di giustizia tutti quei cittadini onesti che hanno avuto il coraggio di denunciare, testimoniando nelle aule dei tribunali o nelle altre sedi competenti, i misfatti delle mafie e i reati commessi dalle varie forme di criminalità organizzata;
   troppo spesso questi onesti cittadini, veri protagonisti della lotta alle mafie e alla corruzione, vengono dimenticati dalle istituzioni o, peggio ancora, lasciati soli, senza le opportune protezioni e ridotti alla povertà dopo aver avuto il coraggio di denunciare e la forza di andare contro corrente;
   il dramma quotidiano che i testimoni di giustizia sono costretti a vivere li ha portati ad associarsi e solo pochi giorni fa è sfociato in un vero e proprio presidio a Palazzo Chigi;
   in particolare, l'associazione dei testimoni di giustizia reclama l'emanazione dei decreti attuativi della legge voluta dal governo Letta, che prevede la loro assunzione nella pubblica amministrazione una volta usciti dal programma di protezione;
   il decreto-legge n. 101 del 2013, recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni», prevede, infatti, la possibilità che i testimoni giustizia possano essere assunti «in una pubblica amministrazione, con qualifica e funzioni corrispondenti al titolo di studio ed alle professionalità possedute»;
   in particolare, l'articolo 7 del decreto-legge dispone che «Con decreto del Ministro dell'interno, emanato ai sensi dell'articolo 17-bis, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione, sentita la commissione centrale di cui all'articolo 10, comma 2, sono stabilite le relative modalità di attuazione, anche al fine di garantire la sicurezza delle persone interessate.»;
   la legge sta per compiere un anno, ma ad oggi manca, appunto, il decreto attuativo per definire le modalità di attuazione per l'assunzione dei testimoni di giustizia nella pubblica amministrazione;
   altro problema riguarda, poi, la mancata costituzione della Commissione centrale ex articolo n. 10 decreto-legge 15 gennaio 1991 n. 8 («Nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia, nonché per la protezione e il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia») preposta a decidere in materia di questioni economiche, amministrative e di inserimento sociale dei testimoni di giustizia;
   a oltre 4 mesi dall'insediamento del nuovo Governo Renzi, infatti, il Ministro dell'interno non avrebbe ancora assegnato la delega per la pubblica sicurezza e, pertanto, non si sarebbe ancora provveduto alla ricostituzione della Commissione –:
   se il Governo sia a conoscenza dei esposti in premessa e, se, ed entro quali tempi, si intenda emanare il decreto attuativo di cui all'articolo 7 del citato decreto-legge n. 101 del 2013;
   se ed entro quali tempi il Ministro dell'interno intenda assegnare la delega per la pubblica sicurezza al fine di provvedere alla costituzione della commissione centrale ex articolo n. 10 del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8. (4-05954)

  Risposta. — La questione dell'inserimento nella società civile dei testimoni di giustizia è seguita con attenzione da questa amministrazione che di concerto con il Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione, ha emanato, il 18 dicembre 2014, il regolamento che, in attuazione della legge n. 125 del 2013, disciplina l'assunzione dei testimoni di giustizia per chiamata diretta nominativa nella pubblica amministrazione.
  Si sottolinea che tale assunzione non presuppone alcuna rinuncia all'assegno di mantenimento da parte del testimone protetto né impedisce la fruizione di interventi economici di carattere straordinario eventualmente necessari, già previsti dalla normativa vigente anche oltre la cessazione della protezione a fini di reinserimento sociale.
  Si evidenzia anche che l'applicazione ai testimoni di giustizia del diritto al collocamento obbligatorio nelle pubbliche amministrazioni, con precedenza, inserisce gli stessi tra gli appartenenti alle categorie protette, che non sono soggette ai limiti assunzionali stabiliti dalla normativa vigente.
  Per attuare il dettato normativo, il Servizio centrale di protezione, su disposizione della Commissione centrale, ha già avviato i delicati adempimenti che riguardano circa 300 testimoni di giustizia beneficiari, in atto o in passato, di speciale protezione.
  Ciò, seppure non può rappresentare garanzia assoluta dell'assunzione, costituisce il segnale tangibile di una doverosa attenzione verso coloro che hanno offerto un contributo essenziale alla giustizia.
  A questo proposito, si segnalano, da un lato, i recenti provvedimenti adottati dalla Regione Sicilia, che, in attuazione della legge regionale n. 22 del 2014 e del protocollo di intesa, siglato il 26 novembre 2014, tra il Ministro dell'interno e la stessa Regione, ha assunto oltre dieci testimoni di giustizia che hanno reso testimonianza in procedimenti avviati presso le procure della regione siciliana; dall'altro, la già annunciata disponibilità delle regioni italiane, attraverso il presidente della Conferenza delle regioni, Chiamparino, a mettere a disposizione dei testimoni, all'esito della ricognizione delle opzioni che i medesimi stanno esprimendo in questi mesi al Servizio centrale, un quadro di opportunità di lavoro nei luoghi nei quali essi hanno ricollocato il proprio domicilio, per evitare nuovi traumi e nuove difficoltà derivanti da ulteriori sradicamenti dai nuovi contesti sociali e relazionali che gli stessi testimoni e le loro famiglie hanno realizzato nel corso della loro permanenza.
  In ordine all'operatività della Commissione centrale per la definizione e applicazione delle speciali misure di protezione, si precisa che i nominativi dei componenti del predetto organo, istituito il 21 giugno 2013, con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della giustizia, sono stati integrati e confermati il 28 maggio 2014.
  La prima riunione della Commissione si è tenuta il 24 giugno 2014, dopo il conferimento – avvenuto il 10 giugno – della delega per la presidenza.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   COMINARDI, ALBERTI, BASILIO e SORIAL. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella provincia di Brescia persiste da anni un'emergenza sanitaria ed ambientale dovuta ad un'elevata concentrazione di inquinanti;
   in data 3 agosto 2013, appariva sul quotidiano brescia.corriere.it, la notizia che secondo l'Osservatorio epidemiologico dell'Asl di Brescia, nella provincia i tumori sono la prima causa di mortalità, pari al 34 per cento dei decessi complessivi;
   su tutti i 12 distretti sanitari (esclusa la Valcamonica), lo studio mostra come, a livello provinciale, il distretto sanitario di Monte Orfano, che comprende una buona fetta di Franciacorta (da Adro ad Erbusco e da Palazzolo a Pontoglio) registra un più 4,7 per cento, per tutti i tumori, un eccesso del 4,5 per cento anche per i distretti di Brescia Ovest (da Castegnato a Castelmella, da Rodengo Saiano ad Ospitaletto) e per quello di Brescia città;
   in data 14 maggio 2014, secondo un articolo del Fattoquotidiano.it che riprendeva il rapporto «Sentieri» dell'Istituto superiore di sanità e dell'AIRTUM (Associazione italiana registro tumori), vi sarebbe una correlazione diretta tra Pcb, diossine, i veleni dell'industria chimica «Caffaro» che hanno devastato il territorio e l'aumento delle neoplasie nella città di Brescia;
   sempre nello stesso articolo l'epidemiologo Paolo Ricci, responsabile dell'Osservatorio, dopo aver firmato insieme ad altri ricercatori il terzo rapporto dello studio Sentieri ha chiesto le dimissioni dei vertici Asl di Brescia per aver negato le conseguenze sanitarie dell'inquinamento da diossine;
   in data 14 novembre 2014 compariva sulla testata on line Bresciaoggi.it, un articolo riguardante l'ordinanza sindacale emanata dal comune di Brescia nel 2013 a seguito delle indicazioni dell'Asl, e reiterata nel 2014, che consente di calpestare terreni con l'erba dove si superano i limiti di presenza di Pcb e diossina, «senza che sia stata compiuta l'analisi di rischio» come dichiarato dallo storico ambientalista bresciano, Marino Ruzzenenti, che ha inoltre condannato «il negazionismo dell'Asl bresciana, la cui offensiva si sta intensificando, nonostante non esista in Italia un luogo più avvelenato di Brescia, peggio della Terra dei fuochi, peggio di Taranto»;
   a giudizio dell'interrogante, nonostante gli studi succedutisi negli anni sulle incidenze tumorali, è preoccupante che ancor oggi non vi sia rilievo delle ragioni che determinano tali patologie –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti riportati in premessa e se intendano proporre soluzioni, per quanto di loro competenza, al fine di difendere il diritto alla salute dei cittadini come sancito dall'articolo 32 della Costituzione, intervenendo su questa preoccupante emergenza sanitaria, anche attraverso un'indagine epidemiologica da parte dell'Istituto superiore di sanità. (4-06927)

  Risposta. — In merito alla problematica delineata negli atti parlamentari in esame, a cui si risponde congiuntamente, la prefettura-ufficio territoriale del governo di Brescia ha segnalato quanto segue.
  Il sito di interesse nazionale «Caffaro» di Brescia è oggetto di un accordo di programma tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la regione Lombardia, la provincia di Brescia, il comune di Castegnato (BS) ed il comune di Passirano (BS), per la definizione degli interventi di messa in sicurezza e successiva bonifica del sito stesso.
  Per tali interventi sono state stanziate risorse per circa 11.300.000 euro (di cui 2.000.000 ancora da ripartire sulla base di una proposta di priorità formulata dalla regione Lombardia in accordo con gli enti locali interessati), a favore di aree pubbliche per interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica, o per i medesimi interventi, in aree private in sostituzione e in danno dei soggetti responsabili della contaminazione, previa definizione, in quest'ultimo caso, dei passaggi giuridici e amministrativi previsti dalla normativa vigente.
  Per le acque sotterranee, l'Accordo di programma prevede, in particolare, lo svolgimento di attività finalizzate alla progettazione preliminare e definitiva degli interventi di messa in sicurezza e bonifica delle acque di falda.
  In relazione a quanto sopra, è stato messo a punto un modello di flusso della contaminazione della falda, propedeutico alla elaborazione, attualmente in corso, di uno studio di fattibilità ed alla conseguente progettazione preliminare e definitiva degli interventi necessari.
  L'aggiornamento e la gestione del modello di flusso sono stati affidati al dipartimento dell'agenzia regionale per la protezione ambientale di Brescia, in qualità di soggetto preposto al monitoraggio delle acque di falda ricadenti nel sito di interesse nazionale «Caffaro».
  Lo stato qualitativo delle acque sotterranee è monitorato periodicamente dal dipartimento ARPA e valutato in sede di conferenze di servizi, convocate dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per esaminare le diverse iniziative in atto o da intraprendere nell'area del sito di interesse nazionale, finalizzate, prioritariamente, alla tutela della salute pubblica.
  Le contaminazioni delle acque sotterranee nel sito sono imputabili a rilasci di inquinanti, prodotti dagli insediamenti industriali che si sono succeduti negli anni nell'area in argomento, con le conseguenti difficoltà a trattare situazioni caratterizzate da una contaminazione già estesa oltre i limiti del singolo insediamento.
  Per quanto attiene alla contaminazione idrica da cromo esavalente, l'amministrazione provinciale di Brescia ha emesso dei provvedimenti a carico dei responsabili della contaminazione, relativamente all'area Baratti, all'area Forzanini ed all'area Oto Melara.
  Per dette aree, lo stato di avanzamento dei procedimenti di messa in sicurezza e di bonifica è riconducibile a quanto di seguito riportato:
   area «Oto Melara»: l'azienda ha attivato un impianto di messa in sicurezza della falda (marzo 2014) ed ha presentato il progetto di bonifica dei suoli, nonché il progetto di messa in sicurezza operativa della matrice acque di falda (aprile 2015);
   area «Forzanini»: il Ministero dell'ambiente ha sollecitato i soggetti coinvolti ad adottare le misure di prevenzione necessarie ad impedire l'ulteriore diffusione della contaminazione.
   Nel gennaio 2015, i soggetti interessati hanno presentato una proposta di messa in sicurezza d'emergenza delle acque sotterranee, e i risultati preliminari della fase conclusiva del «piano di caratterizzazione matrice suolo e sottosuolo» del sito.
   Tale proposta di messa in sicurezza è stata approfondita, a livello locale, nel corso di una riunione tecnica appositamente convocata dalla regione, i cui esiti sono stati trasmessi al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel marzo scorso.
   area «Baratti»: il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha approvato, con prescrizioni, il progetto operativo di bonifica, trasmesso dall'azienda interessata, relativamente alla matrice acque sotterranee (10 aprile 2014).

  Nella Conferenza di Servizi convocata dal comune di Brescia in data 27 marzo 2015, si è preso atto del Progetto di bonifica per la matrice suolo e sottosuolo, presentato dall'azienda in procedura semplificata ai sensi dell'articolo 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Gli accertamenti compiuti dal Dipartimento ARPA di Brescia sulla barriera idraulica installata nell'area in esame, hanno evidenziato inadempienze rispetto alle prescrizioni impartite ai soggetti coinvolti.
  In considerazione di quanto sopra esposto, si è svolta, presso il Ministero dell'ambiente, una riunione tecnica, ove si è convenuto che la proposta formulata dalla regione Lombardia in ordine ai 2.000.000 di euro ancora da ripartire, deve tenere conto di eventuali interventi sostitutivi e delle attività di monitoraggio e di aggiornamento del modello idrogeologico da parte del dipartimento ARPA di Brescia.
  Nel corso di un'altra riunione, convocata dalla Regione, è stato raggiunto un accordo che prevede l'assegnazione al dipartimento ARPA di circa 200.000 euro a copertura delle attività svolte al riguardo, per due anni, con l'intesa che, al termine del periodo stabilito, lo stesso dipartimento presenti un'ulteriore proposta, basata sullo sviluppo delle conoscenze e della situazione delle acque sotterranee; inoltre, si è stabilita la messa a disposizione del soggetto pubblico attuatore, di 400.000 euro, per eventuali attività sostitutive a carico di soggetti inadempienti, in sostituzione e in danno degli stessi, ferma restando, in tal caso, l'osservanza delle procedure previste in merito dalla legge.
  Per gli aspetti di competenza, l'istituto superiore di sanità ha inteso precisare che lo stabilimento «Caffaro» di Brescia, nel quale sono stati prodotti policlorobifenili (PCB) dalla fine degli anni trenta al 1984, ha riversato per decenni i rifiuti della lavorazione in un corso d'acqua comunicante con la rete delle rogge, che ha a sua volta contaminato suoli agricoli e catena alimentare: i gruppi di popolazione caratterizzati dai più elevati livelli ematici di PCB sono stati riscontrati fra gli ex lavoratori della «Caffaro» e fra i consumatori di alimenti contaminati.
  L'esposizione professionale a PCB nelle aziende metallurgiche di Brescia e della Provincia contribuisce all'innalzamento dei livelli ematici di PCB, in particolare dei fonditori, degli addetti alle colate e dei manutentori.
  È recente la pubblicazione, da parte di un gruppo di lavoro della IARC-International Agency for Research on Cancer, sulla valutazione della cancerogenicità dei PCB, in base alla quale questi agenti sono allocati alla categoria «cancerogeni per l'uomo», e si individua un nesso causale con i melanomi cutanei (evidenza sufficiente), i linfomi non Hodgkin e il tumore della mammella (evidenza limitata).
  Nel contesto di Brescia, come mostrato dai risultati dello studio SENTIERI, sviluppato dall'istituto superiore di sanità, si rileva che:
   a) per il melanoma, si osservano eccessi nella popolazione maschile (incidenza e ricoveri ospedalieri) e femminile (incidenza e ricoveri ospedalieri); la mortalità è compatibile con l'attesa;
   b) per il tumore della mammella, si osservano eccessi di incidenza e ricoveri ospedalieri e mortalità compatibile con l'attesa;
   c) per i linfomi non Hodgkin, si osservano eccessi di incidenza (in particolare nelle donne) e di ricoveri ospedalieri; mortalità compatibile con l'attesa.

  La coerenza di fondo tra le indicazioni fornite dai dati di incidenza e di ospedalizzazione e, in misura minore, dai dati di mortalità, corrobora l'ipotesi di un contributo dell'esposizione a PCB all'eziologia di queste patologie nella popolazione di Brescia.
  A questo proposito, una recente rassegna della letteratura scientifica ha mostrato come i livelli ematici di tossicità equivalente, relativi a diossine e altri composti diossino-simili, tra cui i PCB, riscontrati nella popolazione generale residente a Brescia, siano fra i più elevati osservati a livello internazionale.
  Questi elementi giustificano sia il perseguimento di un insieme di obiettivi attinenti al risanamento ambientale, in corso di attuazione, sia il potenziamento dei programmi di sorveglianza epidemiologica e di monitoraggio, anche biologico, che vedono già impegnate le aziende sanitarie locali territorialmente competenti e il registro tumori, in collaborazione con l'istituto superiore di sanità.
  Questo insieme di studi appare appropriato anche in relazione alla messa a punto di un piano di comunicazione a beneficio della popolazione interessata.
  Da ultimo, l'istituto superiore di sanità ha segnalato che è in corso un'attività di valutazione presso la Sezione III del consiglio superiore di sanità, ai fini della formulazione di un parere riguardante il cromo esavalente nell'ambito del decreto legislativo n. 31 del 2001, concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   D'AMBROSIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il Sito di San Nicola Imbuti presso Cagnano Varano (FG), chiamato così per la forma ad imbuto che si sviluppa verso il lago, era già importante per la presenza di un Monastero Benedettino, luogo di passaggio di molti pellegrini diretti alla Città del Monte;
   questa località rappresenta certamente un capitolo importantissimo tra le bellezze di interesse storico e paesaggistico del territorio in oggetto;
   la sua importanza, in seguito, divenne ancora maggiore quando fu realizzato l'idroscalo Ivo Monti. Si tratta di un grande insediamento costituito di tre hangar e diverse palazzine atte a svolgere tutte le attività necessarie in una base militare, dai dormitori agli uffici, dalle infermerie alle cucine;
   in occasione della prima guerra mondiale, la predetta base militare ha assunto importanti funzioni nel conflitto Italo-Austriaco ma a guerra finita molte opere non furono più ultimate. Successivamente la base funzionò anche nel secondo conflitto mondiale ma da allora cadde in disuso. L'idroscalo che è di proprietà della marina militare, non viene utilizzato ormai da tempo ed è in stato di abbandono;
   tale sito potrebbe essere utilizzato proficuamente, magari anche per operazioni connesse alla protezione civile, sottraendolo all'attuale situazione di degrado –:
   se si intenda sottrarre l'idroscalo Ivo Monti all'attuale stato di degrado ed a quale utilizzo lo si intenda destinare.
(4-02058)

  Risposta. — Il bene oggetto dell'interrogazione in esame è stato inserito nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, datato 11 agosto 1997, come bene dismissibile, ai sensi della legge n. 662 del 1996.
  La normativa relativa al programma di dismissioni degli immobili individuati dalla Difesa prevede una procedura molto articolata: infatti, relativamente al caso di cui parliamo si fa presente che, a seguito dell'offerta pubblica di vendita, effettuata dall'allora Direzione generale dei lavori e del demanio attraverso la concessionaria servizi assicurativi pubblici SpA, il bene fu assegnato provvisoriamente alla società Enoagrimm, che versò in data 14 luglio 2004 la caparra prevista in attesa di concludere il contratto definitivo.
  Successivamente, il Ministero per i beni culturali ed ambientali, competente a pronunciarsi in ordine alla eventuale sussistenza dell'interesse storico-artistico sul bene in questione, ha rilasciato l'autorizzazione paesaggistica prevista, necessaria ai fini di un corretto svolgimento delle procedure di alienazione.
  La società aggiudicataria non si è mai presentata per la sottoscrizione del contratto definitivo, sebbene fosse stata ripetutamente invitata.
  La Direzione generale tecnica, quindi, ha comunicato alla società l'avvenuta revoca dell'aggiudicazione provvisoria, con la ritenuta della caparra versata, secondo la normativa vigente in materia.
  La società, per contro, ha citato in giudizio il Dicastero ai fini della restituzione della sola caparra, senza chiedere l'assegnazione del bene.
  Il contenzioso, peraltro, è tuttora in atto.
  Ciò detto, con specifico riguardo al quesito relativo «a quale utilizzo si intenda destinare» il bene in argomento, si ribadisce quanto sopra evidenziato e cioè che, allo stato, il bene risulta inserito tra i beni dismissibili della Difesa per la successiva alienazione/permuta/valorizzazione e gestione, ai sensi dell'articolo 3, comma 112, della legge n. 662 del 1996.
  In ragione di ciò, si segnala che solo all'esito della definizione del contenzioso attualmente in corso, gli enti interessati all'utilizzo del cespite potranno avanzare formale richiesta all'amministrazione militare.
  Quest'ultima, valutata la sussistenza della mancanza di interesse per fini istituzionali, provvederà a disporre la successiva dismissione a favore dell'Agenzia del demanio, autorità istituzionalmente competente ad avere in consegna in uso governativo i beni dismessi delle amministrazioni pubbliche.
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'interno con decreto ministeriale 24 novembre 2011 ha bandito un concorso per 2.800 allievi agenti, riservato ai volontari in ferma di leva congedati senza demerito;
   nella graduatoria approvata con decreto del Ministero dell'interno del 5 novembre 2012 figurano 2.800 vincitori ed ulteriori 939 idonei;
   sulla Gazzetta Ufficiale, serie speciale 26 marzo 2013, il Ministero dell'interno ha bandito un ulteriore concorso per il reclutamento di 964 allievi agenti senza prima aver provveduto all'utilizzo della graduatoria degli idonei del precedente concorso;
   dei 939 allievi agenti idonei, 86 hanno presentato ricorso al TAR Lazio per impugnare il nuovo bando di concorso 2013 e questo, con sentenza n. 7482/2013, in data 23 luglio 2013, ha accolto, nei limiti dell'interesse dei soli rincorrenti, l'annullamento in parte del bando impugnato in quanto ha riconosciuto agli idonei il diritto allo scorrimento in base alla recente sentenza dell'adunanza plenaria n. 14/2011 del Consiglio di Stato, in cui si afferma che tutte le pubbliche amministrazioni, senza distinzione di soggettività e oggettività, con graduatorie valide ed efficaci come previsto dall'articolo 35, comma 5-ter, della legge n. 165 del 2001, sono soggette a scorrimento, in quanto tale principio ha una valenza di carattere generale ed è riferito indistintamente a tutte le amministrazioni pubbliche anche quelle regolate da speciali discipline di settore come la polizia di Stato;
   il principio di scorrimento delle graduatorie è rafforzato ed autorizzato da due importane decreti-legge: il cosiddetto decreto «D'Alia» (decreto-legge n. 101 del 2013) sulla razionalizzazione della spesa della pubblica amministrazione convertito con modificazioni dalla legge n. 125 del 2013. Queste leggi si riferiscono indistintamente a tutte le amministrazioni regolate dalla legge n. 165 del 2001 e quindi anche il comparto sicurezza;
   il Ministero impugna la predetta sentenza amministrativa dinanzi al Consiglio di Stato;
   il 27 novembre 2013, incurante della sentenza del TAR ancora valida e mai eseguita, il Ministero pubblica la graduatoria del concorso 964 allievi agenti, non rispettando in alcun modo né il decreto-legge n. 101 del 2013, né la sentenza del TAR 7482 in questione;
   di seguito all'inadempienza del Ministero, gli 86 allievi agenti hanno depositato ricorso per l'ottemperanza della sentenza del TAR nel mese di dicembre 2013 e chiesto, nell'udienza fissata il 13 febbraio 2014, la sospensione della graduatoria pubblicata, atteso che nelle more è intervenuta la sentenza del Consiglio di Stato 14 gennaio 2014, n. 100, che ha accolto l'appello proposto avverso la suindicata sentenza di I primo grado;
   il 19 febbraio 2014, il giudice dell'ottemperanza a cui avevano richiesto appello si è espresso ritenendo fondato il loro ricorso e sospendendo attraverso misura cautelare la graduatoria dei 964 allievi agenti –:
   se non si ritenga opportuno sopperire a tale inadempimento e quindi procedere all'assunzione degli 86 ricorrenti scorrendo la graduatoria de quo. (4-04746)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante chiede quali iniziative intenda assumere il Ministro dell'interno per procedere all'immediata assunzione di coloro che sono risultati idonei al concorso pubblico a 964 posti di allievo agente della Polizia di Stato, con particolare riferimento agli 86 idonei che hanno impugnato il relativo bando.
  Il tema evidenziato è stato oggetto di attenta valutazione da parte dell'Amministrazione dell'interno, a cui erano ben note le aspirazioni degli idonei.
  Prima del recente intervento del Parlamento, non era stato possibile venire incontro alle aspettative degli interessati, per i limiti posti dal codice dell'ordinamento militare. In base a tali disposizioni, infatti, i posti da mettere a concorso per il reclutamento del personale nelle carriere iniziali delle Forze di polizia sono determinati attraverso un meccanismo assunzionale del tutto peculiare, modellato sulle specifiche esigenze della Difesa e correlato alla necessità di garantire, con cadenza periodica predeterminata, un sufficiente numero di volontari.
  Tra le altre criticità vi era quella di salvaguardare i diritti dei vincitori appartenenti alla cosiddetta seconda aliquota e in ferma quadriennale, per i quali sussisteva l'obiettivo pericolo di uno scavalcamento da parte degli idonei, con elevati rischi di contenzioso.
  Era stato anche rilevato come l'assunzione degli idonei dei concorsi già espletati avrebbe comportato l'incorporamento di personale con una maggiore anzianità anagrafica, con ulteriori ripercussioni negative sul problema dell'innalzamento dell'età media del personale delle Forze di polizia.
  In presenza di tali vincoli, si ritiene che, in sede di conversione del decreto-legge n. 90 del 2014, il Parlamento, con la concorde valutazione del Governo, abbia individuato una soddisfacente soluzione al problema realizzando un equilibrato bilanciamento dei vari interessi in gioco. Intanto perché l'autorizzazione allo scorrimento delle graduatorie in favore degli idonei, ivi contenuta, riguarda i soli concorsi di accesso alle Forze di polizia indetti nel 2013 e, quindi, per quanto concerne la Polizia di Stato, esclusivamente il concorso a 964 posti, con un impatto contenuto sul sistema di reclutamento. Inoltre, il ricorso allo scorrimento trova la sua motivazione nelle maggiori esigenze connesse alla sicurezza di Expo 2015, rendendo evidente il suo carattere di misura del tutto straordinaria.
  In attuazione del predetto decreto-legge tutti i 502 idonei del concorso a 964 posti sono stati già dichiarati vincitori con decreto del Capo della Polizia del 25 agosto 2014 e, dal successivo 16 settembre, stanno frequentando il prescritto corso di formazione presso le Scuole allievi agenti di Alessandria e Brescia.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 16 della legge n. 226 del 23 agosto 2004 stabilisce che i vincitori dei concorsi pubblici per il reclutamento di allievi agenti della polizia di Stato devono completare la ferma quadriennale nelle forze armate prima di poter essere immessi nel ruolo degli agenti ed assistenti della polizia di Stato;
   in particolare, con la disposizione succitata è previsto che l'immissione in ruolo del 55 per cento dei vincitori avvenga immediatamente mentre il restante 45 per cento è immesso in ruolo solo dopo aver prestato servizio come volontario in ferma prefissata quadriennale nelle Forze armate;
   con decreto ministeriale è stato indetto il 30 ottobre 2006 un concorso pubblico per il reclutamento di 1507 allievi agenti della polizia di Stato;
   con decreto ministeriale del 21 novembre 20,08 è stato indetto ulteriore concorso pubblico per il reclutamento di 907 allievi agenti della polizia di Stato;
   con decreto ministeriale 30 luglio 2011 è stato indetto un concorso per il reclutamento di 1600 allievi agenti della polizia di Stato con determinazione di due aliquote di posti;
   il decreto-legge n. 101 del 2013 relativo alla spesa della pubblica amministrazione, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2013, rafforza il principio di scorrimento delle graduatorie;
   nonostante fossero disponibili candidati risultati idonei vincitori nel concorso di cui sopra ed in quelli indetti nel 2006 e 2008, il Ministero ha ritenuto di dover procedere all'indizione di un nuovo concorso per il reclutamento di ulteriori 964 allievi agenti di polizia in contrasto con la «Legge D'Alia» del 30 ottobre 2013 sulla pubblica amministrazione, la quale prevede che «non si possono bandire nuovi concorsi senza prima aver assunto tutti gli idonei collocati nelle graduatorie» –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro in ordine ai fatti sopra indicati e con quali modalità intenda darvi corso. (4-06307)

  Risposta. — Con l'interrogazione in oggetto l'interrogante sostiene che il concorso pubblico a 964 posti di allievo agente della Polizia di Stato sia in contrasto con il decreto-legge n. 101 del 2013 (articolo 4), convertito con legge n. 125 del 2013, essendo stato bandito dall'Amministrazione dell'interno senza prima aver assunto tutti gli idonei collocati nelle proprie graduatorie vigenti per l'accesso all'analoga qualifica.
  In proposito, si ritiene che l'argomentazione portata a sostegno della tesi non deponga nel senso della sussistenza di un vincolo giuridico cogente per questa amministrazione.
  Intanto, il decreto-legge n. 101 del 2013 ha corrisposto alla sentita esigenza, pendente da molto tempo, di dare una risposta in termini equitativi e risolutivi alla delicata questione che le amministrazioni pubbliche, anziché procedere all'esaurimento della graduatorie ancora «aperte», preferissero ricorrere all'instaurazione di rapporti di lavoro precario; sicché quelle norme pongono disposizioni di principio tendenti a contrastare un fenomeno annoso e a creare le condizioni perché non abbia più a ripetersi.
  Si deve considerare, inoltre, che le norme contenute nel codice dell'ordinamento militare, che disciplinano il reclutamento nelle carriere iniziali delle Forze di polizia e che per questo motivo debbono ritenersi norme speciali, prevedono che si provveda annualmente alla determinazione dei posti da mettere a concorso, dando luogo ad un meccanismo assunzionale del tutto peculiare, modellato, infatti, sulle specifiche esigenze della Difesa e correlato alla necessità di garantire, con cadenza periodica predeterminata, un sufficiente numero di volontari.
  Tale orientamento trova conforto nella giurisprudenza amministrativa (cfr. Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza n. 14 del 28 luglio 2011; TAR Lazio sezione I-ter, sentenza n. 12521 del 27 novembre 2014) che, pur affermando la valenza generale dell'istituto dello scorrimento della graduatoria, ha tuttavia fatto presente che la sua applicazione recede innanzi a discipline settoriali speciali che, per specifiche ragioni di prevalente interesse pubblico, introducano canali assunzionali paralleli – come appunto quelli in discorso – a quelli applicabili al pubblico impiego.
  Tanto dedotto, si esprime l'avviso che il concorso pubblico a 964 posti di allievo agente della Polizia di Stato sia del tutto legittimo.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   DE LORENZIS, PETRAROLI e NICOLA BIANCHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   ogni attività produttiva produce un rifiuto attraverso la produzione di scorie, residui, scarti di lavorazione, vuoti a perdere, involucri, liquidi di scarto;
   per gestione dei rifiuti si intende l'insieme delle politiche, procedure o metodologie volte a gestire l'intero processo dei rifiuti, dalla loro produzione fino alla loro destinazione finale coinvolgendo quindi la fase di raccolta, trasporto, trattamento (riciclaggio o smaltimento) fino al riutilizzo dei materiali di scarto, solitamente prodotti dall'attività umana, nel tentativo di ridurre loro effetti sulla salute umana e l'impatto sull'ambiente;
   il Regolamento (CE) n. 2150/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2002 delinea le statistiche comunitarie sulla gestione dei rifiuti. Il quadro dovrebbe permettere all'Unione europea (UE) di disporre di dati regolari e comparabili al fine di seguire l'attuazione della politica comunitaria in materia di produzione, recupero e smaltimento dei rifiuti;
   la gerarchia dei rifiuti è stabilita dall'articolo 4 della direttiva 2008/98/CE: nell'applicare tale gerarchia dei rifiuti di cui al paragrafo 1, gli Stati membri adottano misure volte a incoraggiare le opzioni che danno il miglior risultato ambientale complessivo;
   la gestione integrata dei rifiuti in Italia è stata introdotta con il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 («Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio» cosiddetto decreto Ronchi del 1997) emanato in attuazione delle predette direttive dell'Unione europea;
   la materia inerente la gestione dei rifiuti è oggi raccolta nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 «Norme in materia ambientale» conosciuto anche come Testo unico ambientale e nelle successive modificazioni e integrazioni a esso con particolare riferimento al decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205 recante l'armonizzazione del citato testo unico con la direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti;
   per quanto concerne il trasporto aereo, i servizi offerti ai passeggeri durante i viaggi (pasti, bevande, giornali e altro) comportano una produzione consistente quotidiana e annuale di rifiuti: si tratta in genere di carta, plastica, vetro e rifiuti organici;
   risulta all'interrogante, che ogni passeggero mediamente utilizza differenti materiali tra giornali, bicchieri, fazzoletti, bottiglie, involucri per alimenti, contenitori per succhi in tetrapack e altri;
   sulla suddetta questione non risultano esserci per i gestori norme cogenti in tema di sanzioni, tariffe incentivanti per la riduzione, riuso e per il riciclo dei rifiuti, se non su base volontaristica da parte delle società di gestione degli aeroporti o nell'ambito dei contenuti del regolamento di Scalo di cui all'articolo 2, comma 3, del decreto-legge 8 settembre 2004 n. 237, convertito con modificazioni dalla legge 9 novembre 2004, n. 265;
   come noto, il regolamento di Scalo, è predisposto dal gestore aeroportuale e adottato dalla direzione aeroportuale ENAC;
   generalmente, ove richiesto dal gestore aeroportuale, l'operatore seleziona e conferisce separatamente i propri rifiuti urbani secondo la normativa in materia di raccolta differenziata. Per i rifiuti di origine alimentare provenienti dagli aeromobili in forza delle normative sanitarie vigenti sono gestiti direttamente dai caterers che ne assicurano, altresì, la gestione e lo smaltimento;
   come noto, i green public procurement (GPP) rappresentano uno valido strumento finalizzato a orientare l'acquisizione di prodotti e servizi da parte delle amministrazioni pubbliche nella direzione della sostenibilità ambientale;
   nel campo della ristorazione collettiva, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha stabilito precise indicazioni in tal senso attraverso la predisposizione di criteri ambientali minimi –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   di quali dati aggiornati i Ministri interrogati dispongano in relazione alla quantità e alla tipologia dei rifiuti provenienti ogni anno dal traffico aereo durante il trasporto aereo dei passeggeri in Italia;
   se i Ministri interrogati ai sensi dell'articolo 195, comma 1, lettera f) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 nell'esercizio dei propri poteri relativi all'organizzazione e attuazione della raccolta differenziata dei rifiuti urbani intendano adottare nell'ambito del trasporto aeroportuale, misure a favorire la riduzione a monte dei rifiuti, promuovendo l'utilizzo di imballaggi e oggetti riutilizzabili o compostabili (stoviglie, contenitori ed altro) e contestualmente limitando il ricorso a prodotti monouso ovvero non differenziabili e reciclabili, anche qualora nel territorio comunale ove sorge l'aerostazione non sia attiva la raccolta della frazione organica dei rifiuti, conformemente al principio di prevenzione e riciclo della produzione di rifiuti, se del caso, prendendo a riferimento anche i criteri ambientali minimi di cui al decreto ministeriale 25 luglio 2011 (Gazzetta Ufficiale n. 220 del 21 settembre 2011), in tema di ristorazione collettiva –:
   se non intendano adottare le opportune iniziative normative affinché ciascun gestore aeroportuale, vettore aereo, ente pubblico locale interessato siano obbligati a pubblicare sul proprio sito web una relazione mensile sull'implementazione delle politiche di riduzione, riuso e riciclo che includa il dettaglio giornaliero ovvero settimanale della raccolta differenziata operato indicando il peso delle varie categorie di rifiuto raccolte comprendendo anche quelle non differenziata;
   se i Ministri interrogati intendano farsi promotori di una azione di informazione relativamente questa problematica in sede europea, sollecitando ove necessario, l'adeguamento delle direttive esistenti in materia. (4-07762)

  Risposta. — In relazione alla problematica affrontata dagli interroganti, si riferisce innanzitutto che nei contratti di programma, sia ordinari che in deroga, stipulati dall'Ente nazionale per l'aviazione civile – Enac con le principali società di gestione aeroportuale, per quanto riguarda la gestione dei rifiuti in ambito aeroportuale sono previsti appositi obblighi contrattuali che si sostanziano nella presentazione di un «Piano della qualità e della tutela ambientale».
  Nell'ambito di detto piano, a ciascun indicatore, individuato all'interno di un set definito dall'ente, sono associati i valori rilevati nell'anno base del periodo oggetto del contratto, nonché gli obiettivi di miglioramento degli stessi.
  Il superamento degli obiettivi, verificato in fase di monitoraggio ex post, ha un impatto tariffario positivo per il gestore in termini di premio, mentre, diversamente, il mancato raggiungimento degli stessi determina una penalità in tariffa.
  Si segnalano, oltre all'utilizzo di fonti rinnovabili, al risparmio energetico, all'abbattimento del rumore e delle emissioni, i seguenti indicatori ambientali che qui più interessano:
   trattamento differenziato dei rifiuti, misurato mediante la quantità (quintali) di rifiuti raccolti in modo differenziato;
   trattamento delle acque reflue, misurato mediante la quantità di sostanze pericolose (fosforo, azoto totale, sst) disciolte nelle acque reflue.

  Si fa presente, inoltre, che anche nei modelli tariffari adottati dall'autorità di regolazione dei trasporti, competente in materia tariffaria per gli aeroporti sprovvisti di contratto di programma, è stato recepito lo stesso meccanismo di premio/penalità correlato alla presentazione del «piano di qualità e di tutela ambientale», la cui competenza sia per quanto riguarda l'approvazione che il monitoraggio, resta in capo all'Enac.
  A tal proposito, nell'ambito dei modelli sopra richiamati, tra gli indicatori presenti nel set, si segnalano:
   trattamento delle acque, mediante captazione e riutilizzo delle acque meteoriche per usi aeroportuali (misurabili in termini percentuali) e/o mediante recupero delle acque di prima pioggia tramite la copertura degli edifici (misurabili in termini di quantità);
   raccolta differenziata dei rifiuti non pericolosi, misurata in termini percentuali dei rifiuti separati sul totale dei rifiuti;
   separazione dettagliata dei rifiuti non pericolosi al fine di una massimizzazione del riuso o riciclaggio, misurato in misura percentuale;
   raccolta differenziata, compattazione, stoccaggio ed eventuali operazioni di recupero, riciclaggio o smaltimento in situ, misurato in termini di quantità di rifiuti trattati sul totale dei rifiuti.

  Non v’è dubbio, in ultimo, che i criteri ambientali minimi (CAM) – nell'ambito delle iniziative in tema di green public procurement – adottati con decreto ministeriale del 25 luglio 2011 per la categoria merceologica «ristorazione collettiva e derrate alimentari» possono costituire un modello di riferimento per l'implementazione, in positivo, delle iniziative già in corso di cui si è riferito, pur tenendo conto della peculiarità del servizio di catering offerto a bordo degli aeromobili.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   LUIGI DI MAIO, LOMBARDI, CIPRINI, BECHIS, NESCI, DIENI e FRUSONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende dalle segnalazioni della Confederazione sindacale autonoma di polizia (d'ora in poi CONSAP), nonché da fonti di stampa, una scena surreale e drammatica si svolge ogni giorno sulla pista dell'aeroporto di Fiumicino nella quale vi sono degli algerini che cercano di entrare clandestinamente in Italia e agenti della polizia di frontiera che li inseguono. Secondo il sindacato di polizia, solo nel mese di settembre ben 35 algerini arrivati dal loro Paese sarebbero riusciti a uscire dallo scalo romano invece di proseguire per Istanbul. La polizia aeroportuale di Fiumicino smentisce seccamente la notizia, emersa durante un'assemblea della stessa polizia, e pur riconoscendo il fenomeno assicura che i 35 di settembre sono stati tutti ripresi, attenuando quindi il timore che attraverso questa via possano infiltrarsi in Italia uomini dello Stato islamico (Isis) per compiere attentati;
   tuttavia, il responsabile nazionale del CONSAP, che per primo aveva lanciato un allarme circa i 35 algerini in fuga, sostiene che «dall'inizio dell'anno sono circa 500 gli algerini arrivati all'aeroporto di Fiumicino e spariti nel nulla. Il fenomeno è ormai consolidato ed è stato segnalato sia al Ministero dell'interno sia alla direzione dello scalo romano». La polizia aeroportuale replica sostenendo che dall'aeroporto Leonardo da Vinci «non sparisce nessuno»;
   secondo quanto si apprende da fonti di stampa, il descritto fenomeno del tentativo di ingresso illegale di cittadini algerini attraverso la frontiera aeroportuale di Roma è ben conosciuto dalle forze di polizia, che lo monitorano da oltre un anno e nei confronti del quale si è già intervenuti, dicono i vertici della polizia di frontiera cercando soluzioni sia diplomatiche che commerciali. Ogni giorno, infatti, con il volo Alitalia Algeri-Roma che atterra alle 14,35 arriverebbero cittadini algerini ufficialmente diretti a Istanbul, in possesso di un visto per la Turchia, che, una volta in transito nell'aeroscalo romano, invece di aspettare la coincidenza per Istanbul, tentano in tutti i modi di scappare, per rimanere clandestinamente in Italia. Secondo alcune segnalazioni, addirittura, per tentare la fuga sulla pista senza essere individuati i fuggiaschi utilizzerebbero gli stessi gilet catarifrangenti del personale di terra dell'aeroporto e sarebbero in corso indagini per capire come se li siano procurati;
   per quanto da fonti di stampa si apprenda che, al momento, secondo l'opinione degli investigatori questi tentativi di fuga – riusciti o meno – sarebbero da addebitarsi ad una nuova frontiera del traffico di vite umane, rimane comunque il terribile sospetto che queste fughe siano organizzate per alimentare gli organici delle organizzazioni terroristiche internazionali che da tempo lanciano proclami minacciosi contro il nostro Paese –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto e quale sia il suo orientamento in merito, considerata la gravità del fenomeno;
   se il Ministro interrogato non ritenga altamente opportuno rafforzare il controllo sui voli in arrivo da Algeri e da Istanbul;
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda porre in essere per verificare le stime del sindacato CONSAP ed, eventualmente, per localizzare chi fosse effettivamente riuscito a fuggire dallo scalo aeroportuale romano. (4-06319)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante pone all'attenzione di questa amministrazione la questione dell'efficienza dei controlli di frontiera all'interno dell'aeroporto di Fiumicino, soprattutto in considerazione dell'alto livello di allarme sociale causato dal terrorismo di matrice islamica e dal fenomeno dei foreign fighters.
  In particolare, chiede chiarimenti in merito a quanto denunciato da un sindacato di polizia, per il quale nel 2014 sarebbero giunti all'aeroporto di Fiumicino almeno 500 cittadini algerini dei quali si sarebbero poi perse le tracce.
  Occorre premettere che i tentativi di entrare illegalmente in Italia sono posti in essere da cittadini algerini di giovane età che giungono all'aeroporto Leonardo da Vinci esclusivamente tramite voli di linea Alitalia provenienti da Algeri o Istanbul (ve ne sono complessivamente dieci al giorno), avendo come apparente destinazione finale del viaggio un Paese extra-Schengen.
  In realtà, approfittando della sosta per l'imbarco sul volo extra-Schengen, i medesimi tentano di dileguarsi attraverso gli espedienti più disparati. La tecnica più utilizzata consiste nell'illecita apertura delle porte di sicurezza delle sale passeggeri che, in quanto tali, sono allarmate ma non possono essere chiuse a chiave. In questo modo gli algerini raggiungono le aree di manovra degli aeromobili, le vie di scorrimento interne del sedime aeroportuale e, infine, la recinzione perimetrale dell'aeroporto, dando luogo a situazioni di estrema pericolosità sotto il profilo della sicurezza aeroportuale e del trasporto aereo.
  Al fine di contrastare efficacemente tale flusso migratorio illegale, la Polizia di frontiera aerea di Fiumicino ha adottato una serie di misure, tra le quali, in particolare, il rafforzamento dei controlli all'interno dell'aerostazione e dei piazzali di manovra e l'individuazione di alcune soluzioni operative condivise con l'Alitalia.
  Contestualmente, in considerazione dell'incisività e della complessità del fenomeno, il Dipartimento della pubblica sicurezza ha inoltrato reiterate, specifiche segnalazioni al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e ha parimenti avviato contatti diretti con l'ambasciata algerina in Italia, sollecitando, per gli aspetti di rispettiva competenza, l'adozione di interventi volti a frenare all'origine la partenza dei potenziali migranti.
  Atteso che tali misure non si sono rivelate risolutive, la Polizia di frontiera ha chiesto e ottenuto dalla società Aeroporti di Roma, che gestisce l'aeroporto, l'allestimento di un'apposita sala transiti, funzionante dal 13 ottobre 2014, nella quale vengono ospitati quei cittadini algerini che si ritiene di sottoporre a più approfonditi accertamenti di frontiera, essendo stati considerati, ad una prima valutazione speditiva degli operatori di polizia specializzati, come soggetti a rischio di ingresso irregolare in Italia.
  Alla struttura è stato associato, nella fascia oraria che va dalle sette del mattino a mezzanotte, un servizio di vigilanza che vede l'impiego di un rilevante contingente di personale di polizia.
  Dalla data di costituzione della sala, che è il 13 ottobre 2014 e fino al 31 maggio 2015, i cittadini algerini in transito aeroportuale per Fiumicino e oggetto dei controlli sono stati circa 13.925; di essi circa 4.475 sono stati condotti nella sala per essere poi intervistati da operatori specializzati in forza all'Unità investigativa di frontiera, ai fini dell'accertamento delle motivazioni del viaggio e delle reali destinazioni finali, nonché dell'adozione dei provvedimenti del caso. L'adozione di questa misura di contenimento, tuttora in vigore, ha avuto come effetto il quasi totale azzeramento del fenomeno.
  Dai dati emerge che i passeggeri algerini resisi irreperibili dalla costituzione della sala transiti sono stati solo 9, a fronte dei 246 casi di irreperibilità registrati nel corso nel 2014, fino al 12 ottobre di tale anno.
  Come si vede, si tratta di risultati importanti, ottenuti grazie al lavoro svolto quotidianamente sul posto dagli operatori della Polizia di frontiera, in sinergia con il personale del dispositivo di sicurezza aeroportuale, composto da unità della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza, e con il contingente di rinforzo che quotidianamente il dipartimento della pubblica sicurezza invia presso lo scalo romano.
  Si rappresenta inoltre che, contestualmente, la Polizia di frontiera sta collaborando con l'autorità giudiziaria, segnatamente con la procura della Repubblica di Civitavecchia, fornendo un aggiornato quadro informativo sulla problematica in esame e sulle misure messe in campo per contrastarne l'evoluzione.
  Per quanto attiene l'identità, il numero e la nazionalità dei passeggeri resisi irreperibili, si rappresenta che i cittadini algerini che viaggiano sulle linee della compagnia Alitalia sono tutti titolari di un valido documento di viaggio e dispongono della necessaria documentazione in grado di giustificare il loro transito nello scalo romano, mentre non è necessario, secondo le attuali normative comunitarie, che siano forniti di uno specifico visto di transito aeroportuale. I loro dati personali, in quanto inseriti nelle liste passeggeri, vengono immediatamente resi disponibili dall'Alitalia ed utilizzati dagli operatori di frontiera preposti agli specifici controlli.
  Pertanto, nel caso in cui i passeggeri algerini si allontanino arbitrariamente dall'aerostazione, la Polizia di frontiera ha sempre contezza della loro identità e del loro numero.
  Si assicura, in ogni caso, che il transito surrettizio dei passeggeri algerini per l'aeroporto Leonardo da Vinci continuerà ad essere oggetto di controlli intensivi da parte della Polizia di frontiera, in un'ottica che è, al contempo, di contrasto dell'immigrazione irregolare e di prevenzione del rischio di infiltrazioni terroristiche.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 marzo 2015 il sindaco della città di Acerra ha emanato l'ordinanza n. 6 così rubricata: «azioni per il contenimento dell'inquinamento atmosferico da polveri sottili nel comune di Acerra»;
   in tale ordinanza sindacale viene segnalato che, in seguito all'esame dei dati di monitoraggio dell'inquinamento atmosferico sul territorio comunale, l'ARPAC avrebbe fatto rilevare che nel corso dell'anno 2014 si è verificato un non meglio specificato numero di sforamenti, comunque superiore ai 35 ammessi dal decreto legislativo n. 155 del 2010 e che la quasi totalità degli sforamenti sarebbero riferibili al periodo invernale per cui si potrebbe desumere che derivino prioritariamente da riscaldamenti da biomasse;
   pertanto, alla luce di tutto questo, in tale ordinanza verrebbero previste: una serie di limitazioni all'utilizzo dei riscaldamenti domestici, nonché degli edifici pubblici (come le scuole e gli immobili comunali) e degli edifici adibiti ad attività artigianali, industriali e assimilabili; il divieto di riscaldare zone private non destinate all'abitazione (cantine, ripostigli, scale primarie e secondarie che collegano spazi di abitazione con cantine, box, garage e depositi); il divieto di tenere acceso il motore dei veicoli che sostano per più di un minuto; è prevista una sola deroga per le case di cura pubbliche e private collocate;
   come noto, nel medesimo territorio comunale è collocato un termovalorizzatore della società A2A;
   sul sito web di tale società si può leggere che: «L'impianto di Acerra, è tra i più importanti d'Europa ed è in grado di smaltire seicentomila tonnellate all'anno di rifiuti urbani pretrattati, trasformandoli in circa 600 milioni di kilowattora di energia elettrica all'anno, una quantità sufficiente ad alimentare 200 mila utenze domestiche. Il sito del termovalorizzatore ricade nel comune di Acerra e l'area dell'impianto si estende su una superficie di circa nove ettari. L'impianto si articola in tre linee indipendenti, da 27 t/h di rifiuti, ciascuna delle quali presenta le sezioni: termica (linea di termovalorizzazione con produzione di vapore); depurazione dei fumi. Il termovalorizzatore è stato realizzato con una tecnologia avanzata che consente valori di emissione inferiori di oltre il 50 per cento i limiti fissati dalle direttive europee»;
   da tali informazioni emerge chiaramente come, ammesso e non concesso che corrisponda al vero la circostanza per la quale le emissioni siano di gran lunga inferiori ai limiti fissati dalla normativa comunitaria, tale impianto emetta delle emissioni comunque non trascurabili;
   non è ben chiaro se nell'emanare tale ordinanza il sindaco abbia considerato le emissioni del termovalorizzatore e se non siano state poste limitazioni anche all'attività di detto impianto, in caso contrario, non sarebbe ben chiara la logica di una simile omissione;
   occorre peraltro a tal proposito considerare che il territorio comunale di Acerra è inserito nell'elenco delle «Aree industriali campane che ricadono in partizioni territoriali vincolate» secondo quanto stabilito a pagina 257 del piano regionale di gestione dei rifiuti urbani della regione Campania (di cui al BURC n. 37 del 2011); nonostante ciò, all'interrogante risulta che sia stato autorizzato l'insediamento di ulteriori aziende impegnate in attività di smaltimento dei rifiuti, come nel caso della Ecodrin che potrà stoccare, trattare e smaltire nel nuovo impianto numerose tipologie di rifiuti nocivi a decorrere dalla fine del 2013, così come denunciato da alcuni attivisti ambientalisti campani –:
   se il Governo non ritenga, per quanto di competenza, di avviare una verifica da parte del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente per fare chiarezza sul livello di inquinamento nell'area di cui in premessa e se intenda promuovere un'indagine epidemiologica da parte dell'istituto superiore di sanità per monitorare gli effetti delle immissioni sulla salute pubblica. (4-08456)

  Risposta. — La situazione in cui versa il termovalorizzatore di Acerra – che nel mese di giugno 2014 ha conseguito la registrazione Emas – è delineata nell’«Ottavo rapporto trimestrale sullo stato di attuazione del programma attuativo per la gestione dei rifiuti nel periodo transitorio 2012-2016», dove si evidenzia che ad oggi l'impianto ha raggiunto il traguardo di 3 milioni di tonnellate di rifiuti in ingresso, consentendo di produrre complessivamente 2.700 milioni di chilowattora di energia elettrica ed evitando l'emissione in atmosfera di 860.000 tonnellate di anidride carbonica. All'impianto è stato riconosciuto il premio per l'efficienza energetica «ABB energy efficency award 2014».
  I dati della performance del termovalorizzatore di Acerra, costantemente registrati da un doppio sistema di monitoraggio in grado di garantire le rilevazioni senza alcuna interruzione, hanno fatto rilevare valori ampiamente al di sotto dei limiti imposti dalle normative europee e anche di quelli molto più stringenti fissati dall'Autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.) che regolamenta, sotto questi aspetti, il sito di Acerra.
  Nell'evidenziare, poi, che la valutazione dell'impatto sulla salute (VIS) allo stato non è disciplinata da alcuna norma dell'ordinamento giuridico nazionale, si sottolinea che l'Istituto superiore di sanità analizza e pubblica i dati dello studio epidemiologico «Sentieri» relativo ai siti di interesse nazionale campani, effettuato dal 2003 al 2009, e aggiorna lo studio per le medesime aree, stabilendo potenziamenti degli studi epidemiologici, in particolare in merito ai registri delle malformazioni congenite e ai registri dei tumori.
  Inoltre, il Ministero della salute ha proposto un programma straordinario di monitoraggio e sorveglianza pluriennale concernente la presenza di contaminanti negli alimenti che, sulla base delle produzioni locali, tenga conto della stagionalità e della rotazione delle colture. Tale programma ha l'obiettivo di tutelare la salute e di valutare la possibilità di definire valori di riferimento per i parametri non normali, riferiti alle tipologie di alimenti prodotti nei terreni individuati ai sensi dell'articolo 1, comma 6, del decreto-legge n. 136 del 2013.
  All'Istituto superiore di sanità viene demandato il coordinamento delle attività di tale programma straordinario di monitoraggio, provvedendo alla elaborazione dei dati ed alla loro valutazione, anche al fine di individuare le criticità correlate alla sicurezza degli alimenti.
  Inoltre, al fine di monitorare lo stato di salute della popolazione residente, è stato previsto l'aggiornamento annuale dello studio «Sentieri».
  Non si nasconde che si tratti di un lavoro complesso e delicato di un percorso che vede il Governo fortemente impegnato per il recupero del territorio interessato e per tutelare la salute pubblica.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   DURANTI, PIRAS, PALAZZOTTO, MARCON, FRANCO BORDO, MELILLA e ZACCAGNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la «Baltic Air Patrol» (BAP) è una operazione NATO di «pattugliamento» e «vigilanza», istituita nel 2004, in occasione dell'ingresso di Estonia, Lettonia e Lituania nella Alleanza Atlantica, per garantire la difesa aerea delle Repubbliche Baltiche (le quali non dispongono di aerei da combattimento);
   tale operazione prevedeva inizialmente l'impiego di un flight di quattro caccia forniti a rotazione dai Paesi alleati;
   nel tempo, e anche per via della crisi nell'area, la missione di pattugliamento è stata allargata, arrivando al dispiegamento attuale di 16 caccia;
   il 27 dicembre 2014 quattro caccia multiruolo Eurofighter «Typhoon» della Aeronautica militare italiana sono giunti nella base lituana di Siauliai per partecipare alla sopra citata operazione BAP. I caccia, gli equipaggi ed il personale impegnati nella missione, che come da previsione dovrebbe durare fino all'aprile del 2015, provengono dal 4° Stormo dell'Aeronautica di Grosseto, dal 36° Stormo di Gioia del Colle (Bari) e dal 37° Stormo di Trapani-Birgi;
   a questa missione Nato partecipano anche quattro caccia Mig-29 delle forze armate polacche schierati anch'essi a Siauliai, quattro «Typhoon» spagnoli di base nell'aeroporto militare di Amari (Estonia), quattro cacciabombardieri belgi F-16 stanziati a Malbork (Polonia) ed altri quattro velivoli d'attacco britannici, che hanno sostituito i 16 velivoli assegnati sino al 31 dicembre dal Comando Nato alla «Baltic Air Patrol» (Eurofighter tedeschi, F-18 canadesi, F-16 olandesi e portoghesi;
   l'Eurofighter «Typhoon» in dotazione alla Aeronautica militare italiana è un caccia di ultima generazione con un ruolo primario di «superiorità aerea» ed intercettatore, dotato e dotabile di strumenti bellici;
   nel 2014 gli aerei della NATO hanno intercettato oltre 400 volte velivoli russi, il quadruplo rispetto al 2013, e più di 150 di queste intercettazioni sono state compiute nell'ambito della operazione BAP;
   la Ministra della difesa ha annunciato, al termine della riunione dei Ministri della NATO del 5 febbraio 2015, che l'Italia prolungherà di altri quattro mesi e quindi fino ad agosto 2015 la partecipazione della missione aerea in Lituania. Testualmente ha riferito alla stampa che: «Abbiamo dato la disponibilità a continuare il lavoro dell'Aeronautica italiana in Lituania. C’è stata la richiesta di prolungare per altri quattro mesi la missione, noi abbiamo dato la nostra disponibilità. È previsto che ci sia una rotazione con un altro paese che doveva sostituirci, ma i lituani si sentono rassicurati dalla continuazione della nostra presenza»;
   con la partecipazione alla Baltic Air Patrol, l'Aeronautica militare vede crescere considerevolmente il proprio ruolo a livello internazionale, e in particolare, nelle attività di pattugliamento dello spazio europeo;
   attualmente i caccia italiani sono impegnati, infatti, anche nel pattugliamento dei cieli dell'Islanda (a rotazione con altri partner Nato), della Slovenia e dell'Albania;
   si tratta di un impegno finanziario assai oneroso, superiore agli impegni assunti dagli altri partner europei della Nato –:
   se non intenda indicare in maniera approfondita le motivazioni che hanno portato al prolungamento della partecipazione italiana alla missione Bap, rompendo la consueta rotazione tra i Paesi Nato;
   se non ritenga opportuno fornire elementi circa i costi che tale prolungamento comporterà per il Paese;
   se non ritenga prematuro e sconsigliato prolungare la suddetta missione, data anche l'instabilità della situazione europea, con particolare riferimento alla crisi Ucraina. (4-07967)

  Risposta. — La sorveglianza e la difesa dello spazio aereo costituisce un'imprescindibile attività a garanzia della sicurezza della popolazione e della sovranità nazionale, tanto in caso di aggressione militare quanto in caso di impiego di velivoli civili con finalità terroristiche.
  La velocità del mezzo aereo, inoltre, impone una stretta cooperazione fra Paesi alleati, giacché una potenziale minaccia può apparire in una regione ma poi procedere rapidamente verso altri obiettivi.
  Sin dall'adesione dei Paesi baltici all'Alleanza atlantica, nel marzo 2004, i membri della Nato hanno pertanto deciso di assicurare il servizio di polizia aerea su tale regione, essendo questi Paesi sprovvisti di una autonoma capacità di questo tipo.
  Negli anni, i Paesi della Nato in possesso di una capacità di difesa aerea hanno contribuito, a turno, ad assicurare questo servizio, operando da una base aerea in Lituania.
  Nel contesto della pianificazione alleata, era stato inizialmente previsto un contributo italiano di quattro velivoli, da schierarsi in Lituania per quattro mesi, a partire dal gennaio 2015.
  In considerazione delle accresciute esigenze di sorveglianza dello spazio aereo baltico, i Paesi della Nato hanno incrementato i loro contributi, tanto da avviare ulteriori attività di polizia aerea da una base in Estonia e da una in Polonia.
  Oggi, quindi, non è più un singolo Paese, a turno, a fornire tale servizio, ma più Paesi contemporaneamente, operando da differenti aeroporti.
  Nel caso dell'Italia, in considerazione del fatto che il dispiegamento dei velivoli nazionali era già in corso, si è ritenuto opportuno far fronte alle nuove e accresciute esigenze prolungando il dispiegamento in Lituania per ulteriori quattro mesi, utilizzando i supporti logistici già in loco e conseguendo, quindi, un significativo risparmio.
  I costi dell'operazione sono, come noto, riportati nel decreto-legge n. 7 del 18 febbraio 2015, convertito in legge il 17 aprile 2015, e sono pari a circa 7 milioni di euro.
  L'esiguità della cifra è dovuta, oltreché alla citata scelta di prolungare il dispiegamento in Lituania invece che programmare una nuova e differente operazione in un altro dei Paesi baltici, anche al contributo economico assicurato direttamente dai Paesi baltici della Nato.
  Per completezza di informazione, si specifica che le operazioni di sorveglianza dello spazio aereo sull'Islanda, operazioni alle quali ha partecipato l'Italia, per circa un mese, nel 2013, non si svolgono in continuazione, come avviene sui Baltico, ma solo saltuariamente.
  Per contro, la sorveglianza degli spazi aerei di Slovenia e Albania, altri Paesi Nato privi di Forze di difesa aerea, è condotta come attività di routine, impiegando dalle basi nazionali gli stessi Reparti dell'aeronautica militare impegnati a garantire la sorveglianza sul nostro spazio aereo.
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   GREGORIO FONTANA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da alcune notizie riportate sulla stampa (ad esempio l’Eco di Bergamo e Corriere della Sera 27 febbraio 2014) risulta che secondo un piano predisposto dal dipartimento di pubblica sicurezza presso il Ministero dell'interno sarebbero stati individuati una serie di presidi territoriali della polizia di Stato a rischio chiusura nei prossimi mesi. In questo contesto si è paventata tra l'altro la possibilità di sopprimere il commissariato di Treviglio, anche in relazione al deficit di organico attualmente ad esso destinato;
   la provincia di Bergamo soffre da sempre, in particolare la bassa bergamasca, di un pesante deficit di organico delle forze di polizia, con un rapporto tra cittadini e rappresentanti delle forze dell'ordine tra i più bassi d'Italia;
   la zona della bassa pianura bergamasca è una realtà in forte espansione, con particolare riferimento al completamento di alcune grandi opere, quali la Brebemi, che interesseranno direttamente la città di Treviglio, e che avranno in essa il punto nevralgico di snodo tra Brescia e Milano;
   al commissariato di Treviglio fanno capo 38 comuni della bassa bergamasca e di conseguenza la sua chiusura lascerebbe completamente sguarnita una grande area in forte espansione –:
   quali siano le chiare e reali intenzioni del Ministro per quel che riguarda la chiusura di alcuni commissariati sul territorio nazionale, con particolare riferimento a quello di Treviglio e più in generale quali misure intenda adottare per rafforzare i ridotti organici delle forze dell'ordine in provincia di Bergamo.
(4-03783)

  Risposta. — La questione segnalata dall'interrogante, relativa alla chiusura di alcuni commissariati di pubblica sicurezza in varie zone del Paese, con particolare riferimento a quello di Treviglio in provincia di Bergamo, è legata ad un piano di razionalizzazione della presenza delle Forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi del 2014 al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuta una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'Esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai princìpi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del Corpo forestale dello Stato in altra Forza di polizia.
  Il provvedimento non intacca l'impianto della legge n. 121 del 1981, imperniato sul necessario pluralismo delle forze di polizia e sulle funzioni di coordinamento a livello centrale come anche sul territorio. Si è consapevoli, d'altra parte, che la valorizzazione del coordinamento è pienamente funzionale al processo di spending review, consentendo di realizzare più agevolmente il duplice obiettivo di incrementare l'efficienza del sistema e di ridurre gli sprechi grazie al moltiplicarsi delle sinergie operative.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazioni dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del Paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della Polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri Paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il Comando generale dell'Arma dei Carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della Polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  In particolare l'intervento sulla rete dei presidi delle quattro specialità è motivato dal fatto che il relativo schema organizzativo risale ai decreti ministeriali del 1989 e appare legato – come detto – a una realtà superata.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente alla logica del costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   FORMISANO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nel blog www.girolamofoti.it, il giorno 27 novembre 2014, è apparso un comunicato scritto dai delegati COCER dell'Esercito, Pietro Ricci, Girolamo Foti, Marco Votano, nel quale avrebbero segnalato una scissione all'interno del COCER ESERCITO XI° MANDATO, lamentando una certa leggerezza nell'affrontare i problemi del personale: «Oggi si è consumato l'ennesimo strappo, probabilmente irreparabile, fra i delegati del COCER ESERCITO. Si è assistito all'ennesima e disinvolta leggerezza nei confronti dei piccoli e grandi problemi con cui il personale militare ogni giorno fa i conti. Ogni giorno che passa cresce il malessere fra il personale, e l'attuale strumento della Rappresentanza ci appare inadeguato ed obsoleto. Al riguardo sentiamo il dovere di rendervi partecipi su tutto quello che accade all'interno del palazzo e di questo Consiglio, in quanto, non solo lo strumento attuale appare limitativo nelle sue funzioni, ma ci si confronta con colleghi dalle posizioni per noi incomprensibili, tanto da farci chiedere ma chi o cosa stanno rappresentando??? Di seguito, ed in sintesi, solo alcuni esempi di ciò che è accaduto nell'ultimo periodo, al solo scopo di dare modo a chi legge queste nostre personali riflessioni, di valutare, ogni ed uno per sé, l'operato di chi è o dovrebbe rappresentare le problematiche avanzate dalla base. Spesso siamo stati etichettati come Delegati in cerca di visibilità, ma se fare il proprio dovere ed assumere posizioni anche scomode, accogliendo le richieste della base si chiama visibilità, a questo punto chiediamo agli illuminati cosa significa rappresentare il personale. Evidentemente, per qualcuno significa limitarsi a pubblicare news delle agenzie giornalistiche, oppure qualche delibera COCER nel proprio profilo Facebook, per noi questo si chiama bluff altro che tutela del personale. Affermare di lavorare «in silenzio» per la nostra categoria a nostro avviso è una mera scusa, di fatto, proprio chi teorizza siffatto comportamento all'interno del COCER, non ha mai portato una sola problematica di categoria in Consiglio dall'inizio di questo mandato, e non solo, non ha mai assunto chiare posizioni in difesa dei diritti della Categoria ma di converso ha contrastato in tutti i modi anche le più elementari problematiche che portiamo in Consiglio. Ecco dunque che per noi, meglio rischiare di essere etichettati dai mal pensanti quali protagonisti, piuttosto che essere comparse silenziose e compiacenti. Ovviamente siamo pronti a qualsiasi confronto pubblico con quei Delegati che si sentissero lesi da queste dichiarazioni, e che non si nascondessero (si spera ma non si crede), dietro l'anonimato di fantasiosi nick name. Chi ci conosce e segue i nostri profili sui social conosce la verità, e con quale impegno si è cercato di rappresentare problematiche segnalate da voi stessi colleghi in materia di riordino delle carriere, blocco stipendi ed assegni funzione, svecchiamento, 104, allattamento, 42 bis, vittime del dovere, i vaccini, ricongiungimento familiare, la questione dei sacchetti viveri, lo svecchiamento, il demansionamento, la limitazione della libertà di circolazione «per consegna di rigore», la libertà all'Associazionismo sindacale e tanta altra roba. In vero, abbiamo cercato, con ogni mezzo, di fare il possibile per il personale, e spesso, davanti all'immobilismo del COCER ESERCITO e del COCER INTERFORZE ci siamo visti costretti a portare le nostre istanze a titolo personale dinnanzi alla politica, alle Commissioni Difesa e puntualmente ai Ministri della Difesa che si sono susseguiti, ed è grazie a questo che abbiamo raggiunto alcuni risultati. Ma oggi abbiamo toccato un punto di non ritorno, quando la palude rischia di inghiottirci l'unica salvezza è la rottura. E rottura sia. Mai si è potuto constatare una sordità di questo tipo, se da un lato ci ritroviamo una rappresentanza come abbiamo già riportato in questo documento, limitativa, si aggiungono, adesso, le «incomprensibili» posizioni dell'intera Categoria dei Marescialli e della maggior parte dei Graduati (ad eccezione dei firmatari di questa comunicazione, e del Sergente Maggiore Bilello), che continuano costantemente a votare contro, astenersi o uscire dall'aula prima delle votazioni, causando scandalose bocciature su delibere che non dovrebbero nemmeno essere oggetto di contendere! Siffatte posizioni, ai nostri occhi incomprensibili, sono state perpetrate sistematicamente nel tempo. Se ad astenersi è la categoria degli Ufficiali, la cosa non scandalizza più di tanto, ma non comprendiamo le posizioni, per carità legittime in democrazia, degli altri delegati. Giusto per dare la misura degli argomenti, vi rappresentiamo solo le ultime bocciature a delibere da noi presentate: Astensione di qualche mese, su istanza di parte, dalle prove di efficienza fisica senza conseguenze per le colleghe che allattano; Tutela del posto di lavoro per coloro che subiscono la circolare sull'indice di massa corporea, prediligendo l'aspetto umano ed il supporto anziché isolarli ponendoli in convalescenza e dunque a nostro avviso discriminandoli; La somministrazione del sacchetto viveri, diventato ormai in tanti Reparti la regola anche in caso di servizio isolato. Ci risulta impossibile credere che nei Reparti di appartenenza dei nostri colleghi delegati COCER dei Graduati, non vi siano richieste di intervento in tal senso, e allora perché??? Sempre la scorsa settimana siamo stati protagonisti di un'avvilente e surreale presa di posizione dei rappresentanti della Categoria dei Marescialli durata quasi 4 ore, al fine di convocare un collega vittima del dovere e ammalato di cancro, quasi ci sentivamo in un tribunale dell'AIA, poco ci mancava che fosse il collega ammalato a doversi scusare per aver disturbato la quiete della Rappresentanza Militare. Dopo aver palesato con fermezza che non avremmo fatto un passo indietro su questi temi, alla fine è stata approvata la delibera. Fa specie che proprio i più anziani e molto prossimi alla pensione (3 dei 4 Rappresentanti dei Marescialli del COCER), non colgano l'esigenza di un sussulto, specie in un periodo così buio per le nostre genti. Come non comprendiamo parimente la posizione della collega Maresciallo, che fra l'altro, in quanto giovane donna, credevamo avesse potuto condividere la delibera sull'eventuale disagio in presenza di intensa attività fisica che le mamme in divisa che allattano i propri piccoli potrebbero vivere. Seppur avviliti da queste discussioni, ci sembra opportuno ribadire che ci sentiamo orfani del COCER INTERFORZE, «praticamente presente esclusivamente alle grandi occasioni e per le foto di gruppo», peraltro non ci dimentichiamo la mancata approvazione della nostra delibera che verteva ufficialmente a chiedere l'estensione dei diritti sindacali ed associativi al personale militare, in quell'occasione abbiamo assistito al fuggi fuggi generale di chi a parole e con scritti supporta la tesi del sindacato ma che poi nei fatti abbandona l'aula allo scopo di far cadere il numero legale e precludere ogni possibilità di confronto. Oppure quando abbiamo sollevato la problematica dell'invecchiamento del personale dei Graduati! Secondo le grandi menti «anziane» dei colleghi Graduati COCER, dovevamo sottacere il problema!! Come se il non parlarne avesse sortito un effetto ringiovanente su quel 75 per cento di personale Graduato che nel 2024 avrà un'età media fra i 42 e i 52 anni, con buona pace di uno strumento giovane e proiettabile all'estero!! Che futuro viene previsto in Forza Armata per questi colleghi? Faranno la paventata fine dei Marescialli in esubero? Chi ha detto una parola su questi ultimi? E sui servizi a 50 anni? Dove sono i colleghi Delegati che dovrebbero rappresentare anche i cinquantenni??? Bò! Non pervenuti. A questo punto siamo noi a chiedere un aiuto a tutti voi, e a coloro che condividono un certo modo di intendere la rappresentanza, in quanto siamo certi che anche se minoranza al COCER, siamo maggioranza fra voi colleghi, vi esortiamo a diffondere con tutti i mezzi utili a disposizione, questo scritto, il quale rappresenta solamente il primo atto di una lunga serie di resoconti che chiameremo IL COCER DELLE MERAVIGLIE. È nostra intenzione pubblicare costantemente tutte le posizioni assunte nei riguardi delle problematiche discusse, sia le nostre che quelle di tutti gli altri delegati. Sarete voi a valutare l'operato di chi avete votato. Nessuno di voi si dovrà sentire escluso da ciò, poiché tutto nasce dalla fiducia che noi diamo quando votiamo i COBAR, che votano i COIR che votano i COCER, ed è a tutti voi che i Delegati DEVONO dare conto e ragione del loro operato. Diffondete se lo ritenete utile, questo scritto ed i successivi articoli del COCER DELLE MERAVIGLIE, e vediamo cosa succede. Vi anticipiamo già, che al COCER INTERFORZE della prossima convocazione si parlerà di effetti della limitazione della libertà personale nell'inflizione della consegna di rigore, e di adeguate protezioni individuali per i colleghi che potrebbero venire a contatto con l'Ebola Virus. Come va a finire ve lo raccontiamo con il prossimo articolo» –:
   se il Ministro non ritenga opportuno chiarire quali siano effettivamente gli orientamenti del Governo in materia di estensione dei diritti sindacali ed associativi per i militari e tutela per i delegati e quali siano effettivamente gli orientamenti del Ministro interrogato in ordine al funzionamento attuale della rappresentanza militare che risulta essere divisa nel suo interno. (4-07225)

  Risposta. — Lo Stato Maggiore dell'esercito, in merito alla lamentata divisione all'interno della componente esercito della rappresentanza militare, ha comunicato che la circostanza non appare suffragata da sufficienti elementi, non risultando né dai documenti trasmessi dalla sezione esercito del Consiglio centrale di rappresentanza, né dai contenuti delle delibere approvate.
  Ciò detto, in merito alla prima questione posta nell'atto di sindacato ispettivo, comunico che la stessa è stata già oggetto di una interrogazione parlamentare (n. 3-01283 a firma dei senatori Marton e Santangelo) discussa in Commissione difesa nella seduta del 12 novembre 2014. In quell'occasione il delegato del Governo osservò che «la possibilità di esercitare il diritto di associazione, riconosciuto a tutti i cittadini dall'articolo 18 della Costituzione, trova una forma di temperamento per il personale militare in forza dello speciale ambito in cui viene prestato il servizio e dell'esigenza di assicurare le neutralità, la coesione interna e la massima operatività alle strutture militari. La legittimità di tali limitazioni, tra l'altro, è stata definita nella sentenza n. 499 del 1999 della Corte costituzionale relativa alla conformità dell'articolo 8 della legge n. 382 del 1978, ora recepito nell'articolo 1475 del codice dell'ordinamento militare (di cui al decreto legislativo n. 66 del 2010), in cui viene ribadito il principio che ai militari spettano i diritti che la Costituzione riconosce ai cittadini ammettendo, comunque, che nella legge possano essere previsti a carico dei militari limitazioni all'esercizio di taluni diritti, ovvero l'osservanza di particolari doveri, sempre che questi siano finalizzati all'assolvimento dei compiti delle Forze armate».
  In Parlamento, come certamente noto, sono attualmente all'attenzione della competente Commissione IV Camera otto disegni di legge di riforma della rappresentanza che si propongono di affrontare la tematica offrendo soluzioni che vanno dalla rivisitazione organizzativa e funzionale degli attuali organismi, fino alla più complessa e totale loro revisione in un'ottica di spinta sindacalizzazione.
  Sono certa che il Parlamento, a cui il Governo non mancherà di fare avere – nelle forme che gli sono consentite – il suo fattivo apporto di collaborazione, saprà trovare la giusta sintesi tra l'esigenza di garantire la predisposizione di strumenti idonei ad assicurare un ruolo efficace per la rappresentanza militare e la necessità di continuare a preservare i caratteri di organizzazione, coesione interna e massima operatività propri dello strumento militare.
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   FRACCARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   l'area della Val Nambino e dei laghi di Serodoli e Gelato, situata nella regione Trentino Alto Adige, provincia Autonoma di Trento (PAT), Giudicarie, Val Rendena, rientra nel sistema di laghi di origine glaciale del gruppo della Presenella ed è la più importante, per concentrazione e qualità dell'acqua, di tutto il Trentino;
   questa area è percorsa da una fitta rete di sentieri Club alpino italiano – Società alpinisti tridentini (CAI-SAT) tra cui il celebre «Sentiero dei 5 Laghi» che collega i laghi Ritort, Lambin, Serodoli, Gelato e Nambino ed è pertanto meta turistica internazionale privilegiata per la grande valenza naturalistica e per l'assenza di qualsiasi disturbo infrastrutturale;
   tale territorio rientra nell'area protetta della PAT del Parco naturale Adamello Brenta (PNAB), area istituita con legge provinciale 6 maggio 1988, n. 18, e attualmente regolamentata dalla legge provinciale 23 maggio 2007, n. 11;
   la zonizzazione del Piano del Parco classifica la zona a Riserva integrale (tipo A) e a Alpi e Rupi (Riserva Guidata tipo B) confermandone il valore ambientale strategico. Il territorio del PNAB è ricompreso per intero nella rete Natura 2000. In particolare, l'area in oggetto è stata classificata come Sito di interesse comunitario (SIC) n. IT3120175 – Adamello (DIR 92/43 CEE) con la delibera della Giunta della PAT del 5 agosto 2010, n. 1799. Essa, inoltre, è parte integrante della Zona di protezione speciale ZPS 045 – Adamello – Brenta (DIR 79/409 CEE) come individuata dalla delibera della giunta provinciale 22 febbraio 2007, n. 328, la quale è stata approvata in esecuzione della sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee 20 marzo 2003, causa c – 378/01, in attuazione della direttiva 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979 e in conformità con il parere motivato della Commissione europea del 14 dicembre 2004, nell'ambito della procedura di infrazione aperta nei confronti dello Stato italiano, che rilevava un'insufficiente classificazione della ZPS – Important bird areas IBA 045 – Adamello Brenta, la quale, peraltro, risulta essere adiacente alla rispettiva ZPS del Parco regionale Adamello (Lombardia) rappresentando un corpo unico di aree protette nel cuore delle Alpi insieme al Parco nazionale dello Stelvio e al Parco nazionale Svizzero;
   l'area rappresenta uno degli ultimi bacini idrografici integri sotto l'aspetto della qualità dell'acqua tant’è che il Lago di Serodoli costituisce un bacino di accumulo a cielo aperto indispensabile per il rifornimento dell'acquedotto delle popolazioni sottostanti. Essa presenta caratteristiche orografiche fortemente movimentate e frastagliate che non si conciliano con lo sviluppo di piste da sci se non a seguito di movimenti di terra di notevole portanza ed estensione e relativi imponenti trasformazioni del territorio che inevitabilmente comporterebbero incidenze significative in termini di impatto ambientale su siti SIC e ZPS. L'eventuale previsione di strutture sciistiche ed impianti verrebbe anche ad interessare necessariamente aree prossime, se non contigue, ai laghetti alpini che rappresentano gli elementi salienti ed inestimabili della zona. Quindi, un'eventuale progettazione di interventi di ampliamento di aree sciistiche oltre che di nuovi impianti di risalita, andrebbe inevitabilmente incontro ad una valutazione di incidenza ai sensi dell'articolo 6 della direttiva 92/43/CEE con esito negativo;
   la Comunità di Valle delle Giudicarie – ente intermedio fra la provincia autonoma di Trento e i comuni del territorio corrispondente – nel corso dell’iter per l'approvazione del Piano territoriale di comunità (PTC), nella sezione relativa all'individuazione dei perimetri delle aree sciabili contenuta nel capitolo «Assi e priorità di intervento. Indirizzi strategici per le Giudicarie» del documento preliminare a tale piano (pubblicato nell'ottobre 2013), ha previsto, nell'inquadramento strutturale, di definire l'intervento per una potenziale nuova estensione del sistema degli impianti e delle aree sciabili nell'area di Serodoli;
   il documento preliminare del PTC ha perimetrato la zona interessata quale area di studio per sottoporla a valutazioni ambientali, socio-economiche e strategiche. In caso di esito positivo di dette valutazioni, potrà essere valutato l'inserimento dell'area nel PTC come ampliamento del demanio sciabile di Madonna di Campiglio e del comprensorio sciistico Pinzolo – Madonna di Campiglio – Marilleva;
   la direttiva 2000/60/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, fra l'altro, ha lo scopo di istituire un quadro per la protezione delle acque superficiali interne che impedisca un ulteriore deterioramento, protegga e migliori lo stato degli ecosistemi acquatici e degli ecosistemi terrestri e delle zone umide direttamente dipendenti dagli ecosistemi acquatici sotto il profilo del fabbisogno idrico –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e se, ai sensi della direttiva 92/94/CEE, ritenga di informarne la Commissione europea;
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda assumere per garantire la sorveglianza dello stato di conservazione del SIC n. IT3120175 e della ZPS IBA 045, nonché per la tutela dell'integrità della risorsa idrica e per assicurare l'attuazione della direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, indicata in premessa. (4-06014)

  Risposta. — In relazione all'atto di sindacato ispettivo cui si risponde, occorre innanzitutto sottolineare che le informazioni di seguito riferite sono state rese dalla provincia autonoma di Trento che, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica del 31 agosto 1972, n. 670, recante «Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige», ha potestà normativa nelle materie oggetto dell'interrogazione.
  È stato, quindi, per prima cosa evidenziato che in tema di aree sciabili il vigente piano urbanistico provinciale (PUP), approvato con legge provinciale n. 5 del 27 maggio 2008, articola i propri contenuti attraverso le specifiche previsioni cartografiche o mediante gli indirizzi per le strategie, in esso stesso contenuti, finalizzati ad orientare la pianificazione territoriale delle comunità (locali) nell'ottica di consolidare le destinazioni sciistiche mature, che peraltro rappresentano l'offerta di punta del Trentino turistico.
  La competente giunta provinciale si esprime, quindi, sulle scelte condotte a livello territoriale, fermo restando che le comunità (locali) possono adottare previsioni di modifica delle aree sciabili, previa favorevole conclusione dell'autovalutazione, nel rispetto di predeterminate condizioni.
  Premesso quanto sopra, rispetto al caso specifico che qui interessa la provincia di Trento ha riferito di aver approvato con deliberazione di giunta del gennaio 2014 l'Accordo quadro di programma, necessario per la successiva redazione del piano territoriale della comunità delle giudicarie.
  In particolare, con riferimento al territorio delle giudicarie, il piano urbanistico provinciale (PUP) ha delineato le possibili indicazioni di sviluppo, prevedendo, in particolare per quanto attiene all'area sciabile di Madonna di Campiglio – che il PUP qualifica come polo sciistico di valenza internazionale – che gli interventi di politica turistica ritenuti strategici sono previsti dalla pianificazione vigente. Si tratta, nel caso specifico, del progetto di riqualificazione e ampliamento delle piste esistenti, ora nella fase di valutazione ambientale, della realizzazione di un deposito per lo stoccaggio d'acqua in grado di rendere autonoma la località rispetto al fabbisogno della stessa, già autorizzato nella piana di Nambino e di una nuova pista di grande valore tecnico e forza attrattiva, da realizzarsi in località «Tulot» nell'area sciabile di Pinzolo.
  Tenuto conto, quindi, che la delicatezza ambientale dell'area di Campiglio non consente di individuare ipotesi ulteriori di piste significative, qualunque altra esigenza di nuove piste (come ad esempio quella proposta in loc. Serodoli) fuoriesce dalle priorità strategiche della provincia e si configura come progetto locale di ampliamento del demanio sciabile, che andrà approfondita nei pertinenti strumenti pianificatori territoriali.
  Tenuto conto del quadro pianificatorio sopra riportato, il documento elaborato dalla comunità delle giudicarie denominato «Criteri e indirizzi generali per la formazione del piano territoriale di comunità» prevede che l'ampliamento dell'area sciabile in località Serodoli venga eventualmente contemplata, al fine della elaborazione del piano territoriale, solo a seguito della positiva conclusione di uno studio strategico da predisporre sotto il profilo ecologico-ambientale e socio-economico.
  L'esito di tale approfondimento – specifica ancora la provincia di Trento – nel frattempo attivato da parte della comunità delle giudicarie, sarà eventualmente oggetto di apposita valutazione nell'ambito del percorso di elaborazione del piano territoriale tenendo presenti, da un lato, le esigenze di conservazione delle importanti risorse naturali e paesaggistiche che caratterizzano l'area di cui si tratta e, dall'altro, le strategie di sviluppo delineate per lo stesso territorio in coerenza con gli indirizzi generali definiti a livello provinciale.
  Al fine di riorientare le politiche di sviluppo dei territori, tuttavia, la provincia di Trento ha riferito che la giunta provinciale, nella seduta del 29 settembre 2014, ha ribadito che se il piano territoriale di comunità delle giudicarie può condurre ad approfondimenti volti a introdurre ampliamenti anche significativi delle aree sciabili previste dal piano urbanistico provinciale (per esempio: area Serodoli), nel caso l'ipotesi preveda un intervento sul territorio della vicina comunità della Valle del Sole, trattandosi di nuova area sciistica, la competenza è del piano urbanistico provinciale e non dei piani territoriali di comunità (PTC).
  Alla luce di ciò – ha concluso la provincia di Trento – l'eventualità prospettata dal documento preliminare sopracitato non è al momento attuabile, posto che la sua realizzazione presupporrebbe una variante al piano urbanistico, provinciale (PUP) che non è all'ordine del giorno.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GAGNARLI, L'ABBATE e GALLINELLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la grande distribuzione organizzata ed anche le piccole catene da non molto tempo si sono consolidate anche nella vendita di piante in vaso ornamentali. I nuovi punti di vendita vengono già pianificati con un'area dedicata alle piante, solitamente non troppo vicina alle zone del prodotto alimentare «fresco»;
   anche i punti vendita di vecchia concezione stanno apportando modifiche alle proprie dislocazioni e posizionamenti interni per far fronte a questa nuova categoria merceologica. Alcuni, tuttavia, non avendo a disposizione molto spazio posizionano le ornamentali accanto al prodotto alimentare fresco;
   in ogni caso, sia nei punti vendita di nuova che di vecchia concezione, nei periodi in cui si verifica il picco di vendita, come per i crisantemi in occasione del giorno di tutti i Santi o le stelle di natale a Natale, è evidente per tutti che le piante ornamentali vengono collocate in ogni dove, anche vicino all'ortofrutta fresca;
   negli ultimi anni i principi attivi di fitofarmaci autorizzati su prodotti agricoli destinati all'alimentazione hanno subito, grazie ad una lenta ma costante procedura europea che trova fondamento nel Regolamento europeo 1107/2009/CE, una forte riduzione soprattutto a carico delle molecole classificate molto tossiche e tossiche;
   questa procedura di revisione dei principi attivi, tuttavia, non riguarda le molecole consentite sulle piante ornamentali, sulle quali purtroppo continuano ad utilizzarsi, anche pochi giorni prima di arrivare nei punti vendita, fungicidi ed insetticidi a forte impatto e persistenza, quali Teppeki, Confidor, Actara 25 wg, e altri;
   risulta agli interroganti che i prodotti fitosanitari usati sulle piante ornamentali non hanno l'obbligo di indicare in etichetta il «tempo di carenza» inteso come l'intervallo minimo di tempo che deve intercorrere tra il trattamento e la raccolta, affinché il fitofarmaco venga degradato;
   evidentemente l'assenza dell'indicazione del «tempo di carenza» è dovuta al fatto che la pianta ornamentale non viene raccolta, anche se le piante in vaso, come qualunque vegetale, necessitano di tempo per degradare le molecole dei fitofarmaci su di esse irrorati, affinché possano degradarli in molecole che perdono la loro tossicità per l'uomo;
   di conseguenza sulle piante ornamentali che arrivano nei punti vendita potrebbero ancora esserci tracce di prodotti fitosanitari che la pianta non è riuscita a smaltire. Queste tracce di fitofarmaci potrebbero venire in contatto con prodotti commestibili, in diversi momenti, tra cui si segnala la fase di trasporto dalla piattaforma centralizzata ortofrutta ai punti di vendita,piattaforme di distribuzione che spesso gestiscono tutto il «fresco» quindi ortofrutta ed ornamentali insieme, la fase di vendita all'interno dei negozi, soprattutto in corrispondenza dei periodi del picco di vendite –:
   quale sia la disciplina applicabile alla fase di trasporto, dalla produzione alla vendita, nonché al posizionamento delle piante ornamentali rispetto ai prodotti commestibili, nella distribuzione organizzata, ovvero se la materia sia regolamentata o lasciata all'autoregolamentazione;
   se non ritenga opportuno, per quanto di propria competenza, proporre una revisione normativa con l'obiettivo di rendere obbligatoria l'indicazione in etichetta, al pari degli usi sui prodotti agricoli a scopo alimentare, del cosiddetto «tempo di carenza» o qualsivoglia altro parametro temporale che assicuri la commercializzazione delle piante ornamentali solo allorquando i principi attivi dei fitofarmaci su di esse irrorati siano stati effettivamente degradati in molecole non più tossiche per l'uomo. (4-08040)

  Risposta. — In merito alle modalità di vendita delle piante ornamentali e, in particolare, con riguardo alla gestione degli alimenti eventualmente collocati in prossimità di piante ornamentali, si segnala che la normativa comunitaria in vigore conferisce all'OSA (operatore del settore alimentare) la competenza e la responsabilità di:
   identificare ogni pericolo, che deve essere prevenuto, eliminato o ridotto a livelli accettabili;
   identificare i punti critici di controllo nella fase o nelle fasi in cui il controllo stesso si rivela essenziale per prevenire o eliminare un rischio o per ridurlo a livelli accettabili;
   stabilire ed applicare procedure di sorveglianza efficaci nei punti critici di controllo;
   stabilire le azioni correttive da intraprendere nel caso in cui dalla sorveglianza risulti che un determinato punto critico non è sotto controllo.

  È compito dell'autorità sanitaria competente verificare che TOSA rispetti le normative comunitarie, e che nel sistema di «Analisi dei Pericoli e Controllo dei Punti Critici» (HACCP) vengano previsti i pericoli derivanti da tale rischio di contaminazione.
  Per quanto attiene al secondo quesito dell'atto parlamentare in esame, si precisa che il «limite massimo di residuo» (LMR) rappresenta la quantità massima di residuo di prodotto fitosanitario (si tiene conto della sostanza attiva contenuta nel prodotto) ammissibile nei prodotti di origine vegetale o animale, destinati al consumo alimentare senza apprezzabile rischio per la salute umana.
  In conformità ai principi e ai requisiti generali della legislazione alimentare enunciati nel regolamento (CE) n. 178 del 2002, il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato, nel 2005, il regolamento (CE) n. 396, che ha abolito le normative nazionali previgenti in materia ed ha stabilito, su scala comunitaria, LMR armonizzati per i prodotti di origine vegetale e animale destinati al consumo alimentare.
  L'implementazione della procedura, che vede la partecipazione di tutti gli Stati membri, nonché dei requisiti di valutazione del rischio per il consumatore previsti dal regolamento n. 396 del 2005, ha reso possibile un elevato livello di tutela della salute del consumatore, e, attraverso il superamento della frammentarietà determinata dalle normative nazionali previgenti, ha consentito anche una più ampia attuazione del principio della libera circolazione delle merci e la sussistenza di leali condizioni di concorrenza tra Stati membri.
  In conformità ai requisiti previsti dal regolamento n. 396 del 2005, il rischio potenziale per il consumatore e il limite massimo di residuo ammissibile sono valutati sulla base dei seguenti parametri:
   tossicità intrinseca della sostanza attiva;
   esposizione del consumatore attraverso la dieta.

  A livello nazionale, tenuto conto dei dati sopra indicati, in particolare dell'LMR, e considerate le buone pratiche agricole, gli esperti della commissione consultiva per i prodotti fitosanitari, operante presso il Ministero della salute, stabiliscono il tempo di carenza, noto anche come intervallo di sicurezza, cioè l'intervallo di tempo minimo che l'operatore è tenuto a rispettare prima di raccogliere la coltura trattata.
  Le autorità regolatorie comunitarie non hanno ritenuto di includere, tra i parametri di valutazione del rischio per il consumatore, dati relativi a piante ornamentali o ad altri materiali trattabili con pesticidi, prodotti fitosanitari o biocidi, ma non destinati direttamente o indirettamente all'alimentazione, né hanno previsto la definizione da parte degli Stati membri di ulteriori requisiti al riguardo.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   i rischi di diffusione dell'epidemia di ebola anche in Europa sono molto elevati, come dimostrano i primi casi di decessi in Spagna e Germania;
   l'Italia con decine di migliaia di clandestini che attraversano il Mediterraneo è una realtà fortemente esposta, visto che buona parte degli immigrati che sbarcano sulle coste siciliane proviene proprio dalle aree subsahariane in cui l'ebola è più diffusa;
   il Ministero della salute – direzione generale della prevenzione – ufficio III – coordinamento Usmaf – ufficio V – malattie infettive e profilassi internazionale il 1 ottobre 2014 ha diffuso una circolare (n. 26377) avente per oggetto «Malattia da Virus Ebola (MVE) – Protocollo centrale per la gestione dei casi e dei contatti sul territorio nazionale»;
   in tale circolare viene definito un protocollo centrale della gestione dei casi sospetti/probabili/confermati (S/P/C) di Malattia da virus Ebola, nonché dei contatti, cui fare riferimento nell'organizzazione della preparazione e della risposta al verificarsi degli stessi;
   tale protocollo prevede la gestione del caso S/P/C a livello centrale, con il coinvolgimento delle regioni e, ove necessario, delle altre amministrazioni dello Stato e/o enti privati, e l'eventuale trasferimento in modalità protetta presso uno dei centri nazionali di riferimento per la gestione clinica del paziente (INMI «Lazzaro Spallanzani» di Roma e Azienda Ospedaliera «L. Sacco» di Milano), con modalità che saranno valutate di volta in volta, in stretto coordinamento con il Ministero della salute;
   il protocollo delinea tutte le azioni da tenere in caso di sospetto contagio da ebola, compresi le modalità di trasporto, la decontaminazione dei mezzi di trasporto e degli ambienti e lo smaltimento dei rifiuti;
   stando ad alcune segnalazioni da parte di addetti ai lavori, i primi casi sospetti, poi risultati negativi, hanno fatto emergere un aspetto non considerato in modo adeguato relativamente allo smaltimento dei rifiuti sanitari a rischio infettivo;
   gli impianti autorizzati a smaltire rifiuti ospedalieri non hanno ancora ricevuto la conferma della possibilità di poter trattare i rifiuti derivanti dai casi di ebola, trattandosi di una procedura, anche per l'utilizzo di contenitori speciali mai utilizzati prima, totalmente nuova anche rispetto ai casi di aids;
   tra i destinatari della circolare in questione figurano diversi enti e Ministeri (Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Ministero dello sviluppo economico, Ministero della difesa, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Ministero dell'interno), ma non quello dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare cui competono le direttive alle regioni per Io smaltimento dei rifiuti –:
   se non ritenga opportuno e urgente assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a chiarire le modalità di trattamento dei rifiuti ospedalieri, consentendo agli impianti di smaltire, secondo le norme in vigore, i rifiuti sanitari a rischio infettivo prodotti dai casi di ebola.
(4-06498)

  Risposta. — L'interrogante, riferisce che il Ministero della salute, lo scorso ottobre, durante la fase di emergenza della malattia da virus ebola, ha emanato una circolare contenente il protocollo da applicare per la gestione dei casi che si dovessero verificare sul territorio nazionale anche in conseguenza di sbarchi o ingressi di persone contagiate o di trasferimenti di tali soggetti presso centri nazionali di riferimento per la successiva gestione clinica protetta.
  Nonostante il documento descriva in modo puntuale tutte le azioni da compiere in caso di sospetto contagio da ebola, comprese le modalità di trasporto, la decontaminazione dei mezzi di trasporto e degli ambienti, per lo smaltimento dei rifiuti non siano state poste indicazioni sufficientemente adeguate.
  In particolare risulterebbe che gli impianti autorizzati a smaltire i rifiuti ospedalieri non hanno ancora ricevuto la conferma della possibilità di poter trattare i rifiuti derivanti dai casi di ebola, trattandosi di una procedura, anche per l'utilizzo di contenitori speciali mai utilizzati prima, totalmente nuova anche rispetto ai casi di aids.
  Sul punto si chiarisce quanto segue.
  Il documento emanato dal Ministero della salute lo scorso mese di ottobre e citato dall'interrogante, contiene tutte le indicazioni per la gestione dei rifiuti prodotti e derivanti dall'attività di assistenza sanitaria, sia in caso di valutazione che di presa in carico e trasporto dei soggetti interessati dal contagio.
  Nel testo è ben specificato che i rifiuti prodotti durante l'assistenza sanitaria devono essere smaltiti come rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo, pertanto alla stregua di qualsiasi altra tipologia di rifiuto a rischio infettivo comunemente prodotto dalle strutture sanitarie.
  Tali rifiuti quindi devono essere gestiti ai sensi della normativa speciale di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 254 del 2003 che contiene tutte le indicazioni per la corretta gestione ed il successivo smaltimento dei rifiuti sanitari.
  In particolare, poiché nel caso di specie si tratta di rifiuti pericolosi a rischio infettivo, lo smaltimento deve avvenire secondo quanto stabilito dall'articolo 10 del citato decreto ovvero negli impianti di termodistruzione allo scopo autorizzati.
  Tanto premesso, si ritiene, dunque, tale documento e la relativa normativa di riferimento vigente, già esaustiva per la problematica prospettata.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GULLO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 52 della Costituzione recita che «difendere la Patria è sacro dovere del cittadino»;
   gli appartenenti alle Forze Armate ricoprono un ruolo essenziale per la sicurezza nazionale ed internazionale;
   lo status giuridico dei militari prevede la limitazione di alcune libertà che la Costituzione garantisce per tutti gli altri cittadini;
   alcune disposizioni relative al personale militare ed alla sua dislocazione sul territorio nazionale non appaiono propriamente congruenti con lo spirito attuale che dovrebbe regolare la materia ovvero con il particolare momento storico;
   i trasferimenti a domanda (cosiddetto svecchiamento), le richieste di ricongiungimento familiare, le procedure di mobilità tra Ministeri, le attribuzioni di sede ai sensi del decreto legislativo n. 267 del 2000 nonché quelli ai sensi della legge n. 104 del 1992 risultano procedere a rilento;
   l'ottica di spending review, che ha determinato gli ultimi Governi ad agire attraverso azioni dirette a ridurre le spese inutili o superflue;
   nonostante i nuovi scenari di politica internazionale ed il continuo arrivo di migranti in Sicilia si assiste ad una sistematica riduzione delle caserme e del personale al sud in generale ed in Sicilia in particolare;
   la maggioranza degli appartenenti alle Forze armate proviene dalle regioni meridionali in generale ed insulari in particolare;
   il PIL dell'ultimo anno ha visto la Sicilia molto indietro rispetto alle altre regioni;
   lo spostamento verso sud di caserme e militari, oltre a rispondere alla legittima aspettativa di molti cittadini di ritornare nei luoghi d'origine potrebbe determinare la crescita di un indotto utile a contrastare le attuali difficoltà economiche –:
   quali misure urgenti si intendano intraprendere per:
    a) individuare strumenti per razionalizzare il rapporto tra militari presenti per regione e necessità operative inerenti alle emergenze attuali;
    b) rispondere in modo celere, coerentemente alla «speciale» funzione dagli stessi rivestita, alle legittime aspettative di trasferimento a domanda, di ricongiungimento familiare, di mobilità tra Ministeri, di attribuzione di sede ai sensi del decreto legislativo n. 267 del 2000 nonché ai sensi della legge n. 104 del 1992;
    c) potenziare il numero delle strutture militari ubicate nel sud Italia ed in particolare in Sicilia ovvero aumentare il numero di appartenenti alle forze armate presenti. (4-05595)

  Risposta. — Le disposizioni d'impiego a seguito di istanze di trasferimento avanzate ex lege n. 104 del 1992 e decreto legislativo n. 267 del 2000, di assegnazioni presso altri dicasteri e/o per ricongiungimento familiare, sono decretate dalle Forze armate di appartenenza e sono valutate con la massima attenzione per addivenire ad una definizione favorevole che consenta di impiegare il personale in posizione organica coerente con il proprio profilo professionale, nell'area geografica di provenienza o desiderata.
  La policy d'impiego deve ovviamente tener conto dell'esigenze di funzionamento dell'organizzazione e deve garantire allo strumento militare di rispondere ai propri compiti istituzionali, anche in ossequio al detto principio di specificità.
  Casi eccezionali o di particolare gravità possono comunque essere gestiti con assegnazioni extra-organico a tempo determinato.
  Il decreto legislativo 28 febbraio 2014, n. 8, attuativo della legge 31 dicembre 2012, n. 244 di revisione dello strumento militare nazionale, ha comunque introdotto una serie di modifiche e integrazioni al codice dell'ordinamento militare, a favore del personale militare, proprio con riguardo alle tematiche di impiego affrontate nell'atto.
  In particolare:
   l'articolo 2209 sexies (norme sul ricongiungimento familiare) ha disciplinato le modalità di assegnazione a domanda presso enti o reparti limitrofi di coniugi entrambi dipendenti del Ministero della difesa, compresi gli appartenenti al Corpo delle capitanerie di porto;
   la modifica all'articolo 1506 (norma di salvaguardia) ha esteso al personale militare la fruizione dei permessi mensili di cui all'articolo 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, oltre a contenere già la fruizione dei permessi e delle licenze per mandato elettorale, di cui all'articolo 1488 e all'articolo 79 del decreto legislativo n. 267 del 2000.
  Con riferimento agli altri quesiti posti nell'atto di sindacato ispettivo, tengo a evidenziare come lo scenario geopolitico, negli ultimi anni, sia profondamente mutato e come, allo stato, appaia caratterizzato da un elevato livello d'incertezza strategica e volatilità delle situazioni.
  Come indicato sul «Libro bianco per la sicurezza internazionale e la Difesa», nell'attuale prospettiva finanziaria di breve periodo e d'instabilità internazionale, solo una struttura dalle capacità perfettamente integrate e un assetto delle forze accuratamente pianificato possono fornire al Paese gli strumenti necessari per rispondere adeguatamente a rischi e minacce e consentirgli di avere un ruolo attivo nella ridefinizione delle condizioni di sicurezza e stabilità delle aree di più diretto interesse.
  La Difesa ha, pertanto, fatto propria l'esigenza di rivedere lo strumento militare a fronte delle richieste pressanti imposte dalle sfide globali alla sicurezza e dalla complessa e difficile situazione economico-finanziaria. In tale ottica il Parlamento ha approvato, già nel 2012, la legge n. 244, che individua i princìpi, i criteri e gli obiettivi di questa revisione.
  La legge pone l'obiettivo della riduzione a 150.000 unità delle dotazioni organiche complessive delle Forze armate – esclusa l'Arma dei carabinieri e il Corpo delle capitanerie di porto – da conseguire nel medio lungo periodo.
  I discendenti provvedimenti di riordino evidenziano che a subire la maggior parte delle contrazioni saranno le regioni del nord e del centro, mentre le regioni meridionali, ad eccezione di Puglia e Campania, subiranno una modesta riduzione (Calabria) o un lieve incremento (Basilicata).
  Diversa la situazione, invece, per la Sicilia che vedrà, in netta controtendenza con il dato nazionale, un netto incremento delle posizioni organiche.
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   CRISTIAN IANNUZZI e SARTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comma 2 dell'articolo 10 del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, con legge 15 marzo 1991, n. 82, dispone che con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della giustizia, sentiti i Ministri interessati, sia istituita la commissione centrale per la definizione ed applicazione dello speciale programma di protezione;
   tale commissione provvede all'attuazione degli speciali programmi di protezione e di assistenza, ivi compresa la promozione delle misure di reinserimento nel contesto sociale e lavorativo, dei testimoni e collaboratori di giustizia, nonché degli altri soggetti ammessi al programma di protezione. Mantiene i rapporti con le autorità giudiziarie e di pubblica sicurezza, nazionali ed estere, nonché con i competenti organi dell'amministrazione penitenziaria e con tutte le altre amministrazioni centrali e periferiche eventualmente interessate all'attuazione delle misure di protezione;
   i testimoni di giustizia sono cittadini incensurati che coraggiosamente hanno deciso di rendere testimonianza alla magistratura dando un prezioso contributo alla sicurezza dello Stato ed un aiuto nella lotta alla criminalità. L'importanza del loro ruolo è stata riconosciuta espressamente dalla legge 13 febbraio 2001, n. 45, prevedendo misure di protezione fino all'effettiva cessazione del pericolo esistente per il testimone stesso e per i suoi familiari;
   i collaboratori di giustizia sono coloro che sottoscrivono un «contratto» con lo Stato basato sulla fornitura di informazioni provenienti dall'interno dell'organizzazione criminale in cambio di benefici processuali, penali e penitenziari, della protezione e del sostegno economico per sé e per i propri familiari Sono un elemento indispensabile nella lotta contro le mafie;
   la tutela dei testimoni e dei collaboratori di giustizia deve essere priorità assoluta per la dignità delle istituzioni di uno Stato sovrano e democratico;
   il 22 febbraio 2014 ha ufficialmente assunto l'incarico il Governo Renzi;
   a oggi, a distanza di oltre due mesi dall'insediamento del governo, ancora non è stato emanato il provvedimento concernente l'istituzione della commissione centrale per la definizione ed applicazione dello speciale programma di protezione cosicché si è delineato uno scenario di insostenibile incertezza per la tutela dei testimoni di giustizia e dei collaboratori impedendo alla commissione centrale di riprendere il normale svolgimento dei propri lavori –:
   se il Ministro interrogato non intenda urgentemente emanare il provvedimento di cui al comma 2 articolo 10 del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, con legge 15 marzo 1991, n. 82. (4-04661)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante ha chiesto l'urgente emanazione del decreto interministeriale istitutivo della Commissione centrale per la definizione e applicazione delle speciali misure di protezione, ai sensi dell'articolo 10, comma 2, del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82.
  In proposito, si rappresenta che i nominativi dei componenti del predetto organo, istituito con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della giustizia, del 21 giugno 2013, sono stati integrati e confermati il 28 maggio 2014.
  La prima riunione della Commissione si è tenuta il 24 giugno 2014, dopo il conferimento – avvenuto il 10 giugno 2014 – della delega per la presidenza.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   LOMBARDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Roberto Mancini, sostituto commissario di Polizia a Roma, ha lavorato nella sezione anticamorra della Criminalpol dal 1986 e, a partire dal 1994 e per tutto il resto della sua attività lavorativa, ha condotto una lunga serie di indagini relative al traffico illecito di rifiuti, i cui risultati sono poi confluiti nell'ambito del processo per disastro ambientale e inquinamento delle falde acquifere, condotto dal Pm Alessandro Milita;
   tra il 1997 e il 2001, Mancini ha collaborato con la Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, presieduta da Massimo Scalia, svolgendo numerose missioni in Italia, nella «terra dei fuochi», e all'estero;
   durante tale collaborazione, il sostituto commissario ha effettuato decine di sopralluoghi in discariche di rifiuti tossici e radioattivi, entrando in contatto con le scorie sversate dalla camorra e dalle industrie chimiche;
   ha visitato le centrali nucleari italiane, è sceso nel ventre delle miniere di sale in Germania – protetto solo da una mascherina – ha percorso metro per metro i luoghi dell'orrore in provincia di Caserta, ha seguito i percorsi dei camion carichi di veleni del nord Italia spediti verso la terra dei fuochi;
   nel 2002 gli è stato diagnosticato un linfoma non Hodgkin: il Comitato di verifica del Ministero delle finanze, organo consultivo che emana pareri sulla dipendenza da causa di servizio delle infermità contratte da dipendenti pubblici, civili o militari, ha certificato che il suo tumore del sangue dipende da «causa di servizio»;
   Mancini ha presentato quindi una richiesta di risarcimento danni allo Stato per malattia professionale, vedendosi riconoscere solo un equo indennizzo pari a 5 mila euro e solo da parte del Ministero dell'interno;
   il sostituto commissario si è poi rivolto alla Presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini, in qualità di rappresentante dell'organo ai sensi dell'articolo 8 del Regolamento, chiedendo che gli venisse risarcita quella malattia contratta a causa della contaminazione con sostanze nocive, avvenuta durante le indagini svolte per la commissione parlamentare;
   la Presidenza, per il tramite degli uffici, ha declinato qualsiasi responsabilità in relazione ad ogni forma di risarcimento –:
   per quale motivo Mancini fu inquadrato nell'Ispettorato della Polizia di Stato in data 16 aprile 1998, cioè 7 mesi dopo l'effettivo inizio della sua collaborazione con la Commissione, sancito dal giuramento avvenuto il 23 settembre 1997;
   con quali mansioni Mancini fu inquadrato nell'Ispettorato della Polizia della Camera dei deputati;
   se vi siano mansioni svolte durante la sua attività per conto della Commissione d'inchiesta che non siano state espressamente autorizzate o coordinate attraverso l'Ispettorato della Polizia della Camera;
   se, a fronte di una malattia tanto grave e per cui è stato accertato il nesso causale con il servizio prestato in favore dello Stato, appaia ragionevole e dignitoso un indennizzo pari a 5.000 euro, come quello riconosciuto a Mancini. (4-03889)

  Risposta. — Il sostituto commissario della Polizia di Stato Roberto Mancini è deceduto il 30 aprile 2014 per un particolare tipo di linfoma insorto a seguito delle missioni effettuate tra gli anni 1997 e 2001 nei territori ubicati al confine tra le province di Napoli e Caserta, su incarico ufficiale della commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse.
  Durante il servizio reso presso l'ispettorato generale di pubblica sicurezza presso la Camera dei deputati, aveva partecipato a tutte le attività, esterne ed interne, svolte dalla menzionata commissione parlamentare e aveva compiuto numerose e frequenti missioni in territorio nazionale ed estero.
  La predetta infermità era stata riconosciuta come dipendente da causa di servizio nell'aprile 2010, con conseguente concessione dell'equo indennizzo a cui si fa riferimento nell'interrogazione.
  Quando era ancora in vita, il signor Mancini aveva presentato un'istanza finalizzata al riconoscimento dello status di soggetto equiparato a vittima del dovere; status che gli è stato attribuito nel settembre 2014, con conseguente inserimento del suo nominativo nella XVII pubblicazione della graduatoria nazionale delle posizioni – regolarmente ostensibile sul sito web istituzionale del Ministero dell'interno – (pos. 2238), secondo l'ordine cronologico degli eventi.
  I decreti a firma del capo della polizia – direttore generale della pubblica sicurezza, con i quali sono stati erogati ai familiari superstiti i benefici connessi allo status citato sono stati già predisposti e sono in via di liquidazione.
  Si soggiunge che, nell'immediatezza del decesso, sono stati concessi alla vedova un contributo e un sussidio straordinario a carico del fondo di assistenza per il personale della Polizia di Stato.
  Inoltre, sono state avviate le procedure concernenti il pagamento di un contributo per le spese funerarie e mediche e di una elargizione una tantum, in caso di assenza di reddito da parte della vedova.
  Si rappresenta, altresì, che è stata avviata la procedura per l'eventuale inserimento della figlia del signor Mancini in un piano di assistenza connesso alla definizione della pratica pensionistica, ciò che comporterebbe la corresponsione mensile di una somma variabile in base al reddito, al momento non quantificabile.
  Peraltro, la Prefettura di Roma, nel mese di maggio 2014, dopo aver acquisito i dati economici e matricolari del signor Mancini, ha trasmesso la pratica all'Inps, per il pagamento della pensione ordinaria indiretta.
  La vedova del signor Mancini, dal canto suo, ha chiesto il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell'infermità letale, quale aggravamento della patologia già riconosciuta dipendente da causa di servizio al predetto, sia ai fini della pensione privilegiata di reversibilità che dell'equo indennizzo. La Commissione medico-ospedaliera di Roma ha riconosciuto l'aggravamento il 5 giugno 2014.
  Il successivo 16 giugno è stata trasmessa, sempre all'Inps, tutta la documentazione per la liquidazione del trattamento speciale previsto dall'articolo 93 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973 (Testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato).
  In particolare alla vedova spetta, per la durata di un triennio dal decesso del coniuge, un trattamento speciale di importo pari a quello della pensione privilegiata di prima categoria, calcolato sull'intera base pensionabile. Dopo i tre anni, la predetta manterrà il diritto al trattamento di pensione privilegiata di reversibilità nella misura dell'80 per cento fino al perdurare delle condizioni previste dalla legge.
  Si rappresenta ancora che il 26 settembre 2014 è stato emesso il decreto ministeriale n. 1927/2014 di liquidazione del beneficio dell'equo indennizzo di prima categoria, ai sensi del combinato disposto delle leggi n. 1094/1970 e n. 724/1994.
  Infine, si informa che il 15 maggio 2014 al signor Mancini è stata conferita, alla memoria, la medaglia d'oro al valore civile con la seguente motivazione: «Per l'essersi prodigato, nell'ambito della lotta alle ecomafie, con straordinario senso del dovere ed eccezionale professionalità nell'attività investigativa per l'individuazione, nel territorio campano, di siti inquinati da rifiuti tossici illecitamente smaltiti. L'abnegazione e l'incessante impegno profuso, per molti anni, nello svolgimento delle indagini gli causavano una grave patologia che ne determinava prematuramente la morte. Mirabile esempio di spirito di servizio e di elette virtù civiche, spinti fino all'estremo sacrificio, Regione Campania 1994-2014».
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, MANTERO, DI VITA e GRILLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nella puntata del 26 novembre 2014 il programma televisivo Le Iene ha mandato in onda un servizio dal titolo «Rovinati dallo Stato e dimenticati» in cui si raccontava l'odissea umana degli emodanneggiati che, per ottenere un risarcimento iniziano una causa civile in tribunale e, una volta vinta, non trovano ristoro per inerzia nei pagamenti da parte del Ministero della salute;
   sul punto è stato intervistato il dottor Giuseppe Viggiano, direttore generale della vigilanza sugli enti e della sicurezza delle cure presso il Ministero della salute con assegnazione dell'incarico nel settore indennizzi per danni da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati, trapianti d'organi e biotecnologie e relativo contenzioso, persona quindi autorevole e qualificata, il quale così si è espresso nel merito della questione «Nel fondo per il pagamento delle sentenze vi sono 20.000 euro» a fronte di «14.000 sentenze e decreti ingiuntivi notificati». Concludeva l'intervista affermando che «l'impegno del Ministero è di pagare tutti entro 2 anni»;
   dietro ogni sentenza vi sono persone gravemente malate, invalide, impossibilitate a lavorare e condannate ad una vita non vita, alcune già decedute, persone stremate dalle epatiti, dall'HIV e prostrate psicologicamente da uno Stato che dopo averle fatte ammalare (la responsabilità civile del Ministero della Salute è infatti acclarata da sentenze di ogni ordine e grado) non liquida loro il risarcimento proveniente da una condanna emessa dagli organi giurisdizionali;
   tale situazione causa al malato un ulteriore stress psicologico generato dal vedersi non riconosciuti i propri diritti –:
   se i Ministri interrogati concordino con quanto dichiarato dal dottor Viggiano, e se sia già stato predisposto un piano per trovare la liquidità necessaria per far sì che il Ministero della salute ottemperi al pagamento dei titoli esecutivi emessi a favore degli emodanneggiati. (4-08118)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame, a seguito di delega della Presidenza del Consiglio dei ministri.
  Il Ministero dell'economia e delle finanze ha inteso precisare che lo stato di previsione del Ministero della salute presenta risorse finalizzate all'erogazione di indennizzi di cui alla legge n. 210 del 1992, sotto forma di assegno, assegno reversibile e assegno «una tantum», a favore degli emodanneggiati, sui seguenti capitoli di spesa:
  Capitolo 2401 – Somme dovute per la liquidazione delle transazioni da stipulare con soggetti emotrasfusi, danneggiati da sangue o emoderivati infetti, che hanno instaurato azioni di risarcimento danni: con risorse stanziate e impegnate dal 2007 al 2014, complessivamente pari a 1.190 milioni di euro, a fronte delle quali risultano pagamenti per soli 21 milioni di euro.
  A queste somme vanno aggiunti ulteriori 304 milioni di euro circa di residui passivi correnti, che risultano ancora iscritti in bilancio; dal 2015 al 2017 sono stati stanziati complessivamente ulteriori 434 milioni di euro, e 145 milioni di euro a decorrere dal 2018.
  Capitolo 2409 – Somme dovute a titolo di indennizzo e risarcimento ai soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati; con risorse stanziate e impegnate dal 2007 al 2014, complessivamente pari a 1.900 milioni di euro, con pagamenti corrispondentemente effettuati per 1,441 milioni di euro; dal 2015 al 2017 sono stati stanziati complessivamente 680 milioni di euro, e 210 milioni di euro a decorrere dal 2018.
  Inoltre, la legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014), all'articolo 1, comma 186, ha stanziato in favore delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano, relativamente alla quota di loro competenza non erogata, ulteriori risorse pari a 100 milioni di euro per l'anno 2015, 200 milioni di euro per l'anno 2016, 289 milioni di euro per l'anno 2017 e 146 milioni di euro per l'anno 2018, da destinare alla corresponsione degli indennizzi di cui alla legge n. 210 del 1992, per il periodo dal 1o gennaio 2012 al 31 dicembre 2014, nonché al pagamento degli arretrati della rivalutazione dell'indennità integrativa speciale di cui ai citati indennizzi fino al 31 dicembre 2011.
  Il corrispondente capitolo di spesa iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze è il 2855 – Somme da erogare alle regioni e province autonome di Trento e Bolzano per il rimborso degli oneri finanziari derivati dalla corresponsione degli indennizzi per i soggetti danneggiati da emotrasfusioni.
  In merito all'applicazione della legge n. 210 del 1992, occorre ricordare che, nel corso degli anni, si è determinato un notevole incremento del contenzioso, dovuto principalmente a due fattori che hanno inciso sull'attività diretta alla liquidazione dei titoli esecutivi giudiziali: sentenze e decreti ingiuntivi.
  L'indennizzo consta infatti di due componenti: un importo fisso «ex lege» e l'indennità integrativa speciale.
  Sul tema della rivalutabilità o meno della componente dell'indennizzo denominata indennità integrativa speciale, si sono confrontati per anni, nella giurisprudenza della Corte di cassazione, orientamenti di segno opposto.
  A seguito della sentenza n. 293 del 2011 della Corte costituzionale – che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 11, commi 13 e 14, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, nella parte in cui prevedeva «il comma 2 dell'articolo 2 della legge 25 febbraio 1992, n. 210 e successive modificazioni si interpreta nel senso che la somma corrispondente all'importo dell'indennità integrativa speciale non è rivalutata secondo il tasso di inflazione» – si è determinato, a partire dal dicembre 2011 e per tutto il 2012, 2013 e 2014, un considerevole incremento del contenzioso instaurato nei confronti del Ministero della salute, avente ad oggetto proprio la rivalutazione della indennità integrativa speciale, ormai riconosciuta dalla Consulta, e su cui anche l'Avvocatura dello Stato ha ritenuto non più opportuna alcuna difesa.
  Conseguenza di tale situazione è che tutti i giudizi instaurati, o i decreti ingiuntivi proposti, si sono tradotti in condanne per il Ministero.
  Il «trend» di crescente contenzioso è stato determinato, negli stessi anni, da un ulteriore fattore.
  Per giurisprudenza, avallata dalla suprema Corte di cassazione, il Ministero della salute è sempre e comunque ritenuto legittimato passivo nei giudizi in materia di legge n. 210 del 1992, anche quando la competenza amministrativa delle procedure è delle regioni, a cui il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 26 maggio 2000 ha trasferito le relative competenze.
  Da entrambi questi fattori è scaturito l'ingente numero di titoli esecutivi notificati al Ministero, pari a non meno di 14.000.
  Per far fronte a tale situazione, è stato definito un progetto, di durata biennale, al fine di provvedere alla esecuzione delle sentenze e dei decreti ingiuntivi di condanna ancora non liquidati, e riguardanti in massima parte le condanne alla corresponsione della rivalutazione degli indennizzi e, in minor parte, il risarcimento dei danni derivanti da trasfusione, da somministrazione di emoderivati e da vaccinazioni obbligatorie.
  Quanto sopra è stato dettagliatamente rappresentato dal dottor Giuseppe Viggiano (direttore della Direzione generale della vigilanza sugli enti e sicurezza delle cure) nell'intervista rilasciata al programma televisivo «Le Iene».
  Nel corso di tale intervista, di cui sono state mandate in onda, nella puntata del 26 novembre 2014, soltanto alcune frasi estrapolate dai rispettivi contesti, il dirigente, a specifica domanda, precisava che; «nel fondo per il pagamento delle sentenze vi sono 20.000 euro», facendo tuttavia contestualmente presente che questo Ministero aveva già tempestivamente provveduto a chiedere al Ministero dell'economia e delle finanze l'integrazione delle risorse finanziarie necessarie alla liquidazione dei titoli esecutivi.
  Tale integrazione è pervenuta immediatamente dopo la registrazione dell'intervista.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   LOREFICE, COLONNESE, BRESCIA, MANTERO, SILVIA GIORDANO, DI VITA, GRILLO, LUPO, MANNINO, NUTI, RIZZO, CANCELLERI, D'UVA e BARONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'ANAC (Autorità nazionale anti corruzione) ha inviato presso la procura della Repubblica di Catania e Caltagirone il proprio parere sulla controversia relativa alla procedura di gara aperta per l'affidamento triennale della gestione del CARA di Mineo, indetta dal Consorzio «Calatino Terra d'Accoglienza», rilevando una gestione illegittima e una scelta procedurale in contrasto «con i principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento e trasparenza», ma anche con la normativa che prevede la suddivisione dei singoli appalti in lotti funzionali ove conveniente. Il Consorzio, infatti, aveva deciso di appaltare servizi con attività eterogenee e diverse tra loro con un'unica procedura e ad un unico operatore economico, senza valutare una procedura di suddivisione dei servizi;
   l'ANAC avrebbe, altresì, rilevato un'altra grave anomalia, quella dell'indicazione cumulativa dell'importo, attraverso la quale non venivano indicati i prezzi per singoli servizi e le forniture, creando, pertanto, difficoltà nel compiere un'adeguata valutazione delle offerte economiche. Secondo le dichiarazioni rilasciate da Cantone, i servizi avrebbero dovuto essere messi a gara in «lotti autonomi»;
   sembrerebbe, secondo fonti giornalistiche, che nemmeno l'unico criterio applicato per l'aggiudicazione di una gara milionaria, cioè quello dell'offerta più vantaggiosa, sarebbe stato rispettato. Risulterebbe, infatti, che delle due ditte partecipanti, una, la C.O.T., sarebbe stata subito esclusa per mancanza dei requisiti, mentre l'altra, una costituente composta dalle stesse aziende che gestivano il precedente appalto, si sarebbe aggiudica l'appalto con un ribasso ridotto, pari a 1.00671 per cento sul prezzo. Un'offerta che la stessa ANAC avrebbe definito molto ridotta e per nulla conveniente;
   l'intervento dell'ANAC si colloca subito dopo le intercettazioni dell'operazione Mondo di Mezzo che aveva gettato ombre sull'appalto da 97 milioni di euro per il servizio di accoglienza dei migranti e che aveva visto coinvolti una molteplicità di attori, istituzionali e non. Uno degli aspetti più rilevanti è quello relativo al conferimento di incarichi e appalti, punto sul quale Cantone precisa: «Stiamo provando anche ad individuare una regolamentazione di tipo amministrativo in questo senso, proprio per quello che riguarda le società del terzo settore alle cooperative di tipo A e B». «Un atto generale che – secondo Cantone – metterà dei paletti molto significativi alle modalità di conferimento degli appalti alle cooperative»;
   SiciliaJournal, nel servizio del 6 giugno 2014 dal titolo: «Mineo, il “Cara”: soldi pubblici e affari privati», raccontava già nei minimi particolari il grande business dell'accoglienza nel CARA di Mineo. Subito dopo la pubblicazione di quel servizio, il 9 giugno 2014, arrivava all'Autorità nazionale anticorruzione, guidata dal pubblico ministero Raffaele Cantone, una segnalazione su una importante gara di quasi cento milioni di euro per la gestione dei servizi al Cara di Mineo, che sembrava disegnata su misura. La segnalazione era stata inviata dalla C.O.T., impresa palermitana del settore della ristorazione che facendo riferimento ai requisiti della gara sosteneva che gli stessi favorivano il gestore uscente violando i principi comunitari in materia. Dal parere dell'ANAC risulta che la C.O.T. avrebbe contestato la procedura di gara che non sarebbe soggetta alle norme del Codice degli appalti pubblici, per quanto queste ultime risultassero poi in parte richiamate. L'istante avrebbe sollevato diverse censure di illegittimità avverso la disciplina di gara con riferimento ai requisiti di partecipazione e all'oggetto dell'appalto, evidenziando l'impossibilità di partecipare alla procedura e la lesione alla concorrenza. Sarebbe stata contestata la violazione degli articoli 2 e 27 del decreto legislativo n. 163 del 2006 e dei principi di ragionevolezza, proporzionalità e di favor partecipationis, con riferimento alle clausole del bando. Ad avviso dell'istante le clausole del bando relative ai requisiti di partecipazione, oltre ad essere in contrasto, con le norme e i principi indicati, favorirebbero il gestore uscente. Si contesterebbe, altresì, la violazione dell'articolo 2, comma 1-bis, decreto legislativo 163 del 2006. Il bando sarebbe, quindi, illegittimo avendo messo a gara servizi e lavori di diversa natura che avrebbero richiesto una suddivisione in lotti per garantire la più ampia partecipazione di concorrenti alla procedura nell'ottica di tutela della concorrenza. Si contesterebbe ancora la violazione dell'articolo 41 del decreto legislativo n. 163 del 2006 in quanto il bando richiederebbe ai concorrenti un fatturato relativo alle prestazioni oggetto di gara non inferiore a euro 47.000.000,00 senza chiarire se il fatturato si riferisca alla gestione complessiva di centri di accoglienza oppure consenta di tenere in considerazione il fatturato maturato per le singole attività messe a gara. In particolare, sarebbe violata la previsione contenuta al comma 2 secondo cui «sono illegittimi i criteri che fissano, senza congrua motivazione, limiti di accesso connessi al fatturato aziendale». Ad avviso dell'istante, la previsione relativa al fatturato, insieme alle altre clausole di partecipazione contestate, lede la concorrenza riducendo la platea dei concorrenti che potrebbero partecipare alla procedura di gara. Sarebbe stata violata e falsata l'applicazione dell'articolo 2, decreto legislativo n. 163 del 2006 e dei principi di diritto comunitario espressi dal Trattato UE. Risulterebbe violato l'articolo 29 del decreto legislativo n. 163 del 2006 ai sensi del quale il calcolo del valore stimato degli appalti pubblici deve essere effettuato in base all'importo totale pagabile al netto dell'iva poiché la differente forma giuridica dell'operatore economico potrebbe determinare l'applicazione di una diversa aliquota;
   l'impresa o il raggruppamento d'imprese che vi potevano partecipare dovevano avere esperienze molto specifiche e particolari, requisiti dalla ristorazione alla manutenzione degli alloggi della Pizzarotti, l'azienda di Parma proprietaria degli immobili del Cara di Mineo che faceva già parte della cordata che ha poi vinto la gara. Insomma, pare essersi trattato di un appalto blindato, con l'azienda vincitrice «La Cascina Ristorazione», che avrebbe pagato al componente della commissione aggiudicatrice un compenso di 10 mila euro al mese, stando a quanto sostiene lo stesso Odevaine che, nelle intercettazioni, parlando del bando aggiungeva: «Sarà difficile che se lo possa aggiudicare qualcun altro»;
   una delegazione di consiglieri comunali, Pietro Catania di Mineo, Lorena Grazia Mileti di Castel di Iudica, Giuseppe Lanzafame e Fabio Cusumano di Ramacca e Vito Amore di Vizzini, hanno incontrato il prefetto della provincia di Catania, Maria Guia Federico. Pare si sarebbero soffermati proprio sugli aspetti poco chiari della gestione amministrativa del Cara di Mineo: l'inopportuno rapporto tra il coordinatore della lista di maggioranza «Uniti per Mineo» nonché soggetto che eroga una parte dei servizi al centro, Paolo Ragusa, ed il presidente del Consorzio «Calatino Terra di Accoglienza» e sindaco di Mineo Anna Aloisi che avrebbe dato vita a una gestione amministrativa poco trasparente in pieno conflitto dei rispettivi ruoli di controllore e controllato. Avrebbero, inoltre, sottoposto all'attenzione del Prefetto i tanti casi di consiglieri comunali del calatino che si sarebbero prestati ai soliti politicanti ed affaristi di turno beneficiando di posti di lavoro al Cara tramite assunzioni clientelari e poco trasparenti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei profili di conflitto di interesse e di inopportunità dei ruoli di alcune figure apicali tra gestori e amministratori del CARA e quali iniziative di competenza, compreso l'eventuale invio di ispettori ministeriali, intenda intraprendere;
   se non intenda fare chiarezza sulla gestione amministrativa del Cara di Mineo e in merito alle gare d'appalto per l'affidamento dei servizi, sull'operato del Consorzio che gestisce il Cara e sul ruolo di Luca Odevaine nella commissione di gara, verificando, altresì, il profilo delle cooperative coinvolte, a livello di gestione e di personale assunto;
   se non intenda operare verifiche amministrative sui soggetti vincitori degli appalti e sull'utilizzo dei fondi o dar conto parlamento di eventuali verifiche già effettuate;
   se, come sottolineato dall'Autorità nazionale anticorruzione non ritenga urgente assumere iniziative per una regolamentazione, per ciò che concerne le società del terzo settore e le cooperative di tipo A e B, così da mettere «paletti» significativi alle modalità di conferimento degli appalti. (4-08368)


   LOREFICE, COLONNESE, BRESCIA, GRILLO, SILVIA GIORDANO, DI VITA, MANTERO, CANCELLERI e RIZZO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo pubblicato in data 24 marzo 2015 sul quotidiano «La Sicilia» dal titolo «Cara di Mineo, con i soldi per i migranti parentopoli dei posti di lavoro e sagre» scritto dall'inviato Mario Barresi si legge che dalle carte dell'inchiesta emergono «favori» in tutti i comuni del Calatino, tutte attività finanziate con l'industria dell'accoglienza: dalla sagra del carciofo all'assunzione del nipote del sindaco, dalla festa del patrono al posto di lavoro per il candidato che non è stato eletto o per il consigliere comunale disoccupato;
   il centro di accoglienza per richiedenti asilo ha generato quasi un migliaio di posti di lavoro, tutti assegnati senza alcun bando pubblico. In alcuni casi questi posti di lavoro sono spartiti scientificamente in una sorta di «manuale Cencelli» — fra i comuni «soci», come qualche sindaco ha ammesso in pubblico;
   l'articolo riporta che la «parentopoli» di Cara e dintorni, le cui carte sono sui tavoli delle procure, che indagano anche su gestione e appalti, e della Commissione antimafia all'Assemblea Regionale siciliana; non riguarda soltanto l'Ncd del presunto «indagato eccellente», Giuseppe Castiglione. Pare che ci siano dentro quasi tutte le forze politiche. E ci sarebbe dentro anche il Pd, che domenica scorsa ha preso posizione contro lo scandalo del centro di accoglienza per richiedenti asilo, chiedendo il commissariamento del centro con un documento votato dalla direzione provinciale. Non sarebbero coinvolti solo partiti, ma anche sindacati e associazioni che gestiscono in prima linea i posti e gli eventi;
   il centro di accoglienza per richiedenti asilo è considerato da molti residenti «come la Fiat» in un territorio in cui l'agricoltura boccheggia;
   il sindaco di Ramacca, Francesco Zappalà, in un'intervista rilasciata a SudPress ha dichiarato che per il suo comune sono state assunte 35 persone, «di cui 25 le ha fatte Pippo Limoli di Ncd, 5 o 6 il sindacato». Un gruppo di consiglieri d'opposizione l'ha definita una «triangolazione tra Pd, Cgil ed Ncd sull'asse Zappalà-Vitale-Limoli» con i nomi legati al primo cittadino che ha fatto assumere tre nipoti. Al centro di accoglienza per richiedenti asilo sono stati pure assunti i figli dei consiglieri comunali Paolo Cafici, Salvatore Pedalino e Anna Gurrisi. Pare una strana coincidenza, a dire del giornalista, che il consigliere Sergio Ialuna esce dalla maggioranza, dichiarandosi indipendente, dopo il licenziamento del fratello dal centro di accoglienza per richiedenti asilo;
   il sindaco Zappalà, riguardo lo Sprar di Ramacca, si vanta di «non averlo fatto con Paolo Ragusa», il presidente di Sol Calatino, consorzio di cooperative nell'Ati che si è aggiudicata la gestione del centro di accoglienza per richiedenti asilo. Allo Sprar di Ramacca, gestito da «Luoghi Comuni» di Acireale, lavora la moglie del consigliere comunale Giuseppe Paglia e il figlio della dirigente dell'ufficio servizi sociali, Cristina Di Mauro, che ha un ruolo di controllo e rendicontazione sull'attività del centro. Il responsabile dello Sprar nell'ambito dell'integrazione fra comuni è poi Davide Grasso, nipote di Pippo Grasso, sindaco di Castel di Judica;
   il sindaco Grasso, che secondo fonti giornalistiche sarebbe amico personale di Ignazio La Russa e dialogante con Ncd, in una seduta consiliare avrebbe dichiarato che gli avevano «garantito la possibilità di effettuare 25 assunzioni fra Cara e Sprar», tra queste il capogruppo di Ncd Pierluca Torrisi, il figlio del presidente del consiglio comunale Antonio Sindoni e il figlio del consulente del sindaco Vincenzo Trovato. Allo Sprar, sorto in un immobile di proprietà di un cugino di un consigliere di Ncd, lavorerebbe anche il consigliere Emanuele Russo, e la gestione di sagre del pecorino e rassegne è affidata a due associazioni vicine a consiglieri o candidati non eletti della lista del sindaco Grasso;
   il sindaco di Mineo, Anna Aloisi, dapprima consulente legale di Sol.Calatino e poi presidente del consorzio dei comuni, sembra aver avuto una notevole «spinta» in campagna elettorale avendo favorito 24 assunzioni nel trimestre caldo delle Amministrative ed avendo ottenuto una vittoria per meno di 300 voti: come risulta da fonti di stampa, anche a Mineo la mappa delle assunzioni non è al di sopra di ogni sospetto: il vicesindaco Salvo Tamburello ha una sorella impiegata al consorzio; l'assessore Massimo Pulici avrebbe collocato un nipote e un cognato; il consigliere Giuseppe Biazzo è componente del consiglio di amministrazione di Sol.Calatino e la moglie lavora allo Sprar; il consigliere Mariella Simili lavora al centro di accoglienza per richiedenti asilo così come il figlio della consigliera Caterina Sivillica e, il fratello del consigliere Gianluca Barbanti; lavorano allo Sprar anche la moglie del vicepresidente del Consiglio Mario Margarone e Riccardo Targusso, assessore designato da Giuseppe Mistretta;
   il sindaco di Vizzini, Marco Sinatra, presidente dell'assemblea del consorzio, pare avrebbe fatto entrare una coppia di cugini al centro di accoglienza per richiedenti asilo; mentre i consiglieri comunali Vito Arnone e Eliana Costantino lavorano tramite la coop Il Sorriso al locale Sprar; nella giunta sono entrati 3 assessori – Santi Cilmi, Santo Lentini e Giuseppe Palma – i cui figli erano già in precedenza stati assunti allo Sprar;
   a Licodia Eubea il figlio del sindaco Giovanni Verga lavora con uno degli avvocati più gettonati dal centro di accoglienza per richiedenti asilo, mentre anche la cognata del presidente del consiglio comunale Alessandro Astorino risulterebbe assunta allo Sprar;
   a Raddusa, secondo quanto sostenuto dall'opposizione, al centro di accoglienza per richiedenti asilo sono stati assunti il cognato del presidente del consiglio comunale Salvatore Macaluso, il figlio dell'assessore Mario Rapisarda e i nipoti dell'ex vicesindaco Francesco Leonardi e del consigliere Luigi Allegra; mentre allo Sprar sarebbero stati assunti la sorella del consigliere comunale Carmelo Pagana, il nipote del vicesindaco Serafina Schilirò, la figlia del consigliere Allegra, la zia del consigliere Salvatore Currao, la figlia della segretaria del sindaco Anna Di Leonforte;
   a Caltagirone sarebbe stato impiegato al centro di accoglienza per richiedenti asilo il marito del capogruppo Ncd Elisa Privitera, mentre a Grammichele allo Sprar lavorerebbe un cugino del presidente del consiglio comunale Pietro Palermo –:
   se siano a conoscenza dei profili di inopportunità e di poca trasparenza nella gestione delle assunzioni del centro di accoglienza per richiedenti asilo e dello Sprar e quali provvedimenti, compresi eventuali invii di ispettori ministeriali, intendano intraprendere;
   se non intendano fare chiarezza, per quanto di competenza ed autonomamente rispetto alla magistratura, sulla gestione amministrativa dei centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo e, in particolare, sulla gestione del personale assunto;
   se non ritengano opportuno ed eticamente doveroso verificare la veridicità di tutte le informazioni riportate dalla stampa. (4-08587)

  Risposta. — Con le interrogazioni in esame si chiedono chiarimenti in merito alla gestione dei CARA di Mineo e, più in generale, dei centri di accoglienza per richiedenti asilo presenti sul territorio nazionale.
  Quanto al centro di Mineo, si ritiene necessario precisare preliminarmente che la questione concernente questo specifico centro riguarda solo indirettamente il Ministero dell'interno.
  La vicenda, infatti, nasce nel 2011, allorquando fu dichiarato lo stato di emergenza migratoria, e, in questa prima fase, il soggetto attuatore per la gestione del CARA venne individuato nel presidente della provincia di Catania.
  Solo dopo la chiusura dell'emergenza del Nord-Africa, la prefettura di Catania fu autorizzata, sulla base di un'ordinanza di protezione civile del 28 dicembre 2012, a stipulare una convenzione con un consorzio dei comuni del Calatino per garantire la continuità dell'accoglienza.
  Dunque, è stato lo stesso consorzio, in qualità di stazione appaltante, ha svolgere la gara per la individuazione del soggetto gestore. È evidente che il Ministero dell'interno né durante l'emergenza migratoria né successivamente, ha mai avuto un ruolo nella gestione degli appalti relativi alla struttura in questione.
  Inoltre, l'articolo 5 della convenzione sottoscritta tra il prefetto di Catania e il consorzio esclude qualunque responsabilità della prefettura catanese anche nei confronti di terzi.
  Sulla questione, vi è stato, nello scorso mese di febbraio, l'intervento dell'autorità nazionale anticorruzione che, con riguardo alle procedure concorsuali gestite dal consorzio catanese, ha rilevato profili di illegittimità e chiesto chiarimenti al consorzio stesso.
  Il 27 maggio 2015, il presidente Cantone ha informato il Ministero dell'interno della risposta fornita dal consorzio e, il successivo 19 giugno, ha formulato al prefetto di Catania la proposta di adottare la misura della straordinaria e momentanea gestione prevista dall'articolo 32, comma 1, lettera b), del decreto-legge n. 90 del 2014, nei confronti del consorzio di cooperative sociali «Casa della solidarietà» e dell'impresa La Cascina Global Service s.r.l..
  Il 23 giugno, il prefetto di Catania ha decretato tale misura, con contestuale sospensione dell'esercizio dei poteri di disposizione e gestione dei titolari delle predette imprese, limitatamente all'appalto relativo all'affidamento dei servizi e delle forniture per la «gestione del centro di accoglienza per richiedenti asilo (C.A.R.A.) sito nel comune di Mineo».
  Contestualmente ha nominato amministratore la dottoressa Maria Nicotra, avvocato dello Stato in quiescenza, fino alla completa esecuzione del contratto di appalto in argomento.
  Su un piano più generale, è interesse precipuo del Ministero dell'interno che un settore fondamentale della sua attività, quale è l'accoglienza dei migranti, rimanga immune dalla corruzione e venga gestito sempre nel pieno rispetto della legalità.
  In proposito, si rileva, innanzitutto, che l'affidamento della gestione del centri governativi di accoglienza avviene sulla base di un capitolato generale approvato nel novembre 2008, che disciplina la fornitura dei relativi servizi, secondo parametri qualitativi e costi che sono assolutamente in linea con gli standard europei.
  In particolare il gestore del centro, in conformità alla convenzione stipulata con le prefetture competenti, deve garantire una serie di servizi che vanno dalla gestione amministrativa, all'assistenza sanitaria, all'assistenza generica alla persona, al servizio di pulizia e igiene ambientale, alla fornitura di pasti, di vestiario e di prodotti per l'igiene personale. Devono altresì essere garantite la mediazione linguistica e culturale e l'insegnamento dell'italiano.

Nel capitolato è disciplinata anche l'attività di monitoraggio e di controllo sui servizi erogati, effettuata tramite le prefetture che, in caso di accertato disservizio, applicano una penale del 3 per cento del corrispettivo mensile e il risarcimento del maggior danno, con facoltà, in caso di grave inadempienza, di risolvere il contratto.
  L'attenzione del Governo sulla specifica materia è testimoniata, altresì, dalla approvazione all'inizio di quest'anno di un regolamento – il decreto del Presidente della Repubblica n. 21 del 2015 – in cui sono dettate disposizioni anche in tema di gestione dei centri governativi di accoglienza.
  Il profilo innovativo del provvedimento sta soprattutto nell'affermare il principio dell'uniformità delle regole organizzative sul territorio nazionale. Ed è evidente come tutto questo possa andare a vantaggio della certezza dei diritti del migrante, rafforzandone la posizione nei confronti degli enti gestori e delle stesse commissioni di esame.
  Non vengono poi trascurati quegli aspetti che più incidono sulla sfera personale e sulle condizioni di vivibilità e che vanno dalla tutela della salute al mantenimento dell'unità del nucleo familiare.
  Si sottolinea, poi, che nella gestione dei centri governativi lo Stato tende ad operare con la collaborazione di tutti quegli organismi che, attraverso la loro attività di sostegno e l'esperienza specifica maturata nel settore, possono garantire forme e livelli sempre più adeguati di prossimità allo straniero.
  È in questa direzione che si colloca il progetto Praesidium, avviato nel 2006 a Lampedusa e giunto alla decima annualità, riconosciuto quale best practice a livello europeo. Il progetto, cofinanziato dal fondo europeo delle frontiere esterne, coinvolge l'Acnur, l'Organizzazione internazionale delle migrazioni, la Croce Rossa italiana e Save the Children, nell'assistenza e sostegno dei migranti a partire dai luoghi di sbarco fino all'accoglienza nei centri.
  Sembra opportuno richiamare qui questa esperienza di partenariato per il suo intrinseco valore aggiunto, che conferisce maggiore spessore e concretezza al rispetto dei diritti fondamentali nella gestione delle strutture in questione.
  Nato a Lampedusa per la primissima accoglienza dei migranti che arrivavano direttamente sull'isola, il progetto si è esteso dal punto di vista territoriale (nelle regioni Sicilia, Calabria e Puglia) e funzionale, sperimentando negli ultimi anni una più marcata attività di monitoraggio della qualità dei servizi resi all'interno del centri di accoglienza al fine di contribuire a rafforzare l'attività di vigilanza che il capitolato generale d'appalto attribuisce ai prefetti competenti.
  A partire dal 2013, presso ciascuna prefettura ove è istituito un centro governativo di accoglienza sono state nominate delle commissioni a composizione mista (rappresentanti di prefettura e questura e di ciascuna organizzazione partner), con il compito di verificare, con cadenza periodica, il rispetto delle convenzioni stipulate.
  Nel 2014 sono state anche diramate le linee metodologiche sul funzionamento delle commissioni e programmati due cicli di sopralluoghi arrivando a monitorare anche due volte l'anno i centri governativi operativi in quel periodo.
  A partire dal secondo semestre del 2014 e sino al 30 aprile 2015 (scadenza ulteriormente prorogata al 30 giugno 2015) il progetto Praesidium è stato parzialmente finanziato con le risorse del Fondo europeo per l'asilo, la migrazione e l'integrazione.
  Ciò ha consentito non solo di effettuare nuovi cicli di monitoraggio nei centri governativi, ma anche di estendere le visite nei centri di accoglienza temporanei che, nel frattempo, a causa dell'incessante flusso migratorio, sono stati attivati dalle prefetture.
  Complessivamente, sono state effettuate 17 visite nel primo semestre 2014 e altrettante nel secondo semestre.
  Nel 2015 è stata fatta una prima programmazione di 23 visite nel primo quadrimestre, comprese numerose strutture di accoglienza temporanee e tra il mese di maggio ed il 30 giugno sono state programmate altre 12 visite.
  Sulla base del verbali redatti dalle commissioni e dai funzionari incaricati, i prefetti hanno potuto acquisire elementi utili per adottare misure, laddove necessarie, idonee a superare le criticità rilevate. In tale ambito, le prefetture hanno disposto in diverse occasioni la chiusura di strutture attivate in via temporanea o l'applicazione di penali, laddove hanno constatato l'inosservanza degli impegni contrattuali o l'inadeguatezza delle condizioni di accoglienza.
  Sempre nell'ottica di rafforzare l'attività di vigilanza sulla corretta gestione dei centri di accoglienza, con la circolare del 10 febbraio 2015, i prefetti sono stati invitati a potenziare l'attività di verifica, ponendo particolare attenzione a tutto il complesso sistema contabile-finanziario correlato alla gestione delle strutture di accoglienza e, in generale, all'accertamento della rispondenza della qualità delle prestazioni erogate rispetto a quelle pattuite in sede di convenzione.
  Questo è il quadro generale, che si ritiene dimostri come l'azione svolta dal Governo nel campo dell'accoglienza dei migranti – di concerto con tutte le amministrazioni coinvolte – sia sostanzialmente in linea con le politiche europee e gli obblighi internazionali, pur nella consapevolezza che nella gestione di un fenomeno così articolato e complesso possono verificarsi disservizi e anomalie.
  Anche per il futuro l'impegno dell'amministrazione dell'interno è di utilizzare ogni sua risorsa per l'effettivo rispetto dei diritti di tutti, specie dei soggetti più vulnerabili, in adesione ai princìpi universali di tutela della persona, che sono alla base della nostra civiltà giuridica.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   MARCON. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sulla spiaggia affollata di Jesolo nella giornata del 17 luglio 2014 è stata condotta un'operazione interforze coordinata dalla polizia per la lotta alla contraffazione e la vendita abusiva;
   dalle 10 di mattina il personale in borghese ha controllato l'area e verso mezzogiorno una ventina di venditori abusivi si sono gettati in mare pur di sfuggire ai controlli di polizia, carabinieri, polizia provinciale e polizia locale jesolane;
    sono rimasti in acqua per quattro ore davanti agli occhi increduli dei bagnanti sulla spiaggia di piazza Milano, pur di sottrarsi ai controlli e sequestri. I venditori di Jesolo, quasi tutti senegalesi, sono rimasti in mare fino al pomeriggio;
    sono arrivati anche i mezzi della Guardia costiera che li hanno raggiunti dove si trovavano a una ventina di metri da riva e vista l'impossibilità di raggiungerli per identificarli in acqua, gli agenti a un certo punto hanno lasciato la spiaggia, attendendo in zona via Levantina che uscissero dall'acqua per raggiungere le strade della città lungo i vari accessi all'arenile;
   si è trattato di un'operazione contro l'abusivismo commerciale e l'immigrazione clandestina molto delicata, anche per cercare di non coinvolgere i tanti bagnanti sulla spiaggia. I poliziotti si sono appostati sulle terrazze di hotel e appartamenti per controllare tutta l'area prima di intervenire;
   dopo qualche ora alcuni dei migranti si sono consegnati spontaneamente e sono stati fermati e controllati. Gli accertamenti si sono protratti fino a sera inoltrata. Alla fine quattro migranti sono stati identificati e tre di loro sono stati denunciati amministrativamente. Le forze dell'ordine hanno sequestrato 150 articoli contraffatti e 1.250 non contraffatti, ma che non potevano comunque essere venduti –:
   se il Governo non ritenga che le forze dell'ordine abbiano gestito la vicenda utilizzando un rigore eccessivo, posto che ad avviso dell'interpellante sono venuti meno al buon senso e allo spirito di umanità, nonché al dovere di garantire la sicurezza e le condizioni di salute – di fronte, nel caso specifico, al rischio di malori e insolazioni – anche di chi viene fermato per controlli e richieste di chiarimenti e verifiche sulle attività commerciali esercitate. (4-05608)

  Risposta. — Il servizio straordinario di controllo del territorio a cui si fa riferimento nell'interrogazione – attuato il 17 luglio 2014 lungo il litorale di Jesolo (Venezia) – si inquadra nel contesto di specifiche iniziative di contrasto dell'abusivismo commerciale e della vendita di merce contraffatta, fenomeni che – come segnalato più volte dai sindaci delle località turistiche balneari –, destano forte allarme sociale nella popolazione, con conseguenze negative sul piano della sicurezza e dell'ordine pubblico.
  Le misure di contrasto, individuate preliminarmente dal Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica di Venezia, sono state attuate lungo la stagione estiva sulla base di una pianificazione
ad hoc concordata tra il Commissariato di pubblica sicurezza di Jesolo, la Compagnia Carabinieri di San Donà di Piave e la Polizia municipale di Jesolo.
  Intorno alle 10 del mattino del 17 luglio 2014, un contingente di personale interforze si è recato sul tratto di arenile antistante l'ospedale di Jesolo, dove sono stati individuati alcuni cittadini stranieri che si stavano raggruppando per organizzare la vendita della propria merce.
  Accortisi delle Forze dell'ordine, gli ambulanti – presumibilmente di nazionalità senegalese – si sono rifugiati in mare, a circa trenta metri di distanza dalla riva e a una profondità approssimativa di un metro, allo scopo di sottrarsi ai controlli.
  Il dirigente del commissariato ha richiesto l'intervento della locale Guardia costiera nello specchio di mare interessato, proprio allo scopo di soccorrere gli stranieri in caso di bisogno. Anche i bagnini del vicino stabilimento balneare hanno predisposto i mezzi di soccorso in dotazione per un pronto impiego in caso di necessità.
  Soltanto quattro stranieri sono usciti subito dall'acqua, aderendo all'invito rivolto dalle forze dell'ordine, mentre gli altri quattordici sono rimasti in acqua per alcune ore.
  L'attività di polizia è stata quindi rimodulata: una parte del personale ha presidiato gli accessi e le strade limitrofe, un'altra ha verificato i movimenti degli stranieri dalla terrazza dell'Hotel Caravel; una terza è stata posta di riserva nella
hall della stessa struttura.
  Dopo circa quattro ore, gli ambulanti, fiduciosi che le Forze di polizia non sarebbero sopraggiunte, sono rientrati sulla battigia, cercando di confondersi e dileguarsi tra le centinaia di turisti che affollavano la spiaggia.
  A quel punto, gli operatori di polizia appostati sono intervenuti, dopo breve pedinamento, in un'area distante dalla spiaggia, procedendo doverosamente ai controlli del caso, ai successivi deferimenti all'autorità giudiziaria di alcuni degli ambulanti, all'accertamento e alla contestazione degli illeciti amministrativi e al sequestro della merce contraffatta o di cui era comunque vietata la vendita.
  Sulla base di quanto esposto, si esprime l'avviso che le Forze di polizia non siano intervenute con rigore eccessivo, né siano venute meno al buon senso e allo spirito di umanità. Al contrario, esse hanno adempiuto efficacemente ai loro compiti istituzionali a tutela dell'economia legale, oltre che della salute e della sicurezza dei consumatori, salvaguardando nel contempo l'incolumità dei cittadini stranieri sottoposti a controllo.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   NESCI e CIPRINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel 2012, decine di concorrenti per il ruolo di allievi agenti della polizia di Stato sono risultati idonei fuori della graduatoria utile di un concorso pubblico del Ministero dell'interno, bandito per 2.800 unità con decreto ministeriale del 24 novembre 2011 e riservato ai volontari in ferma prefissata congedati senza demerito;
   nella graduatoria approvata con decreto del Ministero dell'interno del 5 novembre 2012, figurano 2800 vincitori dietro ai quali vi sono ulteriori 939 idonei;
   il 19 marzo 2013 il Ministero dell'interno ha bandito un ulteriore concorso per il reclutamento di 964 allievi agenti della polizia, senza prima aver provveduto all'utilizzo della graduatoria degli idonei del precedente concorso;
   86 dei 939 suddetti idonei hanno presentato ricorso al Tar del Lazio, per impugnare il nuovo bando di concorso del 2013;
   il 23 luglio 2013 il giudice amministrativo, con sentenza n. 7482 del 2013, ha accolto, nei limiti dell'interesse dei soli rincorrenti, l'annullamento in parte del bando impugnato, riconoscendo agli idonei il diritto allo scorrimento;
   lo scorrimento delle graduatorie della pubblica amministrazione è previsto – sia pure con problemi interpretativi che per gli interroganti vanno risolti con urgenza e in via definitiva in Parlamento – dal recente decreto-legge n. 101 del 2013, convertito con legge n. 125 del 2013;
   dopo la succitata sentenza di accoglimento del Tar del Lazio, il Ministero dell'interno ha chiesto al Consiglio di Stato di non pronunciarsi su una eventuale misura cautelare che sospendesse la sentenza del giudice di prime cure;
   il 27 novembre 2014, ignorando la riferita sentenza del Tar del Lazio, il Ministero dell'interno ha pubblicato la graduatoria del suddetto concorso per 964 allievi agenti, prescindendo dal diritto di cui alla menzionata pronuncia del giudice amministrativo;
   nel dicembre 2013, alcuni dei succitati 939 idonei hanno depositato ricorso per l'ottemperanza della menzionata sentenza, poi chiedendo la sospensione della nuova graduatoria pubblicata, atteso che nel frattempo è intervenuta la sentenza del Consiglio di Stato del 14 gennaio 2014, n. 100, che ha accolto l'appello proposto avverso la suindicata sentenza di primo grado;
   il 19 febbraio 2014, il giudice della predetta richiesta di ottemperanza ha ritenuto fondato il ricorso proposto e, con la misura cautelare, ha sospeso la graduatoria ultima per 964 allievi agenti;
   questa ennesima vicenda dimostra – a parere degli interroganti, che ha formulato altri atti di sindacato ispettivo sulla stessa materia – la necessità di assumere lo scorrimento delle graduatorie come principio universale e inderogabile, prima di indire nuovi concorsi in polizia e, più in generale, nelle forze dell'ordine –:
   quali misure intenda assumere per garantire nella fattispecie i diritti degli interessati e, in considerazione degli esiti del succitato concorso bandito il 19 marzo 2013 e relativo al ruolo in argomento, per assicurare la copertura dei posti vacanti con efficacia ed economicità delle procedure. (4-05175)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante chiede quali iniziative intenda assumere il Ministro dell'interno per procedere all'immediata assunzione di coloro che sono risultati idonei al concorso pubblico a 964 posti di allievo agente della Polizia di Stato, con particolare riferimento agli 86 idonei che hanno impugnato il relativo bando.
  Il tema evidenziato è stato oggetto di attenta valutazione da parte dell'Amministrazione dell'interno, a cui erano ben note le aspirazioni degli idonei.
  Prima del recente intervento del Parlamento, non era stato possibile venire incontro alle aspettative degli interessati, per i limiti posti dal codice dell'ordinamento militare. In base a tali disposizioni, infatti, i posti da mettere a concorso per il reclutamento del personale nelle carriere iniziali delle Forze di polizia sono determinati attraverso un meccanismo assunzionale del tutto peculiare, modellato sulle specifiche esigenze della difesa e correlato alla necessità di garantire, con cadenza periodica predeterminata, un sufficiente numero di volontari.
  Tra le altre criticità vi era quella di salvaguardare i diritti dei vincitori appartenenti alla cosiddetta seconda aliquota e in ferma quadriennale, per i quali sussisteva l'obiettivo pericolo di uno scavalcamento da parte degli idonei, con elevati rischi di contenzioso.
  Era stato anche rilevato come l'assunzione degli idonei dei concorsi già espletati avrebbe comportato l'incorporamento di personale con una maggiore anzianità anagrafica, con ulteriori ripercussioni negative sul problema dell'innalzamento dell'età media del personale delle Forze di polizia.
  In presenza di tali vincoli, si ritiene che, in sede di conversione del decreto-legge n. 90 del 2014, il Parlamento, con la concorde valutazione del Governo, abbia individuato una soddisfacente soluzione al problema realizzando un equilibrato bilanciamento dei vari interessi in gioco. Intanto perché l'autorizzazione allo scorrimento delle graduatorie in favore degli idonei, ivi contenuta, riguarda i soli concorsi di accesso alle Forze di polizia indetti nel 2013 e, quindi, per quanto concerne la Polizia di Stato, esclusivamente il concorso a 964 posti, con un impatto contenuto sul sistema di reclutamento. Inoltre, il ricorso allo scorrimento trova la sua motivazione nelle maggiori esigenze connesse alla sicurezza di Expo 2015, rendendo evidente il suo carattere di misura del tutto straordinaria.
  In attuazione del predetto decreto-legge tutti i 502 idonei del concorso a 964 posti sono stati già dichiarati vincitori con decreto del Capo della Polizia del 25 agosto 2014 e, dal successivo 16 settembre, stanno frequentando il prescritto corso di formazione presso le Scuole allievi agenti di Alessandria e Brescia.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   OLIVERIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che i locali del Centro dialisi dell'ospedale di Lamezia Terme, meta di numerosissimi ricoveri provenienti di tutta la provincia di Catanzaro, si trovano in una condizione di profondo disagio. Le difficoltà sono dovute essenzialmente ad infiltrazioni d'acqua piovana, a vetustà dell'impianto di osmosi e alla mancanza di sale d'attesa che si sommano ad altri aspetti critici di notevole importanza;
   al blocco dei turn over, sommato a pesanti criticità organizzative, si aggiungono anche gravi problemi strutturali che impongono un'apposita e urgente verifica del rispetto dei livelli essenziali di assistenza;
   naturalmente questo stato di cose arreca ai malati gravi disagi e un peggioramento anche delle condizioni di salute, che fanno venire meno il diritto sancito dalla Costituzione alla tutela della salute;
   occorrono interventi urgenti e improcrastinabili, così si esprime il dottor Pasquale Scaramozzino, presidente regionale dell'associazione nazionale emodializzati dialisi e trapianto, sollecitando rapide iniziative;
   risulta assolutamente necessario, per le terapie di emodialisi, disporre di una struttura adeguata, efficiente e moderna per le attività sanitarie del centro dialisi di Lamezia Terme che consenta una più equilibrata ripartizione dei «posti rene» per corrispondere alla crescente richiesta di dialisi;
   le carenze infrastrutturali di un territorio come quello lametino, già così profondamente colpito anche da serie problematiche di ordine sociale ed economico, rendono necessaria l'adozione di azioni forti a tutela dei cittadini –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e quali iniziative intenda assumere al fine di garantire l'effettiva erogazione dei livelli essenziali di assistenza ai tanti malati affetti da gravi patologie renali, così attuando la norma prevista dall'articolo 32 della Carta Costituzionale. (4-03714)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame, sulla base dei dati acquisiti dalla Prefettura-Ufficio territoriale del Governo di Catanzaro presso l'Unità operativa di nefrologia e dialisi del Presidio ospedaliero di Lamezia Terme.
  Detta unità operativa dispone di una piccola sala d'attesa riservata, ma spesso i pazienti e/o i loro accompagnatori preferiscono sostare, per loro comodità, nel corridoio antistante.
  Riguardo alle infiltrazioni di acqua piovana, episodi che si sono verificati in seguito alle abbondanti piogge sia nello scorso anno che in quello corrente, è stata data immediata comunicazione, sia per le vie brevi che per quelle formali, all'Ufficio tecnico del Presidio ospedaliero, che ha immediatamente effettuato alcuni sopralluoghi per un'attenta verifica e per approntare i dovuti rimedi, anche se temporanei, al fine di evitare ogni tipo di disagio ai pazienti.
  Per quel che concerne le carenze strutturali, è emerso che l'impianto di osmosi inversa, pur vetusto, consente di garantire la qualità dell'acqua e l'erogazione dei trattamenti emodialitici in sicurezza, in virtù dei periodici controlli effettuati.
  L'Unità operativa necessita, comunque, di una ristrutturazione, sia sotto il profilo strutturale sia tecnologico, tant’è che è stata adottata la deliberazione dei «Lavori di risanamento e conservazione del reparto di dialisi del Presidio ospedaliero di Lamezia Terme, con approvazione del progetto ed impegno di spesa per complessivi 436.697,24 euro».
  Detta deliberazione, peraltro, non risulta portata ad esecuzione.
  Da informazioni a cura dell'Ufficio gestione attività tecniche dell'Azienda sanitaria provinciale di Catanzaro, si è appreso che il «nulla osta» della regione Calabria per la relativa copertura finanziaria dei lavori, è pervenuto nel decorso mese di agosto 2014 e soltanto di recente sono state indette le gare per l'aggiudicazione dei lavori.
  Detti lavori prevedono sia la ristrutturazione dei locali (pareti, pavimenti, controsoffittatura, bagni, pitturazione, illuminazione) che la realizzazione di un nuovo impianto di osmosi inversa con sistema di biosmosi, che consentirà l'ampliamento da 16 a 20 del numero dei «posti rene», al fine di soddisfare la crescente richiesta di domanda dialitica.
  Sotto il profilo tecnologico, l'unità operativa è stata dotata di nuove apparecchiature per dialisi e di cartella digitale per ciascun paziente, concretizzando un notevole balzo qualitativo e professionale.
  Inoltre, con un nuovo tipo di apparecchiatura portatile, i medici dell'unità di nefrologia e dialisi sono in grado di soddisfare tutte le esigenze di dialisi in situazioni critiche, a partire dai trattamenti della sepsi a quello della plasmaferesi, nonché tutti gli altri tipi di trattamenti dialitici alternativi che solitamente si forniscono ai pazienti in condizione critica.
  A tal fine, è stata avviata una formazione più specialistica del personale medico ed infermieristico, in collaborazione con l'unità operativa di rianimazione.
  Inoltre, sono in corso iniziative per consentire l'utilizzo della teledialisi.
  Da ultimo, riguardo ai requisiti organizzativi
standard del personale, il direttore dell'unità operativa ha ottimizzato, nei limiti del possibile, l'attività delle risorse umane disponibili, evitando così inefficienze e disagi ai cittadini utenti.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   OLIVERIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
    sulla Gazzetta del Sud del 20 ottobre 2014 viene riportata la notizia della chiusura del centro per la prevenzione, la diagnosi e la cura dell'obesità «Carmine Ionadi» di Nicotera, in provincia di Vibo Valentia;
   la notizia della chiusura del centro per la diagnosi e la cura dell'obesità giunge a Nicotera durante il convegno sulla dieta mediterranea, tenutosi pochi giorni prima. Forse non solo questioni di risparmio alla base della scelta della chiusura, accolta negativamente dall'intera cittadinanza;
   la chiusura del centro, inaugurato presso la struttura sanitaria nicoterese nel 2007, in collaborazione con la cattedra di nutrizione clinica, terapia parenterale e anoressia nervosa dell'università di Tor Vergata di Roma, diretta dal professor Antonino De Lorenzo avviene in un momento particolare e meno propizio, quando nella cittadina vibonese si inizia concretamente a parlare di dieta mediterranea della vita del Paese;
   durante il convegno «Dieta Mediterranea, Expo 2015», è stata resa pubblica la notizia della chiusura imminente del centro. La cittadinanza, particolarmente sensibile a questa tematica e gli operatori del settore hanno lanciato un monito affinché venga riattivato il servizio, anche in considerazione delle 4.452 prestazioni effettuate dal 2007 ad oggi che hanno determinato una entrata che oscilla tra gli 80 e i 110 mila euro per l'Asp, che, a sua volta, ne avrebbe speso solo 40 mila;
   negli ultimi tempi la struttura sembrava essere considerata da tutta la popolazione del luogo l'eccellenza del settore, ma sarebbe stata poco considerata dall'Asp, che a quanto consta all'interrogante non ha adeguatamente valutato il grave problema socio-sanitario dell'obesità e la valenza medica della struttura –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa se l'annunciata chiusura del centro di eccellenza sia da imputare a esigenze di razionalizzazione della spesa derivanti dal piano di rientro dai disavanzi sanitari, e quali eventuali iniziative possano essere assunte con la massima solerzia, per evitare che questo centro di eccellenza del territorio possa chiudere. (4-06516)

  Risposta. — In merito a quanto delineato nell'interrogazione parlamentare in esame, la Prefettura – ufficio territoriale del governo di Vibo Valentia ha provveduto a contattare la azienda sanitaria provinciale di Vibo Valentia.
  Dai dati in tal modo acquisiti, risulta che il centro «Carmine Ionadi», nato per lo studio del metabolismo e la diffusione della «dieta mediterranea», ha sempre svolto funzioni di ambulatorio nutrizionale.
  Con delibera aziendale n. 1509/2006, è stato approvato il «Progetto Nutrizione Mediterranea-Convenzione con l'Università di Roma Tor Vergata», e con successivo atto deliberativo n. 213/2007 si è data esecuzione alla realizzazione del progetto, tra l'azienda sanitaria provinciale e il dipartimento di neuroscienze – cattedra di fisiologia umana dell'università «Tor Vergata» di Roma, impegnando la somma annua di euro 44.000,00 + euro 10.000,00 per spese di viaggio e pernottamento.
  L'arco temporale previsto per la realizzazione del progetto era fissato in 3 anni; alla scadenza, considerando che uno degli obiettivi della convenzione era la «formazione per i formatori», l'azienda non ha ritenuto di prolungare la convenzione, ma ha approvato il progetto «
Optional Nutrition», con delibera n. 209 del Commissario straordinario del 2011, impegnando il personale strutturato.
  Con delibera aziendale n. 766 del Commissario straordinario del 2012, è stata costituita la struttura di endocrinologia, diabetologia e malattie del metabolismo, con all'interno un settore dedicato ai disturbi alimentari e alla promozione della dieta mediterranea, con sede a Vibo Valentia-Nicotera.
  Con tale delibera sono state individuate una serie di figure professionali, ma per svariate esigenze aziendali, condizionate soprattutto dalla carenza di personale in relazione ai provvedimenti assunti nell'ambito del piano di rientro del debito del settore sanitario della regione Calabria, la struttura ambulatoriale non è entrata a pieno regime.
  Tuttavia, anche se con personale ridotto, il «Centro Obesità» ha continuato l'attività di ambulatorio nutrizionale, accogliendo i pazienti che ne hanno fatto richiesta.
  La problematica relativa al centro «Ionadi» è all'attenzione della azienda sanitaria provinciale, e si è in fase di riorganizzazione del servizio, anche in relazione ad un rilancio operativo concreto dell'iniziativa, eventualmente modificando una parte della struttura presente, in area di ospitalità sociale, per tali pazienti e le loro famiglie (queste ultime con eventuale pagamento di una retta per i più abbienti, essendo i soggetti interessati, molto spesso, non autosufficienti).
  In tale prospettiva, l'azienda ha rappresentato di aver predisposto un progetto, e presentato al dipartimento n. 9 della regione Calabria (lavori pubblici) la manifestazione d'interesse in relazione al programma di interventi di cui alla legge n. 179 del 1992, per la soluzione di problematiche abitative di particolari categorie sociali e, in particolare, per la realizzazione di un «albergo sociale» dedicato alla accoglienza in stretto riferimento a soggetti portatori di disabilità fisica e patologie specifiche: tra l'altro, questa iniziativa si collega anche ad altri servizi sanitari di primaria importanza, concettualmente avanzati, che l'azienda sanitaria provinciale programma di poter promuovere nel riutilizzo del plesso, oggi sotto utilizzato, di Nicotera.

La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   PAGANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 4 del decreto-legge 101 del 2013 (convertito dalla legge 125 del 2013), ha previsto disposizioni urgenti in tema di immissione in servizio di idonei e vincitori di concorsi, nonché di limitazioni a proroghe di contratti e all'uso del lavoro flessibile nel pubblico impiego;
   al comma 10, si è stabilito, riguardo ai concorsi riservati nel servizio sanitario nazionale, che «... si procede all'attuazione dei commi 6, 7, 8 e 9, anche con riferimento alle professionalità del Servizio sanitario nazionale...», facendo rientrare non solo i medici ma anche gli amministrativi. L'originaria formulazione del decreto, che prevedeva che la procedura si applicasse solo ai medici, è stata appositamente modificata in sede di conversione per fare rientrare anche i dirigenti amministrativi professionali e tecnici;
   il comma 10 dell'articolo ha demandato al Ministero della salute la predisposizione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM) di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze e il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione per la relativa attuazione;
   nell'originaria versione dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, già concertato, con il Ministero dell'economia e delle finanze e del Dipartimento della funzione pubblica, l'articolo 1, comma 2, recitava che «le procedure di cui al presente decreto sono riservate al personale del comparto sanità, ivi compreso quello appartenente alle aree dirigenziali, medico veterinario, sanitaria, professionale e tecnico amministrativa degli enti di cui al comma 1» facendo così rientrare anche i dirigenti amministrativi;
   invece nell'ultima versione dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, inviata dal Ministero della salute alla Conferenza Stato-regioni, l'articolo 1, comma 2, recita «Le procedure di cui al presente decreto sono riservate al personale del comparto sanità e a quello appartenente alle aree della dirigenza, medica e del ruolo sanitario». Quindi vengono esclusi dalla stabilizzazione i dirigenti dell'area amministrativa, andando in contrasto con l'indicazione del decreto-legge n. 101 del 2013 in cui rientravano tutte le professionalità del Servizio sanitario nazionale –:
   in considerazione del fatto che, nella nuova versione, il provvedimento attuativo del comma 10 dell'articolo 4 del decreto legge n. 101 del 2013 potrebbe essere impugnato dinanzi alla giustizia amministrativa, se non si ritenga opportuno modificare lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, nel senso di prevedere che esso sia applicabile anche ai dirigenti amministrativi professionali e tecnici. (4-07827)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame, a seguito di delega della Presidenza del Consiglio dei ministri.
  L'articolo 4, comma 10, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, prevede che «Per gli enti del Servizio sanitario nazionale, tenuto conto dei vincoli assunzionali previsti dalla normativa vigente, si procede all'attuazione dei commi 6, 7, 8 e 9, anche con riferimento alle professionalità del servizio sanitario nazionale, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge, su proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per la pubblica amministrazione, di intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al precedente periodo sono previste specifiche disposizioni per il personale dedicato alla ricerca in sanità, finalizzate anche all'individuazione, quali requisiti per l'accesso ai concorsi, dei titoli di studio di laurea e post laurea in possesso del personale precario nonché per il personale medico in servizio presso il pronto soccorso delle aziende sanitarie locali, con almeno cinque anni di prestazione continuativa, ancorché non in possesso della specializzazione in medicina e chirurgia d'accettazione e d'urgenza. Resta comunque salvo quanto previsto dall'articolo 10, comma 4-
ter, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368».
  A tal fine, questo Ministero ha predisposto il decreto che dà attuazione alle disposizioni ora citate.
  Il provvedimento è stato concertato con le amministrazioni interessate (Ministero dell'economia e delle finanze e Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica), una volta acquisita l'intesa della conferenza Stato-regioni, è stato pubblicato nella
Gazzetta ufficiale del 23 aprile 2015, n. 94.
  In particolare, l'articolo 1 del decreto, nell'individuare l'ambito di applicazione del provvedimento, prevede che le procedure concorsuali per l'assunzione presso gli enti del servizio sanitario nazionale, ivi disciplinate, sono riservate al personale del comparto sanità e a quello appartenente all'area della dirigenza medica e del ruolo sanitario.
  La definizione dell'ambito di applicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è stata oggetto di un confronto con il dipartimento della funzione pubblica, che ha inteso precisare quanto segue.
  Nell'originaria versione dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, l'articolo 1, comma 2, disponeva che «le procedure di cui al presente decreto sono riservate al personale del comparto sanità, ivi compreso quello appartenente alle aree dirigenziali, medico veterinario, sanitaria professionale e tecnico amministrativa degli enti di cui al comma 1», facendo così rientrare nelle procedure di stabilizzazione disciplinate dal decreto anche la dirigenza amministrativa.
  Nella versione finale del provvedimento, invece, l'articolo 1, comma 2, prevede che le procedure disciplinate «sono riservate al personale del comparto sanità e a quello appartenente alle aree della dirigenza medica e del ruolo sanitario», con la conseguenza che la dirigenza amministrativa è esclusa.
  La formulazione finale del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che individua i destinatari delle procedure di stabilizzazione nella sola dirigenza medica e del ruolo sanitario con esclusione della dirigenza amministrativa, tecnica e professionale, è in linea con il quadro normativo di riferimento.
  Infatti, in base alla disciplina di carattere generale contenuta nell'articolo 4, comma 6, del decreto-legge n. 101 del 2013, le amministrazioni pubbliche possono svolgere procedure di stabilizzazione a tempo indeterminato in favore del «personale non dirigenziale», in possesso dei prescritti requisiti, con evidente esclusione del personale di qualifica dirigenziale.
  In considerazione dell'articolo 4, comma 10, del decreto-legge n. 101 del 2013 che richiama le «professionalità del Servizio sanitario nazionale» e il «personale medico in servizio», come norma speciale rispetto a quella generale del comma 6 dello stesso articolo, il dipartimento della funzione pubblica ha ritenuto possibile ammettere che le procedure di stabilizzazione disciplinate dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri riguardassero anche il personale appartenente alle aree della dirigenza medica e del ruolo sanitario (dirigenti delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche della riabilitazione, della prevenzione e della professione di ostetrica).
  La platea dei soggetti destinatari delle stabilizzazioni non può, invece, riguardare la dirigenza amministrativa degli enti del servizio sanitario nazionale, così come quella tecnica e professionale, atteso che non sussistono elementi di differenza e specialità rispetto alla dirigenza amministrativa delle pubbliche amministrazioni di differenti comparti per cui, come detto, è esclusa la possibilità di assunzione a tempo indeterminato in base all'articolo 4, comma 6, del decreto-legge n. 101 del 2013.
  Una lettura in senso diverso, oltre a non trovare conferma nel disposto normativo della previsione dedicata alla stabilizzazione del personale degli enti del servizio sanitario nazionale (articolo 4, comma 10, decreto-legge n. 101 del 2013), non è in linea con la necessità di una lettura sistematica con la disciplina di carattere generale (articolo 4, comma 6, decreto-legge n. 101 del 2013).

La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   PALAZZOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Centro di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) di Mineo è stato inaugurato il 18 marzo 2011 a seguito della proclamazione dello stato di emergenza nel territorio nazionale in relazione all'eccezionale afflusso di cittadini stranieri provenienti dalle regioni del Nord Africa con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 aprile 2011;
   la struttura di Mineo attualmente ospita oltre 4.000 migranti, a fronte di una capienza stimata di 2000 unità;
   nell'ambito dell'inchiesta «Mafia Capitale» sono emersi inquietanti elementi riguardo a numerose attività criminali connesse alla gestione dei flussi migratori e dei centri di accoglienza per i richiedenti asilo che dimostrerebbero come alcuni personaggi, oggi arrestati o indagati, avrebbero, con grave danno alla collettività, tratto vantaggi personali grazie a rapporti privilegiati anche con gli uffici del Ministero dell'interno;
   da un articolo pubblicato il 5 marzo 2015 sul quotidiano la Repubblica, apprendiamo che il Presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, ha definito la gara d'appalto per la gestione del centro di Mineo «lesiva della concorrenza, parziale, senza alcuna trasparenza e criteri di economicità» per le casse pubbliche, bocciando senza appello la procedura che ha affidato per i prossimi tre anni la gestione del CARA di Mineo, bandita dal consorzio «Calatino terra di accoglienza», che raggruppa i comuni del comprensorio in provincia di Catania e nato per volontà dell'ex commissario per la gestione del CARA, il sottosegretario Giuseppe Castiglione, dell'NCD, come dell'NCD è il sindaco di Mineo, Anna Aloisio, dall'anno scorso a guida del consorzio;
   nella commissione che ha aggiudicato l'appalto vi era anche Luca Odevaine, finito agli arresti insieme a Salvatore Buzzi e alla «cupola nera» guidata da Massimo Carminati che gestiva gli affari illeciti delle cooperative sociali nella Capitale e non solo;
   Luca Odevaine, in quel periodo era contestualmente membro del tavolo di coordinamento nazionale sull'immigrazione, a cui spettava il compito di valutare gli appalti per l'affidamento della gestione del CARA, ed esperto di problematiche legate all'immigrazione e consulente del Consorzio «Calatino Terra d'Accoglienza», ente attuatore del CARA di Mineo;
   in alcune intercettazioni nell'ambito dell'inchiesta «Mafia Capitale», lo stesso Odevaine parlava del CARA di Mineo come di un appalto «blindato», con l'azienda vincitrice, la Cascina ristorazione, che avrebbe pagato al componente della commissione aggiudicatrice un compenso da diecimila euro al mese;
   secondo quanto riportato nell'articolo di Repubblica già citato in premessa, il Presidente Cantone sostiene che i servizi per la gestione del centro sarebbero dovuti essere messi a gara in lotti autonomi e che la base d'asta per l'appalto, fissata a 97 milioni di euro risulta in contrasto con il principio di trasparenza, non essendo stati individuati gli importi per le singole attività in affidamento;
   inoltre, l'assenza di concorrenza e convenienza per la stazione appaltante è dimostrata dal fatto che v’è stato un solo concorrente, il gestore uscente, cui è stato aggiudicato l'appalto con un ribasso molto ridotto pari all'un per cento;
   in definitiva, a parere degli interroganti, ciò che emerge dall'inchiesta Mafia Capitale e dalle ultime dichiarazioni del Presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione è un complesso sistema di rapporti tra la politica ed il business dell'immigrazione con il Cara di Mineo che è diventato un vero e proprio centro di smistamento dei flussi di migranti verso le altre strutture facenti capo agli esponenti della stessa «Mafia Capitale»;
   non è la prima volta che l'interrogante denuncia sia mezzo stampa che attraverso atti parlamentari, come il Cara di Mineo sia stato pensato per diventare centro di smistamento dei flussi di migranti da e per i centri di accoglienza straordinari e di come un centro di tali dimensioni sia inadeguato all'accoglienza ed all'integrazione, paventando il rischio che diventasse solo un grande centro speculativo –:
   se il Ministro interrogato, anche alla luce delle ultime dichiarazioni del presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, non intenda procedere con la revoca dell'affidamento della gestione del CARA di Mineo al consorzio «Calatino terra d'accoglienza», l'affidamento temporaneo e provvisorio alla Protezione civile per giungere in tempi stretti alla chiusura definitiva del centro, diventata ormai una struttura inefficiente e costosa su cui si è costruita una enorme speculazione economica e politica.
(4-08303)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si chiede se il Ministro dell'interno intenda procedere alla revoca della gestione del CARA di Mineo al consorzio «Calatino terra d'accoglienza» e al suo temporaneo affidamento alla Protezione civile, quali tappe preliminari alla definitiva chiusura della struttura.
  Si ritiene necessario precisare preliminarmente che la questione concernente questo specifico centro riguarda solo indirettamente il Ministero dell'interno.
  La vicenda, infatti, nasce nel 2011, allorquando fu dichiarato lo stato di emergenza migratoria, e, in questa prima fase, il soggetto attuatore per la gestione del CARA venne individuato nel presidente della provincia di Catania.
  Solo dopo la chiusura dell'emergenza del Nord-Africa, la prefettura di Catania fu autorizzata, sulla base di un'ordinanza di protezione civile del 28 dicembre 2012, a stipulare una convenzione con un consorzio dei comuni del Calatino per garantire la continuità dell'accoglienza.
  Dunque, è stato lo stesso consorzio, in qualità di stazione appaltante, ha svolgere la gara per la individuazione del soggetto gestore. È evidente che il Ministero dell'interno né durante l'emergenza migratoria né successivamente, ha mai avuto un ruolo nella gestione degli appalti relativi alla struttura in questione.
  Inoltre, l'articolo 5 della convenzione sottoscritta tra il prefetto di Catania e il consorzio esclude qualunque responsabilità della prefettura catanese anche nei confronti di terzi.
  Sulla questione, vi è stato, nello scorso mese di febbraio, l'intervento dell'autorità nazionale anticorruzione che, con riguardo alle procedure concorsuali gestite dal consorzio catanese, ha rilevato profili di illegittimità e chiesto chiarimenti al consorzio stesso.
  Il 27 maggio 2015, il presidente Cantone ha informato il Ministero dell'interno della risposta fornita dal consorzio e, il successivo 19 giugno, ha formulato al prefetto di Catania la proposta di adottare la misura della straordinaria e momentanea gestione prevista dall'articolo 32, comma 1, lettera
b), del decreto-legge n. 90 del 2014, nei confronti del consorzio di cooperative sociali «Casa della solidarietà» e dell'impresa La Cascina Global service s.r.l.
  Il 23 giugno, il prefetto di Catania ha decretato tale misura, con contestuale sospensione dell'esercizio dei poteri di disposizione e gestione dei titolari delle predette imprese, limitatamente all'appalto relativo all'affidamento dei servizi e delle forniture per la «gestione del centro di accoglienza per richiedenti asilo (C.A.R.A.) sito nel comune di Mineo».
  Contestualmente ha nominato amministratore la dottoressa Maria Nicotra, avvocato dello Stato in quiescenza, fino alla completa esecuzione del contratto di appalto in argomento.
  Su un piano più generale, è interesse precipuo del Ministero dell'interno che un settore fondamentale della sua attività, quale è l'accoglienza dei migranti, rimanga immune dalla corruzione e venga gestito sempre nel pieno rispetto della legalità.
  Di tale ferma determinazione, del resto, è testimonianza il nuovo regolamento che disciplina la gestione del CARA, adottato a gennaio di quest'anno, in cui si ribadisce che la scelta del soggetto gestore, da parte delle prefetture, deve avvenire secondo i principi che presiedono le procedure di affidamento previste dal codice dei contratti pubblici.
  Il Ministero dell'interno continuerà a vigilare con la più rigorosa attenzione, nella consapevolezza che anche le più piccole irregolarità che dovessero emergere verranno colpite.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la scorsa settimana è attraccata al porto commerciale di Augusta, in Sicilia, la nave «Rita Br» con a bordo migliaia di tonnellate di rifiuti prodotti dall'acciaieria «Ilva» di Taranto, in particolare si tratterebbe del polverino che gli elettrofiltri trattengono dai fumi dell'altoforno. Tale materiale sarà sbarcato e smaltito nella discarica Cisma, ubicata a metà strada tra i territori di Augusta e Melilli;
   i cittadini e le associazioni ambientaliste si sono subito mobilitati esprimendo la loro preoccupazione per questa situazione e chiedendo spiegazioni in merito ai motivi che hanno spinto gli organi competenti ad autorizzare il trasferimento di sostanze, a loro dire, altamente tossiche in un territorio come quello di Augusta, Priolo, Mellili già fortemente compromesso dal punto di vista ambientale;
   si ricorda che il Sin Priolo è costituito dai 4 Comuni di Siracusa, Augusta, Melilli e Priolo. Tutta l'area nel lontano 1990 è stata dichiarata ad elevato rischio di crisi ambientale e nel 1998 sito di interesse nazionale ai fini delle bonifiche proprio per l'esistenza di numerose discariche, abusive e non, di fondali del porto contaminati da idrocarburi e metalli pesanti, di una cattiva qualità dell'aria, della compromissione delle falde idriche inquinate da idrocarburi e non ultimo di una grave questione sanitaria. Sulla base di queste emergenze si sono programmati gli interventi di bonifica e di rimozione dei rifiuti e dei veleni che però non sono stati attuati lasciando il territorio nel degrado ed i cittadini a patire le conseguenze sanitarie di questo stato di cose;
   lo stesso Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare rispondendo ad uno dei numerosi atti di sindacato ispettivo ha avuto modo di sottolineare che: «il SIN, sito di interesse nazionale, di Priolo, Augusta, Melilli è uno dei più problematici in Italia. Su di esso si sono stratificati sessant'anni di industria chimica e della raffinazione: da Moratti alla Liquichimica negli anni Cinquanta, alla Montedison, alla Esso, alla ERG fino all'odierna Lukoil. Almeno per la metà di questi sei decenni, l'attività delle varie industrie che si sono succedute nell'area si è svolta senza che all'epoca esistessero cogenti normative ambientali, con fenomeni gravi di inquinamento che sono purtroppo simili a tutti gli altri siti industriali storici del nostro Paese»;
   la notizia dell'arrivo della nave ha suscitato, dunque, preoccupazione ed indignazione in città dove c’è molta apprensione per i rischi connessi allo scarico ed al posizionamento dei rifiuti. Per Legambiente Sicilia si tratterebbe di rifiuti «speciali» per l'autorità portuale di Augusta invece di semplici rifiuti;
   l'associazione ambientalista ritiene inoltre che lo stoccaggio del rifiuto doveva essere preventivamente autorizzato dall'Arpa, cosa che invece non è stata ritenuta necessaria dalle autorità istituzionali competenti. Infatti, l'associazione sostiene che: «il polverino d'altoforno» costituito per la maggior parte da polveri di carbon coke, di minerali e di ossidi di ferro – essendo un «rifiuto speciale» come tale deve essere trattato sia con riferimento al trasporto sia per quanto concerne lo smaltimento. Di conseguenza, essendo un materiale polverulento, dovrebbe essere trasportato su camion coperti, caricato e scaricato con sistemi a circuito chiuso o che comunque evitino il sollevarsi di nubi di polveri inoltre, tutte le persone addette devono essere munite di protezioni e di mascherine con filtro;
   secondo la capitaneria di porto che ha effettuato a bordo un controllo della documentazione del carico, tutto infatti risulta in regola e le operazioni di sbarco del prodotto hanno potuto avere regolarmente corso –:
   di quali informazioni il Ministro interrogato sia in possesso in merito ai fatti esposti in premessa, in particolare con riferimento al trasporto di rifiuti dal polo industriale dell'Ilva ad Augusta;
   quali iniziative urgenti abbia intenzione di assumere al fine di verificare la natura dei rifiuti che dovranno essere smaltiti a «Cisma» e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare affinché siano rispettate tutte le norme sia in materia ambientale che con riguardo alla tutela della salute affinché le popolazioni che risiedono in quest'area, già fortemente compromessa, non debbano subire ulteriori danni. (4-08947)

  Risposta. — Con la interrogazione in esame, veniva riferito che presso il porto di Augusta erano in attesa di essere sbarcati dalla motonave «Rita BR», destinato ad essere smaltito presso l'impianto di discarica Cisma ubicato all'interno del Sin Priolo, un considerevole quantitativo di rifiuti speciali – ritenuti da taluno «altamente tossici» – costituiti da polverino ottenuto come residuo trattenuto dagli elettrofiltri utilizzati nella depurazione dei fumi dell'altoforno dell'acciaieria di Taranto.
  In relazione a quanto conseguentemente chiesto di conoscere dall'interrogante, occorre preliminarmente segnalare che la gestione dei rifiuti è disciplinata dal decreto legislativo n. 152 del 2006 il quale, alla parte IV recante «Norme in materia di gestione dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati», stabilisce, tra l'altro, che lo smaltimento dei rifiuti deve essere effettuato in condizioni di sicurezza e costituisce la fase residuale della gestione dei rifiuti, alla quale si ricorre dopo avere verificato l'impossibilità tecnica ed economica di procedere alle operazioni di recupero.
  La stessa norma introduce divieti allo smaltimento dei rifiuti urbani al di fuori del territorio regionale di produzione, ma nessuna limitazione viene introdotta per lo smaltimento dei rifiuti speciali. Il principio di autosufficienza e prossimità, inoltre, stabilisce che deve essere permesso lo smaltimento dei rifiuti in impianto idonei più vicini al luogo di produzione al fine di ridurre il movimento degli stessi, tenendo conto della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti, utilizzando metodi e tecnologie idonei a garantire un alto grado di protezione dell'ambiente e della salute pubblica.
  Le attività di smaltimento dei rifiuti in discarica, infine, sono disciplinate dal decreto legislativo n. 36 del 2003, di attuazione della direttiva 1999/31/CE, con al quale vengono fornite le norme tecniche che regolano la gestione dei relativi impianti.
  Per quanto attiene più specificatamente ai rifiuti considerati nella interrogazione cui si risponde, è stato riferito dall'avvocato Corrado Carrubba, quale commissario di governo per l'Ilva s.p.a., che i rifiuti di che trattasi sono stati classificati e caratterizzati dal produttore, così come prescrive la legge, con codice CER 10.02.08, cioè rifiuti non pericolosi prodotti dal trattamento dei fumi diversi da quelli di cui al codice 10.02.07*, cioè i medesimi rifiuti ma contenenti sostanze pericolose.
  La spedizione per il successivo smaltimento, avvenuto a seguito di regolare contrattualizzazione del servizio, ha interessato, per l'esattezza, 9.142 tonnellate di materiale e, a testimoniare la correttezza dell'operazione, nonostante l'attenzione sollevata, non risulta che le competenti autorità locali abbiano avuto alcunché da eccepire.
  Sul punto, peraltro, è stato riferito dal reparto ambientale marino che, esperite le opportune verifiche con la locale capitaneria di porto di Augusta, nel quale è avvenuto lo sbarco del materiale, non sono state riscontrate anomalie amministrative e che i documenti autorizzativi in possesso del comando della nave risultavano essere in regola con la vigente normativa. L'attività in questione, pertanto, rientrante in quella di imbarco/sbarco merci non ha destato nessun particolare rilievo da parte dell'autorità marittima di Augusta, che non potendo fare altro che constatare la piena rispondenza documentale di bordo e delle previste autorizzazioni rilasciate dalla capitaneria di porto di Taranto, porto di provenienza della nave.
  In merito alla scelta della soluzione individuata per lo smaltimento di tali rifiuti, lo stesso commissario Ilva ha precisato che tale materiale è stato inviato altrove solo in questa fase transitoria ove non vi è ancora possibilità di utilizzo o smaltimento quale rifiuto
in situ Ilva di Taranto, essendo infatti previsto nella programmazione di Ilva che esso sia gestito in house una volta attuato il Piano di gestione dei rifiuti aziendale e con l'avvio dei nuovi impianti autorizzati di discarica, misure di recente approvate con la legge n. 20 del 2015, di conversione del decreto-legge n. 1 del 2015.
  In conclusione, sulla base degli elementi informativi acquisiti, risulterebbe che la scelta dell'impianto CISMA per lo smaltimento dei rifiuti speciali provenienti dall'Ilva, oltre a non risultare in contrasto con la normativa vigente, sia stata operata dopo la verifica dell'impossibilità di trattare in proprio di tali residui, almeno temporaneamente, e comunque privilegiando un impianto di smaltimento idoneo alla tipologia di rifiuto da smaltire, ciò rappresentando la migliore soluzione in termini di costi e garantendo le migliori garanzie in termini di sicurezza ambientale, riducendo al contempo anche la pericolosità del trasporto terrestre.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PRODANI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel 2008 è stata annunciata dal professor Paolo Zamboni, direttore del centro malattie vascolari dell'Università di Ferrara, la scoperta di una patologia venosa che è stata denominata «Insufficienza venosa cronica celebro spinale» (CCSVI);
   si tratta di malformazioni delle vene giugulari e della vena dorsale azygos, che impediscono al sangue di defluire normalmente dal cervello verso il cuore;
   contro queste malformazioni, lo stesso Zamboni ha individuato un intervento chirurgico mini invasivo – angioplastica dilatativa venosa (PTA) – che viene considerato a basso rischio;
   la patologia CCSVI è stata riconosciuta nel settembre 2009 dall'Unione internazionale di flebologia (UIP) che l'ha inserita nel novero delle malformazioni venose congenite, confermando l'indicazione terapeutica mediante PTA;
   è opinione diffusa nel mondo scientifico che la patologia di natura venosa abbia diretta incidenza sulla sclerosi multipla (SM) e su altre malattie neurodegenerative (ad esempio, Parkinson o Alzheimer). Di conseguenza, la PTA potrebbe avere efficacia anche nei pazienti affetti da SM;
   una nota ministeriale del 27 ottobre 2010 aveva riconosciuto il trattamento correttivo endovascolare della CCSVI in pazienti con SM presso le strutture pubbliche;
   tale riconoscimento è successivamente stato limitato da una circolare ministeriale del 4 marzo 2011, che – recependo un parere del Consiglio superiore di sanità (CSS) espresso il 25 febbraio dello stesso anno – ha raccomandato il trattamento solo ed esclusivamente nell'ambito di studi clinici controllati e randomizzati, approvati da comitati etici seguendo un determinato protocollo;
   la scarsa chiarezza della sopracitata circolare ministeriale ha contribuito a creare una differenziazione in quanto le autorità sanitarie di alcune regioni hanno interpretato le disposizioni della circolare in senso restrittivo, mentre altre ne hanno dato una lettura estensiva oppure hanno evitato di prendere una posizione ufficiale;
   tale differenza di interpretazione ha provocato delle discriminazioni, e di conseguenza i fenomeni di trasferimento forzato dei pazienti da regione a regione, oltre che da strutture pubbliche a quelle private;
   in tempi recenti sono emerse delle nuove ricerche internazionali – oltre a quelle del professor Zamboni all'interno dello studio «Brain venous drainage exploited against multiple sclerosis» (Brave Dreams) – le quali riconoscono la diretta incidenza CCSVI sulla SM e su altre malattie neurodegenerative;
   non è più rinviabile una rinnovata strategia di coordinamento al fine di dare risposta alle aspettative dei malati, né appare etico porre dei limiti alle possibilità per i malati di SM di usufruire dalla PTA;
   alla luce di quanto avvenne negli anni novanta del secolo scorso – quando la disostruzione della carotide per prevenire l'ictus è stata liberamente eseguita mentre contemporaneamente si eseguivano gli studi randomizzati per stabilirne la prova certa di efficacia – potrebbe essere il caso di aprire anche nel caso riportato sopra un «doppio binario», offrendo in questo modo delle possibilità di cura ai malati, in attesa di una risposta certa della scienza –:
   se il Ministro interrogato – alla luce delle nuove ricerche scientifiche in materia, emerse successivamente al parere espresso dal CSS – non ritenga sia giunto il momento di rivedere quanto stabilito nella circolare ministeriale del 4 marzo 2011 relativo alla Insufficienza venosa cronica celebro spinale come patologia ed entità nosologica autonoma, chiarendo il dovere di curare le malformazioni venose anche nei pazienti soggetti alla patologia della sclerosi multipla;
   se non si ritenga opportuno autorizzare la formazione di un tavolo tecnico di lavoro composto dalle sole associazioni scientifiche facenti riferimento a medici esperti di patologie vascolari, in modo di aprire un «doppio binario» per poter verificare ed affrontare le problematiche connesse con la diagnosi, cura e terapia della patologia CCSVI, in attesa di un parere aggiornato della scienza;
   se il Ministro interrogato non reputi opportuno, anche alla luce di quanto esposto in premessa, verificare la possibile partecipazione delle principali associazioni di persone, affette dalla Insufficienza venosa cronica celebro spinale e dalla sclerosi multipla – quali auditori – alle riunioni tecniche sul tema presso il Ministero, il Consiglio superiore di sanità o altri organi pubblici interessati. (4-08041)

  Risposta. — Il Ministero della salute nel 2010 diede l’input al consiglio superiore di sanità per l'approfondimento della problematica relativa alla correlazione fra insufficienza venosa cerebro-spinale cronica (CCSVI) e sclerosi multipla (SM).
  Il consiglio superiore di sanità costituì uno specifico gruppo di lavoro.
  Tale gruppo individuò gli ambiti di approfondimento più significativi non solo in termini clinici, ma anche di ordine socio-sanitario per l'eventuale accesso alla cura; esaminò, quindi, l'ipotesi medica di riconducibilità della SM a una condizione di CCSVI; individuò l'orientamento della comunità scientifica nazionale e internazionale in merito a tale ipotesi e all'inquadramento nosologico e clinico-diagnostico della CCSVI come patologia a sé stante, con eventuale indicazione terapeutica di disostruzione della stenosi del sistema venoso extracranico, qualora il quadro clinico lo giustificasse; valutò se procedere, allo stato attuale delle conoscenze e dei risultati disponibili, per verificare l'associazione tra CCSVI e SM, incentivando «studi clinici multicentrici e multidisciplinari».
  Il consiglio audì il professor Zamboni; lo stesso professore aveva peraltro dichiarato che il trattamento endovascolare della CCSVI nella SM era ancora prematuro.
  Il consiglio espresse un primo parere nella seduta del 8 giugno 2010 in merito a «Nuova terapia endovascolare per la Sclerosi Multipla»: condividendo le considerazioni conclusive e le proposte del gruppo di lavoro, e facendo seguito all'audizione del professor Zamboni, lo stesso consiglio, considerato che molti dati al momento presenti in letteratura e accettati dalla comunità scientifica non erano in accordo con l'ipotesi di correlazione tra CCSVI e SM concluse che: «ad oggi l'efficacia di qualsiasi procedura terapeutica vascolare non è sicuramente dimostrata ed è quindi da posporre all'acquisizione di dati scientifici che provino una sicura associazione tra CCSVI e SM».
  Il consiglio ascoltò in audizione, il 13 luglio 2010, le delegazioni delle principali associazioni di malati di sclerosi multipla ed audì, il 19 gennaio 2011, le società scientifiche competenti.
  Il consiglio espresse, il 25 febbraio 2011, il parere relativo all'esistenza della CCSVI come entità nosologica, concludendo che: «ad oggi, la CCSVI non possa essere riconosciuta come entità nosologica; che, ad oggi, non sia dimostrata la sua correlazione epidemiologica con la SM e, pertanto, l'intervento di correzione vascolare non può essere indicato nei pazienti affetti da tale patologia; che sia necessaria, invece, un'indicazione clinica chiara e netta, indipendentemente dalla presenza o meno di SM, per l'erogazione di misure atte a diagnosticare, monitorare e correggere anomalie dell'apparato vascolare venoso, qualora indicato, a causa di condizioni patologiche ad esse sicuramente riferibili».
  Il consiglio, inoltre, riteneva necessario: «che eventuali procedure di correzione di patologia venosa in pazienti con SM siano effettuate solo ed esclusivamente nell'ambito di studi clinici controllati e randomizzati, approvati da comitati etici, con un protocollo che preveda: una dichiarazione sul conflitto di interessi, le modalità di selezione o di esclusione dei pazienti, le indagini diagnostiche, le modalità metodologiche di esecuzione dei diversi esami e procedure, gli
end-point primari e secondari, il monitoraggio degli eventi avversi, le modalità e la cadenza del follow-up ed infine le caratteristiche dell'analisi statistica».
  Da ultimo, il consiglio riteneva opportuno: «che sia contrastata ogni finalità puramente speculativa ed economica; che debba essere fatto tutto il possibile per proteggere i pazienti da facili entusiasmi, da speculazioni economiche e dai rischi connessi al trattamento stesso, ricordando che la ricerca biomedica e la pratica clinica devono ispirarsi all'inderogabile principio dell'inviolabilità dell'integrità psicofisica della persona».
  Il Consiglio superiore di sanità potrà riesaminare la problematica qualora sopraggiungano nuove e sufficienti evidenze scientifiche.
  Ai sensi dell'articolo 6, comma 12, del decreto ministeriale 6 agosto 2003, n. 342, le sedute del consiglio non sono pubbliche e, pertanto, non sono aperte alla partecipazione di altri che non siano i componenti.
  Tuttavia, le associazioni di persone affette da CCSVI e SM potranno essere sentite in audizione, qualora il consiglio venga nuovamente investito della problematica.

La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo pubblicato il 19 maggio sul sito https://farmaciavirtuale.it, si legge che l'agenzia di stampa Adnkronos ha condotto un'inchiesta riguardante il mercato in Italia dei farmaci ad uso veterinario;
   secondo l'inchiesta, risulta che il mercato italiano del farmaco ad uso veterinario abbia un volume di affari di oltre 600 milioni di euro l'anno, con una spesa media annua a famiglia di circa 100 euro;
   il trend positivo di tale mercato, sarebbe dovuto all'alto costo dei medicinali ad uso veterinario rispetto ai medicinali con lo stesso principio attivo destinato ad uso umano: ad esempio, una confezione di gastroprotettore per animali avrebbe un costo al pubblico doppio rispetto al farmaco ad uso umano;
   durante l'inchiesta, il presidente del Sindacato italiano dei medici veterinari, Angelo Troi, avrebbe confermato che a parità di principio attivo e quantità, i farmaci ad uso veterinario avrebbero un costo maggiore di quelli ad uso umano; avrebbe, poi, asserito che nonostante la normativa europea preveda la somministrazione di farmaci ad uso umano in alcuni casi eccezionali, le aziende farmaceutiche avrebbero tutto l'interesse a mantenere questo doppio mercato dei farmaci;
   proprio per la forte disparità di prezzo dei medicinali e per il notevole volume d'affari del mercato del farmaco ad uso veterinario, l'Ente nazionale protezione animali avrebbe lanciato una petizione tuttora in corso via web su Change.org raccogliendo oltre 76 mila firme per chiedere al Ministro della salute Lorenzin la modifica della legge italiana in materia;
   la petizione dell'Ente nazionale protezione animali, condividendo la necessità di garantire la salute degli animali e non concordando con il fatto che farmaci ad uso veterinario abbiano un prezzo maggiore, chiede al Ministro di rendere obbligatoria la prescrizione medica del principio attivo, piuttosto che la marca del medicinale, anche per i medicinali destinati ad uso veterinario;
   l'intera materia in Italia è disciplinata dal decreto legislativo n. 193 del 6 aprile 2006 modificato dal decreto legislativo n. 143 del 24 luglio 2007. Tale normativa prevede il divieto di prescrizione, da parte del veterinario, di farmaci ad uso umano nel caso esistano sul mercato farmaci veterinari;
   una nota emessa il 14 febbraio 2013 dal dipartimento della sanità pubblica veterinaria, della sicurezza alimentare e degli Organi collegali per la tutela della salute del Ministero della salute, specifica che i medicinali ad uso veterinario hanno una loro caratteristica specifica e sono studiati e testati appositamente per gli animali destinatari e, pertanto, possono differire da quelli per uso umano. La prescrizione dei medicinali veterinari ha basi scientifiche ed anche il farmacista deve consigliare solo farmaci veterinari generici proprio per la tutela della salute degli animali;
   sembrerebbe, sempre secondo l'indagine svolta, che a Bruxelles si stia discutendo un nuovo regolamento europeo sul farmaco veterinario proprio per controllare il mercato dei medicinali –:

   se non ritenga di intervenire con misure appropriate per vigilare sul mercato dei farmaci veterinari;

   se non ritenga di dare una risposta alla petizione promossa dall'Ente nazionale protezione animale e quindi assumere iniziative per rendere obbligatoria la prescrizione del principio attivo anche per i medicinali ad uso veterinario.
(4-09303)

  Risposta. — In assenza di vincoli normativi a livello sia comunitario sia nazionale, attualmente il prezzo dei medicinali veterinari è libero, non è presente un'autorità garante di controllo che interviene sui prezzi, come in campo umano, e gli aspetti commerciali e distributivi rivestono un ruolo rilevante nella definizione del prezzo.
  La bozza di regolamento comunitario attualmente in discussione si prefigge l'obiettivo dell'aumento della disponibilità di specialità medicinali veterinarie, anche attraverso una semplificazione delle procedure.
  Essa, inoltre, prevede la possibilità, qualora non siano presenti sul mercato nazionale, dell'impiego di medicinali veterinari autorizzati in un Paese membro.
  Tali modifiche potranno incidere anche sulle dinamiche della concorrenza sul mercato e determinare una diminuzione dei prezzi.
  Per ciò che concerne la prescrizione del principio attivo, si precisa che, a differenza di quanto avviene in ambito umano, ogni principio attivo viene studiato su animali di diversa specie, con indicazioni e posologie accuratamente sperimentate per ognuna di esse, incidendo, inoltre, in modo differente sull'impatto ambientale e sui residui, soprattutto per quanto riguarda gli animali destinati alla produzione di alimenti per il consumo umano.
  Ogni dosaggio è studiato per il tipo di specie a cui deve essere somministrato, tenuto conto delle caratteristiche dell'animale, dei diversi metabolismi e, di conseguenza, della differente farmacodinamica e farmacocinetica.
  Per tali motivi, la sostituibilità tra i medicinali in ambito umano non può essere applicata anche nel settore veterinario.
  Pertanto, la proposta di prescrivere il principio attivo, in sostituzione del medicinale veterinario autorizzato per quella determinata specie ed indicazione, potrebbe comportare un pericolo, sia per la salute animale sia per la salute pubblica.

La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dal 1° luglio 2014 l'Italia sarà chiamata a ricoprire per un semestre l'incarico di Presidente del Consiglio europeo;
   all'interno di villa Doria Pamphilj villa storica e parco pubblico in Roma è presente la Palazzina Algardi (anche nota come Palazzina del Bel Respiro) in uso di rappresentanza alla Presidenza del Consiglio dei ministri;
   nell'ambito del semestre di Presidenza tale struttura verrà utilizzata quale luogo di incontro e di lavoro per le rappresentanze degli Stati membri e dei loro Capi di Stato;
   l'intera villa Doria Pamphilj versa attualmente in gravi condizioni di degrado e di illegalità, posto che al suo interno si verificano numerosi reati, tra i quali prostituzione, spaccio e uso di stupefacenti, occupazioni abusive dei manufatti, atti di vandalismo e reati contro la persona e il patrimonio;
   nonostante i lavori effettuati al suo interno ai tempi del Grande Giubileo del 2000, la struttura del parco è ormai in preda al degrado per quanto attiene alla viabilità, alla conservazione e manutenzione degli edifici e del patrimonio naturale, ed alla rete idrica e fognaria;
   decine di migliaia di cittadini frequentano ogni settimana villa Doria Pamphilj e tale numero è destinato ad aumentare con l'arrivo della bella stagione;
   la maggioranza di tali cittadini percepisce e manifesta ormai forte disagio, che ha assunto anche forme di intolleranza razziale, per l'illegalità scarsamente contrastata e per il degrado di un patrimonio avvertito come parte della propria identità e della propria storia –:
   se il Ministro non ritenga di dover intraprendere azioni finalizzate a garantire la sicurezza ed il decoro all'interno dell'area, innanzitutto per l'imminente appuntamento istituzionale e, ancora, perché siano ristabiliti e mantenuti quei principi di legalità fondamento della civile convivenza invocati ormai a gran voce da cittadini e frequentatori del parco. (4-05273)

  Risposta. — Il parco di Villa Pamphili è costituito da un'area verde di grandi dimensioni protetta da mura perimetrali sormontate da reti e provvista di cancelli di ingresso che, in orario serale e notturno, restano chiusi.
  Nondimeno, risulta che, effettivamente, da tempo, in orario notturno, piccoli gruppi di persone si introducono all'interno della vasta area per trascorrervi la notte in giacigli di fortuna. Al momento, comunque, non si registrano insediamenti abusivi in forma stabile.
  Il comune di Roma, in relazione a tale fenomeno, assicura periodicamente bonifiche finalizzate alla rimozione di materiale, alla pulizia e alla messa in sicurezza dei luoghi frequentati.
  L'asserita recrudescenza di taluni reati all'interno del parco non trova riscontro agli atti del commissariato di pubblica sicurezza di Monteverde. I pochi episodi effettivamente registrati sono da ritenersi assolutamente «fisiologici» se rapportati all'estensione dell'area (di circa 200 ettari) ed alle migliaia di persone che giornalmente la frequentano. Si informa, in proposito, che l'area stessa è pattugliata quotidianamente dalla polizia di Stato, dall'Arma dei carabinieri, oltre che dalla polizia di Roma capitale.
  Le problematiche oggetto dell'interrogazione parlamentare erano state già esaminate nell'ambito del gruppo di lavoro interistituzionale-Sottocomitato per l'ordine e la sicurezza pubblica attivato presso la prefettura di Roma dal mese di settembre 2013, per individuare interventi congiunti di contrasto di situazioni che creano particolari situazioni di allarme sociale nel territorio provinciale.
  In tale sede, era stata disposta l'intensificazione dei servizi di prevenzione e repressione dei reati all'interno del parco, mediante la predisposizione di piani coordinati di controllo del territorio, anche a mezzo di pattuglie a cavallo di polizia e carabinieri.
  Relativamente alla paventata ripercussione di eventuali problematiche di sicurezza all'interno di Villa Pamphili sulla sede governativa di Villa Algardi, si precisa che questa occupa solo una piccola e periferica parte del parco, da cui, peraltro, è separata da adeguata recinzione. Alla sede si può accedere esclusivamente da un ingresso ubicato in via Aurelia Antica, delimitato da imponenti mura perimetrali.
  La sicurezza della struttura è costantemente garantita dall'Ispettorato di pubblica sicurezza presso Palazzo Chigi mentre, in occasione della presenza del Presidente del Consiglio dei ministri e di altre personalità, vengono predisposti, con ordinanza del questore, mirati servizi di vigilanza, ordine e sicurezza, estesi ad ampio raggio, che interessano anche l'area del parco.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   REALACCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Roberto Mancini fu tra i primi investigatori delle forze dell'ordine che denunciò quanto stava avvenendo nella tristemente famosa terra dei fuochi. La sua prima informativa alla magistratura è datata 1996. Un lavoro preciso, puntuale, tanto che la Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, presieduta da Massimo Scalia, del decennio 1997-2001 ha utilizzato ampiamente le sue doti di investigatore per condurre un'intensa indagine sul disastro ambientale in atto in quel territorio campano a nord di Napoli;
   Roberto Mancini è morto, a fine aprile 2014, a 53 anni, dopo una battaglia lunga 12 anni contro la leucemia, diagnosticatagli nel 2002. Lascia una moglie e una figlia. Lo ha ucciso un linfoma non-Hodgkin, un cancro al sangue: accertata conseguenza dei veleni respirati durante anni di lavoro tra rifiuti tossici e radioattivi;
   il Ministero dell'interno ha certificato il suo cancro al sangue come «causa di servizio» e gli ha riconosciuto (Ministro pro tempore Cancellieri) un indennizzo irrisorio di 5000 euro. Secondo quanto riportato anche dalla stampa il 6 aprile 2014 è stato consegnato alla Camera dei deputati un appello di oltre 20 mila firme in calce chiedendo che a Mancini sia riconosciuto il giusto risarcimento;
   a far data di redazione del presento atto di sindacato ispettivo la petizione promossa dal sito «www.change.org» è stata sottoscritta da più di 50 mila persone –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti;
   se non si ritenga utile rivedere la procedura risarcitoria e l'ammontare del risarcimento nei confronti del fu Roberto Mancini e della sua famiglia;
   se il Governo da ultimo non intenda valutare l'opportunità di onorare la memoria di un integerrimo e valido servitore dello Stato con un'onorificenza alla memoria. (4-04710)

  Risposta. — Il sostituto commissario della polizia di Stato Roberto Mancini è deceduto il 30 aprile 2014 per un particolare tipo di linfoma insorto a seguito delle missioni effettuate tra gli anni 1997 e 2001 nei territori ubicati al confine tra le province di Napoli e Caserta, su incarico ufficiale della commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse.
  Durante il servizio reso presso l'ispettorato generale di pubblica sicurezza presso la Camera dei deputati, aveva partecipato a tutte le attività, esterne ed interne, svolte dalla menzionata commissione parlamentare e aveva compiuto numerose e frequenti missioni in territorio nazionale ed estero.
  La predetta infermità era stata riconosciuta come dipendente da causa di servizio nell'aprile 2010, con conseguente concessione dell'equo indennizzo a cui si fa riferimento nell'interrogazione.
  Quando era ancora in vita, il signor Mancini aveva presentato un'istanza finalizzata al riconoscimento dello
status di soggetto equiparato a vittima del dovere; status che gli è stato attribuito nel settembre 2014, con conseguente inserimento del suo nominativo nella XVII pubblicazione della graduatoria nazionale delle posizioni – regolarmente ostensibile sul sito web istituzionale del Ministero dell'interno – (pos. 2238), secondo l'ordine cronologico degli eventi.
  I decreti a firma del Capo della polizia – direttore generale della pubblica sicurezza, con i quali sono stati erogati ai familiari superstiti i benefici connessi allo
status citato sono stati già predisposti e sono in via di liquidazione.
  Si soggiunge che, nell'immediatezza del decesso, sono stati concessi alla vedova un contributo e un sussidio straordinario a carico del fondo di assistenza per il personale della Polizia di Stato.
  Inoltre, sono state avviate le procedure concernenti il pagamento di un contributo per le spese funerarie e mediche e di una elargizione
una tantum, in caso di assenza di reddito da parte della vedova.
  Si rappresenta, altresì, che è stata avviata la procedura per l'eventuale inserimento della figlia del signor Mancini in un piano di assistenza connesso alla definizione della pratica pensionistica, ciò che comporterebbe la corresponsione mensile di una somma variabile in base al reddito, al momento non quantificabile.
  Peraltro, la Prefettura di Roma, nel mese di maggio 2014, dopo aver acquisito i dati economici e matricolari del signor Mancini, ha trasmesso la pratica all'Inps, per il pagamento della pensione ordinaria indiretta.
  La vedova del signor Mancini, dal canto suo, ha chiesto il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell'infermità letale, quale aggravamento della patologia già riconosciuta dipendente da causa di servizio al predetto, sia ai fini della pensione privilegiata di reversibilità che dell'equo indennizzo. La commissione medico-ospedaliera di Roma ha riconosciuto l'aggravamento il 5 giugno 2014.
  Il successivo 16 giugno è stata trasmessa, sempre all'Inps, tutta la documentazione per la liquidazione del trattamento speciale previsto dall'articolo 93 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973 (Testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato).
  In particolare alla vedova spetta, per la durata di un triennio dal decesso del coniuge, un trattamento speciale di importo pari a quello della pensione privilegiata di prima categoria, calcolato sull'intera base pensionabile. Dopo i tre anni, la predetta manterrà il diritto al trattamento di pensione privilegiata di reversibilità nella misura dell'80 per cento fino al perdurare delle condizioni previste dalla legge.
  Si rappresenta ancora che il 26 settembre 2014 è stato emesso il decreto ministeriale n. 1927/2014 di liquidazione del beneficio dell'equo indennizzo di prima categoria, ai sensi del combinato disposto delle leggi n. 1094 del 1970 e n. 724 del 1994.
  Infine, si informa che il 15 maggio 2014 signor Mancini è stata conferita la medaglia d'oro al valore civile con la seguente motivazione: «Per l'essersi prodigato, nell'ambito della lotta alle ecomafie, con straordinario senso del dovere ed eccezionale professionalità nell'attività investigativa per l'individuazione, nel territorio campano, di siti inquinati da rifiuti tossici illecitamente smaltiti. L'abnegazione e l'incessante impegno profuso, per molti anni, nello svolgimento delle indagini gli causavano una grave patologia che ne determina va prematuramente la morte. Mirabile esempio di spirito di servizio e di elette virtù civiche, spinti fino all'estremo sacrificio. regione Campania 1994-2014».

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come si evince da numerose agenzie di stampa Legambiente ha pubblicato a maggio 2014 i risultati dell'indagine «Beach litter» condotta dall'associazione su protocollo scientifico del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dell'ISPRA, concernente quantità e tipologia di rifiuti presenti sulle spiagge italiane;
   dall'indagine risulta che il 65 per cento dei rifiuti è costituito da plastica. Il rapporto sostiene inoltre che solo una ridotta frazione di rifiuti finisce sulla costa, mentre la maggior parte affonda in mare, e che quindi le quantità di rifiuti trovati sulle nostre spiagge è solo la punta dell'iceberg di un inquinamento diffuso dei nostri mari;
   è altresì nota da tempo la presenza di grandi accumuli di plastica in tutto il mondo dovuti agli scarichi in mare o da terraferma. Gli effetti sulla fauna marina sono rilevanti, così come le conseguenze derivanti dal minor assorbimento di gas effetto serra e dalla mancata produzione di ossigeno da parte del fitoplancton. Tale è la situazione nel cosiddetto Pacific Trash Vortex, una delle cinque aree del pianeta a maggior accumulo di rifiuti plastici, ma vortici simili, seppure molto più ridotti, le cosiddette «zuppe di plastica», sembrano esserci anche nel nord del Tirreno e in altre aree del Mediterraneo;
   inoltre, calamità naturali e altre emergenze ambientali contribuiscono costantemente al degrado delle condizioni di vita dell'ecosistema oceanico e marino. Si pensi, ad esempio, il maremoto del marzo 2011 in Giappone ha prodotto un'enorme massa di rifiuti, trascinati in pieno oceano al ritiro delle acque dalla terraferma ed il Mare Mediterraneo non è immune da questo problema;
   un articolo pubblicato sulla rivista scientifica «Marine Pollution Bulletin» riporta che alti livelli di microplastiche nel santuario dei cetacei del Mar Ligure. Lo studio, condotto dal gruppo di ricerca dell'università di Siena, in collaborazione anche con la marina militare, finanziato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha fornito tre dati, i primi a livello internazionale su questo tema: il 56 per cento dei campioni di plancton superficiale nell'area del Santuario dei Cetacei contiene particelle di microplastica, con un valore elevato; nel plancton è molto alto il livello degli ftalati, composti additivi della plastica nocivi per la salute dei mammiferi e classificati come «distruttori endocrini», sostanze che interferiscono con la riproduzione; è stato provato che gli ftalati presenti nel plancton vengono metabolizzati e possono avere effetti tossici sui cetacei, con alte concentrazioni rilevate nell'adipe sottocutaneo di 4 balenottere comuni su 5 ritrovate spiaggiate lungo le coste italiane. In base alle analisi effettuate su 7 capodogli spiaggiati sulle coste pugliesi il 17 dicembre 2009, 4 di questi, avevano lo stomaco pieno di buste di plastica, ingerite perché scambiate per calamari, gli altri 3 li hanno seguiti spiaggiandosi anch'essi. Un analogo effetto si registra con le tartarughe marine che scambiano le buste di plastica in sospensione, per meduse (il loro cibo preferito) trovando spesso la morte per soffocamento. Il problema interessa anche l'avifauna marina; nell'apparato digerente di molti uccelli marini non è infrequente rinvenire oggetti di plastica;
   è poi opportuno ricordare che ftalati e PCB, accumulati nell'organismo di pesci e molluschi, possono essere assunti anche dall'uomo attraverso la catena alimentare;
   l'allarme per l'inquinamento da plastica in mare, a livello planetario, ha superato l'allarme per inquinamento da idrocarburi, come dimostrato dalla preoccupazione espressa o non solo dalle organizzazioni ambientaliste, ma anche da organismi internazionali quali l'UNEP e la FAO;
   della necessità di gestire e ridurre radicalmente la marine litter si occupa anche la Marine Strategy dell'Unione europea e più volte il commissario dell'Unione europea all'ambiente, Janez Potocnik, nella passata legislatura europea, ha ricordato l'importanza di azioni concrete contro le plastiche e le microplastiche nei mari europei, in particolare nel Mediterraneo, sottolineando che, visto anche il crescente utilizzo delle plastiche, occorre mettere in atto efficaci strategie di consumo, raccolta, riciclo e riutilizzo dei materiali plastici ed avviare azioni di prevenzione e di ripulitura delle coste affinché le plastiche non arrivino in mare, spesso attraverso fiumi ed altri corsi d'acqua, producendo poi microplastiche attraverso il loro degrado, oppure depositandosi sui fondali o nei canyon sottomarini;
   a disposizione dello Stato italiano vi è una flotta messa a disposizione da «Castalia», per finalità di lotta all'inquinamento marino; tale flotta è composta da 9 unità di altura e 26 unità costiere, per un totale di 35 navi. Risulta poi che il Corpo delle capitanerie di porto e la marina militare dispongono di unità equipaggiate per la lotta all'inquinamento marino –:
   quali iniziative urgenti il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenda mettere in campo, magari promuovendo iniziative ad hoc per la salvaguardia dell'ambiente marino con tutti i Paesi rivieraschi nel Mediterraneo, a tutela dei nostri mari e per la raccolta e il trattamento delle plastiche disperse in mare;
   se la flotta Castalia, le unità anti-inquinamento delle Capitanerie di porto e delle marina militare, dispongano, o abbiano allo studio, dispositivi idonei per la bonifica di rifiuti a base di materie plastiche in mare, tenendo conto della diversa dimensione che tali rifiuti possano avere. (4-05455)

  Risposta. — Il tema dei rifiuti presenti in enormi quantitativi nelle acque marine, in particolar modo per quello che riguarda le plastiche, ha destato una elevata soglia di attenzione, sia in ambito internazionale che a livello europeo.
  Tra gli elementi che stanno emergendo come prioritari per il contrasto a questo fenomeno spicca, oltre naturalmente alle azioni di recupero dei rifiuti già presenti nel mare e lungo le coste, il ruolo fondamentale che riveste la prevenzione dell'immissione in mare di rifiuti, attraverso politiche di riduzione del quantitativo dei rifiuti attraverso il riciclaggio, il riuso e la riduzione degli imballaggi in plastica.
  L'approccio al problema è ancora più complesso per i rifiuti marini, in considerazione della estrema difficoltà di operare in mare per la loro rimozione, attualmente presenti, oltre che in superficie, sulla colonna d'acqua e sui fondali.
  Anche in presenza di un efficace sistema di raccolta, infatti, e di trasporto e conferimento sulla terraferma, che già di per sé dovrebbe comportare l'impiego di un elevato numero di mezzi navali, c’è da considerare che il materiale così raccolto dovrà essere adeguatamente trattato o smaltito, con elevatissimi costi e difficoltà logistiche e operative, concernenti tutte le fasi della operazione, connesse ai quantitativi di rifiuti raccolti nell'ordine stimato di milioni di tonnellate.
  Infine, aspetto non marginale è costituito dal quadro giuridico delle responsabilità che conseguono alla «presa a bordo» dei rifiuti e alla conseguente posizione di soggetto detentore di chi li recupera, con connesso obbligo di smaltimento.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è responsabile dell'attuazione della direttiva quadro sulla strategia marina, che inserisce i rifiuti marini tra gli undici descrittori del buono stato ambientale.
  Nell'ambito dell'implementazione nazionale della direttiva (decreto ministeriale 17 ottobre 2014), è stata adottata una specifica definizione di buono stato ambientale (GES), da conseguire entro il 2020, per il descrittore che riguarda i rifiuti marini (G10.1), il quale prevede che «la quantità di rifiuti marini e dei loro prodotti di degradazione presenti sul litorale, sul fondo e in colonna d'acqua, inclusi quelli galleggianti sulla superficie del mare, è tale da non provocare rilevanti impatti sull'ecosistema marino». Il percorso verso il raggiungimento di questo buono stato ambientale verrà misurato mediante il conseguimento di tre traguardi ambientali: il target T 10.1 che «tende a diminuire il numero/quantità di rifiuti marini presenti sui litorali, sul fondo e in colonna d'acqua, inclusi quelli galleggianti sulla superficie del mare»; il
target T 10.2 per il quale «è decrescente la tendenza nella quantità dei rifiuti ingeriti dagli animali marini»; il target T 10.3 che prevede siano «ridotte le lacune conoscitive sull'origine, stato, composizione, dispersione e impatti dei rifiuti in mare attraverso l'incremento di programmi di indagine per misurare il raggiungimento di questi traguardi ambientali».
  Per monitorare il percorso verso il raggiungimento dei traguardi ambientali è stato predisposto un piano di monitoraggio nazionale – sottoposto anche a consultazione pubblica, come previsto dal decreto legislativo 13 ottobre 2010, n. 190, di recepimento della direttiva sulla strategia marina. I programmi di monitoraggio sono stati formalmente adottati e prevedono per specifico ambito che, al fine di misurare il percorso verso il raggiungimento dei traguardi ambientali, venga condotta l'analisi dei rifiuti spiaggiati, l'analisi delle microplastiche e lo studio dei rifiuti marini nel biota.
  Inoltre, in data 18 dicembre 2014 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e le regioni costiere hanno stipulato un accordo con scadenza il 31 dicembre 2017 avente ad oggetto la realizzazione delle attività necessarie per assicurare l'avvio e l'attuazione della componente regionale dei programmi di monitoraggio coordinati per la valutazione continua dello stato ambientale delle acque marine nell'ambito delle tre sottoregioni marine interessanti il nostro Paese: mare Adriatico, mare Ionico-Mediterraneo centrale e Mediterraneo occidentale.
  I programmi di monitoraggio sono attuati attraverso specifiche convenzioni tra Ministero e le tre Arpa individuate come capofila in rappresentanza delle agenzie costiere: Liguria per Mediterraneo occidentale, Emilia Romagna per il mare Adriatico, Calabria per il Mediterraneo centrale e mare Ionio.
  Precedentemente a questa fase di attuazione del decreto legislativo 13 ottobre 2010, n. 190, già nel dicembre 2012 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare aveva stipulato con le regioni costiere, specifici protocolli d'intesa, al fine di avviare e svolgere attività di indagine su alcuni ambiti che, nella valutazione iniziale dello stato ambientale delle acque italiane erano risultati più deficitari dal punto di vista delle informazioni tecnico-scientifiche disponibili.
  I protocolli prevedevano tra le attività, lo studio della presenza di rifiuti marini lungo le spiagge, nella colonna d'acqua e nel fondo marino. I relativi metodi di indagine venivano standardizzati a livello nazionale.
  Sono inoltre in corso di definizione le misure che concorreranno al conseguimento del buono stato ambientale relativamente alla presenza dei rifiuti nelle acque marine.
  Questa attività a livello nazionale sta avvenendo in stretta coerenza di fase con le attività condotte a livello Mediterraneo. In particolare in seno alla convenzione di Barcellona, il nostro Paese ha adottato nella conferenza delle parti contraenti tenutasi a Istanbul nel dicembre 2013 il piano d'azione regionale sui rifiuti marini, entrato in vigore nel giugno 2014, alla cui redazione ha fortemente contribuito il Ministero.
  Nell'ambito del G7 è in corso di adozione un
Action plan sul tema del contrasto ai rifiuti marini e alle plastiche nei mari e negli oceani, che è coerente con quanto previsto a livello europeo e Mediterraneo.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, peraltro, che ha da sempre prestato una grandissima attenzione alla tematica dei rifiuti marini e delle microplastiche, ha finanziato già da diversi anni alcuni dei primi studi condotti a livello mondiale sugli impatti delle microplastiche sugli ecosistemi marini e sugli organismi viventi. Tra essi, il primo studio che assevera la presenza di effetti direttamente ascrivibili alle microplastiche sui cetacei presenti nell'area del mar Ligure. Il Ministero partecipa inoltre a varie iniziative e progetti internazionali ed europei su questa tematica.
  La richiamata necessità di fronteggiare, nel concreto, l'inquinamento marino da microplastiche e rifiuti solidi in genere, è stata sempre tenuta presente dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che, in passato, ha portato avanti, attraverso la convenzione con la S.C.p.A. «Castalia», oltre alla consueta attività di recupero degli idrocarburi sversati in mare, anche tale raccolta di rifiuti nei tratti di mare prospicienti le proprie coste, grazie ad una attività di pattugliamento continuo.
  Al momento, tale attività non è operativa a causa degli ingenti e non sostenibili costi che una costante attività di pattugliamento comporta. Oggi, nel limite delle risorse disponibili, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha in campo una flotta di 35 unità, in modalità
stand-by nei porti nazionali, che opera «on demand» solo per la raccolta di idrocarburi.
  Non risulta, infine, che sistemi idonei per la raccolta di rifiuti a base di materie plastiche in mare siano in atto disponibili e/o operativi da parte della guardia costiera e della Marina militare.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   come si evince da numerose agenzie di stampa, giornali online, il portale Green Report, il dipartimento della protezione civile ha brevettato un nuovo dispositivo antinquinamento idoneo all'intervento marino di bonifica, sia in caso di inquinamento da idrocarburi, sia in caso di inquinamento da microplastiche e rifiuti in genere;
   dalle stesse fonti si apprende che tale dispositivo, già testato su modello in scala con esito favorevole, qualora montato su unità navali di adeguate dimensioni e capacità, risulterebbe idoneo a far fronte a fenomeni di inquinamento, esteso in mare aperto, come le cosiddette «isole di plastica» che interessano gli oceani e anche il nostro Mare Mediterraneo come conseguenza dell'ingente massa di rifiuti che costantemente finisce in mare attraverso le acque dei fiumi, gli scarichi delle navi e, non ultimo, le catastrofi naturali quali le esondazioni dei corsi d'acqua o gli tsunami;
   si apprende inoltre che il dipartimento della protezione civile e la marina militare hanno stipulato un accordo per procedere alla sperimentazione del sistema sopra citato a bordo di una nave militare appositamente predisposta, per valutarne l'efficacia;
   tale sistema potrebbe aumentare considerevolmente le capacità di intervento antinquinamento a tutela dell'ambiente marino e delle coste, al contempo, alla riduzione degli effetti negativi causati da eventuali sversamenti di idrocarburi e dal fenomeno dell'inquinamento da plastica;
   l'atto n. 4-05455 del sottoscritto interrogante, concernente l'inquinamento marino da plastica, pur sollecitata, non ha ancora ricevuto risposta dal Governo –:
   quali iniziative il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenda attuare per favorire la realizzazione e sperimentazione di tale sistema che potrebbe costituire una concreta risposta alla minaccia dell'inquinamento da plastiche e da sversamenti di idrocarburi;
   quali iniziative il Ministero dello sviluppo economico intenda attuare per favorire la realizzazione e sperimentazione di tale sistema che, potendo ridurre i rischi da sversamento di idrocarburi, qualora adottato dai mezzi delle imprese che conducono attività di sfruttamento dei giacimenti nazionali off shore e costieri ridurrebbe il possibile impatto ambientale delle medesime attività. (4-08011)

  Risposta. — In occasione della risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 4-05455, presentato dal medesimo interrogante, è stato adeguatamente sottolineato come il problema dell'enorme quantitativo di rifiuti presenti nelle acque marine – in superficie, nella colonna d'acqua e sui fondali – in particolar modo per quello che riguarda le plastiche, appaia particolarmente complesso in considerazione della estrema difficoltà di operare in mare per la loro rimozione.
  Anche in presenza di un efficace sistema di raccolta, infatti, e di trasporto e conferimento sulla terraferma, che già di per sé dovrebbe comportare l'impiego di un elevato numero di mezzi navali, c’è da considerare che il materiale così raccolto dovrà essere adeguatamente trattato o smaltito. Da qui, gli elevatissimi costi, con difficoltà logistiche e operative in proporzione, derivanti dalla realizzazione di tutte le fasi della operazione.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha da sempre prestato una grandissima attenzione alla tematica dei rifiuti marini e delle microplastiche. In tal senso ha finanziato alcuni dei primi studi condotti a livello mondiale sugli impatti delle microplastiche sugli ecosistemi marini e sugli organismi viventi, e tra questi, in particolare, il primo studio che assevera la presenza di effetti direttamente ascrivibili alle microplastiche sui cetacei presenti nell'area del mar Ligure.
  La necessità di fronteggiare l'inquinamento marino da microplastiche e rifiuti solidi in genere, è stata tenuta concretamente presente da questo Ministero, portando avanti, in tempi passati, attraverso la convenzione con la «S.C.p.A. Castalia», oltre alla consueta attività di recupero degli idrocarburi sversati in mare, anche la raccolta di tale «ulteriore» categoria di rifiuti nei tratti di mare prospicienti le proprie coste, grazie ad una continua attività di pattugliamento.
  È già stato riferito che al momento, tale attività non è operativa a causa degli ingenti e non sostenibili costi che una costante attività di pattugliamento comporta. Oggi, nel limite delle risorse disponibili, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha in campo una flotta di 35 unità, in modalità stand-by nei porti nazionali, che opera «on demand» solo per la raccolta di idrocarburi mediante l'impiego di skimmer tradizionali.
  Per quanto attiene più specificamente al sistema recentemente presentato dal dipartimento della Protezione civile, denominato SAURO, quale acronimo dell'inglese Sea Antipollution Unit for Rapid Off-shore drainage, si tratta di un dispositivo utilizzato per le bonifiche delle acque (skimmer) in grado di separare e recuperare sia rifiuti solidi che liquidi, anche contemporaneamente.
  All'atto della sua illustrazione, è stato precisato trattarsi di un sistema piuttosto semplice dal punto di vista tecnologico, realizzato con costi contenuti e molto versatile, da poter essere utilizzato da diversi modelli di nave. In grado di recuperare, altresì, materiali di varie dimensioni: da particelle sub millimetriche fino ad oggetti misurabili in metri. Da potersi utilizzare anche con condizioni meteo marine avverse e a velocità superiori a quelle dei normali skimmer. Secondo i ricercatori che l'hanno sviluppato, il recupero dei materiali non si limita solo a quelli che galleggiano in superficie, ma si spinge fino ad alcuni metri in profondità.
  Sulla base degli elementi informativi acquisiti dalla competente struttura tecnica del Ministero, sembra che allo stato sia disponibile, tuttavia, solo un prototipo in scala ridotta, privo di brevetto e in attesa di finanziamenti per una sua possibile realizzazione in dimensioni reali, tali da poter essere sottoposto ad un test di efficacia sul campo.
  Ad oggi, dunque, ogni iniziativa da parte ministeriale risulta prematura, mancando qualsiasi elemento di conoscenza utile per una valutazione del progetto, specie per la sua funzionalità in condizioni meteo avverse o con correnti marine particolarmente difficoltose.
  In ragione, tuttavia, delle potenzialità offerte da un sistema del genere per la lotta all'inquinamento marino, e tenuto conto che risulta essere stato perfezionato uno specifico accordo tra la Marina militare e il dipartimento della Protezione civile finalizzato a studiare e sviluppare congiuntamente tale iniziativa, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nell'ambito delle proprie competenze istituzionali, seguirà con attenzione gli sviluppi del progetto, anche mediante un coinvolgimento, se richiesto, in proprio o per tramite dell'ISPRA.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   RIZZO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso:
   la stazione elicotteri di Catania è un'unità della Marina militare, denominata Maristaeli Catania, nel quale lavorano oltre al personale militare anche personale civile;
   si apprende da articolo apparso sul sito www.agenparl.com il 5 maggio 2014 dal titolo «MARINA MILITARE CATANIA: UGL, 59 tra contabili destinati a lavare pavimenti» che è in atto una forte riduzione dei fondi destinati alla esternalizzazione dei servizi di pulizia degli ambienti destinati ad uffici sia per il personale militare che civile;
   a conferma di quanto apparso sull'articolo appena citato, l'interrogante ha avuto accesso ad un documento della STAZIONE ELICOTTERI MM CATANIA a firma del Comandante in 2° C.F. FLORENTINO, n. 112 del 29 aprile 2014, con il quale si argomentano le nuove direttive sulla tenuta del «posto di rassetto e pulizia dei locali di vita e di lavoro» a seguito della netta riduzione dei volumi di servizi di pulizia dati in outsourcing a ditte appaltatrici;
   dall'articolo si diffida la Marina militare a rivedere la comunicazione emanata dal comandante Florentino, in quanto trattasi di sfruttamento del personale, sia civile che militare, obbligati ad un doppio lavoro e per compiti non previsti dal CCNL (nel caso del personale civile). Ciò distogliendo i lavoratori dai propri compiti contrattuali;
   il mantenimento di livelli igienico/sanitari adeguati, attraverso le «pulizie» è a tutti gli effetti un impiego, retribuito e disciplinato da contratti, con mansioni e peculiarità professionali proprie, ciò può tranquillamente innescare un conflitto erariale/amministrativo, in quanto non essendo previsto dal citato CCNL e perciò non remunerato, non può essere attribuito ai dipendenti, «vendendolo» per contributo alla difficile condizione economica;
   si tratta di un contributo, che tra l'altro, introduce un altro conflitto etico/normativo, le specializzazioni, per le quali la Difesa ha investito sul personale e che stride con il mansionamento delle cosiddette «pulizie» (che si differenziano parecchio dal rassetto dei propri alloggi, compresi i locali igienici, per i quali vige un'analogia domestica e, per il quale nessun militare si è mai lamentato o disinteressato) che per quanto pariteticamente funzionale allo svolgimento dei compiti istituzionali consta di un «diverso» possesso di titoli, competenze e responsabilità, risultando pertanto demansionante –:
   a quanto ammontino le somme iscritte a bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 predisposto da Maricommi (direzione di commissariato) al capitolo 43-41-2 relativo ai servizi di pulizia e igiene ambientale della Marina militare;
   se non ritenga che si stia calpestando la dignità lavorativa del personale di questa base per il quale lo Stato ha investito risorse dei contribuenti, provvedendo a formare persone con professionalità destinata ad altri compiti ed obbligata, invece a doversi impegnare in altre mansioni meno performanti;
   se non ritenga di ripristinare le attività di esternalizzazione dei compiti di pulizia attraverso strumenti come la «permuta» già utilizzata dalla Marina militare su altri fronti. (4-05857)

  Risposta. — Con la comunicazione di servizio n. 112 a firma del comandante della stazione elicotteri della Marina militare di Catania, sono state impartite alcune direttive al personale dipendente finalizzate a mantenere i locali di vita e i luoghi di lavoro in maniera decorosa.
  Tanto precisato, corre l'obbligo di sottolineare che la richiesta, come chiarito con successiva comunicazione di servizio n. 116, è stata avanzata a mero titolo di collaborazione ed è stato concordato con tutte le sigle sindacali locali (ad eccezione di una sola sigla), anche in linea con quanto previsto dall'articolo 23, comma 3, del contratto collettivo nazionale di lavoro sottoscritto il 16 maggio 1995, che prevede che «il dipendente deve in particolare... avere cura dei locali, mobili, oggetti, macchinari, attrezzi, strumenti ed automezzi a lui affidati».
  Anche per quanto riguarda il personale militare il concorso richiesto appare in linea con le norme sul «Codice dell'ordinamento militare» e con quelle contenute nel «Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare».
  L'iniziativa del comandante della stazione elicotteri va, pertanto, necessariamente ricondotta nell'ambito dei compiti di direzione e controllo tesi ad assicurare la funzionalità della struttura e il buon andamento delle attività a lui affidate, ed è da escludere che sia stata finalizzata a sminuire o calpestare la dignità del personale dipendente.
  Con riferimento, invece, alle somme iscritte a bilancio per i servizi di pulizia e igiene ambientale della Marina militare, si fa presente che alla stazione elicotteri di Catania per l'esercizio finanziario 2014 è stato assegnato sul relativo capitolo l'importo di euro 163.000 circa.
  Si segnala, al riguardo, che in sede di riunione con i rappresentanti nazionali delle organizzazioni sindacali di categoria del 30 aprile 2015, il Dicastero ha assunto l'impegno di assicurare i necessari finanziamenti integrativi, a favore dei pertinenti capitoli del bilancio della Difesa, che sono stati incrementati di 140.000 euro, passando da 537.000 euro a 677.000 euro (valore 2014 pari a 660.000 euro).
  In merito, infine, alla possibilità «di ripristinare le attività di esternalizzazione dei compiti di pulizia» si osserva che da qualche anno le risorse da destinare alle Forze armate hanno subito una progressiva riduzione dei volumi finanziari, a causa dei provvedimenti di contenimento della spesa pubblica.
  In tale contesto, l'Amministrazione militare si trova nella necessità di razionalizzare gli impegni gravanti sullo specifico capitolo di bilancio e di rimodulare l'assetto organizzativo di vari servizi in ragione delle effettive disponibilità finanziarie, facendo ricorso, ove necessario, anche all'internalizzazione parziale o completa dei servizi in argomento.
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   RIZZO, BASILIO, FRUSONE e CORDA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   le unità navali e sottomarine delle forze armate dovrebbero essere dotate di sistemi di potabilizzazione e gradevolizzazione dell'acqua dolce necessari al fabbisogno degli equipaggi impegnati nelle operazioni in mare, conformemente a quanto previsto dal decreto legislativo n. 31 del 2001 e successive modifiche ed integrazioni «Attuazione della direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano»;
   così come previsto dal decreto legislativo n. 31 del 2001, dovrebbero essere eseguiti controlli periodici di routine, con cadenza massima semestrale, dell'acqua erogata per uso umano, dando mandato ai laboratori militari certificati di accertarne il rispetto dei parametri microbiologici e della presenza di cloro residuo nel prezioso liquido;
   dovrebbero anche essere garantiti puntuali controlli sull'efficienza degli impianti stessi atti a garantire il personale imbarcato sul perfetto funzionamento degli stessi così come dichiarato dall'ex Sottosegretario alla difesa, Milone, rispondendo ad una interrogazione parlamentare nella precedente legislatura;
   in passato è accaduto di un caso di inquinamento batteriologico da legionella su nave Bergamini e di un caso di non gradevolezza dell'acqua su nave Duilio, così come riportato da organi di stampa;
   il decreto legislativo n. 31 del 2001, non obbliga l'ente preposto ad effettuare verifiche di routine sui parametri trialometani, idrocarburi e batteriologici dell'acqua erogata ai punti di prelievo. Dovrebbero, comunque, essere previsti controlli totali in occasione di manutenzione o lavori straordinari sulle unità navali e sottomarine, partenza o rientro da lunghe navigazione, lunghi periodi di inattività dell'impianto o su richiesta al comando di appartenenza, sempre secondo quanto dichiarato all'epoca dal Sottosegretario Milone;
   è notizia di questi giorni della presa d'atto da parte del comando della squadra navale (CINCNAV) della impossibilità nella base di La Spezia di idonee attrezzature di laboratorio per effettuare le analisi chimiche a verifica della conformità delle acque di bordo ed assicura, a seguito di specifica richiesta presentata da Nave Elettra, la copertura finanziaria per l'esecuzione delle analisi presso laboratori esterni come riportato su un articolo apparso sul sito www.notizie.radicali.it il 27 marzo 2015 –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto avvenuto presso la base di La Spezia e se corrisponda al vero la notizia apparsa sui media;
   se non intenda verificare lo stato di funzionamento degli impianti di potabilizzazione e gradevolizzazione dell'acqua dolce installati su tutte le unità navali delle forze armate italiane;
   se non intenda verificare se sussistano eventuali gravi violazioni in capo ai datori di lavoro in merito ai rischi a cui è stato sottoposto il personale militare imbarcato sui mezzi navali della difesa fornendo ogni ulteriore elemento in materia. (4-08972)

  Risposta. — A bordo delle unità navali della classe Orizzonte (ossia, Navi Duilio e Doria), della portaerei Cavour e delle Fregate europee multi missione (Fremm), sono installati impianti per la potabilizzazione dell'acqua marina e per la correzione, in automatico, dei valori del pH e del cloro libero attivo, qualora non rientrino nei valori di legge.
  Questi sistemi, in grado di controllare e di trattare sia l'acqua prodotta dai dissalatori di bordo che quella imbarcata dalla rete idrica di terra, svolgono anche la funzione cosiddetta di «gradevolizzazione» dell'acqua dolce che consente l'erogazione di acqua frizzante o liscia e alla temperatura desiderata, a scelta dell'utente.
  Gli impianti dispongono anche di un dispositivo di micro filtratura per purificare ulteriormente l'acqua già potabile e di un debatterizzatore a raggi ultra violetti-onde corte (UV-C) che, per il suo elevato potere germicida, è considerato uno dei migliori metodi per la disinfezione delle acque.
  Tutti gli impianti installati a bordo delle unità navali sono conformi al decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 31 «Attuazione della direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano» e provvisti delle necessarie certificazioni.
  L'acqua di bordo destinata al consumo umano viene regolarmente controllata, effettuando specifici esami di laboratorio, con periodicità semestrale, ma anche prima, nei casi in cui vengano eseguite manutenzioni sull'impianto di produzione, di stoccaggio e/o di distribuzione dell'acqua, ferma restando la facoltà del Comandante della nave di richiedere, in qualsiasi momento, un'analisi della potabilità.
  In ambito Forza armata, l'Alto comando in capo della squadra navale (Cincnav) – designato quale Ente certificatore internazionale – è competente per l'attuazione dei controlli e degli attestati di verifica, previsti dal regolamento sanitario internazionale per tutte le unità navali della Marina militare italiana che approdano nei porti esteri.
  Tali controlli – che mirano ad analizzare anche le qualità organolettiche e chimico-fisiche delle acque, con particolare attenzione ai rischi di eccessiva clorazione e demineralizzazione – sono gli stessi riconosciuti a livello internazionale e previsti per le navi adibite al trasporto commerciale e/o passeggeri.
  Tra l'altro, le unità navali che saranno impiegate fuori area per periodi prolungati, potranno disporre nei prossimi mesi di appositi kit (attualmente in fase di collaudo) per controlli più rapidi sulla qualità dell'acqua destinata al consumo umano.
  Con riferimento al «caso di inquinamento da legionella su nave Bergamini», come già chiarito in sede di risposta all'interrogazione presentata nel corso della XVI legislatura, cui fa riferimento l'interrogante, il problema è stato prontamente risolto dalla Società fincantieri e non ha comportato conseguenze per la salute del personale imbarcato.
  Per quanto concerne, invece, l'evento verificatosi su nave Duilio nel novembre 2011, si è trattato di un episodio del tutto occasionale, in alcun modo correlabile a presunti malfunzionamenti degli impianti che sono sottoposti a manutenzione periodica.
  È prevista, invece, la revisione globale degli impianti in occasione di grandi lavori di manutenzione o di trasformazione, partenza o rientro da lunghe navigazioni, dopo lunghi periodi di inattività dell'impianto, in caso di sospetto inquinamento o, comunque, ogni qual volta il comandante ne ravvisi la necessità.
  La manutenzione ordinaria degli impianti, a seconda del livello, viene assicurata dal personale di bordo, dagli stabilimenti di lavoro o da ditte private.
  Ovviamente, una eventuale sospensione di erogazione dell'acqua, nonché l'esecuzione di interventi di manutenzione sui sistemi viene tempestivamente comunicata a tutto il personale.
  Riguardo a «quanto avvenuto presso la base di La Spezia», si osserva, in linea generale, che presso le strutture sanitarie della Marina militare vengono effettuati solo i controlli batteriologici, mentre quelli chimico-fisici sono affidati a laboratori terzi convenzionati che dispongono delle strumentazioni idonee.
  Nel caso specifico di nave Elettra – cui Cincnav ha già assegnato i fondi necessari per effettuare le analisi presso laboratori esterni accreditati – si conferma che presso il laboratorio analisi del dipartimento militare di medicina legale (Dmml) di La Spezia non possono essere effettuate analisi chimico-fisiche dell'acqua, né verifiche dell'eventuale presenza del batterio legionella, in quanto non vi è la disponibilità di attrezzature idonee.
  Vengono eseguiti presso il citato laboratorio soltanto i controlli batteriologici che riguardano i parametri microbiologici/indicatori (carica batterica a 22o C e cloro residuo) e i campioni vengono prelevati da personale sanitario dell'ente/comando interessato che abbia frequentato uno specifico corso propedeutico presso lo stesso laboratorio.
  Quanto a «verificare lo stato di funzionamento degli impianti», le unità navali dotate di impianto di potabilizzazione e di gradevolizzazione rientrano tutte, indistintamente, nel piano di controlli sistematici stabiliti dall'Alto comando.
  Per quanto concerne, in ultimo, la sussistenza di «eventuali gravi violazioni», secondo quanto mi riferisce la Forza armata, i risultati dei controlli eseguiti per verificare la salubrità dell'acqua destinata al consumo umano non hanno evidenziato, ad oggi, criticità tali da compromettere lo stato di salute del personale imbarcato, la cui tutela è assolutamente prioritaria per la Difesa, tantomeno risultano siano stati notificati casi di malattie correlabili a fattori inquinanti dell'acqua.
  Si aggiunge, in proposito, che alcune patologie trasmissibili attraverso l'acqua, come nel caso di talune malattie infettive, qualora coinvolgano delle comunità, sono soggette a notifica obbligatoria, in ottemperanza alle vigenti disposizioni di legge in materia.
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   RUSSO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 26 agosto 2014 il capogruppo consiliare della lista «San Vitaliano rinasce» ha presentato un esposto al sindaco di San Vitaliano (NA), al prefetto di Napoli, all'Arpa Campania e alle forze dell'ordine per segnalare la pervasiva comparsa, su balconi, terrazze, ringhiere e nelle nostre abitazioni, di una strana sostanza, collosa ed appiccicaticcia, difficile da rimuovere anche con l'uso di specifici elettrodomestici, che tanto sta ulteriormente allarmando la popolazione residente in larga parte del Comune di San Vitaliano, paese ubicato al baricentro del così detto «Triangolo della Morte»;
   nei giorni successivi il fenomeno è stato segnalato anche dai cittadini di altri comuni della provincia di Napoli, come Cimitile, Roccarainola, Marigliano e Cicciano;
   il 6 settembre 2014 il quotidiano «Il Mattino» ha pubblicato un articolo a firma di Nello Lauro dal titolo «Nolano, l'allarme blob si allarga piovono segnalazioni all'ArpaC»;
   il servizio giornalistico riferisce che «la situazione si è allargata a macchia d'olio anche negli altri paesi dell'Agro: si tratta di una “sostanza” che si attacca ai pavimenti soprattutto all'esterno e quelli adiacenti alle finestre e non permette il passaggio delle scope elettriche che si bloccano. Anche sui mobili, secondo i residenti (soprattutto casalinghe) che hanno denunciato il fatto, si sedimenta una patina appiccicosa che rende difficile le pulizie. Stessa cosa sui parabrezza delle autovetture dove si nota un deposito di sostanza di natura ignota e finissimo, trasparente e appiccicoso ed è idrosolubile in quanto col liquido lavavetri viene asportato facilmente» –:
   quali iniziative per quanto di competenza intenda assumere per risalire all'origine del fenomeno e per mettere in campo efficaci azioni di contrasto.
(4-05966)

  Risposta. — Con riferimento a quanto segnalato dall'interrogante con l'atto di sindacato ispettivo indicato in oggetto, si rappresenta, innanzitutto, che sulla questione è stata approntata apposita relazione tecnica protocollo n. 57030 del 6 ottobre 2014 da parte del dipartimento di Napoli dell'ARPA Campania.
  Da quanto in essa contenuto, si è appreso che a seguito della richiesta formulata dal comune di San Vitaliano con nota del 28 agosto 2014. in ordine alla presenza di «strana sostanza collosa ed appicicaticcia», l'Arpa Campania aveva effettuato dei prelievi di fogliame di agrumi e tamponi su superfici abiotiche presso talune abitazioni private, come individuate dalla stessa amministrazione comunale.
  Ad un quadro patognomonico, le foglie presentavano la pagina superiore ricoperta da una patina scura, al tatto di consistenza vischiosa, la cosiddetta «fumaggine», mentre al lato inferiore vi era presenza di parassiti, presumibilmente aleuroidi e cocciniglie, di colore bianco alternati a zone puntiformi di colore scuro. Tale fenomeno non risultava evidente sul fogliame di più recente formazione.
  I campioni prelevati venivano consegnati al laboratorio fitopatologico (Fitolab) della regione Campania per gli accertamenti fitosanitari, entomologici e micologici, e al dipartimento tecnico Arpac di Caserta, dei successivi esami di rito.
  Dagli accertamenti effettuati dal laboratorio fitopatologico (Fitolab) della regione Campania su foglie di Citrus sinensis emergeva essere in presenza di un forte attacco dell'aleurodide degli agrumi, dialeurodcs citri, con scarsa presenza del parassiloide encarsi spp (antagonista naturale) nonché i diaspidide mytilococcus spp e aonidiella aurantii.
  Tali parassiti emettono una sostanza appiccicosa e zuccherina, la melata, succhiando la linfa delle piante arboree, che favorisce l'insediamento di fumaggine indotta dai funghi dei generi cladosporium e capnodium.
  Su campioni di cotone (tampone) sono state rilevate al microscopio particelle terrose, pollini, semi e alcune spore fungine del fungo ad attitudine saprofitaria, alternarla spp.
  Dagli accertamenti effettuati dal laboratorio multisito inquinamento atmosferico e biomonitoraggio del dipartimento provinciale dell'Arpac di Caserta su fogliame di citrus sinesi e sul tampone emergeva di essere in presenza di patina nerastra costituita da una abbondante flora micotica mista costituita da aletranaria spp e stemphylim spp.
  Per quanto evidenziato, l'Arpa Campania riteneva evidente che la presenza di patina scura sulla parte superiore delle foglie fosse da ascrivere a fenomeni fitopatologici piuttosto che a "generico inquinamento atmosferico": infatti sulla melata, goccioline prodotte dagli insetti che succhiano la linfa delle piante arboree, si possono poi sviluppare crittogame nere (funghi) che danno origine al fenomeno della fumaggine.
  In più si aggiunga che la stessa melata, di consistenza appiccicosa, può essere dispersa nell'ambiente da correnti aeree (vento) anche su superfici abiotiche, come ad esempio pavimenti, terrazze, e altro.
  L'Arpa Campania, peraltro, sin da subito, non appena interpellata per acquisire dati ed elementi riferibili al fenomeno denunciato con la interrogazione cui si risponde, aveva fatto presente che, salvo diverse risultanze all'esito delle pertinenti analisi, il fenomeno segnalato sembrava rappresentare la recrudescenza di analoghi fenomeni naturali già esaminati l'anno precedente, in particolare nel territorio del comune di Acerra, in ordine ai quali aveva concluso la propria relazione tecnica n. 48296 del 18 settembre 2013, con le medesime considerazioni.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 17 luglio del 2009 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore Stefania Prestigiacomo rilasciava parere favorevole alla valutazione d'impatto ambientale (Via) sul progetto presentato dalla multinazionale spagnola Gas Natural, attraverso la società Gas Natural Rigassificazione Italia s.p.a., con sede a Trieste, per un impianto di rigassificazione del metano liquido (GNL) a Zaule, nel porto di Trieste;
   nel mese di dicembre 2012 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Corrado Clini, disponeva un supplemento di istruttoria sulla via in base a una nota della presidente dell'autorità portuale di Trieste, Marina Monassi, su possibili conflitti tra l'impianto di Zaule, il traffico marittimo e lo sviluppo delle attività portuali. Il supplemento di istruttoria doveva tenere conto anche della valutazione ambientale strategica (Vas) del piano regolatore portuale di Trieste, all'epoca ancora in via di definizione e delle limitazioni al traffico marittimo e alle attività portuali imposte dal progetto;
   in seguito al citato supplemento di istruttoria, il ministro pro tempore Clini, nell'aprile 2013 firmava un decreto con cui si stabiliva una sospensione di sei mesi dell'efficacia della via sul progetto, contestualmente rinviando alla Gas Natural e all'autorità portuale, la decisione di provvedere entro sei mesi a individuare, per l'impianto, un sito alternativo, compatibile con il piano regolatore portuale, oppure a modificare il piano regolatore in modo da renderlo compatibile con il progetto del terminale;
   il decreto recepiva integralmente quanto disposto dal parere espresso dalla Commissione via del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a conclusione dell'istruttoria aggiuntiva, effettuata sulla base del rapporto dell'autorità portuale di Trieste del dicembre 2012, sui programmi di sviluppo dello scalo;
   nel corso dell'istruttoria, la Commissione via aveva anche acquisito i pareri contrari al progetto presentati dal comitato portuale e dalla regione Friuli Venezia Giulia;
   in sostanza il decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 2013 prendeva atto delle mutate condizioni del traffico marittimo a Trieste e delle prospettive di potenziamento delle attività previste dal piano regolatore portuale. Il rigassificatore, se realizzato in base al progetto originario della Gas Natural, non appariva compatibile con il volume del traffico portuale e soprattutto con gli sviluppi futuri attesi;
   a ottobre 2013, il periodo di sei mesi di sospensione dell'efficacia della valutazione d'impatto ambientale sul progetto del rigassificatore di Zaule, stabilito dal decreto ministeriale, era ormai trascorso senza alcuna proposta circa una localizzazione alternativa dell'impianto da parte della società spagnola; a questo riguardo il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con una nota alla società Gas Natural concedeva dieci giorni di tempo per presentare le proprie osservazioni al fine di evitare la revoca della via;
   per quanto di sua competenza, anche l'autorità portuale di Trieste non aveva modificato al ribasso le stime di traffico portuale, confermando in tal modo la valutazione circa l'incompatibilità fra il progetto di realizzazione dell'infrastruttura e le prospettive di sviluppo dello scalo portuale di Trieste;
   nel mese di giugno 2014, nel rispondere ad un'altra interrogazione sul tema, il sottosegretario allo sviluppo economico Claudio De Vincenti dichiarava: «Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di sua competenza, ha precisato che lo schema di decreto di revoca in questione, già firmato dal Ministro pro tempore, Andrea Orlando, era stato inoltrato per la firma del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, in data 13 febbraio 2014, ma, essendo nel frattempo mutata la compagine governativa, lo stesso decreto è stato restituito dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ai fini dell'acquisizione della firma dei Ministri ora in carica. Lo schema di decreto è attualmente al vaglio del nuovo Gabinetto, in quanto il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare appena insediato sta procedendo ai controlli e agli approfondimenti procedurali e amministrativi di rito sulla questione prima della firma»;
   dalla risposta dal sottosegretario De Vincenti, sono trascorsi ulteriori otto mesi, senza che il competente Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia ancora emanato il decreto di revoca della via, in relazione all'unica area di sviluppo industriale della provincia di Trieste. La decisione, che a norma di legge il Governo è tenuto ad assumere è ormai improcrastinabile, anche alla luce di possibili azioni legali di richiesta per risarcimento danni, già annunciate dalla multinazionale spagnola, a fronte di un procedimento che si protrae da oltre dieci anni –:
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenga opportuno procedere, senza ulteriori attese, all'emanazione del decreto di revoca della valutazione di impatto ambientale, relativa al progetto del rigassificatore del metano liquido a Zaule, nel rispetto delle disposizioni normative vigenti, anche alla luce del parere negativo a suo tempo espresso dall'autorità portuale di Trieste;
   se il Governo per quanto di competenza, non ritenga di dover comunicare in tempi brevi se e quale sito sia stato individuato per la realizzazione del progetto in questione. (4-08188)

  Risposta. — In ordine a quanto segnalato e chiesto di conoscere con l'atto di sindacato ispettivo cui si risponde, per prima cosa è necessario osservare che il decreto dell'aprile 2013 con il quale si stabiliva una sospensione di sei mesi del decreto n. 808 del 17 luglio 2009 – con il quale, a sua volta, era stato rilasciato parere favorevole di compatibilità ambientale, con prescrizioni, nei confronti del rigassificatore GNL da realizzare a Zaule – non esprimeva la non compatibilità ambientale del progetto in parola. Con esso, infatti, sulla base di quanto emerso nel preliminare parere della commissione tecnica per la verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS, si rimandava in via del tutto precauzionale ad un approfondimento della questione. Tale approfondimento, che ha tenuto conto anche dei vari, diversi ed ulteriori elementi forniti dall'autorità portuale nel corso del 2014, si è concluso, dopo vari passaggi, con il definitivo parere della commissione tecnica VIA-VAS n. 1706 del 6 febbraio 2015.
  Tale parere, in particolare, ha evidenziato che – fatte salve le valutazioni degli impatti, con prescrizioni, di cui all'originario decreto n. 808/2009 – non si riscontrano ulteriori incompatibilità con le componenti ambientali esaminate, causate dalle previsioni del nuovo piano regolatore portuale del porto di Trieste, anche a seguito degli approfondimenti del quadro ambientale e degli studi effettuati da parte dell'autorità portuale.
  Non può essere ignorato, al riguardo, che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si limita a valutare l'eventuale incompatibilità ambientale di un'opera sulla base delle valutazioni tecnico-scientifiche espresse dalla commissione tecnica VIA-VAS all'uopo istituita dal legislatore. Infatti, la funzione principale dell'Amministrazione è quella di perseguire lo scopo di tutela ambientale attraverso la puntuale applicazione della normativa di settore, funzione che le competenti Strutture tecniche del Ministero hanno sinora correttamente espletato, nel caso in esame, applicando la normativa in materia di valutazione d'impatto ambientale con tutta l'attenzione che la circostanza imponeva.
  Non a caso, la finale «autorizzazione all'insediamento» viene poi rilasciata dal Ministero dello sviluppo economico, al quale, conseguentemente, lo scorso 25 febbraio è stata inviata per il seguito di competenza il parere della commissione tecnica n. 1706 del 6 febbraio 2015, già citato.
  Per quanto precisato, così, avendo accertato la commissione tecnica VIA-VAS che non si riscontrano ulteriori e specifiche incompatibilità ambientali tra le previsioni del nuovo piano regolatore portuale di Trieste e il progetto del rigassificatore GNL di Zaule – conclusioni che non consentono, peraltro, l'adozione di provvedimenti di secondo grado – può ritenersi concluso in tal senso il procedimento di supplemento istruttorio avviato dal Ministro pro-tempore il 27 dicembre 2012 e, di conseguenza, superata la comunicazione ex articolo 10-bis della legge n. 241 del 1990 avente ad oggetto il preavviso di revoca del decreto di compatibilità ambientale n. 808 del 17 luglio 2009.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il combinato disposto dell'articolo 1, comma 137, della legge n. 56 del 2014, dell'articolo 2, comma 1, della legge n. 215 del 2002 e dell'articolo 46, comma 2, del decreto legislativo n. 267 del 2000 regola l'obbligo, per le amministrazioni territoriali, del rispetto delle quote di genere nelle giunte comunali;
   sulla base delle norme citate, delle circolari intervenute in materia a cura del Ministero dell'interno e della giurisprudenza formatasi, sappiamo che nei comuni con popolazione fino a 3000 abitanti il principio di pari opportunità è assolto garantendo la presenza in giunta di entrambi i sessi (si ritiene che basti un solo componente di genere diverso a quello maggiormente rappresentato), mentre nei comuni con popolazione oltre i 3000 abitanti l'obbligo viene rispettato garantendo la presenza del genere minoritario in misura non inferiore al 40 per cento;
   in entrambi i casi nel calcolo è compreso il sindaco, a garanzia ulteriore della corretta rappresentanza di genere;
   Sorrento è un importante comune della provincia di Napoli;
   per numero di abitanti, Sorrento rientra tra i comuni con l'obbligo di rappresentanza in giunta del genere minoritario in misura non inferiore al 40 per cento;
   le ultime elezioni amministrative si sono tenute nel 2010, ed hanno portato all'elezione a sindaco dell'avvocato Giuseppe Cuomo;
   il sindaco Cuomo ha nominato sei assessori, di cui una donna e cinque uomini;
   il genere minoritario in giunta (quello femminile), ha quindi una misura rappresentativa lontanissima da quella prevista per legge: inferiore al 15 per cento, mentre dovrebbe attestarsi almeno al 40 per cento;
   si tratta di una palese violazione delle norme relative al rispetto di genere nelle giunte comunali –:
   quali iniziative si intenda prendere, per quanto di competenza, per risolvere questa violazione in corso presso il comune di Sorrento;
   quali iniziative di competenza, si intendano adottare affinché sia assicurato il rispetto della parità di genere nella gestione della res publica nei comuni al fine di evitare che si verifichino casi come quello del comune di Sorrento. (4-06587)

  Risposta. — Sul tema della parità di uomini e donne nell'accesso alle giunte comunali, la normativa vigente prevede, all'articolo 6 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, che «gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna ai sensi della legge 10 aprile 1991, n. 125, e per garantire la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali non elettivi del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti».
  Lo stesso testo unico dispone all'articolo 46, comma 2, che il sindaco e il presidente della provincia nominino i componenti della giunta, nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi. Si soggiunge che la legge 7 aprile 2014, n. 56 ha previsto, al comma 137 dell'articolo 1, che nelle giunte del comuni con popolazione superiore a 3 mila abitanti – come il comune di Sorrento – nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento.
  Il Ministero dell'interno, con circolare del 24 aprile 2014 ha fornito indicazioni applicative in ordine alla disposizione richiamata, sottolineando, altresì, la necessità che il sindaco, prima di nominare la giunta, in attuazione del principio di parità di genere, svolga un'attività istruttore preordinata ad acquisire la disponibilità di persone appartenenti ad entrambi i generi. Nella circolare viene evidenziata, inoltre, l'esigenza che nell'atto di nomina della giunta, in cui risulti assente un genere, il sindaco renda adeguata motivazione circa le ragioni della mancata applicazione del principio di pari opportunità.
  Sulla questione il Consiglio di Stato, V Sezione, nella sentenza n. 3938 del 24 luglio scorso, ha chiarito che «l'interpretazione della disposizione statutaria nei senso che occorre assicurare la presenza “di norma” di entrambi i sessi, non può che essere riferita ad un tendenziale equilibrio dei generi nella composizione della Giunta, nel senso che, di norma, la presenza in giunta di uomini e donne deve essere effettivamente equilibrata. Pertanto, il sindaco deve dare conto, per motivi obiettivi, di essere stato impossibilitato a garantire l'effettiva parità dei generi ossia la presenza di un numero di donne tendenzialmente pari a quello degli uomini nella Giunta, pena la violazione deità citata norma statutaria, attuativa di una garanzia costituzionale, garantita anche a livello internazionale...».
  Tanto premesso e venendo ai fatti esposti nell'interrogazione a cui si risponde, si rappresenta che il sindaco di Sorrento ha comunicato di aver annullato, con proprio provvedimento del 14 luglio 2014, la composizione della giunta comunale nominata il 17 settembre 2012 (costituita da cinque assessori di sesso maschile e uno di sesso femminile) e revocato tutte le deleghe assegnate agli assessori.
  Lo stesso sindaco ha altresì evidenziato che, sulla base della citata circolare del Ministero dell'interno del 24 aprile 2014, è stata svolta un'attività istruttoria preordinata ad acquisire la disponibilità di persone di genere femminile a svolgere le funzioni assessorili.
  Poiché le persone interpellate hanno manifestato la loro indisponibilità, con decreto del 22 luglio 2014, il sindaco ha proceduto alta ricostituzione della giunta con la nomina di nuovi sei assessori, di cui cinque di genere maschile e uno di genere femminile.
  Quanto agli specifici quesiti contenuti nell'atto di sindacato ispettivo, relativi alle iniziative da adottarsi da parte dei Ministro dell'interno per risolvere la situazione dei comune di Sorrento ed evitare che analoghe situazioni si verifichino in altri comuni, si fa presente che l'ordinamento vigente, come noto, non prevede poteri di controllo di legittimità sugli atti degli enti locali in capo a organi di questa amministrazione.
  Gli eventuali vizi di legittimità degli atti adottati, pertanto, possono essere fatti valere solo nelle competenti sedi giurisdizionali o con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, secondo le consuete regole vigenti in materia.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   SIBILIA e COLONNESE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con atto deliberativo n. 2125 del 12/12/2014 l'ASL Avellino disponeva il trasferimento del dr. Pietro De Luca, medico pediatra di libera scelta, dall'ambito territoriale di Baronia (Distretto sanitario di Ariano Irpino) a quello di Monteforte Irpino (distretto sanitario di Monteforte Irpino);
   di conseguenza l'assistenza pediatrica relativa all'ambito n. 3, comprendente i comuni di Carife, Castel Baronia, Flumeri, Frigento, Gesualdo, S. Nicola Baronia, Scampitella, Sturno, Trevico, Vallata e Vallesaccarda tutti facenti parte della Provincia di Avellino, risultava garantita solo da 2 medici pediatri, risultandone sprovvisti diversi assistiti in età pediatrica in carico al sanitario de quo;
   nella seduta del 3 febbraio 2015, il Comitato aziendale per la pediatria di libera scelta ha espresso parere favorevole al conferimento di un incarico provvisorio, per la durata massima di undici mesi, per l'ambito pediatrico di Vallata da conferire ai sensi dell'articolo 37 del vigente ACN di categoria che recita testualmente: «Qualora in un ambito territoriale si determini una carenza alla assistenza pediatrica, l'Azienda, sentito il Comitato di cui all'articolo 23, può conferire un incarico temporaneo ad un pediatra, scelto nel rispetto della graduatoria regionale, con priorità per i pediatri residenti nell'ambito territoriale carente. Tale incarico, di durata comunque inferiore a dodici mesi, cessa alla sua scadenza o nel momento in cui viene individuato il pediatra avente diritto all'inserimento»;
   come comunicato dal distretto sanitario di Ariano I e pubblicizzato dai media locali, nei Comuni di Vallata e Castel Baronia dal 19 gennaio 2014 è garantita la presenza del pediatra di libera scelta solo 2 giorni su 5 a settimana con tutti i disagi che ne conseguono specialmente nel periodo invernale, nel quale solitamente si registra il picco dei malanni di stagione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, intenda porre in essere per garantire i livelli essenziali di assistenza e il diritto alla salute, costituzionalmente previsto, soprattutto per una fascia di età così delicata quale quella infantile.
(4-08924)

  Risposta. — In merito a quanto indicato nell'interrogazione parlamentare in esame, l'azienda sanitaria locale di Avellino, per il tramite della prefettura – ufficio territoriale del Governo, ha segnalato quanto segue.
  Il decreto dirigenziale n. 13/2014 ha individuato una zona carente di pediatria di libera scelta, nell'ambito di Monteforte Irpino, con sede di ubicazione dello studio medico in Mercogliano.
  Il dottor Pietro De Luca accettava il trasferimento dall'ambito territoriale di Baronia – sede Vallata (distretto sanitario di Ariano Irpino) a quello di Monteforte Irpino (distretto sanitario di Monteforte Irpino).
  Con atto deliberativo n. 2125/2014, l'azienda sanitaria locale ha preso atto della accettazione ed ha predisposto il trasferimento del dottor De Luca nell'ambito di Monteforte Irpino.
  Il comitato aziendale per la pediatria di libera scelta, nella seduta del 27 gennaio 2015, ha preso atto della manifestazione di volontà di due pediatri di garantire la loro presenza nell'ambito di Vallata per tre giorni alla settimana, per complessivi quattro mesi, al fine di una migliore assistenza pediatrica.
  Alla luce di queste considerazioni, il commissario straordinario aziendale ha proposto al citato comitato l'attivazione di una zona carente straordinaria di pediatria per l'ambito di Vallata.
  La parte sindacale ha fatto rilevare che non sussistono le condizioni giuridiche per l'indizione di una zona straordinaria pediatrica in detto ambito, in quanto, sulla base del calcolo del rapporto ottimale 1/600, sono previsti soltanto due pediatri, vale a dire quelli attualmente operanti.
  Pertanto, non è stata raggiunta la determinazione unanime di indizione della zona carente straordinaria di pediatria per l'ambito di Vallata.
  Preso atto delle rimostranze dei sindaci dei comuni dell'ambito, che lamentavano una insufficiente assistenza venutasi a creare nei riguardi della popolazione pediatrica a causa del trasferimento del dottor De Luca, con soltanto due pediatri operanti nell'ambito territoriale, che comprende dodici paesi, il comitato aziendale per la pediatria di libera scelta si riuniva nuovamente.
  Nella seduta del comitato aziendale del 3 febbraio 2015, preso atto delle richieste dei sindaci, si concordava, all'unanimità, di conferire un incarico provvisorio nell'ambito pediatrico n. 3 (sede di Vallata), della durata di undici mesi, ad un pediatra scelto dalla vigente graduatoria regionale della pediatria di libera scelta, ai sensi dell'articolo 37 del vigente accordo collettivo nazionale di categoria.
  Immediatamente venivano attivate le procedure giuridiche per il conferimento di tale incarico provvisorio, convocando, tramite telegramma, i pediatri presenti nella vigente graduatoria di pediatria di libera scelta – anno 2014.
  Con atto deliberativo n. 418/2015, l'azienda sanitaria locale di Avellino, dopo la verifica delle eventuali situazioni di incompatibilità, ha conferito l'incarico provvisorio al dottor Claudio Parrella, medico pediatra.
  Successivamente, a seguito di rinuncia all'incarico da parte del citato medico, esperite nuovamente le procedure di convocazione dei pediatri dalla graduatoria di pediatria-anno 2014, l'azienda sanitaria locale ha conferito, con atto deliberativo n. 634/2015, a decorrere dal 5 maggio 2015, l'incarico provvisorio, per la durata di mesi undici, per l'ambito pediatrico di Vallata, in favore della dottoressa Roberta Buonavolontà, medico pediatra.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   SORIAL, COMINARDI, ALBERTI e BASILIO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è di questi giorni di fine marzo la notizia riportata dalla stampa locale con il titolo: «Brescia galleggia sui veleni», che l'Arpa avrebbe rilevato in questa zona la presenza di cromo VI fino a 4 mila volte i limiti consentiti dalla legge;
   il cromo esavalente è una sostanza che «sulla base di evidenze sperimentali ed epidemiologiche è stata classificata dalla IARC (International Agency for research on Cancer) come cancerogena per l'uomo (classe I)» (Fact sheet: «Cromo esavalente», Ispesl, dipartimento di medicina del lavoro, Centro ricerche Parma CERT); diversi studi, infatti, hanno dimostrato la pericolosità e tossicità del cromo esavalente se ingerito o se ne vengono respirati i fumi;
   nella sua nota prot. 24 febbraio 2014 – 0006603 inviata su richiesta dell'interrogante, l'ISS (Istituto superiore di Sanità) spiega che «il Cromo esavalente, diffuso in composti di origine industriale quali cromati e tiolati, è caratterizzato da elevata tossicità e cancerogenicità» infatti «il Cr (VI) è stato classificato dalla IARC (International Agency for research on Cancer) nel gruppo 1 (cancerogeno per l'uomo) sulla base di studi epidemiologici che hanno dimostrato associazione tra esposizione per via inalatoria al Cr(VI) e cancro al polmone», e, anche se «l'esposizione per ingestione a Cr(VI) è associata a minor grado di rischio», «uno studio di cancerogenesi a lungo termine in roditori, effettuato dall'NTP (National Toxicology Program), ha evidenziato che la somministrazione del Cr(VI) per via orale è associato ad un'aumentata incidenza di tumori della cavità orale nel ratto e dell'intestino tenue nel topo in entrambi i sessi» e che «i composti di Cr(VI) sono genotossici in un ampio range di test di genotossicità in vitro e in alcuni studi in vivo in seguito a somministrazione per via orale»;
   sempre secondo la nota dell'Istituto superiore di sanità di cui sopra, anche se l'esposizione per ingestione al Cr(VI) è legata ad un rischio minore poiché i composti del cromo esavalente nel tratto gastrointestinale dell'uomo sono ridotti efficientemente a composti Cromo III, che non è pericoloso, «tuttavia non si può escludere che anche a bassi livelli di esposizione una piccola percentuale possa eludere la riduzione a Cr(III), riduzione che determina i potenziali effetti tossici o cancerogeni»;
   nel comune di Brescia e nella provincia, le morti per tumore al fegato, casi di cancro al pancreas, cancro alla laringe, incidenza per malattie pneumologiche e altre malattie legate all'aria e all'alimentazione e a quello che viene ingerito sono elevatissime e sono oltre la media nazionale;
   come ormai è tristemente noto e già più volte segnalato anche di recente dall'interrogante con altri atti di sindacato ispettivo, la situazione dell'inquinamento da cromo VI a Brescia e provincia è molto grave, ma i risultati dell'ultima campagna di monitoraggio dell'acqua di falda all'interno del sito Caffaro svolta dall'Arpa sono ancora più gravi del previsto: l'agenzia per la protezione dell'ambiente ha comparato lo stato della falda nel 1982 ad oggi, ed è risultato che l'inquinamento sotterraneo si sarebbe esteso e i picchi massimi sarebbero saliti ancora perché la falda è risalita fino a 15 metri (15 metri all'Iveco, 10 alla Caffaro), e salendo, la falda va a toccare i terreni inzuppati di inquinanti, portandoseli via;
   i geologi Arpa spiegano nel loro studio che la falda è salita di diversi metri negli ultimi anni visto che non ci sono più le aziende siderurgiche che pompavano dal sottosuolo miliardi di litri l'anno per le loro produzioni, e ciò metterebbe a repentaglio anche la seconda di falda, quella dove attingono i pozzi dell'acquedotto, poiché i due gruppi acquiferi sono purtroppo comunicanti in più punti, infatti sono stati trovati di recente cromo e solventi cancerogeni in 19 dei 46 pozzi cittadini;
   sotto l'azienda chimica Caffaro, che ha prodotto Pcb e pesticidi, si troverebbero fino a 410 microgrammi al litro di cromo, che non era prodotto nell'azienda, e nonostante il pompaggio di 10 milioni di litri d'acqua l'anno per evitare il contatto con la terra altamente inquinata, la falda sotto l'azienda contiene comunque un cocktail velenoso di solventi clorurati, che utilizzava: dal tetracloruro al triclorometano, dall'esacloroesano ai pcb (fino a 30 volte i limiti); inquinamento che si sposta anche sotto il vicino campo d'atletica Calvesi, dove il tricolorometano è triplicato in estate (133 volte oltre i limiti);
   il rischio maggiore sembra esserci proprio per tutti quei cittadini che utilizzano ancora pozzi privati, che pescano nella prima falda: il 4 marzo la Loggia ne ha chiusi quattro a Folzano (il cromo arrivava a 300 microgrammi per litro);
   l'emergenza delle emergenze da cromo VI resta la galvanica Baratti-Inselvini di via Padova: il picco massimo è ancora 4360 volte oltre i limiti di legge, anche se si è dimezzato dopo le bonifiche iniziate dall'azienda; per l'Arpa questo è uno dei focolai responsabili del fiume di inquinamento che viaggia verso sud;
   un'altra galvanica, l'ex Forzanini di via Ancona, chiusa nel 1990, sarebbe al secondo posto nella classifica delle criticità qui il cromo esavalente è 364 volte oltre i limiti;
   sarebbe grave anche l'inquinamento registrato all'ex deposito di automezzi in via Monte Maniva (tra via Rose di sotto e via Dalmazia), dove il metallo cangerogeno arriva a 514 microgrammi per litro;
   secondo la direttrice dell'Arpa-Brescia, Maria Luisa Pastore, «Per quanto riguarda l'inquinamento da cromo, Brescia è una delle situazioni peggiori d'Italia», situazione che anno dopo anno sembra diventare sempre più grave, anche perché le complesse bonifiche sotterranee sembrano tardare a partire;
   solo il 3 marzo 2015, è stata fornita finalmente una risposta, peraltro risultata insoddisfacente per l'interrogante, all'interrogazione n. 3-01321 datata dicembre 2013 sul grave problema della presenza del cromo VI nell'acqua di Brescia e dintorni: il Sottosegretario di Stato per la salute, Vito De Filippo, rispondendo all'interrogazione ha, ad avviso dell'interrogante, dato conto di interventi tardivi delle istituzioni considerata la gravità della situazione dell'inquinamento da cromo VI;
   secondo lo studio dell'Arpa, i veleni vanno rimossi dal terreno ma, vista la situazione, il lavoro di bonifica sembra essere più complicato del previsto perché prima si dovrà mettere in sicurezza la falda –:
   se il Governo sia la corrente degli ultimi rilevamenti dell'Arpa relativamente alla sempre più preoccupante presenza di cromo VI a Brescia, come descritto in premessa, e se non intenda adottare provvedimenti anche urgenti, con particolare riferimento alla necessaria tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini delle aree interessate, anche attraverso un'iniziativa normativa che vada nella direzione di un'implementazione di maggiori controlli e sanzioni più alte in caso di reati ambientali di questo genere, prevedendo un utilizzo delle risorse economiche che eventualmente ne deriverebbero per la necessaria attività di bonifica e messa in sicurezza dei territori coinvolti;
   in quale modo il Governo intenda intervenire in relazione alla messa in sicurezza della falda di cui in premessa, che è un'azione, come sottolineato dai tecnici dell'Arpa, necessaria e prioritaria per evitare che le sostanze inquinanti continuino a spostarsi avvelenando altri territori, rendendo poco utili soprattutto nel lungo termine, le stesse bonifiche di superficie;
   se il Governo non ritenga necessario e in tal caso in quale modo intenda procedere, per quanto di sua competenza, perché venga effettuata monitoraggio della situazione delle acque sotterranee continuamente aggiornato e una opportuna comunicazione dei rischi connessi all'utilizzo dei pozzi privati per tutti i cittadini della zona che ne fanno uso. (4-08604)

  Risposta. — In merito alla problematica delineata negli atti parlamentari in esame, a cui si risponde congiuntamente, la prefettura-ufficio territoriale del governo di Brescia ha segnalato quanto segue.
  Il sito di interesse nazionale «Caffaro» di Brescia è oggetto di un accordo di programma tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la regione Lombardia, la provincia di Brescia, il comune di Castegnato (BS) ed il comune di Passirano (BS), per la definizione degli interventi di messa in sicurezza e successiva bonifica del sito stesso.
  Per tali interventi sono state stanziate risorse per circa 11.300.000 euro (di cui 2.000.000 ancora da ripartire sulla base di una proposta di priorità formulata dalla regione Lombardia in accordo con gli enti locali interessati), a favore di aree pubbliche per interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica, o per i medesimi interventi, in aree private in sostituzione e in danno dei soggetti responsabili della contaminazione, previa definizione, in quest'ultimo caso, dei passaggi giuridici e amministrativi previsti dalla normativa vigente.
  Per le acque sotterranee, l'Accordo di programma prevede, in particolare, lo svolgimento di attività finalizzate alla progettazione preliminare e definitiva degli interventi di messa in sicurezza e bonifica delle acque di falda.
  In relazione a quanto sopra, è stato messo a punto un modello di flusso della contaminazione della falda, propedeutico alla elaborazione, attualmente in corso, di uno studio di fattibilità ed alla conseguente progettazione preliminare e definitiva degli interventi necessari.
  L'aggiornamento e la gestione del modello di flusso sono stati affidati al dipartimento dell'agenzia regionale per la protezione ambientale di Brescia, in qualità di soggetto preposto al monitoraggio delle acque di falda ricadenti nel sito di interesse nazionale «Caffaro».
  Lo stato qualitativo delle acque sotterranee è monitorato periodicamente dal dipartimento ARPA e valutato in sede di conferenze di servizi, convocate dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per esaminare le diverse iniziative in atto o da intraprendere nell'area del sito di interesse nazionale, finalizzate, prioritariamente, alla tutela della salute pubblica.
  Le contaminazioni delle acque sotterranee nel sito sono imputabili a rilasci di inquinanti, prodotti dagli insediamenti industriali che si sono succeduti negli anni nell'area in argomento, con le conseguenti difficoltà a trattare situazioni caratterizzate da una contaminazione già estesa oltre i limiti del singolo insediamento.
  Per quanto attiene alla contaminazione idrica da cromo esavalente, l'amministrazione provinciale di Brescia ha emesso dei provvedimenti a carico dei responsabili della contaminazione, relativamente all'area Baratti, all'area Forzanini ed all'area Oto Melara.
  Per dette aree, lo stato di avanzamento dei procedimenti di messa in sicurezza e di bonifica è riconducibile a quanto di seguito riportato:
   area «Oto Melara»: l'azienda ha attivato un impianto di messa in sicurezza della falda (marzo 2014) ed ha presentato il progetto di bonifica dei suoli, nonché il progetto di messa in sicurezza operativa della matrice acque di falda (aprile 2015);
   area «Forzanini»: il Ministero dell'ambiente ha sollecitato i soggetti coinvolti ad adottare le misure di prevenzione necessarie ad impedire l'ulteriore diffusione della contaminazione.
   Nel gennaio 2015, i soggetti interessati hanno presentato una proposta di messa in sicurezza d'emergenza delle acque sotterranee, e i risultati preliminari della fase conclusiva del «piano di caratterizzazione matrice suolo e sottosuolo» del sito.
   Tale proposta di messa in sicurezza è stata approfondita, a livello locale, nel corso di una riunione tecnica appositamente convocata dalla regione, i cui esiti sono stati trasmessi al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel marzo scorso.
   area «Baratti»: il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha approvato, con prescrizioni, il progetto operativo di bonifica, trasmesso dall'azienda interessata, relativamente alla matrice acque sotterranee (10 aprile 2014).

  Nella Conferenza di Servizi convocata dal comune di Brescia in data 27 marzo 2015, si è preso atto del Progetto di bonifica per la matrice suolo e sottosuolo, presentato dall'azienda in procedura semplificata ai sensi dell'articolo 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Gli accertamenti compiuti dal Dipartimento ARPA di Brescia sulla barriera idraulica installata nell'area in esame, hanno evidenziato inadempienze rispetto alle prescrizioni impartite ai soggetti coinvolti.
  In considerazione di quanto sopra esposto, si è svolta, presso il Ministero dell'ambiente, una riunione tecnica, ove si è convenuto che la proposta formulata dalla regione Lombardia in ordine ai 2.000.000 di euro ancora da ripartire, deve tenere conto di eventuali interventi sostitutivi e delle attività di monitoraggio e di aggiornamento del modello idrogeologico da parte del dipartimento ARPA di Brescia.
  Nel corso di un'altra riunione, convocata dalla Regione, è stato raggiunto un accordo che prevede l'assegnazione al dipartimento ARPA di circa 200.000 euro a copertura delle attività svolte al riguardo, per due anni, con l'intesa che, al termine del periodo stabilito, lo stesso dipartimento presenti un'ulteriore proposta, basata sullo sviluppo delle conoscenze e della situazione delle acque sotterranee; inoltre, si è stabilita la messa a disposizione del soggetto pubblico attuatore, di 400.000 euro, per eventuali attività sostitutive a carico di soggetti inadempienti, in sostituzione e in danno degli stessi, ferma restando, in tal caso, l'osservanza delle procedure previste in merito dalla legge.
  Per gli aspetti di competenza, l'istituto superiore di sanità ha inteso precisare che lo stabilimento «Caffaro» di Brescia, nel quale sono stati prodotti policlorobifenili (PCB) dalla fine degli anni trenta al 1984, ha riversato per decenni i rifiuti della lavorazione in un corso d'acqua comunicante con la rete delle rogge, che ha a sua volta contaminato suoli agricoli e catena alimentare: i gruppi di popolazione caratterizzati dai più elevati livelli ematici di PCB sono stati riscontrati fra gli ex lavoratori della «Caffaro» e fra i consumatori di alimenti contaminati.
  L'esposizione professionale a PCB nelle aziende metallurgiche di Brescia e della Provincia contribuisce all'innalzamento dei livelli ematici di PCB, in particolare dei fonditori, degli addetti alle colate e dei manutentori.
  È recente la pubblicazione, da parte di un gruppo di lavoro della IARC-International Agency for Research on Cancer, sulla valutazione della cancerogenicità dei PCB, in base alla quale questi agenti sono allocati alla categoria «cancerogeni per l'uomo», e si individua un nesso causale con i melanomi cutanei (evidenza sufficiente), i linfomi non Hodgkin e il tumore della mammella (evidenza limitata).
  Nel contesto di Brescia, come mostrato dai risultati dello studio SENTIERI, sviluppato dall'istituto superiore di sanità, si rileva che:
   a) per il melanoma, si osservano eccessi nella popolazione maschile (incidenza e ricoveri ospedalieri) e femminile (incidenza e ricoveri ospedalieri); la mortalità è compatibile con l'attesa;
   b) per il tumore della mammella, si osservano eccessi di incidenza e ricoveri ospedalieri e mortalità compatibile con l'attesa;
   c) per i linfomi non Hodgkin, si osservano eccessi di incidenza (in particolare nelle donne) e di ricoveri ospedalieri; mortalità compatibile con l'attesa.

  La coerenza di fondo tra le indicazioni fornite dai dati di incidenza e di ospedalizzazione e, in misura minore, dai dati di mortalità, corrobora l'ipotesi di un contributo dell'esposizione a PCB all'eziologia di queste patologie nella popolazione di Brescia.
  A questo proposito, una recente rassegna della letteratura scientifica ha mostrato come i livelli ematici di tossicità equivalente, relativi a diossine e altri composti diossino-simili, tra cui i PCB, riscontrati nella popolazione generale residente a Brescia, siano fra i più elevati osservati a livello internazionale.
  Questi elementi giustificano sia il perseguimento di un insieme di obiettivi attinenti al risanamento ambientale, in corso di attuazione, sia il potenziamento dei programmi di sorveglianza epidemiologica e di monitoraggio, anche biologico, che vedono già impegnate le aziende sanitarie locali territorialmente competenti e il registro tumori, in collaborazione con l'istituto superiore di sanità.
  Questo insieme di studi appare appropriato anche in relazione alla messa a punto di un piano di comunicazione a beneficio della popolazione interessata.
  Da ultimo, l'istituto superiore di sanità ha segnalato che è in corso un'attività di valutazione presso la Sezione III del consiglio superiore di sanità, ai fini della formulazione di un parere riguardante il cromo esavalente nell'ambito del decreto legislativo n. 31 del 2001, concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   TERROSI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto commissariale n. 87 del 2009, recante «Approvazione piano sanitario regionale (PSR) 2010-2012», la regione Lazio riconosce le peculiarità delle aree montane e delle zone lontane da altri centri ospedalieri e mal collegate ad essi, sottolineando che le dotazioni potranno essere in via assolutamente eccezionale difformi da quelle previste dalla programmazione della spesa, purché continuino a garantire livelli di efficienza e qualità. In particolare, è opportuno rappresentare gli interventi specifici per gli ex presidi ospedalieri di Subiaco, Rieti, Amatrice, Magliano Sabina, Montefiascone e Acquapendente;
   dal sito del comune di Subiaco (RM) si apprende che in data 2 maggio 2014 il sindaco comunica l'avvenuta istituzione da parte della regione Lazio di un tavolo tecnico «per definire il futuro della sanità nell'area sublacense ed in particolare dell'ospedale Angelucci di Subiaco. Il tavolo vedrà la presenza di tecnici regionali, del Ministero della sanità, della asl Rm G, dell'amministrazione comunale e della cabine di regia per il piano di rientro. Sarà un tavolo estremamente operativo e avrà a disposizione un ragionevole lasso di tempo per definire un progetto condiviso che, in ogni caso, dovrà essere consegnato prima della stesura definitiva e approvazione del documento dei programmi operativi 2013/2015»;
   oltre alla struttura presente nel comune di Subiaco (RM) altre strutture dislocate nel territorio della regione Lazio e in particolare quelle presenti nei comuni di Acquapendente (VT), Amatrice e Magliano Sabina (RI) ricadono nella tipologia individuata nel decreto n. 95 del 2012 convertito con modificazioni dalla legge n. 135 del 2012 e nel relativo regolamento attuativo come «Presidi ospedalieri in zone particolarmente disagiate». A proposito di questi ultimi nel regolamento si legge: «sono presidi ospedalieri che le regioni e province autonome di Trento e Bolzano possono prevedere per zone particolarmente disagiate in quanto definibili, sulla base di oggettive tecniche di misurazione o di formale documentazione tecnica disponibile, distanti più di 90 minuti dai centri hub o spoke di riferimento (o 60 minuti dai presidi di pronto soccorso) superando i tempi previsti per un servizio di emergenza efficace. Per centri hub o spoke si intendono anche quelli di regioni confinanti sulla base di accordi interregionali da sottoscriversi entro il 30 giugno 2013. (...) In questi presidi ospedalieri occorre garantire una attività di pronto soccorso con la conseguente disponibilità dei necessari servizi di supporto, attività di medicina interna, di chirurgia generale ridotta». Tali presidi (...) «devono essere dotati indicativamente di: un reparto di 20 posti letto di medicina generale con un proprio organico di medici e infermieri; una chirurgia elettiva ridotta che effettua interventi in day surgery o eventualmente in week surgery con la possibilità di appoggio nei letti di medicina lo (obiettivo massimo del 70 per cento di occupazione dei posti letto per avere disponibilità di casi imprevisti) per i casi che non possono essere dimessi in giornata; la copertura in pronta disponibilità per il restante orario da parte dell’equipe chirurgica garantisce un supporto specifico in casi risolvibili in loco; un pronto soccorso presidiato da un organico medico dedicato all'emergenza-urgenza, inquadrato nella disciplina specifica così come prevista dal decreto ministeriale 30 gennaio 1998 (medicina e chirurgia d'accettazione e d'urgenza) e da un punto organizzativo integrato alla struttura complessa del DEA di riferimento che garantisce il servizio e l'aggiornamento relativo» –:
   se il Ministro sia a conoscenza della istituzione del tavolo tecnico così come descritto al secondo capoverso del presente atto;
   se tale notizia fosse confermata, quali iniziative intenda mettere in atto il Ministro per garantire la possibilità che, oltre al comune di Subiaco, tutte le altre strutture citate possano partecipare allo stesso tavolo tecnico ovvero ad altri tavoli tecnici appositamente costituiti, al fine di garantire che tutti i presidi caratterizzati in ambito regionale da condizioni di svantaggio legate alla tempistica necessaria per raggiungere il DEA di riferimento aggravata dalle condizioni di viabilità e meteorologiche oggettivamente disagiate, possano offrire una qualificata e tempestiva risposta alle popolazioni residenti in termini di accesso alle cure. (4-04873)

  Risposta. — In merito all'interrogazione parlamentare in esame, la prefettura ufficio territoriale del governo di Roma ha provveduto ad acquisire, presso la regione Lazio, le informazioni concernenti le strutture ospedaliere richiamate nell'atto ispettivo.
  A tal riguardo, le autorità regionali hanno segnalato che i programmi operativi 2013-2015, in corso di attuazione, contemplano la ridefinizione della rete ospedaliera regionale al fine di consentire il raggiungimento di quanto previsto dalla legge n. 135 del 20l2.
  Per il presidio ospedaliero di Subiaco sono state prese in considerazione le caratteristiche proprie degli ospedali siti in «zone particolarmente disagiate».
  Tale struttura ha un numero di accessi/anno pari a circa 10.000, con una difficoltosa accessibilità viaria al dipartimento emergenza e accettazione (DEA) di Tivoli per la popolazione dei comuni ricompresi nel bacino di utenza.
  Pertanto, per il presidio ospedaliero di Subiaco (ASL RM/G), viene previsto il mantenimento della funzione di pronto soccorso e di ricovero, assicurando un modulo di posti letto ordinari per la sola area medica e di
day surgery, per l'area chirurgica.
  La struttura in questione si avvale di una risposta alle emergenze assicurata, nelle 24 ore, dai medici del DEA di 1o livello di Tivoli, con posti letto in osservazione breve intensiva, e con la presenza, nelle 24 ore, di un mezzo di soccorso medicalizzato.
  Inoltre, vengono resi disponibili un laboratorio di analisi per le emergenze, un servizio di teleconsulenza per la radiologia ed è attrezzata una elisuperficie.
  L'operatività delle attività di ricovero viene assicurata da venti posti letto in medicina generale e da sei posti letto in
day surgery.
  Per l'ospedale di Acquapendente (ASL VT), è prevista la riconversione in casa della salute, secondo quanto indicato nei decreti del Commissario ad Acta n. 428/2013 e n. 40/2014.
  Tale struttura potrà utilizzare sia una elisuperficie attrezzata, al momento attuale già realizzata, ma in attesa della certificazione da parte dell'ente nazionale per l'aviazione civile, sia un mezzo di soccorso medicalizzato nelle 24 ore.
  Inoltre, è previsto un punto di primo intervento affidato al sistema territoriale 118.
  L'attività di ricovero per acuti in regime ordinario, attualmente erogata tramite n. 8 posti letto in area medica, viene ricollocata all'interno del presidio ospedaliero «Belcolle» di Viterbo.

La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   TIDEI, FERRO, CARELLA e MINNUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la regione Lazio ha siglato un Piano di rientro (Pdr) in data 28 febbraio 2007 che è stato approvato con decreto della giunta regionale n. 149/2007. A conclusione del primo triennio di attività finalizzate alla riorganizzazione del Servizio sanitario regionale (SSR), la regione ha formalizzato il prosieguo del Pdr con il programma operativo per gli anni 2010-2012. Nel successivo programma operativo 2013 – 2015, di cui al decreto del commissario ad Acta 480 del 6 dicembre 2013, presentato ai Ministeri della salute e dell'economia in data 21 marzo 2014, sono previsti una serie di interventi che interessano:
    a) le cure primarie e la rete territoriale;
    b) la riorganizzazione dell'offerta assistenziale;
    c) l'efficientamento della gestione;
    d) i flussi informativi;
    e) interventi operativi di gestione, nonché;
    f) interventi per il governo del programma operativo;
   da quanto si evince sopra, la regione Lazio è sottoposta a commissariamento dal 2007. Ciò in ragione di disavanzi sanitari accumulati, in particolar modo nell'ultimo quindicennio. Si pensi che soltanto nel 2006 il disavanzo sanitario ha raggiunto la cifra 1.971 milioni di euro (quasi due miliardi di euro);
   in ossequio a quanto stabilito con decreto del commissario ad Acta n. 80 del 30 settembre 2010 dal titolo «Riorganizzazione della rete ospedaliera della regione Lazio», il programma operativo 2013 –2015 stabilisce la riconversione, tra gli altri, di alcuni nosocomi della provincia di Roma. Tale riconversione motivata da esigenze, peraltro condivisibili, finalizzate all'ottimizzazione dell'intera offerta sanitaria regionale nonché da esigenze di razionalizzazione della spesa sanitaria incontra il serio rischio di operare una vera sperequazione, quando non una seria inadeguatezza, dell'offerta di prestazioni e servizi sanitari;
   con specifico riferimento al programma operativo 2013 – 2015, precisamente in merito alle strutture ospedaliere di Bracciano (ospedale Padre Pio) afferente l'ASL Roma F e le strutture di Monterotondo (ospedale SS. Gonfalone) e di Subiaco (ospedale Angelucci) entrambi afferenti l'ASL Roma G, si contempla, per i summentovati nosocomi, la riconversione e la promozione dei servizi territoriali;
   la riorganizzazione della rete ospedaliera, come previsto dal decreto del commissario ad Acta 80/2010, esporrebbe i moltissimi comuni aventi quale struttura ospedaliera di riferimento i tre nosocomi suindicati, al rischio di un vuoto assistenziale che, ove si realizzasse, pregiudicherebbe gravemente, per le popolazioni interessate, il diritto alla salute, riconosciuto e garantito dall'articolo 32 della Costituzione. Da una simile riorganizzazione ne deriverebbe una grave e ingiustificata carenza assistenziale, soprattutto per quanto riguarda l'offerta ospedaliera legata ai servizi di emergenza e urgenza, ad est e a nord della provincia di Roma;
   per quanto riguarda il quadrante nord – est che interessa le ASL Roma G e F, con una popolazione di circa 800 mila abitanti e non irrilevante in termini di estensione territoriale, si lascerebbe ai soli presidi ospedalieri di Tivoli e Civitavecchia la gestione dell'emergenza – urgenza. Ad una riduzione dell'offerta sanitaria da parte delle tre strutture ospedaliere, individuate precedentemente, non può che corrispondere un eccesso della domanda di salute verso altri nosocomi (verso i PP. OO. di Tivoli e Civitavecchia e soprattutto verso le aziende ospedaliere di Roma) con tutte le problematiche che ne deriverebbero in termini congestione dei pronto soccorsi, di gestione, di organizzazione, di efficienza e sicurezza dei servizi e delle prestazioni sanitarie nonché di soddisfacimento della domanda sanitaria da parte dell'utenza;
   con riferimento al rapporto tra numero dei posti letto (per acuti ordinari) per numero di abitanti, l'articolo 15, comma 13, lettera c) della legge n. 135 del 2012 di conversione del decreto-legge n. 95 del 2012 (cosiddetto decreto Spending Review), statuisce che siano le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano ad adottare provvedimenti di riduzione dello standard dei posti letto ospedalieri accreditati ed effettivamente a carico del servizio sanitario regionale, ad un livello non superiore a 3,7 posti letto per mille abitanti, comprensivi di 0,7 posti letto per mille abitanti per la riabilitazione e la lungodegenza post-acuzie;
   relativamente all'ASL Roma G nel suo complesso, come risulta dal rapporto annuale SIES (Sistema informativo emergenza sanitaria) del 2013 il rapporto posti letto/abitanti è pari a 0,98 per mille residenti a fronte di uno standard regionale che è pari a 2,97 per mille residenti. Emerge da questi dati che il numero dei posti letto nell'ambito dell'ASL Roma G, la più estesa della regione Lazio, interessando una popolazione di circa cinquecento mila abitanti, è notevolmente al di sotto dello standard definito dalla legge sopra richiamata. Per quanto riguarda l'ASL Roma F anch'essa dispone di un rapporto posti letto/abitanti che oltre ad essere decisamente inferiore allo standard nazionale, è ancora più basso di quello dell'ASL Roma G. Entrambe le aziende sanitarie succitate complessivamente hanno a disposizione un numero di posti letto inferiore a settecento a fronte degli oltre duemila di cui dovrebbero disporre secondo gli standard regionali di riferimento;
   il rapporto posti letto per numero di abitanti se da un lato è notevolmente al di sotto dello standard individuato dalle legge 135 del 2012, soprattutto nei territori della provincia di Roma; dall'altro, specie con riferimento ad alcune aziende ospedaliere di Roma, tale rapporto è di molto superiore al livello stabilito in 3,7 posti letto per mille abitanti. Ci sono infatti alcune aziende ospedaliere della città di Roma che hanno un rapporto che oscilla tra i 4,5 e i 6 posti letto per mille abitanti;
   il Ministro interrogato partecipando ad un convegno «Ripensare un nuovo modello di sanità nella Valle dell'Aniene valorizzando le risorse attuali e creare nuove prospettive» avutosi il 4 maggio 2014 a Jenne, piccolo comune della Valle dell'Aniene in provincia di Roma, ha rilevato come sia necessario intervenire di concerto con la regione Lazio al fine di rivedere il decreto del commissario ad Acta 80 del 2010 per assicurare relativamente all'ospedale di Subiaco la rete dell'emergenza – urgenza con un pronto soccorso supportato dai posti letto di degenza di chirurgia, medicina e ortopedia. Dello stesso tenore sono state le osservazioni del presidente della regione Lazio, Zingaretti che ha sottolineato la necessità di superare il decreto del commissario ad Acta 80 al fine di garantire alle strutture ospedaliere di Bracciano, Monterotondo e Subiaco le funzioni vitali come il pronto soccorso –:
   se il Ministro non ritenga opportuno promuovere un tavolo tecnico di confronto con la regione Lazio coinvolgendo le autonomie locali interessate al fine di definire insieme una soluzione che, pur nel rispetto dei principi di razionalizzazione ed efficienza dei servizi sanitari, tenga conto della necessità di garantire per i tre nosocomi, di cui in premessa, l'offerta di servizi sanitari di emergenza e urgenza dotati di un numero congruo di posti letto e di aree e reparti ospedalieri in grado di soddisfare in modo adeguato e sicuro l'offerta dell'emergenza e dell'urgenza ripensando il modello sanitario previsto con il decreto del commissario ad Acta 80 del 2010, tenendo conto che le strutture che insistono in aree complesse e disagiate non possono essere carenti di servizi, quali ad esempio quelli relativi alla permanenza di un pronto soccorso con una dotazione di posti letto e prestazioni sanitarie adeguati, necessari a garantire la sicurezza dei cittadini e la piena attuazione del diritto costituzionale alla salute. (4-05281)

  Risposta. — In merito all'interrogazione parlamentare in esame, la prefettura-ufficio territoriale del governo di Roma ha provveduto ad acquisire, presso la regione Lazio, le informazioni concernenti le strutture ospedaliere richiamate nell'atto ispettivo.
  A tal riguardo, risulta che, ai sensi del decreto del commissario
ad acta n. 412 del 2014, concernente la rettifica del DCA n. 368/2014 sull'attuazione dei programmi operativi 2013-2015, di cui al decreto del commissario ad acta n. 247/2014, e l'adozione del documento tecnico inerente alla riorganizzazione della rete ospedaliera a salvaguardia degli obiettivi strategici di rientro dai disavanzi sanitari della regione Lazio, nonché in esito ai conseguenti atti aziendali dell'Asl RM/G e dell'Asl RM/F, è previsto quanto segue.
  Per quanto riguarda il presidio ospedaliero di Subiaco (ASL RM/G), esso viene configurato come presidio ospedaliero in una zona particolarmente disagiata.
  La struttura di Monterotondo (ASL RM/G), viene configurata come ospedale sede di pronto soccorso.
  La risposta alle emergenze è assicurata, nelle 24 ore, dai medici del dipartimento emergenza e accettazione (DEA) di Io livello di Tivoli, con la presenza, nelle 24 ore, di un mezzo di soccorso medicalizzato nel relativo bacino territoriale.
  Inoltre, vengono resi disponibili un laboratorio di analisi per le emergenze, un servizio di teleconsulenza per la radiologia ed è attrezzata una elisuperficie.
  L'operatività delle attività di ricovero viene assicurata da posti letto ordinari ed in
day surgery, organizzati in una area comune medico-chirurgica: ad essi si aggiungono posti letto in lungodegenza.
  La struttura ospedaliera di Bracciano (ASL RM/F), in coerenza con la disciplina normativa riguardante i presidi ospedalieri in zone particolarmente disagiate, viene riconfigurata nel seguente modo:
   risposta all'emergenza assicurata entro le 24 ore dai medici del DEA di 1o livello di Civitavecchia;
   presenza nelle 24 ore, nel bacino territoriale, di un mezzo di soccorso medicalizzato, di un laboratorio di analisi per l'emergenza, di un servizio di teleconsulenza per la radiologia, nonché di una elisuperficie attrezzata.

  L'attività di ricovero, per garantirne una sua efficiente operatività, viene assicurata da trenta posti letto ordinari e da dieci posti letto in day surgery, organizzati in una area comune medico-chirurgica.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   TOFALO, SIBILIA, COZZOLINO, DE LORENZIS, SILVIA GIORDANO, COLONNESE e BRUGNEROTTO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   a Genova proprio in questi giorni la pioggia incessante ha prodotto risultati ben peggiori dall'ultima alluvione del 2011;
   dal 2011, quattro dirigenti del comune di Genova hanno regolarmente percepito delle retribuzioni per i risultati raggiunti. Obiettivi come la mitigazione del rischio degli edifici ubicati nelle aree di maggior rischio idrogeologico, monitoraggio del territorio, appalti idro, drenaggio urbano, schermatura del torrente Bisagno, l'intervento di adeguamenti idraulici;
   proprio con le piogge di inizio settembre, in Campania, si sono avvertiti i maggiori disagi che si stanno verificando nel salernitano e nell'avellinese dalle quali sono diverse le chiamate ai vigili del fuoco;
   nel salernitano, questi sono dovuti intervenire per aiutare due donne che erano rimaste intrappolate nella propria automobile nei pressi di un sottopassaggio completamente allagato;
   nell'avellinese si sono verificati straripamenti ed esondazioni di torrenti i quali hanno allagato i centri abitati e le zone rurali. Anche qui ci sono state numerose squadre di vigili del fuoco;
   sono anni che i vigili del fuoco lamentano carenze di organico e di strutture;
   con il peggiorare del clima e delle precipitazioni inevitabilmente aumenta il rischio idrogeologico. Nella fattispecie chiesi al Ministro dell'interno, con formale interrogazione a risposta scritta numero 4-03442, mercoledì 5 febbraio 2014, i motivi dello stato di abbandono di strutture adibite per la locazione dei vigili del fuoco a Sarno, già colpita dalla frana del maggio 1998;
   si segnala che le cause maggiori si devono alle mancate misure attuative del piano di protezione del rischio idrogeologico, o addirittura alla completa assenza dello stesso –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti;
   quali misure urgenti i Ministri vogliano adottare nei limiti di competenza per l'attuazione dei piani di prevenzione del rischio idrogeologico. (4-06694)

  Risposta. — Le alluvioni e le inondazioni che nello scorso autunno hanno colpito molte regioni del Paese hanno lasciato ferite profonde nel territorio e nella popolazione, riportando alla ribalta la questione, mai risolta, delle fragilità del nostro Paese dal punto di vista idrogeologico.
  È per questo che il Governo ha predisposto un piano nazionale di intervento per avviare quei cantieri colpevolmente mai partiti e per lavorare sotto il profilo della prevenzione, operando in maniera più stringente con le istituzioni regionali e locali.
  Il piano nazionale 2014-2020 per la messa in sicurezza del territorio prevede complessivamente un impegno da 9 miliardi di euro in sette anni: 5 dei quali provenienti dai fondi di sviluppo e coesione, 2 dal cofinanziamento delle regioni o dai fondi europei a disposizione delle regioni stesse e 2 recuperati dai fondi a disposizione per le opere di messa in sicurezza e non spesi fino ad ora.
  Di questo grande Piano nazionale, il primo stralcio è costituito da un piano stralcio per la messa in sicurezza delle città metropolitane e delle aree urbane con alto livello di popolazione esposta a rischio.
  Nel corso dell'anno il Ministero ha lavorato intensamente per poter varare quanto prima il piano stralcio; in particolare, con uno specifico decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 25 maggio 2015 sono stati individuati i criteri per selezionare gli interventi prioritari da ammettere a finanziamento e con delibera del CIPE sono state assegnate le risorse necessarie per l'avvio del piano.
  Il predetto piano stralcio ha un valore complessivo di circa 1,25 miliardi di euro. Con delibera del Cipe n. 32 del 2015 al fine di assicurare l'avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico e tempestivamente cantierabili, caratterizzati da un livello prioritario di rischio e ricadenti nell'ambito delle aree metropolitane e urbane, è stato assegnato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare l'importo di 450 milioni di euro a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione afferenti alla programmazione 2014-2020. La delibera ha altresì individuato risorse disponibili a legislazione vigente pari a euro 150.000.000, destinate agli interventi nelle medesime aree metropolitane e urbane, di cui euro 40.000.000 costituite da risorse del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, avvalere sulle disponibilità recate dall'articolo 1, comma 111, della citata legge n. 147 del 2013, e la restante quota di euro 110.000.000 a carico delle risorse del Fondo sviluppo e coesione 2007-2013 di cui all'articolo 7, comma 8, del decreto-legge n. 133 del 2014.
  Il 30 aprile 2015 il Ministero e la struttura di missione hanno comunicato alle regioni l'avvio delle attività necessarie alla predisposizione del piano ed attualmente, dopo una fase istruttoria svolta congiuntamente dal Ministero e dalla struttura di missione sulla base del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che ha portato atta richiesta di informazioni aggiuntive da inserire nella banca dati ReNDiS (repertorio nazionale difesa del Suolo), si sta provvedendo con ISPRA e la struttura di missione all'esame dell'ulteriore documentazione inserita nel sistema. Verrà, quindi, formulata la graduatoria definitiva che sarà formalizzata con uno specifico decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
  Successivamente, si sottoscriveranno i relativi accordi di programma, ai sensi dell'articolo 10, comma 11, del decreto-legge n. 91 del 2004.
  Tanto premesso, per quanto riguarda le presunte carenze d'organico dei Vigili del fuoco lamentate nelle premesse dell'interrogazione, il competente Ministero dell'interno ha rappresentato, in merito all'argomento specifico, che il decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito con la legge 11 agosto 2014, n. 214, ha autorizzato l'assunzione di 1.000 unità di personale operativo nel Corpo nazionale dei Vigili del fuoco.
  In applicazione di tale previsione normativa, il 29 dicembre dello scorso anno 2014 si è provveduto alla assunzione di 614 vigili del fuoco (400 in base al decreto-legge 90 del 2014 e 214 derivanti dal
turn-over 2013) attingendo, in parti uguali, alle graduatorie della procedura di stabilizzazione del personale volontario del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco e del concorso pubblico per esami a 814 posti di Vigile del fuoco.
  I restanti 600 vigili del fuoco, di cui al decreto-legge n. 90 del 2014, è previsto vengano assunti nel corso del 2015, a partire dal mese di settembre 2015.
  Ciò comporterà, ha sottolineato il dicastero dell'interno, innegabili benefici su tutto il territorio nazionale e, quindi, anche nelle zone particolarmente colpite negli ultimi tempi dalle avverse condizioni climatiche, come quelle richiamate dagli interroganti.
  Per quanto attiene alle strutture, è stato precisato che gli edifici utilizzati sul territorio dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco sono in totale 686, di cui 311 sono di proprietà del demanio e concessi in uso governativo, mentre i restanti 375, di proprietà sia di enti pubblici che di soggetti privati, sono detenuti in locazione passiva.
  Al riguardo, è stato evidenziato che negli ultimi anni, i numerosi tagli della spesa pubblica hanno reso insufficiente le somme stanziate per la manutenzione ordinaria e straordinaria delle predette sedi.
  Nell'ambito di tale scenario, dall'anno 2013, in applicazione della
spending review, da parte del dipartimento dei vigili del fuoco è in atto una politica volta all'abbattimento dei costi di locazione attraverso la realizzazione di nuove sedi e la ricerca di immobili demaniali disponibili.
  Al riguardo, è stato precisato che in taluni casi il demanio militare ha reso disponibili comprensori di ex caserme dell'esercito, che necessitano, tuttavia, per essere utilizzabili come sedi, di importanti lavori di adeguamento e di ristrutturazione.
  Per quanto riguarda, invece, la realizzazione delle nuove sedi, è stato riferito che a tal fine è in atto una richiesta di fondi europei.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   VARGIU. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   i commi 3 e 5 dell'articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104 «Legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate» sanciscono il principio dell'assistenza al parente o affine portatore di handicap e pongono quale condizione per il godimento del diritto da esse previsto, oltre allo stato di handicappato del parente o affine da assistere, anche la continuità e l'adeguatezza dell'assistenza stessa;
   la legge n. 104 del 1992 rappresenta dunque un'importante conquista sociale che ribadisce il ruolo della famiglia non soltanto certificando il diritto dei consanguinei stretti ad essere esentati da una piccola parte dei propri obblighi lavorativi per poter prestare assistenza integrativa al proprio congiunto, ma anche sottolineando il profondo significato sociale e l'insostituibile ruolo del nucleo familiare nel fiancheggiamento morale e materiale della persona sofferente;
   le garanzie sociali della legge n. 104 del 1992 non intervengono dunque soltanto per permettere e supportare la solidarietà tra familiari, ma indicano con chiarezza la scelta di riconoscere nella famiglia il nucleo fondante della convivenza civile;
   l'istituzione statale ha pertanto l'interesse di tutelare il pieno godimento dei diritti discendenti dall'applicazione di tale legge, in quanto essi concorrono a garantire i livelli qualitativi di assistenza sanitaria e sociale alla persona portatrice di handicap e a tutelare il valore fondante della famiglia;
   appare del tutto fisiologico che anche l'amministrazione militare dello Stato si riconosca nei valori tutelati dalla legge n. 104 del 1992 e lavori per il pieno godimento dei diritti previsti per il personale dipendente;
   la stessa giurisprudenza ha puntualizzato negli anni il perimetro di godimento dei diritti del personale militare certificando, in data 6 luglio 2009, con sentenza del Consiglio di Stato n. 4324, che: «Va considerato viziato il provvedimento di diniego di trasferimento del militare per l'assistenza ad un congiunto disabile, ex articolo 33 della legge n. 104 del 1992, qualora l'Amministrazione avendo individuato altri parenti ed affini idonei a prestare assistenza al disabile in luogo del militare, ne abbia valutato in astratto la possibilità di assistenza, senza analizzare la situazione concreta, di fatto impeditiva della richiesta assistenza (Sezione IV, sentenza n. 4324 del 06 luglio 2009 a conferma della sentenza del T.A.R. Puglia n. 1518/2007);
   la grave crisi economica endemica in Sardegna, ma anche l'attaccamento ai valori patri e ai sentimenti dell'unità nazionale, nel tempo hanno indirizzato un notevole numero di giovani sardi verso la carriera militare, comportando per molti di loro la necessità di esercitare la propria attività fuori dai confini dell'isola;
   tale situazione di distacco dal proprio contesto esistenziale è vissuta spesso con sofferenza dai militari provenienti dalla Sardegna che sono peraltro consapevoli come il loro numero, di gran lunga superiore rispetto alle esigenze di impiego nell'isola, comporta sovente lunghe permanenze professionali lontano dai propri luoghi di origine;
   tale condizione, assolutamente accettabile in situazioni ordinarie, diventa però sicuramente assai più dolorosa e pesante quando intervengano problematiche del nucleo familiare di origine che rendano indispensabile il riavvicinamento;
   tale situazione è peraltro tra quelle esplicitamente tutelate dalla legge n. 104 del 1992 di cui sopra;
   in particolare, il 14 marzo 2014, il caporal maggiore scelto Emiliano Giglio, effettivo al 3O reggimento alpini Pinerolo (TO) presentava istanza ai sensi del succitato articolo 33, per poter usufruire dei benefici di legge ed assistere il sessantottenne genitore invalido al 100 per cento affetto da adenocarcinoma alla prostata e sottoposto al trattamento di radioterapia;
   il padre del caporal Giglio, residente in Pimentel (CA), le cui aggravate condizioni di salute venivano supportate da elementi probatori, convive con la moglie che non è in grado di prestare un'adeguata assistenza continuativa;
   il 23 maggio 2014 lo Stato Maggiore dell'Esercito manifestava la propria determinazione ostativa all'istanza, motivando il proprio diniego con lo specifico incarico di missilista del caporal Giglio che non avrebbe trovato una collocazione organica nell'ambito degli enti dislocati nelle sedi sarde;
   il caporal Giglio, nelle proprie controdeduzioni, dava allora la propria totale disponibilità a essere assegnato in qualunque reparto della regione Sardegna e ad accettare anche un secondo incarico, oltre a quello di missilista;
   il caso del caporal Giglio sembra rappresentare in modo davvero paradigmatico la situazione di «diritto negato» nella quale spesso sembrano trovarsi i militari sardi, in relazione all'annoso problema dell'applicazione della legge n. 104 del 1992 –:
   se risulti una situazione di particolare disagio per i militari sardi che, più di altri, troverebbero difficoltà a vedere garantiti i propri diritti di assistenza nei confronti di familiari che rientrano nelle necessità assistenziali previste dalla legge n. 104 del 1992;
   come intenda intervenire nel caso specifico del caporale Emiliano Giglio e in tutti i casi analoghi per risolvere in modo univoco e definitivo le svariate problematiche legate alla valutazione del diniego da parte dell'amministrazione militare dei benefici previsti dalla legge n. 104 del 1992 ed, in particolar modo, rispetto alle agevolazioni previste con riguardo alla possibilità di ottenere uno spostamento della sede di lavoro. (4-05082)

  Risposta. — Con riferimento a quanto appreso al caso in esame, si osserva che l'amministrazione militare non ha potuto assecondare la richiesta del militare citato nell'atto in quanto non sussiste la possibilità di un'utile collocazione organica dell'interessato presso le sedi indicate. Infatti le posizioni organiche previste presso i reparti della Forza armata nell'incarico di «missilista» (profilo professionale per il quale l'amministrazione ha investito ingenti risorse per la formazione e l'addestramento del militare) risultano tutte già ripianate.
  La Forza armata sarà pronta a rivedere la propria posizione nel senso indicato dall'interrogante qualora si verifichi, nell'area di interesse personale del militare in parola, la necessità di ripianare una posizione organica rispondente alle caratteristiche sopra descritte.
  In linea generale, le disposizioni d'impiego a seguito di istanze di trasferimento avanzate
ex lege n. 104 del 1992 e decreto legislativo n. 267 del 2000, di assegnazioni presso altri dicasteri e/o per ricongiungimento familiare, sono decretate dalle Forze armate di appartenenza e sono valutate con la massima attenzione per addivenire ad una definizione favorevole che consenta di impiegare il personale in posizione organica coerente con il proprio profilo professionale, nell'area geografica di provenienza o desiderata.
  La
policy d'impiego deve ovviamente tener conto dell'esigenze di funzionamento dell'organizzazione e deve garantire allo strumento militare di rispondere ai propri compiti istituzionali, anche in ossequio al detto principio di specificità.
  Pertanto, la disponibilità di un posto, corrispondente alla qualifica e al profilo professionale posseduto, nella pianta organica della sede in cui il dipendente desidera essere assegnato, costituisce da un punto di vista giuridico-normativo condizione imprescindibile per il favorevole accoglimento dell'istanza.

La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   VARGIU. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la presidente della giunta regione Lazio in qualità di commissario ad acta, in data 23 marzo 2010, emanava il decreto commissariale n. 56 recante oggetto «Rete dell'Assistenza perinatale», con cui si stabilivano nuovi criteri per la riorganizzazione regionale dei punti nascita;
   tale provvedimento stabilisce, tra l'altro, che un punto nascita con un numero di parti inferiore a 500/anno deve essere accorpato con l'ospedale geograficamente vicino, in un'ottica di assistenza qualificata e sostenibile;
   l'accordo raggiunto alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano del 16 dicembre 2010 («Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e della appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo») detta le nuove regole e fissa i principi per l'accorpamento e la riduzione dei punti nascita;
   tale accordo raccomanda, tra l'altro: «(...) di adottare stringenti criteri per la riorganizzazione della rete assistenziale fissando il numero di almeno 1000 nascite/anno quale parametro standard a cui tendere, nel triennio, per il mantenimento/attivazione dei punti nascita (...) e che gli stessi punti nascita, con un numero di parti inferiori a 500 e privi di una copertura di guardia medico-ostetrica, anestesiologica e medico-pediatrica attiva h 24 vanno chiusi entro il 2011»;
   la relazione sui punti nascita della Camera dei deputati del 20 dicembre 2011 rileva che nei punti nascita con oltre 1000 parti/anno il numero medio dei parti/mese assistiti da ogni medico in organico (9,3) è il doppio rispetto a quelli assistiti da medici che operano in punti nascita con meno di 500 parti/anno (4,7) ad indicare la maggiore sostenibilità e qualità assistenziale – in termini di esperienza professionale – dei punti nascita con un numero maggiore di 1000 parti anno;
   l'articolo 15, comma 13, lettera c) del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135 riduce lo standard di posti letto ospedalieri accreditati e a carico del servizio sanitario regionale ad un livello non superiore a 3,7 posti letto per 1000 abitanti e stabilisce inoltre che, nell'ambito di tale processo di riduzione, le regioni e le province autonome, operino una verifica – sotto il profilo assistenziale e gestionale – della funzionalità delle piccole strutture ospedaliere pubbliche;
   il documento di revisione della rete perinatale nel Lazio – determinazione n. 2166 del 16 aprile 2012 riscontra alcune criticità assistenziali e ritardi nell'implementazione degli interventi programmati dal DCA n. 56/2010 e raccomanda l'assessore alla sanità regionale di avviare entro 24 mesi (cioè entro l'aprile 2014) una riduzione progressiva dei punti nascita con numero di parti inferiore a 1000/annuo;
   tra gli accorpamenti raccomandati nelle quattro macroaree della regione Lazio, vi è anche quello relativo alla unità operativa di ostetricia dell'ospedale civile di Tarquinia – polo di Viterbo a quella del vicino ospedale San Paolo di Civitavecchia – azienda sanitaria locale Roma F, DEA di I° livello;
   in funzione del futuro accorpamento con il punto nascita del nosocomio di Tarquinia, l'amministrazione dell'ospedale San Paolo di Civitavecchia, nel 2010, ampliava ed implementava gli spazi dedicati all'assistenza del neonato, acquistando due ventilatori per la rianimazione neonatale ed un'isola neonatale per un importo totale di oltre 80 mila euro;
   secondo le statistiche, i nati registrati negli ultimi tre anni all'ospedale civile di Tarquinia sono sostanzialmente sovrapponibili ai nati nell'ospedale di Civitavecchia: 358 contro i 443 nel 2011, 443 contro i 358 nel 2012 e 314 contro i 297 nel 2013;
   nonostante alcune resistenze della politica locale, i programmi operativi sanitari della regione Lazio 2013-2015 prevedono che l'unità operativa di ostetricia di Tarquinia dovrebbe essere chiusa entro il 31 gennaio 2015 attraverso un decreto del presidente della giunta regionale Nicola Zingaretti in qualità di commissario ad acta;
   il 14 ottobre 2014 il direttore generale dell'ospedale San Paolo di Civitavecchia presentava il «Piano strategico e l'Atto aziendale della Asl Roma F» che declassa la pediatria dello stesso nosocomio da unità operativa complessa a unità semplice dipartimentale, con la conseguente prevedibile soppressione dei posti letto per ricoveri e degenze ordinari e per gli accessi di day hospital nella struttura di Civitavecchia;
   il suddetto atto aziendale (bocciato in sede di conferenza dei sindaci e rinviato alte prossima conferenza indetta per il 4 novembre), qualora approvato, determinerebbe un drastico ridimensionamento delle capacità operative del nosocomio di Civitavecchia con il conseguente convogliamento della funzione di pediatria verso l'ospedale pediatrico Bambino Gesù di Palidoro (comune di Fiumicino in provincia di Roma) e verso l'ospedale Belcolle di Viterbo;
   il reparto di pediatria dell'ospedale di Civitavecchia dispone attualmente di 5 posti letto per degenza ordinaria ed un posto in day hospital. Per volume di ricoveri (333 accessi registrati nel 2013 con il 98 per cento di occupazione, 1626 visite al pronto soccorso con l'1 per cento di codici rossi ed il 20 per cento di trasferimenti ad altri centri per il proseguimento delle cure) e per tipologia di patologie trattate (itteri neonatali, disidratazione, ingestione di sostanze tossiche, convulsioni, dispnee, eccetera) esso è in grado di colmare le carenze assistenziali dell'emergenza-urgenza del territorio limitrofo comprendente i comuni di Santa Marinella, Bracciano, Tolfa, Allumiere, Ladispoli e Cerveteri;
   la presenza a Civitavecchia del «Porto di Roma» dove attraccano ogni anno circa mille navi da crociera, in passato ha spesso determinato la necessità di ricoverare e trattare alcuni bambini sbarcati ed affetti da malattie infettive per i quali si è posta poi la necessità di un trasferimento all'ospedale Lazzaro Spallanzani di Roma –:
   quali iniziative intenda intraprendere, anche per il tramite del Commissario ad acta e nel rispetto dell'accordo Stato-regioni del 16 dicembre 2010, per garantire che il previsto accorpamento del punto nascita dell'ospedale civile di Tarquinia con quello dell'ospedale San Paolo di Civitavecchia avvenga nel tempo più rapido possibile, in osservanza della normativa nazionale di riferimento richiamata in narrativa, nonché in un'ottica di assistenza qualificata e sostenibile;
   quali azioni di vigilanza intenda intraprendere, nell'ambito della propria competenza e nel rispetto dei vincoli dati dalla programmazione sanitaria regionale, per evitare che il drastico ridimensionamento delle capacità operative della pediatria dell'ospedale San Paolo di Civitavecchia non comporti una significativa riduzione della qualità dell'offerta di prestazioni nell'area litorale dell'alto Lazio. (4-06697)

  Risposta. — In merito all'interrogazione parlamentare in esame, la prefettura ufficio territoriale del governo di Roma ha provveduto ad acquisire, presso la regione Lazio, le informazioni concernenti il presidio ospedaliero di Tarquinia (Viterbo) e l'ospedale «San Paolo» di Civitavecchia (Roma).
  A tal riguardo, risulta che, ai sensi del decreto del commissario
ad acta n. 412 del 2014, concernente la rettifica del decreto del commissario ad acta n. 368/2014 sull'attuazione dei programmi operativi 2013-2015, di cui al decreto del commissario ad acta n. 247/2014, e l'adozione del documento tecnico inerente alla riorganizzazione della rete ospedaliera a salvaguardia degli obiettivi strategici di rientro dai disavanzi sanitari della regione Lazio, nonché in esito ai conseguenti atti aziendali, è previsto quanto segue.
  Per quanto riguarda il presidio ospedaliero di Tarquinia, entro il 30 giugno 2015 viene disposta la chiusura dell'unità ostetrica/neonatologica e la contestuale qualificazione di quella di Civitavecchia.
  Nel presidio ospedaliero di Tarquinia viene mantenuta l'attività ostetrica, nell'ambito di casa di maternità intraospedaliera (decreto del Commissario
ad acta n. 29/2011).
  Nell'ospedale «San Paolo» di Civitavecchia è previsto un aumento di posti letto nell'area funzionale materno infantile pediatrica, con un incremento di 8 posti letto (dagli attuali 13 a 21), così ripartiti:
   16 posti letto in ostetricia;
   3 posti letto in pediatria;
   2 posti letto in neonatologia.

La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   VARGIU. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la trasparenza, l'imparzialità e la meritocrazia rappresentano i criteri ai quali la pubblica amministrazione e la sanità pubblica dovrebbero ispirare il proprio servizio alla collettività per garantire livelli di prestazioni appropriate e di qualità, nonché condizioni di lavoro motivanti e gratificanti per il personale;
   ciononostante, le dinamiche che talora ispirano le attribuzioni di incarichi di responsabilità nella pubblica amministrazione, ivi comprese le aziende sanitarie e le strutture ospedaliere, sono ancora riconducibili a vecchi schemi del passato, ove prevalgono anacronistiche e antieconomiche modalità di conferimento di incarichi del tutto discrezionali che non premiano principalmente il merito;
   appare dunque sempre più evidente la necessità di una profonda rivoluzione culturale che dia piena centralità all'impegno e alle capacita individuali, premiando innanzitutto il merito nelle progressioni di carriera con particolare riguardo ai professionisti sanitari e a tutte le attribuzioni di incarichi di responsabilità nelle aziende sanitarie e nelle strutture ospedaliere;
   in tale senso, sembrerebbe emblematico il caso della dottoressa E.S., già dirigente medico di struttura semplice dal 2012 al 2014 presso l'ospedale di San Marcello Pistoiese (Azienda Usl 3 Pistoia) e attualmente senza la titolarità di nessun incarico professionale, alla quale – risulta all'interrogante – sarebbe stata, per due volte consecutive, preferita la candidatura di altri dirigenti medici più giovani e di minor esperienza professionale, relativamente all'attribuzione dell'incarico di sostituzione di responsabile facente funzione di struttura complessa U.O. Direzione Sanitaria Ospedaliera di Pistoia, ai sensi dell'articolo 18 del CCNL 8 giugno 2000, area dirigenza Medico-Veterinaria –:
   quali iniziative normative il Governo – per quanto di propria competenza e fermo restando le attribuzioni esclusive delle regioni in materia sanitaria esercitate tramite le asl – valuti necessarie affinché i criteri di trasparenza, imparzialità e meritocrazia costituiscano l'unico parametro di riferimento nella gestione della sanità pubblica e della P.A., anche rispetto alle progressioni in carriera dei professionisti sanitari nelle aziende sanitarie e nelle strutture ospedaliere e affinché ciò possa contribuire a garantire livelli di prestazioni sanitarie sostenibili, appropriate e di qualità, nonché condizioni di lavoro motivanti e gratificanti per il personale.
(4-07693)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione parlamentare in esame, a seguito di delega della Presidenza del Consiglio dei ministri.
  L'articolo 18 del Contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) 8 giugno 2000, Area della dirigenza medico-veterinaria, come modificato ed integrato dall'articolo 11 del CCNL del 3 novembre 2005, disciplina le sostituzioni dei dirigenti medici e veterinari, allo scopo di assicurare la continuità nei compiti organizzativi ed assistenziali dei servizi sanitari.
  Pertanto, è previsto che: «Nei casi di assenza per ferie o malattia o altro impedimento da parte di un dirigente con incarico di direzione di struttura complessa, la sostituzione è affidata dall'azienda, con apposito atto, ad altro dirigente della struttura medesima indicato entro il 31 gennaio di ciascun anno dal responsabile della struttura complessa» sulla base dei criteri ivi previsti.
  Viene altresì disposto che: «Nel caso che l'assenza sia determinata dalla cessazione del rapporto di lavoro del dirigente interessato, la sostituzione è consentita per il tempo strettamente necessario ad espletare le procedure di cui ai decreti del Presidente della Repubblica n. 483 e n. 484/1997 [...]. In tal caso può durare sei mesi, prorogabili fino a dodici».
  Inoltre, nei casi in cui le aziende non possono fare ricorso alla sostituzione interna sopra descritta, la normativa prevede che la struttura temporaneamente priva di titolare possa essere affidata
ad interim ad altro dirigente con corrispondente incarico, senza ulteriori o diverse possibilità di sostituzione.
  Pertanto, le disposizioni contrattuali richiamate già fissano criteri di scelta e procedure finalizzate ad impedire che il conferimento degli incarichi si basi su logiche puramente discrezionali.
  Per completezza, si rammenta che l'articolo 4 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, recante disposizioni in materia di dirigenza sanitaria e governo clinico, ha modificato ed integrato l'articolo 15 del decreto legislativo n. 502 del 1992, al fine di introdurre meccanismi di selezione oggettiva del personale sanitario apicale e di privilegiare il merito e la trasparenza.
  In particolare, il citato articolo 4 ha introdotto rilevanti novità in ordine ai criteri ed alle procedure selettive per il conferimento di incarichi di struttura complessa, confermando la selezione pubblica quale strumento preordinato all'attribuzione degli incarichi.
  Da ultimo, concludo fornendo rassicurazioni circa ulteriori iniziative introdotte nel disegno di legge di riforma della pubblica amministrazione, attualmente all'esame del Parlamento.

La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   ZACCAGNINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la legge attuale in materia della donazione del sangue da cordone ombelicale in vigore è il decreto ministeriale del 18 novembre 2009, modificato in data 22 aprile 2014. Il tema di cui si tratta in tale atto riguarda soprattutto la promozione della donazione del sangue da cordone ombelicale;
   in tema di donazione del cordone ombelicale è bene precisare alcuni dati: secondo la Croce rossa i bambini sotto i 18 anni (16 con il consenso dei genitori negli Stati Uniti) non possono donare il sangue. Le donazioni di sangue generalmente non superano 0,5 litri, l'equivalente di un decimo (1/10) della media del volume di sangue di un adulto. I donatori di sangue devono avere un peso minimo di 50 chilogrammi. Eppure, in tutto il mondo, in quasi ogni singola struttura sanitaria in cui nascono i bambini, ai neonati (che di solito pesano tra i 2 e i 5 chilogrammi) viene negato fino ad un terzo (1/3) del loro volume di sangue. È stato stimato che, nel momento della nascita, il volume del sangue dei neonati è di 78 ml/kg (x 3,5 kg = 275 ml circa) con il valore di ematocrito venoso di 48 per cento;
   quando il clampaggio del cordone ombelicale è ritardato di 5 minuti il volume del sangue cresce del 61 per cento raggiungendo 126 ml/kg (x 3,5 kg = 440 ml circa). Questa trasfusione placentare raggiunge il valore finale di circa 1-60 ml (440 ml – 275 ml) per un bambino di circa 3,500 grammi, appare «matematico» che i circa 160 ml sono patrimonio ematico del neonato e non della placenta;
   un quarto (1/4) di trasfusione avviene nei primi 15 secondi e metà entro i 60 secondi dalla nascita;
   un nutrito numero di indagini scientifiche (pubblicate da riviste scientifiche autorevoli quali BMJ, The Cochrane Library, Journal of Cellular and Molecular Medicine, The Lancet ecc.) indica che con il solo fatto di ritardare il clampaggio e il taglio del cordone ombelicale ai neonati, i nostri bambini avrebbero una nascita meno traumatica, avrebbero un normale e fisiologico adattamento alla vita extrauterina, soffrirebbero di meno emorragie endocraniche, avrebbero maggiori riserve di ferro all'età di 4 mesi e fino a 6 e 8 mesi dalla nascita;
   le sostanze nutritive, l'ossigeno e le cellule staminali presenti nel sangue trasfuso dalla placenta nei neonati, quando vi è il ritardo del taglio del cordone, assicurano che i tessuti e gli organi del corpo siano adeguatamente vitalizzati, nutriti e che gli sia fornita abbastanza energia. Questo si traduce nella migliore salute, aumentata immunità, più intelligenza e, presumibilmente, un potenziale accresciuto di longevità Inoltre, non tagliando il cordone ombelicale alla nascita, il neonato può stare a stretto contatto pelle a pelle con la madre. Questo elimina o riduce enormemente un potenziale trauma dovuto alla nascita. Le ricerche hanno confermato che i bambini nati senza trauma godono di maggior capacità intatta di amore e di fiducia;
   l'autorevole Royal College of Obstetricians and Gynaecologists (RCOG) nel Regno Unito sottolinea che, al livello pratico, la raccolta del sangue cordonale può mettere a rischio la salute della madre e del bambino in situazioni di prematurità, giri di cordone ombelicale intorno al collo taglio cesareo, gravidanza multipla, compromettendo anche il contatto immediato madre-bambino. Questi rischi non sono menzionati nel disegno di legge in questione e nelle informazioni generalmente fornite ai genitori. Nessuna informazione sui tempi di clampaggio e taglio del cordone è fornita ai genitori, benché si tratti di un elemento fondamentale sia per la salute del neonato che per la raccolta del sangue per uso eterologo;
   uno studio italiano che ha monitorato la raccolta del sangue cordonale in Italia nel tempo di due anni indica nelle conclusioni: «Secondo la nostra esperienza una raccolta ottimale di SCO deve rispettare le seguenti caratteristiche: reclutare più primigravide, con epoca gestazionale al prelievo di SCO tra 37-40 settimane, con peso fetale superiore a 3.000 grammi, tempo di clampaggio del cordone ombelicale entro 30 secondi, raccolta di sangue cordonale con placenta inserita ancora in utero, e da preferire il parto spontaneo, di solito associato a lungo travaglio (aumento dello stress fetale)». In pratica, se il cordone non è clampato e tagliato entro 30 secondi, l'uso del sangue raccolto viene compromesso perché considerato non idoneo dalle banche del sangue da cordone ombelicale;
   numerose ricerche indicano che ritardando il clampaggio dell'ombelico i bambini: avrebbero una nascita meno traumatica avrebbero meno emorragie endocraniche guadagnerebbero maggiori riserve di ferro fino a 8 mesi godrebbero di una migliore salute avrebbero un'aumentata immunità svilupperebbero più intelligenza godrebbero di una potenziale maggior longevità. L'atto di tagliare e il cordone ombelicale è, di fatto, un atto invasivo ingiustificato dal momento che per motivi fisiologici e medico legali il parto non può definirsi concluso prima del secondamento e sebbene sembri una piccola operazione è nei fatti un atto enormemente invasivo e lesivo. La pratica del clampaggio, piuttosto recente, è una piccola operazione: ha ricevuto una spinta negli anni Sessanta quando si pensava che prevenisse l'ittero, ma in realtà si è scoperto che non vi è alcun legame. Un'ulteriore tesi a favore del clampaggio è quella per cui si pensa possa prevenire la policitemia o l'eccesso di emoglobina. Ma anche questo, secondo Ibu Robin Lim (ostetrica di fama internazionale), non giustifica la prevaricazione effettuata sugli inermi bambini alla nascita. In realtà se chiunque cercasse in internet su Pubmed nella stringa MeSH le parole «jaundice neonatal» e «brain injuries» su più di 11 milioni di articoli censiti troverebbe solo 3 articoli piuttosto generici, datati e non pertinenti sugli eventuali danni da iperbilirubinemia, al contrario la recente letteratura sembra concordare sul valore della bilirubina come potente antiossidante che ridurrebbe il rischio di infarto cardiaco, di mortalità per cancro, di danno da ossigeno nella retinopatia dei pretermine, di rigetto nei trapianti;
   un piccolo studio effettuato presso la casa del parto indonesiana di Bumi Sehat, in cui Ibu Robin Lim opera da oltre 20 anni, ha indicato che nei bimbi che hanno ritardato il clampaggio alla nascita non vi è stato incremento di valori riguardanti l'itterizia. Anzi, i piccoli che soffrono di anemia per il clampaggio immediato hanno meno energie per cercare nutrimento nella madre e sono più deboli. Inoltre, in tale casa del parto, dove non si taglia il cordone alla nascita, i neonati possono stare a stretto contatto pelle a pelle con la madre, e ciò elimina o riduce un potenziale trauma dovuto alla nascita. Secondo quanto riporta Ibu Robin, infatti, presso la casa di parto si aspettano come minimo 3 ore, e comunque non si interviene prima che ogni minima pulsazione sia terminata. Lo stesso Erasmus Darwin, padre di Charles Darwin, sosteneva nel 1801: «Per il bambino una cosa molto dannosa è quella di clampare e tagliare il cordone ombelicale troppo presto. Dovrebbe essere lasciato, non solo fino a che il neonato abbia ripetutamente respirato, ma fino a quando siano completamente cessate le pulsazioni. Altrimenti il bambino rimane molto più debole perché gli viene a mancare una parte di sangue che gli appartiene e che invece resta nella placenta». Ad affermazioni analoghe era giunto qualche secolo prima Aristotele. Nel 1995 l'Associazione americana di ginecologia ed ostetricia pubblicò una lettera in cui veniva molto raccomandato il taglio immediato del cordone ombelicale per studi che riguardano l'emogasanalisi (cioè analisi dei valori dei gas disciolti nel sangue). In seguito però il bollettino è stato ritirato, e l'autorevole associazione ha rivisto le raccomandazioni;
   inoltre vi è da sottolineare che le cellule staminali sono preziose, il sangue ha valore. Benché non vi siano dati pubblici sull'aspetto commerciale delle sacche di sangue cordonale, le stesse in pratica hanno un valore nominale e una transazione economica vi è implicita;
   a molti genitori viene chiesto di donare il sangue neonatale dei loro bambini per la scienza o per aiutare gli altri, ma non ci si sofferma su un dato fondamentale: le persone adulte possono donare solo il 10 per cento del loro sangue, mentre con la pratica del clampaggio e del taglio precoce del cordone i medici prelevano fino al 33 per cento del sangue del neonato senza consenso del diretto interessato;
   le cellule staminali del cordone del bambino sono prodotti nella sua placenta e dopo il parto, fino all'espulsione della placenta migrano dalla placenta (che è parte integrale del bambino fintanto che sta in utero) nel corpo del bambino, per dargli tutte le riserve di cui ha bisogno per crescere e svilupparsi. Si parla di autotrasfusione originaria o trapianto autologa. Il trapianto autologo di cellule staminali è tipico dei mammiferi;
   ecco cosa dice la ricerca: in un recente articolo di Verena Schmid, pubblicato in «Nascita e vita consapevole» si precisa come: il ritardo nel taglio del cordone permette una terapia innata di cellule staminali che può essere di grande aiuto nel caso di malattie neonatali, e anche di malattie successive nell'età più avanzata. Il dottor Sanberg e i suoi colleghi concludono che il taglio ritardato del cordone può ridurre i rischi per il bambino di incorrere in tante malattie quali il distress respiratorio, malattie croniche dei polmoni, emorragia cerebrale, anemia, malattie infiammatorie e sepsi, malattie degli occhi. (Sanberg 2010, Journal of Cellular and Molecular Medicine). Sembra che le cellule staminali abbiano anche un effetto sulla riparazione delle cellule nervose e possano riparare danni cerebrali subiti nella nascita. Lasciare il cordone intatto, senza amputarlo, senza clamparlo e senza tagliarlo prima di essere certi che il tuo/a bambino/a abbia ricevuto l'intera scorta del suo sangue è essenziale per raggiungere un benessere fisico e mentale ottimale. (Tolosa 2010) Tagliare subito il cordone al bambino appena nato non è un atto neutro. Lo depriva di molte riserve importanti per crescere, oltre alle cellule staminali anche di ferro e altre sostanze importanti. Per contro, lasciando il cordone integro, la placenta lo può rifornire di tutto quello che ha bisogno, anche in base alle risorse che ha consumato durante il parto. Rispetto alla conservazione o donazione delle cellule staminali in una banca la dottoressa e ricercatrice australiana Sarah Buckley dice nel suo libro «Gentle Birth, Gentle Mothering» (Partorire e accudire con dolcezza, Il Leone verde, 2012):
    la possibilità che un bambino a basso rischio abbia bisogno delle sue cellule staminali è stata stimata in 1 su 20.000;
    le cellule da donazione del cordone potrebbero essere inefficaci per un trattamento da adulto in quanto di quantità troppo ridotta;
    il sangue cordonale potrebbe contenere alterazioni pre-leucemiche e incrementare il rischio di malattia;
    il sangue cordonale autologo è adatto solo a bambini che sviluppano tumori solidi, linfomi o disordini autoimmuni;
    tutti gli altri utilizzi sono solo speculativi –:
   se non reputino, tutto ciò premesso, che sia urgente variare la formulazione del modulo del consenso informato apponendo le parole «sangue neonatale» piuttosto che «sangue da cordone ombelicale»;
   se non reputino utile che venga avviata in tempi brevi una verifica da parte delle unità specializzate allo scopo dei carabinieri (NAS), sulla gestione delle banche del sangue contenuto nel cordone ombelicale (sia pubbliche che private), sui costi di quelle pubbliche, sulle percentuali di unità effettivamente utilizzate ed utilizzabili, sulle effettive modalità di prelievo, dal momento che un documento/emesso dalla SIN (società italiana di neonatologia) a richiesta del Ministero della salute indicava di attendere comunque almeno 1 minuto prima di clampare il cordone ombelicale per effettuare il prelievo di sangue ma va precisato tuttavia che durante il cosiddetto «pelle a pelle» in sala parto per cause idrodinamiche l'assunzione da parte del neonato del sangue contenuto in placenta è più lenta ed addirittura parte del sangue presente alla nascita nel neonato stesso può refluire in placenta in seguito al parto, pertanto ci si potrebbe trovare nella paradossale ipotesi che il clampaggio tardivo con neonato «pelle a pelle» potrebbe privare il neonato di una ulteriore parte del suo sangue ed al contrario la quantità di sangue prelevato può essere ben maggiore dei circa 120-160 millilitri richiesti per essere crioconservati anche in caso di clampaggio oltre il minuto;
   se intendano assumere iniziative affinché sia da dichiarare in via di principio che il parto non debba essere interrotto prima del suo avvenuto ed effettivo termine cioè prima del secondamento salvo casi ben precisi e determinati posto che esiste ampia letteratura scientifica in merito al fatto che per parte materna non vi sono motivazioni ostetriche per il clampaggio precoce e per parte neonatale tutte le eventuali manovre rianimatorie si posso effettuare con il cordone ombelicale ancora integro semplicemente addestrando il personale a tali procedure senza alcuno stravolgimento degli attuali protocolli di emergenza in sala parto e con tutto il normale e consueto materiale ed apparecchiature presenti in ogni sala parto di ogni ospedale italiano;
   se non intendano valutare se la pratica del camplaggio del cordone ombelicale, in assenza di una precisa informazione circa i rischi ed i benefici possa porsi in contrasto con quanto sancito dall'articolo 32 della Costituzione: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività» e con quanto disposto dall'articolo 1 della legge 833 del 1978: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività mediante il servizio sanitario nazionale. La tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana»;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della prassi dei rimborsi alle Asl in caso di operazione di donazione di cordone ombelicale, se i rimborsi in virtù della legge sulla trasparenza siano resi noti e se ci sia di essi tracciabilità, se siano noti i costi dell'allestimento dell'attrezzatura dei CR (centri raccolta) ed il trasporto, inclusi i costi del personale dedicato;
   se sia noto presso il Servizio sanitario nazionale quale sia il costo effettivo di una sacca di «sangue cordonale» in caso di trapianto, e se sia chiara la relazione fra le Asl locali e le banche del sangue, che solo in Italia sono ben 19, l'informazione divulgativa per promuovere la donazione, al fine di sventare l'ipotesi che si venga a creare business su un tema così delicato come la donazione di sangue neonatale. (4-07564)

  Risposta. — La donazione volontaria, solidaristica, anonima e non remunerata del sangue del cordone ombelicale, quale fonte delle cellule staminali emopoietiche (CSE) prontamente disponibili, rientra nell'ambito delle attività trasfusionali, disciplinate dalla legge 21 ottobre 2005, n. 219 (articolo 2) e, pertanto, nei livelli essenziali di assistenza (articolo 5), in quanto attività finalizzata al trapianto allogenico di midollo osseo, rappresentando per molti pazienti affetti da patologie ematologiche ed onco-ematologiche una terapia salvavita insostituibile.
  In Italia, la donazione del sangue cordonale è un interesse primario per il servizio sanitario nazionale ed è consentito donare e conservare il sangue del cordone ombelicale a scopo solidaristico a fini di trapianto.
  Il servizio sanitario nazionale garantisce la ricerca ed il reperimento di cellule staminali emopoietiche, ivi incluse quelle da sangue del cordone ombelicale, a scopo di trapianto allogenico, presso registri e banche nazionali ed estere.
  Inoltre, è anche consentita la conservazione ad uso autologo-dedicato, nelle strutture pubbliche e a spese del servizio sanitario nazionale, solamente in caso di presenza di alcune patologie, tra i consanguinei del nascituro, per le quali è riconosciuto clinicamente valido ed appropriato l'utilizzo terapeutico di cellule staminali da sangue cordonale.
  La raccolta del sangue cordonale è una procedura semplice, che non interferisce con la normale assistenza al parto, ed è senza alcun rischio per la madre e per il bambino.
  Le unità risultate idonee all'uso trapiantologico vengono conservate presso strutture pubbliche, denominate «banche», afferenti alla rete nazionale delle banche, coordinate dal centro nazionale sangue (CNS), in collaborazione con il centro nazionale trapianti (CNT), per gli aspetti relativi al trapianto.
  Attualmente la rete nazionale è costituita da 19 banche.
  Per garantire che la raccolta e la conservazione del sangue cordonale al momento del parto vengano svolte secondo
standard operativi definiti, ai fini dell'autorizzazione e accreditamento delle banche, con l'accordo Stato regioni del 29 ottobre 2009, sono stati individuati i «requisiti organizzativi, strutturali e tecnologici minimi per l'esercizio delle attività sanitarie delle banche di sangue da cordone ombelicale», tenendo conto degli standard nazionali ed internazionali elaborati da Società scientifiche e gruppi internazionali.
  Con l'accordo Stato regioni del 20 aprile 2011, su «linee guida per l'accreditamento delle Banche di sangue da cordone ombelicale», sono state fornite indicazioni alle regioni in ordine al numero delle banche che deve essere commisurato ai reali bisogni, e sono stati regolamentati, tra l'altro, anche i rapporti tra la banca e i punti nascita afferenti, inclusa la formazione del personale sanitario addetto alla raccolta, sulla base di protocolli concordati con la banca stessa.
  Nel merito della questione dei tempi del clampaggio (legatura) del cordone ombelicale, il centro nazionale sangue ha inteso precisare quanto segue.
  La raccolta del sangue cordonale al momento del parto viene svolta secondo
standard operativi definiti, internazionalmente riconosciuti, ad opera di personale ostetrico, specificatamente formato, delle divisioni di ostetricia delle aziende sanitarie pubbliche e/o private accreditate.
  La raccolta del sangue cordonale può essere attuata solo previo consenso informato della madre e del padre, prima dell'inizio del travaglio, e in nessun modo deve interferire con il decorso del parto.
  Questo ha fatto stabilire stringenti criteri ostetrici di selezione delle madri che possono donare il sangue cordonale, a tutela della salute del neonato e delle stesse madri.
  Nel rispetto del fisiologico svolgimento del parto e del secondamento, in accordo con la società italiana di neonatologia (SIN), le banche del sangue cordonale della Rete italiana si sono imposte, da subito, la regola di adottare nei punti nascita la legatura (clampaggio) del cordone ombelicale entro un tempo non inferiore a 60 secondi dal momento del parto, quando è programmata la raccolta del sangue cordonale ai fini della conservazione per trapianto.
  Nonostante la precocità del clampaggio rappresenti un fattore che può influenzare i volumi di raccolta del sangue cordonale e, di conseguenza, la ricchezza cellulare dello stesso, tale comportamento è stato comunque indicato come requisito operativo obbligatorio, a salvaguardia della salute del neonato.
  Per lo stesso principio di massima tutela della salute del donatore, applicato nel caso dei donatori di sangue, anche la donazione del sangue cordonale a fini solidaristici è consentita solo in caso di parto fisiologico di neonati a termine e di peso adeguato all'età gestazionale.
  Alla data del 17 marzo 2015, 631.371 unità di sangue cordonale risultavano donate e conservate a scopo solidaristico in tutto il mondo, offrendo una potenzialità di cura a moltissimi pazienti, che non trovano nell'ambito familiare o nei registri dei donatori adulti un donatore immunologicamente compatibile.
  La procedura di clampaggio del cordone ombelicale dopo la nascita è cambiata nel corso del tempo, e non vi sono univoche definizioni di clampaggio precoce e tardivo.
  Secondo alcuni autori, è precoce il clampaggio che viene effettuato entro 60 secondi dalla nascita, tardivo quello effettuato in un tempo uguale o maggiore di 120/180 secondi.
  Altri autori considerano precoce un clampaggio eseguito entro 10-30 secondi, tardivo quello dopo 60 secondi dal parto.
  Queste differenti classificazioni rendono difficilmente confrontabili gli studi clinici presenti nella letteratura scientifica, che analizzano gli effetti delle diverse tempistiche di clampaggio sulla salute dei neonati.
  Recentemente, si è sviluppata una letteratura scientifica che, al contrario di quanto sostenuto fino a qualche anno fa, afferma che il clampaggio tardivo favorirebbe l'adattamento fisiologico del neonato alla vita extra-uterina.
  Questi vantaggi sarebbero stati dimostrati soprattutto nei neonati prematuri di basso peso, per i quali comunque la donazione di sangue cordonale è preclusa.
  Nel 2012 e nel 2013 la
Cochrane Library ha pubblicato due revisioni sistematiche della letteratura scientifica su questo tema, con risultati ancora non definitivi.
  Nel 2012 sono stati valutati 15 studi, per un totale di 738 neonati prematuri.
  Non ci sono, secondo gli autori, prove sufficienti per trarre conclusioni certe circa gli effetti dei due tipi di clampaggio nei neonati pretermine rispetto a mortalità, disabilità neurosensoriali nei primi 2-3 anni di vita, emorragia intraventricolare.
  Il clampaggio tardivo nei neonati pretermine sembrerebbe poter essere utile per ridurre il rischio di emorragia intraventricolare e la necessità di effettuare trasfusioni per anemia ed enterocolite necrotizzante, ma tali risultati devono essere interpretati con cautela.
  Nel 2013 sono stati valutati 15 studi (per un totale di 3.911 coppie di madri e neonati a termine).
  Per quanto riguarda i neonati, non sono state riscontrate differenze statisticamente significative tra il gruppo dei neonati sottoposti a clampaggio precoce e quelli che hanno avuto un clampaggio tardivo, rispetto alla mortalità e alla morbilità neonatale per la maggior parte delle cause in questa fascia d'età.
  È dichiarato dagli studi un incremento del peso alla nascita (101 grammi di aumento medio) nel gruppo del clampaggio ritardato, rispetto a quello del clampaggio precoce.
  Per quanto riguarda la necessità di fototerapia per ittero neonatale, questa si è resa necessaria per un minor numero di bambini del gruppo del clampaggio precoce, rispetto al gruppo del clampaggio tardivo.
  La concentrazione di emoglobina nei neonati (valutata a 24 e 48 ore) è risultata mediamente maggiore nel gruppo del clampaggio tardivo, e i depositi di ferro erano migliori, con una complessiva minore probabilità di sviluppare carenze di ferro a tre e sei mesi di vita.
  Nell'unico studio che ha indagato lo sviluppo neurologico, non è stata osservata nessuna differenza tra i due gruppi a quattro mesi di vita.
  Nel 2014, ulteriori studi clinici hanno portato nuovi spunti di discussione.
  Pertanto, il centro nazionale sangue ritiene che la scelta operata in Italia dalla rete delle banche cordonali, in piena condivisione con i punti nascita ad esse afferenti, abbia dimostrato di essere adeguata a tutelare la salute della madre e del neonato donatore, da un lato, e a garantire la conservazione di unità cordonali conformi agli
standard di cellularità richiesti per il trapianto, offrendo importanti opportunità terapeutiche a molti pazienti.
  Infatti, nell'ultimo decennio, circa 1.300 trapianti di cellule staminali emopoietiche da sangue del cordone ombelicale sono stati eseguiti nel mondo con unità cordonali provenienti dalla Rete italiana; solo nell'anno 2013, 4.334 trapianti di cellule staminali emopoietiche da sangue cordonale sono stati eseguiti nel mondo.
  In ogni caso, poiché nuova letteratura scientifica sull'argomento si è resa disponibile, il centro nazionale sangue ritiene opportuno un nuovo confronto con le società scientifiche di settore, al fine di rivalutare la tempistica del clampaggio e dirimere i dubbi sulla sua sicurezza per il neonato.
  Tali dubbi, infatti, anche sotto la spinta di una non corretta informazione mediatica, scoraggiano le coppie dalla donazione solidaristica del sangue cordonale.
  Alla luce di quanto finora esposto, risulta evidente che il settore della donazione e della conservazione del sangue cordonale è ampiamente normato, per i diversi aspetti, sulla base delle attuali evidenze scientifiche, nel rispetto dei requisiti di qualità e sicurezza in conformità agli
standard europei ed internazionali, a garanzia e tutela della salute del donatore e del ricevente.
  Inoltre, il centro nazionale sangue e il centro nazionale trapianti, per i rispettivi ambiti, sono gli organi deputati a svolgere sia le funzioni di coordinamento e di aggiornamento tecnico-scientifico della rete in base all'evoluzione delle conoscenze, sia le attività di vigilanza e controllo a supporto delle regioni e province autonome, autorità competenti per l'autorizzazione, l'accreditamento e le visite ispettive per le banche del sangue cordonale (articoli 6 e 7, decreto legislativo n. 191 del 2007).
  Pertanto, non appare giustificato richiedere l'intervento dei carabinieri dei nuclei anti sofisticazioni e sanità-NAS, per una verifica sulla gestione delle banche che sono strutture pubbliche, in quanto l'articolo 3, comma 2, del decreto ministeriale 18 novembre 2009, sulla donazione autologo dedicata, vieta l'istituzione delle banche private e ogni pubblicità ad esse connessa.
  Da ultimo, in merito ai rimborsi delle aziende sanitarie locali e ai costi di una sacca di sangue cordonale, si fa presente che nella tabella allegata all'accordo Stato regioni del 24 luglio 2003, sull'aggiornamento del prezzo unitario di cessione del sangue e degli emocomponenti tra servizi sanitari pubblici, con il quale sono fissate le tariffe per gli scambi interregionali tra servizi sanitari pubblici, la tariffa per il «concentrato di cellule staminali da cordone ombelicale», per fini di trapianto, è pari a euro 17.000,00.

La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   ZARATTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 30 aprile 2014 all'età di 54 anni è morto il sostituto commissario di polizia Roberto Mancini;
   Roberto Mancini, dopo aver lavorato nella sezione anticamorra della Criminalpol dal 1986, a partire dal 1994 ha condotto una lunga serie di indagini relative al traffico illecito di rifiuti, i cui risultati sono poi confluiti nell'ambito del processo per disastro ambientale e inquinamento delle falde acquifere, condotto dal pubblico ministero Alessandro Milita;
   dal 16 aprile 1998 al 28 maggio 2001 è stato inquadrato nell'ispettorato della polizia presso la Camera dei deputati al fine di poter collaborare con la Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, presieduta dall'onorevole Massimo Scalia, svolgendo numerose missioni in Italia e all'estero;
   durante tale collaborazione, il sostituto commissario ha effettuato decine di sopralluoghi in discariche di rifiuti tossici e radioattivi nella «terra dei fuochi», entrando in contatto con le scorie sversate dalla camorra e dalle industrie chimiche;
   nel 2002 gli è stato diagnosticato un linfoma non Hodgkin; il Comitato di verifica del Ministero dell'economia e delle finanze, organo consultivo che emana pareri sulla dipendenza da causa di servizio delle infermità contratte da dipendenti pubblici, civili o militari, ha certificato che la malattia contratta da Mancini è dipesa da «causa di servizio»;
   a seguito dell'accertamento del nesso causale della malattia contratta con il servizio prestato il Ministero dell'interno avrebbe riconosciuto al Mancini la somma di 5 mila euro quale equo indennizzo per il risarcimento danni;
   il sostituto commissario si è poi rivolto alla Presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini, in qualità di rappresentante dell'organo ai sensi dell'articolo 8 del Regolamento, chiedendo che gli venisse risarcita l'invalidità a seguito della malattia contratta a causa della contaminazione con sostanze nocive, avvenuta durante le indagini svolte per la Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti;
   la Presidenza, per il tramite degli uffici, avrebbe declinato qualsiasi responsabilità in relazione ad ogni forma di risarcimento –:
   con quali mansioni Mancini fu inquadrato nell'ispettorato della Polizia della Camera dei deputati;
   se vi siano mansioni svolte durante la sua attività per conto della Commissione d'inchiesta che non siano state espressamente autorizzate o coordinate attraverso l'ispettorato della Polizia della Camera;
   se non si ritenga doveroso riconoscere al sostituto commissario Roberto Mancini lo status di «Vittima del Dovere» disponendo adeguati sussidi economici per i familiari del poliziotto deceduto.
(4-04720)

  Risposta. — Il sostituto commissario della Polizia di Stato Roberto Mancini è deceduto il 30 aprile 2014 per un particolare tipo di linfoma insorto a seguito delle missioni effettuate tra gli anni 1997 e 2001 nei territori ubicati al confine tra le province di Napoli e Caserta, su incarico ufficiale della commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse.
  Durante il servizio reso presso l'ispettorato generale di pubblica sicurezza presso la Camera dei deputati, aveva partecipato a tutte le attività, esterne ed interne, svolte dalla menzionata commissione parlamentare e aveva compiuto numerose e frequenti missioni in territorio nazionale ed estero.
  La predetta infermità era stata riconosciuta come dipendente da causa di servizio nell'aprile 2010, con conseguente concessione dell'equo indennizzo a cui si fa riferimento nell'interrogazione.
  Quando era ancora in vita, il signor Mancini aveva presentato un'istanza finalizzata al riconoscimento dello
status di soggetto equiparato a vittima del dovere; status che gli è stato attribuito nel settembre 2014, con conseguente inserimento del suo nominativo nella XVII pubblicazione della graduatoria nazionale delle posizioni – regolarmente ostensibile sul sito web istituzionale del Ministero dell'interno – (pos. 2238), secondo l'ordine cronologico degli eventi.
  I decreti a firma del capo della polizia – direttore generale della pubblica sicurezza, con i quali sono stati erogati ai familiari superstiti i benefici connessi allo
status citato sono stati già predisposti e sono in via di liquidazione.
  Si soggiunge che, nell'immediatezza del decesso, sono stati concessi alla vedova un contributo e un sussidio straordinario a carico del fondo di assistenza per il personale della Polizia di Stato.
  Inoltre, sono state avviate le procedure concernenti il pagamento di un contributo per le spese funerarie e mediche e di una elargizione
una tantum, in caso di assenza di reddito da parte della vedova.
  Si rappresenta, altresì, che è stata avviata la procedura per l'eventuale inserimento della figlia del signor Mancini in un piano di assistenza connesso alla definizione della pratica pensionistica, ciò che comporterebbe la corresponsione mensile di una somma variabile in base al reddito, al momento non quantificabile.
  Peraltro, la Prefettura di Roma, nel mese di maggio 2014, dopo aver acquisito i dati economici e matricolari del signor Mancini, ha trasmesso la pratica all'Inps, per il pagamento della pensione ordinaria indiretta.
  La vedova del signor Mancini, dal canto suo, ha chiesto il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell'infermità letale, quale aggravamento della patologia già riconosciuta dipendente da causa di servizio al predetto, sia ai fini della pensione privilegiata di reversibilità che dell'equo indennizzo. La commissione medico-ospedaliera di Roma ha riconosciuto l'aggravamento il 5 giugno 2014.
  Il successivo 16 giugno è stata trasmessa, sempre all'Inps, tutta la documentazione per la liquidazione del trattamento speciale previsto dall'articolo 93 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092/1973 (testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato).
  In particolare alla vedova spetta, per la durata di un triennio dal decesso del coniuge, un trattamento speciale di importo pari a quello della pensione privilegiata di prima categoria, calcolato sull'intera base pensionabile. Dopo i tre anni, la predetta manterrà il diritto al trattamento di pensione privilegiata di reversibilità nella misura dell'80 per cento fino al perdurare delle condizioni previste dalla legge.
  Si rappresenta ancora che il 26 settembre 2014 è stato emesso il decreto ministeriale n. 1927/2014 di liquidazione del beneficio dell'equo indennizzo di prima categoria, ai sensi del combinato disposto delle leggi n. 1094/1970 e n. 724/1994.
  Infine, si informa che il 15 maggio 2014 al signor Mancini è stata conferita, alla memoria, la medaglia d'oro al valore civile con la seguente motivazione: «Per l'essersi prodigato, nell'ambito della lotta alle ecomafie, con straordinario senso del dovere ed eccezionale professionalità nell'attività investigativa per l'individuazione, nel territorio campano, di siti inquinati da rifiuti tossici illecitamente smaltiti. L'abnegazione e l'incessante impegno profuso, per molti anni, nello svolgimento delle indagini gli causavano una grave patologia che ne determinava prematuramente la morte. Mirabile esempio di spirito di servizio e di elette virtù civiche, spinti fino all'estremo sacrificio. Regione Campania 1994-2014».

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   ZARATTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del commissario ad acta del 5 luglio 2013 n. U00314 «adozione della proposta di programmi operativi 2013-2015 a salvaguardia degli obiettivi strategici di rientro dai disavanzi sanitari della regione Lazio» pubblicato sul bollettino ufficiale della regione Lazio n. 56 prevede la chiusura dei posti letto di riabilitazione dell'ospedale Villa Albani di Anzio, oltreché di quelli dell'ospedale Spolverini di Ariccia, nel comprensorio della ASL RMH;
   nell'ospedale Villa Albani di Anzio, struttura storicamente riconosciuta come punta di eccellenza della sanità laziale per la riabilitazione, sono attivi 35 posti letto di riabilitazione post acuzie (codice 56) e 4 posti di day hospital; la struttura ospita tra l'altro 30 pazienti gravemente disabili. Nell'anno 2013 all'ospedale Villa Albani tra visite specialistiche, fisiatriche e fisioterapia ambulatoriale (codice 56) sono state eseguite n. 49.714 prestazioni. Sono 180 i pazienti riabilitati post interventi protesici, mentre 2.355 sono stati i ricoveri in day hospital;
   attualmente nei distretti H4 (Pomezia) e H6 (Anzio e Nettuno) della ASL RMH, dove sono residenti circa 207.000 persone, sono attivi 71 posti di riabilitazione (degenza ordinaria e day hospital) dell'ospedale pubblico Villa Albani e della clinica privata convenzionata Villa dei Pini, con un numero di posti letto per 1.000 abitanti pari allo 0,34, quindi nettamente inferiore allo standard 0,7 posti letto per mille abitanti per la riabilitazione previsto dalla legge 7 agosto 2012, n. 135. Con la chiusura dei posti letto dell'ospedale Villa Albani resterebbero solo i posti letto della clinica privata Villa dei Pini; questo comporterebbe un drastico spostamento verso il basso dello standard previsto per legge con un numero di posti letto per 1.000 abitanti pari allo 0,15;
   con la prevista chiusura dei posti letto della riabilitazione del Villa Albani si arriverebbe al paradosso che in tutto il distretto H4 e, più in generale, in tutta la ASL RMH non esisterebbero più posti letto per la riabilitazione pubblici. La riabilitazione resterebbe solo appannaggio delle cliniche private convenzionate. Con il taglio dei posti letto previsto nel piano la riabilitazione ortopedica di eccellenza come quella erogata dall'ospedale Villa Albani di Anzio, risulterebbe gravemente deprivata –:
   se trovi conferma l'intenzione di chiudere il reparto di riabilitazione dell'ospedale Villa Albani di Anzio unico presidio pubblico per la riabilitazione ortopedica in territorio vasto e densamente popolato;
   quali iniziative il Governo intenda mettere in atto, nell'ambito delle proprie competenze e anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, per scongiurare la soppressione di un presidio sanitario fondamentale per il diritto alla salute dei cittadini del litorale laziale. (4-05056)

  Risposta. — In merito all'interrogazione parlamentare in esame, la prefettura-ufficio territoriale del governo di Roma ha provveduto ad acquisire, presso la regione Lazio, le informazioni concernenti l'ospedale «Villa Albani» di Anzio (ASL RMH).
  A tal riguardo, risulta che, ai sensi del decreto del commissario
ad acta n. 412/2014, concernente la rettifica del decreto del commissario ad acta n. 368/2014 sull'attuazione dei programmi operativi 2013-2015, di cui al decreto del commissario ad acta n. 247/2014, e l'adozione del documento tecnico inerente alla riorganizzazione della rete ospedaliera a salvaguardia degli obiettivi strategici di rientro dai disavanzi sanitari della regione Lazio, nonché in esito all'atto aziendale dell'ASL RMH, di cui alla deliberazione del direttore generale n. 96 del 18 febbraio 2015, approvato con decreto del commissario ad acta n. 109 del 19 marzo 2015, l'ospedale «Villa Albani» di Anzio presenta tutt'ora la seguente configurazione: n. 35 posti letto e n. 4 posti letto in regime di day hospital per prestazioni di recupero e di riabilitazione.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.