TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 652 di Martedì 12 luglio 2016

 
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INTERROGAZIONI

A)

   LUIGI GALLO, BATTELLI, SIBILIA, TOFALO, FICO, COLONNESE, DAGA, ZOLEZZI, MANNINO, SEGONI, BUSTO e MICILLO. – Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. – Per sapere – premesso che:
   la centrale termoelettrica di Napoli Levante, sita in via Stradone Vigliena n. 9, Napoli, di proprietà della Tirreno Power, è entrata in funzione, secondo quando dichiarato dal promotore, in data 9 settembre 2008. Nel punto dove ora sorge la centrale il piano regolatore generale in discussione in quella fase prevedeva di «realizzare una struttura dedicata ai giovani e alla musica». La variante fu poi stravolta nella fase «di adozione delle controdeduzioni alle osservazioni». Venne accolta dal consiglio comunale di Napoli l'osservazione n. 76 alla variante, presentata da Interpower (oggi Tirreno Power s.p.a.), che reclamava di continuare a mantenere l'uso del sito. Di conseguenza si deliberò che a Vigliena doveva essere costruita una nuova centrale termoelettrica a ciclo combinato (delibera del consiglio comunale n. 137 del 22 luglio 2003). L’iter del piano regolatore generale vigente si è concluso con l'approvazione del decreto del presidente della giunta regionale della Campania n. 323 dell'11 giugno 2004;
   la procedura nella fase di adozione del piano regolatore generale non consentì ai residenti nessuna opportunità di intervento rispetto alla novità rappresentata dall'osservazione n. 76 che di fatto cambiava le carte in tavola;
   la Tirreno Power s.p.a., nel giugno del 2004, ha attivato le procedure per costruire la nuova centrale turbogas di Vigliena, chiedendo – ed ottenendo – la non assoggettabilità alla procedura di valutazione di impatto ambientale, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 377 del 10 agosto 1988, che testualmente recita: «Il comma 2 non si applica ad eventuali interventi di risanamento ambientale di centrali termoelettriche esistenti, anche accompagnati da interventi di ripotenziamento, da cui derivi un miglioramento dello stato di qualità dell'ambiente connesso alla riduzione delle emissioni». Il richiamato comma 2, che si è chiesto di non utilizzare, stabilisce, in ogni caso, che la valutazione di impatto ambientale «(...) si applica altresì agli interventi su opere già esistenti (...) qualora da tali interventi derivi un'opera con caratteristiche sostanzialmente diverse dalla precedente (...)». Essendo l'impianto effettivamente realizzato sostanzialmente diverso da quello precedente, a giudizio degli interroganti si doveva, e si deve, procedere all'adempimento della valutazione di impatto ambientale. Che quella costruita sia una centrale ex novo, lo si evince dal fatto che la vecchia centrale è stata completamente demolita e quella nuova è stata realizzata su uno spazio adiacente;
   gli stessi elaborati resi noti dalla Tirreno Power s.p.a. evidenziano che l'impianto è radicalmente diverso da quello precedente. Un'ulteriore conferma emerge anche dalla comparazione dei dati tecnici contenuti nel decreto di autorizzazione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 12 aprile 2005 dal quale si evidenzia che nel nuovo impianto sono state montate nuove e diverse apparecchiature;
   altra dimostrazione di quanto qui si sostiene può essere rinvenuta dalla lettura del verbale della seduta del 25 maggio 2002 tenutasi nella ex circoscrizione di San Giovanni a Teduccio;
   in tale riunione un dirigente dell'allora Interpower s.p.a. – poi divenuta Tirreno Power s.p.a. – in riferimento alla nuova opera dichiarò: «(...) si tratta di costruire una centrale ex novo perché l'intendimento di Interpower è quello di abbandonare i gruppi esistenti (tranne le opere minori) e costruire radicalmente un impianto a ciclo combinato»; ed ancora: «(...) la valutazione di impatto ambientale è prevista dalla legge. Lei può realizzare la centrale più pulita di questo mondo però, se fa un impianto di generazione, deve assoggettarsi ad una valutazione di impatto ambientale regionale o nazionale. Dunque, noi lo dobbiamo fare perché lo prevede la norma»;
   un'ulteriore conferma che quello costruito a Vigliena è a tutti gli effetti un impianto ex novo, soggetto quindi alla procedura di valutazione di impatto ambientale, venne confermata dal direttore generale della Tirreno Power s.p.a., ingegnere Giovanni Gosio, che in data 18 luglio 2007 nel corso di una audizione della 13o Commissione ambiente del Senato della Repubblica, tenuta «a seguito dell'indagine conoscitiva sui cambiamenti climatici» (resoconto sommario della seduta n. 100 del 18 luglio 2007), dichiarò: «In data 18 maggio 2005 l'allora Ministero delle attività produttive ha autorizzato la trasformazione in ciclo combinato della centrale, originariamente costituita da tre gruppi termoelettrici tradizionali alimentati ad olio combustibile ed a gas naturale, tramite la realizzazione di una nuova unità, da 400 megawatt, alimentata esclusivamente a gas naturale»;
   considerate quindi le caratteristiche dell'installazione di Vigliena – il cui progetto già prevedeva che l'impianto fosse ricostruito di sana pianta –, si ritiene che non poteva essere accolta la richiesta di esclusione della procedura di valutazione di impatto ambientale che, al contrario, doveva e deve essere obbligatoriamente fatta;
   il punto in questione non è marginale poiché la valutazione di impatto ambientale potrebbe mettere in luce una sicura incompatibilità della struttura con il territorio. Si aggiunga poi che, trattandosi di un nuovo impianto, la Tirreno Power s.p.a. dovrebbe versare i contributi previsti dalla legge 23 agosto 2004, n. 239, articolo 1, comma 36; invece la proprietà, spacciando la nuova opera per «pseudo riconversione» della vecchia centrale, a giudizio degli interroganti riesce ad eludere tale consistente onere economico. Infatti, nella delibera della giunta comunale di Napoli n. 2328 del 20 aprile 2006, avente per oggetto: «Presa d'atto della convenzione del 6 aprile 2006 tra la regione, la provincia, il comune e la Tirreno Power s.p.a., ai sensi di quanto previsto dalla legge del 23 agosto 2004, n. 239 – misure di compensazione e riequilibrio ambientale», si prevede che la Tirreno Power s.p.a. verserà (solo) un milione di euro al comune «per la realizzazione di iniziative e progetti tesi a migliorare la qualità dell'aria, promuovere il risparmio energetico e l'utilizzo di fonti rinnovabili nella città di Napoli ed in particolare nell'area interessata dalla centrale»;
   tutto ciò è avvenuto ed avviene senza dare seguito alle procedure previste dalle leggi e dalle direttive dell'Unione europea per quanto concerne l'informazione e la partecipazione del pubblico al procedimento (si confronti direttiva 96/61/CE del Consiglio del 24 settembre 1996 – prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento – IPPC – accesso all'informazione e partecipazione del pubblico alla procedura di autorizzazione; direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 giugno 2001; decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152; legge 7 agosto 1990, n. 241; Convenzione di Aarhus, Danimarca, del 25 giugno 1998 ratificata dall'Unione europea il 17 febbraio 2005 – 2005/370/CE – relativa alla conclusione, a nome della Unione europea, della convenzione sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale);
   da una relazione del Ministero dello sviluppo economico del 30 aprile 2008, protocollo 1676 (dipartimento per la competitività – direzione generale per l'energia e le risorse minerarie), avente per oggetto le autorizzazioni di quattro centrali termoelettriche per il «riesame ai sensi degli articoli 9, comma 4, e 17, comma 4, del decreto legislativo n. 59 del 2005», figura l'autorizzazione n. 55/01/2005 del 18 maggio 2005 rilasciata alla Tirreno Power s.p.a. per l'impianto di Vigliena. Nel paragrafo «Iter del procedimento amministrativo» si legge che: «In data 27 giugno 2007, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, onorevole Pecoraro Scanio, ha sottoposto all'attenzione del Ministro dello sviluppo economico, onorevole Bersani, la richiesta di verificare la necessità di procedere all'esame delle autorizzazioni alla realizzazione di centrali termoelettriche, adottate ai sensi sia del previgente decreto del Presidente della Repubblica n. 53 del 1998 sia della legge n. 55 del 2002 rilasciate da questa amministrazione precedentemente all'entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 59 del 2005, ivi comprese le centrali di cui all'oggetto». Tale richiesta veniva avanzata ai sensi del combinato disposto degli articoli 9, comma 4, e 17, comma 4, del medesimo decreto legislativo;
   secondo quanto prospettato dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, le autorizzazioni rilasciate dall'allora Ministro delle attività produttive «non contenevano tutti gli elementi essenziali richiesti dalla normativa comunitaria di IPPC, con riferimento, ad esempio, ai profili riguardanti l'individuazione delle migliori tecnologie disponibili, la gestione dalle situazioni diverse dal normale esercizio, la programmazione di monitoraggi e controlli, la partecipazione del pubblico al procedimento di autorizzazione integrata ambientale»;
   in data 8 giugno 2004, la regione Campania, il comune e la provincia di Napoli sottoscrissero un protocollo d'intesa con la Tirreno Power s.p.a. Gli enti pubblici, nel dare il loro consenso alla realizzazione della centrale, disposero un'indagine epidemiologica (per il particolare degrado dell'area che è compresa nei siti di interesse nazionale). Durante la convocazione in seduta straordinaria del consiglio della VI municipalità (San Giovanni, Barra e Ponticelli) fu ufficialmente consegnato dal presidente della commissione, nel mese di giugno del 2008, un'indagine redatta direttamente dalla Tirreno Power s.p.a.;
   nella variante al piano regolatore generale (centro storico, zona orientale, zona nord-occidentale), approvata con decreto del presidente della giunta regionale della Campania n. 323 dell'11 giugno 2004 – norme d'attuazione – testo coordinato – parte I, disciplina generale –, all'articolo 29 (sottozona Ac – porto storico), al punto 5, lettera a), si era stabilita «la dismissione di tutte le attrezzature e gli impianti riguardanti il traffico petrolifero per le quali si prevede una nuova localizzazione al di fuori del Golfo di Napoli, previo accordo con la regione Campania e le altre amministrazioni competenti. Nelle more della nuova localizzazione e per il tempo a tal fine strettamente necessario, sono consentite trasformazioni orientate esclusivamente al miglioramento della sicurezza e dell'impatto ambientale». Tale determinazione è stata modificata l'11 dicembre 2006 con la sottoscrizione di un protocollo d'intesa tra regione Campania, comune di Napoli, Napoli Orientale S.c.p.a., Kuwait raffinazione e chimica s.p.a. L'accordo in questione prevede la permanenza di dette attività per almeno altri venti anni. Ciò significa che la darsena petroli, ubicata a Vigliena, resterà in funzione per analogo periodo e nel sito si continueranno a scaricare tonnellate di carburanti;
   il nuovo terminal di Levante, attualmente in costruzione, costituirà, di fatto, un unicum con l'area della centrale termoelettrica. Si tratta di un'infrastruttura invasiva che presenta molteplici fattori di criticità come pure si evince dalla lettura del relativo decreto di valutazione di impatto ambientale, rilasciato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, protocollo n. 5 del 9 gennaio 2008, parere numero 966 del 24 luglio 2007, avente per oggetto: «Adeguamento darsena di levante a terminal contenitori mediante colmata e conseguenti opere di collegamento nel comune di Napoli per la costruzione del nuovo terminale contenitori di Napoli Levante»;
   dai progetti resi noti dall'autorità portuale di Napoli si dà notizia che sono già in costruzione «megaportacontainer», che dovranno scaricare sui moli di Vigliena le loro merci. Per effetto di questo progetto la centrale si ritroverà ad essere incastonata tra le banchine del porto. Le stesse condotte atte a prelevare e ad immettere acqua del mare, indispensabili per il raffreddamento della centrale, saranno collocate nel punto in cui dovranno essere ormeggiate le navi;
   dal sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare risulta che in data 15 gennaio 2009 (protocollo DSA-2009-0000073), la Tirreno Power s.p.a. ha inoltrato la domanda per ottenere il rinnovo dell'autorizzazione integrata ambientale. La domanda sta seguendo l’iter previsto. Sempre dal sito del Ministero risulta che dal 13 dicembre 2012 la richiesta è in fase istruttoria presso la conferenza dei servizi;
   in pratica si rileva, purtroppo, che anche in questo caso la procedura sinora attuata, nelle diverse fasi espletate, si basa ancora sugli stessi presupposti che consentirono nel 2005 alla Tirreno Power s.p.a. l'autorizzazione per realizzare l'impianto di Vigliena. Cioè, senza assumere le molteplici criticità dell'area, che inducono, invece, a desistere dal riconfermare la permanenza in loco di un simile impianto;
   la conferenza dei servizi che sta vagliando la richiesta dovrebbe recepire il fatto che sul sito della protezione civile è stata pubblicata l'11 gennaio 2013 la mappa della nuova delimitazione del piano nazionale di emergenza per il Vesuvio. La zona di San Giovanni a Teduccio viene ricompresa, dal nuovo piano, nella «zona rossa» ponendo ulteriori vincoli al tema indifferibile della sicurezza;
   i recenti drammatici fatti di Genova dovrebbero indurre ad elevare la soglia della sicurezza che in condizioni come quella descritta deve essere molto elevata;
   altresì, non possono essere rimossi i rischi di esplosione insiti in una centrale termoelettrica. Si ricorderà, infatti, che nella città di Middletown (Connecticut, Usa), il 7 febbraio 2010 esplose la locale centrale turbogas;
   l'esplosione fu udita a 50 chilometri di distanza, causò la morte di 5 operai e decine di feriti, radendo al suolo edifici ed alberi nel raggio di 1 chilometro;
   la Tirreno Power s.p.a., sempre nella documentazione acclusa alla domanda per ottenere il rinnovo dell'autorizzazione integrata ambientale (allegato A24, relazione sui vincoli territoriali, urbanistici ed ambientali, al punto 2.3 pianificazione di livello comunale), insiste sullo scarso valore dei luoghi in cui è ubicata la centrale. Scrive, infatti, nel suo elaborato: «Infine è stata consultata la cartografia di piano al fine di verificare la presenza di eventuali vincoli (tavole n. 12, 13 e 14 del piano regolatore generale), da cui si evince che l'area di studio non è classificata come area di interesse archeologico né è assoggettata a vincoli geomorfologici o paesaggistici (...)»;
   con queste sue affermazioni la Tirreno Power s.p.a. continua ad ignorare le prescrizioni contenute nel decreto del Ministro delle attività produttive n. 55-01-2005 con il quale si autorizzava a realizzare la centrale. Le prescrizioni definite dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo restano inapplicate. Se mai le autorità preposte dovessero decidere la loro piena attuazione, l'intero progetto dell'area dovrà essere riscritto;
   lo stesso decreto di valutazione di impatto ambientale, rilasciato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, protocollo n. 5 del 9 gennaio 2008, parere numero 966 del 24 luglio 2007, avente per oggetto «Adeguamento darsena di levante a terminal contenitori mediante colmata e conseguenti opere di collegamento nel comune di Napoli per la costruzione del nuovo terminale contenitori di Napoli Levante», precisa che: «Si richiama, inoltre, l'attenzione di codesto Ministero sulla presenza, a breve distanza, di talune emergenze, quali lo storico Fortino di Vigliena e l'edificio della Cirio, anch'esso sottoposto a tutela ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004, parte II, titolo I, per il suo particolare interesse culturale (...) questo ufficio, esaminati gli elaborati presentati, fa rilevare che l'area oggetto dell'intervento è posta tra quello che era l'antico territorio di Neapolis e quello delle città distrutte dall'eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo, con attestazione di insediamenti relativi a ville di epoca romana» –:
   se e come sia disposta, ai sensi dell'articolo 9, comma 4, del decreto legislativo n. 59 del 2005, la verifica dell’iter seguito per il riesame del rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale, richiesta dalla Tirreno Power s.p.a. il 15 gennaio 2009 per la centrale turbogas di Vigliena, in considerazione dell'impatto ambientale costituito dall'insieme dei progetti previsti, considerato anche che l’iter per il rilascio del rinnovo dell'autorizzazione integrata ambientale non è ancora concluso, e che è intervenuta una significativa novità costituita dal nuovo piano nazionale di emergenza per il Vesuvio;
   se e come il tema delle partecipazioni del pubblico al procedimento per il rilascio della nuova autorizzazione integrata ambientale si ritenga assolto dalla pubblicazione di un trafiletto nelle pagine di un giornale così come chiesto dalla Tirreno Power s.p.a. con una raccomandata del 2009, protocollata presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (E. prot. DSA – 2009 – 0004111 del 20 febbraio 2009), il quale replicava che: «(...) Tirreno Power s.p.a. (provvederà), entro 15 giorni (...) alla pubblicazione su un quotidiano a diffusione nazionale dell'allegato avviso al pubblico relativo all'avvio della procedura di riesame in oggetto»;
   se e come il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenda far partecipare il comitato civico di San Giovanni a Teduccio al procedimento riguardante le determinazioni sulla centrale di Vigliena, considerato che ”Nella Commissione ambiente tenutasi il giorno 6 agosto 2008 presso la sede del consiglio comunale di Napoli in via Verdi, il comitato civico San Giovanni ha chiesto di essere inserito nelle conferenze di servizio relative alla centrale turbogas di Vigliena, al fine di garantire la maggior trasparenza delle procedure e la partecipazione dei cittadini nell'ambito del rispetto delle normative vigenti (legge n. 241 del 1990);
   se e come, alla luce dell'insieme dei progetti presenti nell'area, siano disposte l'effettuazione della valutazione di impatto ambientale e della valutazione ambientale strategica;
   se e come si sia verificata l'applicazione delle prescrizioni del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo contenute nel decreto del Ministro delle attività produttive n. 55-01-2005 e se sia stata sanzionata la loro eventuale inosservanza;
   se ci si appresti realmente a raddoppiare l'impianto di Vigliena, stante quanto riportato nell'articolo «Repowering di Napoli levante» apparso sulla rivista Power generation news – Ansaldo energia, anno XII, trimestrale 2010, posto che nell'articolo si afferma che: «La nuova configurazione della centrale e i serbatoi dell'acqua sono stati progettati in previsione della possibilità di collocare un'altra unità a ciclo combinato in futuro», anche perché, considerato che l'Ansaldo ha costruito l'impianto, la notizia appare più che fondata;
   se il rumore emesso dall'impianto rispetti i limiti definiti dalla normativa, tenuto conto che, nelle abitazioni circostanti la centrale, il rumore prodotto costringe i residenti a vivere barricati in casa;
   se e quali sostanze siano state scaricate in mare nel mese di agosto 2012, considerato che nella relazione allegata alla richiesta della Tirreno Power s.p.a. di rinnovo dell'autorizzazione integrata ambientale del 15 gennaio 2009, si evince – allegato B.18 –, che il trattamento previsto per le acque oleose, al punto 1.2.6.1, prevederebbe che: «Tali reflui provengono essenzialmente dai drenaggi dell'area trasformatori, dalle apparecchiature lubrificate con olio, dal lavaggio dei pavimenti, dagli scrubbers del gas naturale e dalle acque meteoriche potenzialmente oleose» e la documentazione Arpac in merito afferma: «I risultati del campionamento di acqua di mare del 23 agosto hanno evidenziato odore di idrocarburi presenti in notevole quantità, un colore giallo chiaro con assenza di schiuma nel campione»;
   perché nel caso di specie non sembra sia osservato l'articolo 142, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, «aree tutelate per legge», che include «i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare», come territori da salvaguardare e tutelare;
   se e come si intendano raccogliere informazioni per conoscere la natura degli allarmi emessi dalle sirene della centrale in diverse occasioni, affinché sia garantita la sicurezza per la popolazione che vive nell'area. (3-01278)
(10 febbraio 2015)

B)

   TARICCO, CAPOZZOLO, TERROSI e ANTEZZA. – Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. – Per sapere – premesso che:
   la Popillia japonica è un coleottero parassita, lungo circa 12 millimetri, con torace verde dorato che mangia le radici delle piante; può attaccare 295 specie vegetali, coltivate o spontanee, di cui almeno cento di forte interesse economico, come il mais, la vite, il pomodoro, alberi da frutto come vite, nocciolo, meli, piccoli frutti e ancora tiglio, acero, faggio, betulla, ontano, soia, erba medica, fagioli, asparagi, zucchine, rose, dalie;
   le sue larve bianche mangiano sottoterra le radici delle piante e, quando sono numerose, possono fare sparire un intero prato, tanto che nella normativa fitosanitaria quest'insetto è inserito fra gli organismi di quarantena, di cui deve essere vietata l'introduzione e la diffusione nel territorio dell'Unione europea;
   la Popillia japonica è originaria del Giappone ed è stata scoperta a Turbigo, nel parco del Ticino, non lontano da Malpensa, nel luglio del 2014; era già presente in Europa, ma soltanto nelle isole Azzorre;
   secondo la banca dati mondiale delle specie invasive sono oltre 200 quelle presenti nel nostro Paese e i commerci spregiudicati o incoscienti, il turismo o più semplicemente incauti spostamenti di persone e materiali possono essere causa di calamità;
   è risaputo che negli Stati Uniti, dove è presente dal 1916, il coleottero giapponese rappresenta la specie di insetto infestante più diffusa e, secondo il dipartimento di agricoltura degli Usa, gli interventi di controllo arrivano a costare più di 460 milioni di dollari all'anno; pertanto, nella graduatoria delle specie infestanti più nocive, la Popillia japonica è sul terzo gradino del podio;
   va considerato che durante quest'inverno non c’è stato un vero gelo, così gli insetti che normalmente non passano la stagione vivi, come i pidocchi delle piante, le farfalle dei gerani, le zanzare, sono sopravvissuti e anche quelli che dovrebbero subire una forte riduzione non sono affatto indeboliti;
   per debellare l'attacco di questo parassita, sono state usate trappole attrattive, per catturare migliaia di esemplari e distruggerli, ma anche insetticidi, chiaramente nei limiti consentiti per i trattamenti chimici;
   fondamentale è trovare un antagonista naturale, così come si è fatto con l'insetto parassitoide Torymus contro il cinipide galligeno del castagno, per ricostruire un equilibrio ecologico; ma i tempi per questo risultato sono a tre, cinque o dieci anni;
   i coltivatori sono chiaramente molto preoccupati dalla globalizzazione dei parassiti, in quanto ci si trova a fare i conti con specie originarie dell'Asia o delle Americhe, per le quali l'ambiente italiano non è preparato e non ha predatori naturali;
   così come il dipartimento di scienze agrarie, forestali e alimentari dell'Università di Torino sta sperimentando un sistema rada contro la vespa velutina, la cosiddetta vespa «killer» delle api, allo stesso modo è necessario che la ricerca e la sperimentazione di nuove tecniche di monitoraggio e di prevenzione ad ampio raggio tutelino campi e coltivazioni da queste nuove specie aggressive di parassiti (come la Diabrotica del mais, il tarlo asiatico, la Xylella) in tempi utili a preservare raccolti e frutti;
   le organizzazioni di categoria di alcune province del Nord Italia hanno lanciato l'allarme sulla presenza della Popillia japonica in aree, peraltro, dove l'agricoltura è già pesantemente penalizzata dalla presenza con danni ingenti di animali selvatici e, quindi, molto sensibile e preoccupata da ogni nuova potenziale difficoltà che possa pregiudicare le prospettive delle produzioni e del territorio –:
   se il Governo sia in possesso di informazioni circa il problema e la sua pericolosità e i rischi potenziali per i territori;
   se e quali iniziative il Ministro interrogato intenda mettere in atto per affrontare i rischi ed i potenziali danni a colture e territori da questo nuovo aggressivo parassita. (3-02376)
(11 luglio 2016)
(ex 5-06209 del 30 luglio 2015)

   PARENTELA, L'ABBATE, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, GALLINELLA, DE ROSA, BUSTO, CRIPPA e GAGNARLI. – Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali e al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   la Popillia japonica è un piccolo scarabeo asiatico in grado di attaccare fino a trecento specie vegetali. L'insetto è giunto in Europa continentale da poco tempo, prima era stato individuato solo nelle Azzorre. Dall'estate 2014 si susseguono gli avvistamenti nel parco del Ticino e in altre zone tra Lombardia e Piemonte;
   negli Stati Uniti, dove è comparso per la prima volta all'inizio del Novecento, «venivano stimati già nel 2004 costi di circa 450 milioni di dollari per la lotta all'insetto e per i danni arrecati», spiega un documento della regione Piemonte pubblicato a fine febbraio 2015. «Per i gravi danni che può arrecare è inserito tra gli organismi di quarantena (direttiva 2000/29/CE e lista A2 dell’Eppo-European and Mediterranean plat protection organization) di cui deve essere vietata l'ulteriore introduzione e diffusione in altre aree europee», scrive Davide Michelatti, dirigente del settore fitosanitario della regione Piemonte. «Gli adulti, che volano da giugno a settembre, sono polifagi e negli Stati Uniti si alimentano su oltre 300 specie vegetali tra cui sono comprese piante spontanee, ornamentali, colture di pieno campo, da frutto e forestali. Tra le specie d'interesse agrario si possono ricordare: mais, melo, pesco, soia, vite e molte altre»;
   «il settore fitosanitario del Piemonte, in collaborazione con l'Ente parco del Ticino, ha subito attivato i primi interventi di monitoraggio sulla diffusione dell'insetto e di contrasto allo sviluppo della sua popolazione mediante raccolta manuale degli adulti sulla vegetazione e sistemazione di una sessantina di trappole per la cattura massaie. Complessivamente sono stati raccolti circa 27.500 esemplari». Da questi dati è partita la decisione di compiere un ulteriore passo avanti: individuare le aree del focolaio e quelle tampone. In tutto sono coinvolti i territori, interi o per alcune parti, dei comuni di Pombia, Marano Ticino, Oleggio, Bellinzago Novarese, Cameri e Galliate, Romentino, Mezzomerico, Divignano, Varallo Pombia e Novara;
   anche in America, nonostante i massicci investimenti, non è riuscita l'eradicazione dello scarabeo. E come avverte l'agronomo dell'Università di Catania Santi Longo sul periodico dell'Accademia dei georgofili, il pericolo è duplice perché l'insetto attacca le piante da sopra e da sotto: «Gli adulti, lunghi in media 1 centimetro, dal torace verde brillante e dalle ali color rame o bronzo, con caratteristici ciuffi di peli bianchi ai margini dell'addome, si alimentano di foglie, fiori e frutti, mentre le larve terricole rodono le radici di piante erbacee spontanee e coltivate». Non a caso è stata anche descritta come «la larva che può mangiare un prato da sotto» –:
   se non si ritenga opportuno intervenire urgentemente affinché vengano attivate tutte le procedure necessarie per circoscrivere ed eradicare eventuali ulteriori altri focolai, nonché impedire la diffusione della Popillia japonica sul territorio nazionale;
   se non si ritenga altresì opportuno, sentiti i pareri degli enti di ricerca e gli istituti zooprofilattici, elaborare una strategia che preveda un intervento diretto sullo scarabeo asiatico, la limitazione del proliferare delle popolazioni tramite le trappole per il controllo degli adulti, i trattamenti larvici, nonché l'utilizzo della lotta integrata. (3-02381)
(11 luglio 2016)
(ex 4-08787 del 15 aprile 2015)

C)

   SIMONETTI. – Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. – Per sapere – premesso che:
   nel 2015 sono state oltre mille le stalle da latte chiuse, il 60 per cento delle quali in montagna, con una media di una stalla su cinque, con effetti drammatici sull'economia, sulla sicurezza alimentare e sul presidio ambientale, nonché sull'occupazione;
   il latte agli allevatori viene pagato ben al di sotto dei costi di produzione: infatti, nell'ultimo anno il prezzo a loro corrisposto è sceso a 34 centesimi al litro, ben al di sotto dei costi di produzione, stimati in un valore medio compreso tra i 38 e i 41 centesimi;
   con la continua e crescente importazione di latte (circa il 42 per cento del latte consumato) dai Paesi esteri, in particolare dall'Est Europa – che ha costi inferiori ed è di scarsa qualità – si sta verificando una situazione insostenibile per i produttori italiani, in particolare quelli piemontesi. Ogni giorno si assiste al passaggio presso il passo del Brennero di tir, provenienti in particolare da Romania e Ucraina, che trasportano il latte nel nostro Paese;
   in questi Paesi dell'Est europeo sembra che non sussistano normative così rigorose come in Italia. In particolare, sembra che in Ucraina le mucche vivano allo stato brado e che il latte venga raccolto senza un grande rispetto delle norme igieniche. Inoltre, il latte, perché non fermenti durante il viaggio, deve subire un trattamento chimico-termico particolare;
   il Piemonte è la quarta regione in Italia per produzione di latte con i suoi 8 milioni di quintali annui e 2.000 aziende produttrici, con 8.000 posti di lavoro e 390 milioni di produzione lorda vendibile. Oltre il 70 per cento del latte prodotto viene destinato alla trasformazione casearia e il 25 per cento riservato alla preparazione di formaggi dop con oltre 30 caseifici storici;
   il Piemonte si fregia di 6 dop regionali, Bra, Castelmagno, Murazzano, Robiola di Roccaverano, Torna piemontese e una interregionale, il Gorgonzola;
   nel 2015 in provincia di Vercelli si contavano 347 allevamenti bovini per un totale di 11.956 capi, che si sommano ai 570 allevamenti del biellese con i loro 20.841 capi;
   nel vercellese e nel biellese non può esistere agricoltura senza zootecnia. Eppure il rischio è che questo importante patrimonio culturale, economico e identitario vada perduto per sempre, per colpa di una crisi senza precedenti che sta mettendo a rischio il futuro delle imprese del settore lattiero-caseario;
   sembra che dei contributi europei, ripartiti in Piemonte, solo 6 milioni di euro siano stati destinati alle ditte di trasformazione che lavorano prodotto italiano. Sarebbe opportuno che si verificasse attentamente la ripartizione dei fondi del piano di sviluppo rurale e che realmente siano destinati alle imprese che lavorano esclusivamente latte piemontese e italiano;
   tre cartoni di lattea lunga conservazione su quattro venduti in Italia sono stranieri, mentre la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o addirittura cagliate provenienti dall'estero, soprattutto dai Paesi dell'Est Europa. Il consumatore finale è allo scuro di tutto ciò perché non esiste l'obbligo di indicare in etichetta l'origine degli alimenti;
   con una consultazione pubblica on line sull'etichettatura dei prodotti agroalimentari condotta dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali da novembre 2014 a marzo 2015, l'89 per cento dei consumatori ritiene che la mancanza di etichettatura di origine possa essere ingannevole per i prodotti lattiero-caseari;
   per garantire al consumatore un prodotto di qualità e totalmente «made in Italy» è necessaria una corretta e completa informazione sulla provenienza della materia prima, ovvero il latte utilizzato per la produzione di prodotti lattiero-caseari;
   trasparenza e chiarezza sono indispensabili affinché le risorse messe in campo da parte dell'Europa, ma anche dal nostro Paese, siano realmente destinate alla trasformazione del latte, anche per far fronte a questo momento di profonda crisi che sta attraversando il comparto della zootecnia da latte;
   è necessaria e urgente una «boccata d'ossigeno» per non far chiudere per sempre le stalle italiane –:
   se non sia quanto mai necessario ed urgente assumere iniziative per prevedere l'obbligo di etichettatura di origine del latte anche come materia prima nei prodotti lattiero-caseari, al fine di fermare le importazioni dall'estero, che potrebbero essere poi spacciate come «made in Italy», e sostenere i produttori di latte italiani, in particolare piemontesi, che lamentano di essere sottopagati dall'industria anche per la concorrenza del latte dell'Est Europa.
(3-02377)
(11 luglio 2016)
(ex 5-08255 del 30 marzo 2016)

D)

   FANUCCI e COVA. – Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. – Per sapere – premesso che:
   la Cassa di previdenza e assistenza di fantini, guidatori e allenatori, fondata nel 1968, ha lo scopo di assistere i professionisti ippici durante e al termine della propria attività, sia dando supporto nel caso di incidenti dovuti alla pericolosità della professione svolta, sia facendo fronte alla precarie condizioni economiche in cui si venivano e si vengono a trovare allenatori, guidatori e fantini al termine della loro carriera professionale;
   la predetta Cassa viene finanziata, in parte, con contributi diretti dei soci; per una parte maggioritaria, dalle quote provenienti dalle multe erogate dagli organi di disciplina a carico dei professionisti ippici; infine, con una contribuzione annuale disposta dall'ente competente (ora il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali) e prelevata dai fondi destinati alle categorie ippiche;
   la delibera del Consiglio d'amministrazione Unire (ora Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali) n. 179 del 29 dicembre 2009, dispone che – dal 1o gennaio 2010 – gli importi delle sanzioni pecuniarie inflitte sul campo siano versati al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali che li destina poi, con apposito provvedimento, al finanziamento della Cassa di previdenza assistenza di fantini, guidatori e allenatori;
   la delibera commissariale Assi (Agenzia dello sviluppo del settore ippico – ex Unire, ora Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali) n. 21 del 5 aprile 2012, in adempimento a quanto disposto dalla suddetta delibera n. 179, stabilisce le quote di ripartizione delle multe in questione destinando alla predetta Cassa la quota dell'80 per cento;
   le rilevazioni effettuate dalla «PQAI VII-Corse e manifestazioni ippiche» individuano nell'importo di euro 561.967,44 il montante delle multe comminate sul campo ad allenatori guidatori trotto negli anni dal 2010 al 2014 e di euro 78.561,00 il montante delle multe irrogate sul campo ad allenatori fantini galoppo negli anni 2012-2014, per un totale complessivo di euro 640.528,44;
   con decreto del 30 dicembre 2015, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali provvedeva a impegnare la somma complessiva euro 512.422,75 (quale saldo della quota pari all'80 per cento delle multe inflitte sul campo delle corse ippiche trotto e galoppo) nei confronti della Cassa nazionale di assistenza e previdenza degli allenatori guidatori trotto e allenatori fantini galoppo, somme che, però, non sono ancora state stanziate;
   da marzo 2013 (oltre 3 anni) gli assistiti della Cassa di previdenza e assistenza di fantini, guidatori e allenatori non percepiscono più il loro sussidio –:
   per quali motivi non si sia ancora provveduto al trasferimento degli importi già stanziati dal decreto del 30 dicembre 2015 alla Cassa nazionale di assistenza e previdenza degli allenatori guidatori trotto e allenatori fantini galoppo. (3-02378)
(11 luglio 2016)
(ex 5-08867 del 10 giugno 2016)

E)

   CAPOZZOLO e FAMIGLIETTI. – Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. – Per sapere – premesso che:
   nei giorni compresi tra il 25 e il 26 aprile 2016 il comprensorio irpino è stato colpito da un'intensa ondata di maltempo;
   la gelata tardiva che ha interessato la suddetta area ha arrecato danni ingentissimi ai vigneti, in particolar modo a quelli ubicati nelle vicinanze dei torrenti d'acqua, nelle vallate e nelle zone più basse;
   si sono registrati ingentissimi danni acuiti dalla stagione che vede le piante giunte nella fase fenologica di «grappoli separati» e pertanto maggiormente vulnerabili alle gelate;
   sulla base delle informazioni raccolte dagli enti locali e dalle organizzazioni di categoria i danni, in particolare alla viticoltura, purtroppo si ripercuoteranno anche sull'annata successiva poiché per le varietà guyot difficilmente si potrà ottenere un tralcio fruttifero, mentre per le varietà allevate a cordone molti speroni non emetteranno germogli;
   i territori colpiti per l'area del Taurasi sono Taurasi, Bonito, Castelfranci, Castelvetere sul Calore, Fontanarosa, Lapio, Luogosano, Mirabella Eclano, Montefalcione, Montemarano, Montemiletto, Paternopoli, Pietradefusi, Sant'Angelo all'Esca, San Mango sul Calore, Torre le Nocelle e Venticano;
   per l'area del Fiano i comuni interessati sono quelli di Avellino, Lapio, Atripalda, Cesinali, Aiello del Sabato, Santo Stefano del Sole, Sorbo Serpico, Salza Irpina, Parolise, San Potito Ultra, Candida, Manocalzati, Pratola Serra, Montefredane, Grottolella, Capriglia Irpina, Sant'Angelo a Scala, Summonte, Mercogliano, Forino, Contrada, Monteforte Irpino, Ospedaletto D'Alpinolo, Montefalcione, Santa Lucia di Serino e San Michele di Serino;
   infine per l'area del Greco di Tufo, denominazione di origine controllata e garantita: Tufo, Altavilla Irpina, Chianche, Montefusco, Prata di Principato Ultra, Petruro Irpino, Santa Paolina e Torrioni;
   danni poi si registrano anche in altre realtà sempre dell'Irpinia;
   organizzazioni di categoria, enti locali e anche gli uffici regionali del competente assessorato risultano essersi attivati per valutare l'opportunità di misure di sostegno ad un comparto di assoluta rilevanza dell'economia territoriale –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato per il sostegno alla viticoltura irpina, così duramente colpita dalla tardiva ondata di maltempo invernale del 26 aprile 2016, valutando anche l'opportunità di predisporre misure a tutela degli operatori in considerazione dei danni perduranti, anche in vista delle prossime annate.
(3-02379)
(11 luglio 2016)
(ex 5-08893 del 14 giugno 2016)

F)

   BENI e QUARTAPELLE PROCOPIO. – Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale e al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   il visto per il ricongiungimento familiare di cittadini stranieri viene concesso dall'autorità consolare o diplomatica italiana, previo nulla osta rilasciato dallo sportello unico per l'immigrazione presso la prefettura competente per il luogo di dimora del richiedente e dopo aver accertato l'autenticità della documentazione comprovante i presupposti richiesti per l'accoglimento dell'istanza;
   la procedura per i titolari di protezione internazionale è di maggior favore e non prevede alcun requisito, se non il vincolo di parentela, per esercitare il diritto all'unità familiare e ricongiungere quindi i propri familiari (figli minori, coniugi, genitori ultra sessantacinquenni);
   per i titolari di protezione internazionale (status di rifugiato e protezione sussidiaria), consuetudine vuole che la maggior parte delle rappresentanze diplomatiche italiane all'estero chiedano, anche in presenza di documenti originali, il test del dna da effettuare tramite l'Organizzazione internazionale per le migrazioni, con un costo pari a 300 euro, che diventa particolarmente gravoso da sostenere laddove i familiari da ricongiungere siano numerosi;
   l'ambasciata italiana ha tempo sei mesi per esaminare la documentazione richiesta per il rilascio del visto di ricongiungimento familiare, tempistica che coincide con la validità del nulla osta emesso dalle prefetture;
   decorso il periodo di durata del nulla osta senza alcun pronunciamento da parte dell'autorità diplomatica, la procedura per la richiesta di ricongiungimento decade e i familiari devono presentare nuova richiesta alla prefettura competente per il rilascio di un nuovo nulla osta;
   le lungaggini delle procedure mettono in serio rischio l'incolumità delle persone da ricongiungere in quanto familiari di un titolare di protezione internazionale, per il quale lo Stato italiano ha riconosciuto il bisogno e quindi il diritto alla protezione;
   a quanto consta agli interroganti al numero verde per rifugiati e richiedenti asilo, gestito dall'associazione Arci nazionale, sono arrivate numerose segnalazioni di enormi ritardi nelle pratiche di ricongiungimento familiare di cittadini somali presso l'ambasciata italiana a Nairobi;
   le richieste di ricongiungimento familiare, segnalate dall'associazione, che risultano in sospeso presso tale ambasciata, hanno tutte ottenuto il nulla osta necessario per il rilascio del visto, ma ad oggi l'autorità diplomatica non si è ancora pronunciata in merito all'accoglimento o meno dell'istanza;
   nonostante le richieste siano corredate da tutta la documentazione richiesta, ivi compreso il risultato positivo del test del dna ove richiesto, non si comprendono i motivi del ritardo nel pronunciamento dell'autorità diplomatica italiana, che nella maggior parte dei casi supera di gran lunga un anno di attesa;
   inoltre, le segnalazioni ricevute dall'associazione denunciano le numerose difficoltà riscontrate nell'ottenere un appuntamento per l'espletamento dell'istanza presso l'ambasciata, la quale si avvale di un'agenzia di intermediazione (Vsf global), e nelle ingenti somme che dovrebbero essere corrisposte per i servizi che tale agenzia fornisce;
   l'immobilismo burocratico che blocca le pratiche di rilascio del visto di ricongiungimento e le notevoli risorse economiche necessarie per far fronte alle procedure richieste, senza che vi sia stato un pronunciamento da parte dell'autorità diplomatica competente, stanno di fatto costringendo i familiari dei richiedenti a rinunciare alle cosiddette «vie legali» per affidarsi ai trafficanti e raggiungere i propri cari mettendo a rischio la propria vita;
   l'ambasciata italiana a Nairobi, più volte contattata dall'associazione a seguito delle numerose sollecitazioni, avrebbe motivato i ritardi relativi all'espletamento delle procedure di rilascio dei visti attribuendoli ad un «sotto organico» che non permetterebbe di ottemperare alle richieste in tempi certi;
   alla luce degli impegni assunti dall'Italia e dalla stessa Unione europea nella lotta contro i trafficanti di esseri umani, l'operato dell'ambasciata italiana a Nairobi e le motivazioni che avrebbe fornito per giustificare i gravi ritardi burocratici, che stanno bloccando numerose pratiche di rilascio dei visti per il ricongiungimento familiare, di fatto li disattendono, rischiando di favorire, seppur indirettamente, il ricorso alle vie illegali fortemente condannate dal nostro Paese –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quante siano ad oggi le richieste di ricongiungimento familiare ancora in sospeso presso l'ambasciata italiana a Nairobi;
   quali siano le cause ostative che hanno generato i gravi ritardi nel rilascio dei visti per il ricongiungimento familiare da parte dell'ambasciata italiana a Nairobi e in che modo intendano ovviare a questo ingiustificato immobilismo burocratico;
   in che modo intendano attivarsi al fine di far luce sulle difficoltà riscontrate nell'ottenere un appuntamento presso l'ambasciata italiana tramite la sopra citata agenzia di intermediazione e sulle tariffe da essa richieste per l'erogazione di tale servizio. (3-02380)
(11 luglio 2016)
(ex 5-06614 dell'8 ottobre 2015)