TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 637 di Martedì 14 giugno 2016

 
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INTERPELLANZA E INTERROGAZIONI

A) Interrogazioni

   ZARDINI, ZAPPULLA e PASTORELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il Parlamento ha approvato il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, il quale prevede all'articolo 7 una deroga a favore delle categorie protette, incluse le persone disabili, al divieto di nuove assunzioni nel caso in cui le amministrazioni pubbliche registrano una situazione di soprannumerarietà. Il comma 6 disciplina la rideterminazione del numero di assunzioni obbligatorie delle categorie protette sulla base delle quote d'obbligo e dei criteri di computo previsti dalla normativa vigente, tenendo conto, ove necessario, della dotazione organica come rideterminata secondo la legislazione vigente ed il comma 7 assegna al dipartimento della funzione pubblica il compito di monitorare l'adempimento dell'obbligo da parte delle pubbliche amministrazioni;
   la grave crisi economica e l'alto tasso di disoccupazione dell'Italia impegna il Governo a mettere in atto strategie che influenzino positivamente sul livello di crescita ed occupazionale del Paese, con particolare riguardo ai soggetti maggiormente coinvolti dall'emergenza sociale e tra questi i soggetti disabili, tutelati dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, avente la finalità di «promozione dell'inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro» (articolo 1). Il decreto-legge in questione risponde a tali esigenze se attuato in tempi veloci e non con i tempi lunghi della burocrazia;
   la preoccupazione è quella di assistere a tempi troppo alti da parte della burocrazia pubblica per l'attuazione dell'articolo 7, commi 6 e 7, del decreto-legge n. 101 del 2013 rispetto agli adempimenti da porre in essere ed alle esigenze ed aspettative delle categorie protette, le quali da molto tempo aspirano ad entrare nel mondo del lavoro;
   la nuova disposizione di legge dovrebbe concludere il processo di assunzione delle persone disabili promosso dall'Inps ed interrotto nella fase finale di reclutamento poiché la legislazione intervenuta nel frattempo non consentiva nuove assunzioni per le pubbliche amministrazioni che registravano personale eccedente o in soprannumero;
   l'Inps con determinazione n. 438 del 2 dicembre 2011 ha avviato il processo di reclutamento (approvazione dello schema di convenzione, autorizzazione ai direttori regionali dell'istituto di stipulare lo schema di convenzione con le province, piano di assunzione per 250 unità rispetto alla scopertura di 495 di disabili). Dopo la stipula delle convenzioni e lo svolgimento delle prove di selezione viene comunicato agli interessati l'idoneità della prova, il posizionamento utile per l'assunzione e la richiesta di presentare la documentazione per perfezionare l’iter dell'assunzione; a questo punto l'Inps in data 11 febbraio 2013 sospende l'ultima fase del processo di reclutamento a seguito dell'introduzione del principio generale del divieto di assumere in assenza di posti disponibili nella dotazione organica;
   nel caso dell'Inps i tempi lunghi del processo di reclutamento e selezione dei soggetti disabili non ha consentito l'assunzione dei soggetti interessati (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 gennaio 2013 successivo alla determinazione Inps n. 438 del 2 dicembre 2011), essendo intervenute alcune disposizioni di legge che vietano alle pubbliche amministrazioni che presentano una situazione di soprannumerarietà ed eccedenza della dotazione organica di effettuare nuove assunzioni –:
   se non reputi urgente accelerare il completamento del processo di reclutamento dei soggetti disabili da parte dell'Inps e di eventuali altre pubbliche amministrazioni al fine di procedere nel più breve tempo possibile all'assunzione dei soggetti interessati che hanno partecipato alla selezione, sono risultati idonei alle prove di selezione ed hanno ricevuto da parte del datore di lavoro pubblico la comunicazione del risultato di idoneità alle prove di selezione e la richiesta di invio della documentazione per perfezionare l’iter di assunzione;
   se non ritengano necessario intervenire affinché i datori di lavoro pubblici ed il dipartimento della funzione pubblica pubblichino nel proprio sito istituzionale i dati relativi alle quote d'obbligo scoperte a favore delle categorie protette, posto che la trasparenza di tali informazioni mette nelle condizioni i cittadini di conoscere i comportamenti dei datori di lavoro pubblici riguardo lo stato di assunzioni delle categorie protette e le pubbliche amministrazioni di velocizzare gli adempimenti di cui all'articolo 7, commi 6 e 7, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125;
   se non reputino urgente porre particolare attenzione ai tempi di attuazione degli adempimenti previsti dal decreto-legge in questione, affinché le aspettative delle categorie protette non vengano disattese da comportamenti dilatori e burocratici che non corrispondono alle esigenze delle persone interessate e del Paese ed alla volontà del Governo. (3-02308)
(13 giugno 2016)
(ex 5-01607 del 28 novembre 2013)

   ZARDINI, BARUFFI e PASTORELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. – Per sapere – premesso che:
   nonostante una netta inversione di tendenza che si è registrata nel corso dell'anno, l'alto tasso di disoccupazione dell'Italia ancora influisce negativamente sui soggetti disabili, tutelati dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, la quale si pone l'obiettivo, in particolare, di promuovere l'inserimento e l'integrazione delle persone disabili nel mondo del lavoro e disciplina conseguentemente le assunzioni obbligatorie e le quote di riserva a favore dei soggetti disabili;
   il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, ha eliminato gli ostacoli normativi che si frapponevano all'assunzione delle categorie protette nel caso in cui le pubbliche amministrazioni presentavano una situazione di soprannumerarietà di personale. Inoltre, tale decreto-legge ha previsto l'assegnazione al dipartimento della funzione pubblica di una funzione di monitoraggio sugli adempimenti previsti dal comma 6 dell'articolo 7 del medesimo decreto-legge, relativi alla rideterminazione della dotazione organica e all'obbligo dell'assunzione, a tempo indeterminato, di un numero di lavoratori pari alla differenza fra il numero come rideterminato e quello allo stato esistente;
   l'articolo 7, commi 6 e 7, tuttavia, non ha previsto anche l'obbligo delle pubbliche amministrazioni di pubblicare sul proprio sito istituzionale le quote d'obbligo scoperte a favore delle categorie protette e la trasparenza del monitoraggio assegnato al dipartimento della funzione pubblica –:
   quale sia l'orientamento sulla necessità di introdurre, a livello normativo, un vero e proprio obbligo di pubblicazione da parte del dipartimento della funzione pubblica dei risultati del monitoraggio di cui all'articolo 7, comma 6, del decreto-legge n. 101 del 2013 e delle pubbliche amministrazioni centrali e periferiche e degli enti territoriali dei dati e delle informazioni relative alle quote d'obbligo scoperte, al fine di mettere, da un lato, tutti i cittadini nelle condizioni di conoscere i comportamenti dei datori di lavoro pubblici, in un quadro di trasparenza delle pubbliche amministrazioni, e, dall'altro lato, per permettere alle pubbliche amministrazioni medesime di velocizzare gli adempimenti previsti dall'articolo 7, commi 6 e 7, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125;
   se, nelle more dell'auspicata modifica normativa, non valutino opportuno pubblicare comunque sul sito del dipartimento della funzione pubblica i risultati del monitoraggio previsto dal comma 6 dell'articolo 7 del decreto-legge n. 101 del 2013, nonché se non ritengano opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, per la pubblicazione, sul sito delle pubbliche amministrazioni, delle quote d'obbligo riservate a favore di queste categorie protette, al fine di rendere conoscibile e trasparente ai cittadini la disponibilità di tali posti e di facilitare così lo svolgimento degli adempimenti previsti perché essi vengano prontamente ricoperti;
   se non reputino importante assumere iniziative normative volte a prevedere l'obbligo, da parte del dipartimento della funzione pubblica e delle pubbliche amministrazioni, della pubblicazione, rispettivamente, del monitoraggio e dei dati e delle informazioni relative alle quote d'obbligo individuate. (3-02309)
(13 giugno 2016)
(ex 4-12383 del 7 marzo 2016)

B) Interrogazione

   CIPRINI, GALLINELLA, TRIPIEDI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO e LOMBARDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 14 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, reca norme in materia di organismo indipendente di valutazione della performance e stabilisce che «Ogni amministrazione, singolarmente o in forma associata, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, si dota di un organismo indipendente di valutazione della performance», in sostituzione dei precedenti servizi di controllo interno;
   il medesimo articolo 14, al comma 3, stabilisce altresì che i membri dei vari organismi indipendenti di valutazione della performance sono nominati, sentita la Commissione di cui all'articolo 13, dall'organo di indirizzo politico-amministrativo per un periodo di tre anni rinnovabili una sola volta;
   la Commissione di cui all'articolo 13, chiamata ad esprimere un parere sulla nomina dei membri degli organismi indipendenti di valutazione della performance, opera in posizione di indipendenza di giudizio e di valutazione e in piena autonomia, in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento della funzione pubblica e con il Ministero dell'economia e delle finanze – dipartimento della Ragioneria generale dello Stato e, eventualmente, in raccordo con altri enti o istituzioni pubbliche, con il compito di indirizzare, coordinare e sovrintendere all'esercizio indipendente delle funzioni di valutazione, di garantire la trasparenza dei sistemi di valutazione, di assicurare la comparabilità e la visibilità degli indici di andamento gestionale, informando annualmente il Ministro per l'attuazione del programma di governo sull'attività svolta;
   l'articolo 13, comma 6, lettera g), del citato decreto legislativo, conferiva in capo ad una «Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche» il compito di definire i «requisiti per la nomina dei componenti dell'organismo indipendente di valutazione», assolto tramite propria delibera n. 4 del 16 febbraio 2010, integrata successivamente dalle delibere n. 107 del 2010, n. 21 del 2012, n. 23 del 2012, n. 27 del 2012 e n. 29 del 2012;
   la Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (Civit, oggi Autorità nazionale anticorruzione – Anac) è intervenuta in seguito, tramite propria delibera n. 12 del 2013, per riformare i requisiti e il procedimento per la nomina dei componenti degli organismi indipendenti di valutazione;
   in tale delibera n. 12 del 2013 si stabilisce, al punto 9, che «Nessun componente può appartenere contemporaneamente a più organismi indipendenti di valutazione o nuclei di valutazione. Il principio di esclusività può essere derogato nelle ipotesi in cui si tratti di incarichi in enti di piccole dimensioni che trattano problematiche affini e che operano nella stessa area geografica, anche in relazione alla valutazione complessiva degli impegni desumibili dal curriculum. L'assenza o l'eventuale contemporanea presenza in altri organismi indipendenti di valutazione o nuclei di valutazione deve essere oggetto di dichiarazione sottoscritta dal candidato che deve essere trasmessa dall'amministrazione alla Commissione. Si segnala l'opportunità di evitare che le amministrazioni procedano a nomine incrociate, nel senso che l'appartenente a una amministrazione sia nominato componente dell'organismo indipendente di valutazione della performance di un'altra amministrazione che ha come componente dell'organismo indipendente di valutazione della performance persona appartenente all'amministrazione del candidato»;
   le competenze della Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (Civit), in materia di misurazione e valutazione della performance, dunque, sono state trasferite prima all'Autorità nazionale anticorruzione e successivamente, per effetto dell'articolo 19, comma 9, del decreto-legge n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114 del 2014, al dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri;
   particolare importanza riveste il punto 9 della delibera n. 12 del 2013 che espressamente sancisce il principio di esclusività, con il divieto per ciascun componente di far parte contemporaneamente di più organismi di valutazione o nuclei di valutazione, posto a garanzia dell'indipendenza e imparzialità dei membri dei medesimi organismi;
   tale norma si applica anche agli enti locali: recentemente il comune di Perugia, ad esempio, ha provveduto a nominare i membri del proprio organismo indipendente di valutazione della performance. Il predetto comune ha trasmesso al dipartimento della funzione pubblica i curricula vitae dei candidati individuati ma, successivamente, il dipartimento ha espresso parere non favorevole alla nomina di due componenti dell'organismo indipendente di valutazione della performance, in quanto risultano componenti dell'organismo indipendente di valutazione della performance del comune di Assisi; pertanto, non risultano rispettati i limiti delle 500 unità di personale dipendente in servizio presso le amministrazioni secondo quanto previsto al punto 9 della delibera Anac n. 12 del 2013, come modificata dalla decisione dell'11 giugno 2014. Ciò nonostante, il comune di Perugia, nella persona del sindaco, ha comunque provveduto a nominare i predetti componenti in seno all'organismo indipendente di valutazione della performance, contravvenendo agli indirizzi e al parere non favorevole espresso dal dipartimento della funzione pubblica in materia, tanto che sulla vicenda è stata presentata anche una interrogazione al sindaco del comune di Perugia da parte del gruppo consiliare del MoVimento 5 Stelle;
   il comune di Perugia, certamente, non è l'unico ente che contravviene agli indirizzi espressi e al parere del dipartimento della funzione pubblica in materia di requisiti ed esclusività del rapporto per la nomina a membro dell'organismo indipendente di valutazione della performance;
   eppure, i membri dell'organismo indipendente di valutazione della performance sono titolari di una serie di funzioni importanti in materia di monitoraggio del sistema di valutazione e trasparenza dell'attività amministrativa dell'ente pubblico, in particolare:
    a) monitorano il funzionamento complessivo del sistema di valutazione, della trasparenza e integrità dei controlli interni ed elaborano una relazione annuale sullo stato dello stesso;
    b) comunicano tempestivamente le criticità riscontrate ai competenti organi interni di governo e di amministrazione, nonché alla Corte dei conti, all'ispettorato della funzione pubblica e all'Anac;
    c) garantiscono la correttezza dei processi di misurazione e valutazione;
    d) propongono all'organo di indirizzo politico-amministrativo la valutazione annuale dei dirigenti di vertice e l'attribuzione ad essi dei premi;
    e) promuovono e attestano l'assolvimento degli obblighi relativi alla trasparenza e all'integrità;
    f) verificano i risultati e le buone pratiche di promozione delle pari opportunità;
   a giudizio degli interroganti, a fronte del mancato adeguamento degli enti locali agli indirizzi e pareri stabiliti dalla Commissione (Civit) in materia di requisiti ed esclusività del rapporto dei membri degli organismi indipendenti di valutazione della performance, non vi sono sanzioni idonee ad impedirne la violazione –:
   se il Governo sia conoscenza dei fatti descritti;
   quali siano i dati sul numero dei pareri non favorevoli espressi dal dipartimento della funzione pubblica, in materia di requisiti e di criteri di nomina dei membri degli organismi indipendenti di valutazione della performance degli enti locali e per quali motivi;
   quali iniziative, anche di tipo normativo, intenda adottare il Governo per rendere più efficace e più rigoroso il rispetto delle norme in materia di criteri di nomina e di esclusività del rapporto dei membri degli organismi indipendenti di valutazione della performance, nominati dagli enti locali, norme poste a garanzia dell'imparzialità, dell'indipendenza e dell'autonomia del medesimo OIV. (3-02307)
(13 giugno 2016)
(ex 5-07210 del 16 dicembre 2015)

C) Interrogazione

   TERZONI, GAGNARLI, BUSTO, GRILLO, SPESSOTTO, MASSIMILIANO BERNINI, PARENTELA, LOMBARDI e FRUSONE. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 25 febbraio 2016 si è appreso da fonti Ansa che in diversi marchi di birre tedesche sottoposte a un test specifico dall'Istituto per l'ambiente di Monaco sono state rintracciate quantità elevate di glifosato, un diserbante classificato dallo Iarc come probabile cancerogeno per l'uomo;
   il test avrebbe coinvolto 14 marche fra le più note in Germania: Beck's, Paulaner, Warsteiner, Krombacher, Oettinger, Bitburger, Veltins, Hasseroeder, Radeberger, Erdinger, Augustiner, Franziskaner, Konig Pilsener e Jever e sarebbero stati registrati valori oscillanti tra 0,46 e 29,74 microgrammi per litro, nei casi più estremi quasi 300 volte superiori a 0,1 microgrammi, che è il limite consentito dalla legge per l'acqua potabile –:
   quali iniziative il Governo intenda mettere in atto al fine di tutelare i consumatori italiani e se non ritengano opportuno intensificare i controlli analitici rispetto a tali categorie merceologiche di importazione;
   se e quali controlli vengano eseguiti sul malto d'orzo e sul luppolo, anche importati, per la produzione delle birre di produzione italiana e in modo specifico circa la presenza di residui di prodotti chimici quali i diserbanti e, in caso negativo, se non ritengano di dover avviare dei controlli specifici;
   se non ritengano opportuno effettuare idonei controlli sulle birre di importazione citate in premessa e, nel caso di risultati positivi alla presenza di glifosato, se non intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, volte all'immediato ritiro dei prodotti dal commercio.
(3-02057) (Nuova formulazione)
(26 febbraio 2016)

D) Interpellanza

   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   la situazione degli 8 istituti carcerari abruzzesi è estremamente grave: a fronte di una capienza complessiva di 1.533 detenuti, ve ne sono oggi 1.935 con una eccedenza di 402 detenuti, che sarebbe ancora più grave se non vi fossero 77 posti vacanti nelle strutture carcerarie di Vasto e L'Aquila;
   nel dettaglio la situazione delle carceri abruzzesi è la seguente: Teramo 393 detenuti al posto dei 229 previsti; Sulmona 471 al posto di 306; Lanciano 273 al posto di 196; Avezzano 71 al posto di 51; Chieti 111 al posto di 83; Pescara 282 al posto di 271; Vasto 170 al posto di 204; L'Aquila 138 al posto di 191;
   nel corso del 2013 nelle carceri abruzzesi si sono verificati 118 casi di grave autolesionismo, 31 tentativi di suicidi e 1 suicidio;
   da evidenziare che nel carcere di Sulmona negli ultimi 10 anni ci sono stati ben 13 suicidi a testimonianza di una triste e intollerabile situazione;
   il sovraffollamento delle carceri abruzzesi richiede un intervento urgente non solo sul piano della edilizia penitenziaria, ma soprattutto sull'adozione di scelte politiche e amministrative che raccolgano i contenuti del messaggio inviato all'epoca al Parlamento dall'allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano –:
   quali iniziative intenda assumere per contrastare il fenomeno del sovraffollamento delle carceri in Abruzzo nel quadro della grave situazione di emergenza nazionale che contraddistingue la condizione dei detenuti italiani.
(2-00364) «Melilla».
(14 gennaio 2014)

E) Interrogazione

   MORANI, CARRESCIA, BORGHI, FONTANELLI e VALIANTE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   i trasferimenti delle risorse statali ai comuni a seguito delle manovre finanziarie sono diminuiti negli ultimi 3 anni di circa 6 miliardi e 450 milioni di euro, determinando una situazione finanziaria di assoluta insostenibilità;
   in questo quadro di riduzione progressiva di trasferimenti si inserisce l'anomalia rappresentata dalla legge 24 aprile 1941, n. 392, recante «Trasferimento ai comuni del servizio dei locali e dei mobili degli uffici giudiziari», che pone anacronisticamente a carico dei comuni le spese per la gestione degli uffici giudiziari che poi sono rimborsate dal Ministero della giustizia con l'erogazione di un contributo economico annuo, mai integrale;
   tale previsione normativa che mette a carico dei comuni le spese degli uffici giudiziari è stata emanata nel 1941, cioè prima della nascita della Repubblica e dell'approvazione della Costituzione che assegna allo Stato le funzioni in materia di giustizia;
   a fronte di una spesa media annuale dei tribunali ed uffici giudiziari – ed anticipate dai bilanci dei comuni – pari a 315 milioni di euro annui, negli ultimi tre anni il contributo versato dallo Stato ai comuni a titolo di rimborso è stato compreso tra il 60-80 per cento delle spese effettivamente sostenute e gli acconti e i saldi sono stati spesso erogati accumulando gravi ritardi, a volte anche di diversi anni;
   nel relativo capitolo di bilancio del Ministero della giustizia sono iscritti per l'esercizio in corso solo 79,8 milioni di euro, mentre le spese sostenute dai comuni relative all'anno 2012 sono di oltre 300 milioni di euro, già anticipati dalle casse delle amministrazioni comunali;
   il processo di riorganizzazione delle sedi giudiziarie sul territorio nazionale ha, tra le inevitabili conseguenze, una maggiore concentrazione di spese sui comuni dove sono state accorpate le sedi giudiziarie soppresse dal decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155;
   a ciò si aggiunge che nei comuni accorpanti le sedi giudiziarie soppresse iniziano a fioccare nuove richieste di spesa da mettere a carico dei bilanci comunali che si esplicitano in spese per il trasloco, spese per la realizzazione, adeguamento e messa in sicurezza di nuove sedi, spese per le nuove utenze, spese per i nuovi servizi di vigilanza e di gestione ordinata degli immobili, con richiesta da parte dei tribunali di risorse aggiuntive e ulteriori comprese tra il 15 per cento e il 110 per cento rispetto all'anno precedente;
   tali risorse sono state impiegate dai comuni solo ed esclusivamente per garantire l'erogazione di un servizio di diretta gestione statale –:
   quali informazioni e dati possa fornire in materia e quali provvedimenti ed iniziative urgenti intenda assumere per garantire il ristoro delle spese e il superamento di una situazione così problematica a carico dei bilanci comunali;
   a quanto ammontino le risorse iscritte nel relativo capitolo di bilancio del Ministero della giustizia per l'anno 2012 al fine di corrispondere il contributo ai comuni, se siano state decurtate e a quanto ammonti tale diminuzione rispetto al 2011;
   quali siano le iniziative che il Governo sta intraprendendo, anche con carattere d'urgenza, al fine di assicurare la copertura delle spese già sostenute dai comuni nel 2012, per garantire il rispetto della legge;
   quali siano le iniziative che il Governo sta intraprendendo, anche con carattere d'urgenza, al fine di garantire la copertura delle spese per l'erogazione del servizio della giustizia sull'intero territorio nazionale per gli anni 2013 e 2014;
   se non sia opportuno superare questo sistema di copertura dei costi degli uffici giudiziari assumendo iniziative per l'abrogazione della legge 24 aprile 1941, n. 392, ponendo a carico dell'amministrazione della giustizia la gestione diretta delle spese in modo da garantire responsabilità ed efficacia. (3-00447)
(13 novembre 2013)

F) Interrogazioni

   GALGANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nei mesi scorsi sono state denunciate in maniera anonima da due operai che hanno prestato servizio nella costruzione del tunnel e segnalate dalla trasmissione Report su Rai 3 presunte criticità in merito alla realizzazione della galleria La Franca, lunga un chilometro, sull'asse della nuova strada statale 77 Foligno-Civitanova Marche, nell'ambito del progetto viario Quadrilatero Marche-Umbria;
   i sospetti denunciati dai lavoratori riguardano il fatto che si sarebbe utilizzato meno cemento del necessario nella realizzazione del tunnel; secondo le testimonianze dei due operai, al fine di risparmiare tempo e costi, la galleria sarebbe stata costruita con materiali scadenti, in alcuni punti non ci sarebbe cemento a sufficienza per reggerne il peso e all'interno della struttura, che si trova in una zona altamente sismica, si registrerebbero seri problemi di sicurezza;
   il presidente dimissionario dell'Anas, Pietro Ciucci, ha minimizzato le accuse sostenendo che si tratta di «denunce anonime prive di riscontri» ed ha difeso la totale legalità nell'esecuzione dei lavori: «Sulla galleria La Franca, in corso di costruzione nell'ambito dei lavori di realizzazione del Quadrilatero Marche-Umbria, la qualità e la quantità dei materiali utilizzati (calcestruzzo, ferro, centine) risulta ben superiore rispetto a quanto previsto dal progetto esecutivo, e senza alcun aumento dei costi, trattandosi di corrispettivo per lavori “a corpo”. Peraltro, nell'ambito dei protocolli di legalità sottoscritti dalla nostra società Quadrilatero con le prefetture di Macerata e Perugia, sono stati adottati controlli specifici sulla qualità del calcestruzzo condotti dal gruppo interforze e tesi a garantire la completa tracciabilità ed originalità delle forniture. Già lo scorso anno è stata inoltre effettuata un'indagine georadar su circa il 25 per cento dell'opera, ispezionando complessivamente 240 metri per ciascuna canna. Da tale indagine non è emersa alcuna criticità in merito a sottospessori, né a vuoti a tergo dei rivestimenti»;
   ad ogni buon fine, dopo la segnalazione della trasmissione Report, per fugare qualsiasi dubbio in relazione alle denunce anonime, l'Anas ha disposto l'estensione sull'intera galleria delle verifiche tramite tecnologia georadar, già compiute su oltre il 20 per cento della lunghezza complessiva, e le relative attività hanno avuto inizio alla presenza delle telecamere di Report in data 10 aprile 2015;
   l'Anas, oltre a garantire l'avvio immediato delle verifiche e l'ultimazione delle stesse nel giro di pochi giorni, ha assicurato che le risposte degli accertamenti eseguiti con i georadar sarebbero state fornite in breve, entro massimo una decina di giorni dall'inizio delle verifiche;
   allo stato attuale, nonostante sia passato più di un mese dall'avvio, non sono stati ancora resi noti i risultati di tali verifiche;
   dal momento che, in assenza di problemi, i vertici dell'Anas avrebbero interesse a confermare la realizzazione a norma della galleria (invece, qualora le verifiche non siano state ancora ultimate, sarebbe compito dell'Anas portare a conoscenza dell'opinione pubblica e delle istituzioni eventuali ritardi in merito ai risultati delle stesse), potrebbero sollevarsi timori e sospetti che i controlli sulla galleria La Franca abbiano manifestato qualche criticità, magari minima o irrilevante rispetto alla sicurezza della galleria, che nessuno vorrebbe portare a conoscenza –:
   quali siano i motivi dei ritardi sugli esiti delle verifiche effettuate e, qualora gli esiti dei controlli dimostrino qualche criticità sulla realizzazione della galleria, se intenda fare al più presto chiarezza su eventuali responsabilità e rimuovere qualsiasi ostacolo allo sviluppo della galleria, al fine di fornire adeguate garanzie circa la sicurezza e la solidità strutturale dell'opera, essendo la strada statale 77 un asse viario fondamentale per il progetto Quadrilatero e quindi per il potenziamento infrastrutturale del territorio interessato.
(3-01517)
(3 giugno 2015)

   GALGANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il progetto viario Quadrilatero Marche-Umbria si sviluppa su una serie di interventi stradali che comportano un investimento complessivo di oltre 2,2 miliardi di euro;
   tale progetto, approvato dal Cipe con delibera n. 13 del 2004, è suddiviso in due maxilotti relativi alla direttrice Foligno-Civitanova Marche (ML1) e alla direttrice Perugia-Ancona e Pedemontana delle Marche (ML2);
   nell'ambito del progetto viario Quadrilatero Marche-Umbria, la galleria La Franca lunga un chilometro, fa parte del potenziamento della strada statale 77 Val di Chienti, tratto Foligno-Collesentino (completamento 4 corsie). Tale tratta è ricompresa nell'ambito del maxilotto 1, affidato, con gara ad evidenza pubblica, all'associazione temporanea di imprese costituita da Strabag Ag, Cmc e Grandi lavori Fincosit che hanno costituito la società cooperativa per azioni «Val di Chienti»;
   dal punto di vista tecnico, la galleria si compone di due canne, una per ciascun senso di marcia, con carreggiata composta da due corsie di 3,75 metri con banchina in destra di 1,75 metri e in sinistra di 0,5 metri (sezione stradale di tipo B del decreto ministeriale del 5 novembre 2001). La lunghezza della canna nord è pari a 1.052 metri, dei quali 1.018 scavati in sotterraneo e 34 in artificiale. La lunghezza della canna sud è di 1.075 metri, dei quali 1.033 scavati in sotterraneo e 42 in artificiale. Le attività di scavo e di rivestimento definitivo della galleria sono state eseguite nel periodo che va dal novembre 2009 al dicembre 2011;
   la galleria La Franca, essendo ubicata in un tratto allo stato non funzionale, sarà aperta al traffico, previo collaudo, con l'apertura al traffico dell'intera tratta Foligno-Collesentino;
   nei primi mesi del 2015 sono state denunciate, in maniera anonima da due operai che hanno prestato servizio nella costruzione del tunnel e segnalate dalla trasmissione Report su Rai 3, presunte criticità in merito alla realizzazione della galleria La Franca;
   i sospetti denunciati dai lavoratori riguardano il fatto che si sarebbe utilizzato meno cemento del necessario nella realizzazione del tunnel; secondo le testimonianze dei due operai, al fine di risparmiare tempo e costi, la galleria sarebbe stata costruita con materiali scadenti, in alcuni punti non ci sarebbe cemento a sufficienza per reggerne il peso e all'interno della struttura, che si trova in una zona altamente sismica, si registrerebbero seri problemi di sicurezza;
   il presidente dimissionario dell'Anas, Pietro Ciucci, ha minimizzato le accuse, sostenendo che si tratti di «denuncia anonima priva di riscontri» ed ha difeso la totale legalità nell'esecuzione dei lavori: «Sulla galleria La Franca, in corso di costruzione nell'ambito dei lavori di realizzazione del Quadrilatero Marche-Umbria, la qualità e la quantità dei materiali utilizzati (calcestruzzo, ferro, centine) risulta ben superiore rispetto a quanto previsto dal progetto esecutivo, e senza alcun aumento dei costi, trattandosi di corrispettivo per lavori »a corpo«. Peraltro, nell'ambito dei protocolli di legalità sottoscritti dalla nostra società Quadrilatero con le prefetture di Macerata e Perugia, sono stati adottati controlli specifici sulla qualità del calcestruzzo condotti dal gruppo interforze e tesi a garantire la completa tracciabilità ed originalità delle forniture. Già nel 2014 è stata inoltre effettuata un'indagine georadar su circa il 25 per cento dell'opera, ispezionando complessivamente 240 metri per ciascuna canna. Da tale indagine non è emersa alcuna criticità in merito a sottospessori, né a vuoti a tergo dei rivestimenti»;
   inoltre, la stessa società Quadrilatero ha evidenziato che, in data 20 aprile 2007, il consiglio di amministrazione deliberò di adottare le «nuove norme tecniche sulle costruzioni» di cui al decreto ministeriale del 14 settembre 2005, sopraggiunte successivamente alla pubblicazione dei bandi di gara del novembre 2004. Tenuto conto che la norma ha innovato totalmente la disciplina degli interventi in zona sismica, da un lato, la società doveva tener conto delle garanzie di sicurezza e, dall'altro, del dettato della norma stessa che consentiva l'applicazione delle norme preesistenti, ma per un periodo transitorio. Tuttavia, il ricorso al periodo transitorio avrebbe comportato forti disomogeneità nella qualità delle opere stradali di competenza della Quadrilatero; inoltre, il rischio sismico dell'area richiedeva l'adozione della nuova normativa per garantire il massimo della sicurezza e della durabilità delle infrastrutture. A valle di tale delibera, sono state richieste ai contraenti generali le modifiche necessarie a contemperare l'impiego delle nuove norme antisismiche e, conseguentemente, sono stati adeguati i progetti;
   la società ha altresì aggiunto che, rispetto al progetto esecutivo e considerato il contesto geomeccanico rilevato in corso d'opera, è stata incrementata l'applicazione delle sezioni tipo impiegate per contesti mediamente instabili. Infatti, per la realizzazione della galleria sono stati impiegati 53.461 metri cubi di calcestruzzo (+3.517 metri cubi rispetto al volume teorico previsto nel progetto esecutivo, che era di 49.943,90 metri cubi, pari al 7 per cento in più) e 405,50 tonnellate di acciaio (11,16 tonnellate in più rispetto al peso teorico previsto in progetto esecutivo, che era di 393.844,22, pari al 2,8 per cento in più della originaria previsione), come risulta dal registro dei getti di calcestruzzo e dal registro degli acciai, contenuti nei dossier qualità della società Quadrilatero. In relazione alle maggiori quantità di materiali impiegati, i lavori sono stati contabilizzati «a corpo», come da contratto, e quindi gli importi forfettari delle singole opere previsti nel progetto esecutivo restano invariati;
   per quanto concerne le attività svolte per il controllo della qualità dell'opera, la Quadrilatero ha informato che, oltre ai previsti controlli effettuati in corso d'opera, nel 2013 e nel 2014, è stata disposta un'indagine georadar sul 20 per cento di ciascuna opera su tutte le gallerie della tratta, al fine di indagare eventuali sottospessori nel rivestimento definitivo;
   in particolare, per la galleria La Franca sono stati ispezionati con tecnologia georadar 240 metri del rivestimento definitivo per ciascuna canna, pari a quattro tratte di 60 metri; i tratti da ispezionare sono stati scelti dall'alta sorveglianza Quadrilatero. Le risultanze dei controlli hanno evidenziato che il rivestimento di calotta presenta spessori conformi a quelli teorici, previsti nel progetto esecutivo approvato;
   ad ogni buon fine, dopo la segnalazione della trasmissione Report, per fugare qualsiasi dubbio in relazione alle denunce anonime, l'Anas ha disposto l'estensione sull'intera galleria delle verifiche tramite tecnologia georadar, già compiute su oltre il 20 per cento della lunghezza complessiva, e le relative attività hanno avuto inizio alla presenza delle telecamere di Report in data 10 aprile 2015;
   l'Anas, oltre a garantire l'avvio immediato delle verifiche e l'ultimazione delle stesse nel giro di pochi giorni, ha assicurato che le risposte degli accertamenti eseguiti con i georadar sarebbero state fornite in breve, entro massimo una decina di giorni dall'inizio delle verifiche;
   i controlli effettuati da Anas con i georadar hanno accertato che «per tratti pari al 23 per cento e 32 per cento rispettivamente delle canne nord e sud della galleria La Franca sono state evidenziate riduzioni di spessore superiori a 5 centimetri, di queste circa il 10 per cento circa presenta entità superiore ai 20 centimetri e qui per una quota pari al 3 per cento saranno previsti interventi integrativi, quali, ad esempio, il placcaggio con lastre di acciaio, ma in ogni caso per questi tratti non sono presenti rischi di natura statica. Per i restanti tratti pari al 77 per cento della canna nord e il 68 per cento della sud non sono presenti sottospessori significativi e, più in generale, dai controlli non sono emersi vuoti dietro al rivestimento definitivo»;
   è stata avviata una verifica su tutte le gallerie della Quadrilatero Marche-Umbria per accertare che nei tunnel dell'infrastruttura Perugia-Ancona e Foligno-Civitanova non ci siano ulteriori riduzioni di spessore rispetto agli accordi contrattuali. In questo senso, è stata disposta una procedura di audit (indagine interna) per verificare le modalità di attuazione dei controlli posti in essere;
   intanto, per motivi tecnici non inerenti all'indagine sulla galleria La Franca, l'inaugurazione della strada statale 77 Valdichienti, prevista per il 4 dicembre 2015, è slittata. L'apertura al transito dell'intero tratto avverrà presumibilmente entro il primo semestre del 2016. Questo è quanto emerso dal vertice del 23 ottobre 2015 al comune di Foligno, alla presenza del sindaco Nando Mismetti, dell'amministratore unico della Quadrilatero spa Guido Perosino, dei capigruppo consiliari;
   il 26 novembre 2015 sono state effettuate verifiche sulle spessore del cemento della volta e sulla qualità dei materiali impiegati per la galleria La Franca lungo la nuova strada statale 77 Val di Chienti-Foligno-Civitanova Marche dai carabinieri nell'ambito delle indagini della procura di Spoleto su presunte irregolarità nella realizzazione dei lavori. Sugli accertamenti gli inquirenti mantengono il riserbo, non escludendo comunque la possibilità di estendere i controlli anche ad altre gallerie della strada statale 77;
   il 12 dicembre 2015 la stampa locale umbra ha pubblicato indiscrezioni sulla presunta iscrizione di almeno sei persone nel registro degli indagati, per alcune delle quali si configurerebbero gravi ipotesi di reato, come truffa per pubblica fornitura e tentata strage. La fuga di notizie sarebbe avvenuta dalla procura della Repubblica di Spoleto, che da mesi sta indagando sull'adeguatezza di questa nuova arteria stradale, rispetto alle norme previste;
   la società Quadrilatero ha assicurato sin dall'inizio la massima collaborazione con i magistrati, ponendosi come parte lesa e auspicando di fare chiarezza ed accertare eventuali responsabilità –:
   considerate le varie vicissitudini che hanno caratterizzato la realizzazione dell'opera, se il Governo intenda fare al più presto chiarezza, per quanto di competenza, su eventuali responsabilità, rimuovere qualsiasi ostacolo all'apertura al traffico della galleria e fornire adeguate garanzie circa la sicurezza e la solidità strutturale del tunnel;
   essendo la strada statale 77 un asse viario fondamentale per il progetto del Quadrilatero Marche-Umbria e quindi per il potenziamento infrastrutturale del territorio interessato, quali iniziative intenda assumere affinché si proceda celermente all'ultimazione e all'apertura della suddetta arteria stradale. (3-01910)
(22 dicembre 2015)

   RICCIATTI, FRANCO BORDO, FERRARA, AIRAUDO, PLACIDO, FRATOIANNI, ZARATTI, PELLEGRINO, PIRAS, QUARANTA, SANNICANDRO, KRONBICHLER e MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   in data 26 novembre 2015 i carabinieri del comando provinciale di Perugia, supportati dal reparto indagini tecniche del Raggruppamento operativo speciale (Ros) dell'Arma dei carabinieri, hanno effettuato un sopralluogo tecnico presso la galleria La Franca, sulla quale è stata aperta un'indagine a seguito delle rivelazioni della trasmissione televisiva Report (Cronache Maceratesi.it, 26 novembre 2015);
   gli accertamenti sono stati disposti dalla procura della Repubblica di Spoleto nell'ambito dell'inchiesta relativa ai lavori effettuati nella galleria;
   l'interrogante aveva già segnalato la vicenda con l'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05313 del 13 aprile 2015;
   nella risposta (pubblicata giovedì 4 giugno 2015 nel bollettino in Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei deputati) il Sottosegretario per le infrastrutture e i trasporti Del Basso De Caro riferiva che, a seguito delle segnalazioni anonime, divulgate dagli organi di informazione, la società Quadrilatero aveva esteso i controlli a tutta la galleria. Il 10 aprile 2015 sono stati quindi avviati controlli georadar, completati il successivo 16 maggio. Nella risposta, si dà inoltre conto del fatto che il 27 maggio 2015 «la società Quadrilatero ha acquisito la relazione del progettista del contraente generale dalla quale risulta quanto segue: i dati relativi ai maggiori volumi di calcestruzzo impiegati sono stati confermati sulla base delle restituzioni tridimensionali dei rilievi georadar; non sono emersi vuoti dietro al rivestimento definitivo; per circa il 77 per cento della canna nord e il 68 per cento della canna sud non sono presenti sottospessori significativi del rivestimento definitivo, previsto da progetto in 50 centimetri; nell'ambito dei restanti tratti sono state evidenziate riduzioni di spessore superiori a 5 centimetri, dei quali complessivamente il 10 per cento circa presenta entità superiore ai 20 centimetri. Nell'ambito di tale 10 per cento e per una quota pari al 3 per cento saranno previsti interventi integrativi, quali, ad esempio, il placcaggio con lastre di acciaio. In particolare, come si evince dalla relazione del progettista, anche in questi ultimi tratti, che rappresentano il 3 per cento del rivestimento complessivo, la problematica statica non coinvolge il breve-medio termine della vita dell'opera. Pertanto, saranno effettuati a carico del contraente generale gli opportuni interventi integrativi puntuali, tali da ripristinare l'efficienza prestazionale del rivestimento nel lungo periodo, prima del collaudo definitivo e dell'apertura al traffico»; a quanto si apprende dalla testata citata altre verifiche potrebbero essere effettuate nelle gallerie di Serravalle e Varano nel maceratese, già aperte al transito –:
   se il Governo sia in grado di riferire sullo stato degli interventi integrativi disposti a seguito delle verifiche presso la galleria La Franca, come riportato nella risposta all'atto di sindacato ispettivo di cui in premessa. (3-02310)
(13 giugno 2016)
(ex 5-07123 del 27 novembre 2015)

MOZIONI CONCERNENTI L'AFFIDAMENTO DI SERVIZI NEL SETTORE DEI BENI CULTURALI, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLO SVOLGIMENTO DI PROCEDURE DI GARA

   La Camera,
   premesso che:
    il settore dei servizi gestionali, amministrativi e culturali nei principali complessi museali in Italia vive da più di quindici anni una situazione di stallo, e molti dei principali monumenti e musei del nostro Paese sono gestiti in regime di proroga, in contrasto con la vigente disciplina sia nazionale che comunitaria; in taluni casi, come per il complesso del Colosseo, la proroga è addirittura scaduta e i servizi sono gestiti sulla base di circolari e altri documenti interni secondo una prassi censurata anche dalla Corte dei Conti;
    tale situazione riguarda sia i servizi di biglietteria che i cosiddetti servizi aggiuntivi, quali ad esempio i servizi editoriali, le audioguide, le visite guidate, spazi per eventi e mostre, e altro;
    la mancata effettuazione di gare nei principali monumenti e musei ha determinato un'ingente perdita di potenziali introiti per il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (di seguito definito per brevità il Ministero); basti pensare, a titolo di esempio che in relazione ai servizi aggiuntivi erogati presso il complesso del Colosseo, il fatturato da servizi aggiuntivi negli anni 2011-2015 (anni nei quali la concessione era scaduta) è stato di euro 35,1 milioni, dei quali solo euro 3,9 milioni, corrispondenti all'11,2 per cento sono andati all'amministrazione;
    nel febbraio del 2015, il Ministero ha annunciato, con un documento intitolato «La cultura delle gare nelle gare per la cultura» l'avvio insieme a Consip di una collaborazione mirata ad assicurare meccanismi trasparenti ed efficienti per gli affidamenti dei servizi da svolgere nei nuovi musei autonomi e nei poli museali regionali;
    il programma avviato dal Ministero con Consip prevede tre linee di intervento: la prima per i servizi gestionali, che includono i «servizi operativi» (manutenzione edile e impiantistica, pulizia ed igiene ambientale, guardaroba, facchinaggio, e altro) e i «servizi di Governo» (sistema informativo, call center, anagrafica tecnica, e altro), la seconda per la realizzazione di un servizio di biglietteria, prenotazione e prevendita, che sarà usato da tutti i siti del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e facoltativamente dagli Enti locali; la terza per i «progetti culturali», finalizzati alla migliore fruizione dei siti dal punto di vista culturale (a titolo di esempio: noleggio audioguide; visite guidate; laboratori e didattica; spazi, eventi e mostre e altro);
    la finalità dichiarata del programma di gare avviato dal Ministero è quella di porre fine al fenomeno delle proroghe delle concessioni dei servizi aggiuntivi nei luoghi della cultura e di garantire che il Ministero possa contare sulla cooperazione tra le migliori risorse pubbliche e private per garantire la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale della nazione;
    nel mese di luglio del 2015 è stata lanciata da Consip la prima fase del programma, con la pubblicazione del bando per l'affidamento di servizi gestionali e operativi (Facility management), per gli istituti e i luoghi della cultura pubblici. La gara appena bandita, del valore complessivo di 640 milioni di euro, suddivisi in nove lotti territoriali, renderà disponibili al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e agli enti locali i servizi gestionali e operativi attraverso una convenzione quadro della durata di 24 mesi (più eventuali 12 di proroga);
    il Ministro Franceschini ha annunciato che le prime gare Consip per la fornitura dei servizi aggiuntivi saranno avviate entro il mese di giugno del 2016;
    nel marzo del 2016, il Ministero ha promosso la fusione delle proprie società in house Ales e Arcus s.p.a., con l'obiettivo di «assicurare al meglio l'erogazione di servizi culturali, le attività di valorizzazione del patrimonio e le attività di fund raising»;
    il Ministro Franceschini ha dichiarato alla stampa che Ales dovrà dar vita a una divisione che si occuperà servizi aggiuntivi, in modo tale «il direttore del museo potrà scegliere se affidare alcuni servizi, o anche tutti, ai privati mediante gara oppure riservarli alla nuova Ales attraverso l'affidamento diretto, visto che si tratta di una società in house del ministero»;
    è fondamentale che l'assegnazione dei servizi aggiuntivi avvenga nel rispetto delle linee guida annunciate dal Ministero e cioè dell'introduzione della cultura delle gare nel settore dei beni culturali; per questo motivo, è evidente che il ricorso ad Ales per l'erogazione di servizi aggiuntivi dovrà essere limitato esclusivamente ai casi nei quali l'affidamento del servizio attraverso una gara Consip non sia possibile per mancanza di soggetti privati interessati o risulti chiaramente antieconomico;
    in proposito, va ricordato che la fusione delle società in house del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo è stata prevista dalla legge di stabilità con l'obiettivo di assicurare risparmi della spesa pubblica; pertanto, in nessun caso l'affidamento di servizi aggiuntivi ad Ales dovrà essere effettuato quando ciò comporti oneri aggiuntivi a carico dello Stato, sotto forma di assunzione di personale aggiuntivo da parte di Ales o sotto qualsiasi altra forma;
    occorre assicurare che le procedure di gara Consip per i servizi aggiuntivi avvengano con modalità tali da assicurare la massima partecipazione competitiva, e il miglior risultato possibile in termini sia qualitativi che economici;
    il Ministero ha più volte affermato che i bandi di gara Consip saranno basati su progetti scientifico-culturali predisposti dai singoli musei o dai poli regionali;
    per il perseguimento degli obiettivi di qualità ed economicità sopra richiamati, appare opportuno, soprattutto presso i complessi archeologici museali più importanti e redditizi, avviare gare distinte per i diversi servizi, che oggi sono svolti, nella maggior parte dei casi, tutti dallo stesso soggetto; è evidente, infatti, come sia più vantaggioso per l'amministrazione pubblica affidare ciascun servizio al soggetto specializzato più qualificato ed economicamente più conveniente;
    l'accorpamento dei diversi servizi, e soprattutto l'affidamento a chi eroga servizi aggiuntivi anche del servizio di biglietteria deve essere limitato ai casi in cui ciò sia strettamente necessario per consentire la fattibilità economica del servizio; in ogni altro caso, il servizio di biglietteria dovrà essere oggetto di gara separata;
    ai fini di assicurare la qualità, innovatività e originalità dei progetti scientifici definitivi dei musei e poli regionali che costituiranno la base per ciascuna gara Consip, è importante che la pubblicazione del bando di gara sia preceduta da manifestazioni di interesse attraverso le quali i soggetti interessati a partecipare possano proporre soluzioni anche diverse e aggiuntive rispetto a quelle descritte nella manifestazione di interesse, o che sia comunque prevista una fase di consultazione degli operatori privati che consenta all'amministrazione pubblica di raccogliere le idee migliori e più originali per includerle nell'oggetto di gara;
    è essenziale che con riguardo ai procedimenti per l'affidamento di servizi aggiuntivi il Ministero assicuri la più totale trasparenza, attraverso la pubblicazione sul proprio sito istituzionale di ogni necessaria informazione, con particolare riferimento alla sussistenza delle ragioni economiche e scientifiche che hanno giustificato l'eventuale ricorso ad eventuali affidamenti in house;
    nella gestione dei musei e dei siti archeologici è frequente il ricorso, da parte dell'amministrazione, alla cosiddetta pratica dei servizi «conto terzi», consistente nello svolgimento da parte di personale delle sovrintendenze di lavoro straordinario che viene posto a carico del soggetto affidatario delle mostre e delle altre manifestazioni culturali o di altri eventi autorizzati nei siti culturali, che richiedono appunto lo svolgimento di prestazioni lavorative al di fuori dei normali orari;
    il conto terzi è attualmente regolato da un accordo sindacale del 3 marzo 2010 tra il Ministero per i beni e le attività culturali e le organizzazioni sindacali (di seguito per brevità definito «accordo sindacale») in base al quale le prestazioni «in conto terzi» si considerano analoghe alle prestazioni extraistituzionali, e devono avere carattere occasionale e temporaneo, senza pregiudizio per le attività istituzionali e senza oneri aggiuntivi per l'amministrazione;
    il conto terzi è divenuto nel tempo uno strumento utilizzato con grande frequenza, tanto da sollevare polemiche e contestazioni, anche per i criteri non sempre trasparenti di scelta del personale coinvolto e per la mancanza di informazioni precise sulla dimensione effettiva del fenomeno;
    rispondendo a un'interrogazione del gruppo parlamentare Scelta Civica sul tema del conto terzi, il Ministro Franceschini ha indicato di disporre di dati parziali sulla diffusione del fenomeno, visto che solo poco più del 50 per cento degli enti interessati ha fornito i dati richiesti dal Ministero; da tali dati emerge un numero complessivo di ore lavorate, pari a 66.000, per un ammontare di compensi annuo a carico di terzi pari a oltre 2 milioni di euro; nella stessa occasione, il Ministro ha affermato di voler «adottare tutte le iniziative necessarie per garantire la massima trasparenza del fenomeno e il suo massimo contenimento», ritenendo che «il conto terzi” debba essere un'eccezione e non, mai, una regola»,

impegna il Governo:

   ad avviare e a concludere quanto prima, come preannunciato dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, le procedure di gara per la gestione dei servizi aggiuntivi e, in particolare, dei servizi culturali presso i principali complessi museali italiani, a partire dal complesso del colosseo, palatino e foro romano;
   ad assicurare che le gare per l'affidamento dei servizi aggiuntivi rispettino i seguenti principi fondamentali:
    a) previsione di gare distinte per i diversi servizi aggiuntivi, in modo da assicurare quanto più possibile la specializzazione, la qualità e l'economicità del soggetto privato prescelto per ciascun servizio;
    b) limitazione dell'accorpamento dei diversi servizi, e, in particolare, dei servizi di biglietteria ai servizi aggiuntivi, ai soli casi in cui ciò sia necessario per la sostenibilità economica dell'appalto;
    c) limitazione del ricorso ad affidamenti in house ad Ales o a qualsiasi altro soggetto pubblico ai casi nei quali il ricorso a una procedura competitiva non risulti economicamente conveniente o comunque fattibile per l'amministrazione, e in ogni caso senza aumenti della spesa pubblica;
    d) revisione della disciplina vigente delle prestazioni in conto terzi in modo da assicurarne l'effettiva limitazione a ipotesi occasionali e temporanee, la totale trasparenza e comunque il massimo contenimento, in conformità alla normativa vigente e in coerenza con quanto annunciato dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   ad assicurare la massima trasparenza possibile, anche attraverso pubblicazione sui siti istituzionali del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e delle soprintendenze, delle procedure di gara sopra descritte e degli eventuali affidamenti in house ad Ales o ad altri soggetti controllati dall'amministrazione, facendo sì che, con riguardo agli affidamenti in house, siano pubblicate le motivazioni alla base della scelta di non procedere mediante gara e tutti i dati relativi all'affidamento, inclusi i costi sostenuti dalla società in house per la fornitura del servizio e gli introiti destinati all'amministrazione.
(1-01234)
«Mazziotti Di Celso, Monchiero, Vezzali».
(27 aprile 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    i servizi aggiuntivi museali rivestono un ruolo fondamentale per la valorizzazione del patrimonio e per la promozione della conoscenza culturale ed includono un'ampia gamma di servizi di ospitalità e assistenza culturale;
    com’è noto, infatti, la stessa Corte costituzionale ha avuto modo di sottolineare, nella sentenza 9 del 2004, che la funzione di valorizzazione sia diretta soprattutto alla fruizione del bene culturale;
    intendendo, pertanto, la valorizzazione del patrimonio storico-artistico come sviluppo e condivisione della conoscenza e del suo valore culturale e sociale, nonché occasione per il pieno sviluppo della personalità di ciascuno, ne consegue che tra i servizi aggiuntivi istituiti dalla legge «Rochey» (1997), primo passo verso la privatizzazione del patrimonio artistico, non possono rientrare quelli necessari a svolgere un'effettiva azione di valorizzazione. Tra questi i servizi educativi (o didattici) prima di tutti perché fondamentali ai fini della costruzione e condivisione del sapere con i cittadini ma anche l'editoria e la produzione di mostre perché rappresentano strumenti di traduzione e diffusione della conoscenza prodotta sul e dal patrimonio culturale;
    è necessario, pertanto, ricondurre, all'interno della missione pubblica e quindi dell'organizzazione e dell'organico dei musei e in generale dei luoghi della cultura, tutte quelle azioni che sotto forma di servizi ormai da 20 anni sono oggetto di concessione a privati che le svolgono a scopo di lucro senza alcuna possibilità per il soggetto pubblico di verifica della qualità né di intervento migliorativo o concorrenziale (concessioni in monopolio);
    l'educazione al patrimonio, dalla semplice visita guidata al progetto complesso, e la produzione scientifica di cataloghi e mostre non si possono ritenere in alcun modo «aggiuntivi», perché consustanziali all'uso pubblico, culturale e sociale del patrimonio e vanno quindi reinternalizzati e affidati a specifiche professionalità inquadrate nell'organico stabile degli istituti di cultura;
    pertanto, secondo l'attuale disciplina contenuta nel codice dei beni culturali (decreto legislativo n.  42 del 2007), i servizi da ricondurre alla fondamentale funzione di valorizzazione risulterebbero: i servizi di accoglienza, ivi inclusi quelli di assistenza e di intrattenimento per l'infanzia; i servizi di informazione, di guida, ivi compreso il servizio di audio guida, e assistenza didattica, i centri di incontro l'organizzazione di mostre e manifestazioni culturali, nonché di iniziative promozionali;
    diverso, invece, è il caso per servizi quali ristorazione, caffetteria, biglietteria, assistenza di sala, guardiania, bookshop e altro ovvero servizi il cui espletamento non richiede personale formato sulle discipline del patrimonio. Questi servizi sono strategici al fine di fare degli istituti di cultura, i musei soprattutto, luoghi dove fare esperienze piacevoli e trascorrere il tempo libero, non solo dove formarsi. Quindi, lo sviluppo e la massima qualità di questi servizi vanno garantiti; la concessione a soggetti privati non è solo possibile ma auspicabile. Ciò che si rende necessario, però è rivedere le condizioni dei bandi di affidamento che generalmente prevedono royalty troppo basse per il soggetto appaltante (la pubblica amministrazione a cui appartiene il bene) e la massima libertà di azione da parte del concessionario che massimizza i profitti a scapito di qualunque investimento e molto spesso rifacendosi sul costo del personale, precario e ancora in formazione;
    sui servizi aggiuntivi è quindi possibile ragionare in termini di profitto, ma il primo beneficiario deve essere il proprietario del bene e non il gestore a cui va garantito un equo guadagno invertendo, anzi scardinando, una logica di profitto ormai consolidata;
    si è assistito nel tempo, ad una progressiva estensione delle competenze assegnate ai concessionari, che, dalla mera esecuzione dei servizi «accessori» e relativamente standardizzabili (ristorazione e librerie), hanno assunto compiti di natura assai più significativa sul piano culturale e strategico (visite guidate, supporti didattici, mostre temporanee, allestimenti e altro) trasformando gli assetti gestionali delle istituzioni;
    numerosi, inoltre, sono i problemi che caratterizzano l'attuale sistema di gestione dei servizi aggiuntivi; le cause di tale situazione sono numerose e i fattori di criticità più rilevanti sono riconducibili a dubbie dinamiche relazionali tra pubblico e privato che si sono affermate nella prassi, quali affidamento di concessioni andate deserte, frequenti inadempimenti contrattuali, bassa qualità delle prestazioni erogate, indiscriminati prolungamenti della durata delle concessioni,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per procedere all'internalizzazione di tutti i servizi museali aggiuntivi riconducibili alla fondamentale funzione di valorizzazione;
   ad individuare un modello organizzativo gestionale, efficiente ed efficace, che racchiuda in sé un adeguato sistema di promozione e comunicazione che renda fruibili al meglio i luoghi di cultura.
(1-01267)
«Simone Valente, Vacca, Brescia, Luigi Gallo, Di Benedetto, D'Uva, Marzana, D'Incà».
(13 marzo 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi decenni si è andato consolidando nelle amministrazioni pubbliche e in particolare nelle istituzioni culturali un maggior riconoscimento della centralità dell'utente che ha condotto a significativi cambiamenti di prospettiva nella progettazione e nella gestione delle attività e dei servizi. Con la legge n.  4 del 1993 («Misure urgenti per il funzionamento dei musei statali») il Ministro Alberto Ronchey istituisce servizi aggiuntivi offerti al pubblico a pagamento sia presso i siti museali che in quelli archeologici;
    successivamente, con l'articolo 117 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, si è previsto che si potessero istituire anche servizi di assistenza culturale ed ospitalità per il pubblico, quali i servizi di biglietteria, le visite guidate, la gestione di spazi destinati ad eventi o mostre, caffetterie, bookshop e altro. Con l'articolo 14 della legge 29 novembre 2007, n.  222 si è poi disposto che il Ministero per i beni e le attività culturali, con decreto non regolamentare, disciplinasse l'organizzazione degli stessi;
    in diverse realtà, sono stati creati siti internet dedicati all'informazione, alla prenotazione, alla prevendita e alla vendita di titoli d'accesso ed istituite card cittadine o territoriali integrate (musei trasporti – servizi turistici), in tal modo promuovendo la fruizione di reti museali e circuiti integrati di visite. Sul piano della comunicazione didattica, sono stati progettati e realizzati strumenti diversificati per varie tipologie di pubblico, quali audioguide, video guide, podcast scaricabili da internet. Per le scuole, inoltre, sono stati prodotti percorsi specifici per insegnanti e studenti, laboratori, visite ad hoc. Tutto questo si è però rivelato un affare per i soli gestori privati, piuttosto che per lo Stato;
    attualmente, la gestione dei servizi aggiuntivi nei siti culturali opera in regime di proroga, un meccanismo che, oltre a non garantire adeguati introiti all'amministrazione pubblica, né tutele per i lavoratori, si pone in aperto contrasto con la normativa nazionale ed europea, oltre che con il buon senso;
    si è sempre affermato da parte del Governo che l'implementazione dei servizi aggiuntivi negli istituti culturali avrebbe consentito all'Erario di introitare ingenti risorse cosa che, a conti fatti, però non è accaduta;
    al nostro Paese è universalmente riconosciuta l'incomparabile bellezza del paesaggio e l'inestimabile valore dei suoi beni culturali che conta circa 8.500 siti tra monumenti, musei ed aree archeologiche, 46.025 beni architettonici vincolati, 34.000 luoghi di spettacolo, 49 siti Unesco e centinaia di festival e feste tradizionali che ogni anno animano i territori, rappresentando un capitale economico ed un'eredità storica unica nel panorama internazionale;
    la conservazione, la tutela e la valorizzazione di tale patrimonio, oltre ad essere attività doverose nei riguardi delle generazioni future, possono, rafforzando la capacità attrattiva dei nostri territori, contribuire fortemente a condurre verso nuovo percorso di crescita sostenibile e duratura;
    troppo spesso invece si continua a perseverare nella logica del «grande evento», costoso e scarsamente remunerativo per le casse dello Stato, a vantaggio in larga misura delle società che da anni gestiscono biglietterie on-line e servizi aggiuntivi: un triste oligopolio sancito da vecchi bandi ormai scaduti da tempo che consente, ad esempio, ai gestori del Colosseo di incamerare, secondo la Corte dei Conti, il 70 per cento del costo del biglietto d'ingresso, di cui solo il 30 per cento va allo Stato;
    per il rinnovo dei servizi strumentali e dei servizi per il pubblico, ed anche al fine di definire procedure appropriate per l'aggiudicazione delle relative concessioni, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha deciso di avvalersi di Consip spa nell'intento di assicurare meccanismi trasparenti ed efficienti per gli affidamenti dei servizi offerti nei nuovi musei autonomi e nei poli museali regionali;
    tale modello di gestione e valorizzazione del patrimonio culturale, che dovrebbe, a parere del Ministro Franceschini, porre fine al periodo delle proroghe delle concessioni dei servizi aggiuntivi nei luoghi della cultura, potendo contare sulla cooperazione tra le migliori risorse pubbliche e private per garantire la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale della Nazione, è stato presentato nel febbraio del 2015 e si sviluppa lungo tre linee d'intervento: 1) una gara per i «servizi gestionali» (nella fattispecie manutenzione edile e impiantistica, pulizia ed igiene ambientale, guardaroba, facchinaggio, call center, anagrafica tecnica, e altro); 2) una gara per il «servizi di biglietteria nazionale» (servizi di prenotazione e prevendita); 3) una gara per i «servizi culturali» (noleggio audioguide; visite guidate; laboratori e didattica; spazi, eventi e mostre; e altro);
    malgrado sia trascorso oltre un anno dal giorno (19 febbraio 2015) in cui il Governo ha avviato la suddetta collaborazione con Consip spa, annunciando che i relativi bandi sarebbero stati pubblicati entro il primo semestre dello stesso anno, il Ministro Franceschini ha recentemente annunciato che le prime gare saranno avviate non prima del mese di giugno 2016;
    già a luglio del 2015 erano stati pubblicati sul sito della Consip i nuovi bandi per i servizi di manutenzione, pulizia, sistema informativo e call center, per un valore complessivo, suddiviso in nove lotti territoriali, di 640 milioni di euro. I contratti che deriveranno dalla convenzione aggiudicata, che rimarrà in vigore per 24 mesi (più eventuali 12 di proroga), avranno durata di quattro o sei anni, periodo durante il quale il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e le altre amministrazioni pubbliche potranno emettere i loro ordini sulla base della convenzione;
    la gestione del patrimonio artistico e culturale è nelle mani di pochi soggetti. Tra questi figurano «Civita Cultura» del Gruppo Mondadori, «Coop Culture», «Zetema» controllata dal comune di Roma, «Ales» società in house del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, soggetti, in particolare quelli privati, che hanno fruito delle proroghe di concessioni introitando significativi guadagni, impedendo, al contempo, allo Stato di effettuare simili guadagni;
    Ales – Arte Lavoro e Servizi S.p.A. è la società in house del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MiBACT) – che ne detiene il 100 per cento del pacchetto azionario, impegnata da oltre quindici anni in attività di supporto alla conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e in attività di supporto agli uffici tecnico-amministrativi del socio unico;
    al fine di assicurare risparmi della spesa pubblica e di razionalizzare le società strumentali del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, l'articolo 1, comma 322, della legge 28 dicembre 2015 n.  208 (legge di stabilità 2016), ha disposto, ope legis, la fusione per incorporazione della società ARCUS SpA – Società per lo sviluppo dell'arte, della cultura e dello spettacolo – in ALES SpA, esplicitamente prevedendo che una delle divisioni organizzative di quest'ultima prosegue le attività proprie di ARCUS;
    nei termini stabiliti dalla suddetta legge di stabilità 2016, la nuova società ALES Spa ha provveduto ad approvare il proprio statuto, attribuendosi tutte quelle attività storicamente svolte dal momento della sua fondazione ad oggi, ed orientate a supportare il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo in numerosi progetti di miglioramento delle condizioni di fruibilità del patrimonio archeologico, artistico, architettonico, paesaggistico e archivistico e bibliotecario italiano, nonché di svolgimento di attività strumentali alla gestione tecnico-amministrativa dei procedi enti di tutela;
    la nuova società in house si occuperà anche di gestire i servizi dei musei, dai ristoranti, alle caffetterie, dai bookshop alle strutture di accoglienza e alle biglietterie, finora, come si è visto, a prevalente appannaggio dei privati, per un giro d'affari che sfiora i 200 milioni di euro, dei quali oltre 40 derivanti dai servizi veri e propri e circa 140 dai biglietti;
    la società contribuisce inoltre – tramite progetti specifici e di concerto con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – a promuovere i beni culturali italiani ed il made in Italy in ambito nazionale ed internazionale;
    per l'erogazione dei propri servizi su gran parte del territorio nazionale, Ales Spa si avvale di uno staff di esperti per la pianificazione e la programmazione di dettaglio e di circa 700 operatori, adeguatamente formati, per l'esecuzione delle attività operative presso i siti culturali e le direzioni generali del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
    il 21 marzo 2016 il quotidiano « Il Sole 24 Ore» riportava la seguente dichiarazione del Ministro Franceschini: «Sia ben chiaro, non ho niente contro i privati, che continueranno a essere della partita. Semplicemente, in campo ci sarà un nuovo soggetto. Il direttore del museo potrà scegliere se affidare alcuni servizi, o anche tutti, ai privati mediante gara oppure riservarli alla nuova Ales attraverso l'affidamento diretto, visto che si tratta di una società in house del ministero»;
    appare pertanto necessario che Ales proceda in tempi brevi alla costituzione della divisione organizzativa destinata eventualmente a gestire servizi aggiuntivi, in modo da poter rappresentare effettivamente una alternativa all'affidamento a privati di tali tipi di servizi da parte dei direttori di museo,

impegna il Governo:

   ad adoperarsi affinché, in tempi brevi, la società in house Ales spa costituisca la divisione per la gestione dei servizi aggiuntivi presso i musei e gli istituti culturali pubblici, al fine di consentire la migliore scelta di affidamento per i direttori dei musei;
   ad emanare, con l'ausilio di Consip Spa, la gara per la bigliettazione unica on-line, prevedendo che gli introiti confluiscano interamente nel bilancio del Ministero per i beni e delle attività culturali e del turismo;
   a prevedere l'inserimento nei bandi di gara per l'affidamento dei servizi aggiuntivi nei musei e negli istituti culturali, della «clausola sociale», a garanzia di tutti i lavoratori impiegati nei servizi aggiuntivi;
   ad assumere iniziative affinché dalle concessioni per servizi aggiuntivi nei musei ed istituti culturali gestiti da privati derivino introiti effettivamente coincidenti con quanto previsto in sede di bando di gara;
   a pubblicare, sul sito istituzionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e sui siti dei musei e istituti culturali oggetto del bando, il testo integrale di tutti i bandi relativi a concessione di servizi aggiuntivi, del loro esito e degli introiti previsti che derivino dall'aggiudicazione del bando;
   a mettere in atto le iniziative necessarie affinché dall'aggiudicazione delle concessioni non derivino monopoli per soggetti privati, anche attraverso la possibilità di emanare bandi di gara per singoli servizi aggiuntivi;
   a favorire e a sostenere per quanto di competenza la scelta di affidamento di servizi aggiuntivi alla società in house Ales del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   a prevedere che la durata delle concessioni di servizi aggiuntivi non eccedano la durata di sei anni.
(1-01282)
«Pannarale, Giancarlo Giordano, Carlo Galli, Scotto».
(18 maggio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    il settore dei servizi gestionali culturali e museali in particolare, da anni versa in una situazione di stallo e quasi tutti i principali musei del nostro Paese sono gestiti in regime di proroga tanto da essere censurati a più riprese da parte della Corte dei conti;
    la mancanza dell'effettuazione di regolari gare ha determinato spesso e volentieri una situazione al limite della legalità e comunque di violazione del principio della concorrenza;
    la situazione riguarda tutti i servizi nel loro complesso, sia quelli inerenti alla biglietteria, che i servizi aggiuntivi come quelli editoriali, visite guidate, le audioguide, spazi per eventi e mostre e altri di minore importanza;
    tutto ciò determina una riduzione degli introiti spesso di partita significativa tale da configurare un vero e proprio danno erariale;
    il Ministero, con apposito documento dal titolo «La cultura delle gare nelle gare per la cultura», nel febbraio 2005 ha dato avvio ad una collaborazione con Consip mirata ad assicurare meccanismi trasparenti e legali per la gestione dei musei e più in generale dei beni culturali del nostro Paese;
    l'obiettivo dichiarato del Governo è stato quello di mettere fine alle proroghe avviando un programma di gare per avere servizi efficienti, efficaci ed a basso costo;
    nel luglio del 201l5 Consip ha bandito una gara per un importo complessivo di 640 milioni di euro, suddivisi in nove lotti territoriali per diversi servizi con la possibilità di rendere disponibili al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e agli enti locali i necessari servizi operativi e gestionali attraverso una convenzione quadro dalla durata di 24 mesi (più eventuali 12 di proroga);
    molto probabilmente le prime gare Consip per la fornitura dei servizi aggiuntivi partiranno non prima del giugno 2016;
    la legge di stabilità del 2016, con l'obiettivo di assicurare risparmi alla spesa pubblica, ha previsto la fusione delle società in house del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (ALES e ARCUS S.p.a.);
    occorre assicurare che le procedure di gara Consip per i servizi aggiuntivi siano espletate assicurando la massima partecipazione competitiva in maniera da poter raggiungere il miglior risultato possibile in termini economici e quantitativi;
    per poter raggiungere gli obiettivi prefissati da Consip occorre predisporre gare distinte per diversi servizi al fine di ottenere prestazioni sempre più specializzate;
    è quanto mai necessario assicurarsi la massima trasparenza e la massima pubblicità dei bandi di gara anche attraverso i siti del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo,

impegna il Governo:

   ad accelerare e concludere nel più breve tempo possibile le procedure di gara per la gestione dei servizi aggiuntivi e, in particolare, dei servizi culturali presso i principali musei italiani;
   a valutare l'opportunità di prevedere bandi di gara distinti per i diversi servizi aggiuntivi;
   a prevedere il ricorso ad affidamenti in house ad ALES o a qualsiasi altro soggetto pubblico, solo ed esclusivamente in casi eccezionali e motivati;
   a valutare l'opportunità di rivedere la disciplina delle prestazioni in conto terzi per evitare la proliferazione di ipotesi occasionali e temporanee;
   ad assicurare la massima trasparenza e pubblicità dei bandi di gara, anche attraverso i siti del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, nonché degli esiti delle gare stesse.
(1-01300) «Palese, Pisicchio».
(10 giugno 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    la mancata valorizzazione e manutenzione e il conseguente progressivo degrado del nostro patrimonio artistico sono i sintomi di un problema assai più generale del nostro Paese, che attiene all'assenza di salvaguardia dei beni culturali italiani all'incapacità di promuovere le necessarie competenze manageriali per un'adeguata gestione degli stessi beni;
    l'arte e la cultura rappresentano oggi asset distintivi e competitivi fondamentali per il made in Italy. La rete dei beni culturali – costituita in Italia da 3.800 musei e 1.800 aree archeologiche – è in grado di creare un «indotto» (turismo, enogastronomia, produzioni artigiane, edilizia di riqualificazione) che produce un valore aggiunto di 167 miliardi di euro e assorbe 3,8 milioni di occupati, senza contare che, negli ultimi anni, il settore ha registrato una percentuale di crescita mediamente superiore a quella del totale dell'economia, anche in termini di occupazione;
    anche questo settore è interessato oggi dai profondi mutamenti strutturali del mercato del lavoro, che portano sempre più ad esternalizzare i servizi presenti nei siti museali ed archeologici;
    il Ministro Franceschini, già dallo scorso anno, ha annunciato un programma per il completamento dell'organizzazione del Ministero da lui guidato, che dovrebbe prevedere misure trasparenti e accessibili al pubblico per lo svolgimento delle gare per l'affidamento dei servizi aggiuntivi dei musei;
    tale programma, denominato «La cultura delle gare nelle gare: per la cultura», è stato sviluppato insieme alla CONSIP e prevede tre linee di intervento per il rilancio dell'offerta culturale e della qualità dei servizi nei musei italiani: gare di appalto per l'affidamento dei «servizi operativi» (manutenzione edile e impiantistica, pulizia ed igiene ambientale, guardaroba facchinaggio e altro) e dei «servizi di governo» (sistema informativo, call center, anagrafica tecnica e altro); gare di appalto per l'affidamento del «servizio di biglietteria nazionale» (che include la previsione di creare un servizio di biglietteria, prenotazione e prevendita che venga utilizzato da tutti i musei statali e, volendo, disponibile anche per gli Enti locali); e, infine, gare d'appalto per i «servizi culturali» e la migliore fruizione dei siti (noleggio audioguide, visite guidate, laboratori e didattica, spazi, eventi e mostre e altro);
    tuttavia, a distanza di un anno, non risultano ancora espletate le gare per l'affidamento di tali servizi;
    i contratti di gestione dei servizi aggiuntivi dei beni culturali risultano quasi tutti scaduti dal 2009 e prorogati contro ogni norma nazionale ed europea sulla concorrenza. Tale situazione è stata severamente criticata dall'Antitrust e dalla Unione europea anche l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici ha già in passato sollecitato interventi per sanare una serie di irregolarità;
    il mancato svolgimento delle gare e la gestione dei servizi in oligopolio e in regime di proroga delle concessioni creano enormi danni economici alle casse dello Stato e quindi alla collettività; una serie di musei e monumenti sono perennemente in deficit per l'amministrazione pubblica, nonostante creino guadagni per le società private concessionarie di servizi aggiuntivi; si tratta infatti di società che operano in base a concessioni affidate in passato, spesso discutibili e lesive del principio della libera concorrenza;
    in particolare, sui servizi di biglietteria, la Corte dei Conti ha ritenuto sproporzionate le percentuali attribuite alle società private sul prezzo dei biglietti; in generale, non si potrebbe superare il tetto del 30 per cento, ma in taluni casi, su un prezzo del biglietto al pubblico di 10 euro, 7,75 euro vanno alle società di servizi e solo 2,25 euro al polo museale;
    inoltre, non sono previste royalty per lo Stato sulle prenotazioni dei biglietti, sulle audio-guide e sulle visite guidate; si tratta di prassi che restano incomprensibili alla collettività, viste, da una parte, le ingenti risorse pubbliche che annualmente richiede il restauro e manutenzione dei beni culturali e, dall'altra, i vantaggi che ricevono le società di gestione grazie allo sfruttamento a fini economici dei monumenti;
    è ormai imprescindibile porre fine al periodo delle proroghe delle concessioni dei servizi aggiuntivi nei luoghi della cultura, adottando un nuovo modello gestionale che preveda la cooperazione tra le migliori risorse pubbliche e private, per garantire la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale del nostro Paese;
    è improrogabile un punto di svolta nella gestione degli appalti, per non dover più assistere agli scandali e alle indagini della magistratura che hanno riempito le pagine dei giornali negli ultimi tempi;
    il Governo, anziché procedere con estrema urgenza alla pubblicazione dei bandi di gara per la gestione dei servizi aggiuntivi dei musei, ha invece preferito ricorrere alla creazione di una società in house, istituita dall'ultima legge di abilità, la legge n. 208 del 2015, che prevede la fusione per incorporazione di Arcus con Ales; la nuova società in house del Ministero continuerà a svolgere le attività precedentemente svolte dalle due società; Arcus continuerà a gestire i progetti in cantiere, per i quali risultano già impegnati 130 milioni di euro, e inoltre si dedicherà alle sponsorizzazioni e alla gestione dell’art-bonus, ossia della detrazione per chi investe nella salvaguardia del patrimonio; dal canto suo, Ales continuerà a occuparsi, su incarico del Ministero, della gestione del personale da impegnare in progetti culturali e, inoltre, si occuperà della gestione dei servizi dei musei – dai ristoranti, alle caffetterie, dai bookshop alle strutture di accoglienza e alle biglietterie – finora appannaggio esclusivo dei privati;
    il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, ha dichiarato a riguardo che: «non ho niente contro i privati, che continueranno ad essere della partita. Semplicemente, in campo ci sarà un nuovo soggetto. Il direttore del museo potrà scegliere se affidare alcuni servizi, o anche tutti, ai privati mediante gara oppure riservarli alla Ales S.p.A. attraverso l'affidamento diretto, visto che si tratta di una società in house del Ministero»;
    già in passato, attraverso il piano dello « spending review» del Governo Monti, di cui al decreto-legge 6 luglio 2012 n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, si era tentato di sopprimere Arcus, che veniva posta in liquidazione dal 1o gennaio 2014; tuttavia, con il decreto-legge 21-6-2013 n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, cosiddetto «decreto del fare» del Governo Letta, Arcus è stata risuscitata e gli 11 dipendenti di tale società sono stati inglobati in Ales, che conta così oltre 600 addetti. Il comma 322 della legge di stabilità per il 2016 reca la finalità dell'operazione che è quella, di «assicurare risparmi della spesa pubblica» e di «razionalizzare» le società in house del Ministero dei beni culturali e del turismo. Lo scopo evidente del Governo è tuttavia quello di poter entrare, direttamente con una società in house nell'affidamento degli appalti dei servizi aggiuntivi;
    ultimamente, il Parlamento con la legge n. 11 del 2016, recante delega al Governo in materia di appalti ha inteso fissare criteri e princìpi direttivi chiari da far rispettare per rafforzare gli obiettivi della lotta ai conflitti di interesse, alla corruzione e ai favoritismi;
    il Governo, in più occasioni, ha esaltato l'emanazione del successivo nuovo codice degli appalti pubblici, di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016 che è entrato in vigore il 19 aprile scorso, per l'introduzione di misure di coordinamento e monitoraggio delle gare, nonché di sostegno alla legalità attraverso il rafforzamento dell'ANAC,

impegna il Governo:

   a procedere con la massima urgenza ad indire le gare d'appalto per la gestione dei servizi museali, assicurando bandi ad evidenza pubblica e conduzione delle procedure di gara in piena trasparenza e regolarità, al fine di garantire l'informazione dei cittadini, il controllo dell'attività dell'amministrazione pubblica e l'utilizzo corretto delle risorse della collettività;
   ad abbandonare definitivamente la prassi delle continue proroghe delle concessioni alla scadenza dei contratti di gestione degli appalti dei servizi nei poli museali, allo scopo di porre fine alle gestioni oligopoliste di oggi e garantire la valorizzazione dei beni culturali, evitando danni economici per le casse dello Stato e quindi per i cittadini;
   ad inserire on line nel sito istituzionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo le convenzioni con i privati per la gestione dei servizi aggiuntivi museali, allo scopo di garantire il diritto dei cittadini di essere pienamente informati sulla gestione dei beni dello Stato;
   ad inserire on line nel sito istituzionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo la rendicontazione annua delle spese dei servizi aggiuntivi eventualmente affidati direttamente ad Ales, con la dimostrazione della convenienza economica rispetto ai prezzi concorrenziali di mercato richiesti per lo svolgimento degli stessi servizi, le eventuali entrate destinate all'amministrazione e la mancanza di nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica;
   a riferire annualmente al Parlamento sulle convenzioni in essere per la gestione dei servizi aggiuntivi museali e i servizi di biglietteria, le gare espletate, i servizi eventualmente affidati direttamente ad Ales e il modello organizzativo adottato per rendere efficienti i servizi ed efficace la comunicazione e promozione dei beni culturali.
(1-01302)
«Borghesi, Grimoldi, Castiello, Fedriga, Allasia, Attaguile, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Salatamartini, Simonetti».
(13 giugno 2016)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE A FAVORIRE L'ACCESSO AGLI STUDI UNIVERSITARI, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AD UN'EQUA RIPARTIZIONE DELLE RISORSE SUL TERRITORIO NAZIONALE

   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia nel 2014 è stato lo Stato membro dell'Unione europea con la minore percentuale di giovani laureati: con il 23,9 per cento si colloca, purtroppo, all'ultimo posto fra i 28 Stati membri, paragonato al 49,9 per cento della Svezia, al 47,7 per cento del Regno unito, ma anche al 31,3 per cento del Portogallo e al 25 per cento della Romania;
    sono dati inquietanti che fanno riflettere profondamente sullo stato di salute delle nostre università italiane e sulle scelte fatte negli ultimi vent'anni con la consapevolezza della necessità, non più procrastinabile, di analisi più approfondite sull'argomento ma anche di un complessivo ripensamento dell'indirizzo di governo che riguardi l'istruzione superiore che significa produzione culturale del Paese, formazione delle classi dirigenti e, in particolare, di quel capitale umano di qualità che è il fattore produttivo decisivo nell'economia di un Paese, specialmente in un paese così diverso al suo interno come l'Italia;
    l'Europa si è data l'obiettivo, nel 2020, di avere il 40 per cento di giovani laureati. L'obiettivo italiano alla stessa data è pari al 26-27 per cento, che continuerebbe a collocarla all'ultimo posto, rischiando di essere superata anche dalla Turchia. La regione con la percentuale maggiore di laureati, il Lazio (31,6 per cento), si colloca su livelli pari al Portogallo. Quattro regioni italiane, tutte del Mezzogiorno, sono fra le ultime dieci nella graduatoria delle 272 europee; la Sardegna (17,4 per cento) è penultima: la sua percentuale di giovani laureati è superiore solo alla regione ceca dello Severozápad;
    il nostro Paese nel giro di pochi anni, ha vissuto un disinvestimento molto forte nella sua università, in totale controtendenza rispetto a tutti i Paesi avanzati che continuano invece ad accrescere la propria formazione superiore. Mentre il finanziamento pubblico delle nostre università italiane si contraeva del 22 per cento, in Germania cresceva del 23 per cento; persino i Paesi mediterranei più colpiti dalla crisi hanno ridotto di meno il proprio investimento sull'istruzione superiore;
    i fondi del diritto allo studio universitario sono distribuiti alle regioni secondo criteri che generano gravi sperequazioni a danno delle regioni del Sud;
    per effetto di tale distribuzione il 75 per cento degli studenti che, secondo la Costituzione italiana, avrebbero diritto a beneficiare di borse di studio e non ne beneficiano sono iscritti nelle università del Sud;
    il rapporto della Fondazione Res, recentemente presentato, fotografa la condizione degli atenei italiani, da Nord a Sud, come un costante, inesorabile declino a cominciare dalla caduta delle immatricolazioni: dal 2003-04 si riducono di oltre 66 000 unità, fino a meno di 260 000 nel 2014-15 (-20,4 per cento). Fra tutti i Paesi avanzati solo la Svezia e l'Ungheria sperimentano un decremento più forte. Al contrario, gli immatricolati crescono sensibilmente nella media dei Paesi dell'Ocse e a ritmi particolarmente sostenuti, oltre che negli emergenti, in Germania e Regno unito. Il calo delle immatricolazioni, sempre dal 2003-04, è poi differenziato per territori: è particolarmente intenso nelle isole (-30,2 per cento), nel Sud continentale (-25,5 per cento) e nel Centro (-23,7 per cento, specie nel Lazio); più contenuto al nord (-11 per cento);
    è grave il fenomeno migratorio di diplomati che, in numero di 24 mila, ogni anno abbandonano le regioni del Sud per studiare in università del Centro e del Nord e questo aggrava la già depressa situazione del Meridione;
    la mobilità studentesca è un fenomeno estremamente positivo, perché rappresenta un'esperienza di vita indipendente per i giovani, consente la scelta del corso di studio più adatto e una competizione sana tra atenei, ma è una mobilità a senso unico, da Sud verso Nord. Nel 2014-15 oltre 55 000 studenti si sono immatricolati in una regione diversa da quella di residenza;
    al Nord questo fenomeno riguarda il 17,8 per cento degli immatricolati, che rimangono quasi tutti (5/6) all'interno della circoscrizione. Al Centro è meno rilevante (14,5 per cento degli immatricolati), specie per gli studenti toscani e laziali, ma orientata di più verso l'esterno: metà di chi cambia regione va al nord, un terzo rimane al Centro, un sesto va al Sud;
    al Sud la mobilità è molto maggiore: riguarda il 28,9 per cento degli immatricolati, 4 su dieci si spostano al Nord e altri 4 al Centro. È la mobilità dei circa 29 000 immatricolati (in un anno) meridionali il fenomeno più importante, con una mobilità interna al Mezzogiorno assai contenuta e un flusso in uscita dalla circoscrizione a cui non corrisponde un flusso in entrata;
    la mobilità solo in direzione d'uscita è negativa perché genera da una parte una perdita per le aree di origine in termini di capitale umano, dall'altra un trasferimento di reddito a favore delle regioni di entrata per il mantenimento dei figli fuori sede sostenuto dalle famiglie. La scelta del trasferimento è riconducibile a più fattori e, in particolare, a una più elevata capacità attrattiva di singoli atenei centro-settentrionali, nonché alle maggiori prospettive occupazionali nei mercati del lavoro del nord una volta conseguita la laurea;
    Molise (49,5 per cento), Trentino Alto Adige (47,8), Abruzzo (41,3) sono le regioni più piccole che nell'anno accademico 2014-15, hanno mostrato indici di attrattività più elevati spiegabili soprattutto con la qualità della vita urbana (Trento) o con la posizione geografica, come nel caso di Abruzzo e Molise. Le regioni medie e medio-grandi maggiormente attrattive sono tutte localizzate al nord: spiccano in particolare l'Emilia Romagna e la Lombardia. Al contrario risulta estremamente ridotta l'attrattività delle università meridionali, tutte largamente al di sotto della metà della media nazionale, ad eccezione della Basilicata che sfiora il 20 per cento, grazie alla specificità di alcuni indirizzi di studio;
    altro punto di grande criticità è quello dei docenti universitari che fra il 2008 e il 2015 si sono ridotti del 17,2 per cento; il calo è stato notevolmente più intenso di quello registrato in ogni altro comparto del pubblico impiego, ben cinque volte maggiore di quanto avvenuto nella scuola. La diminuzione del personale docente di ruolo è stata dell'11,3 per cento al nord, ma del 18,3 per cento nel Mezzogiorno e del 21,8 per cento nelle università del Centro a causa dei blocchi del ricambio, in presenza dei pensionamenti. Ad esempio nel triennio 2012-14 il turn over (assunzioni in percentuale dei pensionamenti) è stato pari al 27,3 per cento. Il blocco del turn over negli atenei ha comportato un sensibile invecchiamento del personale docente, attualmente i dati disponibili ci dicono che un terzo dei professori ordinari ha più di 65 anni;
    la spesa totale (pubblica e privata) per l'istruzione universitaria, riportata dal rapporto annuale Education at a Glance dell'Ocse (2014) e misurata rispetto al Pil (2011), è in italia sui livelli più bassi fra tutti i Paesi dell'Ocse: gli unici Paesi con livelli comparabili sono Ungheria e Brasile; per tutti gli altri, europei ed extraeuropei, il livello è significativamente superiore. Nel 2011 il totale della spesa (pubblica e privata) era in italia dell'1 per cento del Pil, contro una media ocse dell'1,6 per cento e dei Paesi europei membri dell'Ocse pari all'1,4 per cento: i grandi Paesi europei si collocano fra l'1,2 per cento e l'1,5 per cento; la stessa Turchia è all'1,3 per cento; gli scandinavi su livelli superiori, gli Stati uniti sono al 2,7 per cento;
     il fondo di finanziamento ordinario delle università (Ffo), nasce nel 1993, come veicolo di finanziamento «omnibus» all'interno del quale fare ricadere sia gli interventi per il funzionamento sia allocazioni «premiali» ed è stato proprio questo l'errore di fondo, sarebbe stato meglio fin da allora prevedere due diversi canali di finanziamento: uno destinato, appunto, alle spese ordinarie e un altro, con funzione premiale e incentivante. Fino al 2008 la dimensione del fondo cresce, anche se aumentano le quote relative degli atenei del Nord e del Sud, rispetto a quelli del Centro e delle isole. Con i provvedimenti presi a partire dal 2008, con la cosiddetta Riforma Gelmini (legge n. 240 del 2010), l'investimento destinato alle università si riduce drasticamente. Il fondo di finanziamento ordinario diminuisce ai livelli di metà anni novanta. Sul totale delle entrate degli atenei diminuisce sensibilmente il peso delle risorse attribuite dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (e in particolare del fondo di finanziamento ordinario), a vantaggio della contribuzione studentesca e di finanziamenti di soggetti terzi, specie privati. Questo cambiamento produce un significativo impatto territoriale, perché colpisce in particolare le università collocate nelle aree meno ricche del Paese;
    l'analisi di tutti questi dati porta a delle conclusioni chiare, risulta necessario ed urgente ripensare questi meccanismi di finanziamento, basandosi su una distinzione netta fra fondi destinati al funzionamento del sistema universitario e fondi premiali destinati alla ricerca, ripristinando una sufficiente quota di finanziamento per tutti gli atenei, a copertura delle funzioni di didattica e di ricerca di base, e con l'allocazione di risorse aggiuntive, finalizzate alle grandi priorità di ricerca del paese, sulla base di criteri di valutazione della ricerca, abbandonando formule e algoritmi onnicomprensivi che hanno dimostrato negli ultimi anni di non essere adeguati alla complessità della realtà,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per incrementare il fondo del diritto allo studio;
   ad assumere iniziative per modificare i criteri di distribuzione del fondo per il diritto allo studio applicando la regola delle quote capitarie e suddividendo quindi il fondo tra le regioni esclusivamente in base al numero di idonei ai benefici;
   ad assumere iniziative per incrementare sensibilmente il fondo di finanziamento ordinario delle università per avvicinarlo a quello degli altri Paesi europei;
   a promuovere una radicale revisione dei meccanismi di finanziamento per le attività di ricerca;
   ad assumere iniziative per immettere nuovi docenti e ricercatori a copertura dei previsti pensionamenti;
   ad adottare iniziative per applicare una deroga temporanea di almeno 5 anni per le università del Sud, in relazione alle norme restrittive inerenti al rapporto tra numero di docenti e attivazione dei corsi di studio, consentendo di attivare corsi di studio, indipendentemente dal numero dei docenti, per dare risposte alle esigenze ogni anno manifestate dai diplomati.
(1-01192)
(Nuova formulazione) «Pisicchio, Palese».
(9 marzo 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    gli articoli 33 e 34 della Costituzione pongono i princìpi fondamentali relativi all'istruzione con riferimento, rispettivamente, all'organizzazione scolastica e universitaria e ai diritti di accedervi e di usufruire delle prestazioni che essa è chiamata a fornire. Organizzazione e diritti sono aspetti speculari della stessa materia, l'una e gli altri implicandosi e condizionandosi reciprocamente. Non c’è organizzazione che, direttamente o almeno indirettamente, non sia finalizzata a diritti, così come non c’è diritto a prestazione che non condizioni l'organizzazione;
    l'articolo 33, dopo aver stabilito, al primo comma, che «l'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento» e, al secondo comma, che la «Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi», prevede, tra gli altri per le università, «il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato». «Secondo la Costituzione, l'ordinamento della pubblica istruzione è dunque unitario ma l'unità è assicurata, per il sistema scolastico in genere, da “norme generali” dettate dalla Repubblica; in specie, per il sistema universitario, in quanto costituito da “ordinamenti autonomi”, da “limiti stabiliti dalle leggi dello Stato”»;
    gli «ordinamenti autonomi» delle università, cui la legge, secondo l'articolo 33 della Costituzione, deve fare da cornice, non possono considerarsi soltanto sotto l'aspetto organizzativo interno, manifestantesi in amministrazione e in normazione statutaria e regolamentare. Per l'anzidetto rapporto di necessaria reciproca implicazione, l'organizzazione deve considerarsi anche sul suo lato funzionale esterno, coinvolgente i diritti e incidente su di essi. La necessità di leggi dello Stato, quali limiti dell'autonomia ordinamentale universitaria, vale pertanto sia per l'aspetto organizzativo, sia, a maggior ragione, per l'aspetto funzionale che coinvolge i diritti di accesso alle prestazioni;
    in questo modo, all'ultimo comma dell'articolo 33 viene a conferirsi una funzione, per così dire, di cerniera, attribuendosi alla responsabilità del legislatore statale la predisposizione di limiti legislativi all'autonomia universitaria relativi tanto all'organizzazione in senso stretto, quanto al diritto di accedere all'istruzione universitaria, nell'ambito del principio secondo il quale «la scuola è aperta a tutti» (articolo 34, primo comma) e per la garanzia del diritto riconosciuto ai «capaci e meritevoli, anche, se privi di mezzi» «di raggiungere i gradi più alti degli studi» (articolo 34, terzo comma);
    la conclusione cui così si perviene attraverso la specifica interpretazione degli articoli 33 e 34 della Costituzione è, del resto, confermata e avvalorata dai «principi generali informatori dell'ordinamento democratico, secondo i quali ogni specie di limite imposto ai diritti dei cittadini abbisogna del consenso dell'organo che trae da costoro la propria diretta investitura» e dall'esigenza che «la valutazione relativa alla convenienza dell'imposizione di uno o di altro limite sia effettuata avendo presente il quadro complessivo degli interventi statali nell'economia inserendolo armonicamente in esso, e pertanto debba competere al Parlamento, quale organo da cui emana l'indirizzo politico generale dello Stato» (si confronti la sentenza n. 383 del 1998 della Corte costituzionale);
    non può negarsi che il diritto costituzionale allo studio, come ricostruito dalla riportata giurisprudenza costituzionale, imponendo scelte pubbliche d'insieme, inerenti alla determinazione delle risorse necessarie per il funzionamento delle istituzioni universitarie, per la garanzia del diritto alla formazione culturale (sancita dall'articolo 2 della Costituzione) e alle scelte professionali di ciascuno (articolo 4) risulti, soprattutto negli ultimi anni, drammaticamente compromesso;
    il sistema di finanziamento pubblico del diritto allo studio universitario avviene attraverso tre voci ovvero:
     a) il fondo integrativo statale;
     b) il gettito derivante dalla tassa regionale per il diritto allo studio;
     c) le risorse proprie delle regioni, pari almeno al 40 per cento dell'assegnazione del fondo integrativo statale;
    negli ultimi anni il diritto allo studio universitario è stato umiliato a causa del sempre più frequente fenomeno dello studente idoneo a percepire la borsa di studio ma non beneficiario a causa delle insufficienti risorse stanziate dallo Stato;
    nonostante le nuove regole sul diritto allo studio, conseguenti alla «riforma Gelmini» dell'università, abbia causato un numero di studenti idonei a percepire la borsa di studio inferiore rispetto al passato, le regioni non riescono, comunque, ad assegnare le borse a tutti i richiedenti che ne hanno diritto;
    l'Italia si colloca negli ultimi posti in Europa per investimenti sul diritto allo studio, tant’è che in diversi Stati dell'Unione europea l'iscrizione all'università è gratuita e la borsa di studio garantisce tutti gli studenti privi di mezzi;
    in Italia, a beneficiare di borse di studio è circa il 7 per cento degli studenti, per una spesa complessiva pubblica 258 milioni di euro, contro il 25,6 per cento della Francia (1,6 miliardi di euro), il 30 per cento della Germania (2 miliardi di euro) e il 18 per cento della Spagna (943 milioni di euro);
    in particolare, l'importo della tassa per il diritto allo studio è stabilito dalle regioni e dalle province autonome e può essere articolato in 3 fasce. La misura minima della fascia più bassa della tassa è fissata in 120 euro e si applica a coloro che presentano una condizione economica non superiore al livello minimo dell'indicatore di situazione economica equivalente corrispondente ai requisiti di eleggibilità per l'accesso ai livelli essenziali delle prestazioni (lep) del diritto allo studio. I restanti valori della tassa minima sono fissati in 140 euro e 160 euro per coloro che presentano un indicatore di situazione economica equivalente rispettivamente superiore al livello minimo e al doppio del livello minimo previsto dai requisiti di eleggibilità per l'accesso ai livelli essenziali delle prestazioni del diritto allo studio. Il livello massimo della tassa per il diritto allo studio è fissato in 200 euro;
    l'attuale normativa prevede che l'impegno delle regioni in termini economici maggiori rispetto a quanto previsto dall'articolo 18, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, sia valutato attraverso l'assegnazione di specifici incentivi nel riparto del fondo integrativo statale di cui al comma 1, lettera a), dello stesso decreto legislativo, e del fondo per il finanziamento ordinario alle università statali che hanno sede nel rispettivo contesto territoriale;
    i criteri per il riparto del fondo integrativo per la concessione di prestiti d'onore e di borse di studio sono stabiliti dall'articolo 16 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 9 aprile 2001;
    analogo discorso, circa i limiti che il legislatore statale deve porre all'autonomia degli atenei al fine di garantire la piena attuazione della Costituzione, deve riferirsi alla determinazione delle tasse d'iscrizione all'università. Attualmente anche la contribuzione richiesta agli studenti rappresenta, infatti, un ostacolo alla formazione;
    il decreto del Presidente della Repubblica n. 306 del 1997 regolamenta la disciplina in materia di tasse di iscrizione all'università a carico degli studenti. Tale regolamento prevede che ogni università abbia piena autonomia nella determinazione dell'entità e delle regole della tassazione studentesca rispettando criteri di equità, solidarietà e progressività, tenendo in considerazione la condizione economica dello studente;
    oltre ai contributi universitari, ogni studente è tenuto a versare all'università anche la tassa di iscrizione, fissata inizialmente in trecentomila lire ed aggiornata annualmente con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. L'importo della tassa di iscrizione è identica per tutti gli atenei italiani;
    la contribuzione totale versata dallo studente universitario è la risultante della somma tra la tassa di iscrizione definita annualmente dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e i contributi universitari decisi autonomamente da ogni singola università;
    come contrappeso all'autonomia delle università, per evitare che queste possano stabilire importi contributivi troppo alti, il regolamento stabilisce che la somma delle contribuzioni versate da ogni singolo studente ogni anno alla propria università non possa eccedere il 20 per cento del finanziamento ordinario dello Stato all'ateneo;
    il citato regolamento stabilisce alcuni principi, seguendo criteri più specifici, che prevedono anche la garanzia dell'accesso ai capaci e ai meritevoli privi di mezzi e la riduzione del tasso di abbandono degli studi;
    tale disciplina in materia di contributi universitari è rimasta inalterata fino alle modifiche apportate dalla normativa sulla spending review (decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135), che ha disposto (con l'articolo 7, comma 42) l'introduzione dei commi 1-bis, 1-ter, 1-quater e 1-quinquies dell'articolo 5 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 306 del 1997;
    le modifiche apportate dal citato decreto-legge n. 95 del 2012 entrano nel merito dei limiti della contribuzione studentesca modificando i criteri per individuare la tassazione massima a carico dello studente. In sostanza, viene modificato il calcolo del limite del 20 per cento dell'ammontare della contribuzione studentesca totale (la somma di tutte le tasse pagate dagli studenti in un singolo ateneo) rispetto al finanziamento ordinario assegnato dallo Stato alla singola università;
    con le novelle introdotte dal decreto-legge n. 95 del 2012, ai fini del calcolo della contribuzione studentesca totale, è stata scorporata la contribuzione degli studenti fuori corso. Come conseguenza non sono più considerate, ai fini del calcolo della contribuzione totale versata dagli studenti alle università, le somme pagate dagli studenti fuori corso che, in media, rappresentano il 40 per cento degli iscritti;
    tale novità comporta, di fatto, un aumento del limite massimo di contribuzione sia per gli studenti in corso che per quelli fuori corso; inoltre, è eliminato qualsiasi limite alla determinazione dell'importo della contribuzione studentesca per gli studenti fuori corso;
    il citato decreto-legge n. 95 del 2012 prevede, inoltre, entro tre anni dalla entrata in vigore, un aumento significativo della tassazione per tutti gli studenti;
    il fondo per il finanziamento ordinario delle università (ffo) è relativo alla quota a carico del bilancio statale delle spese per il funzionamento e le attività istituzionali delle università, comprese le spese per il personale docente, ricercatore e non docente, per l'ordinaria manutenzione delle strutture universitarie e per la ricerca scientifica e della spesa per le attività sportive universitarie;
    negli ultimi anni il fondo per il finanziamento ordinario è sensibilmente diminuito; per questa ragione, le università che si sono trovate a superare il limite del 20 per cento sono numerose, ben due delle università statali su tre nell'anno accademico 2011/2012;
    alcune università (Insubria, Milano statale, Milano Bicocca, Napoli Partenope, Urbino, Venezia Ca’ Foscari, Venezia Iuav) hanno superato anche il 30 per cento e una (Bergamo) addirittura il 40 per cento;
    di fatto le modifiche apportate dal decreto-legge n. 95 del 2012 al decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1997, n. 306, scaricano sugli studenti i tagli apportati al fondo per il finanziamento ordinario nel corso degli anni dai vari Governi alla guida del nostro Paese;
    gli atenei che, fino al 2013, non hanno rispettato il tetto massimo degli introiti derivanti da tasse e contribuzione studentesche previste dal decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1997, n. 306, sono stati avvantaggiati dal reclutamento e dalle quote premiali, nonostante fossero in difetto fino all'entrata in vigore delle disposizioni normative introdotte dal decreto-legge n. 95 del 2012;
    dal 2007 alcune associazioni studentesche universitarie hanno avviato una serie di ricorsi amministrativi contro quegli atenei che superavano il limite del 20 per cento stabilito dall'articolo 5, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1997, n. 306;
    dopo l'accoglimento, nel marzo del 2011, del primo ricorso sulla contribuzione studentesca presentato nel 2007 (registro generale 599) al tribunale amministrativo regionale dell'Abruzzo contro l'Università di Chieti Pescara, si sono moltiplicati i ricorsi in vari atenei italiani;
    di fatto, le disposizioni normative introdotte dal decreto-legge n. 95 del 2012 hanno rappresentato una sanatoria per le università che fino al 2012 non rispettavano quanto stabilito dal decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1997, n. 306;
    si ritiene necessario, in considerazione di quanto esposto, prevedere l'esonero dal pagamento (della contribuzione studentesca per gli studenti meno abbienti introducendo una no tax area per indicatori della situazione economica equivalente al di sotto dei 20 mila euro. Secondo i dati forniti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca l'ammontare del fondo di finanziamento ordinario 2017 si attesta intorno ai 7.003 milioni di euro, mentre il gettito complessivo della contribuzione studentesca intorno ai 1.497 milioni di euro;
    al fine di non ridurre le già esigue risorse destinate al sistema universitario, risulta doveroso rimborsare alle università il mancato gettito derivante dall'introduzione della no tax area attraverso un incremento dedicato del fondo di finanziamento ordinario,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative volte a modificare la disciplina attualmente vigente sulla contribuzione studentesca alle università statali stabilendo un'area di reddito entro cui lo studente sia esente dal pagamento della contribuzione (fascia no-tax) per tutti gli studenti con Isee al di sotto dei 20.000 euro;
   a dare pronta attuazione a quanto previsto dall'articolo 20 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, attivando l'osservatorio nazionale per il diritto allo studio universitario e, in particolare, creando un sistema informativo, correlato a quelli delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, per l'attuazione del diritto allo studio, anche attraverso una banca dati dei beneficiari delle borse di studio;
   ad assumere iniziative normative, a garanzia dell'effettività del diritto allo studio sancito dalla Costituzione, volte ad incrementare le risorse destinate al diritto allo studio universitario con l'obiettivo di far sì che gli strumenti e i servizi per il conseguimento del pieno successo formativo nei corsi di istruzione superiore siano a disposizione di una platea di studenti che sia almeno corrispondente ad un quarto degli iscritti, in modo da allinearsi agli standard della Germania e della Francia;
   al fine di implementare l'utilizzo delle nuove tecnologie nonché di agevolare lo studio universitario a distanza, ad assumere iniziative per incrementare le risorse destinate alla didattica universitaria digitale;
   al fine di garantire il diritto alla prosecuzione degli studi e alla soddisfazione professionale di ciascuno, ad assumere iniziative per rimodulare l'attuale sistema di accesso per i corsi di laurea a numero programmato.
(1-01268)
«Vacca, D'Uva, Brescia, Simone Valente, Luigi Gallo, Marzana, Di Benedetto, D'Incà».
(13 maggio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    le norme in materia di diritto allo studio universitario trovano il loro fondamento nella Costituzione che all'articolo 3, comma 2, affida alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese e, all'articolo 34, prevede, tra l'altro, che i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi e stabilisce che la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso;
    la Costituzione stabilisce, all'articolo 117, comma 2, lettera m), che è competenza dello Stato stabilire i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;
    alle regioni spetta in via esclusiva la potestà legislativa in materia di diritto allo studio;
    la legge delega n. 240 del 2010, cosiddetta riforma Gelmini, in attuazione delle norme costituzionali è intervenuta in materia prevedendo la revisione della normativa in materia di diritto allo studio e la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere erogate dalle università italiane;
    tra gli obiettivi principali perseguiti dalla legge n. 240 del 2010 ci sono stati quelli di rafforzare le opportunità di accesso all'istruzione superiore per gli studenti provenienti da situazioni socioeconomiche sfavorite e di promuovere il merito tra gli studenti;
    in attuazione della delega è stato approvato il decreto legislativo n. 68 del 2012, che prevede la partecipazione di soggetti diversi, ciascuno nell'ambito delle proprie competenza, ad un sistema integrato di strumenti e servizi al fine di garantire il diritto allo studio;
    il finanziamento per il diritto allo studio universitario riesce a coprire appena il 73 per cento circa delle richieste e questa percentuale registra una tendenza a diminuire: dal 74,25 per cento del 2013/14 si è passati al 73,89 per cento del 2014/15;
    questi dati rappresentano la situazione a livello nazionale, ma la percentuale di copertura delle richieste non risulta omogenea tra le varie regioni e la distribuzione del fondo per il diritto allo studio evidenzia forti sperequazioni al livello regionale;
    il meccanismo di ripartizione dei fondi statali alle regioni è basata sulla loro ricchezza per cui quelle che riescono ad assegnare un maggior numero di borse di studio perché più ricche ottengono paradossalmente maggiori fondi dallo Stato; tale distribuzione attiva un circolo vizioso per cui alle regioni del Sud vanno meno risorse rispetto a quelle del Nord;
    un alto grado di istruzione rappresenta un aspetto fondamentale per il progresso sia economico sia sociale di un Paese, tanto più in un'economia globalizzata e basata sulla conoscenza, nella quale è necessario disporre di una forza lavoro qualificata per poter competere in termini di produttività, qualità e innovazione; livelli bassi di istruzione terziaria, infatti, agiscono da ostacolo per la competitività e possono compromettere la capacità del nostro Paese di generare «crescita intelligente»;
    ampliare l'accesso all'istruzione superiore aumentando la partecipazione ai corsi di istruzione terziaria in particolare del membri dei gruppi svantaggiati, appare una scelta necessaria anche in considerazione degli obiettivi che l'Unione europea ha indicato ai propri stati membri. La strategia Europa 2020 è stata adottata per innovare Lisbona 2001, per rispondere alle nuove priorità che la crisi economica ha posto e che hanno portato l'Unione europea a riconoscere l'urgenza di promuovere una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva caratterizzata da alti livelli di occupazione, produttività e coesione sociale. La Strategia Europa 2020 si è posta cinque obiettivi, tra questi investire in istruzione, innovazione e ricerca, per sviluppare una economia basata sulla conoscenza e sulla innovazione, indicando tra i traguardi prioritari da raggiungere entro il 2020 quello di portare almeno al 40 per cento la percentuale di popolazione in possesso di un diploma universitario o di una qualifica simile in età 30-34 anni;
    conoscenza, ricerca, sviluppo appaiono quindi quali tasselli fondamentali di un quadro strutturale generale volto a rispondere alle carenze strutturali che l'economia europea ha mostrato ma per poter raggiungere questi risultati l'Europa richiede ai Paesi membri di adottare a livello nazionale provvedimenti che si adattino alla specifica situazione locale; attraverso la crescita del livello generale di istruzione;
    la quota di popolazione con un'istruzione terziaria nella Unione europea dei 28 è in costante aumento ma tra i territori in cui si registra un andamento di segno inverso ci sono quattro regioni che si trovano nell'Italia meridionale: Basilicata, Campania, Sardegna e Sicilia;
    secondo il rapporto Education at a glance 2015 in Italia solo il 34 per cento dei giovani, a fronte di una media Ocse del 50 per cento, consegue un diploma d'istruzione terziaria,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative volte a garantire pari opportunità di accesso all'alta formazione universitaria, all'alta formazione artistica e musicale, agli istituti tecnici superiori, attraverso una effettiva implementazione del diritto allo studio, che valorizzi i talenti delle studentesse e degli studenti in linea con gli obiettivi della Strategia UE 2020 e i livelli europei ed internazionali;
   ad assumere le iniziative necessarie a portare l'investimento della quota di prodotto interno lordo nel comparto universitario al livello degli altri Paesi dell'Ocse, dell'Unione europea e del Consiglio d'Europa, potenziando le sinergie tra atenei, istituti per l'alta formazione ed istituti tecnici superiori, e tessuto produttivo, anche attraverso l'attuazione di un sistema duale sul modello europeo.
(1-01283) «Centemero, Occhiuto».
(23 maggio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    la Costituzione all'articolo 3, secondo comma, sancisce che: «la Repubblica ha il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»; questo è il principio cardine da cui nasce il diritto allo studio; mentre all'articolo 34, la Costituzione prevede che: «i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso»;
    per quanto attiene all'organizzazione necessaria a rendere effettivi i diritti suddetti, la Costituzione statuisce, all'articolo 117, secondo comma, lettera m), che è competenza dello Stato stabilire i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Alle regioni spetta in via esclusiva la potestà legislativa in materia;
    il finanziamento per il diritto allo studio universitario, a livello nazionale, copre poco più del 70 per cento delle richieste effettive, con una continua tendenza al ribasso, con forti disparità tra le regioni del Paese;
    in Italia solo il 34 per cento dei giovani, contro una media Ocse del 50 per cento, consegue la laurea; secondo quanto emerge dai dati raccolti dal Censis, le università italiane stanno perdendo sempre più immatricolati, 78.000 in meno negli ultimi dieci anni, trend che continua ad allontanare l'Italia dalla possibilità di raggiungere il 40 per cento di laureati entro il 2020 come stabilito a livello europeo;
    le cause di tale calo di immatricolazione sono molteplici: il restringimento dei canali di accesso all'università, il numero programmato dei corsi di laurea, programmi di studio troppo antiquati e carenza di adeguati finanziamenti regionali;
    allarmante è non soltanto l'emorragia dei giovani studenti universitari, ma anche la fuga di coloro che hanno già conseguito una laurea, a riprova che, sempre più spesso, chi possiede qualità e titoli sceglie di massimizzarli puntando dove maggiori sono le opportunità economiche e d'impiego. Il trasferimento degli studenti italiani post-laureati, peraltro, rappresenta una perdita non soltanto in termini di risorse umane ma anche in termini economici, il cui costo è stato stimato in 23 miliardi di euro,

impegna il Governo:

ad assumere iniziative per prevedere un impegno sempre maggiore di risorse, attraverso il costante aumento dell'investimento di quote di prodotto interno lordo nel comparto universitario, per portarlo al livello degli altri Paesi dell'Ocse, al fine di migliorare la situazione attuale che accresce il divario tra i ceti sociali ed economici, in netto contrasto con il dettato costituzionale.
(1-01289)
«Borghesi, Allasia, Attaguile, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».
(25 maggio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    la Costituzione italiana prevede il principio di uguaglianza sostanziale, in base al quale «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»;
    la medesima Costituzione prevede quale specificazione, all'articolo 34, quarto comma, che «La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso»;
    tra il 2008 e il 2014, secondo i dati dell’European university association public funding observatory, l'investimento pubblico si è ridotto del 21 per cento in termini reali e tra il 2014 (unico anno in cui il livello di investimenti aveva ripreso a crescere almeno rispetto al 2013) al 2015 si è assistito a una nuova riduzione;
    secondo l’«Education at a glance 2015», l'annuale pubblicazione Ocse che analizza i sistemi di istruzione dei trentaquattro Paesi membri e di altri Stati partner, l'Italia destina soltanto lo 0,9 per cento del prodotto interno lordo all'istruzione terziaria, la seconda quota più bassa tra i Paesi dell'Ocse dopo il Lussemburgo, mentre Paesi come Canada, Cile, Corea, Danimarca, Finlandia, Stati Uniti, hanno dedicato quasi il 2 per cento, o una quota superiore, del prodotto interno lordo all'istruzione terziaria;
    in particolare, i fondi destinati alla copertura delle borse di studio, che rappresenterebbero, in diretta attuazione del dettato costituzionale, uno strumento per garantire l'accesso agli studi universitari anche da parte di chi non può permetterselo in base al reddito familiare e alle proprie forze, sono sempre insufficienti e infatti ci sono molti aventi diritto che ne rimangono privi;
    negli ultimi anni, infatti, il diritto allo studio universitario è stato privato di effettività a causa del sempre più frequente fenomeno per cui uno studente risulti idoneo a percepire la borsa di studio ma non possa esserne beneficiario a causa delle insufficienti risorse stanziate dallo Stato (tanto da avere fatto notizia la circostanza per cui una regione nel 2016 risulterebbe in grado finalmente di avere la copertura del 100 per cento per l'erogazione delle borse di studio);
    infatti, nonostante le nuove regole sul diritto allo studio, conseguenti alla «riforma Gelmini» dell'università, abbiano causato un numero di studenti idonei a percepire la borsa di studio inferiore rispetto al passato, le regioni non riescono, comunque, ad assegnare le borse a tutti i richiedenti che ne hanno diritto;
    sullo specifico fondamentale punto del diritto allo studio è in corso una mobilitazione studentesca alla quale anche Alternativa libera-Possibile ha fornito il proprio apporto al fine di presentare una proposta di legge di iniziativa popolare per garantire l'effettività e l'omogeneità delle prestazioni, destinate ad assicurare la copertura totale delle borse di studio, l'efficienza e l'adeguatezza dei servizi e la fascia di esenzione dalle tasse; definire l'ammontare della borsa di studio sulla base di parametri oggettivi e prevedere ulteriori interventi di attuazione del principio di uguaglianza sostanziale ed effettività del diritto allo studio universitario (dall'assistenza assistenza sanitaria gratuita nella regione in cui ha sede l'università, anche se non si tratta di quella di residenza, alla tariffa agevolata per la mensa e altro);
    secondo i dati dell'anagrafe del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il numero degli immatricolati è passato da trecentotrentaseimila nell'anno accademico 2003/2004 a duecentosettantamila nel 2014/2015 e dati simili risultano da studi dell'Ocse (dai trecentotrentacinquemila del 2004/2005 a duecentosettantamila del 2014/2015); risulta che siano stati persi circa quattrocentosessantatremila studenti in dieci anni;
    negli ultimi anni c’è stato peraltro anche un sensibile calo delle immatricolazioni: secondo il rapporto Res «Università in declino. Un'indagine sugli atenei da Nord a Sud», a cura di Gianfranco Viesti, «rispetto al momento di massima dimensione (databile, a seconda delle variabili considerate, fra il 2004 e il 2008) al 2014-2015 gli immatricolati si riducono di oltre 66 mila unità, passando da circa 326 mila a meno di 260 mila (con una riduzione del 20 per cento), tanto da portare alla conclusione che “l'Italia ha compiuto, nel giro di pochi anni, un disinvestimento molto forte nella sua università”»;
    secondo gli obiettivi «Europa 2020» fissati dalla Commissione europea, tra quattro anni dovrebbero esserci, nell'Unione europea, il 40 per cento di giovani laureati, ma l'obiettivo italiano alla stessa data è pari al 26-27 per cento (partendo dal 21,7 per cento del 2012), che continuerebbe a collocarla all'ultimo posto,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per prevedere una maggiore e crescente destinazione di risorse al comparto universitario per portarlo al livello degli altri Paesi dell'Ocse;
   ad assumere iniziative normative a garanzia dell'effettività del diritto allo studio universitario previsto dalla Costituzione, aumentando in particolare le risorse destinate al relativo fondo.
(1-01293)
«Brignone, Civati, Andrea Maestri, Pastorino, Matarrelli, Artini, Baldassarre, Bechis, Segoni, Turco».
(7 giugno 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    secondo l'edizione 2015 del rapporto internazionale Education at a glance prodotto dall'Ocse, solo il 42 per cento degli italiani inizia gli studi universitari, valore che è il più basso in Europa (a parte il Lussemburgo che non ha università) e il penultimo nell'Ocse (davanti solo al Messico), a fronte di una media europea del 63 per cento e di valori massimi che superano l'80 per cento; gli studenti universitari italiani dovrebbero, quindi, aumentare almeno di metà anche solo per raggiungere la media europea, addirittura raddoppiare per raggiungere i Paesi europei più avanzati;
    secondo il medesimo rapporto, l'Italia, per percentuale di laureati nella fascia 25-34 anni, occupa adesso l'ultimo posto nell'Ocse con il 24 per cento (dopo essere stata a lungo penultima davanti alla Turchia), a fronte di una media europea del 39 per cento; il numero dei laureati italiani dovrebbe, quindi, aumentare di oltre il 60 per cento per raggiungere la media europea, mentre l'obiettivo del 40 per cento fissato da «Europa 2020» è ormai del tutto irraggiungibile per il nostro Paese;
    la percentuale di laureati italiani scende poi al 17 per cento nella fascia 25-64 anni, di nuovo la più bassa nell'Ocse, e, se si analizza il dato su base regionale come ha fatto il gruppo di ricerca coordinato da Gianfranco Viesti nel suo recente rapporto «Università in declino» pubblicato da Donzelli nel 2016, si vede che ai valori più alti (20 per cento) toccati dal Lazio, comunque pur sempre ben lontani dalla media europea, vi sono valori inferiori addirittura al 14 per cento in Puglia e in Sicilia, dello stesso ordine di quelli di Cina, Indonesia o Sudafrica;
    nemmeno l'andamento recente delle immatricolazioni induce a ben sperare poiché, come già evidenziato dal Consiglio universitario nazionale sin dal 2013 e come documentato un mese fa dal XVIII rapporto Almalaurea appena pubblicato, dopo l'aumento registratosi dal 2000 al 2003, legato soprattutto al rientro nel sistema universitario di fasce di popolazione adulta dopo la riforma dell'ordinamento degli studi nel 1999, si è verificato un vistoso calo del 20 per cento dal 2003 al 2015 (in valori assoluti si sono perse circa 70.000 matricole), solo in piccola parte mitigato dal leggero aumento del 2 per cento registrato nell'ultimo anno accademico;
    il dato delle immatricolazioni è anch'esso molto differenziato tra le regioni: infatti il calo di matricole tocca il -30 per cento al Sud, il -22 per cento al Centro ed è pari solo al -3 per cento al Nord; del resto anche il rapporto di Viesti valuta che circa i due terzi delle matricole mancanti abitino nel Meridione e nelle Isole, mentre, in valori assoluti, le università campane e quelle siciliane hanno avuto 6.500 matricole in meno tra il 2009 e il 2013, 5.000 in meno quelle pugliesi;
    tali dati evidenziano, tra l'altro, un accresciuto flusso di giovani meridionali che vanno a studiare nelle università del Centro-Nord – fenomeno di mobilità di per sé non negativo nella misura in cui consente ai giovani di esprimere al meglio il proprio talento e le proprie capacità in sedi e tipologie di studi che ritengono più consone alle loro aspirazioni – ma che si sta trasformando in una vera e propria emigrazione intellettuale;
    a questo proposito il rapporto Almalaurea, relativamente ai laureati magistrali a 5 anni dal conseguimento del titolo, evidenzia che, tra i residenti nel Nord Italia, l'88 per cento ha svolto gli studi universitari e attualmente lavora nella propria area di residenza, mentre l'unico flusso uscente di una certa consistenza (7 per cento) dipende dal trasferimento all'estero; invece, tra i laureati di origine nell'Italia meridionale, il 53 per cento ha trovato lavoro al Nord, mentre solo l'11 per cento di chi si è laureato al Nord rientra dopo gli studi nella propria regione di origine;
    dati sostanzialmente simili riguardo alla mobilità interregionale durante gli studi universitari sono stati ricavati anche da un gruppo di ricerca guidato da Pasqualino Montanaro, ricercatore presso la Banca d'Italia, utilizzando l'Anagrafe nazionale degli studenti universitari nell'ambito del progetto Achab (Affording college with the help of asset building), gestito da un consorzio di enti pubblici o privati senza fini di lucro e finanziato dall'Unione europea;
    il basso numero di studenti e laureati italiani dipende anche da un inefficace sistema di orientamento pre-universitario: il rapporto Anvur 2016 sullo stato del sistema universitario, presentato il 24 maggio 2016, certifica un tasso di abbandoni che tocca il 38,5 per cento a dieci anni dall'immatricolazione e soprattutto che tocca il 19,6 per cento a soli due anni dall'immatricolazione (abbandoni precoci), anche se si registra un piccolo miglioramento rispetto al rapporto 2014;
    lo stesso rapporto evidenzia che il tasso di abbandoni precoci è maggiormente concentrato tra i diplomati degli istituti tecnici e processionali e tra gli studenti del Meridione e delle Isole;
    tra le ragioni che spiegano il basso numero di studenti e di laureati deve sicuramente annoverarsi anche il limitato impegno nazionale nel campo del diritto allo studio universitario, nonostante il recente e molto significativo aumento dello stanziamento statale che è passato dai 162 milioni del 2015 ai 217 del 2016: infatti nel 2014/2015 solo l'8,2 per cento degli studenti italiani ha ottenuto la borsa di studio e solo il 10,3 per cento è stato destinatario di un qualche intervento di diritto allo studio, a fronte di valori superiori al 30 per cento in Francia, Inghilterra e Svezia, superiori addirittura all'80 per cento in Olanda, Danimarca, Finlandia;
    è ancora purtroppo sussistente la categoria degli idonei non beneficiari, cioè studenti valutati come idonei, per ragioni di reddito e di merito, a ottenere la borsa di studio ma che non la ricevono per mancanza di fondi, categoria di cui fa parte circa un quarto degli idonei (oltre 45.000 studenti); anche in questo caso si registrano notevoli differenze a livello regionale: la percentuale di idonei non beneficiari è inferiore al 10 per cento in tutte le regioni del Nord e del Centro, salvo Piemonte e Lazio, mentre è superiore al 40 per cento in Piemonte, Campania, Calabria, Sardegna, con un picco negativo di oltre il 65 per cento in Sicilia;
    eppure la borsa di studio si dimostra strumento abbastanza efficace: come mostra una ricerca condotta dall'Osservatorio regionale del Piemonte sotto la guida di Federica Laudisa, i borsisti abbandonano gli studi universitari il 13 per cento di volte in meno dei non borsisti e conseguono in media 13 crediti formativi in più ogni anno rispetto ai non borsisti;
    anche sul fronte delle contribuzioni alle università da pagare da parte degli studenti (le cosiddette tasse universitarie), le università italiane si dimostrano alquanto esose con i loro studenti: per entità delle tasse pagate dagli studenti, l'Italia è al terzo posto in Europa dopo la Gran Bretagna e l'Olanda, con poco meno di 2.000 euro annui in media, mentre in molti Paesi europei, tra cui la Germania e tutte le nazioni scandinave, l'istruzione universitaria è gratuita o quasi;
    il risultato è che nel nostro Paese le condizioni economiche e culturali delle famiglie di origine pesano molto più che in altri sul successo scolastico e sul reddito dei figli: ad esempio il rapporto annuale dell'Istat valuta che il livello professionale del capo famiglia e la proprietà della casa di abitazione porta ai figli un vantaggio reddituale del 14 per cento in Italia ma dell'8 per cento in Francia, mentre il figlio di un genitore laureato dispone in Italia di un reddito mediamente superiore del 29 per cento al figlio di genitori con la licenza media;
    riguardo, infine, all'efficacia sociale di possedere un titolo di studio universitario, non solo i laureati hanno una speranza di vita maggiore di 3,8 anni rispetto a chi ha raggiunto solo la licenza media, ma, nonostante la lunga crisi economica globale, hanno ancora oggi occasioni di occupazione e livello di reddito ben maggiori dei diplomati; ad esempio il rapporto annuale dell'Istat certifica che nel 2007 la disoccupazione nella fascia 25-34 anni era del 9,5 per cento tra i laureati ma del 13,1 per cento tra i diplomati, mentre nel 2014 (dopo sette anni di crisi) ambedue le percentuali erano molto cresciute attestandosi al 17,7 per cento per i laureati, ma ben al 30 per cento per i diplomati; dati simili sono forniti anche dal XVIII rapporto Almalaurea che indica nel 67 per cento il tasso di occupazione dei laureati magistrali a un anno dal conseguimento del titolo, in piccola ripresa dopo la lunga crisi che lo ha fatto scendere dall'82 per cento del 2008 al 66 per cento del 2014;
    il XXI rapporto sulle retribuzioni, pubblicato recentemente dal gruppo privato OD&M consulting, mostra altresì che il neolaureato in ingresso guadagna di più di un lavoratore senza laurea con alle spalle già 3-5 anni di anzianità; inoltre il titolo di laurea mitiga anche il differenziale retributivo tra uomini e donne rispetto a quello presente tra i non laureati;
    i dati esposti nelle premesse, provenienti da agenzie internazionali e da accurate ricerche, acclarano il fatto che l'Italia soffre di un serio ritardo nella diffusione della formazione universitaria nella popolazione, sia in generale, sia nella fascia più giovane, e che non si registrano purtroppo segnali di inversione di tendenza e di recupero;
    gli stessi dati evidenziano ancora una volta il profondo divario sociale ed economico che caratterizza le regioni italiane: a pagare il prezzo più elevato di questo depauperamento di capitale umano sono le regioni del Mezzogiorno, continentali e insulari, dove si registra la diminuzione più marcata di immatricolati e i flussi più significativi di mobilità giovanile unidirezionale verso le altre regioni, ma non mancano segni di difficoltà anche nelle aree interne e marginali del Settentrione e del Centro;
    nonostante che la ripresa sia stata finalmente agganciata dopo la lunga crisi globale, grazie alle politiche del Governo sul mercato del lavoro e ad altre specifiche scelte di natura sociale ed economica per incrementare la domanda interna, occorre anche tener conto che la disuguaglianza nella distribuzione del reddito è aumentata nel primo decennio del secolo e quindi sembra opportuno realizzare interventi redistributivi che incidano, in particolare, sui meccanismi che conducono alla formazione dei redditi primari e, quindi, aiutino gli individui a dotarsi di capacità meglio remunerate sul mercato del lavoro, come, ad esempio, tutte le politiche dell'istruzione;
    ciò che è stato realizzato nell'ambito scolastico con gli ingenti investimenti e le riforme messe in campo dalla legge n. 107 del 2015, deve ora essere esteso alla formazione post-secondaria, in quanto conseguire un titolo di studio superiore non solo permette di realizzare l'apprezzabile obiettivo di una società forte di competenze di cittadinanza, competitiva e dinamica, ma porta evidenti vantaggi ai singoli cittadini interessati;
    occorre, dunque, rimuovere gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento di quest'obiettivo, agendo sia sul lato del diritto allo studio che su quello della contribuzione universitaria per dare supporto alle famiglie di studenti universitari che devono affrontare i costi degli studi; la gracilità degli attuali sistemi determina una perdita netta di talenti e di opportunità, individuali e per l'intero Paese, e perpetua l'immobilità sociale ed economica, la rigidità delle rendite di posizione e la sclerosi delle corporazioni di cui soffre l'Italia;
    in questo ambito, una particolare attenzione deve essere rivolta alle sperequazioni esistenti tra le diverse aree territoriali del Paese, a danno soprattutto delle regioni meridionali e delle aree interne e marginali, che sono probabilmente tra le cause delle gravi difficoltà economiche e sociali di queste aree e della loro maggiore difficoltà di ripresa;
    a seguito dell'entrata in vigore delle norme del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013 adesso si dispone di uno strumento raffinato ed efficace, l'indicatore della situazione economica equivalente o Isee, per valutare il reddito e il patrimonio di chi richiede di accedere alle prestazioni sociali, in particolare delle famiglie degli studenti universitari, ai quali è specificamente destinato l'articolo 8 del sopra citato provvedimento di riforma dell'Isee;
    a seguito dell'entrata in vigore del decreto ministeriale n. 893 del 2014, è entrato in funzione nel 2015 uno strumento introdotto dalla legge n. 240 del 2010, cioè il costo standard per studente, che è certamente un metodo molto innovativo e trasparente per ripartire una parte della quota base del fondo di finanziamento ordinario delle università statali, metodo certamente da consolidare e potenziare dopo aver provveduto ad individuare e a correggere gli aspetti che si fossero rivelati più deboli rispetto agli obiettivi e alle prescrizioni della legge;
    tra gli aspetti del costo standard per studente che si sono rivelati più problematici vi sono:
     a) la quantificazione dei costi di studenti in ritardo, perché studenti part-time, rispetto all'attuale sistema on-off (1 gli studenti in corso, 0 gli studenti fuori corso);
     b) l'addendo perequativo, che dovrebbe essere per legge commisurato ai differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l'università, ma che nel 2015 ha pesato per una percentuale minima sul costo standard totale: meno del 6 per cento per la Sicilia, circa del 3 per cento per la Sardegna, rispetto alla Lombardia;
     c) la dimensione delle classi ottimali, uniforme in tutta Italia in modo indipendente dai territori e quindi dalle diverse densità di popolazione e disponibilità di infrastrutture per la mobilità e l'ospitalità degli studenti, che si riflette pesantemente sul finanziamento assegnato alle università con corsi di studio di dimensioni sub-ottimali,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per stabilizzare definitivamente il fondo integrativo per il diritto allo studio al valore stanziato per il 2016 dall'ultima legge di stabilità, come primo passo per consolidare il diritto allo studio universitario e per garantire la borsa di studio a tutti gli idonei, con l'obiettivo di una crescita graduale del fondo per raggiungere almeno i valori medi europei;
   ad emanare quanto prima, superando la normativa pregressa che risale al 2001, il decreto ministeriale previsto dall'articolo 7, comma 7, del decreto legislativo n. 68 del 2012, con un duplice obiettivo: da un lato aggiornare e rendere maggiormente omogenei a livello nazionale i requisiti di merito dello studente e di reddito e patrimonio della famiglia (Isee) per accedere alle prestazioni del diritto allo studio universitario; da un altro lato, stabilire i criteri di ripartizione del fondo integrativo sulla base del fabbisogno regionale – come stabilito dall'articolo 18, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 68 del 2012 – rendendo altresì vincolante per le regioni lo stanziamento di risorse proprie, oltre al gettito della tassa regionale per il diritto allo studio, in misura pari ad almeno il 40 per cento del fondo integrativo statale ricevuto;
   nel rispetto dell'autonomia delle università e con l'intento di rendere più equa e progressiva l'imposizione, a valutare la possibilità di assumere iniziative per passare dall'attuale sistema di controllo della contribuzione universitaria nelle università statali collegato ad un limite massimo sul gettito totale (articolo 5, commi 1, 1-bis e 1-ter, del decreto del Presidente della Repubblica n. 306 del 1997) ad un nuovo sistema collegato invece ad un limite massimo della contribuzione che deve essere pagata da ciascuno studente di famiglia con Isee medio-basso, fino anche a pervenire, per Isee bassi, ad annullare tale contribuzione con una specifica no-tax area;
   ad assumere iniziative per disporre che una quota del fondo di finanziamento ordinario delle università statali, nonché, relativamente alle regioni dell'obiettivo convergenza, una quota del fondo di sviluppo e coesione previsto dal decreto legislativo n. 88 del 2011 sia destinata alle università a parziale compensazione della riduzione di gettito che deriva loro dagli studenti che non pagano contribuzioni o le pagano in misura molto ridotta, anche per diminuire l'effetto finanziario disincentivante dell'immatricolazione di studenti di famiglie poco abbienti;
   a valutare la possibilità di rivedere, dopo il primo anno di applicazione, le modalità di calcolo del costo standard dello studente, in particolare per quanto riguarda:
    a) il calcolo degli studenti part-time, per i quali è ancora mancante una chiara normativa di riferimento;
    b) l'addendo perequativo, per tener meglio conto, come prescrive la legge n. 240 del 2010, dei «differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali» in cui operano le università;
    c) il calcolo del finanziamento spettante a ciascun ateneo in presenza di corsi di studio con numero di studenti iscritti in corso inferiore alla dimensione ottimale;
    d) una migliore articolazione, rispetto alle diverse classi di corsi di laurea e ai diversi territori di riferimento delle università, delle dimensioni ottimali dei corsi di studio in termini di numero di studenti;
   ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per ampliare e pluralizzare l'offerta formativa universitaria e per rafforzare le attività di orientamento pre-universitario per contrastare il fenomeno del calo delle iscrizioni e soprattutto degli abbandoni precoci, con particolare riguardo agli studenti del Mezzogiorno e tenendo anche conto delle caratteristiche e delle aspirazioni dei diplomati degli istituti tecnici e professionali.
(1-01294)
«Ghizzoni, Coscia, Vezzali, Covello, Dallai, Piccoli Nardelli, Ascani, Blazina, Bonaccorsi, Carocci, Coccia, Crimì, D'Ottavio, Iori, Malisani, Malpezzi, Manzi, Narduolo, Pes, Rampi, Rocchi, Sgambato, Ventricelli, Vico, Molea».
(7 giugno 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    secondo l'ultimo rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca dell'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR 2016), nonostante la crescita degli ultimi anni, l'Italia rimane tra gli ultimi Paesi in europa per quota di popolazione in possesso di un titolo d'istruzione terziaria, anche tra la popolazione più giovane (24 per cento contro 37 per cento della media UE e 41 per cento media OCSE nella popolazione 25-34 anni); così il nostro Paese ha colmato la distanza in termini di giovani che conseguono un diploma di scuola secondaria superiore, ma presenta tassi di accesso all'istruzione terziaria ancora più bassi della media europea e OCSE (42 per cento contro 63 per cento nella media UE, 67 per cento media OCSE);
    nonostante si sia realizzata in un contesto di tagli al diritto allo studio – spesso operati a livello regionale – che intaccano l'uguaglianza delle opportunità richiesta dalla Costituzione, la mobilità degli studenti tra atenei è recentemente aumentata in tutte le aree del Paese, specialmente a livello di lauree magistrali; così la quota di quanti studiano fuori regione è salita dal 18 per cento del 2007-2008 al 22 per cento nel 2015-2016 a beneficio soprattutto degli atenei del Centro-Nord;
    secondo i dati OCSE (Education at a Glance 2015) la spesa in istruzione terziaria in Italia risulta inferiore a quella media OCSE, sia in rapporto al numero degli studenti iscritti sia in rapporto al prodotto interno lordo; così, nel 2015, le somme stanziate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per il finanziamento del sistema universitario e per il sostegno agli studenti e al diritto allo studio ammontano a 7,25 miliardi di euro, mentre nel 2016 l'ammontare previsto è di 7,34 miliardi di euro – valori simili a quelli del 2013 e 2014, ma lontani dal massimo raggiunto nel 2009 di 8,44 miliardi di euro;
    la principale criticità del sistema di diritto allo studio è rappresentata dalla cronica carenza di risorse, dal fatto che quelle disponibili non sempre vengono erogate in maniera tempestiva, e dall'incertezza circa la permanenza del sostegno da un anno all'altro. Inoltre, permane una eterogeneità (tra regioni e, all'interno delle stesse, tra i diversi atenei) nei requisiti di accesso e nei tempi di erogazione dei benefici; il 47,3 per cento della spesa regionale per gli interventi di sostegno agli studenti è così coperto dalla tassa universitaria regionale e, negli ultimi anni, quest'ultima è stata elevata a 140 euro nella maggior parte delle regioni;
    senza un aumento complessivo delle risorse investite nella formazione terziaria e nella ricerca e una maggiore diversificazione dell'offerta appare difficile conseguire gli obiettivi della strategia «Europa 2020» e si rischia di rimanere lontani dagli altri Paesi europei, che si prefiggono di investire il 3 per cento del Pil nella ricerca (a fronte dell'obiettivo nazionale dell'1,5 per cento) e di conseguire una quota pari al 40 per cento di giovani con titolo di formazione terziaria (contro il 26 per cento in Italia),

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative volte a migliorare la ripartizione delle risorse, sostenendo con più decisione aspetti come il diritto allo studio e le prospettive di carriera dei migliori giovani studiosi e delle migliori giovani studiose;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative volte a differenziare il sistema nazionale di istruzione terziaria affinché non solo aumenti l'impegno nella riduzione degli abbandoni e nel recupero dei ritardi, ma si arrivi anche a un ampliamento dell'offerta didattica in direzione tecnico-professionale e non solo universitaria.
(1-01295)
«Marzano, Nesi, Marcolin, Matteo Bragantini, Prataviera, Labriola, Faenzi, Parisi, D'Alessandro, Lainati, Locatelli, Di Lello, Prodani, Pastorelli».
(7 giugno 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    per vivere in una società complessa come quella attuale, è indispensabile elevare il livello di formazione degli individui;
    il diritto allo studio universitario si manifesta nel nostro sistema giuridico come una delle declinazioni del principio generale di uguaglianza sostanziale di cui all'articolo 3, secondo comma, della Costituzione, che impone alla Repubblica di rimuovere tutti quegli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono agli individui di sviluppare ed esprimere pienamente la propria personalità nella società civile. Questo principio trova inoltre il suo esplicito fondamento negli ultimi due commi del successivo articolo 34, laddove si afferma che i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi economici, hanno il diritto di accedere ai gradi più alti dell'istruzione e della formazione e che la Repubblica deve garantirne l'esigibilità attraverso l'attribuzione, per concorso, di borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze;
    in seno alla stessa Assemblea costituente fu, infatti, osservato che: «Uno dei punti al quale l'Italia deve tenere è che nella sua Costituzione, come in nessun'altra, sia accentuato l'impegno di aprire ai capaci e meritevoli, anche se poveri, i gradi più alti dell'istruzione. Alla realizzazione di questo impegno occorreranno grandi stanziamenti; ma non si deve esitare; si tratta di una delle forme più significative per riconoscere, anche qui, un diritto della persona, per utilizzare a vantaggio della società forze che resterebbero latenti e perdute, di attuare una vera e integrale democrazia»;
    il diritto allo studio, oltre a rappresentare un diritto sociale costituzionalmente garantito, è dunque uno strumento per garantire i diritti inviolabili dell'individuo nelle formazioni sociali, al quale corrisponde un preciso dovere della collettività di assicurare a tutti i capaci e meritevoli uguali punti di partenza ed uguali possibilità di portare a compimento i percorsi formativi prescelti;
    eppure da alcuni anni in ambito europeo si va affermando un'idea di economia della conoscenza, ossia uno sviluppo del tessuto produttivo mirato all'estrazione di valore sulla base di una forte innovazione e dell'elevazione del livello generale di formazione, che sta portando alcuni Paesi membri, incluso il nostro, a smantellare il tradizionale meccanismo di assegnazione delle suddette provvidenze, in favore di un sistema nuovo, riservato a pochi eccellenti, attraverso un innalzamento dei soli criteri di merito ed un'aumentata competitività tra studenti;
    a rendere, inoltre, la formazione universitaria un percorso irto di ostacoli sono stati i continui e pesanti definanziamenti, nonché tutte quelle politiche scarsamente inclusive ed incapaci di rispondere alle esigenze della popolazione studentesca attraverso la pianificazione di servizi, agevolazioni ed interventi che, direttamente o indirettamente, contribuiscono a migliorare la condizione dei soggetti in formazione, siano essi residenti, fuorisede, italiani o stranieri;
    nel nostro Paese il diritto allo studio universitario non ha mai ricevuto quell'attenzione che invece meriterebbe, anche a causa di una legislazione che si è evoluta lentamente rispetto alle reali necessità e spesso in maniera confusa ed inadeguata. La stessa costituzionalizzazione del diritto allo studio non ne ha garantito in tutti questi decenni la piena ed immediata effettività, avendo conosciuto un significativo riconoscimento normativo solo dopo il trasferimento delle competenze a favore delle regioni avvenuto negli anni ’70, cui seguirono tuttavia una frammentazione ed una stratificazione di leggi regionali molto eterogenee tra loro perfino riguardo alla definizione di welfare studentesco, tanto da delineare l'assenza di una reale volontà politica di investire nell'accesso ai percorsi formativi e da sfociare in un mancato rispetto dello stesso principio di eguaglianza. A ciò si aggiunga che l'incapacità delle regioni di garantire l'esercizio del diritto allo studio è storicamente imputabile ad una serie di fattori, primo fra tutti quello delle inadeguate risorse finanziarie trasferite loro dallo Stato, risorse che per croniche difficoltà strutturali di bilancio le stesse regioni non sono state in grado di integrare attraverso fondi propri;
    d'altra parte, anche la successiva legge quadro, la n.390 del 1991, ha aggravato la confusione del contesto normativo, essendosi caratterizzata, da un lato, per l'attribuzione di funzioni importanti agli organi centrali dello Stato, nel tentativo di porre freno alla eterogeneità delle risposte locali, e dall'altro, per il trasferimento di alcune competenze dalle regioni alle università;
    successivamente, a seguito della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, e secondo il decreto legislativo n.68 del 2012, il diritto allo studio universitario, non rientrando tra le materie attribuite in via esclusiva allo Stato né tra quelle di natura concorrente, si è collocato come ambito di competenza legislativa residuale delle regioni, competenza che, pur incontrando attualmente un limite molto importante imposto dall'articolo 117, comma 2, lettera m), della Costituzione, e sulla base del quale lo Stato deve stabilire i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, tra i quali rientrano a pieno titolo le provvidenze legate al diritto allo studio, può riprodurre quel quadro di interventi e di frammentazione normativa antecedenti all'approvazione della legge quadro n.390 del 1991, capaci di inficiare il principio di uguaglianza sancito dal suddetto articolo 3 della Costituzione. Inoltre, lo stesso diritto, rimanendo in parte di competenza regionale, è soggetto alle incerte e fluttuanti disponibilità finanziarie delle singole regioni, con risultati tutt'altro che lusinghieri. Oggi infatti, grazie a strumenti di welfare studentesco di tipo assistenziale che, seppur fondamentali, non bastano alla promozione dell'autonomia del soggetto in formazione, solo pochissime regioni, quelle peraltro più virtuose, riescono ad attribuire a tutti gli idonei le borse di studio, mentre rimangono ancora inadeguati ed insufficienti rispetto al numero degli aventi diritto gli alloggi e le forme di reddito indiretto, come mobilità gratuita, mense agevolate, misure per l'accesso alla cultura e, laddove esistono, luoghi di aggregazione culturale sui territori;
    altro punto dolente è rappresentato dall'ottica assistenzialista con cui le amministrazioni hanno fino ad oggi gestito la materia, quasi che vigesse la logica della «beneficenza» piuttosto che l'obbligo, da parte delle istituzioni, di garantire un diritto. Lo stesso ruolo delle amministrazioni comunali, delegate dalle regioni all'assegnazione delle borse di studio, ha fallito gran parte degli obiettivi preposti e auspicati. In sostanza, la mancanza di parametri e principi comuni di riferimento ha fatto sì che vigesse l'arbitrio delle singole istituzioni di competenza che, invece di investire sulle vere priorità, hanno sempre considerato la questione del diritto allo studio come secondaria;
    sul fronte dei finanziamenti l'Italia, secondo quanto riportato dall'ultimo rapporto sull'educazione dell'Ocse, spende per l'università circa lo 0,9 per cento del proprio prodotto interno lordo, di cui solo una quota pari allo 0,04 destinata al diritto allo studio universitario; in secondo luogo, come rivelato dall'ultimo «Rapporto Istat sulla povertà nel nostro Paese», sono stimate in 2.737.000 le famiglie che si trovano in condizione di povertà relativa rappresentando l'11,3 per cento delle famiglie residenti. A fronte di questo scenario risulta desolante il confronto delle politiche economiche nazionali per il diritto allo studio con quelle degli altri Paesi europei, dove invece la presenza di un più forte stato sociale e politiche per l'accesso ai canali formativi hanno meglio garantito altissimi livelli di istruzione e formazione e, conseguentemente, migliori condizioni di vita: se l'80 per cento degli studenti italiani non riceve una borsa di studio, in Francia la percentuale è del 70 per cento; la percentuale scende al 60 per cento in Germania, mentre in Olanda addirittura al 4 per cento; rispetto alle residenze universitarie, in Italia solo il 2 per cento degli studenti ha diritto ad un alloggio, mentre in Francia la percentuale sale all'8 per cento, in Germania al 10 per cento, ed in Svezia addirittura al 17 per cento. Si tratta di dati che chiariscono come in Italia vi sia uno dei tassi di abbandono universitario tra i più alti d'Europa, il 18,5 per cento, ben al di sopra di altri Stati come Olanda, pari al 7 per cento, o Gran Bretagna, pari all'8,5 per cento;
    dunque, accanto ad una normativa lacunosa, anche la scelta trasversale degli ultimi Governi di trascurare l'investimento in formazione superiore ha fatto sì che i fondi destinati dallo Stato al riconoscimento delle borse di studio siano sempre insufficienti a garantire la copertura totale degli idonei e che il diritto allo studio pesi ormai per oltre il 42 per cento sulle spalle degli studenti stessi che vi provvedono tramite la tassa regionale per il diritto allo studio, diventandone così essi stessi i principali finanziatori. Se si guarda, infatti, al decennio che va dal 2002 al 2012 si scopre che, a fronte di un numero quasi costante di studenti dichiarati idonei alla borsa di studio, una larga parte di essi, oltre 25.000, a causa della carenza di fondi è stata confinata nel limbo degli idonei che non l'hanno percepita, andando così ad allargare la platea dei cosiddetti «idonei non beneficiari», ossia di coloro che, pur soddisfacendo i requisiti di accesso sanciti dal bando dell'ufficio regionale competente, non ricevono alcuna borsa a causa dell'insufficienza delle risorse;
    poiché la concessione delle borse di studio è assicurata a tutti gli studenti aventi i requisiti di eleggibilità nei limiti delle risorse disponibili nello stato di previsione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, lo stesso Stato, pur vincolando le regioni a versare per tale finalità il 40 per cento del contributo statale, non vincola in alcun modo se stesso allo stanziamento atto a coprire la spesa di tutte le borse in concorso, dimostrando in tal modo di non attribuire al diritto allo studio quel carattere inderogabile e prioritario che invece gli impone la Costituzione;
    a complicare la situazione interviene lo stesso meccanismo previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, 9 aprile 2001 che, a garanzia del prioritario utilizzo delle risorse statali da parte delle regioni, prevede che le stesse possano ricorrervi solo dopo aver esaurito le proprie e quelle derivanti dalla tassa regionale per il diritto allo studio, pena la riduzione di pari importo della quota loro spettante del fondo integrativo;
    tutte le suddette carenze generano anche profonde sperequazioni tra le diverse zone d'Italia che si traducono nella penalizzazione degli studenti che provengono dalle aree più povere del Paese, in particolare dal meridione. Ogni anno, infatti, le università meridionali registrano una costante riduzione delle immatricolazioni e circa 29.000 diplomati al sud emigrano al Centro-nord per iscriversi a corsi universitari, una riduzione che ovviamente condiziona anche il numero dei laureati. Anche i criteri di riparto del fondo integrativo per la concessione delle borse di studio penalizzano in maniera evidente da oltre 13 anni il meridione, sottraendo ogni anno importanti risorse economiche agli studenti, il 75 per cento dei quali, pur essendo idonei non ricevono le agevolazioni per la prosecuzione dei loro studi;
    sempre l'Ocse, nel suo rapporto annuale «Education at a glance», pubblicazione che analizza i sistemi di istruzione di 34 Paesi membri e li elabora con i dati relativi ai tassi di occupazione e disoccupazione per livello di studio, ha sottolineato la stretta correlazione tra il numero di laureati e lo sviluppo economico di un territorio e come la riduzione del numero dei laureati meridionali produca ripercussioni negative sulla situazione economica e culturale di quell'area del Paese;
    l'articolo 5, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1997, n.306, («Regolamento recante disciplina in materia di contributi universitari») stabilisce che la quota totale di contribuzione con la quale gli studenti concorrono alla copertura del costo dei servizi offerti dalle università non può eccedere il 20 per cento dell'importo del finanziamento ordinario annuale dello Stato a ciascuna di esse. A causa della sensibile diminuzione delle risorse del fondo per il finanziamento ordinario, molte università a fronte di una conseguente diminuzione di risorse, per garantire il medesimo livello dei servizi, sono state costrette a superare tale limite (a volte fino ad elevarlo al 40 per cento) e ad elevare le tasse;
    in tutti i Paesi dell'Unione europea, tranne Italia e Grecia, esistono forme di reddito diretto per i soggetti in formazione. Si tratta di uno strumento che supera il modello assistenzialistico e rende lo studente libero e responsabile delle proprie scelte, favorendone la partecipazione e la creatività giovanile, stimolando l'opportunità di formarsi culturalmente al di là dei luoghi classici della formazione, in grado di slegare i soggetti in formazione dalla famiglia e dalla propria condizione sociale, imprimendo un'accelerazione alla mobilità sociale;
    quanto premesso promuove un modello sociale che rischia di esacerbare le disuguaglianze e di annullare ogni opportunità di autodeterminazione dei soggetti impegnati in percorsi di alta formazione,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa di competenza, relativa al diritto allo studio universitario, volta:
   a) alla definizione di un sistema di welfare studentesco nazionale che garantisca l'effettiva rimozione degli ostacoli di natura economica per gli studenti capaci e meritevoli, consentendo loro di accedere e completare i corsi di studio universitario;
   b) alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni connesse al diritto allo studio, di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, capaci di abbattere le attuali disuguaglianze sociali e disomogeneità territoriali;
   c) all'adozione di un piano straordinario di finanziamenti strutturali per il diritto allo studio, al fine di raggiungere la copertura totale dei fondi destinati alle borse di studio da erogare a tutti gli idonei per risolvere definitivamente il diffuso ed inaccettabile fenomeno degli idonei non vincitori di borsa;
   d) all'ampliamento delle fasce di reddito degli aventi diritto alle provvidenze attualmente previste che al peggiorare della situazione economica si rivelano sempre più inadeguate;
   e) alla garanzia del pieno godimento dei diritti di cittadinanza agli studenti universitari anche attraverso misure di agevolazione della mobilità sui mezzi di trasporto pubblico, canoni calmierati per la locazione di immobili nel comune in cui ha sede l'ateneo, ed assistenza sanitaria gratuita nella regione in cui ha sede l'università;
   f) ad un regime sperimentale che riconosca il reddito di formazione a tutti quegli studenti che vivono in condizioni economiche particolarmente disagiate;
   g) ad una più equa ripartizione della contribuzione studentesca attuata anche attraverso la previsione di una «no tax area» per quei soggetti con Isee al di sotto dei 20.000 euro, che, a causa di condizioni economiche disagiate, sono potenzialmente più esposti al rischio di abbandono degli studi;
   h) all'estensione agli studenti immigrati di tutte le agevolazioni riservate agli studenti di cittadinanza italiana in materia di diritto allo studio;
   i) all'istituzione della carta di cittadinanza studentesca al fine di favorire i consumi culturali;
   j) allo stanziamento di ulteriori risorse finanziarie finalizzate a rendere effettivo su tutto il territorio nazionale il diritto allo studio universitario.
(1-01298)
«Pannarale, Giancarlo Giordano, Carlo Galli, Paglia, Nicchi, Gregori, Scotto».
(8 giugno 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    il diritto allo studio è riconosciuto dagli articoli 3 e 34 della Costituzione; nell'articolo 34 della nostra Costituzione è chiaramente affermato che i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. I mezzi per rendere effettivo questo diritto non mancano: borse di studio, assegni alle famiglie e altri aiuti economici, servizi come collegi universitari, mense e altro;
    la Costituzione italiana stabilisce che tutti i cittadini hanno diritto all'istruzione e che a tutti deve essere data la possibilità di raggiungere i più alti livelli dell'istruzione. Per rendere effettivo il diritto di ogni persona ad accedere e frequentare ogni grado del sistema scolastico e formativo, Stato regioni ed enti locali promuovono interventi per rimuovere gli ostacoli di ordine economico, sociale e culturale a tale diritto. In seguito alla riforma costituzionale del 2001, in particolare le regioni esercitano funzioni di programmazione, indirizzo, coordinamento e sperimentazione in tale materia, ripartiscono i fondi a favore delle province e definiscono le modalità di attuazione degli interventi, anche in relazione ad intese con enti locali e scuole;
    oltre a un concreto aiuto economico, il sostegno alle famiglie nel diritto allo studio prevede altre linee d'azione. Promuovere interventi a sostegno delle famiglie e dei ragazzi, vuol dire non solo rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che si frappongono al pieno godimento di tali diritti, ma favorire la prevenzione e il recupero del disagio giovanile, sostenere la qualificazione del sistema formativo integrato per il diritto allo studio, prevenire casi di dispersione scolastica, vuol dire raccordare istituzioni e servizi educativi, scolastici e culturali. Ma, soprattutto, vuoi dire garantire a tutti pari opportunità di successo scolastico e formativo;
    oltre alle ragioni deontologiche, di etica pubblica e di rispetto dei diritti individuali, esistono valide ragioni utilitaristiche per supportare il diritto all'istruzione, anche universitaria. Tuttavia, a fronte di un ampio consenso sulla sua importanza, vi sono opinioni divergenti su come attuarlo: l'articolo 34, pur suggerendo alcuni strumenti attuativi («la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso»), lascia alcune questioni indeterminate: come sono definiti (e da chi) gli studenti «meritevoli ma privi di mezzi» a cui si deve garantire questo diritto; in che modo (e da chi) sono definiti gli importi delle borse di studio, e quali sono le altre provvidenze; ed è questo lo spazio che la politica deve occupare per elaborare risposte coerenti al contesto concreto in cui si trovano gli studenti, le loro famiglie e il mondo universitario;
    diritto allo studio significa centralità dello studente e centralità della scuola; è necessario che la scuola tenga conto delle ineguaglianze delle condizioni di partenza e in genere delle condizioni personali, familiari, ambientali, economiche, sociali e culturali degli alunni, e disponga pertanto di mezzi idonei a compensare per quanto possibile le suddette ineguaglianze, in misura inversamente proporzionale alle risorse dell'utenza;
    il rapporto OSCE sull'istruzione del 2015 rileva un quadro abbastanza grave sull'esiguo numero di laureati e sui bassi tassi di iscrizione all'università del nostro Paese. Infatti, l'Italia è tutt'ora indietro rispetto ai 34 Paesi più industrializzati del mondo;
    se da un lato il rapporto OSCE sull'istruzione segnala che il 20 per cento dei giovani italiani (più tre rispetto alla media) consegue una laurea a ciclo unico, dall'altro sottolinea che soltanto il 42 per cento dei diplomati opta per la prosecuzione degli studi intraprendendo un percorso universitario. Quest'ultimo dato pone l'Italia al terz'ultimo posto tra i Paesi OSCE dopo il Lussemburgo ed il Messico;
    tuttavia, la nota più grave del rapporto è, ancora una volta quella relativa alla percentuale di laureati nella fascia d'età tra i 25 ed i 64 anni. Infatti, in Italia tale percentuale si ferma al 17 per cento come il Brasile, il Messico e la Turchia. Ma a differenza di questi Paesi, dove un laureato arriva a guadagnare anche il 160 per cento in più rispetto ad un diplomato, nella nostra Nazione aver conseguito un titolo di studio universitario fa mediamente innalzare lo stipendio solo del 43 per cento;
    il nostro Paese inoltre, pur avendo compiuto significativi miglioramenti negli ultimi dieci anni, ha deboli strategie dirette a far sì che i giovani laureati o diplomati entrino nel mondo del lavoro. Infatti il tasso di occupazione dei nostri laureati italiani è simile a quello di molti Paesi meno industrializzati;
    in Italia, pertanto, si riscontra una notevole difficoltà per i laureati di accedere ad una professione o ad un impiego;
    nel nostro Paese, altresì, si registra che solo un numero esiguo di diplomati scelgono di proseguire gli studi universitari. Infatti, il citato rapporto OSCE rileva un crescente disinteresse dei giovani italiani per la formazione, tanto che i dati del rapporto dimostrano anche un aumento della dispersione scolastica;
    risulta poi assai grave il fenomeno migratorio dei diplomati che in numero sempre più crescente ogni anno abbandonano le regioni del Sud per intraprendere i propri studi nel Centro o nel Nord del nostro Paese. Ciò determina un effetto economico e sociale negativo per il nostro Mezzogiorno che perde giovani talenti in grado di favorire la crescita e lo sviluppo delle regioni meridionali; regioni nelle quali, peraltro, si segnala un pesante calo delle immatricolazioni;
    sono sempre più urgenti risorse economiche che consentano di dare slancio a quell'ascensore sociale che ha visto emergere intelligenze brillanti e veri talenti per la ricerca anche tra persone di fascia economico-sociale più modesta, perché solo così è possibile interrompere quella catena che privilegia le persone che hanno alle spalle famiglie abbienti; il fondo di finanziamento ordinario delle università (Ffo), nato nel 1993, come veicolo di finanziamento « omnibus» non ha permesso di distinguere tra un finanziamento orientato al merito e il fondo destinato al funzionamento ordinario, per cui quest'ultimo ha assorbito completamente le risorse disponibili sottraendole al diritto allo studio per studenti meritevoli a basso reddito;
    con la cosiddetta riforma Gelmini (legge n.240 del 2010), l'investimento destinato alle università si riduce drasticamente e il fondo di finanziamento ordinario diminuisce ai livelli di metà anni novanta; diminuisce il peso delle risorse attribuite dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca a vantaggio della contribuzione studentesca e di finanziamenti di soggetti terzi, specie privati; in altri termini aumentano le tasse a carico degli studenti, che non solo si vedono privati degli aiuti economici di cui avevano goduto fino a quel momento sotto diverse modalità, ma debbono pagare a caro prezzo il loro ingresso in università. Questo cambiamento produce un significativo impatto territoriale, perché colpisce in particolare le università collocate nelle aree meno ricche del Paese;
    occorre rivedere l'intero meccanismo di finanziamento delle università, individuando anche formule di collaborazione con enti privati sotto forma di borse di studio, attivando anche fondi premiali destinati alla ricerca, sulla base di criteri di valutazione della ricerca, che rispondano di più ai moderni criteri di valutazione-accreditamento-finanziamento;
    in tale contesto si rileva come la legge di stabilità per il 2016 abbia incrementato il fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio agli studenti universitari. Sempre con la legge di stabilità sono state inoltre introdotte agevolazioni fiscali e contributive per coloro che usufruiscono di borse di studio erogate nel corso del programma Erasmus Plus;
    la stessa legge di stabilità ha incrementato il Fondo per il finanziamento ordinario delle università (di 6 milioni di euro per il 2016 e di 10 milioni di euro dal 2017) destinato, tra l'altro, all'assunzione di ricercatori a tempo determinato. Inoltre viene istituito in via sperimentale il Fondo per le cattedre universitarie «del merito» con una dotazione di 38 milioni di euro nel 2016 e di 75 milioni di euro nel 2017 per il reclutamento straordinario a «chiamata diretta» e per un elevato merito scientifico di professori di prima e di seconda fascia,

impegna il Governo:

   a valutare la possibilità, oltre alle misure già previste nella legge di stabilità, di assumere iniziative per incrementare il fondo per il diritto allo studio;
   a valutare l'opportunità di favorire gli studenti che si trovano in una situazione di disagio economico assumendo iniziative per l'introduzione di borse di studio specifiche per gli stessi;
   a valutare l'opportunità, in un futuro provvedimento, di ridurre le tasse universitarie in modo da favorire gli studenti in stato di disagio economico che vogliono iscriversi all'università;
   a valutare la possibilità di assumere iniziative per escludere dal calcolo dell'ISEE i trattamenti a sostegno del diritto allo studio come le borse di studio, i premi di studio, i premi di laurea, le borse per la mobilità internazionale e le altre provvidenze a sostegno del diritto allo studio.
(1-01299) «Buttiglione, Binetti, Bosco».
(10 giugno 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    in Italia sono ancora troppo pochi i giovani che scelgono di intraprendere gli studi universitari, e l'edizione 2015 del rapporto «Education at a Glance», pubblicato dall'Organizzazione per la cooperazione e lo Sviluppo Economici, ha dimostrato come sotto questo aspetto l'Italia invece di migliorare stia continuando ad arretrare rispetto agli altri Stati membri;
    la percentuale di italiani che inizia gli studi post-secondari è, infatti, la più bassa in Europa, pari ad appena il 42 per cento, e la penultima nell'OCSE, davanti solo al Messico, mentre la media europea e quella dell'OCSE sono più alte, rispettivamente, di 21 e 25 punti percentuali, attestandosi la prima sul 63 per cento, e la seconda sul 67 per cento;
    ancora più critiche appaiono le cifre relative agli studenti che riescono a concludere il ciclo di studi universitari, pari ad appena il 24 per cento, valore più basso tra tutti i Paesi facenti parte dell'OCSE, e che rende un traguardo oramai irraggiungibile la quota del quaranta per cento di laureati nella fascia di età compresa tra i 30 e i 34 anni fissato nell'ambito della strategia «Europa 2020»;
    stando al rapporto Alma Laurea su «Il Profilo e la condizione occupazionale dei laureati», presentato lo scorso mese di aprile a Napoli, «il costante calo delle immatricolazioni, che negli ultimi anni ha interessato l'intero sistema universitario italiano, sta interessando in modo differenziato i diversi territori. A pagare il prezzo più elevato sono le regioni del Sud, non solo per la diminuzione più marcata di immatricolati, ma anche per i costanti flussi di mobilità dei giovani che dal Mezzogiorno scelgono di spostarsi per studiare nelle altre regioni del Paese»;
    l'andamento delle immatricolazioni mostra, infatti, che dal 2003 al 2015 le università hanno perso nel complesso quasi settantamila nuovi iscritti, con una diminuzione che nel Mezzogiorno è stata pari al trenta per cento, nelle regioni del centro si è fermata al ventidue per cento, mentre in quelle settentrionali è stata di appena il tre per cento;
    ad aggravare ulteriormente questa situazione, sulla quale pesa come elemento affatto trascurabile anche il calo demografico che negli ultimi decenni ha ridotto di quasi la metà la platea dei giovani possibili studenti universitari, si è andata recentemente ad aggiungere la questione relativa alla revisione delle modalità di calcolo dell'isee, in vigore dal 1o gennaio 2015 in applicazione del DPCM 5 dicembre 2013, n.159, recante il «Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)»;
    le modifiche al sistema di calcolo dell'Isee e dell'Ispe (Indicatore della situazione patrimoniale equivalente) e all'individuazione delle rispettive soglie per accedere alle borse di studio hanno determinato l'esclusione del venti per cento degli studenti risultati fino ad oggi idonei dai benefici del diritto allo studio a parità di condizioni economiche reali;
    questi studenti vanno ad aggiungersi alla già numerosa platea degli studenti idonei non beneficiari, fenomeno tutto italiano che dipende dalla mancata erogazione di fondi adeguati da parte dello Stato e delle regioni, che nell'anno accademico 2013/2014 sono stati più di quarantaseimila, vale a dire un quarto di tutti gli aventi diritto, e che non hanno, invece, percepito la borsa di studio a causa della mancanza di fondi;
    la percentuale di copertura delle borse di studio, inoltre, non risulta omogenea tra le varie regioni, e accade quindi che in alcune regioni la percentuale di studenti beneficiari rispetto agli idonei rimanga addirittura al di sotto del sessanta per cento, fino ad arrivare ad un minimo del trentadue per cento di copertura da parte della Regione Sicilia;
    il sottofinanziamento del sistema universitario italiano emerge chiaramente dal confronto con gli altri Paesi europei, ove si può vedere come la percentuale di prodotto interno lordo destinata dall'Italia, pari allo 0,4 per cento, è nettamente inferiore a quello impegnato da parte di Nazioni come la Germania e la Francia, rispettivamente, lo 0,99 per cento e lo 0,98 per cento, ma anche del Regno Unito e della Spagna, che versano lo 0,51 per cento e lo 0,73 per cento;
    l'esiguità delle risorse destinate dall'Italia alla formazione universitaria si manifesta anche nella spesa media per studente e, di contro, nell'elevata tassazione studentesca, che negli ultimi sette anni è aumentata del cinquanta per cento, mentre rispetto all'atteggiamento tenuto dalle singole Nazioni negli anni della crisi economica l'Italia si contraddistingue per essere l'unica che ha operato una riduzione dei finanziamenti al sistema universitario;
    l'articolo 18 del decreto legislativo 68 del 2012 ha previsto la creazione di un nuovo fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio, da ripartire tra le regioni e che ha assorbito il fondo precedentemente destinato alle medesime finalità;
    rispetto alla ripartizione ed erogazione delle risorse giacenti sul Fondo integrativo si registrano pesanti ritardi, che mettono a rischio la concreta erogazione da parte delle regioni delle rate delle borse di studio;
    il diritto allo studio, oltre a discendere dal principio di uguaglianza sancito dall'articolo 3 della Costituzione, trova un esplicito rilievo costituzionale nell'articolo 34 che prevede espressamente che «i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi», e che «la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso»,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per assicurare la piena realizzazione del diritto allo studio, attraverso la rimozione degli ostacoli economici e sociali che limitano l'accesso agli studi universitari e a garantire l'uniformità su tutto il territorio nazionale dei benefici in materia di diritto allo studio universitario;
   a promuovere il conseguimento dei più alti livelli formativi da parte di tutti i giovani, in condizioni di pari opportunità, valorizzando prioritariamente il merito degli studenti capaci e privi di mezzi;
   ad assumere iniziative per realizzare una riforma dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) che possa garantire l'accesso alle prestazioni relative al diritto allo studio ad una quantità maggiore di studenti, avvicinando il rapporto tra studenti beneficiari e studenti iscritti a quello degli altri Stati europei;
   ad assumere iniziative per realizzare un incremento della quota di prodotto interno lordo destinato al sistema universitario, anche al fine di determinare una significativa riduzione delle tasse a carico degli studenti, nonché ad adottare politiche volte a rendere più efficiente l'apparato burocratico, riducendo gli sprechi ed eliminando i disservizi;
   ad adottare le opportune iniziative volte a definire in modo chiaro i termini temporali per la ripartizione e l'erogazione delle risorse del fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio, nonché a disporre un aumento delle risorse del medesimo fondo che possa risolvere in via definitiva la problematica degli studenti idonei non beneficiari;
   ad assumere iniziative per prevedere meccanismi di sgravi fiscali che permettano alle famiglie di detrarre integralmente le spese sostenute per la frequenza universitaria.
(1-01301)
«Rampelli, La Russa, Giorgia Meloni, Petrenga, Taglialatela, Cirielli, Maietta, Nastri, Rizzetto, Totaro».
(10 giugno 2016)