TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 590 di Martedì 15 marzo 2016

 
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INTERROGAZIONI

A)

   CENNI, OLIVERIO, FIORIO, ZANIN, COVA, LUCIANO AGOSTINI, CARRA, MONGIELLO, TERROSI, VALIANTE, FERRARI e TENTORI. – Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. – Per sapere – premesso che:
   l'agricoltura biologica è un metodo di produzione normato con il regolamento 2092/91/CEE, sostituito successivamente dai regolamenti (CE) 834/07 e 889/08 e a livello nazionale con il decreto ministeriale n. 18354 del 2009;
   come è noto il termine «agricoltura biologica» indica un metodo di coltivazione e di allevamento che esclude l'utilizzo di sostanze di sintesi chimica (concimi, diserbanti, insetticidi);
   l'agricoltura biologica si fonda su un modello di produzione sostenibile, che esclude lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, in particolare del suolo, che fa uso di solo materiale organico ed evita, ricorrendo ad appropriate tecniche agricole, qualsiasi forma di sfruttamento intensivo;
   anche nella zootecnia si pone la massima attenzione al benessere degli animali, si predilige il libero pascolo e l'alimentazione vegetale biologica, non si utilizzano antibiotici, ormoni o altre sostanze che stimolino artificialmente la crescita e la produzione di latte;
   secondo i dati del sesto censimento Istat sull'agricoltura italiana sono 45.167 le aziende che al 24 ottobre 2010 risultano adottare metodi di produzione biologica per coltivazioni o allevamenti. Esse rappresentano il 2,8 per cento delle aziende agricole totali. Di queste, 43.367 aziende applicano il metodo di produzione biologico sulle coltivazioni (2,7 per cento delle aziende in complesso con della superficie agricola utilizzata) mentre 8.416 lo adottano per l'allevamento (3,9 per cento delle aziende in complesso con allevamenti). Sono invece 6.616 le aziende quelle che utilizzano metodi di produzione biologica sia per le coltivazioni sia per gli allevamenti;
   secondo recenti stime il fatturato in Italia relativo ai prodotti di agricoltura biologica, è pari a circa 3 miliardi di euro annui, con un aumento di circa il 7,3 per cento nel 2012. Durante le stesse audizioni svolte recentemente in XIII Commissione, le associazioni rappresentative del settore hanno parlato di un aumento della produzione biologica nel Paese nel 2013 di circa il 7 per cento. Si tratta di cifre che pongono con tutta evidenza l'Italia ai primi posti nel mondo per tale produzione;
   in questi ultimi anni è cresciuto il livello di fiducia dei consumatori nei confronti dei prodotti da agricoltura e zootecnia biologica, in virtù di tale fiducia ed affidabilità si sono strutturate filiere e piattaforme finalizzate ad incentivare la vendita diretta, l'acquisto di prodotti biologici locali, la fornitura per mense scolastiche; tali filiere, in virtù di quanto previsto specificamente dai regolamenti, garantiscono altresì l'assenza di organismi geneticamente modificati;
   il 6 giugno 2013 la Guardia di finanza di Pesaro, con la collaborazione dell'Ispettorato repressioni frodi del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, avrebbe confiscato 800 tonnellate di semi di soia provenienti dall'India e 340 tonnellate di panello e olio di colza turchi, falsamente certificati come «biologici» e contaminati da sostanze fitosanitarie nocive. Tali prodotti, che potevano essere commercializzati su tutto il territorio nazionale da aziende di Cremona, Brescia e Pesaro, sarebbero stati utilizzati per preparare numerosi alimenti, fra cui biscotti, dolciumi, snack, pasta, riso e sostituti del pane;
   questa operazione segue il sequestro, già avvenuto, di 1.500 tonnellate di mais ucraino e 76 tonnellate di soia indiana;
   il 7 giugno 2013 la Guardia di finanza di Cagliari ha individuato una maxi truffa nel mercato biologico pari ad oltre 135 milioni di euro. Tale intervento ha portato a 16 ordinanze di custodia cautelare, nei confronti di una organizzazione, che aveva come vertice una azienda di Capoterra, che avrebbe presentato false certificazioni relative a prodotti biologici, destinati al mercato nazionale ed europeo, senza che i prodotti fossero realmente «bio». Le ordinanze sono state notificate oltre che in Sardegna, nel Lazio, Marche, Emilia-Romagna, Veneto e Puglia;
   risulta del tutto evidente come tali frodi, insistendo su produzioni che si caratterizzano per una filiera di alta qualità, sicurezza, certificate di disciplinari e marchi dell'Unione europea, rappresentino un gravissimo danno al settore e all'intero sistema agroalimentare nazionale;
   secondo quanto dichiarato da alcune associazioni di rappresentanza del settore, questo tipo di reati si ripeterebbe con frequenza perché mancherebbe ancora «a livello europeo e nazionale, quella sicurezza alle frontiere tale da garantire al 100 per cento la certificazione dei prodotti, ed un sistema sanzionatore così severo da scoraggiare questo tipo di frodi»;
   come noto le falsificazioni del made in Italy e l'azione criminale delle agromafie causano al settore agroalimentare nazionale una perdita annua totale pari a 72,5 miliardi di euro. In particolare, il volume d'affari delle agromafie ammonta oggi a 12,5 miliardi di euro (pari al 5,6 per cento dell'intero business criminale), e gli interessi economici della criminalità organizzata nel settore agroalimentare stanno crescendo ed espandendosi in tutte le filiere produttive;
   questa situazione allarmante, che penalizza il Paese dal punto di vista economico e produttivo, viene confermata dai risultati della indagine promossa dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della contraffazione e della pirateria in campo commerciale e agroalimentare, redatta nella XVI legislatura;
   risulta comunque altrettanto evidente come il sistema dei controlli di cui il nostro Paese si è dotato sta consentendo di portare alla luce e sanzionare importanti situazioni come quelle in oggetto;
   così come è evidente che la volontà del legislatore, delle amministrazioni pubbliche con competenza in materia di agricoltura e di sicurezza alimentare si sia pronunciata chiaramente in direzione di norme certe in materia di tracciabilità ed etichettatura dei prodotti –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa e considerato che la produzione biologica può rappresentare un settore di mercato con potenzialità di ulteriore crescita, ritenga urgente ed opportuno intraprendere ulteriori provvedimenti utili per prevenire e contrastare le frodi alimentari, per tutelare la salute del consumatore, i livelli occupazionali e produttivi delle aziende del settore, l'immagine dell'intero sistema agroalimentare italiano, anche attraverso un più efficace coordinamento degli attori deputati ai controlli (a livello nazionale e comunitario) e verificando, anche unitamente al Ministro competente, iniziative normative per l'inasprimento delle pene previste per tali reati;
   se non ritenga utile promuovere ulteriormente ed incentivare, come sollecitato dai produttori agricoli del settore, ogni iniziativa utile ad accorciare la filiera nazionale per i prodotti biologici e l'acquisto diretto da parte dei consumatori dai produttori italiani che garantiscono con certezza la provenienza e la certificazione di tali alimenti;
   se non ritenga, al fine di favorire una filiera di proteine vegetali nazionali (soia, pisello proteico, favino) destinate all'alimentazione zootecnica biologica e di qualità, libera da organismi geneticamente modificati, di promuovere, anche attraverso gli strumenti dei piani di sviluppo rurale, un piano nazionale di proteaginose bio di livello nazionale, più volte sollecitato da numerose associazioni di rappresentanza agricola. (3-00991)
(6 agosto 2014)

B)

   SEGONI, GAGNARLI, ARTINI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. – Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. – Per sapere – premesso che:
   in data 9 settembre 2014 veniva segnalato l'ennesimo sversamento di «digestato» in un terreno agricolo: tale «digestato» è prodotto da uno dei numerosi piccoli impianti di «digestione anaerobica» ormai funzionanti in Italia;
   a seguito della segnalazione, la provincia di Pisa, nella persona del suo dirigente affermava che il digestato è un ammendante utilizzabile nei terreni agricoli, ai sensi dell'articolo 52, comma 2-bis, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83;
   a seguito dell'interrogazione presentata dal parlamentare europeo del Partico democratico Andrea Zanoni il 24 settembre 2013 in seguito alla moria di bovini attribuibile allo sversamento di digestato nei campi da parte della centrale a biogas di Trebaseleghe (E-010830-13), il Commissario Janez Potocnik rispondeva il 13 dicembre 2013 che «i digestati derivanti dalla produzione di biogas sono considerati «rifiuti prodotti» e rientrano pertanto nell'ambito di applicazione della normativa sui rifiuti» e che la Commissione europea si sarebbe premurata di emanare i criteri da soddisfare per fare in modo che il «digestato» cessi la qualifica di rifiuto, altrimenti detti criteri «end of waste». Detti criteri ad oggi non risultano ancora emanati;
   il digestato viene identificato nel catalogo europeo rifiuti con il codice 19.06.04 ove prodotto dal trattamento di rifiuti urbani. Nel caso il digestato sia prodotto con materiale biologico espressamente coltivato a scopi energetici, come nel caso di specie, il catalogo europeo rifiuti non prevede alcuna classificazione, anche se in alcuni casi potrebbe essere identificato con il codice 16.03.06 (rifiuti organici non contenenti sostanze pericolose);
   in risposta all'interrogazione Terzoni, del 5 maggio 2014, n. 4-03037, il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali informa che «sono in corso una serie di ricerche svolte dagli istituti del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, oltre ad uno specifico studio affidato all'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale in collaborazione con l'agenzia regionale per la protezione ambientale del Piemonte, della Lombardia, dell'Emilia-Romagna, del Veneto e del Friuli Venezia Giulia, finalizzato a conoscere l'origine del contenuto dei nitrati nelle acque sotterranee e superficiali presenti nell'area sottoposta ad indagine, definendone i contributi derivanti dalle diverse sorgenti sulla base delle conoscenze ambientali e territoriali, dei numerosi processi fisici chimici e biologici che intervengono e dei dati e delle informazioni e delle analisi di monitoraggio dello stato dei suoli e delle acque»;
   è ormai noto il rischio sanitario derivante dallo sversamento nei campi del «digestato». Si cita, ad esempio, non esaustivo, proprio il caso del maggio 2013 riportato agli onori della cronaca sempre dall'onorevole Zanoni, quando a Trebaseleghe (Padova) si è verificata una vera e propria moria di bovini a causa di avvelenamento da botulino. Il contagio ha coinvolto circa 50 animali e ha comportato il sequestro di un allevamento a opera dell'azienda sanitaria locale, con un danno per l'azienda agricola di 100.000 euro. Secondo quanto emerso dalle indagini epidemiologiche svolte nell'immediatezza la tossina potrebbe essere stata contenuta nel terreno presente nel fieno consumato dai bovini. Il botulismo, malattia mortale anche per l'uomo, è legata al Clostridium botulinum, un batterio anaerobico che produce la neurotossina botulinica, la sostanza più tossica fino a oggi conosciuta. A questo proposito occorre segnalare che potrebbe esistere un rapporto causa-effetto tra botulismo nei bovini e presenza sul territorio di centrali per la produzione di biogas. Il Clostridium botulinum, infatti, può essere presente nel digestato di tali impianti, il materiale di scarto che viene sparso sui terreni a valle del processo produttivo del biogas. Più recentemente si segnalano vari casi di contaminazione del mais da aflatossine, in Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, tutti ricollegabili all'uso del digestato;
   la risposta del Commissario Potocnik è chiara e inequivocabile: fra l'altro essa è posteriore alla risposta data dal Governo a seguito dell'interrogazione in Commissione a prima firma Gagnarli (n. 5-00585) –:
   quali iniziative intenda promuovere, al fine di tutelare l'ambiente e la salute umana e animale, per assoggettare il digestato a rifiuto conformemente a quanto previsto dall'Unione europea;
   se intendano approfondire attraverso uno studio epidemiologico, di concerto con il Ministero della salute, l'impatto sanitario derivante dallo spandimento del digestato nei campi;
   quali tempi si prevedano per il completamento dello studio commissionato all'Ispra sui rischi chimico-fisici e biologici derivanti dall'uso del digestato;
   se intenda approfondire, di concerto con il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali e con quello dello sviluppo economico, l'impatto dello spandimento di digestato sulla filiera alimentare e, in particolare, sulle eccellenze alimentari tutelate da marchio DOP e IGP.
(3-02101)
(14 marzo 2016)
(ex 5-05418 del 22 aprile 2015)

C)

   CRIVELLARI, DAL MORO, D'ARIENZO, DE MENECH, MOGNATO, MURER, NARDUOLO, MORETTO, RUBINATO, ZAN, ZARDINI, ZOGGIA e ROSTELLATO. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   da quanto dichiarato dalla prefettura di Rovigo, ovvero che «l'avvio di nuove strutture detentive non è tra le priorità del Governo, visto che si sono risolti alcuni problemi delle vecchie carceri in altre maniere», risulta il momentaneo blocco dei lavori di realizzazione della nuova struttura penitenziaria della città di Rovigo;
   per il nuovo carcere sono già stati spesi circa 29 milioni di euro e dal punto di vista strutturale il sito è, di fatto, terminato già da due anni;
   dal 2013 ad oggi sono stati costruiti anche 90 appartamenti di servizio destinati al personale della struttura e due destinati al comandante del Corpo di polizia penitenziaria;
   secondo quanto è possibile verificare non sarebbe stata costruita una sezione per i semiliberi;
   ad oggi non sarebbe stata eseguita la climatizzazione di molti locali all'interno; mancherebbero l'asfaltatura della strada esterna al carcere e quella interna ad esso e i mobili sia per i detenuti sia per il personale; non sarebbero state terminate le cucine; il nuovo carcere assorbirebbe almeno 150 agenti da aggiungere alla cinquantina già in servizio nella vecchia casa circondariale; lo stop alla realizzazione non è riconducibile all'impossibilità di assumere nuovi agenti in quanto è stato comunicato che a dicembre 2015 termina un corso di allievi di polizia penitenziaria (circa 370) e successivamente sarà indetto un concorso per 440 poliziotti penitenziari;
   la nuova struttura penitenziaria di Rovigo riveste un importante peso anche rispetto all'attuale carcere di via Verdi, il quale da tempo lamenta una situazione critica per spazi e disponibilità organizzative, con difficoltà per la popolazione carceraria e per il personale impegnato;
   il nuovo penitenziario permetterebbe di dare avvio alle progettualità di recupero e riqualificazione dell'area del vecchio carcere nel cuore della città stessa di Rovigo –:
   se intenda verificare le cause dell'interruzione dei lavori di ultimazione della nuova struttura penitenziaria presente tra la tangenziale cittadina e via Calatafimi a Rovigo e quali siano i tempi previsti per la fine del cantiere e successivamente per l'avvio delle attività penitenziarie.
(3-02102)
(14 marzo 2016)
(ex 5-06354 del 10 settembre 2015)

   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e SEGONI. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   è notizia di questi giorni che il nuovo carcere di Rovigo potrebbe costituire un caso emblematico di un'Italia che spreca denaro pubblico, cementificando inutilmente terreni produttivi, ennesimo esempio di cattedrali nel deserto abbandonate poi all'incuria ed al degrado;
   il prefetto di Rovigo, dottor Francesco Provolo, ha, infatti, recentemente rilasciato dichiarazioni secondo non sarebbe nelle priorità del Ministero della giustizia l'apertura a regime del nuovo carcere di Rovigo, capace di ospitare 250 detenuti;
   tale notizia lascia del tutto sconcertati in quanto il progetto, del costo iniziale stimato in 20 milioni di euro per ciascuna delle due fasi dell'intervento, ha visto la realizzazione della prima parte, cioè la costruzione della struttura dell'istituto penitenziario oltre a 90 appartamenti di servizio destinati al personale della struttura e due attici di 160 metri quadrati destinati al comandante del Corpo di polizia penitenziaria, per la spesa complessiva di 29 milioni di euro;
   la seconda fase, del costo di ulteriori 20 milioni di euro, ma secondo altri sarebbero sufficienti solo 8 milioni, servirebbe per le forniture d'arredo, le opere collegate, tra le quali l'asfaltatura di una strada d'accesso e la collocazione dei detenuti, nonché per l'assunzione di circa un centinaio di agenti, da aggiungere agli attuali 50 già in servizio nel vecchio carcere, per consentire di raggiungere la capienza massima di 408 detenuti;
   tale notizia giunge in un momento nel quale alcune rappresentanze sindacali denunciano l'emergenza all'interno del vecchio penitenziario di via Verdi in Rovigo a tutt'oggi in funzione, relativamente alle condizioni di lavoro del personale e di vita dei detenuti;
   un rappresentante della funzione pubblica Cgil di Rovigo riferisce che su un totale di 62 unità in pianta organica solo 35 svolgono il servizio, poiché, dodici poliziotti sono assenti per malattia a lunga degenza (compreso il comandante del reparto), sette sono in congedo ordinario, uno in congedo straordinario, due sono in maternità; ci sono una fiamma azzurra e tre distaccati di cui, due al gruppo operativo mobile e uno per motivi familiari; due poliziotti sono parzialmente inidonei al servizio;
   il risultato è che alcune attività, per 60 dei 108 detenuti, sono state sospese e si è al limite per garantire ai detenuti otto ore fuori dalla cella; le attività trattamentali finalizzate alla risocializzazione dei detenuti sono del tutto carenti;
   per di più, l'utilità del nuovo carcere è rimarcata anche dagli ultimi dati aggiornati al 31 agosto 2015, relativi all'affollamento nelle 9 case circondariali presenti nella regione Veneto, nei quali si trovano 2.227 detenuti, 528 unità oltre la capienza regolamentare che è di 1.699, cioè con un sovraffollamento di almeno il 30 per cento;
   nonostante nel corso degli ultimi anni si siano susseguiti vari provvedimenti legislativi «svuota carceri» che hanno fatto transitare fuori dagli istituti di pena 1.151 persone in 5 anni, il problema del sovraffollamento carcerario, in Italia, come nel Veneto, persiste e si ripresenta costantemente in tutta la sua sconfortante realtà numerica;
   stride con il comune buon senso, il fatto che dopo una spesa di ben 29 milioni di euro di fondi pubblici e a fronte di una reale ed attuale esigenza di ampliamento dei posti dedicati ai detenuti, ci si fermi di fronte ad un problema finanziario del 20 per cento del costo totale dell'opera;
   ciò appare ancora più incomprensibile, soprattutto ove si pensi che a causa del sovraffollamento carcerario l'Italia rischia di pagare all'Unione europea oltre 100 milioni di euro di sanzioni all'anno a causa del mancato adeguamento delle carceri italiane e del sovraffollamento endemico e cronico delle stesse, che provoca conclamate situazioni detentive disumane e degradanti per i detenuti;
   se la struttura penitenziaria, già completamente edificata, non venisse messa in funzione a breve diverrebbe naturale preda del degrado, ovvero potrebbe essere oggetto di atti di vandalismo, oppure offrirebbe spazi non presidiati per possibili fenomeni di delinquenza, con conseguenti problematiche in ordine anche alla sicurezza del comune di Rovigo che se ne dovrebbe fare carico;
   stante la situazione, come da più parti dichiarato, si auspica, quindi, che il nuovo carcere, strutturalmente già ultimato, sia messo nelle condizioni di poter aprire i battenti ed accogliere gli operatori ed i detenuti che potranno così fruire, rispettivamente, di condizioni di lavoro più favorevoli e condizioni di detenzione più umane con la ripresa di tutte quelle attività utili alla rieducazione del condannato ed al suo reinserimento sociale, in ossequio al principio costituzionale della finalità rieducava della pena –:
   se sia a conoscenza della situazione descritta;
   se e quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di provvedere a garantire la funzionalità ed operatività del nuovo carcere di Rovigo;
   se ed in quale modo ritenga di poter stimolare l'ultimazione dei lavori del nuovo carcere di Rovigo per garantirne l'apertura entro il corrente anno, anche in relazione al piano di interventi per la realizzazione di nuove infrastrutture carcerarie e per l'adeguamento ed il potenziamento di quelle esistenti, cosiddetto «piano carceri»;
   se e quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere al fine di ridurre i disagi illustrati e facilitare il transito degli operatori e dei detenuti dall'attuale carcere di Rovigo, sito in Via Verdi, verso quello recentemente edificato;
   se ritenga necessario impiegare con urgenza parte dei fondi della cassa delle ammende per l'ultimazione dei lavori del carcere di Rovigo ai fini di una sua rapida entrata in funzione. (3-02103)
(14 marzo 2016)
(ex 5-06397 del 16 settembre 2015)

D)

   ROSTELLATO. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   l'ordinamento penitenziario italiano prevede che le madri detenute con prole inferiore ai tre anni debbano usufruire di trattamenti alternativi alla detenzione finalizzati a non traumatizzare eccessivamente i figli, che fino a quell'età devono in ogni caso rimanere sotto la tutela del genitore di sesso femminile se è quest'ultima a chiederlo espressamente. Questi trattamenti alternativi riguardano ad esempio il soggiorno in reparti particolari, a custodia attenuata, meno duri rispetto al carcere vero e proprio: l'ambiente deve essere accogliente e più simile ad una vera casa, proprio per evitare che i bambini soffrano l'esperienza della carcerazione forzata;
   in Italia, esistono attualmente pochi centri a custodia attenuata. Uno di questi è l'istituto a custodia attenuata per madri di Milano, luogo ove le «recluse» possono soggiornare con i loro figli sino al compimento del terzo anno di età;
   l'istituto a custodia attenuata per madri è una struttura che non ricorda in alcuna maniera il carcere, essendo simile ad un asilo nido in cui i bambini possono trascorrere serenamente il periodo di «carcerazione» insieme alle loro madri: camere confortevoli e luminose, ambienti personalizzati, infermeria, ludoteca, biblioteca e aula formativa per le donne, cucina attrezzata e soggiorno sono stati appositamente concepiti per consentire alle madri detenute con bambini piccoli una vita più dignitosa;
   secondo l'ultimo rapporto datato 30 giugno 2015, pubblicato sul sito del Ministero della giustizia, gli istituti a custodia attenuata risultano essere, su tutto il territorio nazionale, solo 4;
   nello stesso report si legge che vi sono complessivamente 15 asili nido funzionanti e 4 non funzionanti. Il numero delle detenute madri con bambini in istituto sono 33, il numero dei bambini risulta essere 35 e le detenute in gravidanza risultano essere 19 in totale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei dati esposti in premessa;
   quante e quali siano le strutture che accolgono anche i bambini con più di tre anni e come intenda agire nei casi in cui non sia prevista tale possibilità. (3-02104)
(14 marzo 2016)
(ex 5-07051 del 19 novembre 2015)