TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 564 di Lunedì 8 febbraio 2016
MOZIONE CONCERNENTE INIZIATIVE IN MERITO AL RISPETTO DEI DIRITTI UMANI IN COREA DEL NORD, NONCHÉ IN RELAZIONE ALLA POLITICA DEGLI ARMAMENTI DI TALE PAESE
La Camera,
premesso che:
con una risoluzione del 28 marzo 2014, il Consiglio Onu dei diritti umani ha condannato la Corea del Nord per le sistematiche, massicce e gravi violazioni dei diritti umani – crimini contro l'umanità compresi – che continuano a essere commesse nel Paese;
centinaia di migliaia di persone, come denunciato più volte da Amnesty international e confermato di recente dal rapporto della Commissione d'inchiesta delle Nazioni Unite sulla Corea del Nord, sono detenuti in campi di prigionia politica e in altre strutture detentive del Paese. Molte di loro non hanno commesso alcun reato se non quello «associativo», dovuto al fatto di essere parenti di persone colpevoli di reati politici. Il testo del rapporto riporta testimonianze dirette e indirette che hanno fatto luce su un Paese definito «senza paragoni nel mondo contemporaneo» dal giudice australiano Michael Kirby che ha guidato il lavoro della Commissione d'inchiesta Onu. Le responsabilità, si sottolinea nel rapporto, sono molteplici ma alla fine riconducibili ai più alti livelli del Governo, che coscientemente pone in uno stato di sudditanza e paura estrema la popolazione, perseguendo duramente e senza alcun rispetto per trattati e convenzioni internazionali ogni forma di dissenso o comportamenti giudicati anormali o anche solo stravaganti;
tali abusi sono stati ripetutamente segnalati anche da numerose organizzazioni internazionali e da testimoni come Shin Dong-Hyuk, esule nordcoreano fuggito dal campo di prigionia a 23 anni, il quale nell'aprile 2015 ha visitato l'Italia e raccontato la sua esperienza di prigionia fin dalla nascita. Queste testimonianze si aggiungono alla documentazione di numerosi organismi internazionali che hanno provato l'esistenza di almeno 6 campi di concentramento, con oltre 15.000 prigionieri politici ed altri detenuti per un totale di prigionieri stimabile intorno alle 200.000 unità;
la Corea del Nord sta attraversando un nuovo periodo di carestia simile a quello dei primi anni ’90 che, assieme alla catastrofica politica economica, portò alla morte di milioni di cittadini nordcoreani. Nonostante la grave situazione alimentare del Paese, il Governo nordcoreano pone numerose limitazioni alle agenzie internazionali e alle organizzazioni non governative indipendenti che portano aiuti; inoltre, il sistema giudiziario della Repubblica democratica popolare di Corea non risulta essere libero e indipendente, la pena di morte è applicata per numerosi reati e il codice penale non risulta in linea con gli standard internazionali, così da legittimare abusi e decisioni arbitrarie. Le libertà di opinione, espressione e associazione sono gravemente compresse dalle autorità governative nonostante le garanzie costituzionali;
la Corea del Nord ha sottoscritto importanti convenzioni internazionali, tra le quali il Patto internazionale sui diritti civili e politici e la Convenzione sul diritti del fanciullo;
il Parlamento europeo ha approvato diverse risoluzioni mettendo in evidenza la criticità della situazione dei diritti umani nella Corea del Nord ed ha esortato le autorità del Paese a porre fine agli abusi perpetrati ai danni della popolazione, cessando le esecuzioni, le torture ed i lavori forzati e garantendo l'accesso all'assistenza alimentare;
risulta chiaro che l'avvicendamento al potere di Kim Jong-un, succeduto al padre Kim Jong-il alla fine del 2011, non abbia apportato alcun miglioramento della situazione dei diritti umani nella Corea del Nord;
numerose organizzazioni non governative internazionali per i diritti umani hanno esortato l'Unione europea ad occuparsi maggiormente della questione dei diritti umani nella Corea del Nord,
impegna il Governo:
ad adoperarsi in tutte le sedi internazionali, in particolare l'Onu e l'Unione europea, affinché si continuino ad evidenziare e condannare le violazioni dei diritti umani perpetrate dalla Corea del Nord;
ad assumere iniziative, per quanto di competenza, presso il Governo della Repubblica democratica popolare di Corea affinché possano cessare al più presto le gravi violazioni dei diritti umani, si possa mettere fine alle esecuzioni capitali e si possano chiudere i campi di prigionia e «rieducazione».
(1-00966)
«Nicoletti, Bergamini, Alli, Locatelli, Carrozza, Dell'Aringa, Misiani, Patriarca, Schirò, Zampa, Stella Bianchi, Centemero, Sereni, Quartapelle Procopio».
(31 luglio 2015)
MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE A FAVORE DEI LAVORATORI FRONTALIERI, IN PARTICOLARE ALLA LUCE DEL RECENTE ACCORDO SOTTOSCRITTO CON LA CONFEDERAZIONE ELVETICA
La Camera,
premesso che:
ciò che distingue il lavoratore frontaliero dal tradizionale lavoratore migrante è il fatto di essere residente in uno Stato e di lavorare in un altro. Mentre il secondo lascia il suo Paese di origine, con o senza la sua famiglia, per abitare e lavorare in un Paese diverso dal suo, il frontaliere ha una doppia cittadinanza nazionale per il luogo di residenza e il luogo di lavoro;
tuttavia risulta impossibile stabilire un concetto univoco che comprenda criteri obiettivi per la definizione del lavoro frontaliero. Tale concetto copre infatti realtà diverse, a seconda che si consideri l'accezione comunitaria – enunciata in particolare in materia di sicurezza sociale – o le numerose definizioni contenute nelle convenzioni bilaterali di doppia imposizione – valide per la determinazione del regime fiscale applicabile ai lavoratori frontalieri;
l'espressione «lavoratore frontaliero» designa qualsiasi lavoratore occupato sul territorio di uno Stato membro e residente sul territorio di un altro Stato membro (criterio politico), dove torna in teoria ogni giorno o almeno una volta alla settimana (criterio temporale). Questa definizione, che, oltre agli elementi intrinseci dello spostamento dal domicilio al luogo di lavoro attraverso una frontiera, conserva la condizione temporanea del ritorno quotidiano o settimanale al domicilio, si applica tuttavia solamente alla protezione sociale dei lavoratori in questione all'interno dell'Unione europea;
la situazione dei frontalieri abitanti nell'Unione europea che si spostano per lavorare nella Confederazione Elvetica presenta alcune notevoli peculiarità rispetto a quella dei frontalieri che lavorano e risiedono nell'Unione europea;
mentre all'interno dell'Unione europea il loro statuto si fonda sulla libera circolazione, definita dal trattato di Roma, che si concretizza nell'affermazione del principio della non discriminazione tra i frontalieri e i residenti, la Svizzera ha un regime di soggiorno e di occupazione fondato sul permesso di lavoro;
tale permesso è concesso, in generale, per un anno; vi è specificata la retribuzione, che deve rispettare il minimo salariale del cantone, definito dall'Ufficio cantonale del lavoro. Il permesso è concesso solo se il lavoratore ha trovato un datore di lavoro, e dopo aver verificato che non vi siano iscritti nelle liste locali di collocamento per lo stesso genere di incarico. La concessione dei permessi in ciascun cantone è subordinata a una quota minima di lavoratori nazionali presenti in ogni impresa;
stando alle recenti comunicazioni dell'Ufficio federale di statistica (UST), anche nel 2014 è aumentato il numero dei frontalieri in Svizzera, saliti a 287.100 a livello nazionale, lo stesso trend si registra anche in Ticino, con un numero di lavoratori abitanti in Italia che si attesta a 61.593;
secondo i dati, a livello elvetico la crescita è risultata inferiore a quella del 2013 e rappresenta anche il valore più basso degli ultimi cinque anni, ma nell'arco di un lustro l'incremento è del 29,6 per cento. In Ticino nello stesso periodo la percentuale è maggiore, pari a +34,8 per cento: nel 2009 i frontalieri erano infatti ancora solo 4568;
nel febbraio 2015 il Governo italiano e il Consiglio federale svizzero hanno siglato il Protocollo che modifica la Convenzione tra i due Paesi per evitare le doppie imposizioni. Il Protocollo, che prevedendo lo scambio di informazioni su richiesta ai fini fiscali secondo lo standard OCSE pone fine al segreto bancario, è stato firmato per l'Italia dal Ministro dell'economia e delle finanze Pier Carlo Padoan, e per la Svizzera dal capo del dipartimento federale delle finanze Eveline Widmer-Schlumpf;
unitamente al Protocollo è stata anche sottoscritta una road map, un documento politico che fissa il percorso per la prosecuzione dei negoziati su altre questioni tra cui revisione dell'accordo del 1974 sulla tassazione dei lavoratori frontalieri, ad oggi ancora in vigore e che prevede la tassazione esclusiva in Svizzera con il ristorno del 40 per cento del gettito ai comuni italiani della zona di confine;
il nuovo accordo tra Roma e Berna, perfezionato il 22 dicembre 2015, rappresenta una rivoluzione per gli equilibri consolidati nell'economia transfrontaliera, in quanto abolisce due meccanismi sinora inamovibili: i ristorni ai comuni di frontiera, una partita da 60 milioni di euro annui destinata a comuni e province di frontiera, e la tassazione alla fonte per circa 62 mila lavoratori italiani, di cui 25 mila varesini, 20 mila comaschi ed i restanti sondriesi e piemontesi;
il nuovo accordo, invece, nel porre fine al meccanismo del ristorno, prevedendo che sia lo Stato italiano a compensare i comuni di frontiera, lascia una preoccupante incognita sulla garanzia dell'attuale gettito ai medesimi comuni, in un quadro più ampio di incertezza italiana della propria posizione fiscale;
quanto alla tassazione, i lavoratori italiani frontalieri in Svizzera saranno assoggettati ad imposizione sia nello Stato in cui esercitano l'attività che nello Stato di residenza, ritrovandosi a pagare le tasse sui redditi per il 70 per cento in Svizzera e per il restante 30 per cento in Italia, con un aumento graduale del carico fiscale che – a regime – assume la connotazione di una vera e propria stangata;
il processo, infatti, non sarà immediato. Dall'entrata in vigore dell'accordo, prevista per il 2018, inizierà il cosiddetto split fiscale che dovrà portare la tassazione a pieno regime dieci anni dopo, nel 2028, con un aumento progressivo che si valuta del 10 per cento annuo;
secondo prime stime, trattasi di 200 milioni di euro di tassazione in più da versare ogni anno allo Stato italiano e 15 milioni di euro in più alle casse del Canton Ticino, con una media di oltre 3.000 euro all'anno in più da versare per ogni contribuente;
i nuovi termini dell'accordo hanno già prodotto i primi effetti negativi: dal 7 luglio 2015 sui circa 62 mila lavoratori italiani frontalieri grava l'onere dell'assicurazione malattia e spese per le cure mediche;
in un momento storico dove l'economia ha difficoltà globalizzate, l'INPS deve ancora spiegazioni a tutti i frontalieri che si chiedono dove sia finito il tesoretto da 200 milioni che finanziava la legge n. 147 del 1997 (un fondo che, ricordiamo, venne formato con i contributi di disoccupazione pagati dai frontalieri in Svizzera e da questa ristornati all'Italia);
va ricordata altresì la giacenza a Berna del cosiddetto tesoretto di 3 miliardi di franchi (2,8 miliardi di euro), dovuto al versamento contributivo per il secondo pilastro da parte di cittadini italiani frontalieri che hanno lavorato nei diversi cantoni della Confederazione Elvetica,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative per prevedere che nel nuovo regime fiscale vengano puntualmente disciplinati i ristorni dei frontalieri verso i comuni di residenza, con certezza dell'ammontare dei ristorni e delle modalità di distribuzione, al fine di salvaguardare i comuni di frontiera e garantire che l'attuale gettito non sia messo in discussione;
ad assumere iniziative per stabilire, tramite accordi di programma definiti dai territori di confine interessati – stante la reciprocità prevista nell'accordo del 22 dicembre 2015, nell'ambito del quale sono ricompresi anche i frontalieri svizzeri che lavorano in Italia – che parte della tassazione sia vincolata per il progresso socio-economico e lo sviluppo delle infrastrutture strategiche delle rispettive nazioni;
ad assumere iniziative per garantire che il nuovo sistema fiscale una volta a regime comporti per i lavoratori italiani frontalieri in Svizzera una tassazione simile a quella previgente al rinnovo della Convenzione;
a prevedere lo sblocco da parte dell'INPS dei fondi per il finanziamento della legge n. 147 del 1997;
a prevedere nell'ambito del disegno di legge di ratifica il perfezionamento di accordi di interscambio scolastico e formativo per i giovani delle zone di confine;
a intervenire sospendendo l'applicazione della norma sulle spese mediche, ricordando come questa, oltre ad un ulteriore aggravio impositivo per i lavoratori, porterebbe ad una disparità di trattamento tra i frontalieri che già lavorano in Ticino rispetto ai nuovi frontalieri, per i quali le casse malati svizzere saranno da oggi un'opzione più interessante;
ad assumere iniziative per garantire il recupero di tutte le posizioni e l'individuazione di tutti i nominativi dei legittimi titolari delle somme giacenti a Berna.
(1-00950)
(Ulteriore nuova formulazione) «Molteni, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».
(17 luglio 2015)
La Camera,
premesso che:
in questi mesi è in corso di definizione il negoziato tra il nostro Paese e la Confederazione Elvetica, negoziato che disciplinerà, oltre ai rapporti fiscali tra i due Paesi, anche importanti competenze ad oggi soggette a precedenti accordi quali ad esempio quelle sul lavoro frontaliero;
il quadro delle relazioni con la Confederazione Elvetica risulta essere complesso a seguito delle prese di posizione dei massimi responsabili istituzionali del Canton Ticino e all'assunzione di specifiche iniziative unilaterali lesive dei principi di libera circolazione delle persone, di libertà della concorrenza e di intrapresa e di uguaglianza di fronte alla legge;
risultano essere infatti ormai quotidiane le dichiarazioni pubbliche di esponenti istituzionali del Canton Ticino tese a mettere in discussione sia i diritti dei numerosi cittadini italiani occupati regolarmente presso imprese e aziende ticinesi, sia lo stato delle relazioni Italia-Svizzera, concentrate oggi sui negoziati fiscali e sull'accordo per l'imposizione fiscale dei lavoratori frontalieri;
ad oggi i lavoratori frontalieri in territorio elvetico provenienti dall'Italia risultano essere circa 60.000 e numerose sono le piccole e medie aziende dei territori di confine della Valle d'Aosta, del Piemonte, della Lombardia e della provincia autonoma di Bolzano ad essere interessate nei processi di fornitura e di assistenza nell'ambito del mercato elvetico;
nei confronti dei lavoratori frontalieri si è assistito negli ultimi mesi, complice anche la campagna elettorale in territorio elvetico, ad un continuo ed ingiustificato attacco di natura discriminatoria e xenofoba;
in particolare, hanno destato scalpore, a questo riguardo, la decisione del Canton Ticino tesa ad obbligare ogni cittadino italiano in via di occupazione in Svizzera a presentare il certificato dei carichi pendenti in allegato alla richiesta di assunzione;
in questa direzione si è inserito anche l'avvio dell'elaborazione da parte del Consiglio di Stato del Ticino di una clausola fortemente restrittiva sul reddito dei cittadini italiani occupati in Ticino mediante una maggiorazione del trattamento fiscale sulla base della nazionalità italiana dei lavoratori, circostanze ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo in palese contrasto con l'accordo sulla libera circolazione delle persone sottoscritto tra Unione europea e Confederazione Elvetica;
è da sottolineare altresì la volontà di introdurre su base cantonale un limite restrittivo di quote dei frontalieri, smentendo in tal modo la competenza del Consiglio federale e ponendo di fatto un'azione di messa in mora dell'accordo sulla libera circolazione delle persone;
a ciò si aggiunga il fatto che il 24 marzo 2015, con provvedimento n. 24 del 2015, il Gran Consiglio della Repubblica e Cantone Ticino ha approvato la legge sulle imprese artigianali per l'esercizio della professione di imprenditore nel settore artigianale, introducendo elementi che vanno nella direzione di ostacolare la libera circolazione delle imprese estere in Canton Ticino;
nello specifico agli articoli 3 e 4 della legge si è decretata l'istituzione di un albo delle imprese artigianali, la cui iscrizione da parte delle stesse costituisce conditio sine qua non per l'esercizio della professione, ed è subordinata al rispetto di determinati requisiti professionali, così come previsto dall'articolo 6 della legge stessa, la cui identificazione è rimandata all'approvazione di apposito regolamento pubblicato sul bollettino ufficiale delle leggi del Canton Ticino il 20 gennaio 2016;
i contenuti del suddetto regolamento prevedono, tra le altre cose, il rispetto dei seguenti requisiti:
a) diplomi e titoli di studio prevedendo il riconoscimento unilaterale dei diplomi e certificati esteri da parte della Segreteria di Stato Svizzera – SEFRI;
b) attestati e referenze concernenti l'attività pratica;
c) certificato di solvibilità personale;
d) dimostrazione di lavorare in Svizzera da almeno 5 anni;
e) eventuali infrazioni saranno sanzionate con multe sino a 50.000 franchi;
una disposizione che, così concepita, necessita di approfondimenti sia rispetto al percorso formativo abilitante sia rispetto alla modalità per il riconoscimento dell'esperienza professionale;
in merito all'omologazione dei titoli di specializzazione professionale degli artigiani italiani con quelli riconosciuti in Svizzera, come già emerso in passato, e ribadito in occasione nell'incontro tenutosi il 30 giugno 2015 presso il Ministero dello sviluppo economico – divisione VI cooperazione economica bilaterale in merito alla professionalità degli elettricisti ed idraulici italiani, l'ostacolo è rappresentato dal diverso percorso formativo adottato nei due Paesi; impedimento che non può essere superato, così come prospettato dalla Svizzera, con l'introduzione di obbligo di frequentazione da parte delle imprese italiane di idoneo corso professionale riconosciuto dal legislatore svizzero e successivo superamento di un esame di pratica;
la disamina della questione dovrebbe tener conto anche di quanto previsto dalle direttive europee 2005/36/CE e 2013/55/UE, che nell'istituire un regime di riconoscimento delle qualifiche professionali nell'Unione europea, estesa anche ad altri Paesi dello spazio economico europeo (SEE) e alla Svizzera, mira a rendere i mercati del lavoro più flessibili, a liberalizzare ulteriormente i servizi, a favorire il riconoscimento automatico delle qualifiche professionali e a semplificare le procedure amministrative;
in tal senso sembra significativo quanto sancisce l'articolo 16 della direttiva 2005/36/EU che recita: «Se in uno Stato membro l'accesso a una delle attività legate all'allegato IV o il suo esercizio è subordinato al possesso di conoscenze e competenze generali, commerciali o professionali, lo Stato membro riconosce come prova sufficiente di tali conoscenze e competenze l'aver esercitato l'attività considerata in un altro Stato membro»;
in questa direzione va anche la direttiva 2013/55/UE, applicabile dal 18 gennaio 2016, che nel prevedere la creazione di una tessera professionale europea consente ai cittadini di poter chiedere il riconoscimento delle proprie qualifiche professionali;
si evidenzia altresì che esiste un apposito Accordo tra la Confederazione Svizzera, da una parte, e l'Unione europea ed i suoi Stati membri, dall'altra, sulla libera circolazione delle persone i cui lavori si sono conclusi il 21 giugno 1999, approvato dall'Assemblea federale svizzera l'8 ottobre 1991, ratificato con strumenti depositati il 16 ottobre 2000, entrato in vigore il 1o giugno 2002;
il provvedimento adottato coinvolge 4.548 ditte artigiane individuali e 9.835 dipendenti di società, per un totale di 14.383 italiani che nel corso del 2015 hanno prestato, per un periodo di tempo inferiore ai 90 giorni anno, lavoro in Svizzera nel Canton Ticino. Questi lavoratori, imprenditori e loro dipendenti, sono per lo più di provenienza lombarda e piemontese, in particolare delle province di Varese, Como, Verbano Cusio Ossola, che, per il ruolo che giocano a supporto dell'economia cantonale, quale importante forma di collaborazione per lo sviluppo di alcuni comparti economici (in primis quelli legati alla filiera dell'abitare), sono sempre stati al centro del dibattito in Canton Ticino in quanto ingiustamente accusati di sottrarre opportunità di lavoro alle imprese locali;
le richiamate gravi prese di posizione nei confronti dei cittadini italiani lavoratori frontalieri in Svizzera sono diventate pressoché quotidiane, creando una forte tensione nei rapporti con la Confederazione elvetica, per evitare la quale si ritiene indispensabile che quest'ultima in maniera esplicita smentisca formalmente con propri atti alcune iniziative condotte dalle autorità cantonali ticinesi a scapito dei principi della libera circolazione delle persone;
mentre tutto ciò si è andato realizzando, in data 22 dicembre 2015 l'Italia e la Svizzera hanno parafato un accordo sull'imposizione fiscale dei lavoratori frontalieri, unitamente ad un protocollo che modifica le relative disposizioni della Convenzione contro le doppie imposizioni, al fine di concretizzare uno dei principali impegni assunti dai due Stati nella «road map», firmata nel febbraio 2015 in occasione dei procedimenti connessi con l'approvazione della «voluntary disclosure». Il nuovo accordo, chiamato a sostituire quello del 1974, allo stato non risulta essere stato ancora firmato da parte di entrambi i Governi, né tantomeno approvato da parte dei rispettivi Parlamenti, e i Governi hanno annunciato che il testo sarà reso disponibile e pubblico al momento della firma;
secondo quanto reso pubblico con un comunicato congiunto del Ministero dell'economia e delle finanze della Repubblica italiana e dalla Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali della Confederazione Elvetica, l'accordo comprende i seguenti principali elementi:
a) si fonda sul principio di reciprocità;
b) fornisce una definizione di aree di frontiera che, per quanto riguarda la Svizzera, sono i Cantoni dei Grigioni, del Ticino e del Vallese e, nel caso dell'Italia, le regioni Lombardia, Piemonte, Valle d'Aosta e provincia autonoma di Bolzano;
c) fornisce una definizione di lavoratori frontalieri al fine dell'applicazione dell'accordo e include i lavoratori frontalieri che vivono nei comuni i cui territori ricadono, per intero o parzialmente, in una fascia di 20 chilometri dal confine e che, in via di principio, ritornano quotidianamente nel proprio Stato di residenza;
d) per quanto riguarda l'imposizione, lo Stato in cui viene svolta l'attività lavorativa imporrà sul reddito da lavoro dipendente al 70 per cento al massimo dell'imposta risultante dall'applicazione delle imposte ordinarie sui redditi delle persone fisiche. Lo Stato di residenza applicherà le proprie imposte sui redditi delle persone fisiche ed eliminerà la doppia imposizione;
e) viene effettuato uno scambio di informazioni in formato elettronico relativo ai redditi da lavoro dipendente dei lavoratori frontalieri;
f) l'accordo sarà sottoposto a riesame ogni cinque anni;
il comparto del frontalierato risulta essere interessato, sul fronte interno, da un provvedimento relativo ad una controversa interpretazione normativa relativa al paventato rischio di pagamento da parte dei lavoratori frontalieri dell'assistenza sanitaria italiana, a seguito dell'emanazione di una circolare del Ministero della salute che, richiamando un accordo Stato-regioni in data 20 dicembre 2012, lascerebbe supporre che per i lavoratori italiani occupati in Svizzera e per i titolari di pensione svizzera possa essere prevista l'iscrizione volontaria al servizio sanitario nazionale, mediante il pagamento alla asl di residenza di un contributo fissato dal decreto ministeriale 8 ottobre 1986 e successive modificazioni e integrazioni, circostanza che sta aprendo numerosi dubbi e interrogativi circa la fondatezza giuridico-costituzionale del provvedimento a causa della sua onerosità, della lesione del principio di universalità sul quale si fonda il servizio sanitario nazionale e sulla circostanza che si renderebbe impossibile una pratica uniforme del provvedimento in assenza da parte dell'Italia dell'elenco anagrafico dei frontalieri;
l'intera questione relativa allo stato delle relazioni tra Italia e Svizzera deve essere colta dal Governo nella sua globalità e complessità e le determinazioni da assumersi in merito non possono essere astratte rispetto al quadro complessivo delle situazioni in campo, ivi compresa la necessaria corrispondenza di risposte ufficiali da parte delle competenti istituzioni elvetiche in termini di positiva cooperazione e di effettiva disponibilità,
impegna il Governo:
a richiedere un chiarimento formale alla Confederazione Elvetica in merito alle decisioni discriminatorie assunte dal Canton Ticino in contrasto con gli accordi di libera circolazione delle persone;
a rivalutare l'accordo tra Italia e Svizzera in materia fiscale in relazione alla formulazione, da parte delle competenti autorità federali e cantonali svizzere, di specifiche assicurazioni formali tendenti ad escludere la validità e l'applicazione di qualsivoglia iniziativa discriminatoria e lesiva dell'accordo di libera circolazione delle persone intercorrente tra Unione europea e Confederazione Elvetica nei confronti di cittadini italiani occupati o occupabili in Svizzera e di aziende italiane potenzialmente interessate al mercato elvetico, nonché alla rimozione di ogni forma di discriminazione sin qui messa in campo, ivi compresa l'individuazione da parte della Svizzera di una soluzione euro-compatibile di adeguamento della propria legislazione al risultato del voto popolare sull'iniziativa del 9 febbraio 2014;
a fare in modo che in ogni caso, modalità e tempistiche relative all'armonizzazione fiscale tra cittadini italiani frontalieri compresi entro la fascia dei 20 chilometri e cittadini italiani frontalieri fuori fascia siano disciplinate, per quanto di competenza del Governo italiano, nel disegno di legge di ratifica dell'accordo tra Repubblica italiana e Confederazione Elvetica o in altre iniziative normative;
ad operare affinché in tale contesto venga prevista l'introduzione della franchigia per i lavoratori frontalieri di cui alla legge di stabilità 2015 in termini di permanente agevolazione Irpef anche per i lavoratori frontalieri presenti all'interno della fascia di 20 chilometri dal confine italo-elvetico;
ad assumere iniziative per garantire che nel nuovo quadro giuridico si provveda ad assicurare ai comuni di frontiera l'erogazione dell'equivalente dell'attuale ristorno delle imposte versate dai lavoratori frontalieri secondo l'accordo del 1974, mediante specifica disposizione legislativa italiana che commisuri la ripartizione fiscale spettante ai comuni di frontiera alla dinamica del monte salari complessivamente prodotto dal comparto transfrontaliero, avendo come montante minimo di partenza il valore complessivo dei ristorni fiscali generato nell'ultimo anno fiscale di vigenza dell'accordo Italia-Svizzera del 1974;
ad avviare, in conformità a specifiche mozioni già adottate dal Parlamento italiano, il percorso finalizzato alla realizzazione dello «statuto del frontaliere» come parte integrante e sostanziale del processo di ratifica del futuro accordo tra Italia e Svizzera;
ad adoperarsi per un costante coinvolgimento delle istituzioni locali interessate (regioni Valle d'Aosta, Piemonte e Lombardia, provincia autonoma di Bolzano, province di Sondrio e del Verbano Cusio Ossola, in considerazione anche delle loro nuove competenze in materia di cooperazione frontaliera a seguito della legge n. 56 del 2014, province di Como, Lecco e Varese) e dalle rappresentanze sindacali dei lavoratori frontalieri;
ad analizzare i contenuti dei provvedimenti legislativi e regolamentari assunti dal Canton Ticino richiamati in premessa, e – qualora siano in contrasto con accordi bilaterali o con l'Unione europea – ad assumere iniziative presso le sedi opportune affinché venga modificato quanto disposto unilateralmente;
ad intervenire per quanto di competenza sospendendo ogni iniziativa tendente ad introdurre un'impropria modalità di pagamento da parte di lavoratori italiani occupati in Svizzera e per i titolari di pensione svizzera ai fini dell'iscrizione volontaria al servizio sanitario nazionale;
ad assumere iniziative per prevedere che le prestazioni corrisposte ai lavoratori frontalieri dalla previdenza professionale per la vecchiaia, i superstiti e l'invalidità svizzera (LPP), in qualunque forma erogate, ivi comprese le prestazioni erogate dai diversi enti o istituti svizzeri di prepensionamento, vengano assoggettate, ai fini delle imposte dirette, a una tassazione forfettaria in analogia alla normativa sulla collaborazione volontaria.
(1-00952)
(Nuova formulazione) «Borghi, Braga, Marantelli, Tentori, Guerra, Fragomeli, Senaldi, Gadda, Baruffi, Realacci, Tacconi, Paolo Rossi».
(17 luglio 2015)
La Camera,
premesso che:
la normativa comunitaria definisce «lavoratore frontaliero» qualsiasi lavoratore occupato sul territorio di uno Stato membro e residente sul territorio di un altro Stato membro dove torna, di regola, ogni giorno o almeno una volta alla settimana. Ciò che differenzia il lavoratore frontaliero dal lavoratore migrante è il fatto di essere residente in uno Stato e di lavorare in un altro. In altri termini, mentre il lavoratore migrante lascia il suo Paese di origine per abitare e lavorare in un Paese diverso da quello nel quale ha riseduto fino a quel momento, il frontaliere ha una doppia cittadinanza nazionale per il luogo di residenza e il luogo di lavoro;
il fenomeno dei lavoratori frontalieri e la frontiera in genere provocano sovente effetti perversi agendo da barriera tra sistemi amministrativi ed economici. Per questo motivo, oramai da tempo immemore, si è costretti a rincorrere soluzioni rispetto agli aspetti di natura tanto fiscale quanto di protezione sociale riferiti a questa particolare categoria di lavoratori che si muove a cavallo del confine;
come noto, assumono particolare rilievo gli aspetti legati al fenomeno frontaliero dei lavoratori italiani in Svizzera per i quali, contrariamente agli accordi vigenti nell'Unione europea ove è possibile la libera circolazione come definita dal trattato di regime di soggiorno più specifico relativo all'autorizzazione al lavoro. In Svizzera è infatti necessario ottenere un permesso al lavoro ove venga specificata la retribuzione, che dovrà rispettare il minimo salariale del cantone come definito dall'Ufficio cantonale del lavoro. Il permesso è concesso solo se il lavoratore avrà trovato un datore di lavoro, e dopo aver verificato che non vi siano iscritti nelle liste locali di collocamento per lo stesso genere di incarico. La concessione dei permessi in ciascun cantone è altresì subordinata a una quota minima di lavoratori nazionali presenti in impresa;
il numero dei frontalieri italiani in Svizzera è cresciuto nel tempo, evidenziando tuttavia una graduale decelerazione negli ultimi anni: nel quadriennio 2011-2014 la crescita annuale dei flussi si è attestata all'8,8 – 7,7 – 5,4 e 5,3 per cento per il Cantone Ticino; al 9,4 – 7,2 - 7,2 e 5,2 per il Cantone dei Grigioni; al 14,9 – 12,1 – 9,1 e 11,4 per il Cantone Vallese. L'elaborazione dei dati Ustat consente di avere l'informazione sulla provincia di provenienza per la Lombardia e per il Piemonte; in quest'ultimo caso, sono state impiegate anche le elaborazioni dell'Osservatorio regionale del mercato del lavoro (ORML) del Piemonte su dati Ust;
analizzando i dati riferiti alla provincia di provenienza, emerge che come prevedibile sono le province caratterizzate dai più lunghi tratti di confine con la Svizzera quelle che incidono maggiormente sul movimento dei frontalieri verso il Cantone Ticino: Varese e Corno sono le province di residenza in cui il fenomeno è più consistente (circa 25 mila unità nel 2014 in ciascuna provincia), seguite da quella di Verbano-Cusio-Ossola (oltre 5 mila). Più contenuti sono i flussi dalle altre province confinanti (Sondrio, Lecco, Aosta, Bolzano). L'Ustat diffonde anche il movimento da altre province italiane verso il Cantone Ticino, che è stato pari a 4.548 frontalieri nel 2014 e 4.071 nel 2013 (un incremento annuale pari circa al 12 per cento). Attraverso i dati censuari svizzeri si può notare che, sebbene risulti sensibilmente più ridotto il flusso inverso dalla Svizzera all'Italia, esso esiste ed è in crescita nel tempo, Nel 2010 erano 1.455 gli svizzeri che lavoravano nel territorio italiano, mentre nel 2011 si sono attestati a 1.904;
il 23 febbraio 2015, dopo circa tre anni di negoziati, Italia e Svizzera hanno siglato a Milano un accordo in materia fiscale e finanziaria;
i due Paesi hanno infatti sottoscritto una roadmap per il proseguimento del dialogo sulle questioni finanziarie e fiscali, la roadmap comprende anche una revisione dell'accordo sul trattamento fiscale dei lavoratori frontalieri;
alla luce dell'instaurazione di questo percorso tra Italia e Svizzera volto al perfezionamento di tutti gli aspetti di natura fiscale e di protezione sociale che riguardano i lavoratori frontalieri, parrebbe opportuno tenere in considerazione la necessità di intervento rispetto a talune problematiche che emergono in tutta la loro criticità, non da ultima quella per la quale, in seguito all'adozione del principio della tassazione concorrente, non vi sarà più alcuna compensazione finanziaria tra i due Stati, il che comporterà la necessità per l'Italia di provvedere unilateralmente con il proprio bilancio a ristorare i comuni frontalieri, recependo nella legge di ratifica del nuovo trattato la normativa che oggi regola la distribuzione dei trasferimenti ai comuni. Tale previsione appare evidentemente peggiorativa rispetto a quella antecedente e di grave danno per le casse dei comuni frontalieri italiani;
il nuovo accordo, infatti, nel porre fine al meccanismo del ristorno, prevede che sia lo Stato italiano a compensare i comuni di frontiera, lasciando una preoccupante incognita sulla garanzia dell'attuale gettito ai comuni medesimi;
quanto al sistema di protezione sociale vi è da aggiungere che il Regolamento (CE) n. 883 del 2004, che si applica anche alla Svizzera dal 2012 (con l'entrata in vigore della modifica dell'accordo sulla libera circolazione delle persone) in materia di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, prevede in particolare all'articolo 65 (paragrafo 5, lettera a) che sia l'istituzione dello Stato di residenza (per l'Italia, l'INPS) a erogare le prestazioni al disoccupato (quindi, nel caso di specie, ai frontalieri italiani che dovessero essere licenziati in Svizzera) come se fosse stato soggetto alla legislazione dello Stato di residenza durante la sua ultima attività lavorativa. Il successivo paragrafo 6 prevede, comunque, l'obbligo per il Paese di ultimo impiego (nel caso, la Svizzera) di rimborsare all'istituzione dello Stato di residenza (INPS) l'importo delle prestazioni erogate;
il fenomeno dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera possiede rilievo strutturale, in quanto, pur non rappresentando la componente maggioritaria del complesso dei frontalieri che lavorano nella Confederazione, i lavoratori italiani svolgono comunque una funzione essenziale nel soddisfare la domanda di lavoro nelle aree di riferimento, in particolare in Ticino. Nel Cantone i frontalieri nel 2014 hanno rappresentato il 26,9 per cento degli occupati, a fronte del 5,8 per cento riferito a tutti i frontalieri presenti nell'intera Confederazione;
il tessuto economico svizzero ha infatti estremo bisogno di forza lavoro straniera: negli ultimi anni il saldo migratorio della Confederazione elvetica è stato tra i più alti dell'Unione europea, oscillando tra le 60 mila e le 80 mila unità. A maggior ragione in un contesto in cui le esportazioni e il turismo potrebbero risentire del rafforzamento del franco, l'immigrazione – e la connessa disponibilità di forza lavoro caratterizzata da un salario di riserva concorrenziale – potrebbero rivelarsi fondamentali per contenere la perdita di competitività connessa alla rivalutazione del cambio, sostenere la crescita della domanda interna e dei consumi, limitare l'impatto della debole ripresa dell'economia europea, e rincorrere sensibilmente al finanziamento del welfare domestico,
impegna il Governo:
ad assumere ogni iniziativa utile a garantire la parità di trattamento tra cittadini svizzeri e cittadini degli Stati dell'Unione europea eliminando ogni causa di discriminazione a motivo della propria cittadinanza per quanto riguarda, in particolare, condizioni di impiego e di lavoro, retribuzione e vantaggi fiscali e sociali;
ad assumere iniziative volte a favorire l'eliminazione delle ripercussioni negative che il trasferimento in un altro Stato per lavorarvi possa avere sulle coperture assistenziali e previdenziali;
a garantire la corretta applicazione del regolamento (CE) n. 883 del 2004, che si applica anche alla Svizzera dal 2012, con particolare riferimento alla necessità di porre stringenti vincoli quanto alla tempistica di rimborso dei costi sostenuti dall'istituzione dello Stato di residenza (INPS), nei casi di costi posti a carico di quest'ultima;
ad assumere iniziative per prevedere lo sblocco in favore dei lavoratori frontalieri dei fondi per il finanziamento della legge n. 147 del 1997;
a favorire l'apposizione di specifici vincoli di utilizzo di quota parte delle risorse rinvenienti dalla tassazione dei lavoratori frontalieri, per il sostegno del welfare domestico;
ad assumere iniziative finalizzate alla previsione di un regime fiscale convenzionale che consenta la destinazione diretta ai comuni di residenza delle somme dovute a titolo di ristorno delle spese sostenute per servizi sociali a carico dei medesimi.
(1-01137)
«Cominardi, Ciprini, Tripiedi, Chimienti, Dall'Osso, Lombardi, D'Incà».
La Camera,
premesso che:
secondo i dati dell'ufficio federale di statistica del Canton Ticino, sono 69 mila gli italiani, di cui la maggior parte provenienti dalle province di Varese, Como e Verbano-Cusio-Ossola che ogni giorno varcano la frontiera per recarsi a lavorare in Svizzera, pur continuando a risiedere in Italia e che costituiscono una risorsa fondamentale per l'economia dei cantoni Ticino, Vallese e Grigioni;
i lavoratori frontalieri, secondo, stime relative al secondo trimestre del 2015 guadagnano circa il 7-8 per cento meno dei lavoratori elvetici. I frontalieri italiani operano nella grande maggioranza in Canton Ticino (circa il 90 per cento, pari a circa 62 mila), ma anche nei cantoni turistici dei Grigioni e del Vallese; nei tre cantoni, lavorano complessivamente oltre il 99 per cento dei frontalieri provenienti dall'Italia;
Varese è la provincia con più frontalieri seguita da Como. Il movimento da altre province italiane verso il Cantone Ticino è stato pari a 4.548 frontalieri nel 2014 e 4.071 nel 2013 (un incremento annuale pari circa al 12 per cento). Il tasso di disoccupazione in Ticino è fisiologico: 3,4 per cento a settembre 2015 (contro il 3,2 dell'intera Svizzera);
gli italiani che lavorano nel Cantone Ticino sono in costante aumento da anni, una tendenza che non accenna ad invertirsi: erano 47.357 nel 2010, 51.513 nel 2011, 55.484 nel 2012, 58.465 nel 2013 e 61.588 nel 2014, 61.740 nel primo trimestre del 2015 sempre secondo l'Ufficio federale di statistica di Berna;
in base ai dati recentemente rilasciati dall'ufficio di statistica del Cantone Ticino, considerando l'insieme dell'economia privata ticinese, nel 2012 l'importo medio del salario mensile lordo di un lavoratore frontaliere ammontava a 4.393 franchi. Si tratta di una cifra significativamente inferiore rispetto ai salariati svizzeri (5.733), stranieri domiciliati (5.295) o dimoranti (4.951). Rispetto al 2000, il salario dei frontalieri è cresciuto a un ritmo molto modesto (309 franchi, il 7,6 per cento nel periodo, lo 0,6 per cento in media d'anno) sensibilmente meno rispetto alle altre categorie di lavoratori;
di riflesso, il divario salariale tra lavoratori svizzeri e frontalieri si è ampliato (passando dal 14,6 al 23,4 per cento) a fronte, al contrario, di un assottigliamento dello scarto tra le retribuzioni degli elvetici e gli altri stranieri residenti nella Confederazione elvetica. Anche volendo tenere in conto la diversa composizione in termini di profili personali e professionali dei lavoratori posti a confronto, secondo dati forniti dall'Ustat, le differenze retributive tra lavoratori svizzeri e frontalieri restano nell'ordine del 7-8 per cento a vantaggio degli elvetici, mentre tale differenziale si annulla per gli stranieri residenti;
il Parlamento ticinese e il Ministero delle finanze hanno recentemente commissionato uno studio all'IRE, Istituto di ricerche economiche dell'università della Svizzera italiana di Lugano, che ha condotto un'approfondita ricerca in materia di lavoratori frontalieri, esaminando i dati relativi agli impiegati in 328 aziende svizzere;
dallo studio risulta che tra i principali motivi di assunzione di frontalieri spiccano «le carenze di competenze fra i residenti». In aggiunta si evidenzia che «il reclutamento di lavoratori stranieri, da parte delle aziende ticinesi, è dovuto al fatto che il candidato straniero ha semplicemente mostrato il profilo più adatto per il posto da ricoprire». Quindi in sostanza, i lavoratori frontalieri italiani vengono scelti proprio per le competenze e le professionalità che non è possibile ritrovare all'interno della confederazione elvetica;
la presenza di un così consistente numero di frontalieri ha indotto l'Italia e la Confederazione elvetica a stipulare numerosi accordi bilaterali per regolare diverse questioni riguardanti, tra l'altro, la previdenza sociale, l'imposizione fiscale, l'indennità di disoccupazione;
nel febbraio 2015 il Governo italiano e il Consiglio federale svizzero hanno siglato il protocollo di intesa fiscale che modifica la Convenzione tra i due Paesi per evitare le doppie imposizioni; il protocollo prevede lo scambio di informazioni su richiesta a fini fiscali secondo gli standard Ocse, per i periodi successivi alla firma dell'accordo, per singolo contribuente o per categorie di soggetti, senza la possibilità di opporre il segreto bancario e la possibilità di utilizzare in via amministrativa e giudiziaria le informazioni scambiate;
il protocollo, di fatto modifica la Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Svizzera il 9 marzo 1976 e sancisce la fine del segreto bancario;
unitamente al protocollo è stata anche sottoscritta una road map, un documento politico che fissa il percorso per la prosecuzione dei negoziati su altre questioni tra cui revisione dell'accordo del 1974 sulla tassazione dei lavoratori frontalieri, ad oggi ancora in vigore e che prevede la tassazione esclusiva in Svizzera con il ristorno del 40 per cento del gettito ai comuni italiani della zona di confine;
il 22 dicembre 2015, è stato perfezionato il nuovo accordo fiscale tra Italia e Svizzera, che abolisce due meccanismi che sinora non erano mai strati modificati: i ristorni ai comuni di frontiera e la tassazione alla fonte per circa 69 mila lavoratori italiani;
l'accordo che entrerà pienamente in vigore entro dieci anni, rappresenta più di un'incognita per i lavoratori per quanto riguarda la propria posizione fiscale; i lavoratori frontalieri saranno infatti assoggettati ad imposizione nello Stato di residenza, pagando le tasse sui redditi per il 70 per cento in Svizzera e per il restante 30 per cento in Italia, con un indubbio aumento del carico fiscale, che una volta a regime, rappresenterà un forte esborso per i lavoratori frontalieri,
impegna il Governo:
ad assumere tutte le necessarie iniziative affinché, il nuovo sistema fiscale, una volta a pieno regime, non contempli condizioni fiscali che siano più sfavorevoli per i lavoratori frontalieri, riportando anzi la tassazione ai parametri previgenti al rinnovo della Convenzione;
ad assumere iniziative perché nel nuovo regime fiscale siano previsti i ristorni dei lavoratori frontalieri verso i comuni di residenza, con una disciplina che sia certa relativamente all'ammontare dei ristorni stessi e alle modalità di distribuzione, al fine di tenere conto delle legittime istanze dei territori di frontiera e dei suoi lavoratori;
ad assumere le opportune iniziative affinché l'INPS proceda allo sblocco delle risorse per il finanziamento della legge n. 147 del 1997, che contiene un fondo finanziato con i contributi di disoccupazione pagati dai frontalieri alla Svizzera e da questa ristornati all'Italia.
(1-01138) «Polverini, Occhiuto, Crimi».