TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 413 di Mercoledì 22 aprile 2015

 
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PROPOSTA DI LEGGE DI CUI SI PROPONE L'ASSEGNAZIONE A COMMISSIONE IN SEDE LEGISLATIVA

alla VII Commissione (Cultura):
MARIANI ed altri: «Interventi per il sostegno della formazione e della ricerca nelle scienze geologiche». (1533)
(La Commissione ha elaborato un nuovo testo).

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MERITO ALLA COSIDDETTA CARTA DI MILANO, IN RELAZIONE AD EXPO 2015

   La Camera,
   premesso che:
    la Carta di Milano vuol essere un «patto sul cibo» da consegnare al pianeta per vincere la sfida alimentare globale. Una reale assunzione di responsabilità da parte degli Stati e dei cittadini del mondo per garantire il diritto a un cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti;
    la Carta di Milano nasce dalla sintesi di un percorso di ricerca, di confronto, di idee e di culture sul tema di Expo 2015 «Nutrire il Pianeta, energie per la vita», avviato da Laboratorio Expo fin dal 2013 e proseguito in vari incontri, fino all'evento organizzato il 7 febbraio 2015 a Milano «Expo delle Idee» articolato in 42 tavoli di lavoro suddivisi in quattro percorsi di studio: le dimensioni dello sviluppo tra equità e sostenibilità, la cultura del cibo, l'agricoltura gli alimenti e la salute per un futuro sostenibile, la città umana e i futuri possibili tra smart e slow city;
    la versione finale della Carta di Milano verrà presentata al pubblico il 28 aprile 2015; il testo sarà, poi condiviso il 4 giugno 2015 con i Ministri dell'agricoltura dei 147 Paesi partecipanti ad Expo 2015 e, infine, il 16 ottobre 2015 il documento verrà consegnato al Segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, in occasione della sua visita all'Expo;
    la Carta di Milano rappresenta un percorso bottom-up, ovvero dal basso verso l'alto: essa, infatti, vedrà protagonisti i cittadini, la società civile e le imprese che saranno chiamate, dal 1o maggio 2015, a sottoscrivere la Carta di Milano assumendosi la responsabilità di dare attuazione a precisi impegni. La Carta di Milano, infatti, conterrà una serie di impegni per cittadini, società civile e imprese contro lo spreco alimentare, per l'alimentazione sostenibile, per il diritto alla nutrizione, contro l'uso scorretto del suolo e delle risorse naturali. Saranno poi i cittadini, la società civile e le imprese a chiedere ai Governi e ai Parlamenti di tutto il mondo di assumere ulteriori impegni, giuridici e politici, puntualmente indicati dalla Carta;
    in questo senso la Carta di Milano rappresenta un modello del tutto innovativo di «protocollo» per il cibo: non sono i Governi a imporre dall'alto gli impegni, ma sono cittadini, società civile e imprese a impegnarsi in prima persona e a chiedere ai Governi di impegnarsi per raggiungere gli Obiettivi del Millennio;
    sostenendo la Carta di Milano, il Governo italiano fa propria la sfida di un sistema alimentare globale sostenibile attraverso azioni mirate a combattere lo spreco di cibo, favorire l'agricoltura sostenibile e contrastare fame e obesità. La strada da percorrere è indicata dalle parole di Maurizio Martina, Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali con delega a Expo 2015: «La principale eredità di Expo è di contenuto e l'Italia darà anima al grande tema Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita con la Carta di Milano, un protocollo per tutti i Paesi che decideranno di aderirvi e che in autunno arriverà a New York nella sede Onu per la definizione dei nuovi Obiettivi del Millennio». Un'eredità, dunque, di contenuto e di sostanza: immateriale nella sua definizione ma concreta, operativa e tangibile nella sua attuazione;
    secondo la Commissione europea la produzione e il consumo di cibo generano il 20-30 per cento di tutti gli impatti ambientali dell'Europa, il 17 per cento delle emissioni di gas serra, il 28 per cento di consumo di risorse materiali e altri impatti come consumo di suolo, perdita di biodiversità, deforestazione. Negli ultimi anni, inoltre, il settore agro-alimentare è divenuto terreno di numerose illegalità gestite anche dalla criminalità organizzata. Ma l'agricoltura può in realtà divenire un'importante prospettiva di futuro per il nostro pianeta, sul piano economico e ambientale, ma anche culturale e sociale. Questo è possibile se si riscopre e si coltiva una relazione stretta fra cibo e produzione, se sono valorizzate e privilegiate le numerose pratiche agricole sostenibili, che da anni dimostrano di essere efficaci e di rappresentare una valida alternativa e se si favorisce la diffusione di un modello di agricoltura multifunzionale;
    il cibo che si mangia, il modo in cui lo si produce, gli effetti sul nostro pianeta. Questi sono i temi di Expo 2015 e su questi temi tutto il mondo è chiamato a dare un contributo. Expo è un incrocio di culture. Fin dalla prima edizione londinese del 1851, le Expo servono soprattutto a questo: fare incontrare culture, etnie e comunità nazionali. A Milano ci saranno rappresentanti di 147 Pesi e turisti da tutto il mondo;
    per la prima volta nella storia delle Esposizioni universali, i Paesi partecipanti verranno raggruppati, anziché per criteri geografici, secondo identità tematiche e filiere alimentari. Sono nove i cluster telematici presenti a Expo Milano 2015: riso, cacao, caffè, frutta e legumi, spezie, cereali e tuberi, bio-mediterraneo, isole, mare e cibo, zone aride. Al loro interno saranno visitabili aree comuni – mercato, mostra, eventi, degustazioni – e spazi espositivi individuali, in cui ciascun Paese interpreterà a modo proprio i temi dell'Esposizione;
    se si guarda al sistema alimentare globale ci si accorge di tre grandi paradossi del nostro tempo riguardanti il cibo: a fronte di un numero elevatissimo di persone che non vi hanno accesso, un terzo della produzione nel mondo è destinato ad alimentare gli animali e una quota crescente dei terreni agricoli è dedicata alla produzione di biocarburanti per alimentare le auto. E a fronte di quasi un miliardo di persone al mondo che patiscono la fame o sono malnutrite, circa un miliardo e mezzo soffre le conseguenze dell'eccesso di cibo, aumentando il rischio di diabete, tumori e patologie cardiovascolari. Ogni anno si registrano 36 milioni di decessi per assenza di cibo e 29 milioni di decessi per eccesso di cibo, 144 milioni di bambini sono sottopeso, 155 milioni di bambini sono obesi o in sovrappeso. Infine, ogni anno viene sprecato un terzo della produzione alimentare globale, per un totale di circa 1,3 milioni di tonnellate all'anno, una quantità che sarebbe sufficiente a nutrire quasi un miliardo di persone che soffrono la fame o sono malnutrite. Nei Paesi in via di sviluppo le perdite più significative si concentrano nella prima parte della filiera agroalimentare, soprattutto a causa dei limiti nelle tecniche di coltivazione, raccolta e conservazione, o per la mancanza di adeguate infrastrutture per il trasporto e l'immagazzinamento. Nei Paesi industrializzati la quota maggiore degli sprechi avviene nelle fasi finali della filiera agroalimentare (consumo domestico e ristorazione, in particolare);
    compito di Expo è fornire una valida risposta alla domanda se la crescita esponenziale dell'accaparramento delle terre (land grabbing), l'intensificazione dell'agricoltura mediante un eccessivo input di fertilizzanti e pesticidi, l'introduzione di organismi geneticamente modificati siano gli unici strumenti che si hanno per sfamare il mondo oppure se sia nostro dovere, in primo luogo, rendere l'intera filiera del cibo, dalla produzione alla trasformazione e consumo inclusi stili di vita alimentari, più efficiente e sostenibile;
    di «ritorno alla terra» in Italia si parla ormai da diversi anni. La crisi e la disoccupazione spingono i più giovani a cercare nuove strade: anche in professioni, quelle agricole, che fino a qualche anno fa erano snobbate e considerate un retaggio del passato. È un fenomeno ancora marginale da un punto di vista numerico, ma che porta nuova linfa – e nuove competenze – nell'agricoltura italiana e che va seguito con attenzione;
    in tale contesto si segnala l'importanza del progetto, WE-Women for Expo, che parla di nutrimento mettendo al centro la cultura femminile, con la convinzione che la sostenibilità del pianeta passa attraverso una nuova alleanza tra cibo e cultura e che le artefici di questo nuovo sguardo e nuovo patto per il futuro debbano essere le donne;
    l'acqua è destinata a diventare una risorsa strategica quanto il petrolio, se non di più. Già oggi la scarsità d'acqua colpisce circa 1,2 miliardi di persone in ogni continente e altre 500 milioni di persone si troveranno presto a fare i conti con la siccità a causa del cambiamento climatico. Il consumo d'acqua potabile è cresciuto a velocità doppia rispetto alla crescita della popolazione nell'ultimo secolo. La produzione di cibo è in assoluto uno dei fattori che incidono di più sul consumo d'acqua potabile e ridurre l'impronta idrica degli alimenti è una priorità strategica;
    senza ricerca non c’è futuro, anche nel settore agroalimentare. La Carta di Milano è l'occasione per definire strategie di sviluppo scientifico dalla pesca sostenibile al consumo di suolo, dalle biotecnologie all'agricoltura di precisione, dagli organismi geneticamente modificati alla gestione degli scarti alimentari, dal food packaging al food-print;
    a fine Ottocento esistevano circa 8000 varietà di frutta. Oggi ce ne sono meno di 2000. Le motivazioni sono diverse: l'industrializzazione dei processi produttivi, il cambiamento climatico e quello delle abitudini alimentari. Le varietà sopravvissute sono quelle più convenienti da produrre e più adatte al trasporto. È necessario sostenere tutti quei processi che favoriscono il ritorno ad un maggiore biodiversità. La biodiversità comprende la vita in tutte le sue forme e implica la centralità della tutela di tutte le specie viventi sulla terra. L'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha sancito il valore di tale patrimonio nel 1992 – a Rio De Janeiro – siglando la convenzione sulla diversità biologica. Quando si rinuncia alla biodiversità in agricoltura si corrono gravi rischi perché si rende facile la vita dei parassiti e si mettono a repentaglio intere filiere produttive;
    la sicurezza alimentare è una questione complessa che coinvolge l'intera filiera agro-alimentare. Attiene ai rischi diretti e indiretti per la salute pubblica connessi a cibi, mangimi e materiali a contatto, ma anche alle contraffazioni, alla tracciabilità e alle etichettature. Nonostante i piani nazionali integrati e gli accordi comunitari, le sfide da affrontare sono ancora difficili e richiedono soluzioni globali;
    l'educazione alimentare è senza dubbio un investimento importante per il futuro. Tutti gli studi dimostrano come un'alimentazione corretta sia il principale alleato nella prevenzione di malattie cardiovascolari e tumori, le malattie da cui deriva la maggior parte della spesa sanitaria;
    in tale contesto la dieta mediterranea, patrimonio culturale immateriale dell'Unesco, è un vero e proprio stile di vita che incorpora saperi, sapori, elaborazioni, prodotti alimentari, coltivazioni e spazi sociali legati ai territori. Proprio per valorizzare i valori legati alla dieta mediterranea e rivendicare una sorta di «orgoglio mediterraneo», l'Expo, su proposta del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali italiano, dedicherà una settimana di incontri, dibattiti, sperimentazioni alla «Dieta mediterranea patrimonio dell'Umanità UNESCO», dal 14 al 20 settembre 2015;
    le indicazioni geografiche dop (denominazione di origina protetta) e igp (indicazione geografica protetta) sono strumenti fondamentali per tutelare il made in Italy. I prodotti dop e igp italiani, infatti, rappresentano il 40 per cento dell'intera produzione a denominazione comunitaria, con un fatturato complessivo in relazione alla produzione di circa 7 miliardi di euro;
    dal falso olio extravergine di oliva ai prodotti italian sounding che abbondano sui mercati internazionali: la contraffazione dei prodotti alimentari è una minaccia per la sicurezza dei consumatori e un danno per le imprese del settore, in particolare quelle che operano sui prodotti di alta qualità;
    dalle mozzarelle ai terreni agricoli, dai ristoranti all'autotrasporto, il business dell'agromafia fattura in Italia circa 14 miliardi di euro, trovando terreno fertile proprio nel tessuto economico indebolito dalla crisi e offrendo alla criminalità organizzata un appetibile strumento per riciclare denaro frutto di attività criminose;
    la creazione di un modello di consumo e produzione sostenibili necessita di un intervento globale in cui le azioni dei Governi e delle istituzioni siano tese alla protezione e alla conservazione delle risorse del pianeta, allo sviluppo sostenibile, ad un uso efficiente delle risorse, alla lotta contro la fame e ad affermare il diritto alla sicurezza alimentare per tutti gli abitanti del pianeta ed è importante che la Carta di Milano sia il luogo d'assunzione di impegni di buone pratiche e modelli sostenibili in termini di politiche agricole,

impegna il Governo:

   ad assumere il diritto al cibo come un diritto fondamentale anche valutando l'opportunità di adottare iniziative per inserirlo nella Carta costituzionale;
   ad adoperarsi affinché la Carta di Milano sancisca un «patto per il cibo» che sia una reale assunzione di responsabilità da parte degli Stati per garantire il diritto a un cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti, prevedendo, in particolare, i seguenti impegni:
    a) individuazione di un meccanismo che permetta ai Governi e ai sistemi di produzione, trasformazione e commercializzazione della filiera agroalimentare il raggiungimento di risultati dichiarati in modo esplicito e trasparente, prevedendo, ad esempio, che ogni singolo Paese sia tenuto a comunicare le finalità che intende raggiungere e gli obiettivi realizzati nell'ambito dei rapporti Ocse in modo che possano essere monitorati e giudicati dai cittadini;
    b) contenimento e riduzione del consumo di suolo in modo da limitarne l'impermeabilizzazione ed incremento delle food policy in modo da concentrare l'attenzione sulle funzioni ambientali ed agricole del suolo piuttosto che sugli usi urbanistici, per il contrasto al dissesto idrogeologico e per la produzione di cibo;
    c) incremento delle risorse per la ricerca scientifica ed applicata in agricoltura, per sviluppare modelli di adattamento delle colture ai cambiamenti climatici e per i migliorare la produttività agricola nell'ambito della biodiversità, con particolare riguardo alle principali colture euro-mediterranee;
    d) predisposizione di politiche agricole a sostegno dell'agricoltura contadina familiare, dei modelli di aziende biologiche, degli agricoltori che lavorano in modo ecosostenibile e dei piccoli agricoltori locali, che consentano il recupero e la coltivazione dei prodotti tradizionali, che preservino la biodiversità e la varietà delle sementi, delle reti di acquisto di prodotti a chilometro zero e che migliorino le condizioni sociali ed economiche dei piccoli agricoltori;
    e) promozione dell'agricoltura urbana attraverso l'impulso alla creazione di orti urbani e di spazi destinati alla coltivazione assegnati dai comuni in comodato ai cittadini;
    f) implementazione delle esperienze di agricoltura sociale e degli aspetti connessi alla multifunzionalità agricola e delle politiche connesse al ricambio generazionale e al sostegno delle donne in agricoltura, anche attraverso l'istituzione a tale scopo di banche dati nazionali delle terre incolte e abbandonate;
    g) promozione di azioni educative nella scuola sulla base di tre assi principali: quali cibi figurano nella dieta; cosa e quanto si spreca in particolare come consumatori finali, ma anche durante l'intera filiera; come si produce (rispetto agli impatti sulle risorse naturali e sulla salute);
   in considerazione delle dimensioni assunte dal fenomeno dello spreco alimentare e soprattutto dalla portata dei suoi impatti, a sostenere le azioni necessarie a contrastare il fenomeno medesimo ed in particolare:
    a) a dare un significato univoco ai termini food losses e food waste ed armonizzare a livello internazionale la raccolta dei dati statistici;
    b) a comprendere le ragioni degli sprechi alimentari nelle varie filiere agroalimentari e a valutarne meglio gli impatti;
    c) ad investire prima nella riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari e poi sul loro recupero;
    d) ad avviare iniziative di recupero degli sprechi non ancora eliminati attraverso la distribuzione a persone svantaggiate e l'impiego come mangime o, come ultima alternativa, per la produzione di bioenergia;
    e) a favorire lo sviluppo di accordi di filiera tra agricoltori, produttori e distributori per una programmazione più corretta dell'offerta alimentare;
    f) a rendere il consumatore consapevole dello spreco e a insegnargli come rendere più sostenibili l'acquisto, la conservazione, la preparazione e lo smaltimento finale del cibo;
   ad istituire la «settimana della dieta mediterranea» coinvolgendo scuole, enti di ricerca, soggetti pubblici e privati, al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica e di diffondere e far conoscere la cultura del mangiare mediterraneo e i suoi effetti benefici non solo sulla salute ma anche sui territori, sul paesaggio e sulla biodiversità agricola;
   ad individuare le possibili modifiche, nell'ambito dell'Unione europea, alle direttive in materia di appalti pubblici, prevedendo misure premiali per le aziende biologiche nell'affidamento dei servizi di ristorazione nelle mense scolastiche.
(1-00769)
«Speranza, Dellai, Oliverio, Sani, Rostellato, Fregolent, Martella, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Capozzolo, Carra, Cenni, Cova, Dal Moro, Fiorio, Lavagno, Marrocu, Mongiello, Palma, Prina, Romanini, Taricco, Tentori, Venittelli, Zanin, Fauttilli, Gadda, Artini, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco».
(31 marzo 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    in occasione dell'Expo 2015, il cui adagio è «Nutrire il Pianeta. Energia per la Vita», è in corso un dibattito su alcuni nodi cruciali della sfida alimentare globale, che culminerà con l'adozione della «Carta di Milano», un documento che, su esperienze precedenti, come, ad esempio, il «Protocollo di Kyoto», vuole essere lo strumento e il frutto di un percorso partecipato, per guidare il dibattito che si svolgerà nei prossimi mesi, e per tutte le iniziative che diverranno eventi nel semestre dell'Expo 2015;
    la Carta di Milano sarà la dichiarazione conclusiva dell'Esposizione universale da consegnare al Segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, quale atto di indirizzo internazionale e quale contributo alle riflessioni che saranno svolte in sede di discussione sui millennium goals a novembre 2015;
    la sua nascita si deve alla giornata «Expo delle idee», del 7 febbraio 2015, nella quale 500 esperti, riuniti all’hangar Bicocca di Milano, hanno avuto modo di cominciare a confrontarsi e analizzare le sfide dell'alimentazione globale intorno a 42 tavoli tematici su argomenti come: lo sviluppo sostenibile all'interno dell'interrelazione tra economia, ambiente e società; culture, identità e stili alimentari; agronomia, nutrizione, economia del cibo; Milano/Italy tra smart e slow city;
    un percorso di riflessione globale, attivato dal basso, che mira al reale coinvolgimento della società civile, che, ponendosi in fase dialogante con i governatori dei vari Paesi, ha l'ambizione di arrivare alla stesura di un documento finale, che in linea con i suoi scopi originali sia in grado di coinvolgere nel dibattito tanti più contributi possibili, ponendosi come obiettivo finale la sfida di un sistema alimentare ed agricolo globale sostenibile, in grado di contrastare gli sprechi alimentari, la fame nel mondo, dai Paesi con economie più povere, alle malattie legate all'alimentazione di Paesi con economie più avanzate, tutelare le culture indigene e le realtà di agricoltura contadina e familiare e garantire cibo sano. Il Governo italiano, sostenendo la Carta di Milano, farà suo questo intento;
    il 22 dicembre 2013 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha dichiarato il 2014 anno internazionale dell'agricoltura familiare, International year of family farming; tutta la campagna in favore dell’International year of family farming ha avuto inizio nel 2008, ha visto coinvolte oltre 350 organizzazioni provenienti da Paesi di tutto il mondo, da piccole e medie comunità rurali ed aziende agricole fino ai popoli indigeni. L'obiettivo è quello di orientare radicalmente le politiche agricole a favore dell'agricoltura contadina familiare, sia nel mondo sviluppato che nei Paesi in via di sviluppo, ponendo l'attenzione sull'importante ruolo che essa gioca nell'alleviare la fame e la povertà, nel rafforzare la sicurezza alimentare e la nutrizione, nel migliorare i mezzi di sussistenza, nella gestione delle risorse naturali, nella protezione dell'ambiente e nel raggiungere uno sviluppo sostenibile, in particolare nelle zone rurali e marginali. Secondo un'analisi condotta da «Via Campesina», un'organizzazione internazionale fondata nel 1993 con più di 160 organizzazioni in 79 Paesi, che conta più di 200 milioni di contadini e contadine aderenti, le piccole e medie aziende contadine sono la spina dorsale economica e sociale dell'agricoltura europea, la più potente a livello mondiale, dove in media le aziende agricole sono di 14 ettari, oltre il 69 per cento delle aziende agricole coltivano meno di 5 ettari e solo il 2,7 per cento possiede più di 100 ettari. Imperniate sulle capacità e sull'intensità del lavoro – non sul capitale – adattate all'infinita diversità delle condizioni naturali, sociali ed economiche, queste strutture produttive garantiscono la sicurezza e la diversità alimentare ai cittadini europei e sono un modello di sostenibilità sociale, economica ed ecologica. Sposando un altro modello di sviluppo agricolo che, contrapponendosi all'agricoltura industriale, basata sul mercato di grossa scala e sulle monoculture, salvaguarda il territorio ed è in grado di dare risposte adeguate sia alla crisi economica che a quella climatica;
    in Europa e in Nord America si stima che i consumatori buttino via tra i 95-115 chilogrammi pro capite di cibo all'anno, mentre nel Sud-Est asiatico e nell'Africa sub-sahariana il dato è di 6-11 chilogrammi pro capite; lo spreco alimentare ha assunto, e sta sempre più assumendo, una dimensione di portata mondiale, tanto che metà del cibo prodotto nel mondo non arriva mai ad essere consumato. Il problema dello spreco alimentare è da ritenersi connesso alle politiche economiche e di marketing che, negli ultimi 20 anni, hanno prodotto fattori e azioni comportamentali altamente distorsivi della realtà fattuale con tutte le conseguenze effettuali che da tale modus comportandi e vivendi sono derivate. Le politiche di marketing delle multinazionali e le normative sulla brevettazione dei prodotti agroalimentari hanno contribuito a generare comportamenti sociali tendenti a produrre sempre più «spreco» e «scarto» alimentare. I dati sullo spreco di cibo nei Paesi industrializzati ammonta a 222 milioni di tonnellate, ossia il corrispettivo della produzione alimentare disponibile nell'Africa sub-sahariana, che è di 230 milioni di tonnellate; la Fao stima che a livello mondiale la quantità di cibo che finisce tra i rifiuti ammonta a 1,3 miliardi di tonnellate e che 925 milioni di persone nel mondo sono a rischio di denutrizione, mentre la popolazione mondiale ipernutrita è pari a quella sottonutrita e/o denutrita: questi dati allontanano, oggettivamente, il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio, incluso quello di dimezzare la fame e la povertà entro il 2025; sempre secondo dati della Fao, il previsto aumento da 7 miliardi a 9 miliardi della popolazione mondiale richiederà un incremento minimo del 70 per cento della produzione alimentare entro il 2050. Secondo i dati dell'indagine realizzata nel 2012 dalla Fondazione per la sussidiarietà e dal Politecnico di Milano, in collaborazione con Nielsen Italia, lo spreco alimentare in Italia ammonta a 6 milioni di tonnellate, pari a un valore di 12,3 miliardi di euro (6,9 miliardi direttamente dai consumatori);
    rispetto ai trattati internazionali in corso di negoziazione, come, ad esempio, il Transatlantic trade and investment partnership, Ttip, è doveroso sottolineare come l'agricoltura europea, frammentata in milioni di piccole aziende, finirebbe per entrare in crisi se non venisse più protetta dai dazi doganali e, soprattutto, se venisse dato il via libera alle colture geneticamente modificate. Ci sarebbero anche rischi per i consumatori perché i principi su cui sono basate le leggi europee sono diverse da quelli degli Stati Uniti. In Europa vige il principio di precauzione (l'immissione sul mercato di un prodotto avviene dopo una valutazione dei rischi), mentre negli Stati Uniti per una serie di prodotti si procede al contrario: la valutazione viene fatta in un secondo momento ed è accompagnata dalla garanzia di presa in carico delle conseguenze di eventuali problemi legati alla messa in circolazione del prodotto (possibilità di ricorso collettivo o class action, indennizzazione monetaria). Oltre alla questione degli organismi geneticamente modificati, questa critica viene sollevata relativamente all'uso di pesticidi, all'obbligo di etichettatura del cibo, all'uso del fracking per estrarre il gas e alla protezione dei brevetti farmaceutici, ambiti nei quali la normativa europea offre tutele maggiori. Non ultime, in questo discorso, le produzioni di qualità che contraddistinguono l'Italia nello scenario mondiale quale leader nell'esportazione di prodotti alimentari dop, igp e stg. Evocare la denominazione di un prodotto tipico fa parte di quel fenomeno di slealtà commerciale chiamato italian sounding, ossia la contraffazione imitativa che danneggia gravemente il made in Italy anche in Paesi come gli Stati Uniti. Non è che l'Italia sia più competitiva degli Usa in generale, ma l'Italia esporta prodotti alimentari di altissima qualità legati agli elevati standard qualitativi che i disciplinari tecnici europei richiedono per conseguire le denominazioni;
    alcuni prodotti alimentari italiani sono salvaguardati dalle imitazioni nell'Unione europea ma non negli Stati Uniti. Le conseguenze di tale accordo potrebbero seriamente minare le produzioni di qualità e, quindi, mettere in crisi non solo l'Italia, ma anche quei Paesi europei che basano i propri prodotti sulla «tipicità». Proteggere dall'immissione di organismi geneticamente modificati vuol dire agire a tutto tondo: dalla mangimistica ai controlli sull'immissione in commercio, avvalendosi della clausola di salvaguardia che garantisce al nostro Paese il successo del marchio made in Italy; con il Transatlantic trade and investment partnership questa garanzia non sarebbe più tale e le ricadute economiche sul settore agroalimentare e sulla salute dei cittadini potrebbero assumere contorni catastrofici;
    la prima causa del diffondersi delle fitopatie e parassiti delle piante è senza dubbio rappresentata dai grandi flussi di merci che alimentano gli scambi commerciali. Gli imballaggi, i mezzi di trasporto ed il materiale vegetale trasportato si spostano da un continente all'altro, raggiungendo zone geografiche anche molto lontane dal loro areale di origine. Si tratta di ambienti nuovi per i patogeni importati, dove mancano i naturali antagonisti e la diffusione è semplificata. È poi da considerare che le grandi multinazionali, che operano nel campo della riproduzione vegetale, come le aziende sementiere, hanno insediato i propri stabilimenti nei Paesi in via di sviluppo, dove i costi di produzione, essenzialmente la manodopera e l'energia, sono ridotti, con scarsa attenzione alla condizioni ambientali di contorno, dove sono presenti microrganismi, insetti o virus che possono seguire i semi nel loro lungo viaggio verso i Paesi industrializzati. Gli scarsi o inefficaci controlli fitosanitari del materiale in partenza non permettono di limitare questo rischio alla fonte. Non potendo gestire il problema alla fonte, i Paesi importatori hanno stabilito delle regole per l'ingresso del materiale vegetale;
    in Europa questa attività viene svolta dall’European and Mediterranean plant protection organization. I suoi obiettivi riguardano la protezione delle piante, lo sviluppo di strategie contro l'introduzione e la diffusione di patogeni, la promozione della sicurezza e di efficaci metodi di controllo. All'atto dell'arrivo del materiale vegetale, imballaggi compresi, vengono effettuate delle ispezioni da parte degli ispettori fitosanitari alle dogane e, se tutte le condizioni previste sono state rispettate, viene rilasciato un apposito certificato fitosanitario. Tale certificato attesta l'idoneità del prodotto, in base alla legislazione vigente e nel rispetto degli accordi internazionali, grazie al quale le piante, che hanno rilevanza economica (alimentare, forestale, ornamentale), possono circolare liberamente. Nonostante i controlli, molti parassiti sono già entrati nel continente europeo, quali: la anoplophora chinensis, coleottero che attacca i fruttiferi e le alberate, il dryocosmus kuriphilus, il cinipide del castagno che sta arrecando ingenti danni in molte aree forestali del nostro Paese, la varroa e il coleottero dell’athina tumida che ha colpito le api, e la xylella fastidiosa negli ulivi pugliesi. Si sta cercando di evitare l'introduzione della phakopsora pachyrhizi, fungo agente della ruggine asiatica della soia, la cui diffusione negli ultimi 100 anni può servire da esempio per capire quanto difficile sia combattere una patologia. Rilevata per la prima volta in Asia nel 1902, dove fu causa di ingenti danni, si diffuse tramite spore trasportate da correnti d'aria in Africa e, a partire dal 2000, in America latina, da dove è poi sbarcata negli Stati Uniti;
    il land grabbing è un fenomeno che assume dimensioni sempre più planetarie, dove le vittime principali sono gli abitanti dei Paesi più poveri del mondo che vengono depauperati del loro sostentamento principale che è la terra. Il fenomeno socio-economico è drammaticamente in crescita esponenziale e si realizza grazie all'azione congiunta sia degli Stati che delle imprese, ma a prevalere nel percorso di accaparramento della terra è soprattutto il settore privato. L'asse portante consiste in investimenti a basso costo in terre del sud del mondo, dove si concentra circa il 40 per cento di tutte le fusioni e acquisizioni agricole. A «cedere» la loro terra sono, in generale, i Paesi più poveri, per la disponibilità e il basso costo della superficie coltivabile, per il clima favorevole e per la disponibilità di manodopera quasi a costo zero. Nella maggior parte dei casi, si tratta di Paesi che rientrano nella fascia con il più elevato rischio di fame e povertà al mondo;
    la contrattualistica si codifica in assenza di clausole vincolanti e precise che prevedano iniziative sociali e lavoristiche concrete da parte degli investitori a favore delle zone interessate dal fenomeno, oltre a riguardare il controllo e la verifica degli «impegni sottoscritti». La durata delle concessioni risulta essere molto lunga, 30,40 e, in alcuni casi, anche 90 anni, con accordi che prevedono affitti risibili che vanno dai 2 ai 10 dollari per ettaro, come in Sudan o in Etiopia. Gli interessi sono consoni alle esigenze degli investitori, senza riferimenti alla sicurezza alimentare delle popolazioni locali, che si vedono destinata solo una minima parte dei raccolti. Per sicurezza alimentare si intende non solo il ridotto raccolto che spetta ai locali, certamente non sufficiente per i loro fabbisogni alimentari, ma si estende anche all'alimentazione e alla protezione degli animali, anch'essi appartenenti alla catena alimentare. La sicurezza alimentare riguarda il tema dell'assenza di controlli veterinari e, non ultimo, dell'igiene, la cui assenza produce innumerevoli infezioni agli animali e agli esseri umani stessi;
    da qualche tempo, gli accaparratori di terre hanno messo gli occhi anche sui suoli più fertili d'Europa e d'Italia, dove i fenomeni di land grabbing si situano nella zona della Costa Smeralda, di Porto Torres e della provincia di Cagliari;
    l'agricoltura italiana sta vivendo uno dei periodi più drammatici della sua storia. I costi di produzione hanno raggiunto livelli insostenibili, mentre i ricavi delle produzioni agricole sono fermi agli anni settanta e non sono affatto remunerativi a causa del dimezzamento dei redditi degli agricoltori. A questa drammatica situazione non si è riusciti, ad ora, a dare una risposta, nonostante i notevoli servizi di multifunzionalità che il mondo agricolo offre alla società sotto il profilo della salute pubblica, della tutela dell'ambiente, del presidio del territorio e della biodiversità. Accanto a una situazione di grave disagio economico e sociale del comparto agricolo, il livello di tassazione e di imposizione fiscale rischia di far chiudere un numero non calcolato di aziende agricole, con tutti i drammatici effetti collaterali che un evento del genere comporterebbe per molti territori che vivono solo di agricoltura. A questo si aggiunga l'eccessiva burocratizzazione che spesso penalizza e rallenta il percorso di molti imprenditori agricoli, soprattutto i piccoli imprenditori, lasciando il mercato nelle mani di pochi monopoli. La burocratizzazione impedisce, altresì, la cooperazione fra i vari Stati;
    la fase di emergenza dei mercati agricoli e la conseguente diffusa volatilità dei prezzi, derivante dall'assenza di una condivisa regolamentazione globale del mercato delle merci che ha caratterizzato il settore nell'ultimo decennio, continuano a manifestare i propri segnali negativi;
    il suolo è una risorsa non rinnovabile che svolge funzioni ecosistemiche per la società nel suo complesso olistico. I processi di antropizzazione che l'uomo pone in essere con le sue attività produttive occupano sempre più porzioni di territorio che viene trasformato in modo pressoché irreversibile. Il ritmo di questi processi è cresciuto parallelamente allo sviluppo delle economie: quello dell'aumento del consumo di suolo è un fenomeno globale, in cui, per la scarsità di suolo edificabile, l'avanzata dell'urbanizzazione contende il terreno all'agricoltura e spinge all'occupazione di aree non adatte all'insediamento, come quelle a rischio idrogeologico;
    il consumo di suolo agricolo, inoltre, è corresponsabile di fenomeni di alterazione climatica, come l'innalzamento della temperatura e la diminuzione delle risorse edibili per l'uomo, la cui miscela socio-ambientale produce delle drammatiche conseguenze socio-economiche in quei Paesi dove si «mastica la fame»;
    in agricoltura, le monocolture, ossia il sacrificare vaste zone di territorio per la coltura di un'unica specie vegetale in maniera intensiva e standardizzata, sono tra le principali cause della scomparsa di biodiversità. Convertire foreste rigogliose, ecosistemi ricchi e variegati e complessi in monocolture significa condannare a morte milioni di creature vegetali e animali. Questo processo tanto sbandierato come «sviluppo» e «progresso» dalle multinazionali, di fatto ha contribuito enormemente ad aumentare il tasso di povertà nel mondo. Le aree impiegate per questo tipo di coltivazione, ormai sempre più frequente viene gestito da grandi gruppi, i quali esercitano – in un mercato globalizzato tendente alla riduzione progressiva delle varietà colturali in modo da esser più facilmente controllato – nelle zone delle foreste pluviali operazioni massicce di disboscamento, come avviene da anni in Amazzonia e negli ultimi due lustri per la Mata atlantica (fenomeno questo conosciuto come «desmatamento»);
    le foreste pluviali tropicali sono gli ecosistemi terresti più ricchi. Esse coprono il 7 per cento della superficie mondiale e danno rifugio al 70 per cento di tutte le specie. Le monocolture, quindi, rendono sterili i terreni, impoveriscono i sottosuoli e pregiudicano le sorgenti genetiche dell'agricoltura, rendendo i raccolti più vulnerabili alle fitopatie. La conseguenza è la drammatica alterazione degli equilibri microcosmici e sistemici, oltre al fatto che viene messo in serio rischio la sicurezza e la sovranità alimentare. La distruzione della biodiversità favorisce le infezioni e le patologie, perché le piante si indeboliscono e sono più facilmente attaccabili dagli insetti che negli ultimi 40 anni hanno raddoppiato i danni alle colture, nonostante l'uso di pesticidi sia decuplicato;
    l'agricoltura intensiva è l'attività che richiede più utilizzo di acqua in Europa. Circa l'80 per cento della risorsa idrica è impiegata nell'irrigazione, spesso inefficiente per la cattiva manutenzione degli impianti e per il ricorso a tecnologie obsolete e poco attente al risparmio idrico. L'agricoltura industrializzata non si limita ad impiegare ingenti quantità di acqua, ma è causa anche di inquinamento. Infatti, i fertilizzanti chimici e i pesticidi penetrano nel terreno raggiungendo e inquinando le falde acquifere sotterranee oppure vengono dilavati dalle acque meteoriche (piogge) e di irrigazione e immessi direttamente nelle acque superficiali in quantità tali da comprometterne la capacità autodepurativa. Inoltre, lo sconsiderato utilizzo di acqua, ossia il divario esistente tra il rifornimento idrico e la domanda di acqua, sta aumentando in quelle aree che già oggi soffrono di carenza di idrica, aggravata dai crescenti e violenti fenomeni di siccità, e si rivelerà il maggior vincolo alla crescita e allo sviluppo agricolo sostenibile;
    in Europa, soprattutto nelle aree meridionali e centrali, la disponibilità di acqua diminuirà sempre di più a causa di una continua diminuzione delle precipitazioni estive e delle elevate esigenze idriche di alcune tipi di colture e metodi di coltivazione semi o totalmente industrializzati;
    nei Paesi del sud del mondo l'acqua utilizzata per l'irrigazione rappresenta ben il 91 per cento del consumo idrico (rispetto al 39 per cento dei Paesi ad alto reddito), ma la produzione agricola è pari ad un terzo di quella dei Paesi industrializzati, poiché metà dell'acqua destinata all'irrigazione evapora per le elevate temperature, oppure si perde a causa delle pessime reti idriche di distribuzione;
    il fenomeno della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento dei migranti rimane una delle prime problematiche da affrontare e risolvere a livello globale. Un fenomeno che coinvolge un alto numero di migranti che finiscono in circuiti di marginalità sociale e illegalità, vittime di un sistema di sfruttamento sia a livello di manodopera che sessuale;
    la presenza di un gran numero di lavoratori vulnerabili e disponibili a salari bassi ha consentito a molte aziende di reggere alla crescente pressione sui prezzi dei prodotti agricoli operata da commercianti, industrie conserviere e catene della grande distribuzione organizzata, causata dalla competizione internazionale dovuta alla liberalizzazione dei mercati dei prodotti agricoli. I conflitti sociali avvenuti negli anni scorsi a El Ejido in Andalusia, a Manolada in Grecia e nelle Bouches-du-Rhône in Francia mostrano come i lavoratori migranti impiegati in agricoltura siano in condizioni difficili un po’ in tutta Europa, sebbene con modalità differenti. Per non parlare dell'agricoltura californiana, che alcuni economisti e sociologi hanno individuato come il modello – fatto di agricoltura intensiva e ipersfruttamento dei migranti – cui si sta conformando l'agricoltura europea, soprattutto mediterranea. Per continuare si può citare la disumana condizione degli operai agricoli palestinesi nella Valle del Giordano, i quali lavorano in condizioni disastrose, fino a 18 ore al giorno, privi di qualsivoglia sistema di sicurezza. Di conseguenza, gli incidenti sul lavoro sono ricorrenti e spesso mortali. La piaga dello sfruttamento dei braccianti agricoli è di matrice globale ed ha urgenza di essere affrontata in modo dirimente;
    i modelli economici perseguiti finora hanno portato alla dipendenza di quelle fonti energetiche che maggiormente si allineano con il metodo della continua ricerca del profitto. L'uso del petrolio, per il quale si stima che, agli odierni ritmi estrattivi, si esaurirà tra il 2040 e il 2070, sta spingendo le aziende a trovare alternative energetiche di approvvigionamento. Gli agrocombustibili, in quota parte, sono proposti sia come alternativa al petrolio, sia come mezzo per combattere il riscaldamento climatico globale e per questo le maggiori imprese internazionali si stanno lanciando in questo nuovo mercato, che risulta essere, però, contrario alle necessità alimentari dei popoli. Il rischio, tuttavia, è che, diffondendo la sostenibilità di questa fonte energetica, le multinazionali potranno liberamente sfruttare i beni agricoli per il mercato energetico. Il biocarburante esiste in virtù del biocombustibile, cioè un propellente ottenuto in modo indiretto dalle biomasse: grano, mais, bietola, canna da zucchero. E dunque i biocarburanti di prima, seconda e terza generazione riducono la disponibilità di derrate alimentari, aumentando la fame nel mondo. Peraltro, la coltivazione delle materie prime necessarie a produrli, in generale, è inquinante: la produzione di biodiesel, per esempio, è molto dispendiosa dal punto di vista idrico. Un calcolo calorico porta a dire che mantenere i veicoli col cibo umano è dispendioso. Questi sono solo alcuni dei problemi legati all'uso improprio dei biocarburanti. La teoria economica classica attesta che se la domanda supera l'offerta i prezzi crescono. Gli speculatori finanziari comprano dai contadini (principalmente del terzo mondo) il grano ad un prezzo molto basso e fanno in modo che questo prezzo aumenti nel tempo, sostenendo artificiosamente la domanda e contenendo l'offerta, realizzando così forti guadagni. È chiaro che, con questi meccanismi, i prezzi dei cibi di prima necessità subiscono aumenti molto elevati, tutto a scapito di milioni di persone che muoiono di fame. La speculazione finanziaria sui generi alimentari ha causato negli ultimi anni la sottoalimentazione di circa 850 milioni di persone. Questa situazione è stata stigmatizzata sia dalla Fao che dalla Banca mondiale: entrambe le istituzioni affermano che tra il 2007 e il 2008 si è registrato un aumento di circa l'88 per cento del prezzo dei cereali e, in generale, dell'80 per cento di tutte le granaglie. Gli agrocombustibili nuoceranno in maniera devastante anche sulle riserve d'acqua. Secondo l'Istituto internazionale per l'acqua, la produzione su larga scala di agrocombustibili provocherà nel 2050 il raddoppio dell'attuale fabbisogno idrico destinato all'agricoltura. Attualmente, circa l'80 per cento del totale di acqua dolce consumata dall'uomo è utilizzato in questo settore. Dal punto di vista sociale la produzione in massa di agrocombustibile diventerebbe più dannosa del problema dell'inquinamento che si pensa di risolvere. La paura è che in un'economia come questa, se gli agrocombustibili danno/daranno alle imprese maggiori profitti rispetto al mais, al grano e ad altro, difatti verrà privilegiata la coltura a scopo speculativo in luogo di quella a scopo alimentare;
    i semi rappresentano il dono della natura, elevata energia in uno spazio notevolmente piccolo, un micro universo in evoluzione a cui è legata la storia dell'umanità. È compito dell'uomo salvaguardarli, responsabilità dell'uomo tramandarli alle generazioni future. Facendoli rivivere ogni anno, ogni giorno, in ogni luogo e assecondando la loro più intima natura, si provvede ai bisogni di nutrimento dell'uomo;
    il sapere accumulato sulle proprietà curative delle piante, gli effetti sulla salute e come anche su certe particolari prassi di coltivazione e interazioni con il mondo animale e vegetale, con il suolo e con l'acqua, si è ampliato ed è stato tramandato nei secoli e nei millenni. L'accelerazione delle rivoluzioni tecnologiche in tutti i campi e la crescente concentrazione del potere economico nelle mani di un ristretto gruppo di persone e imprese hanno prodotto una sempre maggiore omogeneizzazione delle strategie produttive e delle culture umane. Si stanno distruggendo, con delle modalità e ad una velocità senza precedenti, la variabilità genetica della vegetazione spontanea e della fauna, come anche la diversità delle lingue e delle culture. La rapida estinzione delle coltivazioni diversificate e delle varietà colturali e lo sviluppo di sementi non rinnovabili (gli ibridi di «proprietà riservata» e i semi sterili prodotti con la cosiddetta tecnologia Terminator) minacciano il futuro della vita del seme e, con esso, il futuro dei coltivatori e della sicurezza alimentare. La libertà di gestire i semi e la libertà dei coltivatori sono minacciate dai nuovi diritti di proprietà e dalle nuove tecnologie che stanno trasformando i semi da bene comune condiviso del mondo contadino ad un bene di consumo sotto il controllo centralizzato dei monopoli corporativi. Il libero scambio dei semi è importante per la conservazione della diversità biologica e deve contestualmente riguardare la condivisione di conoscenze e lo scambio di idee, facilitando una crescita collettiva della comunità;
    gli allevamenti intensivi si espandono sul suolo terrestre e nei mari come immense, spietate chiazze tossiche, divorando salubrità e risorse di ogni sorta. All'interno di essi, cardine dell'industria globale del cibo, finisce la metà degli antibiotici fabbricati al mondo, mentre le monocolture di cereali e soia destinate al bestiame causano deforestazioni e impoveriscono per sempre gli habitat naturali. L'allevamento intensivo, noncurante del benessere animale, reca sofferenza agli animali e danno alle comunità locali, costrette a subirne inquinamento dovuto ai gas climalteranti prodotti dalle pratiche intensive degli allevamenti. Gli stessi operatori impiegati in simili strutture risentono di condizioni di lavoro estreme a causa degli elevati livelli di ammoniaca con cui entrano in contatto;
    il livello elevato di utilizzo degli antibiotici, che si usano per allontanare le malattie da ambienti così malsani, contribuisce alla proliferazione di «super batteri» antibiotico resistenti. Il grande numero di animali da allevamento che necessita di ingenti quantità di mangime (coltivato in vaste aree agricole, usando pesanti quantitativi di acqua, energia, fertilizzanti e pesticidi) produce una quantità enorme di rifiuti, causando un serio inquinamento e degrado ambientale. I liquami di origine animale e vegetale prodotti negli allevamenti hanno un potenziale inquinante molto più elevato di quello dei liquami domestici. L'eccesso di azoto proveniente dagli allevamenti può causare l'inquinamento delle falde acquifere, aumentando il livello di nitrati nell'acqua potabile, a cui si aggiunge l'eutrofizzazione (arricchimento di sostanze nutrienti) degli acquedotti, che può causare la proliferazione di alghe (diminuisce la quantità di ossigeno presente nell'acqua), con conseguenti morie di pesci ed altri organismi acquatici, tant’è che l'Agenzia europea per l'ambiente afferma che: «è diventato un gravissimo problema nell'Europa nordoccidentale». I fertilizzanti e i pesticidi diminuiscono la biodiversità; 20 specie britanniche di uccelli hanno subìto una riduzione di popolazione di oltre il 50 per cento negli ultimi 25 anni,

impegna il Governo:

   ad assumere il diritto al cibo come un diritto fondamentale, assumendo iniziative per il suo inserimento nella Carta costituzionale;
   ad adoperarsi affinché la Carta di Milano sancisca un «patto globale per il cibo» che sia una reale assunzione di responsabilità da parte degli Stati al fine di garantire il diritto a un cibo sano, sicuro, sufficiente e accessibile per tutti, prevedendo, in particolare, i seguenti impegni:
    a) adottare iniziative a favore dell'agricoltura familiare, riconoscendo, anche giuridicamente, al coltivatore il ruolo sociale e ambientale che svolge nel proprio territorio, in particolare nelle aree considerate marginali, montane e soggette a spopolamento;
    b) incentivare un modello di alimentazione che riduca gli sprechi alimentari ed inutili scarti, promuovendo informazione e responsabilizzazione nei consumi, sostenendo percorsi premiali affinché le mense scolastiche europee offrano cibo biologico e a chilometro zero agli studenti;
    c) ostacolare il fenomeno del land grabbing, le cui vittime principali sono gli abitanti dei Paesi più poveri del pianeta, depauperati delle loro terre native e delle risorse per il proprio sostentamento, attraverso concessioni governative imposte o cessioni unilaterali in favore di grandi investitori e Governi stranieri, a scapito della sicurezza e della sovranità alimentare delle popolazioni locali che si vedono destinate solo una minima parte dei raccolti;
    d) disincentivare, su scala globale, le agricolture industriali che basano la propria strategia produttiva sulle monoculture e sull'utilizzo massiccio di fitofarmaci che si sono rivelati nel tempo un modello di sviluppo insostenibile per il pianeta e per la tutela della biodiversità, delle foreste primarie e delle risorse idriche;
    e) impedire su scala globale quelle agroenergie che ricorrono alla produzione della monocoltura agricola, valorizzando le nuove tecnologie che utilizzano gli scarti di lavorazione del processo produttivo dei beni di prima necessità, che, se non opportunamente valorizzati, si traducono in esternalità negative per l'ambiente e la società;
    f) arginare il fenomeno del consumo di suolo, prevedendo che i suoli agricoli non possano cambiare la loro destinazione d'uso e/o essere impermeabilizzati, se non in casi eccezionali e d'interesse pubblico, mitigando il dissesto idrogeologico con l'implementazione di politiche occupazionali pubbliche per il ripristino dell'equilibrio ambientale e sistemico;
    g) rafforzare la sicurezza alimentare globale, mantenendo inalterato il principio di precauzione e gli standard qualitativi e di sicurezza sui prodotti agroalimentari del mercato europeo, promuovendo su scala globale questi principi e non sottoscrivendo alcun trattato internazionale che preveda accordi al ribasso per il sistema agricolo e alimentare europeo o che possa prevedere il sistema degli arbitrati internazionali, lesivo dell'autonomia dei Governi e della stessa democrazia sociale;
    h) promuovere l'adozione di un protocollo internazionale per la movimentazione delle merci agroalimentari e intensificare il sistema dei controlli riguardo la movimentazione di prodotti agroalimentari da altri continenti, al fine di impedire l'ulteriore contaminazione e l'introduzione di parassiti e malattie esotiche per le piante e gli animali autoctoni, in modo da salvaguardare le razze e le varietà vegetali locali;
    i) sostenere il principio del libero scambio delle sementi, contrastando la diffusione delle sementi geneticamente modificate e ostacolando la brevettabilità delle sementi, che troppo spesso si traduce nel monopolio di alcune varietà da parte di grandi multinazionali del biotech, le quali limitano l'indipendenza degli agricoltori, impedendo ad essi, di fatto, la riproduzione e la selezione delle varietà vegetali e delle razze animali;
    l) adottare a livello globale un modello di allevamento, per terra e per mare, che sia rispettoso dell'ambiente ecologico e del benessere animale, in cui la mangimistica sia tracciabile, certificata e non lesiva dell'ecologia planetaria, ovvero che non amplifichi o addirittura sia causa dei processi di deforestazione, come oggi invece avviene per le coltivazioni che producono soia, mais e olio di palma, in particolare nelle zone delle foreste tropicali;
    m) mettere in atto a livello globale ogni strategia di contrasto allo sfruttamento sessuale e della manodopera dei braccianti agricoli e ponendo attenzione alle condizioni di salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro, con particolare sensibilità relativamente alle irrorazioni di fitofarmaci cui sono sottoposti senza le necessarie precauzioni, in un'ottica di cooperazione in grado di stilare una «Carta dei diritti universali dei braccianti» impegnati nel settore dell'agricoltura;
    n) snellire le pratiche burocratiche nel settore agricolo al fine di renderle più sostenibili per chi fa agricoltura e facilitare la cooperazione fra i vari Stati, regolamentando il mercato globale agricolo in senso cooperativistico e mutualistico, soprattutto nel settore dello scambio delle merci.
(1-00776)
«Zaccagnini, Scotto, Franco Bordo, Palazzotto, Pellegrino, Zaratti, Fratoianni, Pannarale, Airaudo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro».
(8 aprile 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    l'Esposizione universale Expo 2015, che avrà luogo a Milano tra il 1o maggio e il 31 ottobre 2015, ha scelto come tema «Nutrire il Pianeta, energia per la vita», puntando l'attenzione su tutto ciò che riguarda l'alimentazione mondiale: dal problema della mancanza di cibo in alcune zone del pianeta, all'educazione alimentare, fino alla conoscenza delle attività legate alla produzione dell'agroalimentare e alle innovazioni introdotte rispetto all'agricoltura tradizionale, quali gli organismi geneticamente modificati;
    oltre agli aspetti legati alle attività economiche, la principale eredità di Expo 2015 è di contenuto e riguarda il diritto ad un'alimentazione sana, sicura e soprattutto sufficiente per tutto il pianeta, principalmente attraverso una rivalutazione dell'importanza del territorio, della redistribuzione e della genuinità del cibo, nonché della preservazione ed individuazione dei migliori strumenti di controllo e di innovazione;
    la Carta di Milano, una sorta di protocollo sul cibo che nasce da un percorso di ricerca, confronto e proposta sui temi di Expo, non è solo un documento di intenti, ma contiene una serie di impegni per cittadini, società civile ed imprese per un'alimentazione sostenibile, per il diritto universale alla nutrizione, per il contrasto al consumo del suolo agricolo e all'uso scorretto delle risorse naturali in quanto beni comuni, ed è finalizzata a sollecitare un'assunzione di responsabilità in tale direzione da parte dei Governi e dei Parlamenti di tutto il mondo;
    sostenendo la Carta di Milano anche il Governo italiano assume gli impegni che in essa sono contenuti. Il settore agroalimentare è una delle eccellenze del nostro Paese, tanto da essere l'unico settore in crescita – sia in termini di occupazione che di export di prodotti – in un momento di grave crisi economica come quello attuale; esso comprende, oltre alle grandi produzioni, anche tutti i prodotti tradizionali e locali derivanti dall'attività della piccola agricoltura contadina;
    molte sono le associazioni di cosiddetti «agricoltori contadini» che in questi anni stanno portando avanti la battaglia per il riconoscimento a livello nazionale di un'agricoltura piccola ma foriera di grande valore per la riscoperta e conservazione di colture tradizionali lavorate con metodi naturali, sostenibili e biologici;
    la piccola agricoltura contadina sposa pienamente il tema dell'Expo 2015, poiché ha come obiettivi quello di valorizzare le colture locali e disincentivare il consumo di prodotti che non siano derivanti da una filiera corta; di contemplare metodi di lavorazione, coltivazione e allevamento sostenibili e che usino la biodiversità agroalimentare come mezzo per rispondere alle sfide che impone il cambiamento climatico;
    circa 9 su 10 delle 570 milioni di aziende agricole esistenti al mondo sono gestite da famiglie e costituiscono un fattore potenzialmente cruciale di cambiamento verso il raggiungimento della sicurezza alimentare e l'eliminazione della fame; come afferma l'ultimo rapporto dell'Onu e come scrive lo stesso direttore generale della Fao, Josè Graziano de Silva, nell'introduzione al nuovo rapporto Fao, «le aziende agricole a conduzione familiare producono circa l'80 per cento del cibo a livello mondiale. La loro significativa presenza e la loro produzione testimoniano che esse sono cruciali per la soluzione del problema della fame che affligge 800 milione di persone (....) e che sono una componente chiave dei sistemi alimentari sani di cui abbiamo bisogno per condurre delle vite più sane»;
    è evidente che la strada da intraprendere, che verrà indicata dalla Carta di Milano, è in netta antitesi con quella adottata dalle multinazionali che producono cibo globalizzato (a danno delle tradizioni alimentari locali) e che spesso distruggono le sementi millenarie di alto valore per la sopravvivenza dell'agricoltura sana e di qualità. Infatti, è con l'agricoltura intensiva che si preparano cibi artefatti, sempre meno naturali, organismi geneticamente modificati, ridotti a qualcosa di simile al carburante necessario ad alimentare la «macchina umana» e che sottostanno all'esigenza di produrre sempre di più per consumare di più, per fare solo sempre più profitto;
    il 2015 è stato indicato dall'Onu come l'anno internazionale del suolo; è noto che esiste una stretta correlazione tra estensione della superficie agricola e sicurezza alimentare, eppure, ad esempio, in Italia il ritmo con cui si continua a perdere suolo agricolo è di 11 ettari all'ora, ovvero circa 2.000 alla settimana, 8.000 al mese. In poco meno di 20 anni si sono perduti qualcosa come due milioni di ettari coltivati, ovvero l'incredibile percentuale del 16 per cento di tutte le campagne agricole del Paese;
    la crescente sottrazione di suolo per uso agricolo rischia di incidere pesantemente sul costo dell'approvvigionamento alimentare in Italia, dove attualmente è coperto solo il fabbisogno di cibo di tre cittadini su quattro e si rendono pertanto necessarie le importazioni per coprire il restante deficit produttivo. Quindi, da una parte cresce la domanda di cibo, dall'altra diminuiscono le terre coltivate. Questa contraddizione va fermata non solo in Italia, ma in tutto il pianeta, onde evitare l'incremento della dipendenza dall'estero nel campo agroalimentare, in un contesto globale in cui le stime di Fao e Ocse parlano, per i prossimi anni, di un rallentamento della crescita produttiva mondiale, a cui si affianca però la costante crescita demografica che porterà nel 2050 a superare la soglia dei 9 miliardi di abitanti nel pianeta;
    l'Expo delle idee è stato avviato l'8 dicembre; in quella sede 42 tavoli tematici hanno dato il via ad un'elaborazione collettiva che si concluderà con la cosiddetta Carta di Milano. Il focus, come si sa, è puntato sulla nuova frontiera del diritto: il cibo per tutti. Malgrado l'ambizione, i gruppi di lavoro non hanno individuato un panel da dedicare al consumo del suolo indebolendo così la struttura dell'intero impianto;
    il 31 marzo 2015, in sede di presentazione del SOER 2015, dossier di valutazione integrata dell'ambiente in Europa, Hans Bruyninckx, direttore esecutivo dell'Agenzia europea dell'ambiente, ha sottolineato come manchi tuttora un obiettivo europeo comune sulla tutela del suolo, per il quale si prevede un trend di deterioramento anche per i prossimi 20 anni;
    l'uso sempre più frequente di fitosanitari in agricoltura specialmente se usati in maniera massiccia, può comportare danni alla salute; secondo il recente rapporto di cancerogenicità redatto dalla Iarc, l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell'Organizzazione mondiale della sanità, il glifosato, principale componente di molti erbicidi, è stato classificato come «probabilmente cancerogeno» assieme ai due insetticidi malatione e diazinone; mentre per gli insetticidi parathion e tetrachlorvinphos (Tcvp), già proibiti o di utilizzo ristretto in molti Paesi, la classificazione è stata quella di «possibili» agenti cancerogeni;
    tra i fitosanitari figurano anche i pesticidi, attualmente in discussione in quanto barriere non tariffarie al commercio, oggetto di accordi come il TTIP; nell'ottica di favorire il commercio, le grandi aziende di ogni settore, incluso quello agroalimentare, puntano in accordo con la Commissione europea e il Governo degli Usa a togliere ogni barriera normativa in merito ai pesticidi non autorizzati e ai loro limiti massimi residui, seguendo la logica del minimo comun denominatore;
    uno studio dell'università di Harvard ha recentemente verificato la possibile correlazione tra il consumo di cibi contaminati da pesticidi e i problemi di fertilità maschile. L'effetto negativo di queste sostanze sulla fertilità era stato documentato solo in soggetti esposti per motivi professionali; ora invece è stato provato anche in relazione al consumo di pesticidi direttamente ingeriti attraverso l'alimentazione;
    il consumo di alimenti di origine animale, legato al modello culturale ed economico dei Paesi industrializzati, è in continua crescita, con implicazioni sulla salute, sulla spesa sanitaria, sull'ambiente e sulla sicurezza alimentare, considerato che, secondo i dati Fao, nel 2050 la popolazione arriverà oltre i 9 miliardi di persone, con il conseguente problema di raddoppiare la produzione globale di cibo, mentre le risorse sostenibili sono limitate;
    dagli anni Sessanta, infatti, l'Italia ha visto quasi triplicare i propri consumi di carne, da 31 a 87 chili nel 2011, contrariamente alle raccomandazioni delle linee guida internazionali sulla salute e alle indicazioni dell'equilibrata dieta mediterranea. Secondo l'edizione 2010 delle Dietary Guidelines for Americans, una dieta di 3400 calorie giornaliere ammette, all'anno, per non essere dannosa, un consumo massimo complessivo di carne e uova pari a 50,12 chili e di 16,2 per il pesce. I dati Fao, invece, indicano che l'Italia ha un consumo medio, rispettivamente, di 103 e di 24,6 chili annui;
    la produzione di alimenti di origine animale, dovuta alla crescente richiesta dei consumi, ha un forte impatto ambientale. È la principale causa del consumo di risorse indispensabili come l'acqua e il fosforo, sta portando al consumo e al degrado del suolo – per produrre mangimi e per la deforestazione destinata al pascolo – con conseguente minaccia alla biodiversità e alla fertilità e contribuisce, in maniera importante, all'inquinamento dell'acqua e dell'aria;
    gli allevamenti, infatti, producono il 14,5 per cento delle emissioni globali di gas serra, con un'incidenza significativa sul cambiamento climatico. Per questo, secondo l’Intergovernmental panel on climate change Ipcc – solo diminuendo il consumo di cibo di origine animale a una media di 90 grammi al giorno, come raccomandato dalle linee guida mediche inglesi, si potrebbe raggiungere, dal 2030, una riduzione di 2,15 miliardi di tonnellate di anidride carbonica l'anno,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative, anche in sede di definizione dei contenuti della Carta di Milano, per:
    a) promuovere il contenimento del consumo del suolo e il riuso del suolo edificato al fine di ottenere il reale «consumo di suolo zero»;
    b) promuovere ogni possibile metodo alternativo all'utilizzo dei fitosanitari di sintesi, ivi inclusi quelli per il comune diserbo, anche costruendo una rete di coordinamento a livello mondiale;
    c) promuovere, in occasione di negoziati internazionali volti alla conclusione di accordi commerciali internazionali, il rispetto di elevati parametri di sicurezza umana e ambientale;
    d) promuovere la riduzione del consumo di alimenti di origine animale, come azione imprescindibile per migliorare la salute dei cittadini e l'impatto ambientale, che sta portando alla perdita irreversibile di risorse naturali critiche e all'aumento delle emissioni inquinanti, indirizzando la società verso scelte alimentari consapevoli e responsabili, che possano garantire la salvaguardia dell'ambiente e un sistema più equo della distribuzione delle risorse per la futura sicurezza alimentare;
    e) sostenere un cambiamento virtuoso dello stile di vita dei cittadini verso modelli culturali, economici e sociali più salubri e sostenibili, attraverso la promozione di attività di informazione e sensibilizzazione e mediante iniziative per l'introduzione, nei luoghi di ristorazione pubblici o convenzionati, di un'adeguata alternativa di menù privi di alimenti di origine animale;
   ad intraprendere ogni utile azione, specialmente in occasione di Expo 2015, volta a promuovere un'alimentazione sana e un'agricoltura biologica e priva di organismi geneticamente modificati;
   a riservare, nell'ambito dell'esposizione, distinti padiglioni all'agricoltura biologica e di qualità e alla promozione di colture «ogm free»;
   a promuovere, nell'ambito dell'esposizione, l'agricoltura familiare, anche garantendo alle aziende che hanno tali caratteristiche la possibilità di usufruire gratuitamente di stand, i cui costi andrebbero a carico delle multinazionali presenti;
   a promuovere in sede di Unione europea la ripresa dei lavori concernenti la direttiva in materia di protezione del suolo tramite tutti gli strumenti possibili, anche considerando quelli previsti dall'articolo 20, paragrafo 2, del Trattato sull'Unione europea, e dagli articoli 326-334 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
(1-00778)
«Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Lupo, Parentela, Busto, De Rosa, Mannino, Terzoni».
(8 aprile 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    attraverso Expo 2015, Milano sta riprogettando la propria identità di città dinamica, pronta ad affrontare le sfide del futuro, ma anche a valorizzare la propria tradizione agricola, il che significa la terra, gli spazi verdi come il Parco Sud, le cascine, i fiumi e i canali, per mettersi a disposizione del sistema Italia e per aiutare i Paesi in via di sviluppo;
    ogni idea, ogni proposta legate ad Expo, fin dalla candidatura di Milano, sono state considerate strumento indispensabile per il successo dell'evento, a condizione di essere il frutto di un contributo corale, anzitutto dei cittadini, e poi naturalmente delle istituzioni: Governo, regione Lombardia, comune di Milano, ma anche regioni e comuni di tutta Italia e inoltre, Confindustria, camera di commercio, sindacati e, soprattutto, università e centri di ricerca;
    il vero simbolo di Expo Milano 2015, per come l'Esposizione è stata concepita dagli ideatori, non è un monumento o comunque una realizzazione che rappresenti la grandezza di Milano e dell'Italia, ma una visione di futuro che identifichi Expo come progetto in divenire per un mondo nuovo dove il cibo sia sufficiente e sicuro per tutti e dove la salute, insieme al cibo, sia un diritto inalienabile di ogni persona, soprattutto dei bambini e degli anziani;
    il tema del diritto al cibo viene fatto proprio anche dalla Chiesa ed è stato oggetto nei giorni scorsi anche di una lettera dal titolo «Cibo che nutre. Per una vita sana e santa», scritta in vista di Expo 2015 dal ministro generale dei frati minori conventuali, fra’ Marco Tasca, agli oltre 4.000 frati dell'ordine in 63 Paesi dei cinque continenti, dove si sostiene, tra l'altro, che «Parlare del cibo» significa «parlare dei grandi problemi che attanagliano e preoccupano l'umanità e spinge il nostro sguardo verso orizzonti più vasti e spesso trascurati. Quello dello spreco di cibo è uno degli scandali più drammatici del nostro tempo. Quello di non sprecare dovrebbe essere per noi francescani una sorta di comandamento, perché ogni spreco di cibo (acqua, energia, suolo) è spreco della creazione e rende la terra più povera e inospitale per le generazioni future»;
    Expo Milano 2015 è stato concepito e progettato con un'attenzione particolare all'eredità culturale, infrastrutturale, economica ed umana che sarà in grado di lasciare alle generazioni future. Tra queste priorità spicca una maggiore sensibilità collettiva alle tematiche inerenti al diritto ad un'alimentazione sana, sicura, sufficiente ed equilibrata, all'accesso all'acqua per tutti gli esseri umani del pianeta e alle relative best practice necessarie a consentire la costruzione di un contesto internazionale favorevole all'efficace risoluzione dei problemi inerenti all'alimentazione e al benessere;
    l'impatto sulle potenzialità turistiche di Milano, della Lombardia e del Paese sarà elevato sia nel breve periodo (ricettività dei visitatori), sia nel medio-lungo periodo, proprio grazie alla valorizzazione del patrimonio enogastronomico italiano, oltre che turistico per la visibilità e la promozione dei monumenti e dei paesaggi naturali;
    Milano e l'Italia rappresenteranno, in virtù di Expo, e in una sorta di continuità ideale con il tema prescelto, un polo di eccellenza per la food safety, la food security, nonché per le best practice della filiera agroalimentare;
    Expo può costituire realmente un'occasione preziosa per affrontare il vasto tema della nutrizione del pianeta e dei rapporti con i Paesi in via di sviluppo, rappresentando un momento di incontro tra Paesi, culture, addetti ai lavori dei sistemi agroalimentari, tecnici e scienziati di tutto il mondo;
    in occasione dell'Esposizione universale Expo Milano 2015 verrà siglato un patto sul cibo tra nazioni e cittadini, incentrato sulla prevenzione e sullo spreco di cibo e, in particolar modo, sull'educazione alimentare, con cui fronteggiare, da un lato, lo spreco e, dall'altro, impedire che diete non salutari distorcano le reali esigenze nutrizionali dell'organismo umano;
    tra gli obiettivi di Expo 2015 c’è, infatti, quello di mettere a punto la Carta di Milano che dovrà contenere i nuovi diritti e doveri dell'umanità sul cibo, affinché gli Stati ed i cittadini possano assumersi le proprie responsabilità per garantire il diritto ad un cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti;
    la Carta di Milano può essere uno strumento in grado di offrire un'opportunità di riflessione sui temi dell'alimentazione e del cibo. Alla Carta di Milano hanno lavorato eminenti personalità del mondo della ricerca e dell'alimentazione e l'obiettivo deve essere quello di tradurre in concretezza il loro impegno, a livello del nostro Paese, ma anche nel quadro internazionale. Tutte le iniziative «di principio» hanno un significato indiscusso se vanno nella direzione auspicata del «patto per il cibo»: valorizzazione delle peculiarità dei territori, equa distribuzione delle risorse, risparmio per evitare lo spreco;
    anche l'industria agricola e agroalimentare, assieme ad una legittima propensione ad aumentare i consumi, deve basare la sua attività su un utilizzo razionale delle risorse. A questo scopo, i Paesi che aderiscono alla Carta di Milano devono impegnarsi alla definizione di un «protocollo» locale con le associazioni delle categorie interessate;
    Expo 2015 potrebbe, inoltre, essere un'importante occasione per sensibilizzare l'intero pianeta sull'impiego abominevole che alcune realtà locali fanno dei bambini nei Paesi caratterizzati da conflitti, approfittando spesso dello stato di indigenza nel quale vivono,

impegna il Governo:

   a promuovere il made in Italy, sia attraverso un modello innovativo di rete territoriale (dato che Expo è già oggi un metodo di lavoro fondato su progetti che mettono in dialogo le eccellenze italiane con i protagonisti della vita economica, sociale, culturale delle aree del mondo coinvolte), sia con un impegno forte e concreto, soprattutto in ambito europeo, per proteggere e valorizzare il made in attraverso norme chiare e adeguate, assumendo ogni iniziativa utile in tal senso anche in sede di definizione dei contenuti della Carta di Milano;
   a promuovere il modello Expo 2015 nella solidarietà e nella cooperazione internazionale, valorizzando i progetti di sviluppo avviati in tutti i continenti, con decine di accordi stretti con le maggiori organizzazioni internazionali, come Fao, ONU, Millennium campaign, World food programme;
   a promuovere, anche nell'ambito degli impegni che saranno previsti dalla Carta di Milano, migliori stili di vita con riferimento ai problemi dei Paesi sviluppati;
   ad adoperarsi, nell'ambito dei lavori concernenti l'elaborazione della Carta di Milano, affinché prosegua l'impegno nato con Expo Milano 2015 per il trasferimento tecnologico e di conoscenza ai Paesi in via di sviluppo con riferimento alle più recenti innovazioni, per garantire, a costi contenuti, un approvvigionamento più sicuro di cibo e acqua per la popolazione;
   a promuovere l'educazione alimentare, sollecitando educatori, famiglie e istituzioni a ricercare e mettere in pratica metodi didattici innovativi, e, soprattutto, a valorizzare le istituzioni scolastiche, quale luogo di formazione di base accessibile a tutti che promuova l'inserimento nell'offerta formativa di percorsi educativi sulla nutrizione, sulla sicurezza alimentare e sull'utilizzo delle risorse alimentari del pianeta, facendo sì che l'educazione sia la strada maestra per lo sviluppo e tenendo conto che le modalità concrete con le quali realizzare progetti educativi ai diversi livelli, anche dopo Expo, necessitano certamente di significative risorse umane e finanziarie, ma costituiscono un investimento fondamentale perché Expo 2015 lasci un'eredità tangibile non solo a Milano ma anche a tutto il mondo;
   a valorizzare Milano anche dopo Expo, con particolare riguardo al contributo della città al sistema agroalimentare italiano e a tutte le sue manifestazioni ed eccellenze, per garantire continuità al progetto e al tema di Expo e far emergere a livello internazionale una città aperta al mondo e nel mondo, in grado di vincere le sfide del futuro;
   a coinvolgere sempre più in tutti i progetti futuri le realtà produttive agricole, alimentari, distributive dell'intero territorio di una regione, la Lombardia, che è la prima in Italia e una delle maggiori in Europa come peso economico assoluto del sistema agroalimentare, che esprime livelli di produttività tra i più elevati in ambito internazionale, che è una delle culle della moderna industria alimentare e della moderna distribuzione, che rappresenta un esempio di complessa e corretta gestione delle acque per gli usi agricoli, civili ed industriali, che possiede un «capitale umano», università, centri di ricerca e imprese in grado di effettuare un efficace e corretto trasferimento tecnologico;
   in vista degli obiettivi della Carta di Milano, a promuovere una collaborazione con il mondo della ricerca, dell'industria agricola e agroalimentare per creare una precisa sensibilità sui temi del risparmio e dell'utilizzo razionale delle risorse alimentari, al fine di favorire non solo i cibi sani dei territori, ma anche la più accurata definizione dei format di vendita e l'utilizzo dei prodotti invenduti;
   a sostenere un impegno preciso all'interno delle Nazioni Unite e di tutte le organizzazioni internazionali affinché anche la Carta di Milano e i sei mesi di Expo diventino un'occasione planetaria per condannare lo sfruttamento che alcune realtà locali fanno dei minori in stato di indigenza.
(1-00779) «Gelmini, Palese, Occhiuto».
(8 aprile 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    l'Expo 2015 è un evento di eccezionale importanza in quanto mette in risalto l'alimentazione e il suo valore nonché una straordinaria occasione per il rilancio economico e turistico del nostro Paese. Il tema è «Nutrire il Pianeta, energia per la vita» interamente dedicato alle questioni relative alla qualità e alla sicurezza alimentare e alla distribuzione ottimale del cibo;
    questa Esposizione universale ha come obiettivo primario quello di stimolare il dibattito sull'alimentazione e sul cibo, una vera e propria sfida che coinvolge tutti i soggetti partecipanti, inclusi i visitatori che si interrogheranno sulle conseguenze delle proprie azioni per le prossime generazioni. Mette al centro la necessità di porre un freno allo spreco di cibo ed un uso più consapevole dello stesso, a partire dalle scuole, laddove si deve sviluppare il senso più profondo del valore legato alla nutrizione attraverso campagne di educazione;
    l'Expo 2015 dovrà essere un'utile occasione sia per il pubblico, perché li porterà a scoprire le diverse identità regionali esistenti svelando affinità e differenze, che per le aziende agricole per le quali l'esposizione sarà un'occasione unica di visibilità e darà la possibilità di far conoscere i loro prodotti di qualità;
    l'obiettivo principale di Expo 2015 è quello di mettere a punto una «Carta di Milano» che contenga i nuovi diritti e doveri dell'umanità sul cibo. Un documento condiviso da consegnare al Segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ad ottobre 2015, alla fine dell'Esposizione. Il 7 febbraio 2015 a Milano si è tenuto un primo incontro di preparazione e la prima versione della Carta sugli impegni assunti sarà presentata il 28 aprile 2015;
    la Carta di Milano nasce sulla base del Protocollo di Milano, messo a punto dalla Fondazione Barilla Center for Food and Nutrition (Barilla CFN) con l'obiettivo di abbattere lo spreco alimentare nel mondo del 50 per cento entro il 2020. La Carta quale «eredità» di Expo 2015 sarà il documento sui cui i Paesi nelle loro diverse espressioni si impegneranno a promuovere la sostenibilità alimentare nel mondo;
    ma Expo 2015 deve essere soprattutto un evento in grado di rilanciare l'economia agricola italiana e promuovere l'immagine del made in Italy agroalimentare sui mercati internazionali;
    agli agricoltori che oggi soffrono della crisi, vessati da imposizioni fiscali pesantissime, come l'Imu sui terreni agricoli – imposizione modificata per coprire parte del bonus di 80 euro, riducendo l'esenzione previgente per un valore di circa 260 milioni di euro – e che fanno i conti con il latte a 35 centesimi al litro, con la vendita sottocosto dei suinetti, con listini del mais a 15 euro al quintale che li porta a non riuscire a pagare il gasolio per innaffiare – anche per l'aumento, operato dalla legge di stabilità 2015, dell'aliquota di riduzione dei consumi medi standardizzati di gasolio da ammettere all'impiego agevolato per uso agricolo – non si può rispondere solo con le attuali finalità della Carta di Milano, ovvero con un documento che ribadisce un concetto sacrosanto quanto ovvio cioè il valore universale dell'accesso al cibo; è necessario inserire in essa precisi impegni a tutela di quei prodotti che garantiscono qualità e sicurezza alimentare altrimenti questa, così come strutturata, rischia di risultare una risposta anacronistica e priva di significato;
    ogni anno nel mondo si sprecano 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, una quantità capace di poter sfamare quasi un miliardo di persone che oggi soffrono la fame o sono malnutrite. Nell'ambito dello spreco alimentare va citato il fenomeno delle «eccedenze» ovvero di quei prodotti alimentari che non sono acquistati o consumati – esclusi gli scarti della lavorazione – che non vengono poi recuperati per il consumo umano in un'ottica sociale o ambientale; ad oggi solo una piccola parte dell'eccedenza viene destinata mediante la donazione a food bank o enti caritativi. Nella filiera agroalimentare la quantità delle eccedenze in Italia è pari a circa 6 milioni di tonnellate l'anno e rappresenta il 17,4 per cento dei consumi. Le cause sono differenti a seconda del soggetto della filiera; ad esempio, per le aziende di trasformazione la causa è da ricercarsi nel raggiungimento della data di scadenza interna degli alimenti;
    in un periodo in cui la crisi economica spinge molte famiglie a tagliare anche la spesa alimentare e in cui l'aumento a 9 miliardi della popolazione mondiale, previsto per il 2050, porterà ad aumentare del 70 per cento la produzione agricola, nel mondo vengono comunque gettati nella spazzatura più di un terzo degli alimenti;
    molti dei prodotti alimentari destinati alle mense scolastiche non sono ottenuti da materie prime originarie dei territori in cui sono consumati, né sono riferibili alle tradizioni alimentari dei territori medesimi. È necessario assicurare una dieta equilibrata e corretta che educhi i bambini a mangiare secondo la stagionalità e la territorialità dei prodotti e sostenere le filiere locali tenendo sempre presente però le necessità di salute, di religione o esigenze particolari;
    il consumo di prodotti alimentari di qualità (dop-denominazione di origina protetta e igp-indicazione geografica protetta, attestazioni di specificità e prodotti biologici) e, più, in genere, di prodotti tipici e di territorio è riconosciuto come funzionale al mantenimento di un buon stato di salute ed è, pertanto, particolarmente indicato per i bambini, ai fini, di una corretta educazione alimentare. Il nostro Paese in Europa è quello con più prodotti a denominazione di origine protetta, a indicazione geografica protetta e di specialità tradizionale garantita (stg) con 268 prodotti iscritti nel registro dell'Unione europea che rappresentano circa un quarto delle denominazioni riconosciute a livello comunitario;
    il consumo di prodotti tipici e di qualità concorre altresì al mantenimento di forme di agricoltura ancorate al territorio e, quindi, anche alla tutela e allo sviluppo dei valori economici, sociali e culturali che sono propri dei territori di cui gli stessi prodotti sono espressione;
    così si rilancerebbe la filiera corta di produzione creando una relazione diretta tra il produttore e il consumatore che significa prima di tutto prodotti sempre freschi, genuini e di maggiore qualità, con dei costi molto contenuti e con un'attenzione anche all'ambiente. Essendo prodotti provenienti dal territorio le merci compiono meno passaggi, non devono essere imballate più volte; inoltre, vengono ridotte al minimo le emissioni di anidride carbonica derivate dal trasporto e si incentiverebbe anche la conoscenza dei prodotti tipici locali all'interno delle scuole, prodotti apprezzati e invidiati in tutto il mondo;
    Expo 2015 sarà un'occasione per mettere al centro dell'attenzione internazionale il grande tema dell'agricoltura e dell'alimentazione e della tutela del cibo dalle sofisticazioni. Le frodi e le contraffazioni nel settore agricolo e agroalimentare rappresentano un fenomeno preoccupante e, nonostante l'intensificarsi dei controlli, continuano a svilupparsi in maniera crescente e fanno perdere risorse al nostro Paese, risorse che creano indispensabili rapporti commerciali che sono fondamentali per l'economia del territorio;
    la contraffazione alimentare in Italia vale un miliardo di euro che sale a 60 se si considera il fenomeno dell’italian sounding nel mondo. La frode alimentare è un crimine particolarmente odioso perché si fonda soprattutto sull'inganno nei confronti di quanti, per la ridotta capacità di spesa, sono stati costretti a tagliare la spesa alimentare e ad optare per alimenti economici con prezzi troppo bassi per essere prodotti autentici, con conseguenze economiche e sanitarie di rilievo per i consumatori e per i produttori;
    la contraffazione e la falsificazione dei prodotti alimentari italian sounding a livello internazionale costa all'Italia 300mila posti di lavoro che si potrebbero creare nel Paese con un'azione di contrasto a livello nazionale ed internazionale. All'estero il vero nemico sono le imitazioni low cost dei cibi nazionali che non hanno alcun legame con il sistema produttivo del Paese. Due prodotti alimentari di tipo italiano su tre in vendita sul mercato internazionale sono il risultato dell'agropirateria internazionale;
    in sede di Unione europea il quadro normativo sul riconoscimento delle denominazioni e per la loro tutela è stato istituito, e aggiornato, da molti anni quindi i prodotti a denominazione di origine protetta e a indicazione geografica protetta sono riconosciuti e tutelati, mentre in ambito internazionale si rilevano l'assenza di regole multilaterali per una loro tutela globale contro l'agropirateria e la mancanza di una disciplina uniforme nel sistema commerciale;
    la trattativa sull'accordo di libero scambio tra Unione Europea e Stati Uniti, Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) è un appuntamento determinante anche per tutelare le produzioni agro-alimentari italiane dalla contraffazione alimentare e dal cosiddetto fenomeno dell’italian sounding molto diffuso sul mercato statunitense;
    la direttiva (UE) 2015/412 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 marzo 2015 lascia la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati sul proprio territorio. Quindi Paesi come il nostro, che hanno scelto di vietare gli organismi geneticamente modificati, possono continuare a farlo e lo chiedono anche quasi 8 cittadini su 10 (76 per cento) che si oppongono al biotech nei campi;
    il modello della coltivazione di organismi geneticamente modificati è del tutto contrario e controproducente per gli interessi del settore agroalimentare del nostro Paese, che si basa sulla tipicità e sulla qualità. Per l'Italia, gli organismi geneticamente modificati in agricoltura non pongono solo seri problemi di sicurezza ambientale, ma soprattutto perseguono un modello di sviluppo che è il grande alleato dell'omologazione e il grande nemico del made in Italy;
    il regolamento (UE) n. 1169/2011 – entrato in vigore il 13 dicembre 2014 – in tema di etichetta prevede che non sia più obbligatoria l'indicazione in etichetta dello stabilimento di produzione e confezionamento dei prodotti alimentari. La non obbligatorietà dell'indicazione dello stabilimento di produzione comporta un grave danno al made in Italy in quanto si rischia di lasciare la libertà al produttore di produrre in qualunque sede europea o extra europea danneggiando ulteriormente le migliori produzioni nazionali;
    l'agricoltura ha un ruolo fondamentale nella tutela dell'ambiente e nello sviluppo sostenibile del territorio. L'azienda agricola deve non solo offrire al consumatore la qualità e la sicurezza dei prodotti agroalimentari ma anche conservare il più possibile il livello qualitativo e quantitativo delle risorse naturali;
    Expo 2015 sarà un evento dove l'agricoltura, il cibo e l'alimentazione giocheranno un ruolo da protagonista. Con Expo si avrà la possibilità di incidere sulle politiche dell'agroalimentare e del territorio con una modalità mai vista prima e per il nostro Paese sarà un'occasione unica per affrontare i problemi legati alla filiera agricola e mettere in risalto le qualità e il valore delle produzioni enogastronomiche del territorio italiano;
    o si entra realmente nel merito dei problemi o si rischia di farsi sfuggire un'occasione importante come Expo 2015 senza riuscire a valorizzare davvero la qualità dei prodotti italiani. Non basta un impegno formale come la Carta di Milano ma devono mettersi in campo riforme strutturali di aiuto all'agricoltura,

impegna il Governo:

   ad approfittare di Expo 2015 affinché i consumatori siano sensibilizzati ed educati, per l'approvvigionamento dei generi alimentari, ad acquistare prodotti provenienti dal territorio dalla provincia, dalla regione e dall'Italia, da reperire, principalmente, attraverso modalità finalizzate a favorire l'avvicinamento tra la fase produttiva agricola e quella di consumo;
   a prevedere condizioni adeguate, data l'importanza che riveste Expo 2015, affinché i produttori italiani di filiera corta siano in grado di presentarsi nel modo migliore al pubblico internazionale e dare, quindi, l'occasione alle qualità italiane di arrivare sui mercati esteri;
   a far sì che la Carta di Milano non sia solo un documento pomposo e vuoto e, quindi, che non abbia come unico intendimento quello di educare le generazioni future ad una corretta cultura alimentare e di prevenire lo spreco di cibo ed offrire suggerimenti su come ridurlo, ma che contenga anche proposte concrete ai problemi dell'agricoltura, in quanto essa svolge una funzione fondamentale di tutela dell'ambiente e di sviluppo sostenibile del territorio;
   a mettere in evidenza nella Carta di Milano l'ingente danno causato all'economia italiana dai falsi prodotti, nonché le scelte che possano valorizzare davvero il made in Italy affinché Expo sia un'importante occasione per indicare impegni precisi da parte dei Paesi partecipanti atti a contrastare il dilagante fenomeno della contraffazione e delle sofisticazioni in campo agroalimentare;
   a prevedere iniziative per favorire lo sviluppo di accordi bilaterali tra Unione europea e altri Paesi partner per il mutuo riconoscimento delle norme sulle indicazioni di origine e sfruttare in ambito WTO la tutela delle indicazioni di origine contro ogni forma di usurpazione e imitazione, contrastando il cosiddetto italian sounding;
   a promuovere, in sede europea, norme che estendano, di fatto, a tutti i Paesi extra Unione europea le tutele del mercato interno comunitario affinché ai prodotti a denominazione di origine protetta e a indicazione geografica protetta, in particolare italiani, venga garantita la protezione che meritano al fine di proteggerli anche in ambito internazionale;
   ad intervenire nelle opportune sedi europee affinché le denominazioni di origine protetta e a indicazione geografica protetta, in particolare dei prodotti italiani di eccellenza, continuino ad essere una priorità della Commissione europea non solo nell'ambito del TTIP tra Usa e Unione europea;
   a considerare la possibilità di reintrodurre il vincolo per le aziende produttrici di scrivere sulle etichette lo stabilimento di produzione e di confezionamento dei prodotti alimentari allo scopo non solo di tutelare la salute e la sicurezza alimentare dei consumatori ma anche di permettere loro di scegliere un alimento rispetto a un altro, anche in base al Paese o alla regione dove questo è prodotto, per la tutela anche del made in Italy;
   ad assumere iniziative per prevedere il divieto dell'uso di organismi geneticamente modificati nelle produzioni agroalimentari e forestali in campo aperto, poiché il valore aggiunto delle produzioni italiane è dato dalla loro specificità ed una contaminazione di organismi geneticamente modificati porterebbe alla distruzione del sistema agroalimentare italiano così come lo si conosce oggi, con le sue eccellenze, le sue varietà e le sue tipicità.
(1-00780)
«Guidesi, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».
(8 aprile 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    Expo è un evento di eccezionale importanza ed una straordinaria occasione per il rilancio economico e turistico del nostro Paese. Il tema scelto per l'Expo 2015 è «Nutrire il pianeta, energia per la vita» e riguarda, tra l'altro, le risorse alimentari del pianeta e la loro distribuzione ottimale;
    l'Esposizione universale, quindi, ha come obiettivo primario quello di stimolare una riflessione ed un dibattito sull'alimentazione e sul cibo;
    in questo contesto sono numerosi e fondamentali gli argomenti che verranno dibattuti al fine di ricercare ed identificare le basi essenziali per un nuovo approccio mondiale al tema proposto dall'Expo;
    tra le questioni più importanti che verranno dibattute vanno poste in evidenza: la necessità di preservare e conservare i terreni di coltivazione, assicurando anche spazi spesso oggetto di accaparramento; la limitazione ed il superamento dell'uso di pesticidi e di fertilizzanti pericolosi per la salute dell'uomo; la difesa e la protezione del bene supremo essenziale per la vita umana: l'acqua; il sostegno e l'aiuto concreto a quanti intendono dedicarsi alle attività agricole nel momento in cui si avverte forte l'orientamento del ritorno alla terra che molti giovani, per scelta o per necessità, manifestano; la difesa delle biodiversità anche attraverso il ricorso a specifici studi e ricerche scientifiche; il sostegno forte e determinato alla ricerca nel campo del consumo del suolo, delle biotecnologie, della pesca sostenibile ed altro; l'impegno a tutto campo per combattere le frodi alimentari e le contraffazioni, l'agromafia, a difesa del bene supremo costituito dalla sicurezza alimentare;
    in questo quadro si iscrive un originale, significativo progetto dell'Expo, il «We-women for Expo», che propone la forza, la capacità, l'intelligenza, la volontà delle donne come elemento base e fulcro essenziale nel rapporto cibo-cultura e per la sostenibilità del pianeta;
    in occasione dell'Expo 2015, ci sarà un confronto tra ricercatori, docenti e istituzioni su alcuni punti cruciali della sfida alimentare globale: un dibattito che perverrà alla redazione della Carta di Milano, un documento dedicato alla grande questione alimentare globale che sarà consegnata al Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon il 16 ottobre 2015;
    sarà la prima volta nella storia delle Esposizioni universali che, ad evento concluso, un Expo lascerà in eredità un manifesto di impegni e priorità frutto di un percorso condiviso e partecipato. Infatti, da circa due anni un gruppo di docenti e ricercatori coordinati da Laboratorio Expo sta lavorando alla stesura di un documento;
    una prima versione ufficiale della Carta sarà presentata il 28 aprile 2015 in occasione del terzo colloquio internazionale di Laboratorio Expo; l'ambizione della Carta di Milano è, in effetti, quella di chiedere espressamente un'assunzione di responsabilità da parte di tutti nella battaglia per il diritto al cibo e contro le diseguaglianze alimentari;
    la Carta si propone l'obiettivo di unire cittadini ed istituzioni per trovare soluzioni concrete contro i paradossi dell'alimentazione. Promosso nel 2013, il protocollo di Milano si è avvalso del parere di 500 esperti internazionali, ha raccolto l'adesione di quasi 100 istituzioni e organizzazioni pubbliche e private ed ha l'obiettivo di trovare soluzioni concrete per:
     a) combattere lo spreco alimentare dal campo alla tavola;
     b) lottare contro la fame e l'obesità, promuovendo stili di vita sani a partire dalla giovane età;
     c) incoraggiare un'agricoltura più sostenibile;
    come evidenziato dal protocollo, il sistema alimentare mondiale è segnato da forti contraddizioni: a fronte di quasi un miliardo di soggetti privi di una qualsiasi fonte di alimentazione, circa un miliardo e mezzo di esseri umani dispone di un'eccessiva quantità di cibo responsabile, peraltro, dell'aumento del rischio di malattie. Infine, ogni anno, viene disperso un terzo della produzione alimentare globale, una quantità che sarebbe sufficiente a nutrire quasi un miliardo di persone che non dispongono di fonti alimentari o sono malnutrite;
    su quest'ultimo punto insiste la necessità di sostenere un principio essenziale: l'eliminazione degli sprechi ed il sostegno al consumo responsabile, incrementando e favorendo, in tale contesto, l'impegno meritorio delle associazioni che operano basandosi sul concetto di dono e condivisione, ormai diffuse e solidamente insediate in Europa e negli Stati Uniti; in particolare, nel nostro Paese, opera alacremente e costituisce un esempio significativo il Banco alimentare, che si occupa anche della raccolta delle eccedenze agroalimentari, effettuando la redistribuzione di tali beni ad enti, associazioni, centri – sovente collegati e creati da istituzioni – e favorendo specifiche iniziative di sensibilizzazione;
    nel protocollo di Milano sono elencate misure concrete per abbattere del 50 per cento entro il 2020 lo spreco alimentare nel mondo, lottare contro la fame e l'obesità, promuovere stili di vita sani a partire dalla giovane età, incoraggiare un'agricoltura più sostenibile, opponendosi alla speculazione finanziaria sulle materie prime alimentari;
    questo protocollo sull'alimentazione sarà, come detto, il primo passo verso quell'importante documento che nascerà dall'evento Expo, ovvero la Carta di Milano;
    la Carta di Milano, pertanto, costituirà una proposta di accordo mondiale per garantire cibo sano, sicuro, sufficiente per tutti e, al contempo, dovrà delineare l'agenda per uno sviluppo equo e sostenibile. Non costituirà, quindi, soltanto una generica dichiarazione di intenti, ma una reale assunzione di responsabilità e di impegni altrettanto concreti rivolti a cittadini, istituzioni, associazioni ed imprese;
    la Carta conterrà gli obiettivi che le Nazioni Unite dovranno perseguire come impegni prioritari: promuovendo, pertanto, la Carta di Milano, il Governo italiano vuole garantire azioni mirate dirette a combattere lo spreco di cibo, favorire l'agricoltura sostenibile e contrastare fame e obesità;
    la Carta affronterà anche alcune priorità, come quelle relative all'innovazione dei processi produttivi, agricoli e alimentari per renderli sempre più sostenibili, quelle relative alle grandi contraddizioni del nostro tempo ovvero il paradosso fame/obesità e quelle concernenti la lotta allo spreco alimentare: in un quadro, peraltro, di evidenti criticità e comprensibili dubbi che non riguardano tanto lo spirito dell'iniziativa, quanto, piuttosto, la possibilità stessa di pervenire a risultati concreti;
    il problema dello «spreco alimentare» riguarda, infatti, una fetta importante dell'intero pianeta. In Italia, ad esempio, esso ammonta, annualmente, a 6,5 milioni di tonnellate, pari a 108 chilogrammi pro capite: una cifra inferiore rispetto alla media europea, ma pur sempre rilevante. Lo spreco alimentare rappresenta lo 0,23 per cento del prodotto interno lordo italiano, per un valore complessivo di 3,5 milioni di euro e con un costo medio per ogni famiglia di 1.693 euro l'anno;
    la Carta avrà tre sezioni: la prima parte sarà un manifesto riassuntivo dei principi e degli obiettivi; la parte centrale sarà dedicata ai diritti ed agli impegni di tutti i soggetti coinvolti; l'ultima parte raccoglierà tutti i documenti elaborati sui temi della sostenibilità e dell'alimentazione;
    occorre, inoltre, sottolineare come oggi, stante la grave crisi economico-sociale che ha colpito il nostro Paese, molti giovani intraprendano le professioni agricole: fenomeno quest'ultimo che porta nuove competenze al mondo agricolo e che, pertanto, va seguito con attenzione per garantire un futuro ai giovani e per sviluppare un'agricoltura di qualità;
    in questo quadro sarebbe importante prevedere, anche attraverso un eventuale impegno straordinario, la possibilità di escludere dal regime previsto dalla normativa in materia di imu i terreni utilizzati per colture agricole;
    va, inoltre, considerato come il fenomeno dell'agrimafia, che va combattuto e contrastato con tutti i mezzi, risulti in evidente espansione (si pensa, infatti, che fatturi circa 14 miliardi di euro) ed offra alla criminalità organizzata la possibilità di riciclare i propri proventi;
    in tale contesto appare opportuno che, nel quadro di un impegno reale di ogni Paese sul tema, venga implementata e rafforzata la lotta alla contraffazione. Un fenomeno nel quale spicca, sopra tutti, quello che viene comunemente definito italian sounding: l'utilizzo, cioè, di immagini, marchi, denominazioni che illudono i consumatori sulla provenienza italiana di un prodotto, che, al contrario, non ha nulla a che fare con il nostro Paese. Ed è evidente che il fenomeno riguardi particolarmente l'Italia, che dispone di un patrimonio agroalimentare unico al mondo sia sotto il profilo della varietà che della qualità: un fenomeno che arreca al nostro Paese un danno che si aggira sui sessanta miliardi di euro; motivo per cui, insieme alla volontà di firmare insieme un documento, deve diventare operativa e concreta la volontà dei vari Paesi di tutelare il made in Italy in un rapporto di garanzie e di reciprocità sempre più forte e consapevole;
    inoltre, dovrà essere sviluppato il dibattito con proposte dirette a ridurre il consumo d'acqua potabile negli alimenti, proprio per la scarsità d'acqua che oggi colpisce circa 1,2 miliardi di persone in ogni continente: ridurre, pertanto, il consumo d'acqua per gli alimenti diventa un elemento strategico,

impegna il Governo:

   a contribuire, sul piano tecnico e scientifico, ad individuare interventi e buone pratiche da tradurre in politiche pubbliche, al fine di realizzare sistemi alimentari sostenibili, costituiti da un ambiente adeguato e dall'impegno delle persone e delle istituzioni, supportato dai processi attraverso i quali le derrate agricole vengono prodotte, trasformate e portate ai consumatori;
   a contrastare, anche in sede di definizione dei contenuti della Carta di Milano, lo spreco di prodotti alimentari nella filiera alimentare, coinvolgendo, in questo tipo di impegno, anche le scuole e mettendo in campo, attraverso dedicate campagne pubblicitarie, forti iniziative di sensibilizzazione che debbono vedere in prima linea il Governo;
   a coinvolgere i cittadini in una più consapevole attenzione ai modelli nutrizionali, adoperandosi affinché, anche alla luce degli obiettivi della Carta di Milano, possa essere sviluppata un'incisiva educazione nei confronti dei consumatori in modo che aumenti sensibilmente la coscienza individuale e collettiva in relazione al valore primario del cibo; a favorire l'orientamento a modelli nutrizionali più sani attraverso il potenziamento della ricerca scientifica e tecnologica e la predisposizione di una campagna di comunicazione e di informazione ai cittadini al fine di adottare stili di vita sani;
   a promuovere, come obiettivo principale di Expo 2015, quello di affermare il primato dell'agroalimentare e della sicurezza dei prodotti made in Italy nei confronti dell'Unione europea;
   a prevedere misure emergenziali per tutelare il settore lattiero, un'eccellenza ed un patrimonio del nostro Paese che va assolutamente difeso;
   a prevedere misure concrete ed efficaci per la tutela del settore ortofrutticolo, oggi gravemente penalizzato da problematiche interne ed internazionali, che ne limitano lo sviluppo e la diffusione e ne compromettono il futuro;
   ad assumere iniziative per introdurre, nel rispetto dei vincoli di bilancio, misure agevolative per i giovani agricoltori, che, come detto in premessa, costituiscono un punto di riferimento importante per la crescita del settore agricolo e del Paese;
   a contrastare con misure adeguate il fenomeno dell'agrimafia, un pericoloso fenomeno che si sta diffondendo sempre di più nel nostro Paese;
   ad intervenire concretamente contro il consumo del suolo quale bene comune e risorsa fondamentale, soprattutto in funzione della prevenzione e della mitigazione degli eventi di dissesto idrogeologico;
   nella piena consapevolezza che la Carta di Milano non può, da sola, risolvere le questioni più gravi ed urgenti del settore, a vigilare perché la medesima non risulti un significativo ma inutile manifesto, ma costituisca un approccio concreto e realistico alle questioni che intende affrontare.
(1-00782)
«De Girolamo, Dorina Bianchi, Vignali, Alli, Tancredi».
(8 aprile 2015)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE A GARANTIRE AGLI ENTI LOCALI ADEGUATI TRASFERIMENTI DI RISORSE, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO A QUELLI NECESSARI PER L'ESPLETAMENTO DEI SERVIZI SOCIALI ESSENZIALI, ANCHE IN RELAZIONE ALLE DISPOSIZIONI DELLA LEGGE DI STABILITÀ PER IL 2015

   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni i Governi centrali che si sono succeduti, nell'operare tagli per contenere la spesa pubblica, hanno di fatto strangolato l'economia degli enti locali;
    in un momento di difficoltà come quello che ha vissuto il nostro Paese negli ultimi anni è giusto che ognuno faccia la sua parte, nessuno escluso; inoltre, tale operazione ha provocato – in un primo momento ed entro certi limiti – un virtuoso contenimento delle spese inutili ed un taglio degli sprechi purtroppo molto presenti nella spesa pubblica del nostro Paese;
    tuttavia negli anni, e segnatamente con la legge di stabilità per il 2015 del Governo Renzi, si è giunti ad un livello di insostenibilità tale da pregiudicare seriamente le ormai già esigue spese dei bilanci comunali destinate al welfare, con particolare riferimento al sostegno delle fasce sociali più deboli;
    è chiaramente molto facile e demagogico vantarsi di ridurre la pressione fiscale tagliando i trasferimenti agli enti territoriali;
    occorre considerare che il comune è percepito da larghe fasce della popolazione come l'ente più vicino ai cittadini e il sindaco rappresenta una figura di riferimento, in quanto rappresentante dello Stato. Il sindaco è, soprattutto, l'ultimo baluardo in difesa dei diritti dei più deboli;
    i servizi sociali, infatti, da sempre assorbono la maggior parte delle risorse di cui dispongono i comuni (dopo le spese di personale e del servizio rifiuti): minori senza famiglia, anziani, disabili, emergenza casa. Sono tutte realtà alle quali i comuni cercano di dare una risposta;
    l'ammontare dei tagli significa una riduzione dei servizi che si ripercuote inevitabilmente sui più deboli; in una prima fase, infatti, gli amministratori hanno tagliato ciò che era importante, ma non fondamentale per la tenuta sociale: cultura, commercio, sport, viabilità, turismo e così via (si fa un gran parlare di cultura e turismo, ma quasi nulle sono ormai le risorse che i comuni riescono a destinare ogni anno agli assessorati competenti);
    negli ultimi 5 anni i comuni hanno visto ridursi le proprie risorse disponibili per la spesa corrente di oltre il 20 per cento: l'emergenza ora riguarda i servizi sociali ed educativi. Ormai i comuni non sono in grado neppure di garantire i servizi primari;
    un ulteriore elemento di difficoltà per i comuni è l'incertezza nella quale vengono costretti a lavorare, dal momento che ogni anno viene cambiata la fiscalità locale e le informazioni definitive sulle risorse di cui i comuni potranno disporre arrivano sempre ad anno ampiamente iniziato. Ciò rende del tutto aleatorio, se non impossibile, strutturare una programmazione seria e pluriennale e chiudere il bilancio preventivo entro la data prevista dalla legge, ovvero il 31 dicembre;
    i sindaci si sono ritrovati soli e hanno provato a protestare come potevano, per cercare di far capire ai cittadini cosa stava accadendo, così come accaduto;
    solo per fare tre piccoli esempi, il comune di Isola Rizza, 3.300 abitanti in provincia di Verona, ha deciso di chiudere per tre giorni, in segno di protesta, le porte del municipio. Il sindaco vuole fare capire come la misura sia ormai colma;
    l'Anci Sicilia ha organizzato una serie di dimostrazioni di protesta: il 29 gennaio 2015 oltre 390 comuni hanno spento le luci dalle 19 alle 19.05, mentre il 9 febbraio 2015 oltre 200 consigli comunali della regione siciliana hanno approvato – tutti nella medesima data – una risoluzione nella quale si chiedeva al Governo centrale di: costituire un tavolo permanente di concertazione tra Stato, regione siciliana e comuni dell'isola per affrontare la grave crisi finanziaria; modificare la norma che ha rivisto il regime di esenzioni dall'IMU per i terreni agricoli, con particolare riferimento all'imposta relativa al 2014; contenere i tagli a valere sul fondo di solidarietà nazionale; rendere più flessibili le regole relative al patto di stabilità, anche al fine di favorire, laddove possibile, le spese per investimenti; prevedere misure che, anche in relazione all'attuazione dell'armonizzazione contabile dei bilanci, possano far fronte al crescente fenomeno di comuni che dichiarano il dissesto finanziario; rivedere la norma che ha previsto il definanziamento dei fondi per la politica agricola comune;
    nella legge di stabilità per l'anno 2015 dei 16,6 miliardi di euro di tagli di spesa, ben il 49 per cento, ovvero 8,1 miliardi, sono a carico di comuni, province e regioni: si tratta di una quota decisamente superiore al peso che le amministrazioni locali hanno sul totale della spesa pubblica (29 per cento). Volendo fare un confronto, i tagli alle amministrazioni locali è pari al quadruplo di quanto tagliato ai ministeri (2 miliardi di euro nel 2015);
    il contributo maggiore è quello richiesto alle regioni (4 miliardi di euro), laddove 1,2 miliardi di euro è il taglio del fondo di solidarietà comunale e 1 miliardo di euro (che salirà a 2 miliardi nel 2016 e 3 miliardi dal 2017) è il contributo richiesto alle province e città metropolitane; nella valutazione occorre considerare anche i tagli decisi dal 2015 con il decreto-legge n. 66 del 2014;
    gli enti locali in questa fase debbono anche far fronte all'avvio del fondo per i crediti di dubbia esigibilità, previsto dall'armonizzazione contabile, che equivale ad un taglio di spesa 1,9 miliardi di euro annui a partire dal 2015 e rientra nel calcolo del saldo obiettivo ai fini del patto di stabilità;
    secondo quanto si legge a pagina VII della relazione della Corte dei conti sulla gestione finanziaria degli enti territoriali per l'esercizio 2013, depositata il 29 dicembre 2014, tali tagli «riducendo gravemente le possibilità di intervento e di gestione degli enti territoriali, hanno inciso profondamente sul grado di autonomia finanziaria e funzionale ad essi garantiti dal titolo V della Costituzione, rendendo necessaria l'adozione di strumenti idonei affinché i futuri interventi di contenimento della spesa assicurino mezzi di copertura finanziaria in grado di salvaguardare il corretto adempimento dei livelli essenziali delle prestazioni, nonché delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali (...) Senza un più deciso e convinto sostegno alle politiche redistributive e di intervento compensativo volte a rimuovere le cause strutturali dei divari regionali che si frappongono allo sviluppo ed all'integrazione economica delle aree più marginalizzate del Meridione, i problemi di ritardo nell'infrastrutturazione territoriale non potranno che aggravarsi e gli ostacoli ad una maggiore crescita economica saranno più difficilmente contrastabili di fronte all'emergere di fattori di crisi prodotti dall'attuale fase recessiva e dalle inevitabili tensioni che ad essi si accompagnano»;
    e ancora, alle pagine 14 e 15 di detta relazione, si legge: «Dal quadro delle misure complessivamente adottate, deve dunque ritenersi che il patto di stabilità interno abbia costituito, in questi anni, lo strumento principe non solo per realizzare le finalità di finanziamento del debito pubblico e di consolidamento dei conti pubblici, ma anche per attuare un percorso di progressivo ridimensionamento delle funzioni di spesa delle autonomie territoriali e di quelle regionali in particolare. Attraverso l'imposizione di tetti di spesa e vincoli ai saldi di bilancio, il patto di stabilità interno ha realizzato, a valere sulle finanze degli enti territoriali, economie per complessivi 33,4 miliardi di euro, parte delle quali si sono tradotte in corrispondenti tagli ai trasferimenti statali, con relative economie di spesa e benefico impatto sul saldo netto da finanziare del bilancio dello Stato. L'entità di tali misure di contenimento della finanza territoriale è rapportabile al complessivo effetto di contenimento della spesa realizzato dal 2009 a carico delle amministrazioni centrali e degli enti previdenziali messi insieme (pari a circa 35 miliardi di euro). Tuttavia, poiché la spesa primaria annua degli enti territoriali (esclusa la componente sanitaria) corrispondeva, nel 2009, a circa 112 miliardi di euro, a fronte di un'omologa spesa primaria di amministrazioni centrali ed enti previdenziali pari a circa 506 miliardi di euro, appare evidente la misura del sovradimensionamento del contributo della finanza territoriale al riequilibrio dei conti pubblici. In altri termini, lo sforzo di risanamento richiesto alle amministrazioni territoriali con i vincoli disposti dal patto di stabilità interno risulta non proporzionato all'entità delle risorse gestibili dalle stesse, il che ha prodotto un drastico ridimensionamento delle funzioni di spesa di queste ultime a vantaggio degli altri comparti amministrativi che compongono il conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche»; ciò è confermato anche dallo studio Ifel-Fondazione Anci dal titolo «La finanza comunale in sintesi» dell'ottobre 2014. Nell'introduzione a tale documento (pagine 5 e 6) si legge che «anche per effetto della persistente crisi finanziaria che attraversa il Paese ormai da qualche anno, i comuni vivono una stagione di profondo malessere. Le difficoltà assumono certamente una dimensione finanziaria, con risorse sempre più scarse disponibili in bilancio, ma sono dovute anche ad un quadro normativo incerto, confuso e in definitiva restio nel valorizzare compiutamente l'autonomia degli enti locali. Ne deriva una condizione di crescente difficoltà, sia sul piano programmatico che in fase gestionale, resa ancor più delicata dal ruolo di “gabelliere dello Stato” affidato negli ultimi anni dal Governo centrale ai comuni, di fatto obbligati ad aumentare in misura significativa le imposte locali, senza, però, essere nelle condizioni di poter offrire maggiori servizi ed investimenti alle comunità di riferimento. (...) Esclusi alcuni fattori intervenuti sul piano contabile e la componente inflazionistica, infatti, negli ultimi anni il trend della spesa corrente comunale evidenzia una crescita pressoché nulla, accompagnata da una drastica contrazione degli investimenti, soprattutto a causa dei vincoli sempre più stringenti imposti dal patto di stabilità interno»;
    tale situazione si rivela ogni giorno sempre più insostenibile per la tenuta del patto sociale che tiene insieme i cittadini italiani;
    peraltro, occorre considerare che nelle ultime settimane numerose fonti di stampa denunciano pubblicamente il rischio di commissariamento diffuso che potrebbe riguardare moltissime amministrazioni locali, dal momento che le sanzioni per chi non approverà in tempo il consuntivo 2014 prevedono la sospensione di tutti i pagamenti (fondo di solidarietà in primis) fino a quando i dati non arriveranno ai Ministeri seguendo la procedura stabilita; ciò comporterà che molte amministrazioni locali avranno serie difficoltà a rispettare la data di scadenza fissata per il 30 aprile 2015;
    anche l'Anutel, mediante lettera inviata al Ministro dell'interno, ha chiesto di spostare la data ultima di approvazione dei consuntivi 2014 al 31 maggio 2015;
    per circa 400 comuni italiani, quelli che negli anni scorsi hanno già avviato la sperimentazione della riforma della contabilità, la situazione risulta essere disperata, in quanto con il consuntivo si troveranno costretti ad effettuare il riaccertamento straordinario dei residui attivi. A questa già critica situazione si aggiunge anche la novità in arrivo da Arconet riguardante gli obblighi di accantonamento nel fondo crediti di dubbia esigibilità nel rendiconto;
    il testo unico enti locali impone la consegna del rendiconto ai revisori almeno venti giorni prima dell'avvio in consiglio della sessione di bilancio; quindi, gli enti locali, per poter sperare di rispettare il termine del 30 aprile 2015, dovrebbero avere già deliberato il bilancio in giunta;
    anche nel 2014 la scadenza ha subito una dilazione, con nuova data fissata al 30 giugno 2014, a seguito della revisione straordinaria del gettito prodotto nel 2013 dall'IMU sui fabbricati di categoria D avviata dal decreto «salva Roma ter»;
    infine, a seguito della conferma del regime 2014 della TASI e dell'IMU recata dal comma 679 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità per l'anno 2015), si rende necessario ripristinare il fondo straordinario integrativo di 625 milioni di euro già erogato per l'anno 2014, in considerazione dell'impossibilità per un'ampia fascia di comuni di ricostituire il gettito già acquisibile con il previgente regime IMU, per effetto dei più stringenti limiti all'aliquota massima della TASI introdotti originariamente per il solo 2014;
    tale integrazione riguarda circa 1.800 comuni per una popolazione di oltre 30 milioni di abitanti. La sua abrogazione porterebbe ad una crisi insanabile gli equilibri di molti di tali enti, anche considerando gli effetti della nuova contabilità e dei rilevanti ulteriori tagli disposti dalla stessa legge di stabilità per l'anno 2015;
    l'incidenza del mancato consolidamento è resa ben evidente dalla considerazione che circa la metà dei comuni in questione subirebbero un taglio aggiuntivo (rispetto a quanto espressamente stabilito dalla legge) pari a oltre il 50 per cento, con punte del 300 per cento. Di questi comuni particolarmente colpiti, oltre 600 sono di dimensioni minori (fino a 10 mila abitanti),

impegna Governo:

   ad assumere iniziative per ripristinare integralmente il valore complessivo dei trasferimenti tagliati con la legge di stabilità per l'anno 2015;
   a non effettuare ulteriori riduzioni, negli anni futuri, fino a quando lo sforzo richiesto in termini percentuali agli enti locali non sia stato sostenuto anche dalle istituzioni centrali;
   a garantire in ogni caso, anche agli enti locali in dissesto, i trasferimenti necessari all'espletamento dei servizi sociali essenziali, come l'assistenza ai cittadini disabili;
   a garantire agli enti locali i tempi necessari per una programmazione seria, assumendo iniziative per definire norme certe sull'ammontare delle risorse di cui potranno disporre nell'anno seguente entro la fine del mese di ottobre, in modo da permettere di approvare i bilanci previsionali entro il 31 dicembre di ogni anno;
   a non ridurre i trasferimenti a disposizione degli enti locali nell'esercizio in corso e a non assumere iniziative per la modifica delle norme sulla fiscalità locale;
   pur a spesa complessiva invariata per l'insieme delle amministrazioni comunali, a definire con idonee analisi e un confronto con le autonomie locali i fabbisogni standard degli enti anche in termini di personale e dei relativi tetti di spesa, definendo un criterio il più possibile uniforme a livello nazionale che regoli il rapporto spesa del personale/popolosità dell'ente, in modo da distribuire al meglio la spesa dei comuni e giungendo così a criteri razionali che raggruppino i fabbisogni di comuni di pari livello e popolazione, con il superamento dell'attuale criterio di blocco/riduzione orizzontale ed acritico di tale spesa per ciascun comune indipendentemente dalla sua efficienza e dalle sue necessità comparabili;
   a svincolare dai tetti di spesa i costi di formazione del personale per delimitati settori e corsi autorizzati a livello centrale finalizzate ad incrementare la capacita di analisi sull'efficienza di spesa dei servizi, quali efficienza energetica, ricaduta socioeconomica di indotto delle azioni, digitalizzazione;
   ad assumere iniziative normative per spostare, alla luce di quanto esposto in premessa, la data ultima di approvazione dei consuntivi 2014 al 31 maggio o al 30 giugno 2015;
   al fine di far fronte alle minori risorse e garantire i servizi ai cittadini e, quindi, di porre in essere tutte le azioni necessarie a ridurre la spesa corrente tra cui la rinegoziazione del debito, consentire l'utilizzo di tutte le fonti disponibili, compreso l'avanzo e la ristrutturazione del debito mediante accensione di nuovi prestiti (come previsto dal comma 2 dell'articolo 41 della legge n. 448 del 2001), assumendo un'iniziativa normativa per abrogare il vincolo di utilizzo esclusivo dei proventi da dismissioni che riguarda il rimborso dei prestiti obbligazionari;
   in conseguenza della decisione di posticipare l'avvio della local tax, ad assumere iniziative normative per ripristinare il trasferimento integrativo di 625 milioni di euro, indispensabile agli enti locali, già oggetto di pesanti tagli sulle risorse del fondo di solidarietà comunale, per garantire i servizi essenziali ai cittadini.
(1-00741)
(Nuova formulazione) «Luigi Di Maio, Agostinelli, Alberti, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cancelleri, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pisano, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spadoni, Spessotto, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi».
(20 febbraio 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    secondo calcoli della Cgia di Mestre dal 2011 al 2015 i tagli ai trasferimenti sarebbero costati ai comuni 27,3 miliardi di euro. Si tratta di tagli che i comuni hanno dovuto compensare con aumenti dei tributi locali a partire dall'addizionale Irpef per garantire servizi essenziali ai cittadini. Solo nel 2014 i tributi comunali sono saliti del 9 per cento;
    complessivamente dal 2009 ad oggi le misure di austerità sarebbero costate agli enti locali 26,4 miliardi di euro, mentre per lo stesso periodo i tagli subiti dai ministeri sarebbero pari a soli 6,4 miliardi di euro;
    nel 2015 la maggior parte dei tagli si è concentrata su regioni e enti locali per 5,2 miliardi di euro;
    sui comuni, in seguito all'approvazione della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015), gravano in modo determinante non solo i tagli, ma anche l'avvio della riforma della contabilità pubblica. In particolare, il primo atto dell'applicazione dei nuovi principi contabili sarà costituito dal riaccertamento straordinario dei residui attivi. A seguito di questa operazione e poi di anno in anno, la massa di residui in bilancio che eccede la dimensione di ragionevoli previsioni di realizzo, anche posposto nel tempo, viene accantonata sul Fondo crediti di dubbia esigibilità (Fcde), contribuendo ad una contrazione della spesa di pari importo sul bilancio corrente;
    i vincoli effettivi della manovra finanziaria (obiettivo nominale di patto di stabilità e Fondo crediti di dubbia esigibilità) costituiscono per la finanza pubblica due componenti dello stesso risultato atteso: un contributo da parte dei comuni di circa 3,4 miliardi di euro. È con questa dimensione di manovra che ciascun comune avrebbe comunque dovuto fare i conti nella formulazione del proprio bilancio di previsione;
    infatti, a fronte di un'evidente riduzione della percentuale prevista per la determinazione del saldo obiettivo ai fini del patto di stabilità (ora pari a 1,8 miliardi di euro) deve aggiungersi la stima degli effetti dell'introduzione del nuovo sistema contabile a regime (1,75 miliardi di euro a titolo di Fondo crediti di dubbia esigibilità, come da stima ministeriale) per un importo complessivo pari a 3,350 miliardi di euro. La reale riduzione dell'obiettivo, tenendo conto del forte impatto sui bilanci dell'armonizzazione contabile, è pari al 19 per cento rispetto al 2014;
    l'alleggerimento degli effetti dell'armonizzazione, già ottenuto con modifiche alla legge di stabilità, ha fornito agli enti più flessibilità nella gestione finanziaria (tagli non computati in «riduzione della spesa corrente», accantonamento graduale del Fondo crediti di dubbia esigibilità sui bilanci, rinegoziabilità generale dei mutui), confermando però nella sostanza le dimensioni generali dell'intervento;
    la proposta approvata dalla Conferenza Stato-città e autonomie locali nel febbraio 2015 punta a dimensionare in modo più sostenibile e razionale il contributo di ciascun comune e lascia al singolo ente la decisione sul riparto del proprio obiettivo complessivo tra ammontare del Fondo crediti di dubbia esigibilità effettivamente accantonato in previsione e obiettivo del patto di stabilità vero e proprio. Il nuovo meccanismo contiene due profili di innovazione: la revisione dei criteri di calcolo, basati sulla spesa corrente, non modificati dal 2011, dai quali deriva il 60 per cento dell'obiettivo; l'introduzione di nuovi criteri connessi alla capacità di riscossione per il calcolo del restante 40 per cento;
    la prima parte della revisione è in qualche misura un atto dovuto. I criteri sottostanti alla quantificazione inserita nella legge di stabilità facevano ancora riferimento alla sterilizzazione dei tagli previsti dal decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, in proporzione dei «trasferimenti statali» del 2010, dai quali è ormai trascorsa un'intera epoca. Con la forte riduzione dell'obiettivo nominale (da 4,4 a 1,8 miliardi di euro), l'utilizzo di un parametro così obsoleto – in pratica la dotazione di trasferimenti, ormai aboliti – avrebbe determinato disparità insostenibili. Il metodo considera l'effetto di tutti i tagli intervenuti dal 2011 al 2014, esclude dai calcoli l'anno con livello di spesa corrente più elevato nel quadriennio 2009-2012, esclude le spese per il servizio rifiuti (finanziato da un prelievo fiscale dedicato) e trasporto locale, abbattendo le variazioni dovute alle diverse previsioni dei contratti di servizio e agli alterni andamenti dei contributi regionali sul trasporto pubblico;
    a queste razionalizzazioni si aggiunge una correzione a favore degli enti che mostrano una tendenza alla riduzione della spesa corrente. Una necessaria clausola di salvaguardia assicura che questa quota di obiettivo non produca aggravi superiori al 20 per cento rispetto all'obiettivo 2014 riproporzionato;
    la seconda quota introduce il criterio della capacità di riscossione delle entrate proprie, che risponde all'esigenza contingente di collegare l'obiettivo finanziario a una proxy del Fondo crediti di dubbia esigibilità. Se un comune registra un indice di capacità di riscossione più elevato, ci si può attendere un minore ammontare del Fondo crediti di dubbia esigibilità imputato sul bilancio di previsione e quindi, in assenza di un correttivo specifico, l'obiettivo del patto di stabilità che ne risulterebbe sarebbe troppo elevato. Si tratta di un'esigenza contingente, poiché l'emersione dell'effettivo impatto del Fondo crediti di dubbia esigibilità permetterà di determinare questa componente della manovra anche a livello di singolo ente, già nel corso del 2015 e certamente dal 2016;
    infine, ad alcune esigenze di alleggerimento del patto di stabilità (enti capofila, oneri imprevedibili, messa in sicurezza delle scuole e del territorio, bonifiche dell'amianto) contribuisce un fondo di 100 milioni di euro da redistribuire in corso d'anno;
    c’è da augurarsi che l'allentamento dei vincoli generali di finanza pubblica e la consapevolezza della sproporzione degli oneri richiesti ai comuni possano riaprire il percorso di superamento del patto di stabilità e di autonomia finanziaria locale di cui il Paese ha bisogno;
    è ancora in corso la trattativa riguardante i tagli previsti dalla legge di stabilità del 2015 e pari a oltre tre miliardi. I problemi sono molteplici e riguardano:
     a) il contributo alla manovra 2015 delle città metropolitane, contributo che necessita di un riequilibrio del carico tra le varie città (la versione definitiva ha alleggerito il carico comunque fino a quota 256 milioni di euro). I tagli infatti si scaricano per oltre il 75 per cento su Roma, Firenze e Napoli;
     b) la riforma del patto di stabilità e delle sanzioni per chi lo ha sforato nel 2014, in particolare per le città metropolitane che hanno ereditato tale sforamento dalle province;
     c) la replica del fondo perequativo IMU-Tasi di 625 milioni di euro, risorse distribuite nel 2014 a 1.800 comuni, essendo il fondo previsto per il solo 2014 ed essendo però la local tax rinviata al 2016;
     d) lo stanziamento di maggiori ed adeguate risorse finanziarie da parte del Governo da destinare all'eventuale scostamento tra il gettito effettivamente riscosso dai comuni e le stime ministeriali del gettito atteso in relazione al nuovo regime di imponibilità dei terreni montani di cui al decreto-legge n. 4 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 34 del 2015 (cosiddetta IMU agricola), al fine di evitare scompensi sugli equilibri dei bilanci di competenza 2014 e i conseguenti rischi di mancato rispetto del patto si stabilità da parte degli enti locali;
     e) inoltre, la questione delle province e dei loro dipendenti (l'Unione delle province d'Italia denuncia che anche le poche province che riusciranno a chiudere i bilanci nel 2015 non riusciranno a farlo nel 2016) per la parte che concerne l'assorbimento di tale personale da parte delle città metropolitane e dei comuni;
    si prospettano alcune ipotesi – non tutte condivisibili – per risolvere le questioni ancora da definire, tra le quali:
     a) una rinegoziazione dei mutui con la Cassa depositi e prestiti aggiornando i tassi di interesse a quelli di mercato;
     b) l'introduzione di una tassa di un euro o due per ogni passeggero sui biglietti di aerei e navi;
     c) la possibilità di utilizzare in via eccezionale i proventi dalle dismissioni per finanziare la spesa corrente;
    si prevede che il decreto-legge sugli enti locali sia varato dal Governo entro aprile 2015 per risolvere queste questioni ereditate dalla legge di stabilità 2015;
    è anche ancora da definire l'introduzione della nuova tassa unica sulla casa la cosiddetta local tax;
    l'avvio a regime della riforma dei conti pubblici ha messo in affanno i sindaci che temono di non riuscire a varare il rendiconto entro il 30 aprile 2015 e chiedono uno spostamento della scadenza al 30 giugno 2015. Con i consuntivi i comuni devono compiere il riaccertamento straordinario dei residui per pulire i bilanci da entrate iscritte ma mai riscosse,

impegna il Governo:

   a dare seguito all'accordo quadro siglato nella Conferenza Stato-città e autonomie locali del 31 marzo 2015;
   a dare risposte positive a quanto chiesto dai comuni in merito all'applicazione della legge di stabilità 2015;
   ad assumere iniziative normative per sopprimere i tagli ai trasferimenti ai comuni, eventualmente compensandoli con riduzioni delle spese delle amministrazioni statali;
   ad accelerare la rinegoziazione dei mutui con Cassa depositi e prestiti e, più in generale, a rivedere le condizioni alle quali vengono erogati mutui ai comuni;
   ad assumere iniziative per ricostituire per il 2015 il fondo compensativo di 625 milioni di euro già riconosciuto per il 2014;
   ad assumere iniziative per stanziare maggiori ed adeguate risorse finanziarie da parte del Governo da destinare all'eventuale scostamento tra il gettito effettivamente riscosso dai comuni e le stime ministeriali del gettito atteso in relazione al nuovo regime di imponibilità dei terreni montani di cui al decreto-legge n. 4 del 2015, e successive modificazioni;
   ad assumere iniziative per rimodulare in maniera consistente verso il basso le sanzioni per le città metropolitane per lo sforamento del patto di stabilità ereditato dalle province;
   a garantire ai comuni i tempi indispensabili per la redazione dei bilanci, definendo ogni anno entro una data precisa le risorse a loro disposizione e dando poi loro due-tre mesi di tempo da tale scadenza per l'approvazione dei bilanci;
   a non modificare nell'esercizio in corso le disposizioni relative alla fiscalità locale e a non ridurre per il medesimo esercizio i trasferimenti a loro favore.
(1-00822)
«Melilla, Marcon, Scotto, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Fratoianni, Kronbichler, Matarrelli, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zaccagnini, Zaratti».
(21 aprile 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    dal 2007 al 2014 gli enti locali, e i comuni in particolare, hanno contribuito al risanamento della finanza pubblica per 16,4 miliardi di euro, di cui 8 miliardi e 700 milioni in termini di patto di stabilità interno e 7 miliardi e 700 milioni di euro in termini di riduzione di trasferimenti;
    in tale ambito, gli effetti della crisi economica e finanziaria, tutt'altro che superata in via definitiva, hanno imposto ai Governi, succedutisi a partire dalla fine del 2007, una serie di interventi legislativi dapprima per contrastare gli effetti del contagio della crisi economica internazionale e successivamente per scongiurare una crisi del debito italiano e riacquistare credibilità sui mercati finanziari, oltre che imboccare un sentiero virtuoso nel riordino dei conti pubblici;
    all'interno del sopra esposto scenario economico, l'evoluzione recente del governo locale è stata profondamente contrassegnata da misure indotte dalla crisi economica, che, sotto la spinta di urgenze reiterate, hanno inciso non solo sui flussi di risorse disponibili, ma sugli stessi assetti strutturali degli enti locali;
    gli orientamenti normativi sugli enti locali, che a partire dalla XVI legislatura sono stati introdotti, hanno riguardato diversi profili: dalla riduzione dei trasferimenti di risorse e dalla definizione di un nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le autonomie, fino al contenimento dei costi degli apparati e all'aumento della funzionalità degli enti stessi;
    a tal fine, la stretta finanziaria imposta anche dal patto di stabilità si è scaricata principalmente sulla spesa maggiormente comprimibile, quella per gli investimenti, che ha registrato una preoccupante riduzione nel corso degli ultimi anni;
    gli effetti costanti e al contempo spesso distorsivi delle continue riduzioni dei trasferimenti nei riguardi degli enti locali, che aumentano in maniera evidente, come confermato anche dalle decisioni adottate dal Governo all'interno della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità per il 2015) rafforzano la convinzione, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, come il contributo richiesto agli enti locali per il risanamento dei conti pubblici non sia più sostenibile, sia in ordine alla parte di investimenti che per la parte corrente;
    tra gli effetti provocati dalla manovra economica del dicembre 2014, la diminuzione degli investimenti nei confronti degli enti locali ha interessato settori importantissimi per la qualità della vita e per la sicurezza degli individui; in particolare, i comuni e le regioni, a cui spetta il compito di realizzare le opere di tutela del territorio (rischio idrogeologico e infrastrutture di rete), infrastrutture per la viabilità e i trasporti, opere a servizio della scuola e interventi per la pubblica sicurezza e la giustizia, hanno subito gravissime ripercussioni dalle pesantissime riduzioni di trasferimenti, il cui prezzo sociale dell'impatto delle recenti manovre finanziarie su questi interventi (in particolare quelle decise del Governo Monti) è divenuto ormai insostenibile per la collettività e per le imprese;
    ulteriori profili di criticità, che si rinvengono dal riassetto delle risorse disponibili e dai tagli subiti dagli enti locali, si evidenziano anche dalla disciplina dei principali tributi, oggetto di continui cambiamenti (di solito calcolati a gettiti standard), che ha determinato evidenti scompensi nei bilanci e nei margini d'intervento, le cui variazioni compensative delle assegnazioni statali (aggiustamenti operati a fronte di cambiamenti delle norme sui tributi locali), hanno provocato continue modifiche all'assetto delle entrate comunali e nella struttura del gettito dei tributi a base immobiliare;
    a tal fine, i trasferimenti statali complessivi sono passati da circa 16,5 miliardi di euro del 2010 a 2,5 miliardi di euro del 2013, determinando, nella sostanza, la parziale tenuta delle capacità di entrate realizzata con aumenti della pressione fiscale locale molto accentuati e in larga parte ascrivibili a passaggi obbligati: sostituzione dell'ICI con l'IMU, rafforzata sia attraverso il maggior valore imponibile di base, sia per effetto dell'aliquota di base superiore al livello ICI; applicazione della TASI a tutta la platea contributiva;
    la legge di stabilità per il 2015, unitamente alle disposizioni contenute all'interno del decreto legislativo n. 126 del 2014, che interviene per l'attuazione dell’«armonizzazione dei bilanci», ha comportato un effetto combinato di riduzione delle risorse correnti comunali sul 2015 per oltre 3,7 miliardi di euro; cifra a cui si giunge sommando gli impatti finanziari dei diversi provvedimenti riguardanti la finanza comunale e che configura uno scenario iniquo e difficilmente sostenibile anche nel breve periodo, ai diversi livelli di governo locale;
    secondo l'associazione degli artigiani e delle piccole imprese di Mestre-Cgia, inoltre, le riduzioni effettuate dallo Stato nei confronti dei comuni e delle regioni a statuto ordinario, raggiungono rispettivamente 8,3 miliardi di euro e 9,7 miliardi di euro, mentre per quelle a statuto speciale la quota dei mancati trasferimenti è stabilizzata a 3,3 miliardi di euro, raggiungendo nel complesso degli ultimi anni un mancato trasferimento alle regioni e agli enti locali pari a oltre 25 miliardi di euro, compensati aumentando le tasse locali e riducendo i servizi anche quelli essenziali alle comunità locali, come la sanità, il trasporto pubblico locale, il welfare;
    anche l'analisi della Corte dei conti sulle manovre di contenimento della spesa dello Stato, nel periodo 2008-2013, evidenzia che le riduzioni che hanno portato al contemporaneo determinarsi di consistenti tagli ai trasferimenti correnti, di un cospicuo avanzo di cassa e di una riduzione delle risorse destinate ai servizi essenziali, hanno provocato la crescita pericolosa dei debiti fuori bilancio degli enti locali, ovvero quelli che non concorrono alla formazione del bilancio;
    gli effetti penalizzanti si sono riscontrati, in particolare, sulle regioni del Mezzogiorno, con forti contrazioni degli investimenti, che hanno aumentato il divario regionale con le aree del Centro-Nord;
    misure in netta controtendenza rispetto a quelle in precedenza indicate, finalizzate a garantire l'espletamento dei servizi sociali essenziali, anche in relazione alle disposizioni divenute insostenibili nei riguardi degli enti locali (che a partire dall'ultimo quinquennio e da ultimo, la legge di stabilità 2015, hanno ripetutamente operato riduzioni di trasferimenti, intervenendo sulla leva fiscale offrendo al contempo servizi essenziali sempre più inadeguati), appaiono conseguentemente urgenti e necessarie, al fine di ripristinare, da un lato, un livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e, dall'altro, il funzionamento fondamentale degli enti locali, incentrato sul superamento del sistema di finanza derivata e sull'attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa a comuni, province, città metropolitane e regioni nel rispetto dei principi di solidarietà e di coesione sociale;
    la necessità di valutare la dinamica della fiscalità locale senza compararla con la drastica riduzione dei trasferimenti dello Stato a favore degli enti locali conferma, inoltre, che tale raffronto rende evidente, che i tagli subiti dal 2007 ad oggi sono stati nettamente superiori all'incremento della fiscalità locale, che peraltro rappresenta attualmente lo strumento di finanziamento di servizi essenziali per i cittadini (asili nido, scuole materne, assistenza domiciliare, sostegno alla non autosufficienza, politiche abitative, tutela ambientale, trasporto pubblico locale, politiche educative e culturali), i cui livelli di tassazione hanno raggiunto dimensioni emergenziali;
    a tal fine, l'attuale quadro finanziario degli enti locali di evidente difficoltà impone rapide correzioni attraverso l'interruzione delle riduzioni dei trasferimenti del bilancio dello Stato, i cui meccanismi di riequilibrio dei trasferimenti erariali per compensare le variazioni del gettito per gli enti locali si sono dimostrati peraltro insufficienti,

impegna il Governo:

   a prevedere iniziative urgenti e necessarie in favore degli enti locali finalizzate a:
    a) riconsiderare gli interventi in favore degli enti locali, attraverso l'aumento degli spazi di esclusione dal patto di stabilità interno, in particolare per le città metropolitane, incluse le misure riconducibili all'edilizia scolastica, in considerazione del fatto che la legge di stabilità per il 2015 prevede che nel computo del patto non siano valutate le spese di province e città metropolitane per interventi di edilizia scolastica, fino ad un massimo di 50 milioni nel 2015 e 50 milioni nel 2016;
    b) ripristinare le risorse decurtate con le correzioni, definite dalla legge di stabilità per il 2015, a carico degli enti locali di circa 15,3 miliardi di euro nel triennio, ottenute, tra l'altro, attraverso la riduzione del fondo di solidarietà comunale per 3,6 miliardi di euro e la riduzione della spesa corrente delle province e delle città metropolitane per 6 miliardi di euro;
    c) prevedere misure in favore degli enti locali in dissesto finanziario o in predissesto, ai sensi dell'articolo 244 del decreto legislativo n. 267 del 2000, che hanno presentato i piani di riequilibrio finanziario per i quali sia intervenuta una deliberazione di diniego da parte della competente sezione regionale della Corte dei conti, per garantire in ogni caso i servizi essenziali, quale quelli della raccolta dei rifiuti, dell'assistenza ai disabili e agli anziani;
    d) a garantire agli enti locali un periodo temporale congruo e ragionevole per una programmazione finanziaria e strategica, al fine di conoscere l'esatto ammontare delle risorse disponibili di cui gli enti locali potranno disporre per l'anno successivo e comunque entro la fine del mese di ottobre 2015;
    e) rimuovere i numerosi vincoli ordinamentali imposti, nel corso dei provvedimenti degli ultimi anni, agli enti locali, e in particolare ai comuni, adottando i saldi come unico criterio per definire lo sforzo richiesto a ciascun comparto della pubblica amministrazione;
    f) ripristinare, infine, il fondo finanziamento metropolitane delle grandi aree urbane, le cui risorse pari a 1 miliardo di euro, sono state eliminate dalla legge di stabilità per il 2015, determinando gravi effetti nei confronti dei comuni, in termini di riduzione delle risorse per la spesa corrente, senza alcun intervento compensativo sulla spesa per gli investimenti.
(1-00824) «Palese, Occhiuto».
(21 aprile 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    il cambiamento dell'assetto istituzionale e finanziario degli enti territoriali costituisce uno snodo centrale nell'ambito della complessiva azione riformatrice del Governo e del processo di risanamento del Paese;
    dal primo punto di vista, l'intervento più significativo è costituito dalla legge 7 aprile 2014, n. 56, che ha dettato un'ampia riforma in materia di enti locali, prevedendo l'istituzione e la disciplina delle città metropolitane, la ridefinizione del sistema delle province ed una nuova disciplina in materia di unioni e fusioni di comuni;
    a ciò si unisce, sotto il profilo della contabilità, il decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, adottato in attuazione della delega contenuta nella legge n. 42 del 2009, che ridisciplina il coordinamento della finanza pubblica al fine di rafforzare le attività di programmazione, gestione, monitoraggio, controllo e rendicontazione finanziaria tra i diversi enti che compongono la pubblica amministrazione e di favorire un migliore raccordo della disciplina contabile interna con quella adottata in ambito europeo ai fini del rispetto del patto di stabilità e crescita;
    dal punto di vista finanziario e del risanamento, per le disposizioni contenute nella legge 29 dicembre 2014, n. 190, gli enti territoriali concorreranno complessivamente al contenimento della spesa pubblica per circa 6,2 miliardi di euro nel 2015, 7,2 nel 2016 e 8,2 nel 2017, senza tener conto delle ulteriori riduzioni operate dal decreto-legge n. 66 del 2014;
    in particolare, il comma 435 dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2015 ha stabilito la riduzione della dotazione del fondo di solidarietà comunale di 1.200 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015; il comma 418 ha operato una riduzione della spesa corrente per province e città metropolitane di 1.000 milioni di euro per l'anno 2015, di 2.000 milioni di euro per l'anno 2016 e di 3.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017. Infine, il comma 398 ha disciplinato un contributo aggiuntivo alla finanza pubblica delle regioni a statuto ordinario, per ciascuno degli anni dal 2015 al 2018, pari a 3.452 milioni di euro e il comma 400 ha stabilito entità e modalità a contributo aggiuntivo pari a 467 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 per le regioni a statuto speciale;
    si tratta oggettivamente di riduzioni molto significative per gli enti territoriali che si aggiungono a quelle già operate nel corso della XVI legislatura, pari a circa 34 miliardi di euro;
    la dimensione dello sforzo richiesto alle amministrazioni territoriali rende necessario prevedere un contesto più orientato a definire indirizzi e incentivi che non a prescrivere specifici vincoli, accogliendo anche talune richieste provenienti dai vari comparti;
    una prima risposta a questa impostazione è costituita dall'incremento al 20 per cento della quota del fondo di solidarietà comunale spettante ai comuni delle regioni a statuto ordinario sulla base delle capacità fiscali e dei fabbisogni standard e l'avvio del processo di riforma del meccanismo del patto di stabilità che è stato allentato per complessivi 2.889 milioni annui, di cui 2.650 milioni ai comuni e 239 milioni alle province;
    nel documento di economia e finanza il Governo si impegna a proseguire in questa direzione favorendo il progressivo passaggio da un sistema basato sulla spesa storica ad uno che utilizza costi e fabbisogni standard, più razionale ed efficiente, in cui vengano premiati con maggiori spazi finanziari e, quindi, maggiori possibilità di investimento gli enti che hanno ridotto la spesa corrente e che hanno una maggiore capacità di riscossione delle entrate proprie;
    ulteriori misure a beneficio del comparto degli enti locali sono la possibilità di destinare i proventi delle concessioni edilizie per il finanziamento di spese correnti, la facoltà di rinegoziare mutui, l'innalzamento dall'8 al 10 per cento dell'importo massimo degli interessi passivi rispetto alle entrate dei primi tre titoli delle entrate del rendiconto per poter assumere nuovi mutui o finanziamenti, il passaggio da tre a cinque dodicesimi del limite massimo di ricorso degli enti locali ad anticipazioni di tesoreria, l'assegnazione delle maggiori somme riscosse per effetto della partecipazione all'azione di contrasto all'evasione fiscale;
    rispetto alle regioni a Statuto ordinario, per le quali il comma 463 ha introdotto la disciplina del pareggio di bilancio, si è prevista una fase transitoria per l'anno 2015 finalizzata a rendere più flessibile il passaggio al nuovo sistema;
    inoltre, i commi da 484 a 488 hanno esteso anche al 2015 la disciplina del patto verticale incentivato, che favorisce una maggiore flessibilità per il rispetto degli obiettivi di finanza pubblica da parte degli enti territoriali;
    a fronte dell'importante contributo al risanamento dei conti pubblici che arriva dagli enti territoriali, permangono alcune situazioni di criticità che potrebbero incidere sul livello e sulla qualità di erogazione di servizi ai cittadini, in particolare per quel che riguarda l'attuazione del Patto per la salute per gli anni successivi al 2015, il riparto del taglio alle città metropolitane e il rifinanziamento di 625 milioni del fondo compensativo IMU-TASI;
    su questi argomenti si stanno svolgendo incontri politici e tecnici con le rappresentanze delle parti interessate finalizzati a individuare soluzioni condivise alle questioni tuttora aperte;
    l'importanza del comparto territoriale richiede interventi organici e di ampio respiro da attuare necessariamente all'interno di un percorso condiviso a tutti i livelli istituzionali, a cominciare dalla ridefinizione e semplificazione della fiscalità immobiliare comunale in coerenza con gli indirizzi contenuti nel documento di economia e finanza 2015,

impegna il Governo:

   ad adottare con la massima sollecitudine ogni iniziativa utile volta a dare soluzione alle principali criticità normative relative agli enti territoriali, con particolare riferimento:
    a) all'attuazione dell'intesa del 19 febbraio 2015 raggiunta in seno alla Conferenza Stato-città ed autonomie locali, in particolare in merito alla rideterminazione degli obiettivi del patto di stabilità interno dei comuni per gli anni 2015-2018 e delle sanzioni per mancato raggiungimento degli obiettivi;
    b) alla sostenibilità del concorso al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica per il comparto province e città metropolitane, stabilendo la possibilità di rinegoziare i mutui e utilizzare gli spazi ottenuti a copertura di spese correnti, l'esclusione dalla sanzione sul personale delle proroghe dei contratti di lavoro a tempo determinato (anche per le città metropolitane e le province che non hanno rispettato il patto di stabilità nel 2014) e la disapplicazione dei limiti alle assunzioni per l'assorbimento del personale;
    c) alla gradualità e flessibilità della fase di avvio a regime dell'armonizzazione contabile;
    d) all'introduzione di meccanismi di perequazione per l'applicazione delle nuove norme in materia di Imu-agricola e al rinnovo, almeno parzialmente, di quelli previsti per il passaggio dall'Imu alla Tasi;
    e) all'attuazione dell'intesa del 26 febbraio 2015 raggiunta in seno alla Conferenza Stato-regioni in merito alle disposizioni di cui all'articolo 1, commi 398, 465 e 484, della legge 23 dicembre 2014, n. 190;
   a valutare l'opportunità di consentire a province e città metropolitane di non approvare il bilancio pluriennale, limitandosi al solo bilancio di previsione 2015 in cui siano illustrate le spese sostenute per funzioni fondamentali e funzioni non fondamentali, in modo da accertare le entrate effettivamente destinate all'esercizio di tali funzioni, e consentendo, in via eccezionale, l'utilizzo degli avanzi di gestione 2014 per il conseguimento degli equilibri;
   a definire entro il 2015 un assetto stabile della finanza locale in grado di consentire reale autonomia ed effettive e virtuose possibilità di programmazione da parte degli enti locali;
   a procedere al riordino e alla semplificazione, all'interno della legge di stabilità per l'anno 2016, della fiscalità immobiliare comunale, al fine di garantire un assetto legislativo e finanziario definitivo e stabile in materia, prevedendo, altresì, adeguate forme di perequazione verticale e meccanismi di monitoraggio e verifica dei criteri di alimentazione e distribuzione tra i comuni delle risorse del fondo di solidarietà comunale;
   a proseguire e rafforzare ulteriormente il percorso già avviato volto a rilanciare e sostenere i programmi di investimento degli enti locali.
(1-00825)
«Marchi, Tancredi, Paola Bragantini, Misiani, Guerra, Laforgia, Melilli, Causi, Marchetti, Fragomeli, Carnevali».
(21 aprile 2015)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   DAMBRUOSO e MAZZIOTTI DI CELSO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   tra le molteplici, drammatiche conseguenze connesse alla radicalizzazione del conflitto siriano, la comunità internazionale ha da tempo richiamato l'attenzione sul fenomeno dei militanti islamici che dai Paesi dell'Unione europea raggiungono le aree di guerra per partecipare alle ostilità. Questi «viaggi del jihad» compiuti da cittadini europei per combattere all'estero tra le fila di organizzazioni terroristiche sono un fenomeno in costante aumento;
   già negli anni ’80 e ’90, poi ancora nello scorso decennio, i servizi antiterrorismo di mezza Europa documentarono con le loro indagini l'esistenza di una vasta attività di reclutamento, spesso effettuata all'ombra delle moschee più radicali stanziate nel vecchio continente, finalizzata a istradare giovani mujaheddin verso zone caratterizzate da conflitti interetnici e religiosi;
   in chiave di prevenzione il fenomeno dell'afflusso verso la Siria di questa tipologia di militanti islamici ha destato forti preoccupazioni a livello internazionale ed è stato denunciato sia nel rapporto sul terrorismo 2013 dell'Europol che dal coordinatore antiterrorismo dell'Unione europea, Gilles De Kerchove: secondo cifre rese note nel dicembre del 2013 dalla presidenza lituana del Consiglio dell'Unione europea, il numero dei foreign fighters che hanno lasciato l'Europa alla volta della Siria ammonterebbe a circa 2.000 militanti. Sempre il rapporto di Europol sul terrorismo 2013 evidenzia come importanti operazioni di polizia connesse alla partenza o al ritorno di militanti islamisti dal quadrante siriano siano state condotte, soprattutto, in Belgio, Francia, Olanda e Regno Unito;
   sulla scorta delle dimensioni che il fenomeno dei foreign fighters sta assumendo, Consiglio e Commissione europea hanno già segnalato la necessità di ampliare lo spettro delle misure preventive per il loro monitoraggio (rafforzamento dei controlli di frontiera, introduzione di un pnr europeo ed altre) e di attuare misure di dissuasione basate sul dialogo e sul contrasto della radicalizzazione;
   l'Italia, con l'approvazione del decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7, ha da poco adottato importanti misure di prevenzione e contrasto delle attività terroristiche, anche con riferimento al fenomeno dei foreign fighters; ma un ulteriore passo in avanti nella lotta al terrorismo internazionale si potrebbe fare con il rapido recepimento della decisione 2008/976/GAI del Consiglio dell'Unione europea del 16 dicembre 2008 – relativa alla rete giudiziaria europea – e, in particolare, del suo articolo 4, che richiede l'individuazione per ciascuno Stato membro di un punto di contatto per la cooperazione giudiziaria. Con l'istituzione della procura nazionale antimafia e antiterrorismo sarebbe quanto mai opportuno individuare nel procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo l'organo competente all'intermediazione giudiziaria sui temi del terrorismo –:
   quali misure si intendano adottare per conferire al procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo il ruolo di corrispondente nazionale (e/o punto di contatto) nella rete giudiziaria europea, in particolare con Eurojust, per le problematiche inerenti al terrorismo. (3-01449)
(21 aprile 2015)

   FAVA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il sindaco di Brescello (Reggio Emilia), Marcello Coffrini, è notoriamente e per sua stessa pubblica ammissione in rapporti di cortesia e frequentazione con un esponente del clan della ’ndrangheta «Grande Aracri», originaria di Cutro (Crotone);
   numerose prese di posizione politiche gli hanno suggerito di dimettersi dalla carica, ma egli non sembra sensibile a queste sollecitazioni, implicitamente pervenutegli anche dalla Commissione d'inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere –:
   se sussistano i presupposti per l'invio di una commissione d'accesso nel comune di Brescello ai sensi dell'articolo 143 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. (3-01450)
(21 aprile 2015)

   VILLAROSA, GRANDE, GRILLO e FRUSONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 31 marzo 2015 il sito internet www.quotidianoentilocali.ilsole24ore.com denuncia pubblicamente il rischio che corrono molte amministrazioni locali di commissariamento, a causa delle difficoltà di rispettare il termine di legge del 30 aprile 2015 per l'approvazione del rendiconto 2014, in seguito al nuovo obbligo previsto dal decreto legislativo n. 126 del 2014, che, modificando il decreto legislativo n. 118 del 2011, ha previsto il riaccertamento straordinario dei residui da effettuare con riferimento al 1o gennaio 2015 contestualmente all'approvazione del rendiconto 2014;
   le sanzioni previste per gli enti locali, che non approveranno nei termini di legge il consuntivo 2014, consistono nella sospensione di tutti i pagamenti (fondo di solidarietà in primis) fino a quando i dati non saranno trasmessi ai ministeri competenti secondo le procedure vigenti;
   anche l'Anutel, mediante lettera inviata al Ministro dell'interno, ha chiesto di prorogare la data ultima di approvazione dei consuntivi 2014 al 31 maggio 2015;
   il testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali impone la consegna del rendiconto ai revisori almeno venti giorni prima dell'avvio in consiglio della sessione di bilancio; quindi, gli enti locali, per poter rispettare il termine del 30 aprile 2015, dovrebbero avere già deliberato il bilancio in giunta;
   si ricorda che nel 2014 la suddetta scadenza era stata rinviata al 30 giugno 2014, a seguito della revisione straordinaria del gettito prodotto nel 2013 dall'IMU sui fabbricati di categoria D avviata dal decreto «salva Roma ter» –:
   se il Ministro interrogato intenda valutare la necessità di assumere iniziative per posticipare la data ultima di approvazione dei consuntivi 2014 al 31 maggio o al 30 giugno 2015. (3-01451)
(21 aprile 2015)

   COSTANTINO, SCOTTO, PALAZZOTTO, FRATOIANNI, PANNARALE, DURANTI, PIRAS, MARCON, AIRAUDO, FRANCO BORDO, DANIELE FARINA, FERRARA, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, QUARANTA, MATARRELLI, MELILLA, NICCHI, PELLEGRINO, PAGLIA, PLACIDO, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZACCAGNINI e ZARATTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 18 e il 19 aprile 2014 una barca che trasportava migranti proveniente dalla costa sud del Mar Mediterraneo è naufragata nel canale di Sicilia;
   i numeri non sono stati ancora confermati, ma secondo le prime testimonianze dei superstiti si temono tra i 700 e 900 morti;
   se confermati i numeri, sarebbe questa la più grande tragedia di sempre nel Mar Mediterraneo;
   secondo una prima ricostruzione il naufragio si sarebbe verificato a causa dello sbilanciamento provocato dalle persone che erano presenti sulla barca, le quali per potersi mettere in salvo si riversavano su un lato della barca e poter quindi accedere al mercantile portoghese, il King Jacob, che per primo è stato dirottato nella zona dopo la segnalazione pervenuta al centro nazionale di soccorso della Guardia costiera;
   le prime testimonianze dei sopravvissuti al naufragio parlano, invece, di una collisione, avvenuta nel tentativo di avvicinamento del barcone alla nave, per cui le due imbarcazioni si sarebbero toccate, con ripercussioni sulla già precaria stabilità del peschereccio stipato all'inverosimile;
   molto probabilmente lo scafista, nel tentativo di nascondersi tra i migranti, ha guidato il barcone con poca attenzione. Le due navi si sono quindi avvicinate, si sono alzate delle onde e la barca ha perso stabilità;
   le prime motovedette della Guardia costiera e della Guardia di finanza sono riuscite a raggiungere il luogo del naufragio soltanto diverse ore dopo l'accaduto;
    in seguito al naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013, che causò la morte di 366 morti accertati e circa 20 dispersi presunti, il Governo italiano decise di avviare l'operazione Mare nostrum;
   l'operazione si svolse dal 18 ottobre 2013 al 31 ottobre 2014, con l'obiettivo di garantire la salvaguardia della vita in mare e di arrestare gli scafisti. L'operazione aveva un raggio di azione fino a ridosso alle coste libiche e furono soccorse oltre 160 mila persone;
   dal 1o novembre 2014 l'operazione è stata sostituita dalla missione dell'Unione europea Triton, che ha come obiettivo il controllo delle frontiere e un raggio di azione di 30 miglia dalle coste italiane;
   durante la conferenza stampa di presentazione della missione appena citata, il 31 ottobre 2014, il Ministro interrogato ci teneva a dichiarare che: «L'Italia spenderà zero euro» per Triton; aggiungeva: «Mare nostrum era nata come operazione di emergenza dopo la tragedia di Lampedusa, limitata nel tempo. Si è protratta più a lungo di quanto fosse previsto. Oggi possiamo dire che l'Italia ha fatto il proprio dovere» e concludeva: «L'Europa ha fatto una scelta, scendere in mare»;
   ad opinione degli interroganti e come confermato anche, ad esempio, dal procuratore di Catania che sta seguendo il caso del naufragio, Giovanni Salvi: Triton è meno efficace di Mare nostrum. Lo stesso procuratore aggiunge, durante dichiarazioni rilasciate all’Ansa, che il «soccorso in mare richiede un'elevata professionalità» che hanno i militari della Marina, della Guardia costiera e della Guardia di Finanza, ma «non tutti gli equipaggi della navi mercantili, che ringraziamo per le centinaia di vite che hanno salvato»;
   la nuova ricostruzione del naufragio, così come emerge dalle testimonianze dei superstiti e dalle dichiarazioni appena citate, impone una seria riflessione sull'efficacia della missione Triton e, quindi, sulla straordinaria necessità di mettere in campo dispositivi di soccorso che siano efficaci nella salvaguardia della vita e che assicurino al contempo il contrasto efficace agli scafisti;
   nella giornata del 20 aprile 2015 si è tenuto a Lussemburgo un vertice alla presenza dei Ministri degli esteri e degli interni dei Paesi dell'Unione europea a cui ha partecipato anche il Ministro interrogato, il quale affermava che la riunione era stata «un punto di svolta» ed è apparso «soddisfatto». In particolare, il Ministro interrogato precisava che alla riunione si era discusso di: «Rafforzare Frontex, il sistema dei rimpatri, il contrasto ai trafficanti di esseri umani e la possibilità di un'equa distribuzione in tutti i Paesi d'Europa dei profughi»;
   nulla veniva detto a proposito della necessità di rafforzare Triton e di farla diventare una missione di ricerca e soccorso in mare come accadeva con l'operazione Mare nostrum, come del resto da più parti richiesto e sollecitato in questi giorni –:
    se e in che modo il Governo intenda rafforzare la missione Triton e se, in particolare, non intenda avviare con urgenza, anche alla luce delle nuove indiscrezioni che emergono sulla dinamica del naufragio e indipendentemente dalle decisioni del Consiglio europeo del 23 aprile 2015, una operazione nel Mar Mediterraneo simile all'operazione Mare nostrum.
(3-01452)
(21 aprile 2015)

   BUSIN, MOLTENI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dopo l'arrivo sulle coste italiane di nuovi profughi, il prefetto di Venezia, Domenico Cuttaia, ha convocato urgentemente, per il 20 aprile 2015, il tavolo di coordinamento regionale, preannunciando l'arrivo in Veneto di circa 700 migranti;
   stando al prefetto Cuttaia, i nuovi aspiranti rifugiati sarebbero rientrati nella quota a suo tempo assegnata alla regione Veneto, in seguito alle intese raggiunte in sede di Conferenza unificata nel luglio 2014;
   nel convocare la predetta riunione del tavolo di coordinamento regionale, il prefetto Cuttaia aveva sottolineato come fosse necessario individuare rapidamente delle soluzioni alloggiative in grado di accogliere e sistemare i migranti che giungeranno prossimamente nelle province venete, facendo appello a tutti i comuni;
   il prefetto Cuttaia è stato buon profeta, dal momento che nel frattempo hanno raggiunto via mare il nostro Paese ulteriori 11 mila clandestini, che dovranno essere presto distribuiti sul territorio nazionale;
   i comuni del Veneto, a prescindere dal colore politico della loro amministrazione, lamentano di aver da tempo raggiunto e superato i limiti della propria capacità di accoglienza ed in segno di protesta un gran numero di sindaci ha disertato la riunione indetta dal prefetto Cuttaia il 20 aprile 2015;
   all'arrivo di migranti irregolari e presunti profughi sul territorio corrisponde, inoltre, una crescita del disagio avvertito dalla cittadinanza, che rileva ad ogni nuova ondata una generale crescita della criminalità, dovuta anche al difetto di sorveglianza sui siti che ospitano gli stranieri giunti illegalmente nel nostro Paese;
   come ha rilevato il presidente della regione Luca Zaia, proprio in occasione della predetta riunione convocata dal prefetto Cuttaia, l'11 per cento della popolazione del Veneto è composto da persone di origine estera, dato che pone la regione al terzo posto nel Paese quanto a percentuale di stranieri residenti;
   le autorità del Veneto non sono disponibili a soluzioni arrangiate e, in particolare, ad accettare la creazione di tendopoli o l'utilizzo di caserme fatiscenti dismesse in tempi più o meno recenti dal Ministero della difesa per ospitare i presunti profughi –:
   fino a quando il Governo riterrà di gestire il problema dell'immigrazione in questo modo, imponendo alle regioni, alle province ed ai comuni, in modo unilaterale, di offrire ospitalità ai clandestini ed aspiranti profughi senza preventivamente acquisire dati affidabili sull'effettiva disponibilità di strutture idonee e senza parallelamente disporre un incremento delle forze addette ai presidi di polizia nelle zone interessate dagli afflussi. (3-01453)
(21 aprile 2015)

   FIANO, ROBERTA AGOSTINI, BERSANI, BINDI, CUPERLO, D'ATTORRE, MARCO DI MAIO, FABBRI, FAMIGLIETTI, FERRARI, GASPARINI, GIORGIS, GULLO, LATTUCA, LAURICELLA, MARCO MELONI, MIGLIORE, NACCARATO, PICCIONE, POLLASTRINI, RICHETTI, ROSATO, FRANCESCO SANNA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra sabato 18 e domenica 19 aprile 2015 nel canale di Sicilia si è consumata probabilmente la più grave tragedia del mare con il ribaltamento di un'imbarcazione con a bordo circa 900 immigrati, tra cui molte donne e bambini, partiti dalle coste libiche;
   le operazioni di soccorso sono scattate immediatamente, ma non si è potuto far altro che constatare l'immane tragedia: solo pochi superstiti, infatti, sono stati portati in salvo;
   questo ennesimo dramma dimostra, ancora una volta, come il nostro Paese non può e non deve essere lasciato solo nella gestione di un fenomeno, che, ormai, ha dimensioni di un vero e proprio esodo e che si caratterizza anche per la presenza di organizzazioni criminali e di trafficanti di esseri umani;
   è stato immediatamente chiesto da parte dei più alti livelli istituzionali che l'Unione europea rafforzi significativamente il suo ruolo nella gestione del problema migratorio nel Mediterraneo, in quanto la comunità europea non può sottrarsi al grave fenomeno di centinaia di migliaia di profughi che abbandonano i propri Paesi per sfuggire alla morte;
   il Commissario dell'Unione europea per l'immigrazione, Avramopoulos, ha presentato al Consiglio dei ministri interni-esteri dell'Unione europea un piano d'azione in dieci punti da «mettere in atto immediatamente» in vista del vertice europeo straordinario che si terrà giovedì 23 aprile 2015;
   il piano, tra l'altro, prevede il «rinforzo» delle operazioni Triton-Poseidon e il sequestro e la distruzione dei barconi usati dai trafficanti;
   il Presidente del Consiglio dell'Unione europea Tusk ha, infatti, convocato per giovedì 23 aprile 2015 un Consiglio europeo straordinario, perché, come ha testualmente affermato, «non possiamo accettare che centinaia di persone muoiano quando attraversano il mare verso l'Europa» –:
   quali proposte e quali iniziative il Governo italiano, che da tempo ha sollecitato un'iniziativa comune dell'Unione europea, intenda avanzare in occasione del prossimo vertice europeo al fine di scongiurare che simili tragedie abbiano a ripetersi. (3-01454)
(21 aprile 2015)

   RAVETTO e BRUNETTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'immane tragedia verificatasi nel Mediterraneo nella notte tra il 18 e il 19 aprile 2015 impone un momento di riflessione e una presa di responsabilità in merito al fenomeno dell'immigrazione;
   il lassismo dell'Europa e del mondo occidentale in genere alimenta, di fatto, un traffico di esseri umani che quotidianamente finanzia le organizzazioni criminali e proprio coloro da cui i migranti fuggono;
   Triton doveva essere il baluardo della solidarietà europea e si è, invece, rivelata un'operazione totalmente inadeguata ad operare il salvataggio in mare, nonché un mero compromesso al ribasso, privo di standard di controllo e sicurezza appropriati;
   in questo momento è necessario che il dolore, la solidarietà e la «frustrazione» della Commissione europea si traducano in un'azione incisiva, che per essere tale deve basarsi su scelte chiare: un sistema di intelligence forte e radicato che monitori il problema all'origine, fino alla sua destinazione; il contrasto tenace e determinato ai trafficanti di morte, anche attraverso l'attuazione di blocchi navali selettivi; un piano sostenibile di accoglienza e solidarietà in Europa e nei Paesi di origine;
   la situazione sta assumendo dimensioni tragiche e l'Europa deve farsi carico di una politica dell'accoglienza che sia coerente e coordinata. Si è chiesto più volte in questo senso l'applicazione della direttiva 2001/55/CE: si riconosca la protezione temporanea europea a tutti i migranti, associata alla creazione di corridoi umanitari internazionali, e si consenta ai migranti l'esercizio del legittimo diritto alla circolazione verso tutti i Paesi europei;
   gli Stati membri dell'Unione europea ancora non costituiscono un'area con un livello di protezione omogenea. Le condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo e i tassi di accoglimento di domande di protezione mutano drasticamente da un Paese a un altro e non ci si può continuare a nascondere dietro l'obsoleto principio dello «Stato di primo approdo», principio pensato per situazioni di flussi migratori «sostenibili» e non certo per fronteggiare un esodo come quello attualmente in atto;
   la guerra umanitaria che l'Italia si ritrova ad affrontare richiede una risposta unitaria: oggi, di fronte ad una sfida che ha bisogno di risposte strutturali, non si possono dare soluzioni di tipo emergenziale; dinnanzi ad un simile scenario serve un tavolo di unità nazionale, un luogo di confronto e decisione di cui possano far parte tutte quelle forze politico-istituzionali in grado di contribuire con la propria esperienza e la propria volontà ad affrontare quella che a tutti gli effetti è la sfida di questo nostro tempo, offrendo al Governo un più forte mandato a livello europeo e internazionale teso a pretendere non solo solidarietà, ma soprattutto mezzi, azione politica, strategie;
   alla battaglia sul fronte europeo e internazionale è di fondamentale importanza affiancare una solida politica interna, volta anche ad assicurare a coloro che difendono e pattugliano le coste i mezzi e le strutture idonei al delicato compito che sono chiamati a svolgere; è, pertanto, necessario garantire protezione e sicurezza non solo agli uomini e alle donne che affrontano il mare per migrare in Europa, ma anche agli stessi uomini e donne che rappresentano la loro «ancora di salvezza»;
   si è assistito nei giorni scorsi ad episodi di attacco da parte di uomini armati sui barconi che trasportano i migranti, i quali hanno minacciato le motovedette della Guardia costiera italiana impegnate, senza essere armate, nei soccorsi delle imbarcazioni;
   il Ministro interrogato ha dichiarato di essere disponibile ad «azioni mirate in Libia», con particolare riferimento al «contrasto ai nuovi schiavisti, agli scafisti che sono dei veri assassini e criminali» –:
   quali siano le «azioni mirate» che il Governo intende intraprendere contro gli scafisti e quali iniziative intenda assumere per garantire maggiore sicurezza e tutela del personale della Guardia costiera, valutando, ad esempio, la possibilità di affiancare ai mezzi impegnati quotidianamente nelle operazioni di pattugliamento e di salvataggio nel Mediterraneolusse dei corpi di polizia dotati di armi da difesa.
(3-01455)
(21 aprile 2015)

   BUTTIGLIONE e BINETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la tragedia verificatasi la scorsa settimana nel Mediterraneo, al largo delle coste libiche, ha causato tra le 700 e le 900 vittime, tra i quali numerosi bambini. L'incidente è avvenuto intorno alle ore 24, quando il barcone era appena salpato dalle coste della Libia;
   lo scenario internazionale non fa presagire alcun rallentamento dei flussi migratori nel Mediterraneo, anche a causa dell'instabilità politica di numerosi Paesi;
   il Governo ha chiesto, con forza e a più riprese, anche durante il semestre europeo, che l'Italia fosse adeguatamente sostenuta nel suo sforzo dall'Unione europea e dai suoi organismi, in applicazione del principio di burden sharing, interpretato anche nel senso di equa suddivisione dei pesi economici derivanti dall'impatto del fenomeno immigratorio;
   le risposte fornite dall'Unione europea e dai Paesi membri alle istanze italiane si sono rivelate fin qui non in linea con le aspettative, alimentando l'impressione che la questione migratoria non venga ancora considerata fino in fondo nelle sue dimensioni di fenomeno epocale, tale da richiedere un impegno strategico delle istituzioni europee –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere per promuovere un maggiore coinvolgimento nella gestione dei flussi migratori, oltre che delle istituzioni comunitarie e degli Stati membri, anche dei Paesi di origine e di transito dei flussi medesimi. (3-01456)
(21 aprile 2015)

   RAMPELLI, GIORGIA MELONI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   solo negli ultimi dieci giorni si sono verificate due gravissime tragedie in mare che hanno visto morire centinaia di persone nel tentativo di raggiungere le coste italiane a bordo di imbarcazioni gestite da trafficanti di clandestini;
   secondo le prime stime elaborate dagli organismi internazionali, in totale dall'inizio del 2015 sarebbero morte circa millecinquecento persone, a dimostrazione del fallimento dell'operazione Triton che, anzi, come previsto da molti osservatori, sta determinando un aumento delle morti in mare;
   proprio ieri la procura di Palermo ha fermato quindici indagati nell'ambito di un'operazione contro il traffico internazionale di esseri umani che ha rivelato una vera e propria organizzazione criminale con base in Libia, dove uno dei protagonisti sarebbe il soggetto considerato responsabile della tragedia di Lampedusa dell'ottobre 2013, che in Italia avrebbe diversi referenti a Roma e a Palermo, uno dei quali addirittura titolare di un permesso di soggiorno;
   solo questa organizzazione sarebbe responsabile di almeno quindici sbarchi tra la seconda metà del 2014 e il 2015, attraverso i quali, secondo la procura, avrebbero portato in Italia oltre cinquemila persone;
   il contrasto all'immigrazione clandestina deve passare in primissimo luogo attraverso la lotta ai trafficanti di esseri umani, che tuttavia si sta continuando a rivelare poco efficace, se si considera che sempre più semplici pescatori si arruolano nelle fila dei trafficanti, banalmente attratti dai facili guadagni e dalla quasi totale impunità;
   nell'ambito dell'incontro straordinario tra i Ministri degli esteri e degli interni svoltosi a Lussemburgo lunedì 20 aprile 2015, la Commissione europea ha espresso l'auspicio che sia adottato un programma di ritorno rapido di migranti clandestini nel loro Paese, coordinato dall'agenzia europea di controllo delle frontiere esterne dell'Unione europea, Frontex –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere al fine di contrastare l'immigrazione clandestina in ambito nazionale, anche realizzando misure più efficaci nella lotta ai trafficanti, e in ambito internazionale.
(3-01457)
(21 aprile 2015)

   GIGLI e SBERNA. — Al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'ultimo rapporto della Commissione per le adozioni internazionali, nel 2013 si è registrato un calo del numero di adozione da parte di coppie italiane del 7,2 per cento rispetto al 2012 (2.469), del 27,3 per cento se confrontato al 2011 e addirittura del 29,3 per cento a paragone con il 2010. Un calo evidente confermato anche dai dati relativi all'ingresso in Italia a scopo adottivo dei minori stranieri. Nel 2013 i bambini accolti nel nostro Paese sono stati 2.825, mentre erano 3.106 nel 2012 e 4.130 solo nel 2010;
   le associazioni e gli enti accreditati all'adozione in Italia hanno più volte rivolto appelli accorati a Governo e regioni per risolvere le questioni aperte nell'adozione, tra i quali spicca l'assenza di un sistema di agevolazioni utili ad aiutare le famiglie: si riscontra, infatti, l'attenzione delle regioni al tema della procreazione assistita, anche attraverso misure di sostegno economico, mentre nella materia delle adozioni si rileva la scarsa attenzione al sostegno delle famiglie adottive e di quelle disponibili all'adozione;
   l'adozione internazionale è, infatti, a carico delle coppie, anche se le spese sostenute possono essere dedotte dalla denuncia dei redditi, fino ad un massimo del 50 per cento, anche se nella legge di stabilità per il 2015 è stato incrementato di cinque milioni di euro il fondo per le adozioni internazionali dal quale si attingono i rimborsi alle famiglie adottive in base al reddito;
   secondo una recente indagine condotta dal quotidiano la Repubblica, i costi dell'adozione internazionale possono arrivare anche a 40 mila euro. Un importo che somma le spese per i servizi offerti in Italia e all'estero dagli enti autorizzati, per le pratiche svolte dalle autorità straniere, per i pagamenti che le famiglie sono tenute a sostenere per spostamenti, vitto e alloggio durante i soggiorni esteri;
   è opportuno prevedere interventi volti, da una parte, ad una riduzione dei costi, e dunque la reintroduzione delle tariffe in uso in passato e il controllo sulle spese richieste dagli enti autorizzati, e, dall'altra, la destinazione di aiuti economici per agevolare le famiglie;
   secondo il VII rapporto Crc (il gruppo di lavoro italiano che si occupa di monitorare lo stato di attuazione della Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza in Italia) emerge un «senso di sfiducia» verso una procedura giudicata lunga, macchinosa e dall'esito incerto, che contribuisce al calo del numero delle adozioni internazionali. Il tempo medio che le coppie hanno impiegato dalla disponibilità presentata in tribunale all'autorizzazione all'ingresso dei minori in Italia è stato, secondo l'ultimo rapporto della Commissione per le adozioni internazionali, di 3,3 anni, con punte massime di 5,5 per coloro che hanno adottato bambini dalla Lituania e punte minime di 2,8 anni per la Federazione Russa e l'Ungheria;
   spesso i ritardi sono dovuti anche ad aperti contrasti tra Governi e ai cambiamenti legislativi e procedurali in materia di adozioni che si sono verificati in quei Paesi, ma in tutto questo a perdere sono prima di tutto i bambini incolpevoli e le famiglie destinatarie;
   la Commissione per le adozioni internazionali non ha ancora divulgato i dati aggiornati delle adozioni internazionali relativi all'anno 2014, che di regola sono stati sempre pubblicati annualmente entro il mese di gennaio –:
   se non ritenga di adottare iniziative di tipo normativo volte ad agevolare l’iter delle adozioni, in particolare quelle internazionali, e a sollecitare accordi con i principali Paesi stranieri di provenienza, nonché ogni ulteriore misura volta a sostenerle, tenuto conto della drammatica diminuzione di adozioni riscontrate negli ultimi anni. (3-01458)
(21 aprile 2015)