TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 399 di Mercoledì 25 marzo 2015
MOZIONI CONCERNENTI INTERVENTI A FAVORE DEL MEZZOGIORNO
La Camera,
premesso che:
il quadro già grave e complesso evidenziato dalla Svimez (Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno), nell'anticipazione del rapporto 2014 sull'economia del Mezzogiorno, presentato a fine luglio 2014, si è ulteriormente aggravato in sede di presentazione del rapporto Svimez 2014 e delle proiezioni elaborate dal medesimo istituto per l'anno 2015, al punto che apertamente si parla di un «Sud a rischio desertificazione umana e industriale»;
la riduzione del prodotto interno lordo nel 2014, quantificata dal Governo in -0,4 per cento, è la risultante tra la stazionarietà del Centro-Nord (0 per cento) e la flessione del Sud (-1,5 per cento); il quadro risulta ancora più divergente nel 2015: il prodotto interno lordo nazionale secondo le stime Svimez è previsto a +0,8 per cento, quale risultato tra il positivo +1,3 per cento del Centro-Nord e il negativo -0,7 per cento del Sud;
a livello regionale, nel 2013, il calo del prodotto interno lordo è compreso tra il -1,8 per cento dell'Abruzzo e il -6,1 per cento della Basilicata, fanalino di coda nazionale, che ha così registrato un segno negativo per la crisi dell`industria meccanica e dei mezzi di trasporto. In posizione intermedia la Campania (-2,1 per cento), la Sicilia (- 2,7 per cento), il Molise (-3,2 per cento). Giù anche Sardegna (-4,4 per cento), Calabria (-5 per cento) e Puglia (-5,6 per cento). Tra il 2008 e il 2013 difficoltà, soprattutto in Basilicata e Molise, che segnano cali cumulati superiori al 16 per cento, accanto alla Puglia (-14,3 per cento), la Sicilia (-14,6 per cento) e la Calabria (-13,3 per cento). Ha perso oltre il 13 per cento di prodotto anche la Sardegna, mentre cali superiori al 12 per cento si registrano in Campania, Marche e Umbria;
dal 2008 al 2013 il settore manifatturiero al Sud ha perso il 27 per cento del proprio prodotto e ha più che dimezzato gli investimenti (-53 per cento). Nello stesso periodo al Centro-Nord il manifatturiero ha perso circa il 16 per cento del proprio prodotto e oltre il 24 per cento degli investimenti;
i consumi delle famiglie meridionali sono ancora scesi, arrivando a ridursi nel 2013 del 2,4 per cento, a fronte del -2 per cento delle regioni del Centro-Nord. Dal 2008 al 2013 la caduta cumulata dei consumi delle famiglie ha sfiorato nel Sud i 13 punti percentuali (-12,7 per cento), risultando di oltre due volte maggiore di quella registrata nel resto del Paese (-5,7 per cento);
tra il 2008 ed il 2013 delle 985mila persone che in Italia hanno perso il posto di lavoro, ben 583mila sono residenti nel Mezzogiorno. Nel Sud, pur essendo presente appena il 26 per cento degli occupati italiani si concentra il 60 per cento delle perdite determinate dalla crisi. Nel solo 2013 in Italia sono andati persi 478mila posti di lavoro, di cui 282mila al Sud. La nuova flessione riporta il numero degli occupati del Sud per la prima volta nella storia a 5,8 milioni, sotto la soglia psicologica dei 6 milioni, il livello più basso dal 1977, anno da cui è possibile disporre della serie storica dei dati;
tra il 2008 ed il 2013 si registra al Sud una caduta dell'occupazione del 9 per cento, a fronte del -2,4 per cento del Centro-Nord. Negli anni Settanta il tasso di occupazione al Sud era del 49 per cento; nel 2013 è sceso al 42 per cento; al Centro-Nord invece si è passati dal 56 per cento degli anni Settanta al 63 per cento del 2013; Sud e Centro-Nord sono lontani dal target del 75 per cento di Europa 2020, ma per il Meridione l'obiettivo si allontana e continua ad allontanarsi. In calo soprattutto l'occupazione giovanile: al Sud nel 2013 fra gli under 34 flette del 12 per cento, contro il -6,9 per cento del Centro-Nord;
al Sud appena il 21,6 per cento (1 su cinque) delle donne sotto i 34 anni ha un lavoro contro il 43 per cento del Centro-Nord ed una media nazionale del 34,7 per cento; il confronto con la media dell'Unione europea è impietoso: nell'Europa a 27 le donne sotto i 34 anni che lavorano sono il 50,9 per cento. Considerando tutte le classi di età, l'occupazione femminile meridionale si ferma al 33 per cento; al Centro-Nord la percentuale di donne che lavorano non è lontana dalla media europea (59,2 per cento rispetto al 62,6 per cento dell'Unione europea). Anche la nuova occupazione che si crea per le donne perde di qualità: dal 2008 al 2013 le professioni qualificate femminili sono scese dell`11,7 per cento, mentre sono aumentati del 15 per cento i posti di lavoro nelle professioni poco qualificate. Indicativo anche il dato sul part-time: le donne che lo scelgono, circa il 30 per cento del totale in Italia, non lo fa per scelta: al Sud addirittura il 75 per cento dei part-time femminili è involontario;
i consumi delle famiglie meridionali sono ancora scesi, arrivando a ridursi nel 2013 del 2,4 per cento, a fronte del -2 per cento delle regioni del Centro-Nord. Dal 2008 al 2013 la caduta cumulata dei consumi delle famiglie ha sfiorato nel Sud i 13 punti percentuali (-12,7 per cento), risultando di oltre due volte maggiore di quella registrata nel resto del Paese (-5,7 per cento);
al di là delle aride cifre riferite a prodotto interno lordo, produzione e occupazione, la questione che riveste assoluta gravità è quella sociale: nel 2007 la povertà assoluta interessava il 4,1 per cento delle famiglie italiane (3,3 per cento al Centro-Nord e 5,8 per cento al Sud), mentre a fine 2013 si è arrivati al 7,9 per cento a livello nazionale, con il 5,8 per cento di nuclei familiari in povertà assoluta al Centro-Nord e il 12,6 per cento al Sud; in termini assoluti, nel periodo 2007-2013 al Sud le famiglie assolutamente povere sono cresciute oltre due volte e mezzo, da 443mila a 1 milione 14mila, con un incremento del 40 per cento solo nell'ultimo anno della serie. Nel 2012 il 9,5 per cento delle famiglie meridionali guadagna meno di mille euro al mese, mentre per il Centro-Nord tale dato si attesta al 3,8 per cento; si tratta, in particolare, del 9,2 per cento delle famiglie lucane, del 9,3 per cento delle calabresi, del 10,9 per cento delle molisane e del 14,1 per cento di quelle siciliane;
secondo stime Svimez, anche nel 2013, come nel 2012, nel Meridione i decessi hanno superato le nascite: un risultato negativo che si era verificato solo nel 1867 e nel 1918. Proseguendo questo trend, il Sud avrebbe una perdita di 4,2 milioni di abitanti nei prossimi 50 anni, arrivando così ad una consistenza del 27 per cento sul totale nazionale a fronte dell'attuale 34,3 per cento; la situazione è aggravata dall'emigrazione: negli ultimi venti anni sono emigrati dal Sud al Centro-Nord circa 2,3 milioni di persone. Nel 2013 secondo Svimez si sono trasferiti dal Mezzogiorno al Centro-Nord circa 116 mila abitanti; altro elemento da valutare è che anche gli stranieri rifuggono dal Sud: a dicembre 2013 i residenti stranieri nel nostro Paese sono circa 5 milioni, di cui solo 717mila al Sud e 4 milioni e 200mila nel Centro-Nord;
i giovani meridionali si trovano di fronte ad una drammatica realtà sociale e culturale: secondo una recente ricerca l'80 per cento dei giovani meridionali maschi sotto i 30 anni vive ancora in casa con i propri genitori, mentre oltre tre quinti delle giovani del Sud intravedono per sé un futuro di casalinga: una situazione simile a quella dei primi anni del dopo guerra. Le abitazioni non mancano: mancano le risorse per potersi stabilire;
annualmente Il Sole 24 ore pubblica un'indagine sulla qualità della vita condotta nelle 107 città italiane capoluogo di provincia. L'indagine è piuttosto approfondita e complessa e si basa su 36 parametri, raggruppati in sei macro-aree (tenore di vita, affari e lavoro, servizi ambiente e salute, popolazione, ordine pubblico e tempo libero), fino alla compilazione di una classifica generale. Anche per il 2014 il Sud continua a essere fanalino di coda della classifica e Napoli in particolare si conferma la città dove si vive peggio, mentre Palermo è la penultima; a salire si trovano: Reggio Calabria; Taranto; Caserta; Vibo Valentia; Catania; Caltanissetta, Foggia, Trapani, Bari, Agrigento e Cosenza; la prima città non meridionale è Frosinone all'87esimo posto;
in termini di ricchezza prodotta la città che ne produce di meno è Crotone (12.930 euro; Milano 37.642 euro), seguita da Agrigento, Enna e Caserta; la prima città non meridionale è Isernia al 78esimo posto;
in termini di propensione al risparmio la provincia peggiore è Carbonia-Iglesias (7.903 euro, Trieste 43.228 euro), seguita da Crotone, Trapani e Siracusa; la prima città non meridionale è Rieti all'82esimo posto;
in termini di assegno pensionistico medio la città in cui la media è più bassa è Catanzaro (485 euro, Milano 1.100 euro), seguita da Agrigento, Campobasso, Benevento ed Enna;
in termini di ambiente favorevole agli affari e al lavoro, la città meno attraente è Reggio Calabria, seguita da Caltanissetta, Caserta, Napoli e Cosenza;
in termini di servizi, ambiente e salute, la città nelle peggiori condizioni è Crotone, seguita da Vibo Valentia, Foggia, Caltanissetta e Agrigento;
le risorse inizialmente programmate nel quadro strategico nazionale 2007-2013 ammontavano originariamente a oltre 60 miliardi di euro, di cui circa 28,8 miliardi di euro di fondi strutturali provenienti dall'Unione europea e circa 31,6 miliardi di euro di risorse di cofinanziamento nazionale (iscritti sul fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie previsto dalla legge n. 183 del 1987); la gran parte di tali risorse, 43,6 miliardi di euro (all'incirca il 75 per cento del totale), risultava destinata all'obiettivo «convergenza», che interessa le regioni Calabria, Campania, Puglia, Sicilia e Basilicata;
a seguito del Piano di azione per la coesione, l'ammontare complessivo delle risorse destinate ai programmi operativi (quota comunitaria più cofinanziamento nazionale) si è ridotto da 60,1 miliardi di euro (28,5 miliardi di euro di fondi comunitari e 31,6 miliardi di euro di cofinanziamento) a circa 48,5 miliardi di euro. Sulla base delle informazioni disponibili (fornite dalla Ragioneria generale dello Stato), alla data del 30 giugno 2014 le risorse ancora da spendere entro il 31 dicembre 2015 (termine ultimo per effettuare pagamenti) ammontano a circa 20 miliardi di euro, la maggior parte dei quali (15 miliardi di euro) nell'area dell'obiettivo «convergenza»;
secondo le indicazioni offerte dal Governo nei primi giorni del mese di ottobre 2014, la programmazione 2014-2020 potrà contare su 32 miliardi di euro di fondi strutturali europei, cui ne andrebbero aggiunti altrettanti di cofinanziamenti nazionali (24 miliardi di euro a carico dello Stato, il resto a carico delle regioni). È stata avanzata anche la proposta di ridurre, nelle regioni «convergenza», la quota di cofinanziamento regionale e sono state indicate tre priorità per questo nuovo programma: competitività delle imprese, occupazione e istruzione/formazione. Nel decreto-legge «sblocca Italia» (n. 133 del 2014) si affidano nuove funzioni al Presidente del Consiglio dei ministri al fine di accelerare l'impiego delle risorse comunitarie nelle regioni «convergenza»; il Presidente del Consiglio dei ministri avrà la facoltà di proporre al Cipe il definanziamento e la riprogrammazione delle risorse non impegnate;
ma, a seguito della presentazione della legge di stabilità 2015, è intervenuto un richiamo comunitario che ha richiesto un ulteriore aggiustamento di bilancio; il Governo ha pertanto provveduto riducendo, tra l'altro, di 500 milioni di euro la quota delle risorse nazionali dai fondi di cofinanziamento di coesione dell'Unione europea; inoltre l'articolo 12 della legge di stabilità per finanziare gli sgravi contributivi per assunzioni a tempo indeterminato ha ridotto di un miliardo di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 e a 500 milioni di euro per l'anno 2018 le risorse del fondo di rotazione di cui all'articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183, già destinate agli interventi del Piano di azione per la coesione;
se è vero che i dati di per sé risultano aridi e che, comunque, vanno integrati, si può convenire che dagli elementi presentati emerge una realtà drammatica e fortemente preoccupante per l'intero Mezzogiorno d'Italia;
una parte fondamentale del Paese ha nella storia, nella cultura, nell'economia un bacino di potenzialità a sua disposizione e gli strumenti per crescere svilupparsi, integrare e sostenere con vigore lo sforzo dell'esecutivo per risanare e rilanciare il Paese;
il quadro macroeconomico che emerge dalle considerazioni effettuate suscita timori sotto diversi profili. Ma ciò che risalta soprattutto è l'allarmante crisi sociale che impedisce il formarsi di nuove famiglie, la crescita delle famiglie esistenti e la stessa natalità. Una preoccupazione forte che ha sollecitato il Ministro della salute a dar vita al piano nazionale per la fertilità, nel quale sono coinvolti esperti di natalità, pediatri, sociologi, esperti di economia sanitaria ed altri. Un'operazione questa che, se risulta indubbiamente utile al Paese intero, lo è ancor di più per il Sud che, nelle condizioni attuali, non è di sicuro sostenuto e assecondato sul piano della crescita demografica: una questione, quest'ultima, che è strettamente collegata ora e di più lo sarà nel futuro al tema della sostenibilità del sistema sanitario e previdenziale,
impegna il Governo:
ad adottare ogni iniziativa, anche attraverso ulteriori interventi normativi, volta ad attribuire adeguate quote di cofinanziamento e comunque adeguate risorse comunitarie e nazionali alle regioni meridionali ed individuando la sede idonea in cui Governo, regioni ed i competenti organi parlamentari, a seguito di un naturale, approfondito confronto, siano in grado di definire un insieme coordinato di opere strategiche di importanza prioritaria, la cui realizzazione favorisca la crescita economica complessiva delle regioni meridionali;
ad assicurare, attraverso una specifica programmazione infrastrutturale, forti politiche di investimento da parte dello Stato a favore delle regioni meridionali ed impegnandosi, altresì, a riconsiderare le regole del patto di stabilità per gli enti territoriali;
a perseguire con decisione, in sede di Unione europea e quale obiettivo del semestre di Presidenza italiana, l'obiettivo della riduzione delle quote di partecipazione nazionale ed in particolare regionale, con specifico riferimento alle regioni meridionali, da erogare a titolo di concorso al cofinanziamento del Fondo europeo per lo sviluppo regionale e del Fondo sociale europeo;
con riferimento alla programmazione 2014-2020, a prevedere l'utilizzo di parte significativa delle risorse del Fondo sociale europeo per realizzare politiche attive di lavoro e inserimento professionale nei confronti dei giovani disoccupati meridionali;
ad avviare politiche a sostegno della natalità e della genitorialità, con particolare riferimento alle zone socialmente ed economicamente più disagiate;
ad assicurare tempestiva e rigida applicazione dei poteri sostitutivi del Governo in materia di utilizzo delle risorse comunitarie, previsti dall'articolo 9 del decreto-legge n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 98 del 2013, e dall'articolo 12 del decreto-legge n. 133 del 2014 in caso di ritardo delle regioni nelle assegnazioni ed erogazioni;
ad adoperarsi al fine di consentire all'Agenzia per la coesione territoriale di operare da subito e con poteri rafforzati negli ambiti di sua competenza.
(1-00653)
«De Girolamo, Pagano, Garofalo, Calabrò, Dorina Bianchi, Pizzolante, Bosco, Minardo, Misuraca, Scopelliti, Cicchitto, Alli, Bernardo, Piccone, Piso, Roccella, Saltamartini, Sammarco, Tancredi, Vignali».
(31 ottobre 2014)
La Camera,
premesso che:
la Svimez con il suo recentissimo rapporto sull'economia del Mezzogiorno ha ricordato che questa fase del Mezzogiorno è la peggiore dal dopoguerra in poi. Le previsioni lasciano intravedere ancora altri due anni di recessione (si arriverà così ad 8 anni consecutivi). Eppure questa situazione così drammatica non viene affatto percepita come tale dal mondo politico ed imprenditoriale;
non si può sottovalutare il fenomeno dell'impoverimento industriale e fisico del Mezzogiorno che, in assenza di contromisure, condurrà le regioni meridionali, oggi le più ricche di giovani, a un drammatico invecchiamento se i giovani laureati e competenti continueranno ad abbandonare le città del Sud al ritmo di più di centomila all'anno;
tutti i dati – da quelli di Banca d'Italia a quelli di Unioncamere, di Svimez e Istat – concordano nell'analisi di una realtà non ferma, ma in profonda regressione dal punto di vista sociale, dal punto di vista economico, dal punto di vista culturale e civile. I dati su occupazione, procedure fallimentari, liquidazione e scioglimenti di società di persone e di capitale convergono tutti nella direzione di descrivere una condizione che, negli anni, ha visto crisi sovrapporsi a crisi, fino ad incrociare la crisi perfetta che si sta vivendo in questi tempi;
l'Esecutivo ha confermato la sua politica di totale disimpegno nei confronti di un'area del Paese, il Mezzogiorno, che con la sua produzione contribuisce ad un quarto del prodotto interno nazionale, dimostrando in tal modo di sottovalutare la dimensione nazionale e le ricadute della questione meridionale e l'impossibilità per una nazione di mantenere la propria unità, se parti di essa procedono a velocità diverse, accentuando fra loro il disequilibrio;
sarebbe auspicabile che il Governo facesse un'inversione di rotta e ricomprendesse nella sua agenda politica le istanze e le energie delle tante forze vive presenti nel tessuto sociale ed imprenditoriale del Mezzogiorno, al fine di farle emergere ed esprimersi nei contesti internazionali e sui mercati con maggiore facilità, senza rimanere penalizzate, come troppo spesso oggi accade, da fattori di contesto;
d'altra parte, nel corso degli anni le politiche per il Mezzogiorno hanno oscillato tra due paradigmi, quello assistenziale e quello compensativo, in funzione della diminuzione più o meno graduale del gap con il Centro-Nord, e che si sono rivelati fallimentari e non premianti;
il Mezzogiorno ha subito più del Centro-Nord le conseguenze della crisi economica, con una caduta maggiore del prodotto interno lordo e una riduzione ancora più pesante dell'occupazione nel biennio di recessione 2008-2009, mentre la debole ripresa del successivo biennio 2010-2011 è stata nell'area troppo incerta e insufficiente;
tra il 2007 e il 2011 il prodotto interno lordo meridionale ha subito una riduzione in termini reali del 6,1 per cento, a fronte di una riduzione del 4,1 per cento nel Centro-Nord;
il Mezzogiorno è a rischio desertificazione umana e industriale, si continua a emigrare (116 mila abitanti nel solo 2013) e a non fare figli, infatti nel 2013 continuano a esserci più morti che nati. Nel Sud la popolazione continua a impoverirsi, con un aumento del 40 per cento di famiglie povere nell'ultimo anno. Sono alcuni dati che emergono dal rapporto Svimez sull'economia del Mezzogiorno 2014 presentato il 28 ottobre a Roma;
nel 2013 al Sud i decessi hanno superato le nascite, confermando il trend già in atto dall'anno precedente. Un fenomeno così grave si era verificato solo nel 1867 e nel 1918, cioè alla fine di due guerre, la terza guerra d'indipendenza e la prima Guerra mondiale: «Nel 2013 il numero dei nati ha toccato il suo minimo storico, 177 mila, il valore più basso mai registrato dal 1861». «Il Sud – sottolinea la Svimez – sarà interessato nei prossimi anni da uno stravolgimento demografico, uno tsunami dalle conseguenze imprevedibili, destinato a perdere 4,2 milioni di abitanti nei prossimi 50 anni, arrivando così a pesare per il 27 per cento sul totale nazionale a fronte dell'attuale 34,3 per cento»;
la Svimez sottolinea come gli investimenti produttivi nel Sud sono crollati del 53 per cento;
la Calabria, come si evince dalla drammaticità e dalla crudezza del dato statistico, confermato da altri autorevoli centri di ricerca istituzionali, evidenzia sul piano socio-economico una drammatica specificità negativa, continuando inesorabilmente a declinare in un lento processo di separazione anche rispetto alle altre regioni del Mezzogiorno: i dati dei centri di ricerca evidenziano, sul piano socio-economico, una forte specificità negativa, anche rispetto alle altre regioni del Mezzogiorno;
la Calabria si conferma, infatti, la regione più povera d'Italia con un prodotto interno lordo pro capite che nel 2013 si è fermato a 15.989 euro, meno della metà delle regioni più ricche come Valle d'Aosta, Trentino Alto Adige e Lombardia. Nel Mezzogiorno la regione con il prodotto interno lordo pro capite più elevato è stata l'Abruzzo (21.845 euro). Seguono il Molise (19.374 euro), la Sardegna (18.620), la Basilicata (17.006 euro), la Puglia (16.512 euro), la Campania (16.291 euro), la Sicilia (16.152 euro) e la Calabria (15.989 euro). In generale, in termini di prodotto interno lordo pro capite, il Mezzogiorno nel 2013 è sceso al 56,6 per cento del valore del Centro-Nord, tornando ai livelli del 2003, con un prodotto interno lordo pro capite pari a 16.888 euro. In valori assoluti, a livello nazionale, il prodotto interno lordo è stato di 25.457 euro, risultante dalla media tra i 29.837 euro del Centro-Nord e i 16.888 euro del Mezzogiorno;
nel Sud appena il 21,6 per cento delle donne sotto i 34 anni è occupata contro il 43,0 per cento del Centro-Nord e una media nazionale del 34,7 per cento. Il confronto con la media dell'Unione europea evidenzia il divario. Nell'Europa a 27 Stati le donne sotto i 34 anni che lavorano sono il 50,9 per cento. Le donne che rientrano, o entrano per la prima volta, nel mercato del lavoro, vanno a ricoprire posizioni poco qualificate. Dal 2008 al 2013 le professioni qualificate femminili sono scese dell'11,7 per cento, mentre sono aumentati del 15 per cento i posti di lavoro nelle professioni poco qualificate;
il prodotto interno lordo si attesterà a -0,4 per cento nel 2014, come «risultato tra la stazionarietà del Centro-Nord (0 per cento) e la flessione del Sud (-1,5 per cento)». Per il Sud è il settimo anno di recessione. Forbice ancora divaricata nel 2015: il prodotto interno lordo nazionale, secondo le stime Svimez, è previsto a +0,8 per cento, quale risultato tra il +1,3 per cento del Centro-Nord e il -0,7 per cento del Sud;
nel 2013 il prodotto interno lordo è crollato nel Mezzogiorno del 3,5 per cento, peggiorando la flessione dell'anno precedente (-3,2 per cento), con un calo superiore di quasi due punti percentuali rispetto al Centro-Nord (-1,4 per cento). Il peggior andamento del prodotto interno lordo meridionale nel 2013 è dovuto soprattutto a una più sfavorevole dinamica della domanda interna con i consumi in calo del 2,4 per cento e gli investimenti crollati del 5,2 per cento. Da segnalare l'ulteriore perdita di posti di lavoro scesi sempre nel Mezzogiorno del 3,8 per cento. In un panorama fortemente negativo, le esportazioni nel 2013 hanno segnato -0,6 per cento al Sud. Tra il 2008 e il 2013 i redditi al Sud sono crollati del 15 per cento e i posti di lavoro sono diminuiti di circa 800 mila persone;
al Sud le famiglie assolutamente povere sono cresciute oltre due volte e mezzo, da 443 mila (il 5,8 per cento del totale) a 1 milione 14 mila (il 12,5 per cento del totale), cioè il 40 per cento in più solo nell'ultimo anno. È quanto emerge dal rapporto Svimez sull'economia del Mezzogiorno 2014. Secondo il rapporto, in Italia, dal 2008 al 2012, sono aumentate del 7 per cento le famiglie in stato di «deprivazione materiale severa», cioè che non riescono, ad esempio, a pagare l'affitto o il mutuo, fare una vacanza di una settimana una volta l'anno fuori casa, pagare il riscaldamento, fronteggiare spese inaspettate, e che magari non hanno l'automobile, la lavatrice, il telefono, la TV, e fanno fatica a fare un pasto di carne o pesce ogni due giorni. In Italia oltre due milioni di famiglie si trovavano nel 2013 al di sotto della soglia di povertà assoluta, equamente divise tra Centro-Nord e Sud (1 milione e 14 mila famiglie per ripartizione), con un aumento di 1 milione e 150 mila famiglie rispetto al 2007;
tra il 2008 e il 2013 delle 985 mila persone che in Italia hanno perso il posto di lavoro, ben 583 mila sono residenti nel Mezzogiorno. Nel Sud, pur essendo presente appena il 26 per cento degli occupati italiani si concentra il 60 per cento delle perdite determinate dalla crisi. Nel solo 2013 sono andati persi 478 mila posti di lavoro in Italia, di cui 282 mila al Sud. La nuova flessione riporta il numero degli occupati del Sud per la prima volta nella storia a 5,8 milioni, sotto la soglia psicologica dei 6 milioni; il livello più basso almeno dal 1977, anno da cui sono disponibili le serie storiche basi di dati. Nel primo trimestre 2014 il Sud ha perso 170 mila posti di lavoro rispetto all'anno precedente, contro -41mila nel Centro-Nord. A fronte di una quota di occupati pari a circa un quarto dell'occupazione complessiva, tra il primo trimestre del 2013 e il primo trimestre del 2014 l'80 per cento delle perdite di posti di lavoro in Italia si è concentrata al Sud;
l'ultimo rilevamento dell'Istat del 28 novembre 2014 certifica una volta di più che il tasso disoccupazione nel Mezzogiorno nel mese di ottobre 2014 supera il 20 per cento (rispetto ad un dato nazionale, pur preoccupante, del 13,3 per cento);
in questo scenario, rischiano di apparire come semplice palliativo anche strumenti e programmi, che avevano rappresentato almeno una speranza per i territori del Sud, come «Garanzia giovani»: quelle risorse rischiano di essere utili più a chi fa dell'intermediazione del lavoro o dell'intermediazione finanziaria la propria attività, piuttosto che per creare lavoro e reddito in quelle aree;
il tessuto sociale si presenta sempre più lacerato e le manifestazioni di insofferenza e di conflitto, che si allargano giorno dopo giorno, sono i sintomi di una malattia che potrebbe rendere instabile sia la coesione sociale che la forza stessa delle istituzioni;
di fronte a questa drammatica realtà tutto il dibattito sul Sud sembra appuntarsi sui fondi comunitari, come se questi fossero da soli in grado di portare il Mezzogiorno fuori dalle sue difficoltà attuali. Molti studiosi, viceversa, concordano sul fatto che lo sviluppo del Sud non può essere delegato interamente alle politiche di coesione dell'Europa;
basti riflettere che per il quadro strategico 2007-2013 restano da spendere da qui al 31 dicembre 2015 quasi 15 miliardi di euro tra Ministeri, regioni e privati. Per centrare l'obiettivo bisognerebbe spendere un miliardo al mese. Ma tale spesa è in larga misura inibita dal patto di stabilità interno. Secondo uno studio di Confindustria, nel 2015 per cinque regioni (Campania, Puglia, Calabria, Basilicata e Molise) il cofinanziamento nazionale e il fondo di coesione supereranno il 60 per cento della spesa massima consentita dal loro patto di stabilità, rendendo nei fatti impossibile il completo utilizzo delle risorse europee;
il Governo continua ad indicare la spesa dei fondi come unica via per uscire dalla crisi, ma esso sa bene che nel patto di stabilità non ci sono le condizioni finanziarie sufficienti ad effettuare i pagamenti. Quel poco che c'era (500 milioni di euro) nella legge di stabilità per il 2015 di esclusione dal patto di stabilità interno per il cofinanziamento delle regioni è stato, in seguito ai richiami della Commissione europea, addirittura soppresso;
inoltre, l'articolo 12 della legge di stabilità per finanziare gli sgravi contributivi per assunzioni a tempo indeterminato ha ridotto di un miliardo di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 e a 500 milioni di euro per l'anno 2018 le risorse del fondo di rotazione di cui all'articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183, già destinate agli interventi del Piano di azione per la coesione che, dal sistema di monitoraggio del dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, risultano non ancora impegnate alla data del 30 settembre 2014;
in pratica, si tratta di risorse tolte al Mezzogiorno per finanziare gli sgravi contributivi per supposte nuove assunzioni, sgravi che saranno attribuiti prevalentemente al Centro-Nord;
infine, non è ancora entrata in funzione l'Agenzia per la coesione a cui in tanti guardavano come una possibilità di aiuto per le regioni e i Ministeri, in questa ultima e difficile fase di completamento del programma comunitario 2007/2013;
l'incremento della dotazione infrastrutturale diventa pertanto assolutamente prioritario ed indilazionabile per rendere il Mezzogiorno area capace di creare e di attrarre investimenti e a farsi partecipe del nuovo ruolo di cerniera negli scambi commerciali tra Europa, Africa, Medio Oriente ed Asia, e che, sfruttando la sua collocazione geografica, è chiamato ad assumere nello scacchiere euromediterraneo, anche raccogliendo le nuove opportunità del contesto competitivo internazionale che torneranno a presentarsi dopo la tregua di tutti i conflitti del Nord Africa;
la sopradetta collocazione geopolitica del Meridione, crocevia geografico naturale e storico degli interessi e degli scambi economici e culturali tra Europa e Nord Africa e punto di approdo più vicino ai rivolgimenti in atto in quella regione, lo trova però costretto a fare i conti con quella che oramai è considerata una grande emergenza umanitaria e cioè l'esplosione del fenomeno immigratorio;
l'immigrazione non può essere arrestata, perché è parte della storia dell'umanità, ma va gestita nell'interesse dei Paesi di origine e di quelli di destinazione dei flussi migratori, anche e soprattutto per impedire il rischio di una deriva razzista, rischio che impone una rinnovata tensione ed un'azione pedagogica che si fondino su valori quali il rispetto della dignità umana, la solidarietà e la condivisione tra i popoli, tutti presupposti sui quali costruire una nuova politica dell'accoglienza di un territorio che, nonostante la sua grande vocazione solidale, è costretto a mettere a disposizione risorse logistiche, umane ed economiche necessarie per evitare il collasso del suo territorio, e che in questo sforzo ha dovuto e potuto contare solo sulle proprie forze che a volte sono risultate deboli e inadeguate per affrontare l'emergenza;
il Mezzogiorno, più che soldi, chiede più politica e più intelligenza. Il Mezzogiorno ha bisogno di un bacino produttivo autocentrato, esteso dal napoletano alla Sicilia;
sul versante della formazione i sistemi scolastico ed universitario del Meridione esprimono professionalità con buoni livelli di qualifica che il tessuto produttivo locale non riesce però ad assorbire e valorizzare adeguatamente, relegando molti giovani nella condizione di dover scegliere fra l'emigrazione o l'inattività. Infatti, il mancato superamento dei vincoli costituiti da un apparato produttivo debole e da un sistema sociale bloccato, nonostante i progressi raggiunti nella formazione scolastica ed universitaria, condanna il Mezzogiorno al ruolo di fornitore di risorse umane qualificate al resto del Paese, ed i suoi migliori giovani a cercare altrove le modalità per mettere a frutto le proprie competenze e realizzare i propri sogni;
occorre affrontare il declino italiano partendo dalla debolezza dell'economia meridionale: un deficit commerciale – quasi tutto in prodotti industriali – che è quasi il 20 per cento del suo prodotto interno lordo. Le numerose aree di eccellenza di cui è costellato il Mezzogiorno confermano che, al di là della retorica, quel territorio può costituire una risorsa per l'Italia, purché riesca a valorizzare ed esprimere pienamente le sue potenzialità, a partire da quelle umane e naturali,
impegna il Governo:
a prevedere a favore delle regioni ad obiettivo convergenza:
a) la messa a regime di forme di credito d'imposta automatico sugli investimenti in ricerca, innovazione e formazione, a favore delle imprese disposte ad investire nel Mezzogiorno;
b) lo sfruttamento del potenziale che ha il Sud per la produzione di energie tramite fonti rinnovabili attraverso il riconoscimento di significative tariffe incentivanti, come attualmente previsto dal V conto energia, ma limitato ai parchi solari su terreni delle pubbliche amministrazioni e sui tetti e le serre fotovoltaiche, per evitare ulteriori speculazioni sui terreni agricoli;
c) l'avvio di un'innovativa programmazione del fondi strutturali europei, non solo per accelerare la capacità di spesa, ma anche per migliorarne la qualità e l'efficacia, attraverso la concentrazione degli stessi su alcuni obiettivi, come scuola, formazione, ferrovie, agenda digitale, occupazione, servizi di cura per bambini e anziani, anche attraverso una maggiore responsabilizzazione delle strutture politico-amministrative centrali, con un orientamento ai risultati tramite obiettivi misurabili, e con la concentrazione su alcuni obiettivi prioritari senza comunque prescindere dall'ammodernamento dell'intera rete infrastrutturale del Sud, presupposto determinante per sfruttarne le potenzialità di piattaforma logistica e di collocamento geo-strategico che ne fanno il crocevia naturale degli scambi internazionali lungo le direttrici nord-sud e est-ovest;
a rilanciare gli investimenti in infrastrutture, la riqualificazione del territorio, la rigenerazione delle città, con uno specifico programma di risanamento urbano per le città capitali del Sud a partire dalla città di Napoli, e l'ammodernamento della rete dei trasporti e tutti gli interventi in grado di aumentare la competitività delle aree meridionali: gli assi viari, i collegamenti ferroviari tra le città del Mezzogiorno, le opere di consolidamento idrogeologico, di adeguamento statico e di efficientamento energetico degli edifici e di risanamento dell'edilizia pubblica e scolastica e il risanamento dei centri storici e delle periferie;
a mettere in essere una politica industriale articolata per la promozione delle energie rinnovabili, dell’hi-tech e delle infrastrutture immateriali;
a sostenere con politiche specifiche l'industria della cultura ed il turismo sostenibile e promuovere i territori e i diffusi «know how» locali;
a realizzare la linea ferroviaria di alta capacità Napoli-Reggio Calabria, facendo sì che la nuova linea – proprio perché è alta capacità e non alta velocità – sia spina dorsale di tutto il territorio meridionale, in grado di assicurare quasi dovunque frequentazioni giornaliere, con un tracciato che attraversi i territori interni, in cui sono storicamente situati gli insediamenti più rilevanti, e non – come il Governo sembra preferire – la costa tirrenica o, peggio, la costa ionica, tenendo conto che Potenza, in particolare, appare un nodo ferroviario irrinunciabile;
a realizzare la linea Alta velocità/Alta capacità Napoli-Bari ed a prevedere un raccordo ferroviario con Matera, città europea della cultura per il 2019;
ad assumere iniziative, per quanto di competenza, nell'ottica della creazione di tre nuove città policentriche, per un adeguato servizio ferroviario regionale che, in sinergia con l'alta capacità, leghi in relazioni urbane (60 minuti) due gruppi di comuni, uno in Basilicata e Puglia (Potenza, Tricarico, Ferrandina, Matera, Altamura, Gravina, Genzano) e l'altro in Calabria (Cosenza, Rogliano, Serrastretta, Catanzaro, più gli insediamenti limitrofi);
ad assumere le iniziative di competenza per realizzare la terza città policentrica con baricentro nel bipolo Reggio Calabria-Messina, nonché il tracciato anulare della città policentrica apulolucana (peraltro, in parte già realizzato ma mai completato), mentre il tracciato lineare della città calabrese sarebbe a costo zero (coincidendo con quello dell'alta capacità), considerato che il nuovo assetto territoriale aprirebbe una prospettiva industriale oggi impensabile;
a costruire, grazie alla potenza delle economie di agglomerazione messe in gioco e le filiere produttive (prime fra tutte quelle distrettuali del made in Italy) che potrebbero agevolmente superare la loro frammentazione, configurando articolate relazioni intersettoriali ed integrando vecchie e nuove attività, un bacino produttivo aperto ai Paesi rivieraschi del Mediterraneo, in grado di offrire tutto ciò che occorra ad un loro appropriato sviluppo;
ad intraprendere le opportune iniziative per fare diventare i porti di Taranto, Gioia Tauro e Crotone – in coordinamento con Genova e Trieste – il nodo esclusivo dei flussi commerciali tra Oriente e Occidente e, quindi, sedi di nuove rilevanti attività manifatturiere, in modo che si possano trasformare, grazie al gigantismo navale e alle crescenti economie di scala con cui stanno facendo i conti le grandi compagnie di navigazione, i porti che diverrebbero luoghi appetibili non solo per le attività indotte dalla movimentazione container (assemblaggio, imballaggio ed altro), ma anche per altre attività cui sia strategico l'accesso al mare, potendosi creare nei retro-porti un polo specializzato della meccanica strumentale pesante;
a confermare la percentuale di riparto del Fondo per lo sviluppo e la coesione assegnando l'85 per cento delle risorse al Sud e il 15 per cento al Centro-Nord;
a dare rapida attuazione agli interventi a favore dei lavoratori in mobilità, dei licenziati, dei giovani e delle donne disoccupati, degli inattivi e di coloro che né lavorano, né svolgono un'inattività di studio o formazione (neet) del Mezzogiorno, nonché ad aumentare gli sforzi per creare un contesto favorevole allo sviluppo economico ed alla crescita dell'occupazione, utilizzando parte significativa delle risorse derivanti dalla terza e ultima riprogrammazione dei fondi comunitari;
a finanziare misure di agevolazione fiscale de minimis per le micro e le piccole imprese, con particolare attenzione alle imprese a conduzione o a prevalente partecipazione giovanile e femminile, operative nelle città con aree a più elevata criticità economico-sociale del Meridione;
a promuovere, coerentemente con quanto recita l'articolo 119, quinto comma, della Carta costituzionale, «la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona», con un forte presidio nazionale degli interventi finanziati con il Piano di azione coesione, con particolare riferimento ai servizi di cura per la prima infanzia e gli anziani, verificando, in tale contesto di promozione dei diritti di cittadinanza, la possibilità di concentrare le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione per gli obiettivi di servizio sugli interventi volti ad aumentare i servizi socio-assistenziali per bambini ed anziani nei comuni, nonché l'opportunità di estendere la sperimentazione della nuova social card familiare a tutti i comuni del Sud o, in alternativa, ai soli comuni capoluogo e valutando ogni altro adempimento, di competenza del Governo, necessario a migliorare l'efficienza delle strutture ospedaliere;
a promuovere l'internazionalizzazione delle imprese meridionali, in particolare attraverso interventi mirati a sostegno della capacità di penetrazione nei mercati esteri dei settori di specializzazione e l'attivazione di forme di tutoraggio a vantaggio delle piccole e medie imprese dei settori ad elevato potenziale;
a promuovere, attraverso un tavolo permanente Cipe-regioni del Mezzogiorno e Trenitalia o altri concessionari, un efficace monitoraggio della qualità del servizio di trasporto passeggeri di media e lunga percorrenza, anche con riferimento al contratto di servizio con Rete ferroviaria italiana, nel più ampio tema della mobilità nel Mezzogiorno e dal Sud verso il Centro-Nord e viceversa, che interessi anche la razionalizzazione e il rafforzamento del sistema portuale e aeroportuale calabrese, anche attraverso un progetto che preveda l'utilizzo in modo integrato e intermodale dell'attuale assetto del trasporto (treni, aliscafi, bus e aerei), per rendere più efficiente ed economica la gestione del sistema stesso, in sinergia con il sistema dei trasporti della Sicilia;
a sostenere per le regioni obiettivo convergenza, nell'ambito dei negoziati per la riforma della politica agricola comune, una riforma non penalizzante dei pagamenti diretti, favorendo l'inserimento nel greening anche dell'olivicoltura e dell'agrumicoltura, nonché una riforma che preveda un aiuto specifico in favore delle coltivazioni tipiche di tali aree, anche sotto forma di maggiorazione degli aiuti diretti della politica agricola comune;
a sollecitare la realizzazione di interventi per lo sviluppo dei principali siti archeologici ed un programma specifico per i siti Unesco del Mezzogiorno, anche per accrescere l'offerta turistica, rendendola adeguata e competitiva, attraverso, in particolare, il potenziamento dei servizi di accoglienza delle aree archeologiche, nel quadro dell'ampia riprogrammazione dell'intervento per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale delle regioni del Sud, finanziato attraverso le risorse dei fondi strutturali comunitari;
a riprogrammare le risorse disponibili mantenendole integralmente al Mezzogiorno, ivi incluse quelle derivanti dalla riduzione del cofinanziamento nazionale;
ad indirizzare interventi adeguati nelle agglomerazioni produttive vitali, industriali e agricole, del Mezzogiorno allo scopo di rafforzare soprattutto il contesto territoriale nelle aree capaci di esportare e di cogliere così i benefici della domanda mondiale;
a compensare i maggiori costi unitari delle imprese del Mezzogiorno e le loro difficoltà nell'accesso al credito, sia rilanciando lo strumento del fondo di garanzia, sia sbloccando i contratti di sviluppo, sia rifinanziando gli strumenti volti al sostegno dell'imprenditoria giovanile, sia infine, ricorrendo, previa intesa con la Commissione europea, ai crediti d'imposta per l'occupazione e gli investimenti destinando una quota significativa di risorse;
ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per rafforzare i servizi per la cura dell'infanzia e degli anziani non autosufficienti, ambito nel quale gli interventi possono migliorare significativamente la condizione dei cittadini specie in una fase di forte compressione del reddito disponibile dalle famiglie del Mezzogiorno;
ad assumere iniziative per reintegrare, nell'ambito del riparto e della programmazione 2014-2020 delle risorse comunitarie e del Fondo per lo sviluppo e la coesione, le risorse che il Mezzogiorno ha perduto negli ultimi anni.
(1-00680)
(Nuova formulazione) «Scotto, Costantino, Sannicandro, Palazzotto, Duranti, Piras, Giancarlo Giordano, Ferrara, Placido, Matarrelli, Pannarale».
(2 dicembre 2014)
La Camera,
premesso che:
come riporta la Svimez nel suo Rapporto sull'economia del Mezzogiorno per l'anno 2014 ci si trova di fronte ad un Sud dove si continua a: emigrare (116 mila abitanti nel solo 2013); non fare figli (continuano nel 2013 a esserci più decessi che nascite); impoverirsi (+40 per cento di famiglie povere nell'ultimo anno i consumi delle famiglie crollano di quasi il 13 per cento in cinque anni) perché manca il lavoro;
dall'inizio della crisi (fine 2008) il prodotto interno lordo meridionale è caduto di quasi 14 punti percentuali, contro poco più di 5 nel resto del Paese (attualmente il prodotto interno lordo pro capite meridionale è pari ad appena il 56 per cento di quello del Centro-Nord, come negli anni Cinquanta). Gli investimenti fissi lordi meridionali sono caduti, sempre da inizio crisi, di oltre trenta punti percentuali, con punte di quasi il 50 per cento nel settore industriale. Nel Sud, dove vive circa il 30 per cento dell'intera popolazione italiana, vi è più del 50 per cento dell'intero stock di disoccupati italiani (e il tasso di disoccupazione è doppio rispetto a quello italiano);
fino ad oggi, come richiamato anche dalla stessa Commissione europea, la dispersione e la parcellizzazione delle risorse in un numero eccessivo di progetti, la mancanza delle condizionalità ex ante, che mirano a garantire efficacia ed efficienza, la scarsa capacità amministrativa e l'assenza di piani specifici settoriali sono state le criticità che hanno caratterizzato la gestione dei fondi europei nel nostro Paese;
in conseguenza degli effetti del patto di stabilità interno e delle limitazioni della finanza pubblica, tra i principali strumenti per il finanziamento di tali interventi, un ruolo cruciale è svolto dalle risorse destinate agli interventi del Piano di azione per la coesione che, come noto, ha l'obiettivo di colmare i ritardi ancora rilevanti nell'attuazione e, al contempo, rafforzare l'efficacia degli interventi, in attuazione degli impegni assunti con la lettera del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore al presidente della Commissione europea e al presidente del Consiglio europeo del 26 ottobre 2011 e in conformità alle conclusioni del vertice dei «Paesi euro» dello stesso 26 ottobre 2011, impegnando quindi le amministrazioni centrali e locali a rilanciare i programmi in grave ritardo, garantendo una forte concentrazione delle risorse su alcune priorità;
sul tema del rilancio economico e sociale del Mezzogiorno, nella seduta dell'11 novembre 2014, la Camera dei deputati ha approvato la mozione n. 1-00612 che prevedeva l'impegno del Governo a:
a) velocizzare l’iter per rendere pienamente operativa l'Agenzia per la coesione territoriale con adeguata dotazione di personale, al fine di migliorare la capacità di impiego dei fondi strutturali sia per quanto riguarda la parte rimanente della programmazione 2010-2013, sia in relazione alla prossima programmazione;
b) proporre al Cipe, entro 30 giorni dall'approvazione della presente mozione, l'adozione di un'apposita delibera per la formalizzazione delle questioni legate al cofinanziamento, assicurando che tutte le risorse nazionali destinate al cofinanziamento rimangano comunque a disposizione delle regioni a cui erano originariamente destinate;
c) relazionare al Parlamento semestralmente circa l'impiego delle citate risorse;
d) attivare una procedura concertativa con le regioni volta ad individuare i meccanismi correttivi e perequativi che consentano al Mezzogiorno di superare le criticità della «spesa storica» in materia di welfare;
e) procedere rapidamente ad un censimento delle risorse ancora disponibili e non ancora utilizzate nell'ambito degli strumenti della programmazione negoziata, finalizzato alla predisposizione di un piano di rilancio industriale, improntato sulle specificità e le eccellenze produttive presenti nel Mezzogiorno, avviando una nuova stagione di utilizzo degli strumenti della programmazione negoziata, ivi compresi i contratti d'area, i patti territoriali, i contratti di programma e i contratti di localizzazione, sulla base delle migliori pratiche e delle esperienze di successo del passato;
f) rafforzare, ulteriormente, i progetti in materia di sicurezza e legalità per contrastare la presenza dei fenomeni criminali, prima vera condizione per il rilancio delle politiche di sviluppo;
g) creare un apposito osservatorio sulle infrastrutture del Mezzogiorno con l'obiettivo di velocizzare gli investimenti in atto e individuare le priorità per la connessione del Sud ai principali corridoi di comunicazione europei;
h) potenziare i progetti concernenti il contrasto alla povertà come previsto dall'Obiettivo tematico n. 9, mettendoli in relazione agli strumenti per la realizzazione di politiche attive di lavoro ed inserimento professionale per la creazione di un nuovo welfare;
i) concentrare la dovuta attenzione, nell'ambito della prossima programmazione, nei confronti di progetti legati alla messa in sicurezza del territorio e al contrasto dei fenomeni di dissesto idrogeologico che caratterizzano il Mezzogiorno;
l) valorizzare il patrimonio culturale e paesaggistico del Sud, riservando parte della dotazione disponibile a partire dal residuo della programmazione 2007-2013 per le politiche di recupero e promozione, mettendo in rete i grandi poli di attrazione e i siti Unesco;
m) riservare alle regioni del Sud parte della dotazione disponibile per quanto riguarda la programmazione 2014-2020 per le politiche ambientali nonché per il prosieguo dei processi di bonifica e messa in sicurezza dei siti di interesse nazionale e dei siti caratterizzati da particolari lavorazioni;
si è trattato di impegni che rappresentano un punto di svolta dopo anni in cui il Mezzogiorno è stato, di fatto, derubricato dalle priorità politiche e di governo;
in questi mesi l'attività dell'Esecutivo Renzi ha consentito al Sud di rientrare nell'agenda del Governo e lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri non ha mancato di manifestare la sua attenzione, monitorando l'andamento dell'utilizzo dei fondi strutturali da parte delle regioni meridionali e visitando personalmente, insieme al Sottosegretario di Stato Delrio diverse realtà complesse e, allo stesso tempo, ricche di opportunità del Sud, come Pompei, Bagnoli, Termini Imerese, Mola di Bari, Catania, Reggio Calabria, Morra De Sanctis solo per citarne alcune;
è evidente l'urgenza di una policy specifica per attirare gli investimenti nel Mezzogiorno e consolidare le realtà produttive già presenti; è opportuno, a tal proposito, tenere presente due importanti elementi: a) nel Sud, nonostante la crisi che l'ha colpito, sono tuttora rinvenibili agglomerati industriali significativi. Basti pensare all'elettronica nell'area di L'Aquila e Avezzano; l'aerospaziale in Campania e in Puglia; le aziende attive nelle tecnologie dell'informazione e della comunicazione a Cagliari; la meccatronica a Bari e l'elettronica a Catania. In questi poli, nel complesso, trovano occupazione più di 40 mila addetti; il fatturato totale (2011) supera gli 8,5 miliardi di euro, di cui circa un terzo destinato all'esportazione; relativamente ampio è il ricorso a ricercatori e personale qualificato; b) sono in corso fenomeni di reshoring, ovvero ritorno in Italia (ed anche nei Paesi di più antica industrializzazione) di produzioni precedentemente delocalizzate, anche in produzioni cosiddette «tradizionali». Il Sud potrebbe intercettare parte di questo movimento;
appare ragionevole e condivisibile scongiurare il rischio che vadano inutilizzate le risorse europee non ancora impegnate, ed è non solo auspicabile, ma assolutamente necessario, dare corso a tutte le misure volte a superare i ritardi e le inefficienze sin qui registrate nell'utilizzo delle risorse dei fondi strutturali e, in ogni caso, individuare i meccanismi, anche di carattere sostitutivo da parte dello Stato, finalizzati ad assicurare per il futuro la realizzazione nei territori del Mezzogiorno di quegli interventi indispensabili per il suo riscatto;
è essenziale, quindi, assumere provvedimenti anche urgenti al fine di assicurare interventi concreti in favore dei territori del Mezzogiorno, nella convinzione che, se non ripartirà l'economia del Mezzogiorno, è l'intero Paese che rimarrà più povero e più fragile sul piano della concorrenza internazionale, oltre che più ingiusto,
impegna il Governo:
a promuovere interventi aventi per obiettivo quello di potenziare le strutture nel Mezzogiorno finalizzate a facilitare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, in particolare per i giovani;
a promuovere lo sviluppo di un sistema creditizio e finanziario in grado di sostenere e supportare le imprese, con particolare attenzione ai settori ad alta capacità di innovazione, nonché a procedere ad un riordino complessivo, e ad un loro effettivo coordinamento, di enti e strutture, a partire dalla Banca del Mezzogiorno, che operano nel settore;
a favorire, d'intesa con le regioni interessate, piani di formazione permanente a beneficio dei lavoratori ultracinquantenni al fine di promuovere politiche attive di reinserimento lavorativo;
a rendere pienamente operativi e a rafforzare gli strumenti di contrasto del disagio sociale presente in ampie fasce della società meridionale;
ad attivare politiche generali e di promozione locale finalizzate ad una nuova residenzialità nei territori caratterizzati, in questi ultimi anni, da un forte calo demografico, prevedendo politiche sperimentali in favore dei piccoli comuni, situati nelle zone svantaggiate e nelle aree interne;
ad individuare, nel quadro di un ampio confronto con le regioni e le amministrazioni del Mezzogiorno, le opportune soluzioni, anche di carattere normativo, volte ad assicurare il tempestivo utilizzo delle risorse dei fondi strutturali della Politica agricola comune per interventi e progetti da realizzarsi esclusivamente nelle regioni obiettivo-convergenza del Sud, facendo ricorso, ove necessario, all'esercizio del potere sostitutivo nei confronti delle amministrazioni che si dovessero rivelare inadempienti;
ad indire, entro il mese di marzo 2015, una conferenza nazionale di governo sul Mezzogiorno con la quale coinvolgere tutti i soggetti istituzionali e sociali del Sud nella redazione di misure finalizzate al rilancio economico e sociale del meridione.
(1-00685)
«Famiglietti, Covello, Mura, Valiante, Mariano, Ventricelli, Tino Iannuzzi, Sgambato, Greco, Oliverio, Mura, Grassi, Capone, Venittelli, Iacono, Tartaglione, Schirò, Moscatt, Magorno, Migliore, Censore, Vico, Amoddio».
(3 dicembre 2014)
La Camera,
premesso che:
il persistere della crisi economica, trasformatasi in recessione con fenomeni di stagnazione, sta compromettendo in modo irreversibile il sistema economico e produttivo italiano e, in particolare, ha reso insostenibili i livelli di disoccupazione e di deindustrializzazione e mancato sviluppo nel Mezzogiorno d'Italia;
a maggior ragione è più sentita l'esigenza di una prioritaria attenzione per risollevare l'economia meridionale, caratterizzata da anni da un gap infrastrutturale, in termini di trasporti, logistica, ricerca e innovazione, rispetto al resto del Paese;
le conseguenze della persistenza delle associazioni mafiose nel Mezzogiorno si intrecciano in modo complesso con l'economia del Sud, stravolgendo le regole del «fare impresa» e scoraggiando gli investimenti stranieri, oltre che creando un grave e indiscusso disagio sociale;
ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, l'attuale politica governativa non sta assumendo misure per sostenere la debole economia del Sud, in un grave contesto economico e sociale di disagio e disoccupazione diffusa;
a fronte di questa situazione disastrosa, l'impegno del Governo per il Mezzogiorno sembrerebbe consistere solo in una migliore e più razionale utilizzo dei fondi strutturali, misura indispensabile e dovuta, ma non sufficiente;
nonostante l'enorme ammontare di risorse, che negli anni sono state destinate al Mezzogiorno, il Sud permane arretrato e caratterizzato da un'evidente carenza di infrastrutture, mai realizzate, ancorché grazie alla posizione geografica ed alla dotazione di porti e aeroporti, potrebbe svolgere un ruolo di cerniera negli scambi commerciali tra Europa, Mediterraneo e Paesi del far east e raccogliere le nuove opportunità del contesto competitivo internazionale;
oltre che dall'inefficienza e dallo spreco, ovvero dal mancato utilizzo delle risorse europee per le regioni del Sud, lo sviluppo dell'economia locale è da sempre ostacolato dalla presenza delle associazioni mafiose nel Mezzogiorno, che stravolgono le regole del «fare impresa» e scoraggiano gli investimenti stranieri, che le politiche del Governo Renzi vorrebbero attrarre con le misure adottate soprattutto in materia di diritto del lavoro, il cosiddetto Jobs act, e che rischiano di non approdare mai nelle regioni meridionali per la diffusa criminalità;
è fondamentale che lo Stato rafforzi la propria presenza in tali territori, consolidando i tribunali, presidio di legalità e freno alla criminalità, che permane uno dei principali fattori di ostacolo e disincentivo all'esercizio della libera imprenditorialità;
indispensabile, inoltre, sarebbe un maggior impegno da parte del Governo a porre in essere misure più incisive per sconfiggere la criminalità organizzata e tutti quei fenomeni di illegalità da essa generati, che rallentano e ostacolano la crescita e lo sviluppo, come il già citato racket, nonché tutte le condotte tipiche della microcriminalità ed il fenomeno illegale diffuso del lavoro sommerso;
occorre un intervento capace di promuovere sviluppo ed occupazione nel Mezzogiorno, al fine di favorire la ripresa dell'economia meridionale, come base per la crescita e lo sviluppo dell'intero Paese, anche favorendo, sin dall'età scolare, percorsi educativi volti a stimolare un cambio culturale che determini, già in età giovanile, l'educazione all'impresa;
la gravità della crisi economica induce molte imprese a chiudere, in quanto non rientrano nei parametri degli studi di settore, e il complesso scenario economico italiano, aggravato dalle conseguenze della crisi finanziaria, pone ancora una volta in primo piano la questione di un Paese con due differenti velocità di sviluppo; infatti, nel Mezzogiorno si produce solo un quarto del prodotto interno e si genera soltanto un decimo delle esportazioni italiane;
oltre alla già citata distorsione delle risorse destinate al Sud, si aggiungono i critici tagli operati sulla dotazione del fondo per aree sottoutilizzate, per finanziare interventi di diversa natura o fatti oggetto di corruttela o non sempre corrispondenti a finalità di sviluppo e quasi sempre non localizzati nel Mezzogiorno;
la politica statale si dovrebbe coordinare con le politiche delle regioni meridionali con il precipuo obiettivo di dare impulso e proseguire lo sviluppo del sistema industriale meridionale, ancora in larga misura sottodimensionato: lo Stato dovrebbe farsi promotore di una politica attiva di sviluppo e di investimento nell'ambito di un disegno in cui lo Stato divenga responsabile di una politica di sostegno all'industria come elemento catalizzatore della crescita, consolidando e adeguando l'attuale sistema produttivo e riqualificandone il modello di specializzazione, abbracciando settori che possano creare nuove opportunità di lavoro e fette di mercato anche per le piccole e medie imprese;
per quanto riguarda le problematiche connesse alla formazione delle nuove generazioni, si consideri che oltre un terzo dei laureati del Mezzogiorno under 34 è inattivo e la differenza con le regioni settentrionali diventa enorme, se si considera il tasso di inattività dei diplomati under 34; i tassi di scolarizzazione in Italia presentano divari sfavorevoli al Meridione e sono accompagnati da un parallelo aumento del tasso di abbandono, dovuto alle condizioni di degrado sociale e familiare. Negative sono anche le evidenze in termini di «qualità» della formazione, dal momento che gli studenti meridionali, che terminano la loro carriera accademica, hanno maggiori difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro. Si genera così un ampio fenomeno migratorio dei «cervelli» che lasciano le regioni del Sud, provocando un depauperamento del capitale umano disponibile, fenomeno che, non solo interessa l'area del Sud Italia, bensì tutto il territorio nazionale e incide fortemente e in modo negativo sul livello della qualità della ricerca effettuata nel nostro Paese, fattore necessario per la ripresa economica. Basti pensare alla ricerca nel know how e all'impiego dello stesso nelle imprese;
il settore della ricerca e dell'innovazione risulta in questi ultimi anni incisivamente compromesso da interventi sulla spesa pubblica con tagli lineari che hanno agito sul sistema universitario nazionale e, quindi, sulla ricerca. Il sistema nazionale universitario è stato oggetto di recente riforma con la legge n. 240 del 2010 e, seppur presenti dei punti di forza, quali il buon posizionamento della ricerca italiana a livello internazionale e la crescita della percentuale dei laureati tra i giovani, registra significative carenze strutturali e di organico nei confronti dei Paesi europei, come:
a) il forte e crescente sottodimensionamento del personale universitario e, in particolare, del corpo docente, che aggrava il già basso numero di ricercatori rispetto agli altri Paesi europei e il rapporto ancora molto basso tra docenti e studenti;
b) un'eccezionale lunghezza del percorso pre-ruolo, con conseguente innalzamento dell'età di ingresso di ruolo;
c) un livello insufficiente dei finanziamenti pubblici e privati dell'università;
d) un diritto allo studio privo di adeguate garanzie;
e) un disallineamento tra formazione universitaria e lavoro;
in base al comma 13-bis dell'articolo 66 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, le università statali possono procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato e di ricercatori a tempo determinato nel limite di un contingente corrispondente ad una spesa pari al 50 per cento di quella relativa al corrispondente personale complessivamente cessato dal servizio nell'anno precedente e la predetta facoltà è fissata nella misura del 50 per cento per gli anni 2014 e 2015, del 60 per cento per l'anno 2016, dell'80 per cento per l'anno 2017 e del 100 per cento a decorrere dall'anno 2018;
auspicabile, quindi, sarebbe mettere al centro dell'agenda politica l'istruzione e la ricerca, potenziando il sistema universitario in termini di risorse umane, finanziamenti e di infrastrutture, agendo sul fondo per il finanziamento ordinario delle università;
per quanto riguarda le opportunità di sviluppo, il Sud avrebbe modo di risollevare le sorti occupazionali già solo attraverso l'industria del turismo; tuttavia, i dati relativi al turismo nel Meridione sono paradossali: su 100 stranieri che visitano l'Italia, meno di 1 va in Calabria (0,9 per cento per chi ama l'esattezza), ancora meno in Molise. In Basilicata si raggiunge lo 0,1 per cento e in Abruzzo lo 0,6 per cento. Sommando le otto regioni meridionali, includendo Sicilia e Sardegna, si arriva al 13,2 per cento. Fa di più il solo Trentino-Alto Adige, con il 14,2 per cento. Le politiche del turismo sono, pertanto, fallimentari;
vari studi hanno tentato di quantificare, in termini di ritorno economico e occupazionale, lo sviluppo turistico del Sud anche per sollecitare un cambiamento culturale in tal senso, ma senza rilevanti risultati, e la causa non è la mancanza di fondi (le recenti difficoltà del programma operativo interregionale «Attrattori culturali, naturali e turismo» confermano che le criticità sono spesso politiche): i contributi europei arrivati al Sud non hanno generato virtuose sinergie tra destinazioni, operatori e investitori esterni, né hanno dato vita a poli di eccellenza che potessero «contaminare» positivamente i territori;
è necessario promuovere lo sviluppo sostenibile del territorio, con particolare attenzione alle opportunità che offre la richiesta turistica per le località meridionali, che richiedono una implementazione di prodotti, servizi e infrastrutture in grado di far fronte alla domanda. Opportuno sarebbe selezionare le strutture, i siti, i beni di più grande interesse siti nel Meridione e abbandonati per valorizzarli, nonché rafforzare a livello regionale la convergenza della governance territoriale in materia di politiche culturali e turistiche, la conoscenza dell'eredità storica e archivistica degli interventi per lo sviluppo del territorio, la partecipazione alle scelte amministrative in materia di gestione e fruizione dei beni culturali e la capacità di tutela e valorizzazione del patrimonio archeologico;
in materia ambientale, da oltre un decennio permane insoluto il problema di un'efficiente gestione delle acque nel distretto idrografico dell'Appennino meridionale, con particolare riguardo al sistema di depurazione delle acque, che nella regione Puglia rappresenta una vera emergenza nel settore della tutela delle acque superficiali e sotterranee e dei cicli di depurazione;
l'emergenza ambientale che ne consegue, oltre ad essere incompatibile con la normativa europea in materia ambientale, di cui alla direttiva comunitaria 2000/60, ripresa ed integrata nel decreto legislativo n. 152 del 2006, nel decreto legislativo n. 30 del 2009, nella legge n. 13 del 2009 e nel decreto legislativo n. 194 del 2009, rende improcrastinabili investimenti urgenti per la risoluzione definitiva della gestione e depurazione delle acque, interventi che contribuirebbero sia all'incremento occupazionale, sia al sostegno di piani di sviluppo delle attività agricole nei territori meridionali interessati;
peraltro, l'efficiente gestione del sistema di depurazione è un importante obiettivo per garantire la massima tutela dell'ambiente e per la tutela della salute dei cittadini, sia per questione etiche sia come contributo per lo sviluppo delle attività turistiche, compromesse dai casi di inquinamento dei tratti di mare, interessati dallo sversamento di liquidi non sufficientemente depurati e ricchi di sostanze prodotte da impianti industriali;
il rilancio dell'economia del Mezzogiorno non può prescindere da interventi di sostegno al settore agricolo, finalizzati a migliorare la commercializzazione, adeguare la produzione alla domanda, ottimizzare i costi di produzione e stabilizzare i prezzi alla produzione, incentivare l'utilizzo di strumenti di gestione del rischio e contribuire al rafforzamento della posizione dei produttori, nonché di facilitare il dialogo tra i soggetti della filiera; è indispensabile promuovere forme di organizzazioni di produttori ed organizzazioni interprofessionali,
impegna il Governo:
ad utilizzare le risorse finanziarie dell'Unione europea, anche mediante il cofinanziamento nazionale, per interventi di adeguamento e messa a norma, nonché di incremento dei depuratori in tutte le regioni del Meridione, con particolare priorità per la regione Puglia, assolutamente insufficienti ed inadeguati;
ad adottare provvedimenti necessari ad aumentare il reclutamento dei ricercatori e garantire la stabilizzazione del personale di ricerca nel sistema universitario, con particolare riguardo alle regioni del Mezzogiorno, anche al fine di valorizzare la ricerca propedeutica allo sviluppo di nuove tecnologie e progetti industriali innovativi per lo sviluppo dell'economia meridionale, nonché a valutare l'opportunità di un intervento volto ad aumentare le capacità assunzionali fortemente limitate dall'articolo 66, comma 13-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, della legge 6 agosto 2008, n. 133;
nell'ambito della riorganizzazione e razionalizzazione dei corpi di polizia e dei corpi armati, a garantire un maggior presidio delle medesime nelle zone del Mezzogiorno maggiormente interessate da fenomeni di criminalità organizzata, al fine di eliminare gli ostacoli e i disincentivi alle attività imprenditoriali;
nel settore agricolo, a promuovere forme di organizzazioni di produttori ed organizzazioni interprofessionali nel Mezzogiorno come disposto dal regolamento (UE) n. 1308/2013 recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli.
(1-00688)
«Cariello, Baldassarre, Currò, Rostellato, Barbanti, Tripiedi, Bechis, Chimienti, Ciprini, Cominardi, Rizzetto».
(12 dicembre 2014)
La Camera,
premesso che:
i dati trimestrali diffusi nel mese di novembre 2014 dall'Istituto nazionale di statistica – Istat, relativi al terzo trimestre sull'andamento dell'economia italiana, confermano una situazione di estrema debolezza, in particolare con riferimento al tasso di disoccupazione pari all'11,8 per cento (in crescita di 0,5 punti percentuali su base annua), i cui livelli da record restano i più alti dall'inizio delle serie storiche introdotte dal 1977;
nel Mezzogiorno l'incremento rilevato, a fronte della media nazionale del 39,3 per cento, risulta essere al 19,6 per cento e raggiunge nel complesso valori estremamente preoccuparti sul piano sociale ed economico fra le fasce giovanili, pari 51,3 per cento, intensificando pertanto i divari territoriali tra le aree del Nord (con l'indicatore pari al 7,8 per cento) con quelle meridionali (il cui differenziale risulta essere pari al 19,6 per cento);
la ripartizione regionale pubblicata dal citato istituto, evidenzia, inoltre, che la regione Sicilia risulta, secondo l'ultimo trimestre, quella con il numero più elevato di disoccupati a livello nazionale, con il tasso di disoccupazione salito al 21,2 per cento e (+1,5 per cento rispetto allo stesso periodo del 2013) un differenziale di 10 punti percentuali in più rispetto alla media nazionale (11,8 per cento), ovvero il più alto della media del Mezzogiorno (19,6 per cento);
alle citate rilevazioni statistiche, si affiancano ulteriori analisi più approfondite e significative, provenienti dall'Associazione per lo sviluppo dell'industria e il Mezzogiorno – Svimez, connesse alle condizioni di profonda sofferenza e disagio, sociale ed economica che persiste nel sesto anno di crisi italiana per l'economia meridionale, che evidenzia come il fenomeno si stia radicalizzando nelle aree sottoutilizzate ad alta densità di disoccupati, in cui ad un'emergenza economica, contrassegnata da forti rischi di desertificazione industriale, s'intreccia, in modo sempre più stringente, l'esigenza di una mancata crescita e un potenziale sviluppo produttivo;
alla persistente crescita tendenziale del numero dei disoccupati nelle regioni del Mezzogiorno (pari a oltre 3,5 milioni di individui, con quella giovanile giunta al 43,3 per cento e sempre più fuori controllo), si collegano i dati sulla mancata capacità competitiva delle imprese localizzate nelle aree territoriali del Sud Italia, che risentono della maggiore fragilità strutturale di «fare sistema», rispetto alle altre del Paese, ed il cui valore aggiunto in termini di produttività si attesta soltanto al 16,9 per cento, a differenza delle regioni del Nord Italia, che contribuiscono, invece, per il 61,7 per cento, e quelle del Centro, che si attestano al 21,4 per cento;
l'evidente assenza di significativi interventi da parte del Governo Renzi, diretti al superamento dei divari di crescita esistenti tra il Centro-Nord ed il Mezzogiorno, volti alla promozione dello sviluppo territoriale nelle aree sottoutilizzate, manifestatisi sin dall'inizio del suo insediamento, hanno accresciuto le dinamiche negative delle regioni meridionali e, in particolare, riferite al sistema imprenditoriale, che per dimensione, caratteristiche settoriali e capacità competitiva è meno attrezzato a resistere ad una dinamica negativa di un ciclo recessivo così lungo e pervasivo;
la debolezza delle aree sottosviluppate emerge in maniera rilevante anche dal confronto con altre realtà territoriali europee, caratterizzate da un livello di sviluppo economico simile, a causa dell'inefficienza (emersa in particolare nell'ultimo anno) nell'accelerazione dei programmi di spesa, in ragione dei consistenti ritardi europei, già destinati agli interventi del piano di azione e coesione e, in particolare, dal fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie;
il dimezzamento delle risorse nazionali previsto da recenti interventi del Governo nell'ambito della politica di coesione relativo al periodo 2014-2020, per la definizione del nuovo quadro strategico nazionale, nei confronti della Campania, la Calabria e la Sicilia, a cui si aggiunge il concreto rischio di aggiungere 30 miliardi di euro relativi ai fondi strutturali relativi al periodo 2007-2013, che stanno per essere persi definitivamente, non riconosciuti dall'Unione europea, o perfino restituiti dalle regioni ritardatarie (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia), confermano a tal fine come lo svolgimento delle competenze attribuite all'Agenzia per la coesione territoriale (istituita ai sensi dell'articolo 10 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125), finalizzate ad imprimere una svolta decisiva nella capacità di spesa dei fondi europei e sostenere pertanto lo sviluppo produttivo del Mezzogiorno, risulta essere inadeguato rispetto alle finalità per le quali l'Agenzia era stata istituita;
a tal fine, il quadro previsionale decisamente sconfortante che rileva la Svimez, per il biennio 2014-2015, nell'ambito delle politiche di coesione a fronte della crisi economica e sociale del Mezzogiorno, evidenzia che nel periodo 2007-2013, a conclusione del ciclo di programmazione dei fondi (nel caso si fosse raggiunto l'obiettivo di spesa delle regioni rientranti all'interno del piano convergenza), si sarebbero potute attivare importanti leve per gli interventi di riequilibrio territoriale;
la manifesta lentezza della nuova governance della citata agenzia, le cui evidenti difficoltà nell'imprimere una svolta decisiva nella capacità di spesa dei fondi europei hanno contribuito a determinare il ridimensionamento della quota di cofinanziamento dei fondi strutturali comunitari, (con evidenti ripercussioni sullo sviluppo territoriale nelle aree sottoutilizzate del Mezzogiorno), rende realmente incompatibili i tempi di operatività e gli obiettivi predeterminati a livello comunitario, concordati nell'ambito della strategia Europa 2020;
la mancanza di significative misure di rilievo adottate dal Governo Renzi, in favore del Mezzogiorno, che conferma, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, un'azione di disimpegno generale per le aree sottoutilizzate e di scarsa attenzione relativa alla questione meridionale, accresce, inoltre, e soprattutto in prospettiva, i ritardi delle regioni meridionali, in particolare nei termini di fragilità del sistema produttivo e industriale (in particolare il comparto manifatturiero già poco presente nell'economia del Sud), provocando il crollo dei consumi delle famiglie meridionali e di debolezza in senso strutturale, che si riflette nella maggiore difficoltà di accesso al credito e un più elevato costo dei finanziamenti;
di fronte al sopra esposto quadro macroeconomico, che configura una condizione di costante e progressiva divaricazione del sentiero di sviluppo dell'industria del Mezzogiorno, in termini di produttività e competitività con il resto del Paese, necessitano interventi decisionali in tempi rapidi, anche a livello europeo, in netta controtendenza rispetto alla cornice normativa attualmente prevista, in grado di mettere in campo una strategia di sviluppo nazionale, che ponga al centro dell'azione del Governo il rilancio del Mezzogiorno, attraverso la riduzione degli squilibri economico e sociali intensificati nell'attuale periodo di crisi;
l'emergenza sociale determinata dal crollo occupazionale e quella produttiva esige, a tal fine, una strategia di sviluppo nazionale centrata sul Mezzogiorno con una «logica di sistema» e un'azione strutturale di medio-lungo periodo fondata su quattro driver di sviluppo tra loro strettamente connessi in un piano di «primo intervento»: rigenerazione urbana, rilancio delle aree interne, creazione di una rete logistica in un'ottica mediterranea e valorizzazione del patrimonio culturale;
i ritardi nell'utilizzo delle risorse della politica di coesione, in particolare nelle regioni dell'obiettivo convergenza, anche dovuti alle difficoltà organizzative e operative dell'Agenzia per la coesione territoriale, impongono a tal proposito una decisa rivisitazione delle politiche del Governo a sostegno della crescita meridionale;
il rispetto del vincolo di territorialità necessita, a tal fine, di essere adeguatamente rafforzato, in coerenza, peraltro, con quanto disposto dal Ministro per gli affari regionali e la coesione territoriale, pro tempore Raffaele Fitto e proseguito dal Ministro pro tempore Fabrizio Barca, all'interno del quale sono state indicate le priorità d'intervento che ha rappresentato una linea di continuazione indispensabile per l'impatto che l'utilizzo che i fondi strutturali avranno sull'economia del Mezzogiorno e che il Governo Renzi, invece, intende erroneamente rivedere;
il semestre di presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea, a tal fine, ha confermato una scarsa efficacia del Governo Renzi, in ambito comunitario, anche sull'azione di intraprendere misure favorevoli per il nostro Paese, in grado di migliorare l'utilizzo dei fondi strutturali e rendere immediatamente cantierabili un insieme di progetti, per esplicare da subito i loro effetti sull'economia e il lavoro nelle regioni del Mezzogiorno;
la dimensione macroeconomica dell'area, dove risiede un terzo della popolazione in cui si produce circa un quarto del prodotto interno, richiede, pertanto, in considerazione degli articolati rilievi in precedenza indicati, politiche di correzione e di riequilibrio per le aree meridionali, la cui crescita dell'economia italiana appare indissolubilmente legata al miglioramento dell'utilizzo delle risorse produttive del Sud,
impegna il Governo:
a prevedere iniziative, in tempi rapidi, volte a potenziare l'attività istituzionale dell'Agenzia per la coesione territoriale, le cui evidenti incapacità, nell'imprimere una svolta decisiva nella capacità di spesa dei fondi europei, hanno contribuito a determinare il ridimensionamento della quota di cofinanziamento dei fondi strutturali comunitari (con evidenti ripercussioni sullo sviluppo territoriale nelle aree sottoutilizzate del Mezzogiorno), nonché l'introduzione di misure penalizzanti come quelle recentemente previste, cosa che potrebbe determinare ulteriori effetti depressivi sullo sviluppo dell'economia del Mezzogiorno nel 2015;
a prevedere, altresì, attraverso iniziative normative ad hoc, interventi in favore dello sviluppo economico in aree svantaggiate, destinati a sostenere le zone franche urbane, in particolare delle regioni meridionali, per le quali le misure di carattere finanziario recentemente stabilite hanno previsto per il prossimo triennio 2015-2017 una rilevante riduzione o addirittura un azzeramento dei rifinanziamenti;
ad intervenire in sede europea, attraverso un'azione politica più convincente, in grado di consentire nei confronti delle regioni del Mezzogiorno, in ritardo nella nuova programmazione dei fondi strutturali europei 2014-2020, i cui programmi operativi non saranno approvati entro fine 2014 o l'inizio del 2015, interventi in deroga, connessi al nuovo regolamento comunitario, che prevede una sospensione dell'approvazione dei programmi finché non sarà approvato il bilancio dell'Unione europea e il suo assestamento;
a intervenire per compensare il ridimensionato delle quote di cofinanziamento dei fondi strutturali nell'ambito dei programmi operativi regionali del Mezzogiorno e a prevedere adeguate risorse comunitarie e nazionali in favore delle aree territoriali che rientrano nel «piano di convergenza», al fine di sostenere l'economia meridionale in considerazione dei dati statistici e della analisi socioeconomiche riportate in premessa, che evidenziano una condizione complessiva per dimensione macroeconomica dell'area di estrema gravità;
a confermare, infine, l'osservanza dei principi stabiliti nell'accordo tra il Governo e le regioni del Mezzogiorno siglato il 3 novembre 2011, secondo i quali le risorse destinate al piano di azione e coesione siano vincolate al principio di territorialità.
(1-00689) «Palese, Russo, Occhiuto».
(12 dicembre 2014)
La Camera,
premesso che:
l'eredità che lasciano sei anni di recessione fotografa un Paese ancora più diviso e diseguale, con una flessione ancora più estesa e profonda nel Mezzogiorno;
secondo i dati del rapporto Svimez relativo al 2014, si evidenzia, ancora una volta, la questione di un Paese con due differenti velocità di sviluppo, dove al Sud il persistere della crisi si sta sempre più radicalizzando e dove all'emergenza economica si sta sempre di più intrecciando un'emergenza sociale e civile;
nel Mezzogiorno, dove risiede un terzo della popolazione, il prodotto interno lordo, nel 2013, è calato del 3,5 per cento, approfondendo la flessione già registrata nel 2012, in cui la flessione è stata registrata al -3,2 per cento: quasi il doppio della flessione registrata al Centro-Nord. In tale contesto le regioni del Sud hanno risentito non solo dello stimolo relativamente inferiore al resto del Paese della domanda estera, ma anche della riduzione della domanda interna e questo, come evidenziato nel rapporto Svimez, è dovuto essenzialmente alla mancanza di mercato del lavoro dell'area e alla mancata spesa per investimenti che si è ulteriormente ridotta rispetto al resto del Paese;
secondo le stime effettuate dalla Svimez non si ipotizzano per il prossimo biennio segnali di un'inversione di tendenza; infatti, si prevede per il 2015, in un quadro di recessione, un ulteriore ampliamento del divario tra Nord e Sud, con un differenziale negativo di circa mezzo punto al Sud rispetto alla media nazionale, che dovrebbe far segnare una flessione del prodotto interno lordo, tra il 2014 ed il 2015, di oltre l'1 per cento;
anche le misure economiche degli ultimi anni, miranti al necessario aggiustamento dei conti pubblici, non hanno tenuto conto delle diversità territoriali, determinando effetti maggiormente negativi nel Mezzogiorno;
negli ultimi anni si è avvertita l'assenza, nei programmi di Governo, di un respiro strategico, volto a ridurre il gap economico, infrastrutturale e sociale del Sud;
il Mezzogiorno è ancora privo di quella rete di infrastrutture essenziale per lo sviluppo, anzi questi territori soffrono maggiormente della politica infrastrutturale del nostro Paese, la cui profonda crisi, registratasi nel 2013, ha visto un così basso livello di investimenti mai registrato dal 1970. La profonda caduta degli investimenti in opere pubbliche, conseguenza della crisi finanziaria, ha visto dimezzarsi anche quei valori di «sopravvivenza infrastrutturale», come li definisce il rapporto Svimez, che determineranno la compromissione da parte del Mezzogiorno di quel ruolo chiave di snodo dei traffici tra l'Europa, l'Oriente e i Paesi del bacino del Mediterraneo;
in uno Stato dove tutte le regioni dovrebbero essere dotate degli stessi strumenti e delle stesse infrastrutture si assiste invece ad una continua rivisitazione di quello che dovrebbe essere il documento per eccellenza, la cosiddetta legge obiettivo. La riprogrammazione risulta del tutto chiara: nel Mezzogiorno si ridimensionano gli interventi e si reimpiegano risorse già ad esso destinate in altri ambiti programmatici; in parte le risorse si trasferiscono al Centro-Nord;
ciò appare evidente da una lettura dei due ultimi rapporti della Camera dei deputati, dai quali si evince come nel Centro-Nord la programmazione si sia concentrata soprattutto su nuovi collegamenti autostradali in ppt, sul completamento della rete ferroviaria alta velocità/alta capacità nazionale e la connessione con quella europea, sulle metropolitane delle principali città e sugli interventi riguardanti l'Expo 2015. Nel Mezzogiorno, invece, si continua con l'estenuante completamento della Salerno-Reggio Calabria, della strada statale 106 jonica, delle autostrade siciliane e della rete metropolitana campana;
nel Mezzogiorno, dunque, l'attività infrastrutturale si è limitata ad interventi di modesta dimensione, che, per loro natura, non sono in grado di infittire la rete infrastrutturale e consolidare i nodi logistici in modo da garantire una dimensione sistemica all'apparato meridionale. Il pericolo reale, a questo punto, è che il divario tra Nord e Sud da incolmato divenga incolmabile;
la crisi finanziaria ha colpito il Sud e le politiche congiunturali anche in altri versanti, in quanto, davanti alle stringenti necessità della finanza pubblica, risorse assegnate allo sviluppo del Mezzogiorno, come il fondo per le aree sottoutilizzate, sono state distratte per altre finalità;
per lungo tempo si è assistito, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, a dissennati tagli operati sulla dotazione del fondo per le aree sottoutilizzate per finanziare interventi di diversa natura, non sempre corrispondenti a finalità di sviluppo e quasi sempre non localizzati nel Mezzogiorno;
i dati sull'andamento dell'occupazione hanno evidenziato come proprio nelle regioni del Sud si siano concentrate le riduzioni più significative di posti di lavoro, legate, soprattutto, al fenomeno della desertificazione industriale. Nel Mezzogiorno una persona su due è fuori dal mercato del lavoro regolare: in valori assoluti, sette milioni di uomini e donne che convivono con lavori in nero o precari. Inoltre, è al Sud che vive un esercito di oltre due milioni di giovani e delle giovani, i cosiddetti neet (acronimo che sta per «not in education, employment or training», ovvero che non lavorano, non studiano e non seguono corsi di formazione), che sono praticamente invisibili poiché vivono in una zona grigia fatta di lavoro irregolare, occupazione estemporanea e lavori saltuari e che rappresentano la faccia più impietosa della crisi economica;
la quota dei neet sul totale della popolazione è arrivata nel 2013 al 27 per cento e il 55 per cento è al Sud. Con la crisi, la condizione dei neet si è estesa anche ai giovani e alle giovani con titoli di studio più elevati: tra gli inattivi al Sud i diplomati e le diplomate sono il 37,5 per cento e i laureati e le laureate il 32,4 per cento;
per quanto riguarda le donne, il rapporto Svimez rileva impietosamente che, a fronte di un tasso di occupazione che in Europa raggiunge nel 2013 mediamente il 66 per cento, nelle regioni del Sud si attesta a malapena al 38 per cento in Puglia, al 37 per cento in Calabria e Campania, per poi scendere al 35 per cento in Sicilia;
la disoccupazione ufficiale al Sud è quasi 2,5 volte quella del Nord: l'insieme di persone in cerca di occupazione e forza lavoro potenziali nel primo trimestre del 2014 si avvicina ai 7 milioni, di cui 3,7 milioni solo nel Mezzogiorno;
con riferimento alle imprese del Mezzogiorno, il sistema produttivo è legato a fattori strutturali di debolezza che riguardano le dimensioni piccole o piccolissime delle imprese di quest'area, spesso a gestione familiare, operanti prevalentemente in settori a basso valore aggiunto e con una conseguente scarsa propensione a investire nell'innovazione e in ricerca e sviluppo. Tra le condizioni di contesto capaci di favorire, nel medio periodo, la crescita del sistema economico meridionale c’è senza dubbio anche la crescita degli investimenti in ricerca ed innovazione, unica risposta lungimirante rispetto alla perdita di competitività delle produzioni e dei servizi rispetto a quelle dei Paesi emergenti e a quelle dei Paesi tecnologicamente più avanzati; occorre, pertanto, mettere a regime forme di credito d'imposta automatico sugli investimenti in ricerca, innovazione e formazione, nell'ambito di un più vasto sistema di fisco premiale per le imprese disposte ad investire nel Mezzogiorno;
la mancata soluzione al problema della sicurezza complica ogni ipotesi di sviluppo per le regioni meridionali. Permane, infatti, una forte presenza della criminalità organizzata, che tenta di infiltrarsi nei grandi appalti per opere pubbliche e tenta di condizionare l'attività d'impresa, e della microcriminalità, che peggiora la qualità della vita nei centri urbani, aumentando il disagio sociale. Questa situazione richiede un impegno forte da parte dello Stato per assicurare condizioni di legalità e di sicurezza alle imprese e alle cittadine e ai cittadini; occorre salvaguardare e rilanciare il patrimonio produttivo meridionale, scongiurando la fuga dell'industria manifatturiera e l'ampliarsi dei fenomeni di delocalizzazione e intervenendo sulla promozione d'impresa, sostenendo con servizi innovativi i settori d'eccellenza, quali il turismo sostenibile, l'agroalimentare tipico, le attività ad alto contenuto tecnologico; la capacità di realizzare politiche di sviluppo mirate, in particolare ottimizzando l'utilizzo dei fondi europei, è divenuta il principale motore della crescita di molti Paesi europei, simili al Mezzogiorno per storia, tradizioni, condizioni economiche e collocazione geografica;
il dualismo del sistema economico italiano continua ad essere una costante, che ha, però, assunto negli ultimi anni valenze differenti, in considerazione dei vincoli e delle opportunità connessi ai processi di integrazione europea e di globalizzazione; tutti gli indicatori economici lasciano presagire che nel prossimo biennio le regioni centro-settentrionali saranno caratterizzate da un forte impulso produttivo, che permetterà loro di raggiungere le performance europee, mentre il Mezzogiorno resterà penalizzato, dati i ritardi strutturali che da sempre ne condizionano lo sviluppo economico;
si rende necessario individuare formule di intervento verso il Mezzogiorno efficaci e, soprattutto, capaci di supportare la ripresa di uno sviluppo durevole e non assistenzialistico, così, grazie alla posizione geografica ed alla dotazione di porti e aeroporti, il Sud potrebbe svolgere un ruolo di cerniera negli scambi commerciali tra Europa, Mediterraneo e Paesi del far east e raccogliere le nuove opportunità del contesto competitivo internazionale. Per il Sud italiano, così come per altri Sud europei, potrebbe aprirsi una prospettiva inedita, rappresentata dai crescenti flussi commerciali e finanziari provenienti dall'Asia e dall'Africa, da Medio Oriente, Cina, India, Giappone, Oceania e che potrebbero trasformarlo in uno dei principali poli dello sviluppo mondiale di questo nuovo secolo,
impegna il Governo:
a promuovere una politica di sviluppo che, sulla base della rilevata inefficacia degli interventi effettuati per il Mezzogiorno nell'ultimo decennio, tenda a privilegiare interventi infrastrutturali in una logica di concentrazione settoriale delle risorse;
ad attuare un piano di recupero di efficienza e competitività territoriale delle regioni del Mezzogiorno, attraverso la realizzazione ed il completamento definitivo di opere infrastrutturali di indubitabile importanza sotto il profilo della riduzione dei costi logistici totali di mobilità di merci e persone, integrate con le reti infrastrutturali di regioni e Paesi del Mediterraneo, grazie alle quali il Mezzogiorno potrebbe realmente rappresentare un'area strategica di operatività logistica a servizio non solo del sistema endogeno meridionale ed italiano, ma principalmente quale territorio di concentrazione e smistamento di traffico lungo le direttrici Asia-Europa e Asia-Medio Oriente-Nord-Africa;
ad assumere iniziative per riformare i programmi regionali del fondo per le aree sottoutilizzate, modificando, al contempo, la governance dell'utilizzo dei fondi e introducendo lo strumento del contratto istituzionale di sviluppo che definisce tempi, modalità e responsabilità per l'attivazione degli investimenti finanziati con i fondi europei e nazionali destinati alle politiche di sviluppo e coesione territoriale, così come delineato nei documenti della Commissione europea relativi all'approvanda riforma della politica regionale dell'Unione europea;
a valutare l'opportunità di assumere iniziative volte a promuovere, all'interno delle regole del patto di stabilità interno, meccanismi premiali finanziati con le risorse del fondo europeo per lo sviluppo regionale a favore delle regioni meridionali che si impegnano a ridurre la spesa corrente a favore di quella in conto capitale;
ad assumere un impegno straordinario per sconfiggere la criminalità organizzata e tutti quei fenomeni di illegalità, dal lavoro sommerso alla microcriminalità, che determinano un ambiente sfavorevole agli investimenti ed allo sviluppo;
a favorire lo sviluppo nelle regioni meridionali di un sistema creditizio e finanziario che sia in grado di accompagnare e promuovere la crescita dimensionale delle imprese, l'innovazione e l'internazionalizzazione;
a qualificare e semplificare, per quanto di competenza, la pubblica amministrazione, specie nelle aree meridionali, in maniera tale che diventi fornitrice di servizi efficienti alle imprese e alle cittadine e ai cittadini;
a valutare l'opportunità di definire progetti finalizzati al rientro nelle regioni di provenienza delle giovani e dei giovani ad alta ed altissima qualificazione universitaria e post-universitaria, contribuendo in tal modo ad invertire i consistenti flussi di emigrazione che coinvolgono in modo preoccupante le migliori energie intellettuali del Mezzogiorno.
(1-00764)
«Di Lello, Catalano, Fava, Di Gioia, Locatelli, Pastorelli, Currò, Furnari, Pinna, Tacconi».
(24 marzo 2015)
La Camera,
premesso che:
il periodo attuale di crisi economica, la peggiore dal dopoguerra ad oggi, sta determinando in tutto il Paese e soprattutto al Sud Italia una forte emergenza sociale dovuta al crollo dei livelli occupazionali e produttivi, che evidenziano il reale rischio di una desertificazione industriale causata dal crescente numero di imprese che chiudono la loro attività;
l'analisi del periodo 2007-2014, preso a riferimento dalle recenti ricerche portate a termine da diversi istituti, evidenzia un quadro di insieme fortemente negativo del Sud Italia segnato da una crisi strutturale consolidata che accentua le proprie differenze in termini economici, sociali e di sicurezza rispetto al Centro-Nord, che invece sta registrando timidi segnali di ripresa;
la situazione economica del Mezzogiorno a fine 2014 si è ulteriormente aggravata rispetto al resto del Paese e le prospettive per il 2015 sono in netto peggioramento, come si evince dalle stime elaborate da Istat, Svimez e da ultimo da Confindustria. Quella del Mezzogiorno è una crisi economica e sociale che nel suo evolversi negli anni ha sempre sofferto la mancanza di una programmazione a medio-lungo termine di interventi efficaci e di provvedimenti strutturali da parte dello Stato. I ritardi consolidatisi al Sud hanno generato, in questo grave momento di crisi, un clima di sfiducia nel sistema delle imprese, che si traduce in mancanza di investimenti, rilevante calo occupazionale, elevata emigrazione di giovani che non trovano lavoro e che smettono di cercarlo, con il contestuale paradosso di risorse dello Stato e dell'Unione europea che colpevolmente non vengono utilizzate o lo sono con gravi ritardi;
l'indice sintetico della situazione del Mezzogiorno, riportato nell'analisi elaborata da Confindustria e da Srm-Studi e ricerche per il Mezzogiorno (centro studi del gruppo Intesa Sanpaolo), è nettamente inferiore al dato di partenza del 2007 ed in calo ulteriore rispetto al minimo già registrato nel 2013. A deprimere l'indice sono gli investimenti pubblici e privati, stimati in calo di quasi 29 miliardi di euro tra il 2007 ed il 2014, il prodotto interno lordo ridottosi di oltre 51 miliardi di euro, l'occupazione, ben al di sotto della soglia psicologica dei 6 milioni, ed un tasso di disoccupazione che ha superato il tetto del 20 per cento;
Confindustria segnala che nel Mezzogiorno imprese e lavoratori sono, ovviamente, i soggetti che per primi e in modo più diretto risentono degli effetti della crisi che si conferma «crisi di domanda interna», caratterizzata, cioè, da minori consumi e minori investimenti. Nel 2013 hanno cessato la propria attività (cancellandosi dal registro delle imprese) 121 mila imprese e nei primi nove mesi del 2014 altre 88 mila imprese hanno chiuso ad un ritmo di 326 cessazioni al giorno. Nel complesso, tra il 2007 e il 2013 il numero di imprese attive nel Mezzogiorno è calato di circa 31 mila unità: secondo le stime, nel 2014 si prevede la chiusura di ulteriori 10 mila aziende;
se, da un lato, molte aziende chiudono ed escono dal mercato, dall'altro, quelle che stanno «sopravvivendo» alla crisi registrano un progressivo peggioramento nei propri conti economici e finanziari. In media, infatti, le imprese manifatturiere meridionali hanno perso l'1,2 per cento del fatturato nel 2012 rispetto al 2011 e, successivamente, l'1,8 per cento nel 2013 (-0,1 per cento per il Centro-Nord). Il ridotto «giro d'affari» ha, altresì, determinato un calo nella redditività delle imprese: il return on investment medio delle imprese manifatturiere meridionali, pari al 4,9 per cento nel 2007, si è ridotto all'1,6 per cento nel 2013, ben più del Centro-Nord. Flussi di cassa sempre più esigui determinano anche un maggior ricorso all'indebitamento (finanziario e commerciale) da parte delle imprese: tra il 2007 e il 2013 i valori iscritti a debito nelle imprese meridionali sono aumentati complessivamente del 13,8 per cento;
il rapporto di Confindustria evidenzia un Mezzogiorno stretto in una morsa costituita da una domanda interna in calo e da una pressione fiscale giunta a livelli insostenibili. Al Sud, infatti, ancor più che nel Centro-Nord, il calo della domanda interna sta influendo in modo negativo sulle capacità economiche e finanziarie delle imprese, al pari dell'imposizione fiscale: le imprese in perdita nel Mezzogiorno sono circa un terzo del totale ed il 5,5 per cento è in perdita dopo il pagamento delle imposte. Tutto questo è causa di margini sempre più esigui ed evidenzia una pressione fiscale, soprattutto locale, significativa e sempre più insostenibile in questo stato di crisi: come certifica la Banca d'Italia, nel 2011-12 le entrate fiscali sono aumentare dell'1,7 per cento all'anno nel Mezzogiorno, dove ormai il rapporto tra gettito fiscale e prodotto interno lordo è ormai prossimo a quello del Centro-Nord, nonostante gli obiettivi di riequilibrio territoriale. La crescita delle sofferenze bancarie, ben oltre quota 36 miliardi di euro, certifica questo stato di difficoltà delle imprese;
la ridotta attività economica del Mezzogiorno sta, altresì, disperdendo il «capitale umano» delle regioni meridionali. Tra il 2007 e il 2013 è stata registrata una perdita di oltre 600 mila posti di lavoro, con una variazione di -9,5 per cento. In base agli ultimi dati disponibili (II trimestre 2014) il numero di occupati è ulteriormente calato nel 2014 (-1,5 per cento rispetto al II trimestre 2013). Il tasso di disoccupazione nel Mezzogiorno è così salito al 19,7 per cento nel 2013 (era pari all'11 per cento nel 2007) e risulta superiore sia al valore medio italiano (12,2 per cento) sia a quello dell'Unione europea a 28 (10,8 per cento). In base agli ultimi dati disponibili (II trimestre 2014) il tasso di disoccupazione nel Mezzogiorno ha addirittura superato la soglia del 20 per cento. Dal 2008 al 2013 in Italia hanno perso il lavoro 985 mila persone, delle quali 583 mila sono al Sud dove, nel solo 2013, si sono persi 282 mila posti di lavoro, pari ad oltre il 50 per cento del totale nel suddetto periodo. Il numero degli occupati al Sud per la prima volta dal 1977 è sotto i 6 milioni, attestandosi nel 2103 a 5,8 milioni;
il calo dell'occupazione, la riduzione del reddito medio disponibile, un welfare non in grado di supportare pienamente le persone in strutturale o temporanea difficoltà economica hanno comportato nel corso degli ultimi anni un acuirsi del livello di «povertà»; il numero di persone che vivono in condizioni di povertà assoluta nel Mezzogiorno è più che raddoppiato tra il 2007 e il 2013, passando da 1,2 a 3 milioni di individui: il 50 per cento del totale delle persone in povertà assoluta in Italia è nel Mezzogiorno;
secondo la ricerca e le stime elaborate da Svimez, l'andamento produttivo dell'Italia nel 2013 rimane stagnante ed anche gli indicatori congiunturali del 2014 non mostrano segni di miglioramento. Il Sud Italia è da considerarsi in recessione, non solo per il 2014 ma anche per il 2015. Le previsioni porterebbero a otto gli anni consecutivi nei quali il prodotto interno lordo meridionale è stato negativo, con un crollo dei redditi al Sud del 15 per cento tra il 2008 e il 2013;
in particolare, nel Mezzogiorno, tra il 2008 e il 2013, il forte calo occupazionale, mediamente di quattro volte superiore a quella del Centro-Nord, ha generato un crollo dei consumi delle famiglie di quasi 13 punti percentuali (-12,7 per cento), di oltre due volte maggiore di quello registrato nel resto del Paese (-5,7 per cento). Tutti i settori dell'economia meridionale sono in crisi, assumendo, in particolare, dimensioni «epocali» nell'industria in senso stretto, crollata al Sud nel 2008-2013 addirittura del 53,4 per cento, più che doppia rispetto a quella, assai grave, del Centro-Nord (-24,6 per cento). Un così massiccio fenomeno di riduzione drastica di investimenti ha ulteriormente aggravato la già scarsa competitività dell'area e ha comportato un forte ridimensionamento dell'estensione e delle dimensioni dell'apparato produttivo, favorendo nella sostanza un processo di downsizing e al tempo stesso di desertificazione dei territori meridionali;
Svimez ha analizzato a fondo il processo di riduzione del valore aggiunto, che ha toccato il picco nel settore delle costruzioni, che nella media cumulata del 2008-2013 ha ridotto il prodotto del 35,3 per cento contro il 23,8 per cento del Centro-Nord. In particolare, nel 2013, l'edilizia ha accusato un calo del 9,6 per cento nel Mezzogiorno, esattamente il doppio di quello del Centro-Nord (-4,8 per cento). Nel comparto terziario la perdita è stata nel 2014 del 2,3 per cento nel Sud, a fronte di una sola leggera flessione (-0.4 per cento) al Centro-Nord. Ancora in calo risulta nel 2013 l'agricoltura meridionale, che perde lo 0,2 per cento rispetto a un incremento dello 0,6 per cento nel Centro-Nord. Il settore industriale ha perso, nel 2013, 6 punti e mezzo percentuali, più del doppio del Centro-Nord (-2,7 per cento). Nella media cumulata del periodo di crisi 2008-2013, la contrazione del prodotto industriale ha raggiunto quasi il 25 per cento, dieci punti in più rispetto al Centro-Nord;
nonostante tutto, il rapporto Confindustria-Srm individua segnali confortanti e contrastanti nelle esportazioni delle imprese del Sud Italia, dati che, però, da soli non consentono un'inversione di tendenza sufficiente, anche perché concentrati in alcune aree e con numeri ancora troppo esigui e, soprattutto, non supportati da un'azione pubblica convintamente anticiclica, se si eccettua l'effettivo saldo di buona parte dei debiti della pubblica amministrazione verso le imprese. Tra il 2009 e il 2013, infatti, la spesa in conto capitale nel Mezzogiorno si è ridotta di oltre 5 miliardi di euro, tornando ai valori del 1996, contribuendo alla riduzione del numero e del valore degli appalti pubblici. Di valore sempre più ridotto sono, inoltre, le gare di partenariato pubblico-privato bandite al Sud e pressoché dimezzati, rispetto all'anno precedente, i mutui concessi agli enti locali per il finanziamento degli investimenti. Si realizzano, dunque, sempre meno investimenti pubblici, sia che lo Stato li finanzi direttamente sia che li promuova indirettamente;
nell'indagine annuale de Il Sole 24 ore sulla qualità della vita della 107 città italiane capoluoghi di provincia, le città del Sud sono nelle ultime posizioni per servizi, ambiente e salute, affari e lavoro e ordine pubblico;
i suddetti dati, aggravatisi con la grave crisi attuale che investe prioritariamente l'economia più debole del nostro Paese che da sempre è quella meridionale, testimoniano che il Mezzogiorno non ha mai avuto una politica industriale e di investimenti ben programmata, che gli consentisse di recuperare il gap storico, che risale all'unità d'Italia, nei confronti del Centro-Nord;
questo stato di fatto chiama in causa il tema della programmazione di bilancio dello Stato e della spesa delle risorse stanziate, ordinarie e straordinarie, destinate allo sviluppo del Paese e, in particolare, del Mezzogiorno ed impone di confrontarsi con numerose criticità che hanno ridotto e che possono ridurre ulteriormente l'efficacia dell'intervento pubblico;
i fondi comunitari sono di fondamentale importanza per tutto il Paese, ma è necessario evidenziare che hanno una particolare rilevanza per il Sud Italia, in quanto sono molto spesso sostitutivi delle risorse statali per gli investimenti. Già nel rapporto strategico nazionale di dicembre 2009, prima ancora dei numerosi tagli che sono stati effettuati alle politiche di sviluppo (20 miliardi di tagli al fondo per le aree sottoutilizzate 2007-2013 destinato al Sud), il Ministero dello sviluppo economico dichiarava il mancato rispetto del principio di addizionalità previsto dai regolamenti europei. In quel periodo, infatti, il 15 per cento dei fondi europei fu utilizzato per sopperire alla mancanza di risorse nazionali;
la Banca d'Italia, nel corso dell’Eurofi financial forum 2014, ha segnalato la necessità di «rilanciare gli investimenti pubblici e privati nazionali ed europei» per la ripresa economica e di affiancare alle riforme strutturali specifiche sul lato dell'offerta «una più ampia azione di politica economica per accelerare la costituzione di infrastrutture materiali ed immateriali indispensabili per un vero mercato unico europeo»; in particolare, sono due gli elementi di criticità che ostacolano ed inficiano l'effettiva redditività dei provvedimenti dello Stato finalizzate alle politiche di sviluppo;
il primo elemento di criticità si rileva nella distorsione dell'utilizzo delle risorse della programmazione unitaria che sono state utilizzate come variabile di aggiustamento dei conti pubblici italiani nei provvedimenti di finanza pubblica adottati dal 2008 ad oggi. Circa un terzo (pari a 20 miliardi di euro) delle risorse dell'ex fondo per le aree sottoutilizzate (relative al periodo 2007-2013, ora denominato fondo per lo sviluppo e la coesione, sono state tagliate o destinate ad altre finalità. Tale distrazione ha determinato una forte incertezza sulle disponibilità finanziarie da utilizzare per le politiche di sviluppo;
il taglio delle risorse destinate alla coesione territoriale è proseguito con la legge di stabilità per il 2015, che ha ridotto di 4,5 miliardi di euro l'importo delle risorse destinate al piano di azione e coesione, che finanzia in gran parte infrastrutture nel Mezzogiorno e ha ridotto di 1,8 miliardi di euro le risorse del fondo sviluppo e coesione, di cui 540 milioni di euro relativi alle 6 regioni del Mezzogiorno a statuto ordinario;
il secondo elemento di criticità si ravvisa nei vincoli di finanza pubblica, con particolare riferimento al patto di stabilità interno di regioni, province e comuni, che hanno rallentato la spesa delle risorse stanziate, con la conseguenza che, a fine 2014, circa il 29 per cento dei fondi strutturali e più del 90 per cento delle risorse regionali dell'ex fondo per le aree sottoutilizzate devono ancora essere spese;
secondo quanto si evince dalle analisi del bilancio dello Stato, risulta che, nel corso degli ultimi anni, si sia verificato una distrazione delle risorse destinate alle infrastrutture da una molteplicità di capitoli ordinari a pochi «maxi-capitoli», con una crescente concentrazione delle risorse nei maxi-capitoli dei fondi strutturali e del fondo per lo sviluppo e la coesione;
le stime dell'Ance, di Confindustria e del Cresme evidenziano la grande portata delle risorse distratte dai capitoli ordinari: i due maxi-capitoli dei fondi strutturali e del fondo per lo sviluppo e la coesione rappresentano oggi tra il 40 ed il 45 per cento delle risorse destinate ogni anno dallo Stato alle infrastrutture e all'adeguamento del territorio. Appare, dunque, strategico il celere utilizzo di queste risorse proprio in ragione del contesto in cui versa il nostro Paese, nel quale le risorse pubbliche a disposizione dell'infrastrutturazione sono ai livelli minimi degli ultimi 20 anni;
il rapporto annuale del Cresme sull'attivazione della «legge obiettivo» al 31 dicembre 2014 evidenzia una sperequazione tra gli investimenti infrastrutturali al Centro-Nord per 192.137 milioni di euro, pari al 67,4 per cento del totale, e per 90.469 milioni di euro per il Sud, pari al 31,7 per cento;
la spesa dei fondi comunitari è prioritaria per la ripresa economica particolarmente nel Mezzogiorno. Infatti, questa zona ha subito pesantemente la crisi economica più di ogni altra area del Paese. Eurispes, nell'ultimo rapporto annuale, analizzando i dati economici dell'Italia, ha evidenziato che al Sud vi è una condizione molto critica con indicatori inferiori rispetto a quelli di altre aree e rispetto alle medie nazionali. Dal 2007, la crisi ha piegato il tessuto economico e produttivo del Sud, aumentando ulteriormente il divario con il Nord d'Italia. Nel Mezzogiorno le aziende registrano il peggior saldo del portafoglio ordini e della relativa variazione nel periodo. Non a caso, al Sud, dal 2007 ad oggi, ben 11.500 aziende (pari al 25 per cento del totale in Italia) hanno registrato una situazione di incapacità prolungata nel tempo di ripagare i propri debiti e hanno fatto richiesta di fallimento presso le cancellerie dei tribunali;
è importante evidenziare che sugli investimenti finanziati con questi fondi grava non solo l'ostacolo rappresentato dal patto di stabilità interno delle regioni, ma anche quello rappresentato dal patto di stabilità interno degli enti locali (comuni e province), quando questi risultano destinatari dei finanziamenti della politica di coesione. Su questo punto, il legislatore non è intervenuto nella legge di stabilità, nonostante le reiterate richieste di «nettizzazione» di queste risorse nel calcolo del patto di stabilità interno;
secondo le dichiarazioni rilasciate ad organi di stampa da rappresentanti del Governo, sarebbe allo studio una consistente riduzione delle risorse destinate al cofinanziamento degli interventi dei fondi strutturali per il periodo 2014-2020, rispetto ai circa 41 miliardi di euro che erano allo scopo previsti dal progetto di accordo di partenariato trasmesso alla Commissione europea il 22 aprile 2011;
tale riduzione produrrebbe effetti positivi in termini di finanza pubblica, ma determinerebbe la rinuncia ad avvalersi di una quota consistente delle risorse assegnate alle regioni italiane nell'ambito della programmazione 2014-2020;
nel corso dell'informativa urgente sulle linee di attuazione del programma di Governo del 16 settembre 2014, il Presidente del Consiglio dei ministri ha inteso evidenziare l'urgenza dell'investimento dei fondi comunitari, pronunciando queste parole: «Al termine dei mille giorni o spendiamo bene i fondi europei o i fondi europei porteranno via noi»;
l'esclusione delle spese di investimento dal calcolo europeo del deficit, in particolare di quelle finanziate da fondi strutturali europei, appare sempre più la chiave di volta per rimettere in moto investimenti da troppo tempo bloccati e per ridare ai bilanci pubblici spazi di manovra senza i quali nessuna fase espansiva appare ipotizzabile. La sfida è costituita da una selezione attenta e mirata degli investimenti pubblici e privati, in alcune aree prioritarie e dal valore strategico: dalla ricerca e sviluppo alla competitività delle imprese, dalle risorse naturali e culturali all'istruzione, dall'efficienza energetica alle infrastrutture materiali e sociali e ai servizi che tali infrastrutture utilizzano;
in questa direzione andrebbe orientata prioritariamente l'Agenzia di sviluppo e coesione nella sua attività di monitoraggio e, soprattutto, accompagnamento e supporto tecnico ai ministeri ed alle regioni titolari degli interventi finanziati dai fondi europei e dal fondo sviluppo e coesione;
i dati di crisi del Mezzogiorno evidenziano quanto sia fondamentale l'immediata spesa delle risorse disponibili bloccate da adempimenti procedurali e burocratici o da inadempimenti degli enti beneficiari. Evidenziano, inoltre, l'urgente necessità di interventi strutturali dello Stato da aggiungersi agli impegni ed agli investimenti previsti dalle politiche dell'Unione europea per le aree di minor sviluppo. Tutto ciò al fine di favorire la ripresa puntando su settori che hanno tradizionalmente maggiore potenzialità in termini di crescita occupazionale e di coinvolgimento di molteplici attività produttive, quali innovazione, turismo, cultura, istruzione, agricoltura, infrastrutture e riqualificazione urbana, facendo emergere con orgoglio le realtà economiche nascoste nell'indifferenza e nella rassegnazione,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative dirette a riformare con estrema urgenza il patto di stabilità interno e le regole di finanza pubblica affinché sia possibile assicurare la spesa dei fondi europei nei tempi programmati, ricorrendo ai poteri sostitutivi del Governo nei confronti delle regioni inadempienti previsti dalle vigenti leggi in materia (decreto-legge n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 98 del 2013 ed articolo 12 del decreto-legge n. 133 del 2014), nonché garantire un'equilibrata politica di investimenti da parte degli enti territoriali;
ad assumere iniziative per rifinanziate la misura che prevede l'esclusione di parte dei cofinanziamenti nazionali dai parametri del patto di stabilità interno e che ha esaurito, con positivi riscontri in termini di accelerazione della spesa, i propri effetti nel 2014 dopo un triennio di operatività, con lo stanziamento di 1 miliardo di euro all'anno, tenuto conto che tale provvedimento si è già rivelato determinante per impedire la paralisi completa della spesa comunitaria e nazionale;
a ridistribuire gli obiettivi di finanza pubblica stabiliti a livello nazionale in favore di una politica di investimento degli enti locali del Mezzogiorno, accompagnata da una revisione delle regole del patto di stabilità a livello nazionale ed europeo, con l'introduzione di un'adeguata flessibilità per favorire gli investimenti;
a garantire che la programmazione infrastrutturale rappresenti l'elemento centrale dei programmi dei fondi strutturali europei e del fondo per lo sviluppo e la coesione 2007-2013 e 2014-2020, evitando di utilizzare impropriamente questi fondi per finanziare altre esigenze nell'attuale difficile contesto di finanza pubblica;
a rafforzare l'azione dell'Agenzia di sviluppo e coesione nel supportare efficacemente le regioni del Mezzogiorno nella programmazione dei fondi europei, affinché essa sia strutturata e coerente con gli obiettivi e soprattutto integrata tra le stesse regioni e affinché possa garantire la tempestiva redazione dei relativi progetti, promuovendo la semplificazione delle procedure di autorizzazione degli interventi e della conseguente spesa;
a favorire, nel corso della programmazione 2014-2020, l'utilizzo di risorse del fondo sociale europeo per la realizzazione di politiche attive a carattere sociale e quindi di contrasto alla povertà crescente, di inserimento nel mondo del lavoro dei giovani disoccupati, nonché di sostegno per le famiglie socialmente ed economicamente disagiate;
a favorire lo sviluppo di un sistema creditizio e finanziario di effettivo sostegno alle imprese in crisi per il mantenimento o l'incremento dei livelli occupazionali;
a promuovere, con la supervisione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e dei suoi uffici territoriali, di concerto con il dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale, iniziative di servizio civile culturale destinato ai giovani del Mezzogiorno per la valorizzazione e la divulgazione dei beni culturali, architettonici e paesaggistici presenti nelle regioni del Sud;
a promuovere l'adozione di protocolli multilaterali di facilitazione istituzionale, legislativa e amministrativa e di semplificazione procedurale che coinvolgano le regioni del Mezzogiorno ed altri Paesi o enti di interesse economico intenzionati a investire in progetti di riqualificazione di attività produttive o di ricerca ed innovazione tecnologica e scientifica che abbiano significativo impatto per le comunità locali, così come già avvenuto in occasione del protocollo tra Governo, regione Sardegna e il fondo Qatar foundation endowment per il recupero dell'ospedale ex San Raffaele di Olbia.
(1-00765)
«Matarrese, Mazziotti Di Celso, D'Agostino, Dambruoso, Vargiu, Antimo Cesaro, Cimmino, Molea, Vecchio».
(24 marzo 2015)
INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA
CORDA, CIPRINI, CANCELLERI, SIBILIA, PESCO, VILLAROSA, ALBERTI, RUOCCO, PISANO, TRIPIEDI, COMINARDI, LOMBARDI, CHIMIENTI e DALL'OSSO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
con la recente sentenza n. 37 del 17 marzo 2015, la Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità dell'articolo 8, comma 24, del decreto-legge n. 16 del 2012, nonché l'incostituzionalità dell'articolo 1, comma 14, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150, e dell'articolo 1, comma 8, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 («milleproroghe 2015», approvato dall'attuale Governo), con le quali è stata prorogata la vigenza del detto articolo 8;
la disposizione censurata, oltre ad autorizzare le Agenzie delle entrate, del territorio e delle dogane ad espletare procedure concorsuali per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti (da completarsi entro il 31 dicembre 2013), consentiva, da un lato, di far salvi, per il passato, gli incarichi dirigenziali già affidati dalle dette Agenzie a propri funzionari; dall'altro, nelle more dell'espletamento delle procedure concorsuali, di attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari (con lo stesso trattamento economico dei dirigenti), mediante la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato che consentiva alle Agenzie delle entrate di coprire, in attesa dei concorsi, le posizioni dirigenziali con il ricorso a contratti individuali di lavoro a termine stipulati con funzionari interni;
secondo la Corte costituzionale con tale disposizione è stato eluso il principio secondo cui nel pubblico impiego anche le funzioni di dirigente si acquistano con il concorso pubblico ed anche nell'ipotesi in cui gli incarichi vadano al personale interno. In pratica, consentendo l'attribuzione di incarichi a funzionari privi della relativa qualifica, l'articolo 8, comma 24, del decreto-legge n. 16 del 2012 ha aggirato la regola costituzionale di accesso ai pubblici uffici mediante concorso, attribuendo la possibilità a funzionari, privi della relativa qualifica, di accedere ad un «ruolo» diverso nell'ambito della propria amministrazione. L'elusione della regola del pubblico concorso avrebbe così determinato un vulnus ai principi del buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa, in violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione, determinando una diminuzione delle garanzie dei cittadini che confidano in un'amministrazione competente, imparziale ed efficiente;
la stessa Corte costituzionale ha evidenziato nella sentenza come, dopo la proposizione della questione di legittimità costituzionale, il termine originariamente fissato per il «completamento» delle procedure concorsuali sia stato prorogato per ben due volte. Dapprima, l'articolo 1, comma 14, primo periodo, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150 («Proroga di termini previsti da disposizioni legislative»), convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2014, n. 15, lo ha spostato al 31 dicembre 2014. Successivamente, l'attuale Governo lo ha ulteriormente prorogato al 30 giugno 2015 con l'articolo 1, comma 8, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 («Proroga di termini previsti da disposizioni legislative»);
la sentenza della Corte costituzionale ha posto fine all'accesa disputa relativa all'illegittimità delle nomine dei dirigenti delle dette agenzie ed alla quale il Governo Monti aveva cercato di porvi rimedio con la sanatoria di cui alla norma dichiarata incostituzionale; questione, peraltro, in più occasioni sottoposta al vaglio dei Governi, tra cui anche quello attualmente in carica: gli interroganti, infatti, già con diverse interrogazioni rimaste prive di riscontro (n. 4-00943 del 20 giugno 2013, n. 3-00525 del 19 dicembre 2013 e n. 4-03383 del 30 gennaio 2014) avevano sollevato il problema delle criticità di nomine avvenute in carenza dei presupposti e requisiti previsti dalla legge, nonché della mancanza di trasparenza nell'assegnazione degli incarichi di dirigente;
la sentenza della Corte costituzionale ha posto in evidenza le gravi violazioni perpetrate con le scelte politiche del precedente Governo Monti;
di tali inaccettabili violazioni deve senz'altro rispondere anche l'attuale Governo: è la stessa Corte costituzionale ad evidenziare come la disposizione sia stata da ultimo prorogata con il decreto-legge n. 192 del 2014 varato dall'attuale Governo Renzi. Al riguardo, vanno stigmatizzate le dichiarazioni apparse sulla stampa nazionale e rilasciate dal Ministro interrogato, con le quali è stato evidenziato che il lavoro dei dipendenti del fisco non è stato certamente facilitato dalla pronuncia della Corte costituzionale;
inoltre, va sottolineato come l'illegittimità della nomine, oltre ad evidenziare la deprecabile violazione delle norme in materia di pubblico impiego e pari opportunità nelle progressioni di carriera dei funzionari, mette a rischio anche il gettito erariale, posto che gran parte degli avvisi inviati dall'Agenzia delle entrate e, a cascata, delle cartelle esattoriali notificate da Equitalia potrebbero risultare nulli, ove i primi risultassero firmati da dirigenti privi della relativa qualifica in quanto illegittimamente nominati;
ogni altra sanatoria sarebbe tecnicamente incostituzionale, oltre che moralmente inaccettabile –:
se, alla luce della sentenza della Corte costituzionale, quali iniziative intenda assumere per definire la questione dei «falsi dirigenti» e come intende scongiurare il rischio di grave contenzioso che lo Stato italiano dovrà affrontare, nella specie Equitalia e l'Agenzia delle entrate, derivante dall'impugnazione degli avvisi di accertamento e delle cartelle illegittime, contenzioso che potrebbe avere una portata dirompente per le casse dello Stato.
(3-01383)
(24 marzo 2015)
OTTOBRE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
il 22 novembre 2012 a Parigi, nel corso della 152o assemblea generale dell'Ufficio internazionale delle esposizioni, è avvenuta la selezione della città organizzatrice dell'Expo 2017 ovvero Astana, in Kazakistan, che si è aggiudicata tale prestigioso evento con 103 voti, contro i 44 dell'unica ulteriore candidata: Liegi, in Belgio;
l'Expo 2017 (ufficialmente Esposizione riconosciuta dall'Ufficio internazionale delle esposizioni) si prevede avrà luogo tra il 10 giugno e il 10 settembre 2017;
l'esposizione verterà su una questione di fondamentale centralità per l'economia dei Paesi occidentali e non, ovvero sulla future energy (energia del futuro), e l'obiettivo è quello di ottenere fonti di energia sempre più pulite e a lanciare un forte segnale è uno fra i Paesi produttori di petrolio;
si tratta di un tema di particolare attualità, inerente all'energia nelle sue diverse forme di alimentazione e al suo rapporto con l'ambiente, con particolare riferimento al risparmio energetico, riduzioni di emissioni di anidride carbonica e nuove tecnologie che dovrebbero occuparsi di energie rinnovabili e di efficienza energetica, ma riguarderà anche l'edilizia, ovvero la costruzione di pannelli fotovoltaici, di edifici dotati di impianti alimentati da fonti rinnovabili e conformi alle nuove normative;
in tale prospettiva è stato preliminarmente presentato un sito da 25 ettari e un programma che prevede la partecipazione di più di 100 Paesi e circa 6 organizzazioni internazionali, per una platea di 7 milioni di visitatori;
l'evento si svolgerà in un Paese che rappresenta il cuore dell'Eurasia, locato in una posizione geografica che ha reso la nazione kazaka una crocevia di importanti corridoi di transito dall'Asia verso l'Europa, dal momento che il varco stradale transcontinentale «Europa occidentale-Cina occidentale» passa attraverso il territorio del Kazakistan (in un percorso permetterà di consegnare la merce dalla Cina verso l'Europa per il periodo di 10 giorni);
la regola generale vuole che ogni Stato abbia diritto a richiedere uno spazio espositivo confacente alle proprie potenzialità, visto il prestigio, la visibilità e il valore aggiunto concesso dalla partecipazione a un evento di portata globale come Expo 2017. Lo spazio concesso a ogni nazione è attribuito in base all'ordine di presentazione della richiesta: pertanto, coloro i quali si adoperano per primi nel reclamare il padiglione avranno facoltà di scegliere l'area migliore e più confacente ai propri bisogni;
nonostante ciò e vista, altresì, la rilevanza tematica della materia proposta dalla città kazaka, il Governo italiano non ha ancora aderito all'iniziativa con un'idonea richiesta di un padiglione presso l'Expo 2017;
Expo 2017 affronta questioni fondamentali che spesso non riscontrano l'interesse dovuto da parte dei Governi, senza considerare che, nonostante le scoperte in ambito tecnologico, l'inquinamento resta ancora un problema difficile da gestire. La questione del surriscaldamento globale, l'effetto serra e l'eccessiva presenza di emissioni di anidride carbonica nell'aria sono complicazioni effettive che gli Stati in tutto il globo si trovano a dover affrontare –:
se il Ministro interrogato ritenga di intervenire affinché l'Italia prenda immediati provvedimenti presentando richiesta, presso la Commissione di Expo 2017, al fine di partecipare a tale manifestazione di importanza globale per ottenere un padiglione idoneo al valore che un Paese come l'Italia può offrire ad un appuntamento orientato a tali obiettivi. (3-01384)
(24 marzo 2015)
SOTTANELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
nei giorni 4, 5 e 6 marzo 2015 gran parte del territorio della regione Abruzzo è stato interessato da raffiche di vento di forte intensità, intense e persistenti precipitazioni piovose con diffusi allagamenti e nevicate abbondanti che hanno prodotto accumuli al suolo di molto superiori ai valori medi stagionali;
si è verificata la grave e persistente mancanza di energia elettrica in circa 110 comuni della regione, come da comunicazione provvisoria Enel e, in particolare, sono risultate interrotte 30.000 utenze nella provincia di Teramo, 27.000 utenze nella provincia di Pescara, 35.000 utenze nel comune di Chieti, 25.000 utenze nel comune dell'Aquila;
i disservizi hanno interessato sia la rete di trasmissione (alta tensione) gestita da Terna con la disalimentazione di 9 cabine primarie, sia le reti di distribuzione (media e bassa tensione) gestite da Enel spa;
tali interruzioni sono state causate anche dall'impatto provocato dalla caduta di piante, alberi ad alto fusto e rami sulle linee elettriche, con la formazione di manicotti di ghiaccio sui conduttori aerei;
in base alle informazioni di stampa, ai comunicati ufficiali di Enel distribuzione spa e alle notizie diffuse dalle prefetture e dalla regione Abruzzo, il picco massimo di utenti disalimentati, pari a circa 146.000 unità, si è registrato il 5 marzo 2015;
l'interruzione dell'alimentazione elettrica e i relativi disagi si sono protratti per diversi giorni, tanto che per alcuni utenti la ripresa del servizio è avvenuta solamente tra il 9 e l'11 marzo 2015;
tali interruzioni di distribuzione sono senza precedenti per la vastità del territorio interessato e per il numero di utenze coinvolte e hanno causato un grave danno alle famiglie, alle imprese e anche agli enti erogatori di servizi pubblici in Abruzzo;
i disservizi hanno messo in luce le inadeguatezze e la vetustà della rete infrastrutturale abruzzese di distribuzione e trasmissione dell'energia elettrica –:
se risulti che Terna ed Enel spa abbiano agito in conformità ai piani di emergenza e nel rispetto degli obblighi di servizio per assicurare la tempestiva ripresa del servizio e la riparazione dei guasti, se il Governo ritenga adeguati alle esigenze del territorio abruzzese gli investimenti e la manutenzione effettuati negli ultimi anni dalle società di distribuzione e gestione della rete elettrica e quali investimenti si intendano mettere in campo, sia in termini strutturali e che di risorse umane, per un adeguamento e un potenziamento della rete infrastrutturale in Abruzzo. (3-01385)
(24 marzo 2015)
SCOTTO, FERRARA e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
Finmeccanica è il primo gruppo industriale italiano nel settore dell'alta tecnologia ed opera in settori legati alla difesa (elettronica, elicotteristica, aeronautica, aerospazio e politiche spaziali), ai trasporti ed all'energia;
il suo maggiore azionista è il Ministero dell'economia e delle finanze;
Finmeccanica conta sedi sparse in tutto il mondo e circa 70.000 dipendenti ed è uno dei principali gruppi industriali italiani sotto controllo statale;
di conseguenza, le decisioni assunte dal suo gruppo dirigente relativamente alle politiche industriali attuate da Finmeccanica sono derivazioni di scelte politiche in senso stretto;
da questo punto di vista va notato come negli ultimi anni il management industriale di Finmeccanica sembri sempre più rispondere, a parere degli interroganti, a criteri dettati dalle lobby finanziarie, piuttosto che ad esigenze strategiche volte a dotare il gruppo di un'impostazione tale da renderlo pilastro fondamentale dello sviluppo industriale italiano;
tale sviluppo dovrebbe partire proprio dalle aree più disagiate del Paese ed invece l'assetto dato al gruppo dalla dirigenza aziendale sembra essere ad evidente trazione settentrionale: i centri nevralgici, sia da un punto di vista strettamente gestionale che sotto un profilo più progettuale, hanno spostato man mano il loro baricentro verso quelle zone dell'asse geografico centro-settentrionale nelle quali si riteneva ci fossero condizioni tali da consentire di superare la crisi economica globale con il minimo danno possibile;
ciò ha portato ad una progressiva desertificazione industriale di zone del Paese già martoriate dalla crisi, come il Mezzogiorno e, in particolar modo, la Campania;
in Campania i livelli di disoccupazione (specie femminile e giovanile) hanno raggiunto proporzioni drammatiche;
Finmeccanica è attualmente presente nell'area campana con undici siti industriali in cui lavorano circa 6.500 addetti (cifre che rendono la Campania seconda regione in Italia per numero di dipendenti di Finmeccanica);
vi è, inoltre, un rilevante indotto, che porta il numero complessivo a circa 20.000 addetti;
ciononostante, a numeri così importanti non sembra corrispondere un adeguato piano di investimenti a sostegno delle realtà produttive presenti ed anzi si può facilmente notare come le uniche politiche portate avanti in questi ultimi anni dai management che si sono succeduti siano quelle di dismissione e ridimensionamento di realtà presenti sul territorio campano;
addirittura in alcuni casi vi è stata la rinuncia da parte di Finmeccanica a fonti di finanziamento regionale e nazionale volte a favorire lo sviluppo delle competenze, delle tecnologie e della ricerca;
per esemplificare il processo in atto, basta porre attenzione su alcune scelte compiute negli ultimi anni;
Alenia Aermacchi ha visto una riorganizzazione delle attività tra siti che ha portato, tra l'altro, allo spostamento della sede legale da Pomigliano d'Arco, in provincia di Napoli, a Venegono Superiore, nel varesotto;
vi è stato, relativamente a Selex Es, un accordo sul piano industriale che ha penalizzato fortemente i siti dell'area campana, precludendone lo sviluppo;
il comparto trasporti sta venendo progressivamente smantellato, con forti implicazioni sugli stabilimenti del Sud Italia di Ansaldo Sts e Ansaldo Breda;
la sede napoletana dell'ex centro di ricerca in campo aerospaziale Mars center, attualmente Telespazio, sta venendo chiusa, nonostante i rinvii, con spostamento dei dipendenti a Roma;
vi è stata la scelta di procedere alla chiusura del centro di ricerca Sesm presente nel sito Selex Es di Giugliano (Napoli);
è stata annunciata la vendita dello stabilimento di Alenia Aermacchi di Capodichino ad Atitech, con pesanti ricadute occupazionali sul territorio;
va sottolineato come nel Centro-Nord del Paese vi sia stato un massiccio intervento di istituzioni nazionali e territoriali per garantire la risoluzione delle vertenze più importanti e dei piani adeguati di sviluppo industriale, mentre in Campania la regione è stata del tutto assente;
nel 2013 il sito di Giugliano in Campania ha visto partire la riorganizzazione di Selex Es forte di un organico di circa 350 lavoratori e con realtà industriali ormai strutturate e consolidate, di cui Giugliano era il riferimento e la direzione per l'intera Selex Es;
nello stesso sito era presente anche il consorzio di ricerca Sesm con circa 60 addetti, cui si aggiungevano numerosi borsisti e dottorandi, impegnati in progetti di ricerca europei e nazionali con la collaborazione dei centri universitari della regione;
il piano industriale varato dall'azienda nel gennaio 2014, non attribuendo allo stabilimento di Giuliano alcuna direzione centrale ed anzi disperdendo in mille rivoli le professionalità presenti, ha arrestato il processo di crescita del sito in questione;
la cessione di Ansaldo Breda e Ansaldo Sts ad una multinazionale straniera rappresenta l'ennesimo segno di resa da parte dell'Italia verso una possibilità di rilancio di un settore importante come quello dei trasporti e del segnalamento ferroviario, ormai prossimo a scomparire;
in questo modo si va verso la perdita dell'ultimo polo industriale pubblico di Napoli;
la cessione dello stabilimento di Alenia Aermacchi di Capodichino (Napoli) ad Atitech rischia di rivelarsi un'operazione devastante per il territorio, giacché si cancella, di fatto, la presenza di Alenia in città e si sposta nella provincia di Torino la produzione del velivolo da trasporto militare C-27J, uno dei prodotti di punta dell'intera galassia Aermacchi, la cui fusoliera veniva realizzata a Capodichino;
ciò avviene già dopo la chiusura dello stabilimento di Alenia sito in Casoria (provincia di Napoli);
con i due piani di ristrutturazione (rispettivamente del 2010 e del 2012) in Alenia sono venuti meno circa 1000 posti di lavoro;
il già citato processo di desertificazione industriale in atto non riguarda solo le realtà industriali campane legati a Finmeccanica;
negli ultimi anni, infatti, sono tantissime le realtà produttive che, per necessità o per scelta, hanno chiuso gli stabilimenti in Campania e/o li hanno delocalizzati o venduti;
è tuttora in corso anche la vicenda riguardante Firema (Finmeccanica), una trattativa ancora non conclusa per una cessione alla Blutec, che mette in gioco i destini di tantissimi lavoratori e delle loro famiglie;
Firema fa parte dell'indotto di Finmeccanica ed è evidente esempio della difficoltà in cui attualmente tutto l'indotto versa;
è del tutto evidente come sia diventato indispensabile un intervento strutturale e programmatico che inverta una tendenza che già adesso ha assunto connotati drammatici –:
se non ritenga urgente e doveroso aprire dei tavoli tecnici di confronto con le parti interessate per risolvere le troppe vertenze aperte sul territorio campano, garantire il mantenimento dei livelli occupazionali e, inoltre, mettere in campo immediatamente un piano straordinario strutturale di rilancio industriale che permetta alla Campania di invertire una tendenza, che, altrimenti, rischia di diventare irreversibile, ed un piano straordinario di investimento per Finmeccanica al fine di rilanciare l'industria in Campania.
(3-01386)
(24 marzo 2015)
VERINI, AMODDIO, BAZOLI, BERRETTA, CAMPANA, ERMINI, FERRANTI, GIULIANI, GRECO, GIUSEPPE GUERINI, IORI, LEVA, MAGORNO, MARZANO, MATTIELLO, MORANI, GIUDITTA PINI, ROSSOMANDO, ROSTAN, TARTAGLIONE, VAZIO, ZAN, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
la giornalista del tg3 Ilaria Alpi e l'operatore Rai tv Miran Hrovatin furono uccisi il 20 marzo 1994 a Mogadiscio;
per quegli omicidi, dopo anni di indagini, l'unico colpevole riconosciuto è stato Hashi Omar Hassan, arrivato a Roma per testimoniare sulle presunte violenze di militari italiani ai danni della popolazione somala;
Hassan è stato assolto in primo grado, condannato all'ergastolo in appello, definitivamente in Corte di cassazione a 26 anni ed ora sta scontando la pena nel carcere di Padova;
in data 18 febbraio 2015, nel corso della trasmissione televisiva «Chi l'ha visto», Ahmed Ali Rage, soprannominato Jelle, il «supertestimone» del processo che ha portato alla condanna di Hashi Omar Hassan, ha affermato testualmente: «Io non ho visto chi ha sparato. Non ero là. Mi hanno chiesto di indicare un uomo»; ha poi aggiunto: «Gli italiani avevano fretta di chiudere il caso e mi avevano promesso denaro in cambio di una testimonianza al processo»;
Ahmed Ali Rage indicò il giovane Omar Hashi Hassan al pubblico ministero Ionta durante un interrogatorio, ma poi non si presentò a deporre al processo ed è fuggito all'estero;
lo scoop della trasmissione televisiva riapre i tanti interrogativi mai risolti sull'intera vicenda del duplice omicidio, a partire dai tentativi di depistaggio per inquinare l'inchiesta, e fa supporre che in carcere potrebbe esserci un innocente –:
di quali elementi disponga il Governo, nell'ambito delle sue competenze, e se risultino avviate eventuali iniziative di competenza da parte dell'autorità giudiziaria. (3-01387)
(24 marzo 2015)
CALABRÒ. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
durante la replica sulle linee programmatiche del suo dicastero svoltasi nella 7a Commissione del Senato della Repubblica, il Ministro interrogato, relativamente ai test di accesso alle facoltà di medicina, annunciava l'intendimento di adottare il modello francese, che prevede un'ammissione generalizzata al primo anno e sbarramento al secondo;
l'adozione di siffatto sistema comporterebbe una situazione di caos per gli atenei italiani di gran lunga peggiore di quella che stanno vivendo attualmente per l'immatricolazione di circa 5 mila studenti subentrati in seguito al ricorso al tribunale amministrativo regionale, che ha rilevato le difficoltà degli atenei di trovare spazi accessibili a tutti e di soddisfare in maniera ottimale il rapporto docente/studenti, previsto dagli standard europei;
il modello francese sta già mostrando nel suo Paese di adozione tutte le sue criticità, con oltre 55 mila studenti in media che si iscrivono al primo anno di medicina e con appena il 20 per cento degli iscritti al primo anno che riesce ad accedere al secondo: ciò significa per gli studenti esclusi un anno di studi perso e costi economici notevoli;
l'attuale sistema di accesso va senz'altro modificato, ma preservando il numero programmato per garantire la qualità della formazione e tenendo in debita considerazione il gap esistente tra il numero di borse di studio in medicina generale e dei contratti di scuola di specializzazione rispetto al numero dei laureati ogni anno –:
quali iniziative intenda assumere in ordine alle modifiche da apportare all'attuale sistema di accesso alle facoltà di medicina per evitare che si creino anche nel futuro situazioni di disagio che penalizzano la qualità della formazione universitaria. (3-01388)
(24 marzo 2015)
FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAON, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA, RONDINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
il «Gioco del rispetto – Pari e dispari», progetto al quale ha aderito il comune di Trieste, è stato finora proposto ai bambini di 45 scuole dell'infanzia di Trieste e mira, come si legge sull'opuscolo informativo, «a verificare le conoscenze e le credenze di bambini e bambine su cosa significa essere maschi o femmine, a rilevare la presenza di stereotipi di genere e ad attuare un primo intervento che permetta loro di esplicitare e riorganizzare i loro pensieri, offrendo ai bambini un punto di vista alternativo rispetto a quello tradizionale»;
molti genitori non condividono affatto l'iniziativa e hanno denunciato, in particolare, la metodologia usata e le «istruzioni» riportate nelle schede di gioco, contenute nel kit distribuito per fornire alle insegnanti indicazioni su come svolgere i giochi stessi. Uno di questi, ad esempio, prevede che la maestra, dopo aver fatto fare ai piccoli alunni un po’ di attività fisica, faccia notare che le sensazioni e le percezioni provate dai piccini sono uguali. «Per rinforzare questa sensazione – si legge nel manuale a disposizione delle insegnanti – i bambini/e possono esplorare i corpi dei loro compagni, ascoltare il battito del cuore a vicenda o il respiro». «Ovviamente – si legge ancora – i bambini possono riconoscere che ci sono differenze fisiche che li caratterizzano, in particolare nell'area genitale»;
tra i giochi proposti c’è pure quello del «Se fossi» durante il quale i bambini utilizzando dei costumi si travestono. «I bambini e le bambine – scrivono le schede informative – potranno indossare dei vestiti diversi dal loro genere di appartenenza e giocare così abbigliati»;
il progetto viene presentato con finta trasparenza ai genitori mediante generici avvisi affissi nelle bacheche, che introducono il tutto parlando di mera «sensibilizzazione contro la violenza sulle donne»;
il progetto in questione non era stato inserito nel piano di offerta formativa, di cui i genitori prendono visione all'atto dell'iscrizione del proprio figlio in una determinata scuola;
ognuno di noi ha scoperto da bambino a modo suo, a piccoli passi e in modo naturale, la differenza tra uomo e donna. Non si capisce per quale motivo e senza l'assenso dei genitori sia necessario intervenire con dei giochi ad hoc e addirittura all'asilo;
vista la delicatezza dei temi, che dovrebbero essere affrontati solo da persone altamente qualificate, non appaiono esserci sufficienti garanzie su chi interagisce in questo progetto con i bambini, sul sistema non verbale di questi giochi, perché i più piccoli colgono tutto: toni di voce, atteggiamenti, sguardi e ogni sfumatura seppur minima –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza di questo progetto e se ne condivida il merito, posto che, al di là dell'intento di facciata, sembra agli interroganti che ci sia il tentativo non tanto di insegnare il rispetto tra le persone, ma di istillare la nota «ideologia del gender», fin dalla più tenera età, che prevede l'assoluta libertà di scegliersi il sesso a cui appartenere, e quali iniziative intenda assumere al fine di scoraggiare il proseguimento di questo tipo di offerta scolastica, non condivisa da molti genitori. (3-01389)
(24 marzo 2015)
GIGLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
con decreto interministeriale del 25 novembre 2014 si è proceduto al riparto ed al trasferimento delle risorse imputate al capitolo 1299 dello stato di previsione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per l'anno 2014;
dette risorse ammontano complessivamente a 195.828.991 euro e sono assegnate dalle regioni alle scuole paritarie sulla base del numero di dette scuole, delle classi e degli alunni;
le regioni svolgono le attività di assegnazione delle risorse alle singole scuole in coordinamento con gli uffici scolastici regionali;
a causa della situazione economica estremamente grave in cui versano le scuole paritarie, in particolare quelle materne ed elementari, che spesso accolgono allievi di famiglie povere gratuitamente o per somme esigue, la mancata o ritardata erogazione dei fondi statali determina il licenziamento del personale o, addirittura, la chiusura delle scuole medesime –:
quale sia l'effettivo ammontare delle somme erogate alle scuole paritarie dalle regioni rispetto alle risorse ad esse trasferite e indicate in premessa e quali risultino essere le regioni che non ancora hanno assegnato i finanziamenti. (3-01390)
(24 marzo 2015)
CENTEMERO e PALESE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
la legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità per il 2015), all'articolo 1, comma 350, prevede, attraverso una disposizione introdotta nel corso dell'esame in Commissione, l'adozione di nuovi criteri per la composizione delle commissioni degli esami di Stato conclusivi del secondo ciclo, da applicare per gli esami che si svolgeranno nel 2015;
nello specifico, il suddetto comma stabilisce che entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di stabilità, e dunque entro il 2 marzo 2015, un decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca avrebbe dovuto disciplinare i nuovi criteri per la definizione della composizione delle commissioni d'esame delle scuole secondarie di secondo grado;
nella stessa disposizione viene, altresì, stabilito che, sempre con decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, e sempre entro il medesimo termine (2 marzo 2015), si sarebbero dovuti definire i relativi compensi nel rispetto di quanto eventualmente previsto in sede di contrattazione collettiva del comparto del personale della scuola, in coerenza con le finalità del fondo «la buona scuola»;
l'obiettivo della disposizione prevista all'articolo 1, comma 350, della legge di stabilità per il 2015 è quello di valorizzare il percorso scolastico degli studenti, dando vita ad un sistema di valutazione finale che tenga conto dell'effettiva crescita in termini di competenze e personale degli studenti, nonché tenendo conto dell'esigenza di valorizzare l'autonomia scolastica, assicurando una coerenza degli standard valutativi e valorizzando la professionalità dei docenti, in termini di competenze e approcci didattici e pedagogici e di verifica dell'efficacia delle pratiche educative;
a tal proposito il 30 novembre 2014 è stato accolto un ordine del giorno nel quale si impegnava il Governo a valutare l'opportunità, nell'ambito dell'emanazione del suddetto decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca di ridefinizione dei criteri per la composizione delle commissioni degli esami di maturità, di prevedere un presidente della commissione esterno e componenti interni all'istituto di riferimento;
tale composizione è senz'altro essenziale al fine di realizzare a pieno gli obiettivi richiamati, in particolare l'esigenza di garantire autonomia scolastica, assicurando un sistema di valutazione degli studenti efficace e conforme al percorso formativo seguito;
l'emanazione del decreto di cui all'articolo 1, comma 350, della legge di stabilità per il 2015, già in ritardo rispetto ai tempi previsti dalla medesima disposizione, è fondamentale anche al fine di evitare i ricorsi che potrebbero derivare a seguito della composizione delle commissioni d'esame secondo i vecchi criteri, che la legge di stabilità ha inteso superare; se il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca non provvede all'emanazione del decreto in tempi brevi il rischio è, infatti, quello dell'invalidità dei risultati conseguiti dagli esami delle scuole secondarie di secondo grado per l'anno accademico in corso, per illegittimità delle stesse commissioni –:
in che tempi e quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere, al fine di dare attuazione alle disposizioni di cui all'articolo 1, comma 350, della legge di stabilità per il 2015 e, quindi, procedere all'adozione del decreto ministeriale per la nuova definizione della composizione delle commissioni d'esame delle scuole secondarie di secondo grado, nonché dei relativi compensi, e quali siano i criteri che si intendono utilizzare, anche alla luce del contenuto dell'ordine del giorno accolto dal Governo sul tema.
(3-01391)
(24 marzo 2015)
RAMPELLI, GIORGIA MELONI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
con una sentenza del 26 novembre 2014 la Corte di giustizia dell'Unione europea ha stabilito l'illegittimità della normativa nazionale relativa ai contratti precari nella scuola, affermando che l'accordo quadro europeo sui contratti a tempo determinato «osta a una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che autorizzi, in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti, nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per l'espletamento di dette procedure concorsuali ed escludendo qualsiasi possibilità, per tali docenti e detto personale, di ottenere il risarcimento del danno eventualmente subito a causa di un siffatto rinnovo»;
la Corte ha ricordato come l'accordo quadro, per prevenire l'utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato, imponga agli Stati membri di prevedere l'indicazione delle ragioni obiettive che giustifichino il rinnovo dei contratti o la determinazione della durata massima totale dei contratti o del numero dei loro rinnovi, oltre a una misura sanzionatoria da applicare in caso di utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato;
la normativa italiana oggetto della sentenza, invece, secondo i giudici «da un lato, non consente di definire criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di tali contratti risponda effettivamente ad un'esigenza reale, sia idoneo a conseguire l'obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine, e, dall'altro, non prevede nessun'altra misura diretta a prevenire e a sanzionare il ricorso abusivo ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato»;
il ricorso al precariato nel sistema scolastico nazionale ha assunto dimensioni enormi, anche a causa del blocco delle procedure concorsuali negli anni tra il 2000 e il 2011, e sono migliaia le persone che aspettano di vedersi riconosciuto il giusto diritto ad un'immissione in ruolo, indispensabile per costruirsi un futuro anche nella vita privata;
in base alle indiscrezioni apparse sulla stampa anche il provvedimento sulla scuola recentemente approvato in Consiglio dei ministri non sembra risolvere la questione del precariato di docenti e personale amministrativo delle istituzioni scolastiche –:
quali iniziative il Governo intenda assumere per sanare in modo definitivo la questione del precariato nel settore scolastico, in ottemperanza alla citata sentenza, anche al fine di non incorrere in un procedimento sanzionatorio da parte dell'Unione europea. (3-01392)
(24 marzo 2015)