TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 393 di Martedì 17 marzo 2015
INTERPELLANZE E INTERROGAZIONI
A) Interpellanza e interrogazione
I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
secondo il dossier di «Save the Children» sulla tratta di esseri umani nel mondo vi sono 30 milioni di persone ridotte alla schiavitù lavorativa o sessuale;
di essi 5 milioni e mezzo sono minori;
in Italia, su 340 mila bambini e ragazzi tra i 7 e i 15 anni che lavorano ben 28 mila sono a rischio di sfruttamento: sono i piccoli schiavi invisibili, i volti della tratta e dello sfruttamento;
per lo sfruttamento a fini sessuali in Italia sono stati accertati nell'ultimo anno 2.400 casi con 88 minori coinvolti;
le cifre aumentano in relazione all'ingresso di immigrati clandestini;
a luglio 2014 erano segnalati in Italia 10.736 minori stranieri non accompagnati e senza famiglia e 2.148 sono scappati dai centri di accoglienza e sono così esposti a possibili manovre criminali per il loro sfruttamento soprattutto nell'accattonaggio, nei furti e a fini sessuali;
adolescenti provenienti soprattutto dall'Eritrea, dall'Egitto, dalla Somalia, dalla Siria, dalla Nigeria e dalla Romania sono preda della criminalità per traffici illeciti (furti, prostituzione, matrimoni precoci e altro) –:
se non si intenda rafforzare l'impegno dello Stato contro il fenomeno particolarmente odioso dello sfruttamento dei minori nel nostro Paese.
(2-00690) «Melilla, Ricciatti».
(24 settembre 2014)
NICCHI, AIRAUDO, PLACIDO e MATARRELLI. – Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
un articolo di Chiara Saraceno, pubblicato sulla rivista Micromega del 28 dicembre 2014, si concentra su «quei lavoratori invisibili che sono i bambini e ragazzi sotto i quattordici anni che lavorano in totale condizione di illegalità e non appaiono in nessuna statistica del lavoro»;
come riporta il sopraddetto articolo, le stime, che comprendono sia gli italiani che gli stranieri, variano e sono ferme a circa quindici anni fa, quando «l'Istat stimava vi fossero circa 144 mila bambini tra i 7 e i 14 anni “economicamente attivi”, mentre uno studio della Cgil ne stimava circa 400 mila»;
la tabella per età degli infortuni sul lavoro denunciati del rapporto Inail, anno 2013, denuncia 63.828 minori di 14 anni che hanno subito un infortunio sul lavoro: il 9,19 per cento di tutti gli infortuni dell'anno;
questo numero è rimasto pressoché stabile nell'ultimo triennio (ma è aumentato rispetto al 2009), a fronte di una diminuzione in tutte le altre fasce di età;
è il doppio circa della stima fatta dall'Istat nel 1988;
anche tenendo conto che alcuni di questi incidenti possono essere avvenuti mentre il bambino aiutava occasionalmente un genitore nelle sue attività, la cifra è circa il doppio di quella – 31.500 – che l'Istat quindici anni fa stimava riguardasse situazioni di vero e proprio sfruttamento;
la cifra di oltre sessantamila bambini coinvolti in incidenti sul lavoro in un anno suggerisce che i bambini lavoratori siano molti di più –:
se non intenda attivarsi al fine di giungere a una quantificazione più aggiornata e reale del fenomeno del lavoro minorile nel nostro Paese;
se non si ritenga indispensabile prevedere opportune iniziative volte a contrastare il fenomeno del lavoro minorile illegale e degli infortuni sul lavoro dei minori.
(3-01364)
(13 marzo 2015)
(ex 4-07446 dell'8 gennaio 2015)
B) Interpellanza e interrogazione
Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
a seguito della riduzione dei posti di guardia negli ospedali del territorio di Catania, che ha portato alla mancanza di presenza serale e notturna degli agenti di polizia nei presidi ospedalieri, si è registrato un aumento di episodi di violenza e aggressione nei confronti del personale di servizio (medici e infermieri) come riportato dalle cronache giornalistiche locali;
assai spesso accade che anche i turni degli orari diurni vengano disattesi per esigenze di utilizzo da parte della locale questura degli agenti preposti;
in data 31 luglio 2014 si è verificata, in orario diurno, una nuova aggressione presso l'azienda ospedaliera Vittorio Emanuele di Catania;
a seguito degli avvenimenti citati è stato richiesto un incontro in prefettura da parte delle organizzazioni sindacali di categoria (personale medico e infermieristico) per l'apertura di un tavolo tecnico sul tema della sicurezza dei presidi ospedalieri;
la mancanza di sicurezza in luoghi particolarmente sensibili come le strutture di pronto soccorso rischia di produrre una pericolosissima mancanza di serenità e lucidità nello svolgimento delle proprie mansioni da parte del personale ospedaliero –:
se sia a conoscenza di quanto sopra esposto, se non ritenga necessario intervenire per individuare le opportune misure di supporto per il mantenimento degli standard di sicurezza nelle strutture ospedaliere del territorio catanese e se non ritenga di sottolineare la necessità del mantenimento dei posti di guardia nelle sopradette strutture.
(2-00664) «Berretta».
(5 settembre 2014)
BURTONE. – Al Ministro dell'interno e al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
si registrano in numero crescente le aggressioni all'interno degli ospedali del comprensorio catanese, accrescendo così la necessità di assicurare un posto di polizia permanente 24 ore su 24 all'interno dei nosocomi della città metropolitana;
durante la fascia notturna non è prevista, infatti, la presenza di alcun operatore di polizia, mentre durante il giorno la presenza è assicurata da una sola unità;
soprattutto al pronto soccorso di registrano spesso tensioni con operatori paramedici, infermieri e medici aggrediti da avventori e parenti di pazienti per presunte cure non adeguate o apriorità nei codici;
le organizzazioni sindacali delle forze dell'ordine hanno segnalato da tempo il problema a questore e competenti direzioni sanitarie;
va detto che la presenza di posti di polizia permanenti può essere di assoluto supporto alle attività investigative anche per l'accertamento di fatti delittuosi e consentirebbe agli operatori sanitari di poter lavorare con maggiore sicurezza e serenità soprattutto negli ospedali di riferimento dei quartieri più complessi di Catania –:
se e quali iniziative il Governo intenda attivare per consentire l'apertura 24 ore su 24 di posti di polizia all'interno dei nosocomi di Catania e il loro potenziamento in termini di unità operative assicurando maggiore sicurezza ai cittadini e agli operatori sanitari soprattutto nelle ore notturne.
(3-01360)
(13 marzo 2015)
(ex 5-03380 del 31 luglio 2014)
C) Interrogazione
LAFORGIA e GIUSEPPE GUERINI. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
nel 2013 il centro di identificazione ed espulsione di via Corelli a Milano è stato teatro di alcune rivolte violente che hanno causato danneggiamenti alle strutture, in particolare i settori C ed E, riducendo la disponibilità di posti disponibili;
la Croce rossa italiana nel dicembre 2013 ha deciso di non gestire più il centro di identificazione ed espulsione, terminando il suo lavoro ad ottobre 2013, alla scadenza naturale della convenzione stipulata con la prefettura di Milano;
l'assessore alle politiche sociali e cultura della salute del comune di Milano, Pierfrancesco Majorino, il 31 gennaio 2014 ha richiesto pubblicamente che il centro di identificazione ed espulsione non venisse riaperto e si trasformasse in un centro di accoglienza a disposizione del terzo settore, dove poter ospitare persone in difficoltà e realizzare progetti di integrazione;
è notizia di questi giorni che il centro di identificazione ed espulsione, dopo essere stato ristrutturato, verrà riaperto, dopo la realizzazione di un nuovo bando di gara, al termine del quale il prefetto di Milano Paolo Tronca ha firmato l'incarico al raggruppamento temporaneo d'impresa costituito dalla Gepsa, società francese di Gdf Suez, e dall'associazione culturale di Agrigento Acuarinto, dopo che le altre due concorrenti (la Ghirlandina di Modena e la 120 Servizi di Siracusa) erano state escluse per inadempienze, nonostante avessero un miglior punteggio;
la struttura venne costruita nel 1998, quando il periodo massimo di permanenza era ancora di 30 giorni e non gli attuali 18 mesi;
è necessario oggi discutere del superamento dei centri di identificazione ed espulsione, per ricondurre l'istituto del trattenimento al limitato e temporaneo scopo dell'identificazione dello straniero e diverse proposte di legge in materia sono attualmente all'esame del Parlamento –:
se il Ministro interrogato si sia confrontato con il comune di Milano prima di prendere la decisione di riaprire il centro di identificazione ed espulsione;
se abbia intenzione di valutare la possibilità di sospendere la riapertura del centro di identificazione ed espulsione, aprendo un tavolo di confronto con il comune di Milano per individuare la destinazione migliore per quegli spazi.
(3-00784)
(24 aprile 2014)
D) Interrogazioni
NICCHI, COSTANTINO, DURANTI, FRANCO BORDO, PALAZZOTTO, RICCIATTI, PANNARALE e ZACCAGNINI. – Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali e al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
si apprende da fonti giornalistiche che decine di donne, principalmente di nazionalità rumena, lavoratrici agricole (spesso «a nero») nelle serre, in località Vittoria, nella provincia di Ragusa sono costrette dai loro proprietari/padroni agricoltori, spesso affittuari anche dei locali fatiscenti in cui sono costrette a vivere con la propria famiglia, a subire abituali violenze sessuali dietro ricatto di licenziamento anche per i propri congiunti e per paura di violenze maggiori nei confronti della propria persona e dei propri figli;
Vittoria fa parte dei distretti ortofrutticoli più importanti d'Italia. Il centro di un sistema produttivo che esporta in tutta Europa annullando il tempo e le stagioni. Gli ortaggi che altrove maturano a giugno qui sono pronti a gennaio. Un miracolo chimico che ha ancora bisogno di braccia;
miracolo economico dell’«oro verde», frutto inizialmente del lavoro dei braccianti tunisini, dal 2007 dei nuovi migranti che lavorano per metà salario, i rumeni, e, soprattutto, le rumene che nell'isolamento della campagna sono una presenza gradita;
le donne rumene sono definite breadwinner perché sono le prime a partire dal loro Paese. I mariti, se arrivano, arrivano dopo. Intanto gli italiani diventano padroni della loro vita e della loro morte. Sono padroni in tutti i sensi;
così è nato il distretto del doppio sfruttamento: agricolo e sessuale;
spesso le donne sono consapevoli di quello che le aspetta in Italia, ma lo fanno per tenere unita la famiglia. Nelle serre possono vivere con i bambini. A casa di un anziano no. Meglio quindi fare la contadina che la badante. Per questo ci sono nelle serre tante mamme rumene con i bambini;
sempre da fonti giornalistiche si apprende che i «festini agricoli» diffusi soprattutto nelle piccole aziende a conduzione familiare sono ben conosciuti dalla comunità, dalle istituzioni locali e dalle associazioni socio-assistenziali, ed è stato avviato anche il progetto «Solidal Transfert», un pulmino che permette di spostarsi senza dipendere dai padroni;
le condizioni abitative in cui le lavoratrici agricole vivono con le proprie famiglie, spesso pagando affitti esosi, sono estremamente disagevoli: buchi nel soffitto che fanno passare l'acqua piovana, mura erose dall'umidità, proliferazione di miceti, con conseguenti patologie come l'asma in soggetti, soprattutto in tenera età, prima perfettamente sani. Il tutto nel totale disinteresse del locatario. Nella zona sono intervenuti sia Emergency che Medici senza frontiere;
Vittoria è il primo comune in Italia per estensione delle coltivazioni plastificate e per numero di aborti in proporzione al numero di abitanti da anni;
inoltre, l’«Associazione per i diritti umani» denuncia che nel caso specifico di Vittoria le donne si trovano impossibilitate ad interrompere la gravidanza, poiché tutti i medici sono obiettori di coscienza e che solo all'ospedale di Modica sono presenti medici non obiettori, ma la crescita esponenziale di richieste di aborto porta un allungamento dei tempi di attesa, rendendo impossibile l'aborto entro i tre mesi previsti dalla legge. Alcune donne sono costrette a ritornare nei loro Paesi d'origine per abortire. Altre, invece, si affidano a strutture abusive e a persone che, sotto cospicuo pagamento, praticano l'aborto senza averne competenze –:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dell'inaccettabile condizione in cui sono costrette a vivere le immigrate rumene nel distretto siciliano sopracitato;
se non ritengano, per quanto di competenza, di intervenire immediatamente affinché non si protragga più la odiosa condizione di donne che per vivere devono divenire schiave;
se non ritengano necessario assumere ogni iniziativa di competenza, anche per quanto riguarda la presenza degli obiettori di coscienza, affinché ogni presidio ospedaliero sia in grado di garantire la possibilità di abortire.
(3-01067)
(3 ottobre 2014)
IACONO, ROBERTA AGOSTINI, LENZI, POLLASTRINI, ALBANELLA, AMODDIO, CULOTTA, PICCIONE, VILLECCO CALIPARI, ZAPPULLA, CAPODICASA, GRECO, GULLO, CARDINALE e FABBRI. – Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali e al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. – Per sapere – premesso che:
dalla stampa e in particolare da un'inchiesta a firma di Antonello Mangano pubblicata dal settimanale l'Espresso si apprende la gravissima e inquietante situazione che riguarda delle donne, in questo caso prevalentemente rumene, che lavorano nelle campagne della zona di Ragusa, vittime di spaventose violenze e sfruttamento sessuale e lavorativo;
le campagne iblee rappresentano uno dei distretti ortofrutticoli più importanti d'Italia, il centro di un sistema produttivo che esporta in tutta Europa grazie al clima e alla composizione del terreno durante tutto l'anno;
un tipo di coltivazione così «intensa» richiede moltissima manodopera;
sono migliaia dunque le donne dell'est che lavorano nelle campagne e che vivono segregate in casali isolati, spesso con i figli piccoli;
dall'inchiesta de l'Espresso risulta che, in questo totale isolamento, esse si trovino costrette a subire ogni genere di violenza sessuale: si racconta, nell'omertà e nell'acquiescenza di tutti, di una realtà fatta di «festini» forzati nei casali sperduti nella campagna, di segregazione, di sfruttamento e di aborti;
viene rimandata un'immagine delle campagne del nostro Paese come luogo sempre più borderline, dove la ricerca del lavoro rischia di unirsi sempre più a fenomeni criminali e di sfruttamento;
le donne rumene che lavorano delle campagne del ragusano sono, come molte altre donne, con la medesima storia: arrivano in Italia con la speranza di un futuro migliore, non solo dal punto di vista economico, poiché spesso fuggono da contesti familiari difficili e matrimoni deludenti, convinte che qui le prospettive siano più allettanti e gli uomini meno maschilisti;
l'emigrazione rumena, come quella che segna molti altri Paesi dell'Est Europa, ha subito negli ultimi anni una fortissima femminilizzazione, dovuta in gran parte all'offerta di lavoro domestico e di cura nelle società di arrivo, che richiedono per questo tipo di occupazione soprattutto donne, ma anche al fatto che le madri, le figlie, le mogli rumene sembrano essere quelle cui sono maggiormente delegate, più in generale, la fatica del lavoro e la responsabilità di sostenere la famiglia in tutte le sue dimensioni;
come un rapporto elaborato dall’«Associazione per i diritti umani» di Vittoria sull'immigrazione femminile nella fascia trasformata del ragusano illustra nel dettaglio, le donne rumene trovano nel lavoro e nell'indipendenza la fondamentale ragione della loro migrazione: la loro principale occupazione è proprio quella di operaie agricole e quasi tutte sono occupate per 10, 11 mesi l'anno;
in Romania, del resto, moltissime sono le donne ancora impiegate nel settore agricolo e per alcune di loro, quindi, partire dal loro Paese per lavorare altrove, ancora una volta da contadine, sembra una scelta assolutamente percorribile;
a denunciare per primo questo vergognoso fenomeno, particolarmente diffuso nelle piccole aziende di Vittoria a conduzione familiare, ma non solo, è stato Don Beniamino Sacco, della parrocchia di Santo Spirito, a Vittoria grazie al quale anni fa è stato incarcerato uno degli sfruttatori, secondo il quale «l'arrivo di donne dell'Est ha scombussolato il panorama agricolo siciliano, in cui la moglie del proprietario sta a casa e difficilmente lavora nelle campagne. Questa presenza femminile ha destato inizialmente curiosità e, in seguito, un vero e proprio scompenso sociale. Si cominciava a dire che i proprietari avessero «riscoperto il piacere della campagna» poiché alla sera tornavano a casa sempre più tardi. Molte famiglie sono entrate in crisi»; in realtà, si faceva strada la tentazione della violenza legata allo sfruttamento e al degrado: una ricerca condotta dall’«Associazione per i diritti umani» di Vittoria rivela di abitazioni nelle quali «I buchi nel soffitto fanno passare l'acqua piovana. Le mura sono erose dall'umidità. Proliferano i miceti, con conseguenti patologie come l'asma in soggetti, soprattutto in tenera età, prima perfettamente sani. Il tutto nel totale disinteresse del locatario»;
di fronte a certi orrori lo sfruttamento sul lavoro passa quasi in secondo piano, anche se significa salari da dieci euro al giorno, temperature di fuoco sotto i teloni, veleno che può rovinare i polmoni, la pelle, gli occhi, per tacere delle «fumarole»: quando di notte bruciano piante secche e fili di nylon, di mattina si soffoca;
nella zona in passato sono intervenuti sia Emergency che Medici senza frontiere;
Vittoria è il primo comune in Italia per estensione delle coltivazioni plastificate e per numero di aborti in proporzione al numero di abitanti: spesso le rumene che abortiscono sono giovanissime e arrivano in ambulatorio accompagnate da uomini, che spesso sono i proprietari delle serre in cui lavorano;
nelle campagne isolate della provincia ragusana sembra essere tutto lecito, come testimoniato da molte delle vittime: ad approfittare di loro pare siano un po’ tutti, senza distinzione, dai capi ai loro familiari fino ad arrivare ad amici e conoscenti, nella più totale omertà, anche della comunità d'origine: i mariti delle vittime, quando ci sono, spesso nascondono la testa sotto la sabbia, per paura, per necessità;
«Se non ci fossero i migranti, la nostra agricoltura si bloccherebbe», dice a l'Espresso Giuseppe Nicosia, sindaco di Vittoria «C’è una buona integrazione, ma la violenza sulle donne è un peso sulla coscienza di tutti. Un fenomeno disgustoso, anche se in regressione. Così si produce l'ortofrutta che troviamo in tutti i supermercati. Abbiamo circa 3000 aziende agricole di piccola e media dimensione, è la più grossa espressione dell'ortofrutta meridionale, oltre che il mercato è il più importante d'Italia di prodotto confezionati»;
nel 2011 risultavano regolarmente registrati 11.845 migranti, una stima di quelli che lavorano nelle serre oscilla tra 15 mila e 20 mila: Giuseppe Scifo della Flai Cgil spiega che allo sfruttamento lavorativo si aggiunge la segregazione. Per questo è stato avviato il progetto Solidal transfert, un pulmino che permette di spostarsi senza dipendere dai padroni;
quello che emerge dall'articolo di Antonello Mangano è un quadro desolante: si scopre di rumene costrette a prostituirsi (a volte con la consapevolezza dei mariti, spaventati dalla possibilità di perdere il lavoro) per dell'acqua o per non perdere la possibilità di recarsi in paese con i figli; si scopre di donne minacciate con le pistole per prestazioni sessuali da «padroni» con la compiacenza delle mogli –:
quali iniziative urgenti i Ministri interrogati intendano adottare al fine di fare luce su tale inquietante situazione e quali misure, immediate e di lungo periodo, ritengano di dover predisporre al fine di proteggere queste donne e i loro figli da tali indicibili violenze e dallo sfruttamento nonché al fine di ripristinare la legalità.
(3-01361)
(13 marzo 2015)
(ex 5-03776 del 10 ottobre 2014)
QUARTAPELLE PROCOPIO. – Al Ministro dell'interno e al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
si apprende a mezzo stampa che cinquemila donne lavorano nel settore agricolo nella campagna della provincia siciliana di Ragusa, in un contesto che presenta aberranti condizioni igieniche e in alloggi, spesso dati abusivamente in locazione dai datori di lavoro, che non sono dotati dei più essenziali servizi, quali l'energia elettrica e l'acqua corrente;
le inchieste de l'Espresso del 15 settembre e dell'8 ottobre 2014, alle quali hanno fatto seguito numerosi articoli di stampa sulle testate locali, denunciano un contesto di totale isolamento dove le lavoratrici subirebbero atti di violenza sessuale e di prevaricazione da parte dei datori di lavoro, i quali condizionerebbero il versamento dei salari all'esercizio di prestazioni sessuali;
parallelamente alle violenze sessuali di cui sarebbero vittime le donne, anche numerosi lavoratori uomini sarebbero costretti in una situazione di sfruttamento e di violenza diffusa; ad agosto 2014 un lavoratore del Bangladesh sarebbe stato ucciso in piena campagna con un movente probabilmente legato al racket delle giornate agricole;
alcune delle vittime degli abusi avrebbero sporto regolare denuncia alle forze dell'ordine del comune di Vittoria; tuttavia, tali denunzie non avrebbero avuto alcun seguito e le vittime si sarebbero trovate prive di ogni forma di protezione;
le organizzazioni impegnate nei programmi di emersione e di protezione anti-tratta lamentano una mancanza delle risorse necessarie a fronteggiare un problema che risulterebbe in costante espansione;
il mercato agricolo costituisce l'essenza dell'economia della provincia di Ragusa; lo sfruttamento dei lavoratori irregolari da parte di alcuni imprenditori altera la concorrenza e compromette le attività degli imprenditori che operano nella legalità; ciò costituisce una grave forma di oppressione dell'economia locale –:
quali verifiche, per quanto di competenza, siano state compiute in merito alla condizione di degrado e di sfruttamento in cui versano migliaia di lavoratrici e di lavoratori nella provincia di Ragusa;
quali urgenti iniziative di competenza intendano assumere per potenziare i programmi di ispezione e di vigilanza nella provincia di Ragusa e per assicurare alle vittime di sfruttamento e di abusi un effettivo coinvolgimento nei programmi di protezione anti-tratta.
(3-01362)
(13 marzo 2015)
(ex 4-06416 del 15 ottobre 2014)
PIAZZONI, CHAOUKI, DI SALVO, MATTIELLO e QUARTAPELLE PROCOPIO. – Al Ministro dell'interno e al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
una recente inchiesta giornalistica pubblicata dal settimanale l'Espresso ha portato all'attenzione dell'opinione pubblica una gravissima e inquietante situazione di violenza e sfruttamento sulle donne straniere, per la maggior parte di nazionalità rumena, che da anni si protrae nelle campagne del ragusano;
le campagne iblee rappresentano un distretto ortofrutticolo tra i più importanti d'Italia, dove le coltivazioni intensive si sostengono grazie al lavoro quotidiano di una manodopera principalmente di composizione straniera;
su circa 3.000 aziende agricole di piccola e media dimensione, nel 2011 risultavano regolarmente registrati 11.845 migranti, ma una stima reale parrebbe oscillare tra le 15 mila e le 20 mila persone straniere impiegate nel lavoro dei campi e nelle serre;
sono migliaia, dunque, le donne straniere, con netta prevalenza di donne provenienti dall'Est Europa, che lavorano nelle campagne del ragusano, vivendo segregate in casali isolati, spesso con minori a carico;
quello che emerge dall'inchiesta giornalistica è un quadro raccapricciante di abusi, violenze ed omertà. In un contesto di quasi totale isolamento, infatti, queste donne si trovano costrette a subire ogni genere di violenza sessuale, una realtà fatta di segregazione, sfruttamento, aborti e veri e propri «festini» forzati nei casali sperduti della campagna, nell'omertà e nell'acquiescenza di tutti;
questa vicenda tratteggia un quadro desolante delle campagne e del mondo rurale del nostro Paese. Condizioni di sfruttamento lavorativo che a volte rasentano vere e proprie nuove forme di «schiavismo» sono state più volte denunciate dalle organizzazioni sindacali e da associazioni e organizzazioni non governative che si occupano della tutela dei diritti umani;
sulla questione specifica occorre, inoltre, ricordare come da tempo la Flai-Cgil, ma anche Emergency e Medici senza frontiere siano impegnati a difesa della dignità e dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici nella campagne di Vittoria e del ragusano. È stato attivato da poco il progetto Solidal transfert, promosso da Cgil e Medici senza frontiere, un pulmino che permette ai braccianti di spostarsi senza dipendere dai datori di lavoro, proprio per evitare che la situazione di isolamento, in cui questi ultimi e le loro famiglie vivono, continui a sfociare in sfruttamento lavorativo e ricatti sessuali nei confronti delle donne, anche in cambio di beni di prima necessità;
Vittoria è il primo comune in Italia per estensione delle coltivazioni plastificate e per numero di aborti in proporzione al numero di abitanti: spesso le donne straniere che abortiscono sono giovanissime e arrivano in ambulatorio accompagnate dai proprietari delle serre in cui lavorano;
nelle campagne isolate della provincia ragusana sembra essere tutto lecito, come testimoniato da molte delle vittime: ad approfittare di loro, pare, siano un po’ tutti, senza distinzione, dai capi ai loro familiari, fino ad arrivare ad amici e conoscenti, nella più totale omertà, anche della comunità d'origine: i mariti delle vittime, quando ci sono, spesso risultano acquiescenti alla situazione, per paura o per necessità;
una ricerca condotta dall’«Associazione per i diritti umani» di Vittoria rivela che le abitazioni in cui vivono i lavoratori stranieri sono molte volte piccole, senza infissi, con letti che altro non sono che cartoni, buchi nel soffitto che fanno passare l'acqua piovana, mura erose dall'umidità in cui proliferano i miceti, che causano patologie come l'asma, soprattutto in soggetti di tenera età, prima perfettamente sani. Il tutto nel totale disinteresse dei locatari, che invece, in molti casi, chiedono cifre d'affitto fino a 300 euro;
anche la Chiesa si è mossa fin dal principio per denunciare e contrastare questo vergognoso fenomeno. Don Beniamino Sacco, della parrocchia di Santo Spirito, da anni si batte denunciando come il fenomeno non sia isolato e, grazie al suo operato, a Vittoria anni fa è stato incarcerato uno degli sfruttatori. Lo stesso religioso, in un successivo articolo pubblicato sempre da l'Espresso, confessa: «Qualcuno mi accusa di aver rovinato il paese per aver difeso gli immigrati. Sono orgoglioso di essere stato dalla loro parte. Non potevo tacere»;
in questo secondo articolo emergono, inoltre, dettagli ulteriori sulla vicenda, che ribadiscono come lo sfruttamento lavorativo e le violenze sessuali ai danni delle donne straniere nelle campagne del ragusano siano noti da anni. Risalirebbe a ben 4 anni fa la prima denuncia al commissariato di Vittoria per un ricatto operato da un datore di lavoro che chiedeva prestazioni sessuali, in cambio del posto di lavoro e del pagamento degli arretrati, a una coppia di lavoratori rumeni. La testimonianza si trova anche nel video Solidal, prodotto dalla Cgil, reperibile in rete. Nonostante ciò la denuncia cade nel vuoto, tant’è che la coppia perde il lavoro;
secondo quanto raccolto da testimonianze di operatori della cooperativa Proxima, attiva nel contrasto della tratta e nella difesa dei diritti fondamentali, le violenze sessuali sarebbero solo la punta dell’iceberg. Troppi sarebbero i lavoratori non contrattualizzati, che per mesi ricevono solo acconti di salario e con ingenti crediti da riscuotere, mai evasi dai datori di lavoro. Carenti sarebbero, inoltre, le ispezioni per la sicurezza sui luoghi di lavoro;
la terribile realtà scoperchiata dall'inchiesta giornalistica più volte citata necessita di un intervento rapido e deciso da parte delle istituzioni. Non appare, infatti, tollerabile che in alcune zone del Paese possano verificarsi lesioni della dignità umana e dei diritti fondamentali così numerose e di così grave portata –:
quali iniziative urgenti i Ministri interrogati intendano adottare al fine di fare luce definitivamente su tale inquietante situazione e quali misure, immediate e di lungo periodo, ritengano di dover predisporre al fine di proteggere queste donne e i loro figli da tali indicibili violenze e dallo sfruttamento, nonché al fine di ripristinare la legalità sui luoghi di lavoro descritti in premessa.
(3-01363)
(13 marzo 2015)
(ex 4-06437 del 16 ottobre 2014)
SORIAL. – Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
secondo un'inchiesta giornalistica pubblicata di recente, nelle serre della provincia siciliana di Ragusa lavorerebbero cinquemila donne, quasi tutte di origine rumena, vivendo segregate in campagna come schiave e subendo ogni genere di violenza sessuale sotto ricatti di vario tipo e nella più completa omertà da parte degli abitanti del luogo;
in quella che viene chiamata la «città delle primizie», uno dei distretti ortofrutticoli più importanti d'Italia con circa 3.000 aziende agricole di piccola e media dimensione, nel 2011 risultavano regolarmente registrati 11.845 migranti, ma sembrerebbe che una stima reale di quelli che lavorano nelle serre oscilli tra 15 mila e 20 mila;
dopo i tunisini degli anni ’80, dal 2007 sono arrivati i nuovi migranti rumeni e, soprattutto, le rumene, disposte a lavorare per metà salario, così è nato il distretto del doppio sfruttamento: agricolo e sessuale;
Giuseppe Nicosia, sindaco di Vittoria, ammette che: «Se non ci fossero i migranti, la nostra agricoltura si bloccherebbe. C’è una buona integrazione, ma la violenza sulle donne è un peso sulla coscienza di tutti. Un fenomeno disgustoso, anche se in regressione»;
il sacerdote Don Beniamino Sacco, che per primo ha denunciato questa situazione, che secondo lui è diffusa «soprattutto nelle piccole aziende a conduzione familiare», tre anni fa ha mandato in carcere un padrone sfruttatore e da allora subisce minacce;
è stato avviato da poco il progetto Solidal transfert, un pulmino che permette ai braccianti di spostarsi senza dipendere dai padroni, perché, come sottolinea Giuseppe Scifo della Flai-Cgil, lo sfruttamento lavorativo è facilitato anche dall'isolamento che nella maggior parte dei casi sfocia nella vera a propria segregazione e permette ai padroni di ricattare sessualmente le donne anche in cambio di beni primari come l'acqua;
Alessandra Sciurba, ricercatrice dell'Università di Palermo, spiega che le donne sono costrette ad accettare queste condizioni «per tenere unita la famiglia», visto che nelle serre alle donne è permesso di vivere coi figli, mentre in altri lavori come la badante questo non è possibile e questo comporta che a vivere in condizioni disumane nelle serre ci siano anche molti minori;
una ricerca condotta dall’«Associazione diritti umani» rivela che «ci sono abitazioni piccole e senza infissi», con letti di cartoni, cucine col fornelletto a gas, buchi nel soffitto che fanno passare l'acqua piovana, mura erose dall'umidità in cui proliferano i miceti, che causano patologie come l'asma soprattutto in soggetti di tenera età, prima perfettamente sani. Il tutto «nel totale disinteresse del locatario», anzi c’è chi ha anche il coraggio di chiedere fino a 300 euro al mese per una di queste casupole;
sia Emergency che Medici senza frontiere sono intervenuti nella zona, come se si trattasse di un posto di guerra e non un distretto produttivo;
non è casuale che Vittoria sembra sia anche il primo comune in Italia per numero di aborti in proporzione al numero di abitanti da parecchi anni e le donne che usufruiscono di questo servizio siano per la maggior parte le giovani rumene che lavorano come braccianti, rimaste incinte a causa degli abusi subiti;
questa situazione ha portato anche ad un anormale allungamento dei tempi di attesa, rendendo impossibile in molti casi l'aborto entro i tre mesi previsti dalla legge, incentivando strutture abusive che, sotto cospicuo pagamento, praticano l'aborto senza averne competenza, con gravi rischi per la salute delle donne –:
se il Governo sia a conoscenza dei gravi fatti esposti in premessa e in che modo intenda attivarsi per attuare un serio e completo monitoraggio della situazione, nonché quali azioni intenda intraprendere per fare sì che simili inaccettabili situazioni di reale schiavitù non siano più presenti nel nostro Paese.
(3-01365)
(16 marzo 2015)
(ex 4-06320 dell'8 ottobre 2014)
E) Interrogazione
VALIANTE e FIORONI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. – Per sapere – premesso che:
l'area della cosiddetta zona archeologica di Paestum nel comune di Capaccio, in provincia di Salerno, è sottoposta a vincolo di tutela e inedificabilità, ai sensi della legge 5 marzo 1957, n. 220 («Costituzione di zona di rispetto intorno all'antica città di Paestum e divieto di costruzioni entro la cinta muraria»);
si apprende, sia dagli organi di stampa locale che dagli atti amministrativi pubblicati, che il comune di Capaccio intende realizzare alcune opere fisse e rimovibili entro l'area sottoposta a vincolo di notevole impatto archeologico e ambientale: un sottopasso ferroviario (a pochi metri dalla cinta muraria), un marciapiede lungo tutta cinta muraria sino alla località «Torre di Mare» e la sistemazione di due cupole di colore giallo nell'area adiacente il tempio di Hera, per manifestazioni che si protraggono per numerose settimane e forse mesi;
tra le manifestazioni previste risalta, soprattutto, la «Borsa mediterranea del turismo archeologico» giunta al suo XVII appuntamento, programmato dal 30 ottobre al 2 novembre 2014, a cui partecipano operatori turistici provenienti da numerosi Paesi esteri;
con la determina del responsabile dell'area VI 1o settembre 2014, n. 324, del comune di Capaccio (Salerno) per l'acquisto delle «strutture modulari smontabili e rimovibili» sono state impegnate somme per circa 628.300 euro, con prestito della durata di 20 anni che grava sul bilancio dell'ente locale e, quindi, di tutti i cittadini;
per il sottopasso ferroviario di Paestum e il marciapiede si prevedono, in particolare, consistenti lavori di scavo e opere fisse in calcestruzzo per sottofondi e strutture di sostegno che arrecherebbero un grave pregiudizio al contesto territoriale ed ambientale, che, unitamente al riconoscimento dell'Unesco come patrimonio dell'umanità, costituisce sempre un sito di grande pregio riconosciuto da tutto il mondo;
per la realizzazione del marciapiede l'amministrazione comunale intende utilizzare circa un milione di euro (finanziato per attività di studio e ricerca), al fine di individuare le migliori condizioni per una riqualificazione dell'intera area sottoposta a vincolo;
parte delle somme messe a disposizione dell'amministrazione comunale sono già state spese per un concorso di idee dall'esito, ad avviso degli interroganti, dubbio e discutibile;
sembra che tutte le opere messe oggi in cantiere dall'amministrazione comunale abbiano ottenuto il parere favorevole delle locali soprintendenze;
ciò in contrasto con i pareri negativi espressi precedentemente dalle medesime soprintendenze in relazione alle passate amministrazioni comunali che si sono susseguite, tanto da far sorgere il sospetto a molti cittadini che esista un particolare intendimento tra le soprintendenze e l'attuale amministrazione comunale;
a tal proposito, si ricorda, ad esempio, che per il sottopasso ferroviario di Paestum dalla soprintendenza ai beni archeologici di Salerno è stato espresso parere negativo finanche per opere da realizzarsi a trecento metri e poi ancora a seicento metri dal perimetro delle mura dell'antica città, mentre solo oggi si apprende di un parere favorevole per opere da realizzarsi a circa soli dieci metri dalla cinta muraria;
gli atti posti in essere sono di una gravità inaccettabile e comprometterebbero irrimediabilmente l'intera area archeologica –:
se intendano assumere, per quanto di competenza, iniziative volte ad accertare i fatti rappresentati;
se intendano intervenire per chiarire le modalità di intervento per la realizzazione del sottopasso ferroviario di Paestum, nonché quelle per la sistemazione delle «strutture modulari smontabili e rimovibili» da sistemare in altro sito più adeguato, come accaduto per tutte le passate edizioni della manifestazione fieristica, ad esclusione dell'ultima, a salvaguardia del decoro dell'area archeologica di Paestum.
(3-01031)
(17 settembre 2014)
MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER LA TUTELA DEI DIRITTI PREVIDENZIALI DEI LAVORATORI ITALIANI EMIGRATI IN PAESI NON APPARTENENTI ALL'UNIONE EUROPEA
La Camera,
premesso che:
sono quasi un milione le pensioni in convenzione internazionale erogate dall'Inps a cittadini italiani residenti all'estero (circa 500.000) e ad emigrati rientrati in Italia, e sono centinaia di migliaia i cittadini italiani residenti all'estero e in Italia i quali matureranno, nei prossimi anni, il diritto ad una pensione italiana in pro-rata attraverso l'applicazione di una convenzione bilaterale o multilaterale di sicurezza sociale;
per tutelare i diritti previdenziali dei lavoratori italiani emigrati, nel corso degli anni l'Italia ha stipulato numerose convenzioni bilaterali di sicurezza sociale con i Paesi di maggiore emigrazione; tali convenzioni hanno garantito in materia di sicurezza sociale la parità di trattamento dei lavoratori che si spostavano da un Paese all'altro, l'esportabilità delle prestazioni previdenziali e, soprattutto, la totalizzazione dei contributi ai fini del perfezionamento dei requisiti contributivi minimi previsti dalle varie legislazioni per la maturazione di un diritto a prestazione;
tali convenzioni sono state stipulate, tranne alcune eccezioni, negli anni Settanta e Ottanta, come ad esempio quella con l'Argentina che risale al 1984, quella con il Brasile che risale al 1977, quella con l'Uruguay che risale al 1985, quella con il Venezuela che risale al 1991, quella con gli USA che risale al 1978, quella con il Canada che risale al 1979, con la ex Jugoslavia addirittura al 1961 – le più recenti, per modo di dire, sono quelle con la Croazia del 1999 e quella con l'Australia che risale del 2000; sono evidentemente convenzioni obsolete nello spirito, nei contenuti e nella forma e che non possono più tutelare adeguatamente diritti e interessi o doveri dei futuri pensionati perché non sono state adeguate alle evoluzioni e agli aggiornamenti, talvolta radicali, delle legislazioni e dei sistemi previdenziali dei Paesi contraenti;
nessuna delle convenzioni bilaterali stipulate dall'Italia contempla, e quindi disciplina, nel suo campo di applicazione oggettivo il nuovo sistema contributivo introdotto in Italia a partire dal 1o gennaio 2012 con il decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni dalla legge 28 dicembre 2011, n. 214;
nessuna delle convenzione bilaterali contempla nel proprio campo di applicazione soggettivo i dipendenti pubblici italiani, gli ex iscritti Inpdap e i liberi professionisti, i quali, quando emigrano nei Paesi extracomunitari, sono esclusi da ogni forma di tutela previdenziale (un'intollerabile disparità di trattamento con i dipendenti privati che è stata invece da tempo colmata dai regolamenti comunitari di sicurezza sociale);
sono più di dieci anni che lo Stato italiano ha sospeso i negoziati con i Paesi di emigrazione italiana per la stipula e il rinnovo delle convenzioni bilaterali di sicurezza sociale; sono numerose le convenzioni già firmate dall'Italia, approvate dai Parlamenti degli altri Paesi contraenti ma mai ratificate dal Parlamento italiano; sono decine di migliaia i cittadini italiani residenti in Paesi dell'America Latina non ancora convenzionati con l'Italia – come Cile, Perù, Ecuador e Messico – ai quali viene negato il diritto a pensione in regime internazionale nonostante la titolarità di una posizione assicurativa in Italia;
appare incomprensibile e ingiustificabile l'eliminazione dell'unità di consulenza per la sicurezza sociale del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, strumento di ricerca, consulenza e progettazione per l'avvio dei negoziati bilaterali;
le convenzioni bilaterali di sicurezza sociale non devono tutelare solo la vecchia emigrazione: stanno emergendo, infatti, moderne figure di nuovi migranti italiani, come i liberi professionisti, i ricercatori, i piccoli imprenditori, gli artigiani, gli insegnanti, gli studenti, i lavoratori al seguito delle imprese, i tanti giovani che si recano a lavorare all'estero, anche per lunghi periodi, dove versano i contributi e pagano le tasse, e i quali rischiano poi, a causa delle convenzioni oramai obsolete, di non essere adeguatamente tutelati negli ambiti previdenziale, fiscale e sanitario;
nella strategia di internazionalizzazione del Paese, a causa del drastico ridimensionamento delle cosiddette politiche migratorie che da alcuni anni si sta determinando, rischiano di offuscarsi le potenzialità legate alla presenza degli italiani nel mondo e tende a restringersi la rete di relazioni che essa ha assicurato nel tempo, con grave danno per il Paese soprattutto in questo passaggio di gravi difficoltà economiche e sociali;
oltre a limitare le prospettive di internazionalizzazione dell'Italia, la sensibile riduzione dell'intervento pubblico e il totale abbandono della gestione delle convenzioni bilaterali di sicurezza sociale non consente di esercitare una doverosa tutela dei diritti e un rigoroso controllo dei doveri socio-previdenziali di una parte non marginale della comunità, costituita da anziani che spesso vivono in realtà dove i sistemi di protezione sociale non assicurano livelli di tutela adeguati e dai nuovi soggetti migranti, i quali sono protagonisti di una mobilità internazionale fonte di carriere lavorative ed assicurative frammentate che necessitano di nuovi e più adeguati strumenti di tutela previdenziale, fiscale e sanitaria;
è quindi di primario interesse nazionale fare in modo che non si indeboliscano i rapporti con la diffusa e articolata presenza degli italiani nel mondo e che non vengano a mancare in un momento di seria difficoltà gli apporti derivanti dalla diffusa diaspora italiana; nello stesso tempo, è ineludibile dovere etico riconoscere all'emigrazione italiana il contributo storico dato in momenti difficili al Paese e non ignorare i compiti di tutela e di solidarietà verso coloro che sono in seria difficoltà, a partire dalla tutela previdenziale e sanitaria,
impegna il Governo:
alla luce delle importanti e sostanziali modifiche intervenute in questi ultimi anni nel sistema previdenziale italiano, ad istituire un tavolo tecnico che veda la presenza dei rappresentanti dei Ministeri interessati, dell'Inps e dei patronati nazionali con il preciso compito di:
a) monitorare lo stato delle convenzioni bilaterali di sicurezza sociale in essere e verificare la loro compatibilità con le modifiche intervenute nel sistema previdenziale italiano e l'eventuale conseguente necessità di rinegoziazione;
b) verificare, a fronte dell'aumentata mobilità internazionale di lavoratori e lavoratrici sia in uscita che in ingresso in Italia, la necessità di stipulare nuovi accordi bilaterali di sicurezza sociale – completando il quadro giuridico di salvaguardia dei diritti sociali – e di aggiornare quelli in vigore, a garanzia di una più adeguata, efficace ed ampia tutela previdenziale.
(1-00445) (Nuova formulazione) «Fitzgerald Nissoli, Porta, Adornato, Allasia, Amendola, Binetti, Borghese, Caon, Capelli, Capua, Caruso, Catalano, Catania, Causin, Cimmino, Cirielli, D'Agostino, De Mita, Dellai, Di Lello, D'Incecco, Gianni Farina, Fauttilli, Fedi, Galgano, Gelli, Gigli, Ginoble, Gitti, Giuseppe Guerini, Guerra, Invernizzi, La Marca, Lo Monte, Locatelli, Marazziti, Marcolin, Mazziotti Di Celso, Merlo, Molea, Monchiero, Nesi, Oliaro, Pagano, Pastorino, Patriarca, Picchi, Piepoli, Pilozzi, Pisicchio, Preziosi, Rabino, Rondini, Santerini, Sberna, Scanu, Scotto, Sottanelli, Tacconi, Tinagli, Totaro, Vaccaro, Vargiu, Vecchio, Vezzali, Vitelli».
(30 aprile 2014)
La Camera,
premesso che:
l'articolo 35, quarto comma, della Carta costituzionale afferma il principio della tutela generale per il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni e sancisce specificamente un principio di tutela per il lavoro italiano all'estero;
in modo particolare, sono radicati nel nostro ordinamento giuridico: il principio della parità di trattamento in base al quale ciascuno Stato stipulante riconosce ai lavoratori stranieri, operanti sul proprio territorio nazionale, gli stessi diritti riservati ai cittadini residenti; il principio della territorialità della legislazione applicabile che prevede, come regola generale, l'applicazione della legislazione di sicurezza sociale del luogo dove viene effettivamente svolto il lavoro; il principio dell'esportabilità delle prestazioni ad ulteriore garanzia del lavoratore migrante, in base al quale le prestazioni non sono soggette a riduzione, sospensione o soppressione per il fatto che l'avente diritto trasferisca la propria residenza in un altro Paese; il principio della totalizzazione dei periodi assicurativi in base al quale è consentito il cumulo dei periodi di occupazione, assicurazione e residenza compiuto dal lavoratore in virtù delle legislazioni dei vari Paesi, nella misura necessaria ed a condizione che non si sovrappongano;
deve essere posta in essere ogni azione finalizzata e finalizzabile alla piena adesione a detti fondamentali principi costituzionali;
per i lavoratori e il personale italiano all'estero assumono fondamentale importanza le esigenze relative agli aspetti di natura previdenziale, soprattutto in ipotesi di assegnazione del dipendente in Paesi extracomunitari non convenzionati in materia di sicurezza sociale con l'Italia, laddove scatta l'obbligo di doppia contribuzione del lavoratore sia in Italia che nel Paese estero;
in tale ambito occorrerà porre in essere ogni iniziativa tanto di monitoraggio quanto di reale intervento presso quei Paesi con cui non siano ancora stati stipulati accordi di regolamentazione o con i quali sia invece necessario provvedere al relativo rinnovo;
in ambito previdenziale internazionale è principio generale è quello per cui i contributi si pagano nel Paese ove viene svolta l'attività (cosidetto «lex loci laboris»). Vi sono però talune deroghe volte ad agevolare la mobilità geografica dei lavoratori; le principali sono rappresentate dal distacco in ambito comunitario, o dal distacco in Paesi extracomunitari, previdenzialmente convenzionati con l'Italia;
per quanto riguardo il distacco comunitario, disciplinato in particolare dal regolamento (CE) n. 883/2004 e relativi provvedimenti attuativi, si deve osservare che l'ambito di applicazione è piuttosto ampio perché, oltre a comprendere i distacchi in Paesi aderenti all'Unione europea, coinvolge, in forza di specifici accordi internazionali, anche i distacchi in Paesi dello Spazio economico europeo (Islanda, Liechtenstein e Norvegia) e Svizzera;
fuori dall'ambito comunitario «allargato», come sopra individuato, emergono criticità e/o ovvie difficoltà dettate anche dalla «distanza» culturale tra Paesi;
in ipotesi di distacco extracomunitario, infatti, si deve verificare in primo luogo l'esistenza di una convenzione in materia di sicurezza sociale fra Italia e Paese estero, grazie alla quale il lavoratore possa continuare a contribuire solo in Italia e non anche all'estero. In presenza di tale accordo, l'ulteriore passaggio è quello di controllare se la convenzione copra tutti i contributi (invalidità, vecchiaia, superstiti, malattia ed altro) o solo i principali (invalidità, vecchiaia, superstiti) lasciando che per i contributi «minori» sussista comunque una doppia contribuzione;
la situazione peggiore, tuttavia, si verifica in caso di distacco in Paese extracomunitario non convenzionato (come ad esempio India o Cina) in cui i contributi, oltre che in Italia, ai sensi della legge n. 398 del 1987, sono dovuti anche nel Paese di svolgimento dell'attività lavorativa, con un notevole aggravio dei costi aziendali;
per garantire la tutela dei diritti previdenziali dei lavoratori italiani emigrati, l'Italia ha già stipulato negli anni numerose convenzioni bilaterali di sicurezza sociale con i Paesi di emigrazione con il precipuo scopo di garantire maturazione ed esportabilità delle prestazioni pensionistiche;
attualmente l'Inps eroga in tutto il mondo circa 500.000 pensioni in convenzione internazionale; molte di queste convenzioni sono state stipulate in anni remoti e scontano, pertanto, un difetto di obsolescenza sia sul piano formale che sostanziale e necessitano, come detto, di essere adeguate ai cambiamenti che hanno investito le legislazioni previdenziali dei Paesi che le hanno stipulate;
l'impegno ad aggiornare le convenzioni bilaterali di sicurezza sociale e a sottoscriverne di nuove deve basarsi sulla precisa consapevolezza che l'emigrazione italiana nel mondo ha cambiato volto e, quindi, occorre fornire nuove e più penetranti tutele alle nuove figure di nuovi lavoratori migranti, aggiornando le convenzioni attualmente vigenti e preso atto che esistono numerose convenzioni già sottoscritte dal nostro Paese ma mai ratificate dal Parlamento;
tali esigenze divengono ancor più pregnanti se si pensa alla necessità di perseguire, nelle ipotesi virtuose, quel principio di «reciprocità» tra Italia e Paesi esteri che dovrebbe portare il nostro Paese ad adeguarsi – come nel caso del reddito di cittadinanza – alle linee adottate da quasi tutti i Paesi europei in materia di protezione sociale;
alla luce della necessità di mettere mano ad una completa revisione del sistema pensionistico italiano che vada nella direzione di un radicale mutamento di tendenza rispetto ai disastrosi principi introdotti dalla cosiddetta «riforma Fornero», sarà, pertanto, altresì da riprendere un percorso di negoziazione per il rinnovo degli accordi bilaterali di sicurezza sociale con i Paesi non aderenti all'Unione Europea, in adesione ai principi di cui all'articolo 35, quarto comma, della Carta costituzionale,
impegna il Governo:
a porre in essere ogni iniziativa utile all'affermazione dei principi contenuti all'articolo 35, quarto comma, della Carta costituzionale;
nel più ampio quadro di un processo di riforma delle tutele sociali e previdenziali nel nostro Paese, il cui avvio secondo i firmatari del presente atto è da ritenersi improrogabile, a riprendere i negoziati, sospesi da troppi anni, per la stipula e il rinnovo degli accordi bilaterali di sicurezza sociale con i Paesi di emigrazione italiana non aderenti all'Unione europea e, comunque, con tutti i Paesi stranieri, nei casi in cui emerga l'esigenza di intervenire per la stipula e/o la revisione degli accordi bilaterali.
(1-00761) «Dall'Osso, Tripiedi, Chimienti, Ciprini, Cominardi, Lombardi, Villarosa, Colletti».
(13 marzo 2015)