TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 103 di Mercoledì 23 ottobre 2013
MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER UNA POLITICA INDUSTRIALE VOLTA ALLA RIQUALIFICAZIONE E ALLA REINDUSTRIALIZZAZIONE DEI POLI CHIMICI
La Camera,
premesso che:
la chimica è un comparto produttivo essenziale per il sistema industriale del Paese. Non vi è settore industriale che non sia fortemente legato alla chimica e, tra questi, spiccano proprio quei settori del made in Italy: dall'agro-alimentare, all'industria tessile, delle calzatura e della moda, al settore del mobile e dell'arredamento, al settore della meccanica di precisione, al bio-medicale – senza, peraltro, dimenticare i settori più tradizionali e radicati quali, ad esempio, l'industria automobilistica, edile, dell'elettrodomestico, della ceramica, della carta – agli imballaggi e all'agricoltura;
l'Italia è, tra i Paesi europei più industrializzati, quello con il più elevato deficit della bilancia commerciale sia nell'insieme del settore chimico, nel 2012 circa 10 miliardi di euro, sia della chimica di base, 12,5 miliardi di euro (a livello europeo la chimica e la chimica di base registrano, invece, surplus pari, rispettivamente, a 44 miliardi di euro e a 12 miliardi di euro). I comparti delle pitture e dei detergenti e cosmetici sono quelli che registrano il maggiore surplus (circa 2,5 miliardi di euro) che attenua il disavanzo registrato dall'intero comparto;
da un punto di vista dell’export, l'industria chimica italiana, pur registrando un deficit nella bilancia commerciale, mostra una propensione al commercio con l'estero; nel periodo 1990-2009 il rapporto tra export e produzione totale è passato dal 18 per cento al 40 per cento e la sua incidenza sul totale dell’export dell'industria manifatturiera italiana è cresciuta da poco più del 6 per cento nel 2000, fino a sfiorare il 10 per cento nel 2011;
il processo di dismissioni, attuato dall'Eni negli ultimi decenni, ha provocato gravi conseguenze non soltanto dal punto di vista occupazionale e per la bilancia commerciale di settore, ma anche per la competitività del comparto e dell'intero sistema produttivo del Paese;
la chimica italiana rappresenta una parte rilevante del panorama della ricerca e dell'innovazione: in assenza di grandi investimenti, il settore produce oltre il 20 per cento dei brevetti dell'industria manifatturiera ed impiega oltre 4.000 addetti in ricerca e sviluppo;
la ridotta presenza di investimenti in ricerca e innovazione si concretizza nell'annunciato taglio al Centro ricerche Giulio Natta di Ferrara e nella ridefinizione del cracker di Marghera. Il piano Versalis sui territori da Eni presidiati (Sicilia, Mantova, Ravenna e Ferrara) si inserisce in questo quadro strutturale, reso più urgente dalla novità che nel settore della chimica, dei materiali plastici e delle specialties si stanno orientando le attenzioni e la ricerca dei grandi gruppi europei, che non rinunciano alla petrolchimica e, contemporaneamente, guardano ai possibili terreni competitivi dei prossimi anni;
l'importanza dell'industria chimica in Italia dal punto di vista dell'occupazione è fortemente diminuita, passando dal 4,5 per cento del 1971 al 2,6 per cento del 2009 dell'intero sistema industriale italiano;
la piccola e media impresa chimica (localizzata prevalentemente a nord del Paese), continua a mostrare segni di vitalità (surplus commerciali, crescente orientamento ai mercati esteri). Nel 1971 la piccola e media impresa impiegavano il 29 per cento degli addetti, nel 2009 tale percentuale è passata al 69 per cento del totale degli addetti della chimica in Italia. La maggiore incidenza delle piccole e medie imprese è attribuibile, in realtà, alle dismissioni della grande impresa: dal 1981 al 1996 la grande impresa chimica ha perso il 43 per cento degli addetti, la piccola e media impresa circa il 9 per cento. L'industria chimica italiana, riducendosi il peso dei colossi industriali della cosiddetta chimica di base e intermedia (Eni, Mossi & Ghisolfi, LyondellBasell, Solvay), si va configurando come un sistema di imprese di piccole e medie dimensioni, fortemente orientate all'innovazione e ai prodotti speciali;
il costo dell'energia, tra i più alti in Europa, incide fortemente sull'economia della chimica di base, mentre gioca un ruolo meno importante per i cosiddetti prodotti speciali, dove il livello di scala ottimale non è molto elevato e giocano un ruolo assai più importante i cosiddetti aspetti «intangibili» di know-how, che non i grandi investimenti fissi;
l'industria chimica italiana (che sta operando importanti processi di riconversione di impianti industriali non competitivi, in bioraffinerie dedicate alla produzione di chemical da fonti rinnovabili) può creare le condizioni per ricadute positive a livello di occupazione, dell'ambiente, della redditività dei prodotti e dell'integrazione con la chimica tradizionale, dando nuove opportunità anche a settori maturi dell'economia;
a supporto delle forti potenzialità offerte da una maggiore integrazione tra prodotti chimici da fonti rinnovabili e tradizionali, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha promosso un cluster sulla chimica verde a seguito del bando dello stesso Ministero sui cluster tecnologici. Una volta operativo, il cluster, al quale hanno aderito più di 100 soggetti (imprese, istituzioni di ricerca, regioni, università e associazioni), diventerà un interessante soggetto per le istituzioni italiane ed europee con elevate potenzialità nella creazione di sinergie tra le imprese e tra gli strumenti di ricerca pubblica e privata nel campo della bioeconomia e della chimica verde;
la realtà economica espressa dal comparto delle materie plastiche e della gomma in Italia è assai complessa ed articolata e va ben oltre la semplice produzione dei materiali;
l'industria di produzione delle materie plastiche è tipicamente un'industria «capital intensive» e richiede ingenti investimenti miliardari, anche se con pochi addetti diretti;
in Italia ci sono circa 5.000 aziende di trasformazione di plastica e gomma, che occupano oltre 600 mila addetti, mentre l'industria di produzione delle materie plastiche e gomma impiega 10 mila-12 mila addetti (circa 5.000 Versalis, 2.300 Mossi & Ghisolfi, 1.200 LyondellBasell, più quelli rappresentati dalle realtà minori come Radici Chimica, Solvay Specialty Polymers, Novamont ed altri);
sussiste sproporzione tra il numero di addetti alla produzione ed il numero di addetti alla trasformazione, in un rapporto 1:50-1:60. Se si aggiungono i dati del settore della produzione di macchine e ausili alla trasformazione delle materie plastiche, settore che contribuisce al prodotto interno lordo italiano per 4 miliardi di euro e con un saldo commerciale import-export positivo per l'Italia di circa 2 miliardi di euro, si comprende che la produzione di materie plastiche costituisce un volano formidabile per l'occupazione e per la bilancia commerciale italiana;
il mercato italiano consuma annualmente all'incirca 7 milioni di tonnellate di materie plastiche e gomma (secondo Paese in Europa dopo la Germania) e ne produce 3 milioni di tonnellate (fonte: PlasticsEurope). Questo dato costituisce motivo di preoccupazione, sia per la bilancia commerciale italiana, sia per la competitività delle aziende italiane di trasformazione, già penalizzate dal costo dell'energia (il più alto in Europa) e dal costo del lavoro (cuneo fiscale). Se a ciò si aggiunge la grave crisi dei produttori di materie plastiche, si comprende come tutto ciò rischia di compromettere il lavoro non di 10 mila, bensì di più di 600 mila persone;
considerando i soli polimeri di largo impiego, in Italia si producono polietilene (Eni-Versalis), polipropilene (LyondellBasell), polietilene tereftalato (Mossi&Ghisolfi), poliammide (Radici Chimica), polistirene (Eni-Versalis). Polietilene, polipropilene e cloruro di polivinile (pvc) rappresentano, in termini di fatturato, la prima, la seconda e la terza materia plastica al mondo;
è completamente scomparsa, invece, la produzione di cloruro di polivinile, di cui peraltro l'Italia è forte consumatrice. L'industria italiana, in periodi di congiuntura economica sfavorevole come quello attuale, consuma circa 800.000 tonnellate all'anno di cloruro di polivinile e, dopo il triste epilogo delle vicende di Vinyls Italia, non ne produce più;
nel 2012, l'Italia ha registrato un deficit della bilancia commerciale pari, per il polietilene, a circa 900.000 tonnellate (1 miliardo di euro), e per il polipropilene, a oltre 700.000 tonnellate (circa 762 milioni di euro);
l'industria delle materie plastiche in Italia è afflitta da decenni di immobilismo (da oltre 20 anni non si realizzano nuovi impianti di poliolefine, né di poliestere) e gli impianti esistenti sono ampiamente sottodimensionati rispetto agli impianti che vengono avviati oggigiorno nel resto del mondo. In più, la produzione italiana delle poliolefine (le materie plastiche più utilizzate) è basata sugli impianti di cracking di Marghera, Priolo e Brindisi, impianti sui quali da anni si dibatte sul mantenimento o la chiusura, provocando continue fibrillazioni nelle aziende e nei lavoratori che da tali produzioni dipendono;
si stima che 200 mila tonnellate in più di poliolefine producono 12.000 addetti diretti, più i servizi, più le attività a valle e a monte, ma è vero anche il contrario: la scomparsa delle 220.000 tonnellate del sito di Terni di proprietà della LyondellBasell non ha coinvolto solo i 70 addetti del sito produttivo, ma ha compromesso o messo a rischio oltre 12.000 posti di lavoro. Stessa cosa avverrebbe a Brindisi ed analogo discorso si può fare per Ferrara, Ravenna o qualsiasi altro polo chimico;
la difesa dei siti produttivi abbraccia un campo economico, sociale e politico enorme, di cui si è finora sottovalutata la vastità e l'importanza per il sistema Paese italiano. Per le migliaia di imprese trasformatrici a valle, la presenza di un fornitore sul territorio nazionale costituisce un rilevante fattore di competitività. La competitività delle aziende italiane, costrette in misura sempre maggiore ad approvvigionarsi all'estero, sarebbe sempre più compromessa. Basti pensare che il 40 per cento delle materie plastiche (quasi 3 milioni di tonnellate) va nell'imballaggio, quindi nel comparto agro-alimentare, come anche nella moda e nell'abbigliamento;
in questo quadro non roseo riguardante la produzione italiana delle materie plastiche, una nota positiva è rappresentata dalla cosiddetta «chimica verde» e dalla bioeconomia, con particolare riguardo ai vantaggi e al potenziale per l'Italia della conversione di siti non competitivi in bioraffinerie integrate nel territorio, funzionali alla produzione delle cosiddette bioplastiche e di altri prodotti ad alto valore aggiunto, quali gli intermedi chimici bio, i biolubrificanti ed altro;
nel merito, la Commissione europea ha lanciato, il 13 febbraio 2012, la prima strategia dedicata alla bioeconomia: «Innovating for Sustainable Growth: A Bioeconomy for Europe» (COM(2012) 60 final). Il peso economico del settore viene stimato dall'Unione europea con un fatturato di circa 2.000 miliardi di euro ed oltre 22 milioni di persone impiegate, che rappresentano il 9 per cento dell'occupazione complessiva della comunità europea. Viene, inoltre, stimato che per ogni euro investito in ricerca e innovazione nella bioeconomia, con adeguate politiche di sostegno a livello nazionale ed europeo, la ricaduta in valore aggiunto nei settori di comparti, quali quello dei prodotti bio-based, sarà pari a dieci euro entro il 2025. In base a tale strategia, per mantenere la propria competitività l'Unione europea dovrà trasformarsi in una società caratterizzata da basse emissioni di carbonio, nella quale la crescita sostenibile e la competitività stessa siano alimentate sinergicamente da industrie che usano in modo efficiente le risorse e dal ricorso a prodotti bio-based;
in tale settore la Novamont, realtà industriale attiva dal 1989, è oggi tra i leader mondiali dei biopolimeri e degli intermedi chimici da fonte rinnovabile. Nel 2012 il fatturato di Novamont spa ha superato i 160 milioni di euro, a fronte di un organico di 270 addetti, il 23 per cento dei quali impiegato in attività di ricerca e sviluppo, investendo il 6,5 per cento del proprio fatturato. La Novamont è impegnata in progetti di riconversione di siti chimici dismessi e non più competitivi quali Terni, Porto Torres, Bottrighe. L'obiettivo è agire in zone fortemente intaccate dalla crisi, valorizzando le risorse e le competenze locali attraverso investimenti in bioraffinerie dedicate alla produzione di prodotti ad alto valore aggiunto, con benefici per l'intera filiera e la collettività: dal mondo agricolo, alla trasformazione in prodotti, con ricadute su diversi settori applicativi (bioplastiche, biolubrificanti e altro), alla produzione di compost di qualità dalla frazione organica del rifiuto, fino alla ricerca e alla formazione delle nuove generazioni;
Versalis dal 2011 opera nel settore della «chimica verde» attraverso Matrica (joint venture al 50/50 con Novamont). Versalis punta a trasformare assieme a Novamont il sito di Porto Torres in un polo di chimica verde per la produzione di bio-intermedi, bio-lubrificanti, bio-additivi e bio-plastiche, con un investimento di 500 milioni di euro. Eni-Versalis ha avviato anche nuovi progetti di sviluppo nel settore delle gomme da fonte rinnovabile;
iniziative analoghe sono in corso anche da parte del gruppo Mossi&Ghisolfi che, tramite Beta Renewables, una joint venture tra Chemtex, società di ingegneria, e R&D del Gruppo Mossi&Ghisolfi, e il fondo Texas Pacific Group, ha investito oltre 140 milioni di euro nello sviluppo della tecnologia Proesa(®). La società ha costruito a Crescentino (Vercelli), il più grande impianto al mondo (40 mila tonnellate all'anno) per la produzione di bioetanolo di seconda generazione, che è entrato in funzione alla fine del 2012;
la chimica verde va fortemente sostenuta, ma non può essere considerata sostitutiva della chimica tradizionale;
la chimica verde, e con essa tutta la ricerca, rappresenta comunque un investimento per il futuro nel medio e lungo termine. Non si può, però, chiedere ad essa di risolvere i problemi attuali della chimica italiana, anche se può dare un importante contributo,
impegna il Governo:
ad avviare una politica industriale finalizzata a riqualificare e reindustrializzare i poli chimici, concordando i percorsi con le amministrazioni locali e regionali, dando come priorità la bonifica dei siti contaminati;
a mettere in campo strumenti di sostegno per la tenuta della chimica nazionale, evitando, ove possibile, ulteriori chiusure di impianti e promuovendo la realizzazione degli investimenti necessari a riportare a livello competitivo le produzioni presenti in Italia;
a promuovere l'avvio di processi di reindustrializzazione e sviluppo in una logica di filiera e nei settori della chimica fine, delle specialità e della chimica verde, avviando, a tal fine, iniziative per favorire i rapporti tra grandi imprese e piccole e medie imprese;
a sviluppare una nuova politica di sostegno all'innovazione che tenga in considerazione i legami tra le varie filiere industriali, supportando la diffusione dell'innovazione in tutto il sistema industriale italiano, e favorendo le aggregazioni tra piccole e medie imprese per accelerare il trasferimento di know-how all'interno di ciascuna filiera;
a ridurre il differenziale del costo dell'energia con gli altri Paesi concorrenti, adottando in tempi certi un piano energetico nazionale modificando l'attuale Strategia energetica nazionale;
ad accelerare le bonifiche dei siti chimici di interesse nazionale, promuovendo la rivisitazione dei processi produttivi in chiave di sostenibilità ambientale e favorendo l'insediamento, all'interno di tali siti (o nelle loro immediate vicinanze), di piccole e medie aziende, creando un anello virtuoso di crescita sia per la piccola e media impresa, grazie alla presenza di centri ricerche, servizi, energia e disponibilità di personale altamente specializzato, sia per la grande industria, grazie alla riduzione dei costi di logistica, alla produzione mirata al servizio del territorio ed a una maggiore stabilità del mercato;
a favorire l'insediamento di piccole e medie imprese nei poli chimici, chiedendo all'Eni di agevolare l'acquisto delle proprie aree per i potenziali acquirenti, così come è avvenuto nel comprensorio del petrolchimico di Priolo;
a semplificare le procedure burocratiche di autorizzazione per le nuove imprese, al fine di facilitare gli investimenti e attrarre nuovi capitali italiani ed esteri nel settore;
a battersi in sede europea per interventi normativi a sostegno di imprese e di poli chimici che rispettino le norme ambientali, evitando delocalizzazioni e trasferimenti in Paesi meno rigorosi nella regolamentazione ambientale e favorendo forme di agevolazione fiscale mirate alle imprese che hanno deciso di insediarsi nel nostro Paese;
a sviluppare una politica nazionale di sostegno alla bioeconomia che tenga in considerazione il ruolo chiave delle bioraffinerie nel generare valore a livello locale, attraverso filiere corte che coinvolgano il mondo agricolo e le collettività, e che permetta lo sviluppo di processi di innovazione incrementale indotta lungo tutta la filiera, favorendo le aggregazioni tra piccole e medie imprese per accelerare il trasferimento di know-how all'interno di ciascuna filiera;
a focalizzare le politiche italiane nel campo della gestione integrata dei rifiuti solidi urbani, mettendo al centro la trasformazione in compost di qualità della frazione organica in una logica di risorse per altre filiere e non come un problema (si veda l'organico e la produzione di compost);
a fissare target per incentivare, mediante apposite normative e standard, la sostituzione di prodotti critici per l'ambiente, derivanti da fonti fossili, con prodotti bio perseguendo gli obiettivi comunitari per un'economia «low carbon» entro il 2050;
ad attivare misure di incentivo alla domanda (a partire dal rafforzamento del Green public procurement) di prodotti bio-based di nicchia, quali biolubrificanti, bioerbicidi e pacciamatura agricola, mutuando in azioni le raccomandazioni formulate dal Lead market initiative ad-hoc advisory group for bio-based products della Commissione europea, per permettere di trainare lo sviluppo nel mercato finale di prodotti ad alto valore aggiunto con alte performance e ridotto impatto ambientale, sulla base di standard adeguati;
a sostenere fortemente l'attivazione e l'attuazione del cluster della chimica verde, in quanto strumento chiave per permettere sviluppi su settori prioritari per l'Italia;
ad attivare un tavolo di alto livello tra stakeholder chiave sul tema della chimica verde, mutuando il panel di alto livello sulla bioeconomia da poco lanciato dalla Commissione europea, coinvolgendo i diversi Ministeri competenti per assistere il Governo all'elaborazione di una strategia nazionale sulla bioeconomia;
a sostenere a livello europeo la partnership pubblica-privata sul bio-based, chiamata anche Bridge, il cui obiettivo è quello di aiutare le industrie europee a colmare il «divario di innovazione» tra lo sviluppo tecnologico e la commercializzazione di prodotti ad alto valore aggiunto e cercare in questo ambito di valorizzare le azioni del cluster della chimica verde al fine di permettere un allineamento di azioni a livello nazionale ed europeo;
a riattivare presso il Ministero dello sviluppo economico l'osservatorio chimico nazionale soppresso dai precedenti Governi come strumento di monitoraggio, valutazione e di proposta per l'intera filiera della chimica, valorizzando e potenziando le competenze tecniche già presenti in modo da elaborare ed attuare una politica industriale di filiera in ottica di medio lungo periodo, posto che è utile avere una regia pubblica che superi l'attuale approccio dove ogni emergenza viene gestita esclusivamente per il singolo sito che la subisce.
(1-00162)
«Speranza, Bratti, Colaninno, Valiante, Benamati, Borghi, Mariani, Braga, Fregolent, Sereni, Realacci, Dallai, Mariastella Bianchi, Carrescia, Montroni, Basso, Mariano, Moretto, Folino, Giovanna Sanna, Manfredi, Cassano, Cominelli, Zardini, Gadda, Senaldi, Cenni, Martella, Ginoble, Carra».
(2 agosto 2013)
La Camera,
premesso che:
l'industria chimica in Europa, ma anche in Italia, ha un ruolo chiave per lo sviluppo economico e per il miglioramento della qualità della vita, rendendo disponibili sostanze, prodotti, materiali innovativi e nuove soluzioni tecnologiche per tutti i settori produttivi. Attraverso le sue sostanze e i suoi prodotti, infatti, genera innovazione nei settori a valle che sono la colonna portante del manifatturiero. La chimica è infrastruttura tecnologica e, quindi, strumento di politica industriale;
l'industria chimica italiana, con un valore della produzione pari a 52,8 miliardi di euro nel 2012, si conferma il terzo produttore europeo, dopo la Germania e la Francia, e il decimo a livello mondiale. Il settore, con 2.800 imprese e 113 mila addetti, rappresenta il 6 per cento circa dell'intero fatturato dell'industria manifatturiera nazionale ed è il quarto esportatore italiano dopo meccanica, metallurgia e alimentare. Il settore vede la presenza bilanciata di imprese a capitale estero (36 per cento del valore della produzione), medio-grandi gruppi a capitale italiano (26 per cento) e piccole e medie imprese italiane (38 per cento). La dimensione media di impresa sfiora i 50 addetti;
la chimica è un settore ad elevata intensità di ricerca: la quota di addetti dedicati alla ricerca e allo sviluppo, pari al 4,3 per cento, è più che doppia della media manifatturiera (1,9 per cento) e in 10 anni la quota di imprese chimiche attive nella ricerca è aumentata di 10 punti percentuali e ha raggiunto il 48 per cento, una quota più che doppia della media industriale (23 per cento) e superiore anche a settori high tech come la farmaceutica e l'elettronica (44 per cento). In ambito europeo, è seconda solo alla Germania per numero di imprese attive nella ricerca e nello sviluppo, oltre 800, davanti a Francia e Spagna;
il 2012 si è chiuso con un calo della produzione pari al 2,8 per cento in valore e del 5,3 per cento in termini di volumi, dovuto al crollo della domanda diffuso praticamente a tutti i settori clienti, compresi quelli legati ai consumi finali che, negli anni passati, avevano risentito meno della crisi. La caduta della domanda interna si è riflessa anche sulle importazioni, in calo nel 2012 del 2,3 per cento a valore, e ha portato con sé il miglioramento del deficit commerciale, che si attesta a 10,3 miliardi di euro rispetto agli 11,6 miliardi di euro del 2011;
in Italia, la produzione chimica non mostra ancora segnali di stabilizzazione. La prima parte del 2013 registra, dopo un recupero di inizio anno, un calo del 3,3 per cento in volume in presenza di prezzi pressoché stazionari. Prosegue la caduta della domanda interna (-6 per cento in volume nel primo quadrimestre), contestualmente si è registrato un calo nelle importazioni che – nei primi 4 mesi dell'anno – perdono il 2,8 per cento in valore. La produzione in Italia si colloca attualmente su livelli prossimi al 2009 con un divario, rispetto al 2007, pari al 17,5 per cento in quantità e al 6 per cento in valore. Parte del calo nelle quantità riflette la razionalizzazione delle produzioni, molte abbandonate per concentrarsi su prodotti a maggiore contenuto di innovazione e ricerca;
l'industria chimica risente, altresì, del ridimensionamento di importanti settori utilizzatori – in primis l'auto e il sistema delle costruzioni – e dei crescenti problemi di liquidità di molte imprese clienti, che si traducono in ritardati nei pagamenti, in rischi di insolvenza e in estrema prudenza negli acquisti;
il protrarsi della crisi a livello europeo frena l’export, tenuto conto che l'Unione europea rappresenta il mercato di destinazione di oltre il 60 per cento delle esportazioni chimiche italiane. Nonostante la buona performance sui mercati extra-Unione europea (+5,5 per cento in valore), il primo quadrimestre 2013 ha segnato un +1,7 per cento in valore, dopo aver chiuso il 2012 in crescita dell'1,6 per cento. L'industria chimica è, infatti, il comparto con la più elevata incidenza di imprese esportatrici (54 per cento), dopo la farmaceutica, e in 10 anni la quota di export sul fatturato è aumentata di 11 punti percentuali, consentendo al settore di diventare meno dipendente da una domanda interna;
la debolezza riguarda principalmente la chimica di base, mentre si confermano in forte espansione i settori della chimica fine e specialistica. La dicotomia tra mercato interno ed estero si traduce in una forte variabilità nelle performance delle imprese chimiche, anche all'interno dello stesso settore. Le imprese molto orientate all’export o dotate di impianti all'estero presentano, infatti, livelli di attività e di redditività meno penalizzanti;
tutto ciò ha avuto pesanti ripercussioni dal punto di vista occupazionale: infatti, nel nostro Paese, rispetto all'intero sistema industriale italiano l'incidenza dei lavoratori nel settore è diminuita passando dal 4,5 per cento del 1971 al 2,6 per cento del 2009;
continua a mostrare segni di vitalità la piccola e media impresa chimica: crescono le nicchie di piccole e medie aziende che trainano la rinascita dell’export e dell'occupazione e fanno parte di una mutazione della chimica italiana che, a partire dagli anni ’80, vede protagonisti tanti industriali medi, o addirittura piccoli, diventati decisivi nel settore;
un numero fotografa il trend: le imprese che hanno saputo darsi una nuova specializzazione produttiva occupano il 63 per cento degli addetti del settore contro il 37 per cento degli occupati nella chimica di base. Ma non è solo il contributo in posti di lavoro a rendere orgogliosi i piccoli e medi addetti: le loro aziende sono stati capaci anche di diventare i fornitori più importanti di tutti i comparti industriali del made in Italy. L'abbigliamento, le piastrelle, l'industria del mobile e l'occhialeria vanno avanti anche grazie all'innovazione che arriva dai prodotti intermedi (chimici), a quei nuovi materiali decisivi per rinnovare il mito dell'eleganza e della creatività italiana, progressi fatti nel campo dell'innovazione. E nelle classifiche europee dell'innovazione i piccoli della chimica italiana vengono al secondo posto, dietro solo ai competitor tedeschi;
nell'industria chimica gli acquisti di materie prime ricoprono il 60 per cento del valore della produzione e le spese per gli acquisti di servizi (energia inclusa) il 21 per cento. La chimica è il primo settore industriale per consumo di gas naturale e il secondo per consumo di energia elettrica. L'energia rappresenta una voce di costo importante per il settore chimico, pari in media al 5 per cento del valore della produzione (esclusi gli utilizzi come materia prima);
l'incidenza del costo dell'energia sul valore aggiunto, pari al 27 per cento, evidenzia il forte impatto negativo che un divario di costo dell'energia rispetto agli altri Paesi provoca nell'industria chimica italiana in termini di competitività e di minore capacità di remunerare i fattori produttivi (definita, appunto, dal valore aggiunto);
nonostante i processi di liberalizzazione, in Italia il costo dell'elettricità per le imprese industriali è più elevato della media degli altri Paesi europei di oltre il 30 per cento ed è quasi il doppio rispetto alla confinante Francia. Il prezzo del gas naturale è più allineato alla media europea, tuttavia risulta elevato nel confronto internazionale con i Paesi extra-europei. Inoltre, recentemente sono stati introdotti extra-costi legati anche in questo caso al finanziamento delle rinnovabili che rischiano di danneggiare la competitività anche in ambito europeo;
quanto all'Italia, spiegano gli industriali italiani, su un fatturato di 53 miliardi di euro, la bolletta energetica della chimica nel 2012 è stata di 5,3 miliardi di euro. Un'incidenza del 10 per cento, che è la media tra il 70-80 per cento della chimica del fluoro e il 2 per cento della cosmetica;
anche la logistica è strategicamente importante per l'industria chimica, con un'incidenza di costo sul fatturato compresa tra il 10 e il 15 per cento. A causa di arretratezze infrastrutturali mai colmate, infatti, il costo della logistica in Italia è fortemente superiore a quello degli altri maggiori Paesi europei e ciò ne penalizza fortemente la competitività a livello internazionale;
le difficoltà sopra evidenziate non hanno impedito all'industria chimica italiana, attraverso gli importanti processi di riconversione di impianti non competitivi, di essere lo stimolo alla creazione di condizioni per ricadute positive a livello di occupazione, dell'ambiente, della redditività dei prodotti e dell'integrazione con la chimica tradizionale, dando nuovo impulso anche a settori maturi dell'economia;
in linea con i più recenti indirizzi della Commissione europea in tema di bioeconomia, nel 2013 si è costituito, su impulso del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il cluster tecnologico nazionale «Chimica verde», che si propone l'obiettivo di incoraggiare lo sviluppo delle bioindustrie in Italia attraverso un approccio interdisciplinare e globale all'innovazione. I soggetti aderenti al cluster vedono, nella costruzione di bioraffinerie di seconda e terza generazione integrate nel territorio e dedicate principalmente ai prodotti innovativi ad alto valore, un'opportunità per affermare un nuovo modello socio-economico e culturale, prima ancora che industriale, dando una corretta priorità all'uso delle biomasse, nel rispetto della biodiversità locale e delle colture alimentari e con la creazione di nuovi posti di lavoro;
è opportuno, quindi, promuovere le tecnologie che valorizzino completamente le biomasse e che dimostrino di essere sostenibili e competitive. Questo evitando che i sussidi, se utilizzati in maniera errata, creino distorsioni di mercato, spreco di risorse pubbliche e alterino le condizioni di concorrenza tra i diversi comparti produttivi. Di fatto, l'industria chimica permette un utilizzo molto più efficace delle biomasse rispetto ad un utilizzo puramente energetico. Una corretta programmazione di filiera e una strategia che prevengano distorsioni della concorrenza e del mercato sono necessarie per applicare in modo oggettivo i criteri di sostenibilità fissati dall'Unione europea;
nel quadro dell'iniziativa europea, dunque, la chimica delle biomasse è da considerarsi un tassello molto importante della chimica sostenibile e questo settore deve essere sviluppato in una logica complessiva che unisca biotecnologie, bioraffinerie, biocarburanti e bioprodotti chimici in modo coordinato;
la filiera della plastica in Italia e in Europa ha grandissima importanza per numero di imprese, fatturato e occupati e vanta una forte tradizione in termini di innovazione;
l'Italia è al terzo posto in Europa per numero di occupati, fatturato e valore aggiunto delle fasi di produzione e trasformazione delle materie plastiche, è il secondo mercato di consumo ed è il secondo produttore di macchinari, con eccellenze industriali e della ricerca, anche di livello mondiale;
nel 2012, l'andamento del mercato delle materie plastiche in Italia è stato deludente. Complessivamente, la domanda di polimeri in forma primaria da parte dei trasformatori è stata di poco superiore alle 5.600 Kton (- 7 per cento rispetto al 2011). Le cause sono molteplici e sono da ricercarsi, oltre che nella contrazione dei consumi delle famiglie, nel ristagno del settore delle costruzioni, nel deludente andamento della produzione industriale e nei tagli agli investimenti in infrastrutture;
in questo quadro critico la nota positiva per quanto riguarda la produzione di materie plastiche è rappresentata dalla cosiddetta chimica verde e dalla bioeconomia, con particolare riferimento alla conversione di siti non competitivi in bioraffinerie integrate nel territorio, funzionali alla produzione delle cosiddette bioplastiche e di altri prodotti ad alto valore aggiunto;
nel merito, la Commissione europea ha lanciato, il 13 febbraio 2012, la prima strategia dedicata alla bioeconomia «Innovating for sustainable growth: a bioeconomy for Europe» (COM(2012) 60final). Il peso economico del settore viene stimato dall'Unione europea con un fatturato di circa 2.000 miliardi di euro ed oltre 22 milioni di persone impiegate, che rappresentano il 9 per cento dell'occupazione complessiva dell'Unione europea. Viene, inoltre, stimato che per ogni euro investito in ricerca e innovazione nella bioeconomia, con adeguate politiche di sostegno a livello nazionale ed europeo, la ricaduta in valore aggiunto nei settori di comparti quali quello dei prodotti biobased sarà pari a dieci euro entro il 2025. In base a tale strategia, per mantenere la propria competitività l'Unione europea dovrà trasformarsi in una società caratterizzata da basse emissioni di carbonio, nella quale la crescita sostenibile e la competitività stessa siano alimentate sinergicamente da industrie che usano in modo efficiente le risorse e dal ricorso a prodotti biobased;
la chimica verde rappresenta, dunque, un supporto prezioso per il rilancio della chimica italiana,
impegna il Governo:
a favorire nuove iniziative per sostenere la competitività dell'industria chimica italiana;
ad avviare una politica industriale finalizzata a riqualificare e reindustrializzare i poli chimici concordando i percorsi con le amministrazioni locali e regionali, dando come priorità la bonifica dei siti contaminati;
a promuovere l'attuazione di percorsi di reindustrializzazione e di sviluppo nei settori della chimica fine, delle specialità e della chimica verde;
a sviluppare una politica di forte sostegno all'innovazione, che veda la ricerca come elemento fondamentale, anche attraverso la destinazione di fondi e di incentivi;
a mettere in campo strumenti, anche di natura normativa, finalizzati a ridurre il forte impatto negativo del costo dell'energia sulla produzione dell'industria chimica italiana, in particolare per i consumatori energy intensive, al fine di conservare il posizionamento competitivo;
a procedere con tempestività alla bonifica dei siti chimici di interesse nazionale;
a provvedere allo snellimento delle procedure burocratiche, con particolare riferimento alla riduzione degli oneri amministrativi, a tutela degli impianti e delle produzioni già esistenti e di quelli di nuova costituzione, con riguardo alla chimica fine e delle specialità, al fine di attrarre capitale e facilitare i nuovi investimenti sia italiani che esteri;
a promuovere a livello europeo interventi normativi di supporto sia alle imprese sia ai poli chimici che siano in regola con le norme ambientali;
a sostenere fortemente lo sviluppo delle bioindustrie in Italia, anche attraverso un approccio interdisciplinare e globale all'innovazione;
a sostenere a livello europeo la public private partnership Bridge 20/20 (Biobased and renowable industries for development and growth), il cui obiettivo è quello di aiutare le industrie europee a colmare il «divario di innovazione» tra lo sviluppo tecnologico e la commercializzazione di prodotti ad alto valore aggiunto e cercare in questo ambito di valorizzare le azioni del cluster «Chimica verde», al fine di permettere un allineamento di azioni a livello nazionale ed europeo.
(1-00212)
«Brunetta, Vignali, Abrignani, Dorina Bianchi».
(21 ottobre 2013)
La Camera,
premesso che:
come sempre la chimica, bene intermedio per eccellenza, si sta dimostrando come una cartina di tornasole dell'evoluzione del quadro congiunturale, che, nonostante alcuni segnali di ripresa, resta preoccupante;
la crisi economica ha avuto un effetto dirompente sulla chimica. Guardando agli ultimi anni, dopo un 2012 in contrazione del 3 per cento in valore e del 5 per cento in volume, la produzione chimica nazionale non mostra ancora segnali di stabilizzazione: la fase di recupero ad inizio 2013, infatti, si è rivelata solo temporanea e la prima parte del 2013 segna un calo del 3,3 per cento in volume, in presenza di prezzi pressoché stazionari;
a pesare in modo determinante sul settore è la caduta della domanda interna, che coinvolge praticamente tutti i settori chimici, comprese le filiere connesse ai consumi finali (detergenti, cosmetici, alimentare e imballaggio), le quali avevano superato quasi indenni la recessione del 2008-2009. Il crollo della domanda interna si riflette anche sulle importazioni, che, nei primi quattro mesi del 2013, hanno perso il 2,8 per cento in valore, dopo aver chiuso il 2012 con un calo del 2,3 per cento;
ad incidere sull'industria chimica italiana è il ridimensionamento di importanti settori utilizzatori, come l'auto e le costruzioni, nonché i crescenti problemi di liquidità di molte imprese clienti, che spingono molte di esse a ritardare i pagamenti nei confronti dei loro fornitori;
il prolungarsi della recessione a livello europeo ha frenato le esportazioni, tenuto conto che l'Unione europea rappresenta il mercato di destinazione di oltre il 60 per cento delle esportazioni chimiche italiane. Un positivo andamento si registra, invece, nel mercato extraeuropeo. In sofferenza è principalmente la chimica di base, mentre si confermano in espansione i settori della chimica fine e specialistica;
con particolare riferimento ai comparti della chimica che vendono al made in Italy, oltre alla situazione di crisi attuale, pesano gli aspetti strutturali legati al decentramento degli insediamenti industriali; strategia questa che ha comportato una riduzione della domanda da parte dell'industria, con conseguenze assolutamente dannose per la produzione e l'occupazione;
lo scenario economico descritto e le dinamiche in atto nel Paese hanno determinato una revisione al ribasso delle stime di crescita per il 2013. Infatti, contrariamente alle buone aspettative iniziali, il 2013 si chiuderà con un altro arretramento della produzione chimica in Italia intorno al 2 per cento in volume e valutabile nell'1,5 per cento circa in valore;
a tale situazione si aggiunge il costo dell'energia, tra i più alti in Europa, che è ormai divenuto insostenibile per le aziende di settore, specie per quelle legate alla chimica di base, rappresentando una delle principali cause della loro perdita di competitività nei confronti delle concorrenti europee ed estere;
le drammatiche vicende della Vinyls Italia hanno lasciato un segno sulle possibilità di ripresa del comparto. Il gruppo chimico del ciclo del cloro, unico produttore in Italia di pvc, da quattro anni in amministrazione straordinaria, è ora in esercizio provvisorio, con 500 addetti ripartiti nei tre stabilimenti di Porto Torres, Porto Marghera e Ravenna, ad esclusione dell'indotto. La vertenza Vinyls è divenuta ormai il simbolo della crisi della chimica italiana e, più in generale, riflette la mancanza di un'organica azione politica di rilancio del sistema industriale del Paese;
i processi di riconversione di impianti industriali non competitivi, che nel caso di Vinyls Italia hanno portato all'apertura di un negoziato con l’Oleificio Medio Piave, società che svolge attività di estrazione dell'olio vegetale da semi oleosi, potrebbero aprire la strada alla realizzazione di importanti progetti industriali ed occupazionali di grande impatto per l'economia del Paese;
la regione Lombardia ha promosso con successo l'adozione di accordi di sviluppo territoriale per favorire l'insediamento di nuove attività di impresa nelle aree industriali dismesse, realizzando diversi interventi, sia di carattere finanziario che di semplificazione amministrativa, per attrarre e mantenere sul territorio le attività e le risorse necessarie alla crescita e allo sviluppo dello stesso;
è impensabile che l'Italia rinunci al suo ruolo da protagonista nel settore della chimica, perdendo il valore strategico di questo importante comparto, fondamentale per riportare il Paese su più alti livelli competitivi;
dopo gli interventi di politica economica funzionali ad evitare un avvitamento della crisi, è necessario adottare quanto prima strumenti di politica industriale che siano in grado di salvaguardare le imprese del territorio e l'occupazione,
impegna il Governo:
a realizzare una politica industriale per la riqualificazione e la reindustrializzazione dei poli chimici, concordando con le regioni e gli enti locali i percorsi da attuare, anche sulla base delle positive esperienze realizzate a livello territoriale, che abbiano come priorità la bonifica dei siti contaminati;
ad adottare iniziative di rilancio della chimica italiana, promuovendo la realizzazione degli investimenti necessari a restituire competitività al settore ed evitando il ripetersi di scenari simili a quelli verificatisi nella vicenda Vinyls, dove è a rischio il futuro di molti lavoratori;
a sostenere la competitività delle produzioni italiane attraverso l'adozione di misure di riduzione del costo dell'energia, riportandolo sui livelli degli altri Paesi concorrenti;
ad assumere iniziative per orientare le imprese verso un'attività di ricerca scientifica strutturata con l'adozione di incentivi automatici e di programmi specifici;
a sostenere in sede europea interventi normativi a sostegno di imprese e di poli chimici che rispettino le norme ambientali, evitando delocalizzazioni e trasferimenti in Paesi meno rigorosi nella regolamentazione ambientale e adottando incentivi, anche di natura fiscale, in favore delle imprese che stabiliscano i loro insediamenti in Italia;
ad adottare opportune iniziative per la semplificazione del quadro normativo di riferimento al fine di restituire maggiore competitività alla imprese della chimica italiana, al pari degli altri Paesi europei.
(1-00213)
«Rondini, Prataviera, Guidesi, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini».
(21 ottobre 2013)
La Camera,
premesso che:
la chimica italiana ha una lunga storia fatta di numerosi insediamenti industriali sparsi in tutta la penisola oltre che di ricerca e sviluppo ai massimi livelli, basti pensare al premio Nobel Natta che inventò nel 1963 il polipropilene isotattico ed il polietilene ad alta densità;
a livello mondiale questo comparto rappresenta ancora una realtà industriale dinamica, con un mercato di oltre 3.000 miliardi di dollari;
oggi si vive una contraddittoria dicotomia: da un lato la chimica mondiale che è in sviluppo grazie, soprattutto, ai crescenti consumi globali di prodotti chimici nei Paesi emergenti, dall'altro l'Europa, e l'Italia in particolare, che vede sempre maggiori difficoltà per il comparto;
il continuo sviluppo del settore, a livello globale, è legato all'effetto traino della domanda crescente nei cosiddetti Paesi emergenti in cui si è sviluppata rapidamente una fiorente industria chimica, là dove, congiuntamente ad un ridotto costo del lavoro, è possibile, in alcuni casi, disporre di materie prime – in particolare di petrolio – ed energia a costi estremamente competitivi;
in Europa, invece, il prezzo del greggio ha ormai raggiunto stabilmente prezzi superiori ai 100 dollari al barile, che tenderanno verosimilmente ad aumentare ancora nei prossimi anni grazie alla crescente domanda di energia e di consumi in Paesi, quali Cina, India, Brasile ed altre economie emergenti, penalizzando al contempo l'industria chimica comunitaria e nazionale che utilizza proprio il greggio come materia prima, la cosiddetta petrolchimica;
è opportuno ricordare che proprio la petrolchimica ha comportato ingenti danni ambientali e di salute in diverse località italiane, come Porto Marghera, Porto Torres, Gela e Priolo. I territori delle città sopra menzionate hanno avuto una media di mortalità della popolazione per malattie tumorali ben al di sopra di quella nazionale;
in Italia non esiste ad oggi un quadro completo e aggiornato a livello nazionale dello stato di attuazione degli interventi di bonifica. A ciò si aggiunge un quadro di applicazione della normativa vigente particolarmente vasto e complesso, nel quale sarebbe auspicabile un processo di semplificazione, al fine di accelerare le attuali procedure amministrative, la cui farraginosità sta rallentando ulteriormente l'attuazione degli interventi stessi;
nell'ambito di un riordino normativo della materia, con l'articolo 2 del decreto-legge n. 208 del 2008 sulle risorse idriche – convertito, con modificazioni, dalla legge n. 13 del 2009 – è stata introdotta una procedura alternativa a quella previgente in materia di copertura di oneri di bonifica e risarcimento del danno ambientale nei siti di interesse nazionali. La novità ha riguardato l'introduzione della stipula di contratti di transazione con le imprese direttamente interessate, in ordine al rimborso degli oneri di bonifica e di ripristino di ogni ulteriore azione risarcitoria per il danno ambientale;
attualmente sussiste una prioritaria esigenza di alleggerimento e riordino della normativa e della procedura amministrativa di bonifica, a cui deve associarsi la necessità di garantire che le attività di vigilanza e di controllo sulle relative operazioni nei siti siano svolte da strutture e da realtà adeguate e competenti;
da un punto di vista industriale e sanitario, i procedimenti di riciclo e recupero meccanico della plastica potrebbero rappresentare una grande opportunità di rilancio dell'intero comparto industriale del nostro Paese;
dai sopra citati procedimenti la plastica da «rifiuto» non può che diventare «risorsa». Esempi dei prodotti derivanti dai procedimenti chimici possono essere polimeri, come il polietilentereftalato (pet, utilizzato per esempio per contenitori per liquidi o vaschette per frigo o forno), il polietilene ad alta densità (hdpe, utilizzato per esempio per imballaggi o tubazioni agricole) e il polietilene a bassa densità (ldpe, utilizzato per esempio per sacchetti, contenitori o materiali plastici di laboratorio);
oggi il 55 per cento della plastica usata viene riciclata mentre il restante 45 per cento incenerita. Con le attuali procedure di riciclo e trasformazione si potrebbe arrivare al recupero della quasi totalità della plastica raccolta con la differenziata;
altra problematica del mercato della plastica è il cosiddetto contributo Conai (Consorzio nazionale imballaggi). I produttori, infatti, devono pagare circa 110 euro per ogni tonnellata di plastica prodotta al consorzio (non molto, considerando che già nel 2010 il corrispettivo in Italia era di 160 euro per ogni tonnellata, la media dei Paesi dell'Unione europea era di 222 euro per ogni tonnellata, ma la media tra i principali Paesi europei era di 440 euro per ogni tonnellata), il quale a sua volta dovrebbe girare buona parte del contributo ai comuni per contribuire alle spese di gestione dei processi di raccolta differenziata;
nel 2011, però, dei circa 800 milioni raccolti da Conai, solo 100 sono arrivati ai comuni. Il resto pare sia compreso in ipotetiche «spese di gestione». Quindi, solo il 37 per cento del totale raccolto da Conai va ai comuni, che rappresenta poi concretamente solo il 20 per cento delle spese di gestione della raccolta differenziata;
in Francia, ai comuni arriva il 92 per cento del contributo corrispondente al nostro, che contribuisce a coprire i procedimenti di raccolta e riciclo per il 70 per cento dei costi;
negli ultimi anni stanno emergendo sul mercato italiano e internazionale settori dell'industria chimica e plastica, che, al contrario di quelli riferiti al recupero e al riciclo, fanno sorgere perplessità sia riguardo i consumi delle materie prime, sia per il livello occupazionale raggiunto;
dal punto di vista dei consumi è emblematico l'esempio delle cosiddette «bioplastiche», cioè le plastiche biodegradabili. Questo è un settore industriale che sta trovando in questi ultimi anni un notevole sviluppo nel nostro Paese, ma che necessita per la sua produzione di ingenti materie prime organiche, come l'amido di mais, per le quali si vedrebbe la necessità di dedicare grandi quantità di colture altrimenti destinate alla produzione alimentare. Si arriverebbe, quindi, alla situazione paradossale di completare sul territorio la filiera per la produzione delle bioplastiche, per poi importare materie prime, al fine di poter consumare prodotti tipici delle cucine locali italiane, come la polenta;
dal punto di vista occupazionale, oggi tra gli addetti alla produzione e alla trasformazione vi è un rapporto di 1 a 50. Tali dati fanno pensare che sarebbe più conveniente investire sul recupero e la trasformazione dei prodotti plastici, piuttosto che partire dalla materia prima vergine;
attualmente in Italia circa il 40 per cento dei 7 milioni di tonnellate di plastiche prodotte ogni anno è destinata agli imballaggi;
difendere il livello occupazionale di questo settore industriale non può e non deve significare mantenere invariata la produzione annuale di plastiche vergini, in quanto questo significherebbe minare ancora di più le filiere del riciclo locale e nazionale, contribuendo paradossalmente a fornire rifiuto agli inceneritori;
pertanto, se la chimica da fonti rinnovabili o chimica verde potrebbe rappresentare una soluzione alla reindustrializzazione dei poli chimici nel medio e lungo periodo, se accompagnate a politiche di bonifica e di riciclaggio, nessuna obiezione, anche perché l'obiettivo della chimica verde è ridurre le emissioni di anidride carbonica in atmosfera, grazie all'affrancamento dalle fonti fossili come materia prima, nonché valorizzare le risorse del territorio, riducendo al contempo il peso dell’import di materie prime, come il greggio;
prima di intraprendere degli investimenti è necessario verificare la validità tecnico-scientifica della cosiddetta chimica verde;
tale definizione esiste da più di vent'anni, ma non vuol dire che in questo campo tutto sia stato fatto. Anzi, al contrario, quel che si può mettere in atto per rendere i processi produttivi in ambito chimico maggiormente «verdi» è ancora molto. Da un lato, le difficoltà tecnico-scientifiche rimangono forti e numerose: le tecnologie adottate fino a ora non sono state scelte a caso, ma al contrario sono state preferite ad altre perché più semplici e di maggior rendimento. Dall'altro, ci possono essere inevitabili resistenze di ordine economico: l'industria chimica deve per sua natura badare anche al risultato economico, che garantisce maggiori guadagni,
impegna il Governo:
ad avviare un tavolo di concertazione nazionale a cui partecipino, oltre ai rappresentanti della grande e piccola industria chimica, anche le parti sociali, le università, i laboratori e gli istituti di ricerca, con l'obiettivo di definire un piano di sviluppo compatibile con le esigenze del comparto;
ad adottare le misure necessarie per garantire che grandi e piccoli produttori chimici si facciano carico in applicazione del principio «chi inquina paga» delle operazioni e delle spese economiche legate alla bonifica dei siti utilizzati per la produzione, impedendo, al contempo, qualsiasi forma di agevolazione del passaggio di proprietà del sito stesso prima che siano state completate le operazioni di recupero ambientale;
a sostenere la «chimica verde» in ossequio alla strategia della biochimica lanciata dalla Commissione europea, con l'istituzione di un tavolo tecnico presso il Ministero dello sviluppo economico che ne analizzi la validità tecnico-scientifica, al fine di individuare gli interventi più efficaci per lo sviluppo di tecnologie semplici e di maggior rendimento per la riconversione dei poli chimici;
a realizzare un piano di investimenti per il sostegno della ricerca pubblica e privata nel settore della chimica verde, con particolare attenzione alla necessità di promuovere sinergie tra discipline diverse, quali l'ingegneria, la chimica, le biotecnologie, l'agraria e la biologia;
ad intraprendere ogni iniziativa per accelerare i processi di bonifica dei siti chimici di interesse nazionale, concordando i percorsi con gli enti locali e le regioni;
ad individuare nuove linee di sviluppo industriale del Paese, in particolare nel campo della cosiddetta green economy, dell'ecoinnovazione e dell'efficienza energetica, dei nuovi materiali, delle bioingegneria e della nuova chimica verde, facilitando la nascita di piccole e medie imprese nel campo ed incentivando le imprese al passaggio a produzioni maggiormente sostenibili ed eco-efficienti.
(1-00214)
«Crippa, Da Villa, Fantinati, Prodani, Mucci, Vallascas, Della Valle, Petraroli, Nuti, Vacca, Del Grosso, Colletti».
(21 ottobre 2013)
INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA
FAENZI e COSTA. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali.— Per sapere – premesso che:
i livelli di pressione fiscale che sono stati raggiunti nel nostro Paese appaiono evidentemente incompatibili con qualsiasi ipotesi di sviluppo e di crescita. Anche il mondo agricolo, negli ultimi anni, è stato oggetto di interventi miranti a sottoporlo ad una pressione fiscale sempre più elevata;
eppure, in un contesto di crisi costante, il comparto agroalimentare si è sempre più evidenziato come un settore fondamentale per il sistema economico italiano, una risorsa su cui investire con forza e decisione;
è, però, necessario impegnarsi al massimo per riuscire a garantire competitività all'intero mondo agricolo italiano, a prescindere dalle diverse dimensioni produttive presenti al suo interno;
tassare, ad esempio, come si è cercato di fare, i terreni per l'agricoltura rappresenta un vero e proprio controsenso; significa, di fatto, tassare lo strumento di produzione fondamentale per il sostentamento del comparto agricolo e, quindi, ferire uno dei settori strategici per il rilancio dell'intero sistema Italia;
è necessario ricordare che il settore agroalimentare si avvia, nel 2013, a raggiungere il record di 35 miliardi di euro di valore esportato, diventando così, di fatto, il primo comparto produttivo del nostro Paese, per valore di esportazione –:
quali siano gli interventi che il Ministro interrogato intende adottare per difendere il settore agricolo ed agroalimentare dal rischio, sempre presente, dell'aumento della pressione fiscale e quali siano le scelte finalizzate, invece, ad ottenerne una riduzione della stessa, mirante, in particolare, a facilitare «l'accesso alla terra» delle nuove generazioni. (3-00390)
(22 ottobre 2013)
ZACCAGNINI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
il sistema agroalimentare italiano è una delle più importanti risorse da salvaguardare e potenziare, non solo perché è il settore destinato alla produzione di alimenti, ma anche perché rappresenta un patrimonio unico di valori e tradizioni, di cultura e qualità;
a partire da questa considerazione appare necessario, a fronte di una globalizzazione alimentare che impone standard di competitività molto alti, che il nostro Paese sappia far leva sulle peculiarità originali delle sue produzioni agroalimentari, esaltando i tratti della tipicità, della genuinità, del legame inscindibile col territorio;
la produzione agroalimentare necessita, in tal senso, di una maggiore tutela che può avvenire solo puntando sulla qualità, sulla tracciabilità degli alimenti e sull'ampliamento delle informazioni ai consumatori, anche al fine di contrastare il dilagare delle pratiche commerciali sleali nella presentazione degli alimenti;
a tal proposito appare doverosa l'attuazione dell'articolo 4 della legge 3 febbraio 2011, n. 4, in materia di etichettatura dei prodotti alimentari, che prevede una completa e corretta informazione sulle caratteristiche dei prodotti alimentari commercializzati, trasformati, parzialmente trasformati o non trasformati;
in tale disposizione si prevede, inoltre, l'obbligo di riportare anche il luogo d'origine o di provenienza e l'eventuale utilizzazione di ingredienti in cui vi sia una presenza di organismi geneticamente modificati in qualunque fase della catena alimentare;
i decreti attuativi interministeriali previsti dal citato articolo 4 non sono stati ancora emanati, rendendo, di fatto, inutile quanto previsto dalla legge sopra indicata in materia di etichettatura;
tutto ciò rischia di creare, se mai saranno emanati tali decreti attuativi, una situazione paradossale con norme sulla etichettatura che non tengono conto delle maggiore e più articolare richieste, in tal senso, che arrivano sia da molte aziende del settore che dai consumatori;
ad esempio, appare non più rinviabile la definizione di prodotti con caratteristiche «ogm free», così come accade nei Paesi europei più attenti ai diritti dei consumatori;
gli alimenti e i mangimi «ogm free» dovrebbero avere alcuni vincoli che certifichino la completa assenza di organismi geneticamente modificati, ad esempio:
a) non essere costituiti da organismi geneticamente modificati e non contenere organismi geneticamente modificati;
b) non essere stati prodotti con organismi geneticamente modificati o con l'ausilio di organismi geneticamente modificati;
c) non contenere ingredienti o additivi prodotti da o con l'ausilio di organismi geneticamente modificati per i quali sussiste l'obbligo di contrassegnazione come organismi geneticamente modificati;
d) essere stati prodotti senza l'impiego dell'ingegneria genetica;
e) non derivare da incroci di organismi geneticamente modificati oppure da incroci tra organismi geneticamente modificati con organismi non modificati;
f) prevedere che gli appezzamenti di terreno dove si coltiva senza l'uso di organismi geneticamente modificati siano ad una distanza di almeno 3 chilometri da campi dove invece si produce utilizzando organismi geneticamente modificati, questo al fine di evitare la contaminazione –:
se non si ritenga necessario ed urgente, stante l'assurdo ritardo accumulato, emanare i decreti attuativi previsti dall'articolo 4 della legge 3 febbraio 2011, n. 4, e se non ritenga, nel contempo, a tutela dei produttori più responsabili e dei consumatori prevedere l'applicazione delle sopra indicate norme in materia di «ogm free». (3-00391)
(22 ottobre 2013)
TAGLIALATELA. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
la cosiddetta Terra dei fuochi è la zona tra la provincia di Napoli e Caserta nota alle cronache per lo sversamento di rifiuti tossici ivi illegalmente operato da parte delle organizzazioni criminali;
circa il 30 per cento della terra dei fuochi è composta da terreni a destinazione agricola che hanno continuato ad essere coltivati nonostante i rischi connessi alla presenza dei citati rifiuti;
durante una recente inchiesta televisiva, sono stati prelevati e sottoposti ad esame chimico alcuni campioni di prodotti ortofrutticoli coltivati nella predetta zona e sono state riscontrate tracce di piombo, cadmio e manganese, tre sostanze altamente cancerogene;
la popolazione residente nella terra dei fuochi ammonta a circa un milione di persone e sono tutte esposte a gravi rischi per la propria salute, tanto che si prevede nei prossimi anni un drastico aumento di patologie tumorali a loro carico;
la commercializzazione dei prodotti della Terra dei fuochi, a tutt'oggi operata sia al dettaglio sia attraverso i circuiti della grande distribuzione nei supermercati di tutta Italia, espone a gravi rischi per la salute tutti coloro, e in particolar modo i bambini, che quotidianamente li consumano –:
se il Ministro interrogato sia informato di quanto esposto in premessa e quali iniziative intenda assumere sia a protezione dei consumatori, sia a tutela della filiera agroalimentare, se del caso adottando una procedura per la certificazione dei terreni agricoli non contaminati.
(3-00392)
(22 ottobre 2013)
BORGHESI, GIANCARLO GIORGETTI, ALLASIA, ATTAGUILE, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI.— Al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
il Ministro interrogato era atteso il 28 settembre 2013 a Brescia, dove avrebbe dovuto prendere parte alla manifestazione «Brescia incontra il Mondo», organizzata nella locale parrocchia di Santa Maria in Silva;
il Ministro interrogato ha invece rinunciato a parteciparvi, costringendo i promotori di «Brescia incontra il Mondo» ad annullare l'iniziativa;
stando a ricostruzioni pubblicate da organi di stampa e basate su indiscrezioni attribuite allo staff del Ministro interrogato, la rinuncia sarebbe riconducibile a raccomandazioni provenienti da non meglio precisati organi del governo locale, causate da temuti problemi di ordine pubblico, a loro volta legati ad una possibile manifestazione politica del movimento «Forza Nuova»;
il prefetto di Brescia, Narcisa Brassesco Pace, ha tuttavia negato che quel giorno potessero sussistere problemi di ordine pubblico in città, definita sicura;
la motivazione ufficiale successivamente pervenuta agli organizzatori di «Brescia incontra il Mondo» farebbe invece riferimento a non meglio precisati impegni istituzionali del Ministro interrogato –:
quale sia l'esatta ragione che ha indotto il Ministro interrogato a disertare la manifestazione bresciana di cui sarebbe stato l'ospite principale, determinandone l'inopinata cancellazione. (3-00393)
(22 ottobre 2013)
GRASSI, FIANO, SCUVERA, ROBERTA AGOSTINI, BINDI, BOSCHI, BRESSA, CUPERLO, D'ATTORRE, FABBRI, FAMIGLIETTI, GASBARRA, GASPARINI, GIORGIS, LAURICELLA, MARCO MELONI, NACCARATO, POLLASTRINI, RICHETTI, ROSATO, FRANCESCO SANNA, ZOGGIA, MARTELLA e DE MARIA.— Al Ministro per l'integrazione.— Per sapere – premesso che:
il 23 settembre 2013 si è tenuta a Roma, presso la sede di Palazzo Chigi, una riunione informale dei Ministri europei competenti per l'integrazione e le pari opportunità, organizzata e presieduta dal Ministro interrogato;
a margine dell'incontro, cui hanno partecipato i rappresentanti di 17 Stati membri, è stata adottata una dichiarazione congiunta, denominata «Dichiarazione di Roma» sulla lotta all'intolleranza, al razzismo e ad ogni forma di discriminazione europea;
nella Dichiarazione, alla quale hanno aderito anche i rappresentanti degli Stati non presenti, è stata annunciata l'intenzione di promuovere nell'ambito dell'Unione europea l'adozione di un «Patto 2014-2020 per un'Europa delle diversità e della lotta al razzismo», al fine di rafforzare il contrasto a tutte le forme di razzismo, xenofobia e discriminazione;
infatti, nonostante negli ultimi sessanta anni siano stati numerosi gli impegni normativi sottoscritti per la promozione e la tutela dei diritti dell'uomo, nonché per consolidare i valori su cui l'Europa si fonda, molte – troppe – persone in Europa sono ancora vittime di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e di varie forme di discriminazione di genere;
è sufficiente in questa sede ricordare i numerosi attacchi di matrice xenofoba e razzista di cui lo stesso Ministro interrogato è stato fatto oggetto a partire dalla sua nomina a Ministro e che hanno favorito lo stesso incontro informale del 23 settembre 2013, anche al fine di esprimere la solidarietà nei confronti della collega italiana, oggetto di attacchi per la sua sola origine straniera o etnica; oppure agli episodi di razzismo cui si assiste settimanalmente negli stadi italiani o quasi con regolarità durante lo svolgimento di manifestazioni sportive;
tale fenomeno, del resto, non è solo ed esclusivamente italiano, ma ha di recente riguardato anche altri Ministri di altri Paesi europei; proprio in occasione dell'incontro, è stato da più parti evidenziato come la perdurante crisi economica, lungi dal favorire uno scambio interculturale, rischia, invece, di aggravare e rafforzare il populismo e il razzismo un po’ in tutta Europa e, dunque, richiede con forza e urgenza l'adozione di nuovi strumenti legali atti a garantire l'effettiva prevenzione, repressione ed eliminazione del razzismo, della discriminazione razziale, della xenofobia e della discriminazione di genere;
al fine di dare ulteriore impulso politico all'elaborazione e all'adozione del patto, in tempi brevi e comunque auspicalmente prima delle prossime elezioni europee, il Ministro interrogato, in accordo con i colleghi europei, ha annunciato l'intenzione di riunirsi nuovamente a Roma nel gennaio 2014 –:
quali siano, anche in vista dell'incontro previsto per il gennaio 2014, gli ulteriori passaggi, sia sul piano normativo che su quello politico, volti a dare attuazione agli impegni assunti dagli Stati membri nella Dichiarazione di Roma. (3-00394)
(22 ottobre 2013)
DELLA VALLE, FANTINATI, DA VILLA, PRODANI, CRIPPA, MUCCI, VALLASCAS e PETRAROLI.— Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
la Cmc azienda di Ravenna conduce i lavori di scavo del tunnel geognostico della Maddalena di Chiomonte senza che sia stata indetta regolare gara d'appalto, considerando lo stesso progetto come variante del precedente cunicolo esplorativo di Venaus;
è in corso un'indagine della procura di Trani per «reato di associazione a delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello Stato, abuso d'ufficio, reati contro la fede pubblica, frode in pubbliche forniture, attentato alla sicurezza dei trasporti marittimi e diversi reati ambientali» sul «porto fantasma» di Molfetta, che vede coinvolti nove esponenti della Cmc, tra i quali Giorgio Calderoni, procuratore dello stesso gruppo;
la stessa procura di Trani ha chiesto l'interdizione dall'esercizio dell'attività imprenditoriale della Cmc;
la Cmc, intanto, continua i lavori del tunnel geognostico della Maddalena di Chiomonte e i vertici di Ltf, la società incaricata dei lavori preparatori e dello scavo del cunicolo esplorativo della Torino-Lione, aspettano di conoscere le decisioni del giudice per le indagini preliminari di Trani, ma si dicono tranquilli sul proseguimento del cantiere –:
se intenda disporre l'immediata cessazione dell'attività della Cmc all'interno del cantiere Maddalena di Chiomonte, indicendo una nuova e regolare gara d'appalto. (3-00395)
(22 ottobre 2013)
LACQUANITI, DI SALVO, FRANCO BORDO, DANIELE FARINA, ZAN, QUARANTA, NARDI, MARCON, AIRAUDO e PELLEGRINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
in data 9 luglio 2013, regione Veneto ha comunicato in via ufficiale ed in modo unilaterale la soppressione, a partire dall'entrata in vigore dell'orario invernale, di otto treni interregionali che oggi collegano Venezia a Milano e viceversa. I treni in via di soppressione risultano essere i numeri 2090, 2098, 2106, 2110 in partenza da Venezia e i numeri 2089, 2095, 2107 e 22113 in partenza da Venezia;
la regione Veneto ha motivato tale scelta con una necessaria rimodulazione del servizio ferroviario interno regionale, che non prevede più treni di collegamento a lunga percorrenza con altre regioni;
quella che viene tecnicamente definita come «rottura di carico» prevede nei fatti che le migliaia di persone che usufruiscono del trasporto su rotaie dovranno necessariamente utilizzare Frecciarossa e Frecciabianca con costi aggiuntivi e disagi, poiché i treni regionali che partono da Venezia faranno capolinea a Verona;
a seguito della decisione, i pendolari diretti o in arrivo nelle stazioni di Peschiera, Desenzano, Brescia, Rovato, Chiari, Romano di Lombardia e Treviglio, che viaggiano sulla direttrice Milano-Brescia-Verona, saranno costretti al cambio treno e all'utilizzo del Frecciarossa o del Frecciabianca;
la situazione sarebbe ancora più drammatica se la regione Lombardia decidesse di effettuare una analoga «rottura di carico», con i treni lombardi che così fermerebbero a Desenzano, senza più proseguire, come invece avviene oggi, per Verona;
suddette scelte, se confermate, isolerebbero nei fatti la regione Lombardia e la regione Veneto, privilegiando esclusivamente il trasporto ad alta velocità, ma penalizzando le migliaia di pendolari che vivono sui territori compresi tra le regioni –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tale situazione e di altre analoghe nel Paese e quali iniziative, di competenza, intenda intraprendere affinché vengano scongiurati tali disagi ai pendolari mediante politiche di promozione del servizio di trasporto su ferro locale, che, al di là delle specifiche competenze e responsabilità regionali, ha comunque necessità di adeguate risorse e di una politica di trasporto coordinata a livello nazionale.
(3-00396)
(22 ottobre 2013)
MATARRESE, PIEPOLI, CAUSIN e D'AGOSTINO.— Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.— Per sapere – premesso che:
il tema della mobilità sostenibile rappresenta uno degli argomenti di maggiore dibattito nell'ambito delle politiche ambientali. Il settore dei trasporti produce oltre il 49 per cento delle emissioni di polveri sottili (pm10) in Italia e oltre il 65 per cento di queste deriva dal trasporto stradale;
con il piano di sviluppo per la mobilità sostenibile su scala nazionale, il Governo si pone come obiettivo prioritario quello del potenziamento dei trasporti su rotaia nel nostro Paese, partendo innanzitutto dalle zone che sono ancora mal collegate attraverso mezzi obsoleti ed altamente inquinanti;
nell'ambito della programmazione finanziaria pluriennale per il periodo 2014-2020, la Commissione europea prevede la creazione di un nuovo strumento per finanziare le infrastrutture prioritarie per l'Unione europea in diversi settori, tra i quali quello dei trasporti, denominato «Meccanismo per collegare l'Europa»; tale strumento disporrà di una dotazione di 50 miliardi di euro per il periodo 2014-2020, dei quali 31,7 miliardi saranno assegnati al settore dei trasporti; inoltre, la nuova programmazione dei fondi strutturali europei dovrebbe prevedere ingenti risorse per la realizzazione di infrastrutture ferroviarie, in particolare nel Mezzogiorno;
tra i mezzi di trasporto che la Commissione europea ed il Governo italiano si prefiggono di migliorare e di potenziare vi è sicuramente quello ferroviario;
la dorsale adriatica del nostro Paese è priva di collegamenti ferroviari ad alta velocità, che colleghino non solo la tratta Ancona-Pescara-Bari-Taranto-Lecce, ma anche le tratte che dovrebbero collegare questi capoluoghi di provincia ai principali capoluoghi d'Italia fino a Trieste;
in particolare, si evidenzia l'annosa difficoltà dei cittadini delle regioni Puglia, Molise, Marche e Abruzzo a poter viaggiare in alta velocità, non solo sulla dorsale adriatica, ma anche verso grandi città, quali Roma, Milano, Bologna, Torino, Firenze, Napoli, Reggio Calabria. I collegamenti, infatti, sono oggi garantiti solo attraverso obsoleti treni regionali, intercity con livelli di servizio nettamente differenti rispetto ad altre parti d'Italia, ovvero dall'ancor più inquinante trasporto su gomma;
da quanto si evince dagli organi di stampa dal 15 dicembre 2013, Ntv, operatore privato, avvierà nuovi collegamenti ferroviari nella tratta Milano-Ancona, attivando sei corse giornaliere. Il problema, però, permane a sud del capoluogo marchigiano, in quanto, a tutt'oggi, la mancanza di un'infrastruttura per l'alta velocità impedisce, di fatto, non solo un adeguato trasporto ferroviario, ma anche una concorrenza in termini di tariffe ferroviarie lungo la tratta Ancona-Lecce tra Trenitalia ed altri gestori;
la mancanza di infrastrutture per l'alta velocità lungo la dorsale adriatica del Paese determina un notevole aumento dei tempi di percorrenza e un aggravio dei costi dei biglietti ferroviari per i cittadini che qui risiedono, rispetto a coloro che viaggiano lungo le linee coperte dall'alta velocità e già servite da tutti gli operatori del settore in regime di concorrenza;
il potenziamento delle linee ferroviarie sulla dorsale adriatica rientra tra le competenze proprie del Governo. È lo Stato che deve garantire al Paese parità di servizi per i cittadini ad ogni latitudine. L'attuale differenza di velocità e servizi tra Nord e Sud, e tra le dorsali adriatica e tirrenica, non favorisce la coesione sociale ed economica nel nostro Paese, che viaggia, di fatto, a due differenti velocità –:
quali urgenti iniziative intenda adottare affinché siano garantite le risorse anche comunitarie e le misure necessarie ad un'adeguata programmazione in favore di progetti indirizzati al potenziamento della linea ferroviaria della dorsale adriatica e dei relativi collegamenti con i maggiori capoluoghi di provincia italiani, anche in considerazione della programmazione delle risorse dell'Unione europea per il periodo 2014-2020, nel quadro delle grandi reti transeuropee e dei fondi strutturali, e affinché sia ridotto l'effettivo svantaggio economico e l'eccessivo costo dei biglietti derivanti dalla mancanza di concorrenza tra gli operatori del settore ferroviario lungo tutta la dorsale adriatica.
(3-00397)
(22 ottobre 2013)