TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 75 di Mercoledì 11 settembre 2013

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN RELAZIONE ALLA CRISI SIRIANA

   La Camera,
   premesso che:
    secondo una stima delle Nazioni Unite il conflitto in Siria ha causato circa 100.000 vittime e 1.600.000 rifugiati, gran parte dei quali sta riversandosi entro i confini del territorio libanese e giordano, impegnando questi ultimi Paesi a forme di assistenza non concordate;
    sarebbe quantomeno fuorviante correlare la crisi siriana solo a questioni di equilibri strategici interni al Paese basate su questioni politico-religiose: in territorio mediorientale, com’è ampiamente noto, si stanno concentrando gli interessi e le attenzioni di tutte le grandi economie, unitamente a quelli dei Paesi limitrofi, consentendo all'intera area geografica di poter divenire, da qui a breve, un campo di confronto aperto a questioni di varia natura;
    questi temi, in virtù della loro polivalenza, consentono di avviare un ragionamento di più larga natura ed offrono interessanti spunti di analisi per favorire una ben determinata riflessione a tutti i livelli – locale, regionale ed ovviamente internazionale – fino ad arrivare alla possibilità di concentrare le attenzioni e le sensibilità sulle più annose contrapposizioni tra oriente ed occidente, lasciando pertanto spazio ad una più approfondita ricerca su ogni possibile esito e prospettiva politica. Per lo stesso motivo anche lo sviluppo del conflitto potrebbe evolversi in molteplici direzioni e portare a conseguenze insanabili sul territorio mediorientale e sugli equilibri di potere all'interno della stessa area;
    in queste ultime settimane la crisi siriana sta ulteriormente inasprendosi, causando, quale preoccupante conseguenza, un deterioramento delle trattative diplomatiche;
    il 7 giugno 2013 le Nazioni Unite hanno lanciato un appello, impegnandosi a mettere a disposizione un fondo di 4,4 miliardi di dollari quale aiuto – il più cospicuo della storia di questo organismo – per assistere il sempre crescente numero delle vittime;
    l'Unione europea ha deciso di rinnovare per un altro anno ancora le sanzioni contro la Siria, ad eccezione però dell'embargo sulle armi che viene lasciato come decisione autonoma ai singoli Stati, ma che andrebbe inevitabilmente a sostenere le operazioni belliche dei rivoltosi;
    in virtù di quanto sopra evidenziato, le fonti di informazione forniscono quadri politici diversi e troppo spesso nettamente contrastanti tra loro, rendendo l'analisi dei problemi in questione – cosa già di per sé assai complessa – un autentico rebus per chiunque, pur sensibile alle problematiche in essere, non abbia modo di attingere direttamente alle fonti perché impossibilitato a presenziare alle fasi del conflitto così come alle fasi delle trattative diplomatiche. Detto ciò, risulterà ovvio quanto l'informazione a sostegno di Assad sia interessata a promuovere una compattezza popolare per risollevare le sorti di un Governo già de facto esistente, così come, d'altro canto, i ribelli abbiano tutto l'interesse ad attenersi a fonti atte a sostenere la tesi diametralmente opposta. Va però ricordato che, indipendentemente da ciò, il popolo siriano deve rimanere sovrano su ogni decisione interna al proprio Paese;
    l'articolo 1 dello statuto delle Nazioni Unite e l'articolo 1 della Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, così come l'Atto finale della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, noto anche come Atto finale di Helsinki del 1975, sanciscono che l'autodeterminazione dei popoli è un diritto universale che permette ad ogni popolazione di decidere liberamente il proprio statuto politico senza ingerenza esterna, così come l'articolo 11 della Costituzione italiana dichiara che: «l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali»,

impegna il Governo:

   ad assumere un ruolo proattivo nelle trattative diplomatiche in attesa della conferenza di Ginevra II, sia a livello di politica interna europea che internazionale;
   ad utilizzare perciò tutti i canali diplomatici di cui si dispone per evitare l'intervento militare di altri Paesi in territorio siriano e proporsi quale mediatore per una soluzione pacifica del conflitto;
   a non partecipare ad alcun tipo di intervento in territorio siriano, né di carattere militare né tantomeno ad operazioni di peacekeeping, ma a fornire piuttosto aiuto ed esperienza in termini diplomatici, anche attraverso la creazione di partnership con il Paese stesso;
   a promuovere un'operazione di mediazione sovranazionale, affinché l'embargo economico che grava sulle spalle di una popolazione già stremata da anni di conflitto venga rimosso, favorendo un percorso attraverso cui il nostro Paese possa, presso le sedi competenti, proporre di rivedere la decisione presa in sede europea di lasciare libertà ai singoli Paesi membri sull'embargo di armi in territorio siriano, affinché la diffusione di queste ultime sia, se non proprio ridotta, almeno non incentivata da parte dei Paesi dell'Unione europea;
   a non sostenere e ad ostacolare ogni proposta di riapertura di forniture di armi e materiale bellico e ad impedirne anzi il transito in porti, aeroporti e stazioni ferroviarie, negando inoltre di disporre delle acque territoriali e dello spazio aereo italiano a chiunque intendesse trasportare armi in Siria, favorendo le cause della guerra, ed a contrastare con forza l'uso delle basi militari presenti sul territorio, incluse quelle di Sigonella, Aviano e Napoli;
   a creare, di concerto con altri partner internazionali, le condizioni per una de-escalation di violenza nel Paese affinché possa evitarsi un allargamento del conflitto su più vasta scala, incentivando perciò il dialogo con ogni attore coinvolto per promuovere un clima di maggiore distensione politica perché possa cessare ogni violenza armata promossa da chiunque tra le parti in causa;
   a non prendere parte, ed, anzi, a dissuadere ogni tipo di ingerenza relativa alla politica interna del Paese e a lasciare altresì al popolo siriano la decisione ultima su ogni questione, favorendo perciò un percorso di pacifica partecipazione democratica, che rispetti la sovranità, l'indipendenza, l'unità e l'integrità della Repubblica araba siriana.
(1-00113)
(Nuova formulazione) «Grande, Tacconi, Scagliusi, Del Grosso, Pesco, Spadoni, Di Battista, Manlio Di Stefano, Sibilia, Spessotto, Carinelli, Colonnese, Vignaroli, Currò, Chimienti, Cariello, Caso, Vacca, Luigi Gallo, Cristian Iannuzzi, Battelli, Baroni, Dall'Osso, Di Vita, Frusone, Mucci, Alberti, Rizzo, Cancelleri, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Bonafede, Segoni, Sorial, Micillo, Rostellato, Cominardi, Bechis, Baldassarre, Basilio, Grillo, Benedetti, Zaccagnini, Da Villa, Prodani, Crippa, Vallascas, Della Valle, Liuzzi, Tofalo, Daga, Gagnarli, L'Abbate, Rizzetto, Turco, Agostinelli, Fico, Castelli, Businarolo, Furnari, Labriola, Mantero, Toninelli, Cozzolino, Pinna, Brugnerotto, D'Uva, Artini, Simone Valente, Di Benedetto, Cecconi, Dadone, Nesci, D'Ambrosio, Ruocco, Nuti, Corda, Ciprini, Gallinella, Fraccaro».
(21 giugno 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    la Repubblica araba siriana, teatro da almeno due anni di un conflitto terribile e sanguinoso che ha indignato l'opinione pubblica mondiale, non può non destare particolare preoccupazione in relazione al destino geopolitico di un'area molto indebolita da una guerra civile che ha lasciato sul campo oltre centomila morti;
    le guerre in Iraq ed in Afghanistan, l'onda lunga delle primavere arabe e la persistenza del conflitto israelo-palestinese, nonostante i propositi di riapertura di un dialogo tra le parti della seconda amministrazione Obama, dimostrano che il quadro geopolitico dell'area sta vivendo trasformazioni profondissime; allo stesso tempo, si affacciano sulla scena nuovi «player» statuali (Qatar, Turchia, Arabia Saudita ed altre «petromonarchie») e si rafforzano gli interessi strategici di potenze regionali, e non, quali Iran e Russia, che puntano ad una nuova egemonia militare ed economica in tutta l'area;
    il regime di Assad si è macchiato di crimini inaccettabili sin dall'inizio del conflitto, evoluzione tragica di un movimento spontaneo di protesta popolare che, come nel solco della stagione del risveglio arabo, chiedeva democrazia e rispetto dei diritti umani. A fronte della durissima repressione dei movimenti di protesta, settori delle opposizioni in Siria, ed all'estero, hanno optato per la via delle armi. La scelta della strada dell’escalation militare ha trasformato profondamente anche la natura del fronte dei ribelli, che si è arricchito di sostegni internazionali significativi, mentre la logica dello scontro militare ha fatto passare in secondo piano e reso invisibile il lavoro coraggioso ed incessante di una miriade di organizzazioni, coordinamenti, collettivi ed altri soggetti che praticano forme di autogestione, comunicazione alternativa, ricostruzione e mutualismo tra le popolazioni civili martoriate dal conflitto;
    tutti gli analisti ed esperti del settore concordano ormai nel definire di «stallo»la fase dei combattimenti e nel ritenere che, nell'attuale situazione, qualsiasi soluzione di tipo militare sia impraticabile e arrecherebbe ulteriori gravi sofferenze ad una popolazione civile ormai allo stremo, oltre ad aprire la strada ad uno scenario simile a quello attuale in Iraq, con una guerra civile e religiosa che sta provocando, nel dopoguerra, un numero elevatissimo di vittime civili e rischia di portare il Paese alla conflagrazione;
    le forze combattenti in opposizione alle truppe lealiste sono estremamente articolate e disomogenee, con forte prevalenza, accanto alle espressioni militari delle varie opposizioni politiche, almeno nella fase attuale, di formazioni più marcatamente jihadiste, quali Al Nusra, che si sono talvolta distinte anche per forme di rappresaglia cruente nei confronti delle truppe lealiste di Assad e di minoranze religiose, quali le comunità cristiane, come descrive la vicenda di Maaloula, la città patrimonio dell'Unesco, uno degli ultimi tre luoghi al mondo dove si parla ancora l'aramaico;
    in un simile scenario, l'Europa dimostra tutta la sua incapacità di parlare con una sola voce e di svolgere un ruolo di attore politico globale: da una parte, nelle diverse prese di posizioni di Paesi membri circa la rimozione o meno dell'embargo dell'invio di armi ai ribelli, dall'altra, nella debolezza negoziale solo in parte mitigata dalla posizione unitaria, seppur ambigua, assunta riguardo al ricorso alla diplomazia internazionale, quale unica soluzione possibile alla crisi siriana. Lo stesso dicasi per il nostro Paese che sostiene a gran voce la via negoziale e, condannando l'uso di armi chimiche contro i civili, si oppone ad un intervento militare senza mandato dell'Onu e, nel contempo, grazie alle maglie larghe delle norme di controllo sul commercio di armi, ha tuttavia permesso ad imprese italiane produttrici di armi di vendere armi al regime di Assad;
    il Governo, già in data 26 agosto 2013, con l'audizione del Ministro degli affari esteri Emma Bonino presso le Commissioni congiunte affari esteri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, si è espresso in maniera molto netta ed inequivocabile contro un'eventuale azione militare; è necessario che tale posizione rimanga integra e senza ambiguità, soprattutto all'indomani del fallimento del G20, dove le potenze presenti hanno vissuto una spaccatura profonda e l'Italia ha scelto di sottoscrivere il documento degli Usa che, in forma assai ambigua, non escludeva una reazione militare in caso di accertamento dell'attacco chimico da parte di Assad. In tal modo, il nostro Paese rischia di vedere compromessa la sua capacità di mediazione e proposta politica per la ripresa di un negoziato che porti alla cessazione delle ostilità e costringa le parti a trattare;
    è evidente che, se venisse confermato l'uso di gas Sarin nell'agosto 2013 da parte delle truppe lealiste, le stesse avrebbero commesso un crimine contro l'umanità, causando 1400 morti, come documentato in molti video;
    va anche segnalato che il Protocollo di Ginevra del 1925 per la proibizione dell'uso de gas asfissianti, avvelenanti e altri gas, e dei metodi di guerra batteriologica e la Convenzione sulle armi chimiche (Cac) firmata a Parigi nel 1993 sulla proibizione dello sviluppo, della produzione, dell'acquisizione, della detenzione, della conservazione, del trasferimento e uso di armi chimiche e dei materiali ad esse collegati, non hanno mai visto l'adesione e la ratifica da parte della Siria;
    pur nelle more del definitivo responso da parte degli ispettori circa l'uso delle armi chimiche nel conflitto, tuttavia, si va paventando un intervento militare a guida di Francia ed Usa in un quadro pressoché unilaterale, che rischia di determinare una escalation di violenza e guerra in una regione estremamente difficile, con un ancor più diretto coinvolgimento nel conflitto dell'Iran e degli Hezbollah;
    gli effetti, pericolosi e preoccupanti, si ripercuoterebbero anche in un'area particolarmente fragile sul terreno istituzionale e dell'equilibrio etnico e religioso, quale è il Libano, dove la missione Unifil, costruita in un quadro multilaterale nel 2006 – e, oggi, a guida italiana – rischia di essere messa in discussione e di non riuscire a svolgere fino in fondo la funzione positiva di peacekeeping che finora ha portato avanti; in questo quadro, anche l'invio della nave Andrea Doria al largo del Mar Mediterraneo acquista un significato che merita di essere chiarito ulteriormente dalle autorità militari;
    l'azione militare, che potrebbe partire già nei prossimi giorni, non gode del consenso internazionale e turba profondamente l'opinione pubblica mondiale, configurandosi ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo come illegittima ed illegale e ben potrebbe portare ad un'ulteriore tragica escalation in Siria, oltre che ad una spirale di violenza a livello regionale, allontanando le prospettive di rilancio del processo negoziale di Ginevra II;
    è estremamente urgente mettere in pratica una strategia di de-escalation in vista della conferenza di Ginevra II, individuata dal The European Council of Foreign Relations, che si fonderebbe sui pilastri della conferenza Ginevra II, ovvero: il cessate il fuoco immediato, il disarmo delle parti in conflitto interrompendo il flusso di riarmo dei protagonisti della guerra, un governo di transizione democratica che mantenga integra la sovranità e l'indipendenza della Siria, l'accesso di tutte le organizzazioni umanitarie in Siria, a partire dalle aree più colpite dalla guerra;
    è altissimo il numero di profughi coinvolti, circa un milione e mezzo, prevalentemente distribuiti tra la Giordania e il Libano, Paesi che rischiano un'autentica deflagrazione del tessuto sociale, per non dimenticare gli effetti già visibili in Libano di uno «spill-over» del conflitto, evidente nei recenti attentati a Tripoli;
    in tale quadro, il timore di una escalation militare ha mobilitato non solo la società civile pacifista, attraverso anche lo straordinario messaggio del Pontefice contro la guerra, ma ha riconsegnato la giusta ed adeguata centralità ai Parlamenti, come nel caso della Gran Bretagna, dove la Camera dei Comuni ha bocciato la proposta del Primo ministro Cameron di aderire all'azione militare in Siria, e degli Usa, dove il Presidente Obama ha deciso di sottoporre al voto del Congresso e del Senato l'eventuale via libera all'attacco,

impegna il Governo:

   ad intensificare la propria iniziativa in tutte le sedi, in particolare in seno all'Unione europea, per un processo negoziale e politico che porti alla soluzione diplomatica del conflitto, e che preveda il cessate il fuoco, il disarmo delle parti coinvolte, nonché il rilancio del processo di Ginevra, coinvolgendo tutti gli attori regionali, a partire dall'Iran, condannando, altresì, qualsiasi intervento armato al di fuori di un mandato Onu e sostenendo il ruolo centrale dell'inviato speciale delle Nazioni Unite e della Lega Araba, Lakhdar Brahimi;
   a proporre la riunione di un Consiglio europeo straordinario che abbia all'ordine del giorno la de-escalation, l'agenda di Ginevra e la richiesta di convocazione di una sessione speciale dell'Assemblea delle Nazioni Unite sulla crisi siriana;
   a riaffermare l'indisponibilità dell'Italia a partecipare direttamente o indirettamente (concedendo, ad esempio, l'uso delle basi militari presenti sul territorio nazionale o autorizzando altre forme di supporto logistico, o il diritto di sorvolo degli aerei d'attacco) a qualsiasi intervento militare in Siria;
   a destinare ulteriori finanziamenti alle organizzazioni internazionali e alle organizzazioni non governative per l'assistenza umanitaria e sanitaria dei profughi e a sollecitare uno sforzo concreto e coerente dell'intera Unione europea per sostenere le popolazioni civili siriane nelle aree di conflitto e nei Paesi vicini;
   a prevedere, come ha scelto di fare la Svezia, l'immediato riconoscimento dello status di rifugiato a tutti i siriani che fuggono dalla Siria e che ne fanno richiesta.
(1-00177)
«Migliore, Scotto, Duranti, Fava, Piras, Aiello, Airaudo, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Di Salvo, Daniele Farina, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Pilozzi, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Zan, Zaratti».
(9 settembre 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    la crisi siriana ha raggiunto dimensioni tali da mettere a rischio la stessa sopravvivenza della Siria come Stato e come nazione unitaria e da più di due anni sottopone la popolazione a sofferenze insopportabili per i civili, con stime di circa centodiecimila vittime e due milioni di rifugiati e profughi, gran parte dei quali al di fuori dei confini nazionali, ormai alla ricerca di terre più sicure fino ai tragici episodi che hanno toccato le coste siciliane;
    la mattina del 21 agosto 2013 un attacco missilistico con armi chimiche nella periferia di Damasco, nella zona di Ghouta, ha causato numerosissime vittime civili, documentate da testimonianze oculari e filmati-video;
    le Nazioni Unite hanno inviato in Siria una missione ispettiva al fine di svolgere i dovuti accertamenti, purtroppo ritardati a causa della mancanza della tempestiva autorizzazione da parte del Governo di Damasco, e di riferirne gli esiti al Segretario generale, Ban Ki-Moon;
    le armi chimiche sono considerate armi di distruzione di massa, la loro produzione e il loro stoccaggio sono stati messi al bando dalla Convenzione sulle armi chimiche del 1993, di cui pure la Siria non è parte, ma sono certamente armi illecite e il loro uso è vietato anche dal diritto internazionale consuetudinario – consolidatosi a partire dal Protocollo di Ginevra del 1925 sulla proibizione delle armi chimiche in guerra di cui anche la Siria è parte – come ha dichiarato lo stesso Segretario generale delle Nazioni Unite, ribadendo che, qualora accertato, l'utilizzo di agenti chimici configurerebbe «una grave violazione del diritto internazionale ed un oltraggioso crimine di guerra»;
    l'ulteriore grave violazione di una norma internazionale fondamentale, quale il divieto di utilizzare armi chimiche indiscriminatamente contro la popolazione civile, rappresenta una forma di escalation del conflitto che richiede una risposta ferma e decisa da parte della comunità internazionale, non solo per le morti ingiuste e atroci provocate, ma anche per la conseguenza che l'eventuale sottovalutazione dell'azione possa ridurre ogni deterrenza e ogni scrupolo per l'utilizzo di dette armi in conflitti successivi;
    il Presidente Obama ha deciso di chiedere al Congresso degli Stati Uniti l'autorizzazione a un attacco militare limitato e mirato, volto a colpire obiettivi militari legittimi per rispondere all'uso di armi chimiche da parte del regime siriano, per esercitare una forte deterrenza e ridurre la possibilità per l'esercito siriano di ricorrere nuovamente all'uso di tali armi in futuro, come si legge nella risoluzione approvata dalla commissione per gli affari esteri del Senato statunitense;
    il Governo italiano ed altri Governi europei hanno manifestato le loro preoccupazioni sull'effettiva opportunità di un intervento militare non sostenuto da un ampio consenso internazionale, pur mantenendo assolutamente ferma la condanna dell'uso delle armi chimiche così come ribadendo l'impegno a cercare gli strumenti più efficaci e opportuni per prevenire e punire le violazioni del diritto internazionale;
    a margine del G20 di San Pietroburgo 11 Stati (Australia, Canada, Francia, Italia, Giappone, Repubblica di Corea, Arabia saudita, Spagna, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti d'America), cui si è poi aggiunta la Germania, hanno sottoscritto una dichiarazione comune che richiede una «forte risposta alla grave violazione» e un «forte messaggio che questo tipo di atrocità non possono essere ripetute», ribadendo la necessità di far valere la responsabilità degli autori dei crimini, ricordando che «il conflitto siriano non ha una soluzione militare» e che si rimane impegnati nella ricerca di una soluzione politica attraverso l'attuazione del comunicato finale della Conferenza di Ginevra del 2012;
    la proposta avanzata dal Segretario generale dell'Onu di creare aree supervisionate internazionalmente in cui le armi chimiche presenti in Siria possano essere immagazzinate e distrutte, rilanciata dalla Federazione russa e ripresa anche dall'Unione europea e dagli Stati Uniti, merita la massima considerazione al fine di conseguire il prioritario obiettivo di tutelare la popolazione civile da altri attacchi analoghi a quello del 21 agosto 2013;
    l'Italia e l'Unione europea hanno fin dall'inizio ritenuto necessario sostenere le richieste profonde di democrazia e dignità della popolazione siriana e di fronte alla durezza delle risposte governative hanno sempre sostenuto la necessità di un negoziato di pace e di una soluzione politica e non militare;
    è da condannare il comportamento del presidente Assad di fronte alle aperture per una soluzione politica avanzate dal Governo italiano e da altri Governi, così come dopo gli autorevolissimi richiami del Papa anche nei confronti dei leader del G20 riunito a San Pietroburgo, posizioni responsabili che vengono sfruttate dal regime siriano, data la gravità dei fatti;
    all'interno delle stesse forze che combattono il regime siriano è solo da poco tempo che si sta registrando con molta fatica la progressiva affermazione di una leadership, mentre non si è ancora consolidata un'intesa politica interna quale alternativa capace di tutelare pienamente le componenti laiche e religiose democratiche, di mantenere l'integrità del Paese e di garantire la transizione verso uno Stato di diritto pluralista e tollerante, tanto che si manifesta la viva preoccupazione che l'opposizione possa essere egemonizzata da gruppi estremisti e terroristi;
    il processo di escalation militare non lascia intravedere né nel breve periodo né nel lungo periodo un vincitore, ma già lascia sul terreno un intero mondo di vittime civili e ha diffuso la fuga o il terrore in gran parte delle comunità etniche e religiose storicamente insediate in Siria, mettendo a serissimo rischio la continuità di un modello di convivenza pacifica di popoli e di fedi assai raro nel mondo;
    il regime di Bashar Assad è in ogni caso da ritenere un interlocutore politico delegittimato nella sua rappresentatività dalla violenza messa in atto che, se ne fossero accertate le responsabilità in relazione all'utilizzo delle armi di distruzione di massa, risulterebbe addirittura inaccettabile;
    l'azione positiva dispiegata dal Governo fa sì che l'Italia stia guardando con attenzione e lungimiranza alla regione mediorientale nel suo complesso, nella consapevolezza che la delicatezza e l'intreccio delle questioni richiedono determinazione e non semplificazione, affinché si assicuri la libera e autonoma decisione del popolo siriano sul suo futuro;
    la notizia della liberazione del giornalista Domenico Quirico è motivo di soddisfazione per la società italiana ed il mondo dell'informazione ed induce a sperare che possa essere favorevole anche la conclusione del sequestro di padre Dall'Oglio e degli altri esponenti religiosi,

impegna il Governo:

   a svolgere, ancor più alla luce dei recentissimi sviluppi, un ruolo proattivo per favorire e rendere possibile una soluzione politica della crisi e un negoziato tra le parti;
   a sostenere l'iniziativa volta a far emergere, a mettere sotto controllo internazionale e a neutralizzare l'arsenale chimico siriano, con l'obiettivo irrinunciabile che non possa essere nuovamente usato, confidando che una risoluzione in tal senso sia presto adottata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite;
   a proseguire nella sua azione di condanna assoluta ed inequivocabile dell'utilizzo di armi chimiche e della necessaria punizione dei responsabili, anche attraverso il ricorso agli strumenti politici, diplomatici e convenzionali possibili, incluso il deferimento al Tribunale penale internazionale;
   ad insistere perché la reazione della comunità internazionale sia ferma e funzionale al raggiungimento di obiettivi chiari, ivi inclusa la prevenzione dell'ulteriore utilizzo di armi chimiche, attraverso strumenti proporzionati, assicurando il più ampio consenso internazionale nel rispetto del ruolo delle Nazioni Unite, escludendo la partecipazione ad interventi militari in assenza di un esplicito mandato del Consiglio di sicurezza e, in ogni caso, valutando con attenzione che ogni azione intrapresa non comporti solo un aggravamento della situazione politica e di instabilità dell'area;
   ad intensificare l'impegno umanitario in favore dei profughi;
   a prendere tutte le iniziative che possano essere utili ad accelerare una tregua, per un cessate il fuoco bilaterale più ampio, e a creare le condizioni per un nuovo negoziato internazionale capace di dare voce adeguata all'opposizione siriana interna e all'estero, alla società civile siriana e a tutti i Paesi coinvolti nel conflitto che possono avere peso nella ricerca di una soluzione equa e nella fine del conflitto stesso;
   a verificare tutte le strade diplomatiche e politiche perché la situazione in Siria si apra alla transizione democratica per superare l'attuale regime, assicurando la rappresentanza di tutte le componenti, la tutela delle minoranze, il rispetto dei principi dello Stato liberale e di diritto;
   a far sì che la soluzione politica e diplomatica coinvolga necessariamente tutti gli attori importanti, regionali e internazionali, inclusi la Russia e l'Iran, attraverso il rilancio del processo di Ginevra per giungere alla convocazione di una conferenza internazionale;
   a portare avanti la riflessione, con i partner europei, sulle modalità di applicazione delle sanzioni nei confronti della Siria in funzione dell'obiettivo di condurre le parti al tavolo negoziale, perché sia più forte la pressione sull'attuale regime e si attenuino invece gli effetti sulla popolazione civile;
   a farsi promotore di una politica europea unitaria, sulla base del joint statement sottoscritto a margine dei lavori del G20 di San Pietroburgo, degli esiti positivi della riunione informale dei Ministri degli esteri dell'Unione europea a Vilnius e della comune determinazione sulla condanna dell'utilizzo di armi chimiche, da far valere anche in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e con l'ambizione di far evolvere la politica estera e di sicurezza comune verso uno strumento effettivo ed efficace, in prospettiva del Consiglio europeo di dicembre 2013 sulla difesa, nonché del semestre italiano di presidenza nella seconda parte del 2014;
   a valutare attentamente le conseguenze del conflitto siriano sul contesto in cui si svolge la missione Unifil, adeguando le condizioni di sicurezza del contingente italiano dislocato in Libano;
   a riferire tempestivamente al Parlamento sugli sviluppi della crisi in Siria anche al fine delle conseguenti determinazioni relative alla posizione dell'Italia.
(1-00178)
«Speranza, Brunetta, Dellai, Pisicchio».
(10 settembre 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    dopo oltre due anni dall'inizio del conflitto la situazione in Siria non accenna a migliorare e, anzi, appare costretta in una pericolosa situazione di stallo, nella quale appare in modo sempre più evidente come nessuna delle due parti abbia ragionevoli possibilità di prevalere definitivamente sull'altra, né, tantomeno, di riuscire a stabilizzare il Paese, anche se una delle parti dovesse guadagnare ulteriore terreno;
    sinora, né gli sforzi della comunità internazionale volti a fermare i massacri, né, tantomeno, la ferma condanna delle violenze, espressa a più riprese, hanno potuto impedire la continua escalation dello scontro tra le forze governative e quelle di opposizione riunite nella Coalizione nazionale siriana;
    secondo l'ultimo bilancio delle Nazioni Unite, dall'inizio del conflitto sono state uccise oltre novantamila persone, tra le quali anche migliaia di donne e bambini, e vi sarebbero circa oltre quattro milioni di sfollati nel Paese e un milione e mezzo di rifugiati siriani, riparati nei Paesi limitrofi (Giordania, Libano, Turchia, Iraq ed Egitto);
    la crisi siriana è ancora una volta il segno del profondo mutamento in atto nel contesto regionale del Mediterraneo, ma la sua peculiarità sta proprio nel fatto di non essere più una crisi regionale, ma di aver assunto una dimensione mondiale, all'interno della quale si muovono i soggetti internazionali che hanno condotto la partita sin qui e attraverso la quale appare pienamente la complessità dello scenario siriano;
    mentre, infatti, il Governo di Damasco riceve da parte di Russia e Iran rifornimenti in strumenti, armi, oltre a uomini di Hezbollah provenienti dal Libano, tra gli Stati che sostengono con mezzi e armamenti l'insurrezione vanno annoverati il Qatar, l'Arabia Saudita, la Giordania e la Turchia;
    il dieci per cento della popolazione siriana è di fede cristiana ed è già stata oggetto di attacchi da parte dei ribelli, che hanno colpito con ferocia sia le aree cristiane delle città di Damasco ed Aleppo, sia la cittadina di Homs e, da ultimo, anche il villaggio di Maaloula, uno dei siti cristiani più importanti di tutta la Siria, saccheggiando alcune chiese e monasteri e minacciando i cristiani di vendicarsi su di loro dopo il trionfo della rivoluzione;
    pur essendo rappresentata all'interno del Consiglio nazionale siriano, per la comunità cristiana si prefigura quindi il rischio, in una Siria senza Assad, di perdere le garanzie dei propri diritti e quella tolleranza religiosa che il regime laico le aveva finora garantito;
    in ambito europeo, con la decisione del Consiglio degli affari esteri di lasciar decadere a partire dal 1o giugno 2013 l'embargo sulla vendita di armi (sia al regime che ai ribelli), prolungando di ulteriori dodici mesi le sole sanzioni economiche, si è di fatto spaccato il fronte comune dell'Unione europea rispetto al conflitto in corso nel Paese, e se anche un accordo politico tra i 27 Stati membri prevedeva che non ci sarebbe stato alcun invio di armi almeno fino alla fine del mese di agosto, allo stato attuale ciascun Paese può decidere autonomamente;
    in Italia, i Ministri della difesa e degli affari esteri hanno sinora espresso la propria personale contrarietà in merito all'eventuale invio di armi alla Siria, una decisione che, tuttavia, compete al Governo nella sua collegialità;
    in ambito internazionale, inoltre, rimangono incerti sia la tempistica sia lo stesso formato della conferenza di pace Ginevra II, per la quale si sono impegnate negli scorsi mesi le diplomazie di Russia e Stati Uniti, la quale dovrebbe realizzare l'intento di fare sedere intorno allo stesso tavolo forze di governo e oppositori, nonché tutti i Paesi che siano in grado di influenzare la crisi e possano poi contribuire all'attuazione delle intese che verranno auspicabilmente decise, tra i quali i Paesi confinanti (Libano, Giordania, Iraq e Turchia) e i principali attori regionali, tra cui l'Arabia Saudita o l'Egitto;
    nelle intenzioni della comunità internazionale, la conferenza Ginevra II dovrebbe, inoltre, passando attraverso il rafforzamento delle strutture organizzative dell'opposizione sul terreno e dando un forte segnale politico al regime, rappresentare un primo passo per convincere il Presidente siriano Assad che il negoziato dovrà condurre ad una vera transizione politica nel Paese;
    in quest'ambito, «l'Italia e i partner del Gruppo Amici della Siria si stanno adoperando per convincere la Coalizione nazionale siriana ad alleggerire le precondizioni per l'avvio del negoziato e ad aumentare la sua rappresentatività e quindi la sua credibilità al tavolo negoziale», come riferito dal Ministro degli affari esteri durante una recente audizione parlamentare;
    il Governo di Damasco è stato accusato di aver perpetrato, nelle prime ore dell'alba del 21 agosto 2013 nei quartieri est di Damasco, un attacco con armi chimiche, causando la morte di oltre mille persone, perlopiù civili;
    ai sensi dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale, l'uso di armi chimiche caratterizzato dalla sistematicità e consapevolezza dell'attacco contro la popolazione civile è configurabile anche come crimine di guerra;
    rispetto all'attacco del 21 agosto 2013 è stata disposta un'ispezione dell'Onu, volta ad accertare l'effettivo impiego delle armi chimiche, ma gli ispettori, che si trovavano nel Paese già da due giorni prima dell'attacco, e cioè dal 18 agosto 2013, sono stati ammessi a visitare i siti interessati solo a partire dal 26 agosto 2013;
    il tempo concesso agli ispettori per ultimare il proprio lavoro è di tre settimane, ma il suo risultato non sarà dirimente, posto che il rapporto, come da mandato, si limiterà a confermare o meno l'utilizzo del gas, senza però attribuire precise responsabilità;
    la notizia dell'attacco chimico ha suscitato non solo l'immediata ed energica condanna internazionale, ma anche l'avvio di una valutazione relativa ad una risposta adeguata da parte della stessa comunità internazionale;
    in quest'ambito, la Francia e gli Stati Uniti hanno sostenuto la necessità di un intervento militare, mentre il resto della comunità internazionale auspica ancora una soluzione negoziale, che passi anche attraverso un'interlocuzione con la Russia;
    il Governo italiano si è associato alla condanna degli attacchi, ma il Ministro degli affari esteri ha espresso la convinzione che «debba essere il Consiglio di sicurezza ad assumersi con tempestività e pienamente le responsabilità che discendono dal suo ruolo e dalle sue funzioni di garante supremo della pace e sicurezza internazionali. Riteniamo quindi che sia il Consiglio di sicurezza che debba pronunciarsi in modo inequivocabile e senza distinguo»;
    allo stato attuale, l'Onu ha dichiarato di non ritenere opportuno un intervento militare nel Paese;
    sul versante Nato, il Segretario generale Anders Fogh Rasmussen, in occasione della conferenza stampa mensile del 3 settembre 2013, ha comunicato che la Nato non parteciperà all'operazione militare contro la Siria prospettata dagli Usa, ma, anche in assenza di questo coinvolgimento diretto nella guerra, è stato già da tempo posto in essere il rafforzamento delle difese aeree della Turchia, Paese chiave dell'Alleanza atlantica;
    l'Europa è ancora vista dai Paesi mediterranei come un interlocutore importante e, in questo ambito, l'Italia dovrebbe riappropriarsi di un ruolo da protagonista, considerata la sua posizione strategica nell'area e facendo leva sulla propria credibilità internazionale, rendendosi promotrice di un'iniziativa negoziale che consenta una via politica di uscita dalla crisi e, in un'ottica più a lungo raggio, di una nuova politica europea per il Mediterraneo;
    l'Italia rimane fortemente impegnata anche sul fronte umanitario, sia attraverso l'impegno annunciato alla Conferenza dei paesi donatori per la Siria di Kuwait City, di complessivi 22 milioni di euro per il 2013 (secondo contributo a livello europeo dopo la Gran Bretagna), che vanno ad aggiungersi ai 7,5 milioni di euro del 2012, sia sotto il profilo delle iniziative sul piano umanitario, realizzate sia sul piano bilaterale sia d'intesa con le agenzie Onu, con interventi destinati alle fasce più deboli della popolazione, in particolare bambini e donne;
    un intervento militare in Siria avrebbe implicazioni su scala mondiale, tenuto conto che in questa partita giocano un ruolo la Russia, la Turchia, l'Arabia Saudita, il Qatar, la Giordania e il Libano, che sullo sfondo c’è il problema della sicurezza di Israele e che i Paesi confinanti con la Siria appaiono minacciati in maniera crescente dagli effetti destabilizzanti del conflitto;
    altri 14 Paesi, tra cui gli Emirati arabi uniti e il Qatar, hanno aderito alla dichiarazione che condanna la Siria per l'attacco con armi chimiche del 21 agosto 2013 e in cui si chiede una risposta internazionale forte perché il Governo siriano si assuma la propria responsabilità, in precedenza siglato da 11 Paesi, tra cui l'Italia, in occasione del G20 a San Pietroburgo;
    lunedì 9 settembre 2013 la Siria ha accolto favorevolmente la proposta russa di mettere sotto il controllo della comunità internazionale le proprie armi chimiche, proposta che avrebbe incassato anche il sostegno dell'Iran;
    dapprima la posizione interventista della Francia e poi la proposta russa ed il suo accoglimento da parte siriana evidenziano, ancora una volta, l'incapacità europea di agire in modo concordato ed incisivo nell'ambito delle crisi internazionali;
    una volta messo in sicurezza l'arsenale chimico di Assad, la negoziazione di una soluzione politica alla crisi continua a rappresentare l'unica via percorribile al fine di realizzare una stabilizzazione di lungo periodo della Siria e dell'intera regione,

impegna il Governo:

   a non appoggiare un eventuale intervento militare in Siria, nemmeno attraverso l'uso delle basi militari, se non deciso e attuato in ambito sovranazionale sotto l'egida dell'Onu;
   a ricercare, al contempo, una via di uscita politica dal conflitto siriano, anche attraverso il sostegno alla proposta di requisizione delle armi chimiche siriane su cui già diverse diplomazie europee si sono pronunciate favorevolmente, mantenendo un dialogo costante con i partner del Gruppo Amici della Siria, e valutando l'opportunità dell'avvio di contatti diretti con la Russia e l'Iran, anche con l'obiettivo di agganciare quest'ultimo Paese al processo di Ginevra;
   a sostenere nelle competenti sedi internazionali l'avvio dei negoziati tra le parti attraverso la tempestiva convocazione della conferenza internazionale «Ginevra II», atta a definire una via d'uscita al conflitto in Siria che favorisca la cessazione delle ostilità e l'avvio della transizione democratica nel Paese;
   ad attivarsi affinché alla comunità cristiana residente in Siria continuino ad essere garantite sia la sicurezza sia la libertà di culto;
   a sostenere in sede europea la necessità di un rafforzamento della politica estera comune;
   a farsi protagonista in ambito europeo dell'elaborazione di una nuova politica per il Mediterraneo, che consenta una stabilizzazione dell'intera regione.
(1-00179)
«Giorgia Meloni, Cirielli, Corsaro, La Russa, Maietta, Nastri, Rampelli, Taglialatela, Totaro».
(10 settembre 2013)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   DELLA VALLE e CASTELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 26 giugno 2013 è stata disposta la perquisizione dell'appartamento del dottor Pierpaolo Pittavino, consulente tecnico sin dal giugno 2012 per l'avvocato Claudio Novaro, uno dei difensori nei processi per i fatti del 3 luglio 2011 e del 27 giugno 2011 accaduti in località Chiomonte (Torino) durante manifestazioni di protesta del Movimento NoTav. La perquisizione è stata disposta a seguito di accusa di stalking ai danni di un operaio del cantiere del cunicolo esplorativo per il progetto della nuova linea Torino-Lione, tale Adelmo Tessa, persona la cui identità risulta essere tuttora ignota al dottor Paolo Pittavino;
   in data 29 luglio 2013 sono state disposte perquisizioni per dodici cittadini italiani accusati per i reati di cui all'articolo 280, comma 1, n. 3, del codice penale e agli articoli 10 e 121 della legge n. 497 del 1974 per i fatti del 10 luglio 2013, sempre in Chiomonte (Torino) e tra i perquisiti figura la dottoressa Dana Lauriola, parimenti consulente tecnico, sin dal giugno 2012, di avvocati difensori nel processo per i fatti del 3 luglio 2011 e del 27 giugno 2011;
   a seguito delle suddette perquisizioni non sono state rinvenute né «armi micidiali», né elementi che possano supportare la gravissima accusa di terrorismo, sono invece stati sequestrati indumenti, zaini, effetti personali, telefoni cellulari e computer;
   i computer sequestrati al dottor Pierpaolo Pittavino e alla dottoressa Dana Lauriola contengono informazioni riservate e legalmente privilegiate, legate alla loro attività professionale di consulenza tecnica nei processi per i fatti del 3 luglio 2011 e del 27 giugno 2011, svolte dai consulenti sin dal mese di giugno del 2012;
   tale processo con 53 imputati si svolge a Torino nell'aula bunker del carcere delle Vallette ed è entrato da poche settimane nella fase dell'istruttoria dibattimentale;
   i dottori Pittavino e Lauriola, insieme ad ulteriori consulenti, da più di un anno hanno creato diversi database di informazioni, la replicazione informatica delle produzioni della procura della Repubblica in tale processo (ammontanti queste ultime a svariate decine di migliaia di pagine e migliaia di documenti cartacei, oltre a più di 100 dvd contenenti centinaia di ore di video della polizia scientifica o digos), oltre ad avere curato un'imponente raccolta di materiale probatorio documentale, fotografico e video, da differenti fonti informative, finalizzata a costituire supporto alle linee difensive di tutti gli avvocati della difesa dei 53 imputati, costituitisi in un coordinamento di più di 40 legali dal mese di giugno del 2012;
   fra gli strumenti utilizzati dal coordinamento dei legali impegnati nella difesa nel processo per i fatti del 3 luglio 2011 e del 27 giugno 2011 rientra una mailing list, estesa ai consulenti, inclusi pertanto i dottori Pittavino e Lauriola, e da questi amministrata. Sulla mailing list in oggetto, a partire dal mese di giugno 2012, sono transitate, e transitano, tutte le più importanti comunicazioni che i 40 e più difensori, anche per ragioni logistiche dettate dal numero e dalle rispettive localizzazioni geografiche in diverse e numerose regioni d'Italia, scambiano fra di loro nell'ideazione e gestione delle strategie difensive relative al processo citato. A titolo esemplificativo della delicatezza e strategicità dello strumento informatico, sul flusso della mailing list in oggetto si è discorso di identità di testimoni da indicare in lista, scelta di video e/o fotografie da produrre, discussioni circa la selezione di riti alternativi;
   fra i titolari del più volte citato processo per i fatti del 3 luglio 2011 e del 27 giugno 2011, nei quali prestano consulenza tecnica a favore della difesa i medesimi dottori Pittavino e Lauriola, vi sono i pubblici ministeri Antonio Rinaudo ed Andrea Padalino, ovverosia i medesimi pubblici ministeri che hanno disposto le suddette perquisizioni a carico dei dottori Pittavino e Lauriola per diversi fatti avvenuti nell'anno 2013;
   cittadini, amministratori locali, membri del Parlamento italiano e giuristi indipendenti hanno espresso forti criticità nel merito della validità dei capi di imputazione iscritti a carico della Dr.ssa Lauriola e di altri come lei, che risulterebbero non contestualizzabili nelle vicende legate all'opposizione alla realizzazione del cunicolo esplorativo della Maddalena;
   va considerata la possibile violazione, a parere degli interroganti:
    a) dell'articolo 111 della Costituzione e dell'articolo 6, comma 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti e delle libertà, che prevedono che il processo si svolga nel contraddittorio tra difesa e accusa in condizioni di parità, posto che, se una delle parti conosce in anticipo le strategie e le tattiche difensive dell'altra (in questo caso, se così fosse, di ben 53 imputati), ciò integra svantaggio sostanziale ed irreparabile e come tale in contrasto con il sistema costituzionale che regola i diritti degli imputati;
    b) dell'articolo 103, comma 2, del codice di procedura penale relativo alle garanzie di libertà del difensore e dei suoi consulenti, posto che il sequestro presso il consulente è vietato, di modo che la polizia giudiziaria avrebbe dovuto astenersi dal procedere a sequestrare e poi copiare materiali e strumenti utilizzati per fornire la consulenza, appena ricevutane la notizia dai perquisendi;
    c) dell'articolo 103, comma 5, del codice di procedura penale qualora la procura della Repubblica di Torino fosse entrata in possesso, in tutto o in parte, del flusso informativo costituito sulla mailing list di cui si è detto, giacché in tale modo essa avrebbe avuto accesso a comunicazioni riservate tra difensori, nonché a comunicazioni riservate tra difensori e loro consulenti, protette a norma del comma 5. In tale evenienza, fermo quanto sopra in merito all'ipotesi di violazione dell'articolo 111 della Costituzione, ci si troverebbe, di fatto, in presenza di intercettazioni di comunicazioni ex articolo 266 e 266-bis del codice di procedura penale, del tutto vietate se a carico di difensori e consulenti;
    d) dell'articolo 256 del codice di procedura penale in merito alla procedura prevista, e alle relative garanzie, quando si debba reperire documentazione detenuta per ragioni di ufficio e si formuli opposizione del segreto professionale da parte dei consulenti, i quali sono equiparati, secondo la previsione dell'articolo 200 del codice di procedura penale, ai difensori, e cioè a soggetti che non possono essere obbligati a deporre sui fatti conosciuti per la loro professione. Secondo tale disciplina i pubblici ministeri non possono procedere al sequestro nei confronti dei consulenti di quei documenti detenuti per ragioni del loro ufficio, se non a fronte dell'infondatezza della dichiarazione fatta dal consulente circa le ragioni della detenzione dei medesimi documenti. Nel caso di specie risulta, invece, dai verbali di perquisizione che la dottoressa Lauriola abbia prontamente esibito le nomine a consulente da parte delle difese, circostanza peraltro già ampiamente nota ai pubblici ministeri procedenti, ed indicato che i supporti informatici su cui si stava operando il sequestro contenevano materiale elaborato su incarico dei difensori che la avevano nominata. Analogamente ha dichiarato il dottor Pittavino, come appare dal verbale di perquisizione –:
   se il Ministro interrogato, nell'ambito delle sue competenze, intenda verificare gli elementi esposti in premessa, adottando, qualora una delle ipotesi qui svolte si rilevasse fondata, le iniziative disciplinari che gli competono, oltre ad ogni più opportuna iniziativa a termine di legge che si rivelasse necessaria. (3-00293)
(10 settembre 2013)

   PIAZZONI, NICCHI e AIELLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto rilevato recentemente dalla stampa nazionale la povertà sanitaria è cresciuta del 57 per cento in tre anni. In sostanza la gente non riesce più a pagarsi i farmaci;
   in Italia, infatti, dal 2006 al 2013 la povertà sanitaria è aumentata in media del 97 per cento: sono, cioè, aumentati i cittadini che hanno difficoltà ad acquistare i medicinali, anche quelli con prescrizione medica. Lo rivela un dossier realizzato dalla Fondazione banco farmaceutico onlus e recentemente portato all'attenzione dell'opinione pubblica;
   se prima la crisi colpiva le famiglie, costringendole a fare a meno di alimenti, vestiario e generi di consumo – si legge nel documento – oggi è in difficoltà anche la capacità di procurarsi le medicine;
   i dati emersi dal dossier sono il frutto del lavoro svolto da sette anni, dal 2006 al 2013, dalla Fondazione banco farmaceutico onlus, che sul territorio nazionale raccoglie – grazie alla Giornata nazionale di raccolta del farmaco e alle donazioni aziendali – e distribuisce agli enti convenzionati che fanno richiesta di medicinali;
   le categorie sociali che fanno richiesta di medicinali sono ampie: dalle famiglie numerose, agli anziani con pensione minima, fino agli immigrati, anche irregolari. I risultati sono stati poi incrociati con i dati della Caritas italiana provenienti da un campione di 336 centri di ascolto attivi in 45 diocesi. In termini percentuali, l'aumento delle richieste di farmaci è stato pari al 57,1 per cento in tre anni, anche se in termini assoluti non è tra le richieste prioritarie. Molto probabilmente, tale forma di richiesta è assorbita da altre voci del sistema di classificazione. In effetti, tre sole voci – richiesta generica di beni primari, richiesta generica di sussidi economici e assistenza sanitaria – coprono il 70,4 per cento delle richieste complessive;
   quanto precede rappresenta un dato di eccezionale gravità idoneo a colpire in modo profondo il diritto alla salute e l'accesso alle cure dei cittadini più deboli e bisognosi –:
   quale iniziative urgenti intenda assumere il Governo alla luce di quanto descritto in premessa al fine di garantire il pieno rispetto del principio costituzionalmente tutelato del diritto alla salute e dell'accesso alle cure da parte dei cittadini più deboli e bisognosi del nostro Paese.
(3-00294)
(10 settembre 2013)

   BINETTI, VARGIU, MONCHIERO, GIGLI e SCHIRÒ PLANETA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
    è drammaticamente attuale il dibattito in merito alla sicurezza negli ambulatori di psichiatria, scaturito successivamente alla follia omicida che ha portato all'uccisione della dottoressa Paola Labriola, psichiatra presso un centro di salute mentale di Bari, accoltellata a morte, durante una visita, da un paziente con problemi di tossicodipendenza;
   si tratta di una vicenda drammatica, emblematica di differenti forme di disattenzione legate, anche e soprattutto, alla gestione complessiva di qualità e attenzione verso questi pazienti psichiatrici;
   il dibattito generatosi è legato, soprattutto, alle circostanze che avrebbero potuto impedire l'omicidio, dal momento che quel malato non sarebbe stato nuovo a comportamenti aggressivi e a minacce e si ipotizza che il suo comportamento fosse prevedibile;
   purtroppo, a parere degli interroganti, non esiste una metodologia di prevenzione della follia, meno che mai delle linee guida e neanche un esercito di vigilantes può impedire che qualcosa di tragico avvenga. L'unico modo per prevenirla è tentare di curarla attraverso delle organizzazioni adeguate, degli operatori preparati ed in numero sufficiente, nonché delle risorse anche se minime;
   se le strutture fossero adeguatamente organizzate e attrezzate, sarebbe sicuramente ridotto il verificarsi di simili drammi, anche perché gli operatori sono in grado di gestire ogni genere di situazioni. Purtroppo accade che alcune regioni, per problemi di risparmio, abbiano accorpato la salute mentale con la dipendenza, pur trattandosi di problematiche molto diverse. Ci sono dipartimenti con organici decimati e questo accentua la fragilità delle strutture in cui si opera;
   oggi i servizi per le dipendenze e per la salute mentale vessano in situazioni drammatiche, con operatori esposti a continui rischi e malati sempre più numerosi rispetto alle forze reali degli operatori stessi e delle strutture in cui operano;
   per il rispetto che si deve a Paola Labriola e per i tanti operatori che come lei rischiano la vita in strutture non adeguatamente organizzate, occorrerebbe ripensare, a parere degli interroganti, ad una modifica della legge n. 180 del 1978, attraverso interventi adeguati per pazienti e operatori, tenendo conto delle necessità territoriali, presenti e future, dei malati di mente, potenziando i finanziamenti disponibili, cercando di creare nel sistema le condizioni per ridurre ragionevolmente le tante piccole crisi, in cui gli operatori sono troppo spesso lasciati soli –:
   quali urgenti iniziative, anche di carattere normativo, intenda attuare per potenziare la sicurezza negli ambulatori di psichiatria e se non ritenga opportuno porre particolare attenzione alla gestione complessiva degli ambulatori psichiatrici specificatamente in merito alla sicurezza di operatori e pazienti. (3-00295)
(10 settembre 2013)

   FORMISANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il commissario ad acta del piano di rientro del settore sanitario con decreto n. 49 del 27 settembre 2010 ha approvato il riassetto della rete ospedaliera territoriale, disponendo che i direttori generali ed commissari straordinari delle aziende sanitarie locali procedessero alla presentazione di un piano attuativo aziendale di riorganizzazione, di riconversione, di riallocazione e/o di dismissione dei propri presidi, ovvero di concentrazione di funzione specifiche come quelle relative alle attività di emergenza e di pronto soccorso;
   il suddetto piano individuava tra le strutture da riconvertire il presidio ospedaliero A. Maresca di Torre del Greco, per trasformarlo da emergenza ed urgenza di II livello a centro di lungodegenza e riabilitazione;
   l'applicazione di tale piano si palesava da subito incongrua con le reali necessità del territorio su cui insiste l'ospedale Maresca, provocando l'impossibilità di una totale applicazione delle richieste e delineando una situazione ibrida tra le funzioni che svolgeva la struttura inizialmente e quelle alle quali avrebbe dovuto assolvere;
   per garantire il servizio sanitario nella fascia territoriale della provincia sud di Napoli si procedeva all'individuazione di due plessi distinti su cui distribuire i servizi, procedendo nella fattispecie alla formazione degli ospedali riuniti del Golfo comprendenti il presidio ospedaliero A. Maresca e il presidio ospedaliero Sant'Anna&SS. Madonna della neve di Boscotrecase, nonché imponendo alle stesse unità operative di coprire entrambi i presidi e trasferendo in completo alcuni reparti;
   la riconversione stessa del presidio ospedaliero Maresca era subordinata all'attivazione dell'emergenza ed urgenza all'ospedale del Mare di Ponticelli, struttura polifunzionale che tuttora è in costruzione e interessata da provvedimenti legali e contrattuali che ne inficiano il completamento e l'apertura;
   nonostante le difficoltà già palesi, con un decreto del 31 dicembre 2012, la regione Campania ha determinato il blocco per un anno di qualsiasi tipo di assunzione, mobilità e trasferimento di personale all'interno delle aziende sanitarie locali, provocando in sintesi l'impossibilità totale di sopperire a mancanze, carenze, pensionamenti e stati di malattia del personale stesso;
   il piano di rientro non ha tenuto conto dell'utenza che usufruiva dei servizi dell'ospedale A. Maresca, che insiste su un territorio comprendente le città di Torre del Greco, Ercolano, Portici, San Giorgio a Cremano, San Sebastiano al Vesuvio per un totale di trecentocinquantamila (350.000) abitanti;
   i disagi e le criticità provocate hanno allertato la cittadinanza, al punto tale da promuovere la formazione di comitati civici spontanei di protesta sostenuti da operatori sanitari, forze politiche e sindacali, amministrazioni ed enti che da anni sottopongono ai vertici politici ed istituzionali che hanno compito decisionale la grave situazione in cui versa il territorio;
   la cittadinanza e le amministrazioni dei comuni interessati, gli organi di stampa e di informazione anche nazionali hanno più volte avuto rassicurazione da parte dei vertici di aziende sanitarie locali e regione sull'inapplicabilità del decreto n. 49 del 2010 per la parte riguardante l'ospedale Maresca, ma tuttora tale decreto è di riferimento per la redazione dei piani attuativi;
   le innumerevoli ed esasperate proteste cittadine, nonché le vibranti richieste delle amministrazioni che si sono succedute e le innumerevoli denunce ad organi competenti, hanno prodotto incontri pubblici, tavoli tecnici, audizioni, conferenze dei sindaci, conferenze di servizi, commissioni consiliari, consigli comunali monotematici, commissioni regionali e innumerevoli documentazioni ed atti formali ed informali, che vanno tutti verso la risoluzione di assicurare l'emergenza e urgenza al presidio ospedaliero Maresca e l'attivazione dei reparti utili a sostenere tale fine, senza che mai nessuno si assumesse le responsabilità di scelte che il proprio ruolo, nonché gli impegni presi gli consegnavano;
   dall'incontro ottenuto da comitati e amministrazione di Torre del Greco con il subcommissario Morlacco e il presidente Stefano Caldoro, del giorno 29 luglio 2011 si è ottenuta la stesura della delibera n. 830 contenente:
    a) 16 posti letto destinati al reparto di chirurgia;
    b) 22 posti letto destinati al reparto di medicina;
    c) 10 posti letto destinati al reparto di gastroenterologia;
    d) 16 posti letto destinati al reparto di servizio psichiatrico di diagnosi e cura;
    e) 70 posti letto per la riabilitazione e la lungodegenza in conformità allo stesso decreto n. 49 del 2010;
   ciò al fine di garantire definitivamente il servizio di emergenza e urgenza unitamente alla destinazione d'impiego indicata dal piano di rientro;
   tale delibera non è mai stata resa realmente attuativa a discapito di impegni ufficialmente sottoscritti;
   la dismissione dell'emergenza e urgenza viene subordinata nel decreto n. 49 del 2010 alla costruzione e abilitazione ai servizi dell'ospedale del Mare di Ponticelli, nonostante quest'ultimo non fosse stato ancora strutturalmente completato e la cui situazione versi tuttora in uno stato di criticità all'attenzione della prefettura;
   le criticità del servizio sanitario pubblico hanno provocato innumerevoli disagi alla popolazione, provocando casi gravissimi di malasanità tra cui decessi annunciati ed evitabili che continuano a verificarsi sempre più numerosi;
   le forze e il numero del personale medico e sanitario diviso su due plessi sono ormai esigue e insufficienti a garantire anche il minimo servizio di sanità pubblica al territorio, con conseguente rischio per la salute dei lavoratori e la vita dei cittadini;
   l'incapacità di assolvere adeguatamente da parte dell'ospedale Sant'Anna alle necessità dell'utenza costringe a continui spostamenti in ambulanza tra i due plessi, anche in situazioni di estrema urgenza, producendo quello che all'interrogante appare un ulteriore cattivo uso delle risorse economiche e ponendo il personale in condizioni di operatività al limite della legalità;
   buona parte dei dati acquisiti dalla regione per la valutazione degli sprechi forniscono, ad avviso dell'interrogante, una rappresentazione lontana dalla realtà e, tra l'altro, non risulta che siano stati effettuati idonei riscontri da parte delle autorità competenti;
   la normativa nazionale in materia di sanità prevede 3,6 posti letto per 1.000 abitanti e attualmente l'azienda sanitaria locale Na3sud è in grado di coprire un fabbisogno per 0,3 posti letto per 1.000 abitanti, consegnando una situazione drammatica e palesemente al di sotto delle necessità e dei fabbisogni del cittadino;
   la città di Napoli conta un alto numero di posti letto per 1.000 abitanti, dovuto anche alla volontà di tenere aperte tutte le sedi dei policlinici universitari, mentre la provincia versa in una situazione insostenibile relativamente alla semplice necessità di emergenza e urgenza;
   un piano di rientro economico, a giudizio dell'interrogante, non può essere applicato senza tener conto dei danni effettivi che provoca alla cittadinanza, dismettendo una struttura ospedaliera funzionante senza valutare il gran numero di abitanti (350.000) che vengono lasciati senza assistenza sanitaria pubblica, rafforzando strutture isolate e fatiscenti, con conseguenti perdite in termini monetari e di diritto alla salute pubblica;
   non può consentirsi una riorganizzazione tale della sanità pubblica da permettere che a fronte dei 3,6 posti letto per 1.000 abitanti che prevede la legge nazionale se ne garantiscano nel territorio interessato dall'azienda sanitaria locale solo 0,3;
   infine, non si può permettere l'applicazione, tra l'altro manchevole e a singhiozzi, di un piano di rientro economico, che, ad avviso dell'interrogante, quasi scientificamente mette in conto contestualmente al risparmio economico la perdita di vite umane;
   a giudizio dell'interrogante, il presidente della regione Campania, il sub-commissario ad acta nella regione Campania, il presidente della provincia, il direttore generale dell'azienda sanitaria locale Na3sud, che dovrebbero da anni essere a conoscenza di tali problematiche e che non hanno preso, secondo l'interrogante, adeguati provvedimenti, stanno producendo quello che all'interrogante appare un disastro in termini di servizio al cittadino, salute pubblica e vite umane, nonostante le innumerevoli e vibranti richieste di intervento da parte di amministrazioni comunali, forze politiche e sindacali, comitati cittadini e di quartiere, associazioni di commercio, culturali e di volontariato, nonché da parte di dipendenti delle strutture e degli operatori sanitari tutti; va aggiunto il rischio di un forte danno all'erario dello Stato, non essendo razionale la gestione della spesa perché fondata su dati di spreco ed economici, ad avviso dell'interrogante, errati e mai realmente comparati o riscontrati;
   tutto quanto premesso era già stato sottoposto all'attenzione del Ministro interrogato nell'interrogazione a risposta scritta 4/00151 presentata in data 3 aprile 2013 dagli onorevoli Scotto Arturo, Bossa Luisa, Formisano Aniello, Gallo Luigi, Piccolo Giorgio;
   in questo quadro, appare necessario riconsiderare le reali disponibilità complessive in termini di unità operative, strutture, materiali, beni mobili ed immobili ai fini di una corretta ridistribuzione sull'intero territorio regionale a beneficio della cittadinanza tutta, magari valutando le unità operative in forza agli ospedali militari attualmente in parte inoperosi, che potrebbero essere impiegate a sostegno di quella che è una vera è propria area di crisi sanitaria –:
   se non si ritenga doveroso, con riguardo al territorio dell'azienda sanitaria locale Na3sud, con urgenza, verificare, nell'ambito del monitoraggio sull'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali, il rispetto dei livelli essenziali di assistenza, in generale, per riportare in Campania il rapporto degenti/posti letto più vicino alla media nazionale e, in particolare, lo stato dei servizi di assistenza, emergenza ed urgenza forniti al cittadino, nonché la legittimità di tutti gli atti che il commissario ad acta ha già posto formalmente in essere e tendenti, secondo le motivazioni e le documentazioni, a rientrare economicamente sugli sprechi, senza a parere dell'interrogante aver valutato l'incidenza in termini di forti rischi per i territori. (3-00296)
(10 settembre 2013)

   LENZI, AMATO, ARGENTIN, BENI, BIONDELLI, PAOLA BRAGANTINI, BURTONE, CAPONE, CARNEVALI, CASATI, D'INCECCO, FOSSATI, GELLI, GRASSI, IORI, MIOTTO, MURER, PATRIARCA, PICCIONE, SBROLLINI, SCUVERA, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 3 settembre 2013 la Corte europea dei diritti dell'uomo ha stabilito che lo Stato italiano deve versare un adeguamento dell'indennità integrativa a tutti i cittadini infettati da hiv, epatite B o C dopo una trasfusione o somministrazione di emoderivati;
   sino a oggi i cittadini interessati ricevevano un indennizzo che, sulla base della legge n. 210 del 1992, si attestava a circa 542 euro al mese. Una somma che, però, non è mai stata rivalutata tenendo conto dell'indice Istat utilizzato per calcolare l'adeguamento al tasso di inflazione e, quindi, al costo della vita. In sostanza, per oltre vent'anni, si è rimasti legati ai parametri del 1992. La sentenza di Strasburgo afferma, invece, il principio che nessun cittadino può essere escluso dalla retroattività dell'adeguamento Istat;
   in precedenza la situazione non si era sbloccata neppure dopo che la Corte costituzionale italiana, nel 2011, aveva dichiarato l'illegittimità del decreto-legge n. 78 del 2010, che limitava la rivalutazione dell'indennità a quella base, escludendo quindi quella integrativa;
   un provvedimento, quest'ultimo, ora censurato anche dalla Corte di Strasburgo, secondo la quale lo Stato italiano ha solo voluto garantirsi un vantaggio economico nei processi intentati dai ricorrenti contro il mancato pagamento della rivalutazione dell'indennità, violando così i diritti dei ricorrenti e di tutti coloro che si trovano nella loro stessa situazione;
   in base a quanto stabilito dai giudici europei, lo Stato italiano avrà sei mesi di tempo, dal momento in cui la sentenza diventerà definitiva, «per stabilire una data inderogabile» entro cui si impegna a pagare rapidamente le somme dovute. La sentenza non sarà comunque definitiva prima di tre mesi, cioè il tempo a disposizione del Governo italiano per chiedere la revisione del caso davanti alla Grande Camera della stessa Corte;
   finalmente, grazie a questa sentenza, si riconosce a tutti i circa 60 mila cittadini italiani infettati, senza differenze, la possibilità di percepire gli arretrati dell'adeguamento Istat per l'indennizzo loro riconosciuto –:
   quali iniziative urgenti il Governo intenda assumere affinché dopo più di venti anni di sofferenti battaglie a questi cittadini venga riconosciuto finalmente un loro diritto, aggiungendo ai 542 euro già previsti la rivalutazione dell'indennità calcolata in circa 140 euro al mese e gli arretrati, circa 15 mila euro a persona, nonché quante siano ancora attualmente le cause pendenti tra lo Stato italiano ed i cittadini per il riconoscimento del danno causato da emoderivati, trasfusioni e vaccinazioni e quali iniziative urgenti intenda adottare per accelerare i tempi relativi alla definizione delle singole azioni legali.
(3-00297)
(10 settembre 2013)

   CALABRÒ. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   per quanto si evince da notizie di stampa, attraverso il sito www.121doc.it continua a essere effettuata la vendita on line di medicinali soggetti a prescrizione medica per la cura di patologie varie, quali l'obesità, calvizie, farmaci per la contraccezione e la salute sessuale;
   l'attività del predetto sito, pubblicizzata attraverso i media, costituisce un concreto pericolo per la salute, soprattutto delle giovani generazioni, oltre ad essere svolta, a quanto pare, in violazione delle disposizioni legislative vigenti, sia nazionali che comunitarie, in materia di vendita al pubblico dei medicinali sottoposti a prescrizione medica –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda porre in essere per assicurare, in relazione ai menzionati fenomeni, il rispetto della normativa nazionale e comunitaria a tutela della salute pubblica.
(3-00298)
(10 settembre 2013)

   GRIMOLDI, ALLASIA, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, PRATAVIERA, GIANLUCA PINI e RONDINI. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato di volere presentare la candidatura della città di Roma come sede per i giochi olimpici del 2024;
   l'ambizione della città ad ospitare i giochi risale già al 1996, quando la candidatura proposta dall'allora sindaco Rutelli per l'anno 2004 fu scartata dal Cio a favore di Atene; a distanza di quasi 10 anni, molti imputano proprio allo sforzo economico per l'organizzazione delle olimpiadi, eccessivo per le finanze elleniche, l'inizio delle difficoltà per il bilancio greco;
   la nuova candidatura di Roma come sede per i giochi olimpici del 2020 è stata bloccata dal Governo Monti nel febbraio 2012, quando il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore non ha ritenuto di firmare la necessaria lettera di impegno economico da parte del Governo, anche per non gravare sui contribuenti mentre si approntavano misure restrittive in termini di tasse, di lavoro e di pensioni;
   la proposta del Presidente del Consiglio dei ministri Letta, appena resa nota, ha subito trovato entusiastico accoglimento da tutti gli amministratori coinvolti, il sindaco ed il presidente della regione, comprese le opposizioni, come l'ex sindaco Alemanno;
   in tema di eventi sportivi internazionali, è ancora forte il brutto ricordo dell'organizzazione nella capitale dei mondiali di nuoto 2009, dove ad un ingente impegno finanziario non è corrisposta alcuna eredità di strutture sportive, né infrastrutture, e la competizione si è svolta impianti improvvisati dopo che i lavori per le piscine non sono stati conclusi o hanno realizzato strutture inservibili perché fuori misura regolamentare;
   la candidatura della città di Roma appare alquanto velleitaria, considerando la situazione finanziaria del comune. A seguito della nomina (articolo 78 del decreto-legge n. 112 del 2008) di un commissario straordinario del Governo per la ricognizione della situazione economico-finanziaria del comune di Roma e delle società da esso partecipate, nel 2010 era stato accertato un debito fuori bilancio pari a 22,4 miliardi di euro. Al 31 dicembre del 2012 il debito lordo del comune di Roma risulta di 16,8 miliardi di euro, di cui 4 miliardi e 432 milioni di oneri non finanziari e 12 miliardi e 370 milioni di debiti finanziari;
   con il decreto-legge n. 78 del 2010 (articolo 14) è stato definito un contributo a carico del bilancio dello Stato a decorrere dall'anno 2011 di 500 milioni di euro all'anno, fino al completo ripianamento del debito e dei relativi oneri finanziari;
   di questi, 300 milioni di euro sono a carico dell'erario, 200 milioni di euro sono a carico di Roma capitale, che, però, deve recuperarli con l'aumento delle addizionali comunali irpef e dell'addizionale sui diritti d'imbarco per i passeggeri degli aeroporti di Fiumicino e Ciampino –:
   a quanto ammonti ad oggi il debito del comune di Roma, e quanta parte di esso sia stato ad oggi pagato e a quanto ammonti il residuo, e se entro l'anno 2024 il debito del comune di Roma potrà essere ripianato e quindi la città potrà disporre di risorse proprie per onorare la proposta di candidatura ad ospitare i giochi olimpici, attesi anche i meri vincoli e gravami derivanti dal fiscal compact, che necessariamente indurranno il Governo ad imporre ulteriori gravami sui contribuenti italiani. (3-00299)
(10 settembre 2013)

   GIORGIA MELONI e RAMPELLI. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   la Provincia autonoma di Bolzano ha da tempo in animo la cancellazione di parte della toponomastica italiana;
   tale cancellazione è dettata da ragioni esclusivamente politiche ed ora anche elettorali, vista l'imminenza delle consultazioni provinciali e regionali;
   in passato, il partito di maggioranza assoluta nella regione, la Südtiroler volkspartei (Svp), si era posta l'obiettivo di mantenere soltanto 500 toponimi degli attuali ottomila di lingua italiana, a fronte di circa centoventimila in lingua tedesca;
   sulla base di una proposta che non ha ottenuto alcun voto favorevole dai consiglieri del gruppo linguistico italiano, la Südtiroler volkspartei, forte della maggioranza assoluta in consiglio provinciale, è riuscita ad approvare una legge che furbescamente avrebbe portato alla cancellazione di migliaia di toponimi di lingua italiana;
   tale legge è stata impugnata dal precedente Governo innanzi alla Corte costituzionale, la quale a parere degli interroganti non potrà che dichiararla incostituzionale, posto che lo statuto di autonomia è legge costituzionale e prevede espressamente l'obbligo del bilinguismo nella toponomastica;
   la fragilità della legge provinciale approvata è talmente evidente che i rappresentanti della Südtiroler volkspartei si sono affrettati a chiedere al candidato Premier «in pectore», onorevole Bersani, di ritirare il ricorso in caso di vittoria elettorale, alla quale la Südtiroler volkspartei avrebbe contribuito portando in dote il proprio pacchetto elettorale;
   dalle dichiarazioni del Ministro interrogato e del Presidente del Consiglio dei ministri in occasione di altrettanti incontri con gli esponenti della Südtiroler volkspartei, avvenuti a Roma e a Bolzano, si evince che è stata fatta una trattativa per la cancellazione di una parte della toponomastica di lingua italiana, la cui portata non è nota e comunque non avrebbe una base giuridica, e che tale trattativa avrebbe totalmente escluso dai colloqui i rappresentanti del gruppo linguistico italiano;
   qualora vi fosse l'intenzione di intervenire nella materia del bilinguismo, l'ipotesi di procedere con una norma di attuazione allo statuto (che non potrebbe comunque modificare lo statuto stesso) costituirebbe una forzatura delle stesse regole democratiche e di rispetto delle minoranze, tenuto conto che nella commissione paritetica non siedono rappresentanti dell'opposizione e che fornisce il parere al Governo che vara la norma senza alcun passaggio in Parlamento;
   la toponomastica di lingua italiana è patrimonio culturale dell'intera comunità nazionale e viene utilizzata da circa un secolo e come tale dovrebbe essere preservata e valorizzata e non mortificata o cancellata –:
   quale tipo di accordo, e su quali basi, sia stato preso con i rappresentanti di lingua tedesca della Provincia autonoma di Bolzano e se si stia prendendo in considerazione l'ipotesi di una modifica dello statuto di autonomia tesa a cancellare l'obbligo del bilinguismo. (3-00300)
(10 settembre 2013)