Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Giustizia
Titolo: Modifica dell'articolo 656 del codice penale e altre disposizioni in materia di pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose
Riferimenti: AC N.4552/XVII
Serie: Progetti di legge   Numero: 650
Data: 06/12/2017


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Modifica dell'articolo 656 del codice penale e altre disposizioni in materia di pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose

6 dicembre 2017
Schede di lettura


Indice

Quadro normativo|Contenuto della proposta di legge|Relazioni allegate o richieste|Necessità dell'intervento con legge|Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite|Rispetto degli altri princìpi costituzionali|


La proposta di legge all'esame della Commissione persegue l'espresso obiettivo di introdurre misure di «contrasto della manipolazione e della distorsione dell'informazione», con particolare riferimento al fenomeno delle c.d. fake news (notizie false).

La diffusione delle notizie risulta enormemente potenziata dal ricorso - quali mezzi di comunicazione di massa - a Internet e ai social media ivi presenti. Dalla rapidità di circolazione e dalla enorme quantità di informazioni in rete deriva l'impossibilità di controllarne in tempi rapidi provenienza e genuinità. La possibilità di condivisione delle informazioni tra utenti consente di riprodurre e divulgare all'infinito tali informazioni, anche nel caso in cui siano palesemente false. Tali notizie risultano talora veicolate sul web a fini di lucro da siti specializzati proprio in fake news, che ottengono profitti dallo sfruttamento economico dei banner pubblicitari presenti sul sito che pubblica scientemente notizie false.

 Si ricorda che, all'inizio della legislatura, la Presidenza della Camera dei deputati ha promosso la costituzione di una Commissione di studio per l'elaborazione di principi in tema di diritti e doveri relativi a Internet, composta da deputati attivi sui temi dell'innovazione tecnologica e dei diritti fondamentali, studiosi ed esperti, operatori del settore e rappresentanti di associazioni. Nell'ambito dei lavori della Commissione uno specifico focus è stato dedicato nel corso del 2017 al tema delle fake news, con lo svolgimento di una specifica attività conoscitiva.

La Commissione, nella seduta del 28 luglio 2015, ha approvato un testo della Carta dei diritti in Internet che si compone di un preambolo e di 14 articoli. Alcuni di tali articoli risultano più direttamente riconducibli al tema delle fake news;  - si tratta degli articoli 1 (Riconoscimento e garanzia dei diritti), 5 (Tutela dei dati personali), 6 (Diritto all'autodeterminazione informativa), 10 (Protezione dell'anonimato), 13 (Sicurezza in rete) e 14 (Governo della rete).

Il 3 novembre 2015, l’'Assemblea della Camera dei deputati ha poi approvato una mozione con la quale si impegna il Governo ad attivare ogni utile iniziativa per la promozione e l’'adozione a livello nazionale, europeo e internazionale dei principi contenuti nella Dichiarazione.

Quadro normativo

La diffusione di notizie false può comportare anche conseguenze penali, derivanti dalla loro pubblicazione e diffusione a un numero indeterminato di persone. In particolare, la pubblicazione in rete di una notizia falsa può essere certamente idonea a determinare la lesione dell'onore di una persona, così come la diffusione di notizie false potrebbe procurare allarme sociale.

Nel primo caso può essere integrata la fattispecie delittuosa della diffamazione a mezzo stampa; nella seconda – che, per caratteristiche della fattispecie, si avvicina più alle fake news - potrebbero L'articolo 656 del codice penalericorrere gli estremi del reato contravvenzionale di cui all'art. 656 c.p. Tale disposizione - se il fatto non costituisce un più grave reato - sanziona con l'arresto fino a 3 mesi o con l'ammenda fino a 309 euro chiunque pubblica o diffonde notizie false, esagerate o tendenziose, per le quali possa essere turbato l'ordine pubblico.

 La condotta illecita consiste quindi nella diffusione, anche mediante pubblicazione, di una notizia così qualificata; quest'ultima è penalmente rilevante quando non del tutto svincolata da oggettivi punti di riferimento che consentano la identificazione degli elementi essenziali di un fatto e ne rendano possibile l'identificazione, e si differenzia quindi  dalla "voce", caratterizzata da vaghezza e incontrollabilità (Cass., Sez. IV, sentenza 11 gennaio 1977).

La Corte costituzionale (sentenza n. 19 del 1962) ha affermato che l'espressione «notizie false, esagerate e tendenziose» va letta come "una forma di endiadi, con la quale il legislatore si è proposto di abbracciare ogni specie di notizie che, in qualche modo, rappresentino la realtà in modo alterato"; in particolare, ha precisato che le "notizie tendenziose" sono quelle che, pur riferendo cose vere, le presentino tuttavia in modo che chi le apprende possa avere una rappresentazione alterata della realtà (perché sono riferiti solo una parte degli accadimenti, o perché l'esposizione è tale da determinare confusione fra la notizia e il commento).

In relazione all'elemento soggettivo, la contravvenzione è punibile sia a titolo di dolo che di colpa: all'attribuzione soggettiva del reato, pertanto, non è necessario che l'agente sia stato consapevole della falsità della notizia, ove l'abbia ignorata per colpa.

La pubblicazione appare come una specie della più ampia condotta di diffusione; l'art. 656, dunque, pare sanzionare la trasmissione di notizie false, esagerate o tendenziose a un numero indeterminato di persone in qualunque forma.

La tutela dell'ordine pubblicoCome si evince chiaramente sia dalla formulazione dell'art. 656 che dalla sua collocazione sistematica nel codice penale, il bene tutelato non è la verità cronistica della notizia bensì l'ordine pubblico. Quello punito dall'art. 656 è un reato di pericolo, sicché nulla rileva, ai fini della sua esclusione, il fatto che non si sia effettivamente verificato alcun turbamento dell'ordine pubblico, essendo sufficiente che vi fosse un'astratta possibilità che un tale turbamento in effetti si verificasse (Cassazione, Sez. I, sentenza n. 9475 del 1996).

Il più serio limite alla perseguibilità penale dell'art. 656 appare proprio l'accertamento della effettiva idoneità della falsa notizia a creare tale turbativa. Non è sanzionata, infatti, la divulgazione di notizie false inidonee a esporre l'ordine pubblico a pericolo.

Dalla Relazione ministeriale che ha accompagnato il progetto del Codice Rocco del 1930, si desume come al concetto di ordine pubblico venisse all'epoca accostato quello di "buon assetto e regolare andamento del vivere civile, a cui corrispondono nella collettività, l'opinione e il senso della tranquillità e sicurezza".

L'art. 656 del codice penale tutela l'ordine pubblico in senso lato e generico; in virtù della clausola di sussidiarietà espressamente prevista ("se il fatto non costituisce più grave reato"), la diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose le quali espongano a pericolo o turbino l'ordine pubblico in qualche suo speciale aspetto, particolarmente tutelato dalla legge penale, integra il solo reato specifico, sempre che esso sia più grave della contravvenzione in esame; quest'ultima, ad esempio, risulta assorbita dai reati previsti dagli artt. 265 (disfattismo politico), 267 (disfattismo economico), 269 (attività antinazionale del cittadino all'estero), 501 (rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio), 661 (abuso della credulità popolare).

La nozione di ordine pubblico e la sua tutela in rapporto al diritto alla libera manifestazione del pensieroNella giurisprudenza della Corte costituzionale, la nozione di ordine pubblico ha assunto diverse accezioni in relazione ai diversi valori tutelati dall'ordinamento.

Particolarmente controverso è il rapporto fra l'incriminazione ai sensi dell'art. 656 per turbamento dell'ordine pubblico e la tutela costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) alla quale deve ricondursi l'attività di informazione. D'altro canto, all'articolo 21 Cost. non è previsto alcun limite oltre al buon costume (ultimo comma), nonostante molte delle condotte costitutive della manifestazione del pensiero siano idonee a ledere l'ordine pubblico. In particolare, in relazione alla libertà tutelata dall'art. 21 Cost., la Corte costituzionale ha avuto modo di affermare (C. Cost, sent. n. 19/1962) la natura implicita e (in qualche modo) generalizzata del limite dell'ordine pubblico, inteso quale "bene collettivo, che non è dammeno della libertà di manifestazione del pensiero". L'ordine pubblico, da intendersi come "ordine legale su cui poggia la convivenza sociale " costituisce "un bene inerente al vigente sistema costituzionale" ed è indubbio che "il mantenimento di esso - nel senso di preservazione delle strutture giuridiche della convivenza sociale, instaurate mediante le leggi, da ogni attentato a modificarle o a renderle inoperanti mediante l'uso o la minaccia illegale della forza - sia finalità immanente del sistema costituzionale".

Sempre in relazione al rapporto con l'art. 21 Cost., la stessa Corte costituzionale ha affermato che "la garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo diventerebbe illusoria per tutti, se ciascuno potesse esercitarli fuori dell'ambito delle leggi, della civile regolamentazione, del ragionevole costume. Anche diritti primari e fondamentali […] debbono venir contemperati con le esigenze di una tollerabile convivenza". In questo senso, l'ordine pubblico deve essere inteso quale "ordine pubblico costituzionale […] che deve essere assicurato appunto per consentire a tutti il godimento effettivo dei diritti inviolabili dell'uomo" (C. Cost, sent. n. 168/1971)

Stante la pervasività della rete, ben può essere che la pubblicazione o diffusione delle notizie false, esagerate o tendenziose che possano turbare l'ordine pubblico avvenga tramite la rete Internet. La responsabilità dei providers: limitiTale aspetto pone la questione, da tempo dibattuta sia in dottrina che in giurisprudenza, dei limiti della responsabilità dell'Internet provider per i contenuti illeciti da esso veicolati sul web.

La disciplina di riferimento in materia è contenuta nel decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, di attuazione della direttiva 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico.

La responsabilità del provider  - più che in relazione alla tipologia dei diversi operatori - risulta graduata sulla base dell'attività da questi concretamente esercitata.

Premesso che il provider risponde penalmente e civilmente - come chiunque - dei contenuti di cui sia esso stesso fornitore (content provider: si pensi soprattutto ai giornali online, ai motori di ricerca, alle Enciclopedie online), il d.lgs. 70/2003 stabilisce che il provider non è responsabile:

  • per il semplice trasporto delle informazioni, cioè per la semplice fornitura dell'accesso a Internet o per la trasmissione in rete di informazioni caricate da altri; si tratta dell'access provider, l'operatore telefonico che fornisce la connessione alla rete o di chi trasmette solo le informazioni senza intervenire in alcun modo (art. 14);
  • per l'attività di memorizzazione temporanea di informazioni (cioè la memorizzazione, su una rete di comunicazione, di informazioni fornite da un destinatario di un servizio), di memorizzazione automatica (non richiede intervento di un operatore), intermedia (nella trasmissione, il provider agisce come mero intermediario) e temporanea di tali informazioni, effettuata al solo scopo di rendere più efficace il successivo inoltro ad altri destinatari a loro richiesta. L'esonero della responsabilità del provider (in tal caso, si parla di caching provider) opera a condizione che questi:

    a) non modifichi le informazioni;

    b) si conformi alle condizioni di accesso alle informazioni;

    c) si conformi alle norme di aggiornamento delle informazioni, indicate in un modo ampiamente riconosciuto e utilizzato dalle imprese del settore;

    d) non interferisca con l'uso lecito di tecnologia ampiamente riconosciuta e utilizzata nel settore per ottenere dati sull'impiego delle informazioni;

    e) agisca prontamente per rimuovere le informazioni che ha memorizzato, o per disabilitare l'accesso, non appena venga effettivamente a conoscenza del fatto che le informazioni sono state rimosse dal luogo dove si trovavano inizialmente sulla rete o che l'accesso alle informazioni è stato disabilitato oppure che un organo giurisdizionale o un'autorità amministrativa ne ha disposto la rimozione o la disabilitazione (art. 15).

  • per l'attività di memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio (hosting) cioè l'attività più diffusa ed eterogenea (hosting provider) consistente per lo più nell'offrire ospitalità a un sito internet - gestito da altri in piena autonomia - sui propri server; tale attività può comprendere la gestione tecnica dei siti degli utenti, con conservazione dei data-log, la tenuta degli archivi del cliente nei propri server, la fornitura di servizi di varia natura e durata, lo sviluppo di software ecc. Il provider non è responsabile a condizione che:

    a) non sia effettivamente a conoscenza del fatto che l'attività o l'informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l'illiceità dell'attività o dell'informazione;

    b) non appena a conoscenza di tali fatti, su comunicazione delle autorità competenti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l'accesso (art. 16).


Assenza di un obbligo generale di sorveglianzaIn tutte e tre le tipologie di attività indicate, l'art. 17 del D.Lgs 70/2003  ha escluso espressamente:

  1. sia la sussistenza di un obbligo generale di sorveglianza del provider sulle informazioni veicolate o memorizzate;
  2. sia un obbligo di ricerca attiva di fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite.

Non risultano suffragate dalla giurisprudenza sia le interpretazioni che ravvisano una responsabilità oggettiva a carico del provider, sia il tentativo di applicare modelli di responsabilità soggettiva aggravata, come quelli dell'editore o del direttore responsabile.

La sentenza Google-Vivi DownVa ricordata sul punto la nota sentenza Google-Vivi Down del 2013 (Corte di App. di Milano, Sez. I, sent. n. 8611/2013; ud. 21/12/2012), confermata da Cassazione, sent. n. 5107/2014.
Il processo nasceva dalla pubblicazione di un filmato postato sulla piattaforma Google Video, che ritrae un ragazzo disabile molestato e insultato da alcuni compagni di scuola, i quali, peraltro, rivolgono pesanti offese anche all'indirizzo dell'associazione Vivi Down1. Per tali fatti, alcuni manager di Google erano stati imputati per concorso omissivo nel delitto di diffamazione nei confronti del minore e dell'associazione (artt. 40, comma 2, e 595 c.p.), nonché per avere effettuato un illecito trattamento dei dati personali relativi alle condizioni di salute del disabile ripreso (art. 167 D.Lgs. 196/2003, c.d. Codice della privacy).
La sentenza del 2013 ha ribaltando il giudizio di condanna in primo grado dei manager di Google Video in virtù delle limitazioni di responsabilità previste dagli artt. 16 e 17 del D.Lgs. 70/2003.
La Corte milanese ha, in particolare, opinato che, ai fini dell'imputabilità del provider, a titolo di concorso omissivo, dei reati commessi in rete dagli utenti sia necessario imputargli:
  • sia un obbligo giuridico di impedire l'evento (in quanto in posizione di garanzia);
  • sia la concreta possibilità di effettuare un controllo preventivo della rete.
In relazione alla posizione di garanzia, la Corte afferma che allo stato non sussiste una norma che la individui in capo ai provider: non è possibile applicare in modo analogico a tali figure gli artt. 57 e 57 bis c.p. (responsabilità per i reati commessi a mezzo stampa), rispettivamente relativi al direttore/vicedirettore di stampa periodica e all'editore/stampatore di stampa non periodica, per il divieto di analogia in malam partem. La Corte rileva inoltre che la posizione di garanzia non potrebbe neanche trovare fondamento nella posizione di titolare del trattamento dei dati personali ex D.lgs 196/2003. Non può neanche essere accolta la tesi della posizione di garanzia per il carattere pericoloso dell'attività compiuta dal provider, in quanto il controllo preventivo della rete sarebbe del tutto inesigibile e "di conseguenza non perseguibile penalmente ai sensi dell'art. 40, comma 2, c.p.". L'impossibilità di controllo è fatta derivare non solo dalla quantità del materiale oggetto di upload da parte di terzi, ma anche dal sistema di "filtraggio", incapace di una verifica "contenutistica e semantica" dei dati divulgati: "la valutazione dei fini di un'immagine all'interno di un video in grado di qualificare un dato come sensibile o meno, implica un giudizio semantico e variabile che certamente non può essere delegato ad un procedimento informatico". Infine, secondo la Corte mancherebbe in capo all'imputato anche il "dolo".

Obblighi del providerIl provider è, comunque, tenuto alla collaborazione con le autorità competenti. In particolare, deve:

a) informare senza indugio l'autorità giudiziaria o quella amministrativa avente funzioni di vigilanza, qualora sia a conoscenza di presunte attività o informazioni illecite riguardanti un suo destinatario del servizio Internet;

b) fornire senza indugio, a richiesta delle autorità competenti, le informazioni in suo possesso che consentano l'identificazione del destinatario dei suoi servizi con cui ha accordi di memorizzazione dei dati, al fine di individuare e prevenire attività illecite.

Quando è responsabile L'articolo 17, comma 3,  prevede espressamente la responsabilità civile del provider "nel caso in cui, richiesto dall'autorità giudiziaria o amministrativa avente funzioni di vigilanza, non ha agito prontamente per impedire l'accesso a detto contenuto  ovvero se, avendo avuto conoscenza del carattere illecito o pregiudizievole per un terzo del contenuto di un servizio al quale assicura l'accesso, non ha provveduto ad informarne l'autorità competente".

Tutela inibitoriaIl D.Lgs 70/2003 prevede che l'autorità giudiziaria o quella amministrativa avente funzioni di vigilanza possano esigere, anche in via d'urgenza, che il provider impedisca o ponga fine alle violazioni commesse da terzi (artt. 14, 15 e 16). Si prevede, quindi, un doppio binario, giudiziale e amministrativo volto alla tutela inibitoria, che si concreta con l'oscuramento di siti, blog e pagine web.

Sul versante giudiziario, la magistratura può emettere (ex art. 321 c.p.p.) un decreto di sequestro preventivo dei siti web ospitati su server italiani che contengano contenuti illeciti, imponendo al provider interessato l'adozione dei necessari accorgimenti tecnici che impediscano l'accesso al sito o alla pagina web. Tale possibilità è pacificamente ammessa dalla giurisprudenza.
Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 29 gennaio-17 luglio 2015, n. 31022 ha affermato che «ove ricorrano i presupposti del fumus commissi delicti e del p ericulum in mora, è ammissibile, nel rispetto del principio di proporzionalità, il sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p. di un sito web o di una singola pagina telematica, anche imponendo al fornitore dei relativi servizi di attivarsi per rendere inaccessibile il sito o la specifica risorsa telematica incriminata». La stessa sentenza n. 31022/2015 delle Sezioni Unite ha, tuttavia, negato l'ammissibilità del sequestro quando si tratti di una testata giornalistica online accusata di diffamazione, sempreché si tratti di una pubblicazione obiettivamente assimilabile alla stampa.
Analoga interpretazione restrittiva ha riguardato il sequestro preventivo di un blog ritenuto illegittimo, pur in presenza di commenti di terzi astrattamente diffamatori (Cassazione, sent. n. 11895/2014). La Corte ha sottolineato la funzione sociale dei mezzi di informazione e, nel caso concreto, ha ritenuto insussistente una potenzialità lesiva (periculum in mora) del sito in sé". Per la scelta della misura cautelare debbono perciò essere individuate le effettive necessità di imporre di un vincolo così gravoso, in quanto l'interesse costituzionalmente protetto che viene ad essere coinvolto in un caso del genere – la libertà di parola – si caratterizza per un'area di tolleranza costituzionale molto ampia. Come accennato, la tutela inibitoria può provenire, oltre che dal giudice, anche dall' autorità amministrativa di vigilanza nel settore interessato (oltre al Garante della privacy, ad es: l'Autorità garante delle comunicazioni per le violazioni del diritto d'autore, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato per le illecite vendite in rete, il Ministero dell'economia per il settore delle scommesse online). Il rispetto del citato doppio binario trova riscontro nell'impossibilità di rivolgersi all'autorità amministrativa ove sia stata adita l'autorità giudiziaria; nel caso sia già iniziato il procedimento inibitorio in sede amministrativa, questo dovrà interrompersi laddove venga adita l'autorità giudiziaria. I provvedimenti dell'autorità amministrativa sono ricorribili per motivi di legittimità dinanzi al TAR.

L'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM), con un comunicato del 9 febbraio 2017, in occasione del Workshop organizzato alla Camera dei deputati per il Safer Internet Day, ha reso noto che si sta interessando al fenomeno delle fake news, con un proprio Osservatorio, coinvolgendo Facebook, Twitter, Google e tutti gli operatori di comunicazione e ha annunciato l'avvio di un tavolo tecnico per osservare gli effetti delle misure di autoregolamentazione. In occasione dello stesso Workshop, il Presidente dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha annunciato che, contro il fenomeno delle bufale in rete, l'Antitrust sta lavorando sulla estensione del diritto di rettifica dalla stampa al web.


Contenuto della proposta di legge

La proposta di legge C. 4552 si compone di 2 articoli.

L'Il delitto di pubblicazione o diffusione di notizie false (nuovo art. 656 c.p.)articolo 1 sostituisce l'art. 656 del codice penale, trasformando l'attuale contravvenzione (punita con arresto o ammenda) in un delitto (punito con la reclusione).

Si rileva l'esigenza di spostare la nuova fattispecie penale dal libro III (Delle contravvenzioni) al libro II (Dei delitti).

Inoltre, rispetto alla normativa vigente, la proposta di legge:

  • aggiunge, tra le modalità della condotta di diffusione o pubblicazione delle notizie, l'utilizzo della rete telefonica, di strumenti telematici o informatici; si tratta di una delle possibili modalità di diffusione ("anche mediante l'utilizzo...") e non della sola modalità che caratterizza la condotta illecita;
  • configura il reato non solo nel caso in cui le notizie possano turbare l'ordine pubblico, ma anche quando siano "atte" a turbare l'ordine pubblico ovvero ad arrecare un danno ingiusto alle persone; l'illecito viene dunque commesso sia nel caso di notizie atte a turbare l'ordine pubblico sia nel caso di notizie atte ad arrecare danno ingiusto alle persone; è integrata conseguentemente la rubrica dell'articolo 656 c.p.;
  • punisce la condotta con la pena della reclusione da 3 mesi a 5 anni (come si è visto, oggi è prevista la pena dell'arresto fino a 3 mesi o l'ammenda fino a euro 309). L'entità della pena consente in astratto l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere (ex art. 280 c.p.p.);
  • prevede una fattispecie aggravata - pena aumentata fino a un terzo, ex art. 64 c.p. - quando il fatto è commesso per fini di lucro, quando le notizie riguardano atti di violenza a sfondo razziale, sessuale, o «comunque» di natura discriminatoria.

L'La procedura per rimuovere le notizie falsearticolo 2 disciplina la procedura per ottenere la rimozione delle notizie false, esagerate o tendenziose, prevedendo che:

  • il Garante per la privacy, su segnalazione da parte di terzi o di propria iniziativa, individua una condotta inquadrabile come delitto ai sensi dell'art. 656 c.p. Si ricorda che, ai sensi dell'art. 331 c.p.p., i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che, nell'esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di un reato perseguibile d'ufficio, devono farne denuncia, senza ritardo, al PM o alla polizia giudiziaria, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito;
  • il Garante per la privacy invia al gestore del sito internet, del social media, del servizio di messaggistica istantanea o di qualsiasi rete di comunicazione e trasmissione telematica (che siano stati utilizzati per la pubblicazione o diffusione della notizia falsa) una richiesta di rimozione delle notizie false, esagerate o tendenziose (comma 1). Si ricorda che una definizione del "gestore del sito internet" è stata fornita dalla recente legge 29 maggio 2017, n. 71 (Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo) che lo qualifica - ai fini di tale legge - come «il prestatore di servizi della società dell'informazione, diverso da quelli di cui agli articoli 14, 15 e 16 del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70 [v. supra, "Quadro normativo"], che, sulla rete internet, cura la gestione dei contenuti di un sito in cui si possono riscontrare le condotte» di cyberbullismo.
  • se il soggetto che riceve la richiesta del Garante non provvede entro 24 ore, alla rimozione provvede direttamente il Garante ai sensi degli articoli 143 e 144 del Codice della privacy (D.Lgs. n. 196 del 2003).
Le disposizioni richiamate consentono al Garante, su segnalazione di irregolarità (art. 144), di invitare il titolare di un trattamento dati a effettuare un blocco spontaneo del trattamento stesso, prescrivendogli le misure per rendere poi il trattamento conforme alla legge; il Garante può inoltre disporre il blocco o vietare, in tutto o in parte, il trattamento che risulta illecito o non corretto anche per effetto della mancata adozione delle prescrizioni indicate, o che si pone in contrasto con rilevanti interessi della collettività (art. 143).
  • il Garante informa della rimozione l'autorità giudiziaria (comma 2).

Un procedimento analogo a quello descritto dall'art. 2 è previsto dalla citata legge n. 71 del 2017, che stabilisce la possibilità del minorenne che abbia compiuto 14 anni e sia vittima di bullismo informatico (nonché di ciascun genitore o di chi esercita la responsabilità sul minore) di rivolgere  istanza al gestore del sito Internet o del social media o, comunque, al titolare del trattamento per ottenere  provvedimenti inibitori e prescrittivi  a sua tutela (oscuramento, rimozione, blocco di qualsiasi altro dato personale del minore diffuso su Internet, con conservazione dei dati originali). Il titolare del trattamento o il gestore del sito Internet o del  social media deve comunicare, entro 24 ore dall'istanza, di avere assunto l'incarico e deve  provvedere sulla richiesta  nelle successive  48 ore. In caso contrario, l'interessato può rivolgere analoga richiesta, mediante segnalazione o reclamo, al Garante per la protezione dei dati personali che deve provvedere, in base alla normativa vigente, entro le successive 48 ore (il riferimento è ai citati poteri del Garante di cui all'art. 143  del D.Lgs N. 196/2003, v . supra).

In proposito si ricorda che il Codice per la protezione dei dati personali prevede all'art. 154, tra i compiti del Garante, anche quelli di: "esaminare i reclami e le segnalazioni e provvedere sui ricorsi presentati dagli interessati o dalle associazioni che li rappresentano" e di "vietare anche d'ufficio, in tutto o in parte, il trattamento illecito o non corretto dei dati o disporne il blocco ai sensi dell'articolo 143, e di adottare gli altri provvedimenti previsti dalla disciplina applicabile al trattamento dei dati personali".

Si segnala che, nel 2016, il Garante per la protezione dei dati personali si è per la prima volta, pronunciato nei confronti di Facebook [doc. web n. 4833448], imponendo di bloccare i falsi profili (i cosiddetti fake) e di assicurare più trasparenza e controllo agli utenti, affermando innanzitutto la propria competenza a intervenire a tutela degli utenti italiani .
A livello europeo si segnala   la proposta di regolamento del 10 gennaio 2017 sul " Rispetto della vita privata e tutela dei dati personali nelle comunicazioni elettroniche" [COM(2017)10], che aggiornerà l'attuale direttiva eprivacy 2002/58/CE e che deve integrarsi con il regolamento generale sulla protezione dei dati personali. Tale proposta  prevede che la responsabilità del monitoraggio sull'applicazione della nuova disciplina sia attribuita alle stesse autorità di controllo responsabili del regolamento generale sulla protezione dei dati personali, anche se è previsto che tali Autorità di controllo collaborino, qualora opportuno, con le autorità nazionali di regolamentazione previste dal futuro Codice europeo delle comunicazioni elettroniche, quindi con le autorità in materia di comunicazioni: da un lato quindi la Commissione europea ha optato per un'attribuzione inequivoca del controllo sull'applicazione del regolamento  agli organismi competenti per la disciplina generale sulla protezione dei dati personali, in vista della costituzione di un complesso organico e coerente di tutte le norme UE in materia di privacy;dall'altro, tale principio è temperato dalla previsione che i Garanti per la protezione dei dati, ove opportuno, collaborino con le autorità nazionali di regolamentazione previste dal futuro Codice europeo delle comunicazioni elettroniche.
La proposta amplia poi i poteri del Comitato europeo per la protezione dei dati che, al momento della data di applicazione del regolamento generale sulla protezione dei dati, subentrerà al "Gruppo ex art. 29", (Art. 29 Working Party), cioè il Gruppo dei Garanti UE che ha approvato il 13 dicembre 2016 tre documenti con indicazioni e raccomandazioni sulle importanti novità del Regolamento 2016/679 sulla protezione delle persene fisiche con riguardo ai dati personali e la libera circolazione di tali dati, in vista della sua applicazione da parte degli Stati membri a partire dal 25 maggio 2018.

Si chiarisca - con riguardo alla fattispecie delittuosa in questione - quale sia il rapporto tra l'attività e i poteri del Garante in ordine alla rimozione diretta di un contenuto sui social media e i poteri propri dell'autorità giudiziaria nei confronti degli operatori delle comunicazioni.

Si osserva che la disposizione in commento non precisa quali siano le modalità attraverso le quali il Garante provvede direttamente alla rimozione delle notizie false.

Si osserva infine che l'art. 2 pare circoscritto alla ipotesi in cui le fake news circolino sui social network e quando paiano atte ad arrecare un danno ingiusto alle persone, mentre risulta privo di corrispondente tutela il profilo delle notizie atte a turbare l'ordine pubblico che non vengono diffuse sulla rete.


Relazioni allegate o richieste

La proposta di legge, di iniziativa parlamentare, è accompagnata dalla sola relazione illustrativa.


Necessità dell'intervento con legge

La proposta modifica il codice penale. Si giustifica, quindi, l'intervento con legge.


Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

La proposta di legge, riguardando l'ordinamento penale, costituisce esercizio della competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.


Rispetto degli altri princìpi costituzionali

La Corte costituzionale (sentenza n. 19 del 1962) ha escluso l'illegittimità costituzionale dell'art. 656 c.p., prospettata in relazione agli artt. 18, 21 e 49 della Costituzione.

Devono, per la Consulta, ritenersi legittime, infatti, tutte le disposizioni legislative che - come l'art. 656 - siano volte a prevenire turbamenti all'ordine pubblico, poiché tale bene, da intendersi come «ordine legale su cui poggia la convivenza sociale» è «connaturale a un sistema giuridico in cui gli obiettivi consentiti ai consociati non possono essere realizzati se non con gli strumenti e attraverso i procedimenti previsti dalle leggi, e non è dato per contro pretendere di introdurvi modificazioni o deroghe attraverso forme di coazione o addirittura di violenza»; né all'emanazione di disposizioni di tale genere può costituire ostacolo l'esistenza di diritti costituzionalmente garantiti, i quali trovano un limite insuperabile nell'esigenza che attraverso l'esercizio di essi non vengano sacrificati beni ugualmente garantiti dalla Costituzione (nello stesso senso la successiva ordinanza C., Cost. n. 80/1962 e le sentenze C. Cost. n. 199/1972 e n. 210/1976).