Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Giustizia
Titolo: Modifiche alle disposizioni per l'attuazione del codice civile in materia di condominio
Riferimenti: AC N.4560/XVII
Serie: Progetti di legge   Numero: 641
Data: 25/10/2017
Organi della Camera: II Giustizia


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Modifiche alle disposizioni per l'attuazione del codice civile in materia di condominio

25 ottobre 2017
Schede di lettura


Indice

Contenuto|Relazioni allegate o richieste|Necessità dell'intervento con legge|Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite|


Contenuto

Ambito d'interventoLa proposta di legge è diretta a modificare l'articolo 63 e ad abrogare l'articolo 67, quinto comma, delle disposizioni di attuazione del codice civile (R.D. n. 318/1942), intervenendo su due tematiche in materia di diritto del condominio (oggetto di riforma ad opera della legge n. 220 del 2012):

  • la responsabilità solidale per la morosità nel pagamento delle quote condominiali;
  • la possibilità del condomino di delegare l'amministratore per le assemblee.

In relazione al primo dei profili indicati, l' art. 63 delle disposizioni di attuazione al c.c. prevede ( primo comma) che Morosità condominiale: cosa prevede la legge l'amministratore del condominio, per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione della spesa approvato dall'assemblea condominiale, e senza bisogno di autorizzazione dell'assemblea stessa, può ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo nonostante opposizione, ed è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi. I contributi ai quali si riferisce il primo comma sono le quote gravanti sui singoli condomini delle spese condominiali in genere, contemplate nell'art. 1123 c.c. (Cassazione, sent. n. 8676/2001), cioè quelle necessarie per la conservazione e il godimento delle parti comuni dell'edificio e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza. Va ricordato che, in base all'art. 1129 c.c., l'azione per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati (entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale il credito esigibile è compreso) costituisce uno specifico obbligo dell'amministratore e l'avere omesso di curare diligentemente l'azione di riscossione e la conseguente esecuzione coattiva costituisce grave irregolarità e, in quanto tale, motivo di revoca dall'incarico.
Il cospicuo incremento delle azioni esecutive verso i condòmini inadempienti ha comportato - come rileva la relazione illustrativa della p.d.l. -  "costi annuali legali e lunghi tempi di evasione" con per di più "la certezza che le possibilità di recupero del credito condominiale sono nulle essendo chirografaro". Come noto, quest'ultima è  una categoria di crediti il cui soddisfacimento risulta penalizzato rispetto ai crediti assistiti da privilegio e garanzie reali, che godono di prelazione. Ne deriva che, in caso di inadempienza al decreto ingiuntivo eventualmente ottenuto dal giudice, l'azione esecutiva da parte del condominio (con la notifica del precetto e il successivo pignoramento) non porta quasi mai al recupero delle somme dovute per morosità.
In relazione ai creditori del condominio (si pensi ai crediti inevasi di imprese che hanno effettuato lavori di ristrutturazione dell'immobile condominiale), l'art. 63, secondo comma, prevede che questi possono agire nei confronti dei singoli condòmini in regola con i pagamenti solo in caso di escussione negativa nei confronti dei condòmini morosi. Va precisato che tale responsabilità solidale dei condòmini (introdotta con la citata riforma del 2012) è una responsabilità c.d. parziaria, facente capo a questi ultimi solo nei limiti della quota millesimale di comproprietà; non sarà possibile, quindi, al creditore rifarsi su un singolo condòmino per l'intero importo dovuto.
Sul punto, si veda Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 9148/2008 - oggetto di recente conferma (Cassazione, sez. II. sent. n. 199/2017) - secondo cui "conseguita nel processo la condanna dell'amministratore, quale rappresentante dei condòmini, il creditore può procedere all'esecuzione individualmente nei confronti dei singoli, secondo la quota di ciascuno").
La principale possibilità di recuperare le quote non pagate (o almeno parte di esse) risulta essere per il condominio la vendita della casa da parte del condomino moroso; in tale ipotesi, il quarto comma del citato art. 63 delle disposizioni di attuazione sancisce la responsabilità solidale tra il condomino inadempiente e il nuovo proprietario. Il citato quarto comma stabilisce, in particolare, che chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all'anno in corso e a quello precedente (sono esclusi i "riporti" degli esercizi precedenti, il cui pagamento può essere richiesto esclusivamente al precedente proprietario dell'immobile). Secondo Cassazione, sentenza n. 10235 del 2013, "l'art. 63 disp. att. c.c. (che individua un logico corollario della natura "propter rem" dell'obbligo di contribuire alle spese afferenti le cose e i servizi comuni) costituisce, per certi aspetti, un'applicazione specifica dell'art. 1104, comma 3, c.c. relativo alla comunione in generale, con la previsione della limitazione in base alla quale l'obbligazione del cessionario, caratterizzata dal vincolo di solidarietà con quella del condomino cedente, investe soltanto i contributi relativi all'anno in corso e a quello precedente (intendendosi il riferimento all'anno come relativo all'annualità condominiale)".
Integra tale previsione il contenuto del quinto comma dell'art. 63, che precisa che chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente con l'avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all'amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto. Il compratore, per tutelarsi, dovrebbe chiedere al venditore di farsi rilasciare dall'amministratore di condominio una certificazione con cui si attesti che, alla data della vendita della casa, sono state integralmente pagate le spese condominiali maturate fino a quel momento.

Il riferimento del quinto comma ai "contributi" riguarda sia le "spese ordinarie" del condominio, di solito derivanti dalla gestione ordinaria, ossia al contributo periodico che bisogna versare per contribuire alle spese di amministrazione e tenuta delle cose comuni (pulizia scale, luce, ascensore, giardino, ecc.) sia le spese straordinarie per lavori di manutenzione, ristrutturazione o innovazioni sulle parti comuni deliberate prima della vendita.

Il codice civile stabilisce quindi che:

  • per le spese relative all'anno in cui è avvenuto il passaggio di proprietà e per quelle dell'anno precedente, l'amministratore può chiedere l'integrale versamento della somma ancora dovuta sia al venditore che all'acquirente (tenuti, in virtù della responsabilità in solido); se intimato a pagare è l'acquirente, questi potrà rivalersi sul venditore chiedendo il rimborso di quanto ha dovuto versare;
  • per le spese relative agli anni pregressi resta responsabile solo il venditore;
  • per le spese successive alla vendita è obbligato solo l'acquirente.
Può tuttavia darsi il caso che le citate spese straordinarie deliberate dal condominio prima della vendita abbiano esecuzione (e relativo onere economico) successivamente al rogito. Per tali ipotesi, non infrequente nella pratica, nulla prevede la legge sulla ripartizione delle spese. Secondo la giurisprudenza (Cassazione, II sez., sentenza n. 24654 del 2010), in mancanza di diverso accordo tra venditore e compratore su tale ripartizione, deve sopportarne i costi il proprietario dell'immobile al momento della delibera assembleare che abbia disposto l'esecuzione dei detti interventi, avendo tale delibera valore costitutivo della relativa obbligazione. Di conseguenza, ove le spese in questione siano state deliberate prima della stipula del contratto di vendita, ne risponde il venditore, a nulla rilevando che le opere siano state, in tutto o in parte, eseguite successivamente; l'acquirente ha diritto di rivalersi sul venditore di quanto pagato al condominio per tali spese, in forza del principio di solidarietà passiva di cui all'art. 63 disp. att. c.c..
Al contrario, secondo la Cassazione, per le spese condominiali ordinarie di manutenzione, la nascita dell'obbligazione coincide con l'effettiva esecuzione dei lavori; non avendo valore costitutivo dell'obbligazione la delibera assembleare di approvazione del preventivo annuale comprensivo dei lavori (pur se avvenuta prima della compravendita), sarà il compratore a dover sopportare le spese.

La relazione illustrativa della proposta di legge ricorda come la crisi economica degli ultimi anni abbia notevolmente aumentato la morosità condominiale.

Le modifiche all'articolo 63 delle disposizioni di attuazione del codice civileL'articolo 1 della p.d.l. - per finalità di trasparenza dei rapporti economici tra venditore e acquirente nonchè per facilitare il recupero delle morosità insolute, evitando dispendiose e spesso inutili procedure esecutive - detta una nuova formulazione del quarto comma dell'art. 63 delle disposizioni di attuazione del codice civile che, confermando l'obbligo di chi subentra nei diritti del condòmino al pagamento in solido delle quote già maturate:

  • fa retroagire tale onere fino ai 5 anni precedenti la data di trascrizione dell'atto di acquisto dell'immobile sui registri immobiliari; il termine corrisponde a quello di prescrizione per i crediti ai sensi dell'art. 2948, n. 4, c.c. (spese fisse periodiche); si valuti se il diverso computo del termine quinquennale ai fini delle annualità condominiali e ai fini della prescrizione, possa far sì che in taluni casi si abbia una obbligazione in solido per diritti già prescritti; si valuti inoltre se la disposizione possa interessare anche i titolari di altri diritti reali (ad es. l'usufrutto), oggetto di trascrizione;
  • precisa che l'attestazione dello stato dei pagamenti delle quote condominiali e delle eventuali liti in corso (che l'amministratore, ex art. 1130, n. 9, c.c. deve, a richiesta, fornire al condòmino) debba essere allegata all'atto di trasferimento della proprietà dell'immobile. La quantificazione delle spese condominiali insolute, infatti, incide anche sulla determinazione del valore di mercato dell'immobile (art. 568, comma 2, c.p.c.). Si osserva che la formulazione della disposizione imporrebbe all'amministratore - e non alla parte contraente - l'obbligo di allegare al contratto l'attestazione.

La delega all'amministratore per l'assemblea condominialeL'articolo 2 della proposta in esame interviene in materia di delega all'amministratore della rappresentanza in assemblea condominiale.

La possibilità per ogni condomino di delegare per iscritto un rappresentante per partecipare all'assemblea è prevista, entro determinati limiti, dallo stesso art. 67, primo comma, delle disposizioni di attuazione al c.c.: se i condòmini sono più di 20, il delegato non può, infatti, rappresentare più di un quinto del totale dei condomini e del valore proporzionale (cioè del totale dei millesimi).

Tale disciplina - dopo la riforma del 2012 - non è, però, applicabile all'amministratore; il quinto comma dell'art. 67 vieta che l'amministratore possa essere delegato a rappresentare il condòmino in qualunque assemblea. La previsione del quinto comma dell'art. 67 ha, chiaramente, inteso evitare potenziali conflitti d'interesse non consentendo, ad esempio, all'amministratore di votare a proprio favore nelle questioni che lo riguardano più direttamente (approvazione del bilancio, conferma o revoca dall'incarico, ecc.). L'eventuale conflittualità in cui si può trovare l'amministratore è pertanto risolta dalla riforma in termini assoluti mediante il divieto di delega. Nonostante la legge non indichi espressamente le conseguenze della violazione di tale divieto (nullità o annullabilità della delibera, nullità della riunione assembleare), è indubbio che, ai sensi dell'art. 1137 c.c., la relativa delibera dell'assemblea può essere impugnata da ogni condòmino chiedendone l'annullamento all'autorità giudiziaria.

La giurisprudenza della Cassazione Va ricordato che, nella disciplina del codice civile in materia di diritto condominiale, non esistono specifiche disposizioni sul possibile conflitto d'interessi nel rapporto condòmino-condominio o amministratore-condominio, contesto complicato dalla possibilità - frequente nella prassi -  che la carica di amministratore sia rivestita da uno dei condòmini. Prima della riforma del 2012, la giurisprudenza più volte si era espressa favorevolmente sulla possibilità del condòmino di delegare l'amministratore a partecipare alle assemblee (Cassazione, II sez., sentenze nn. 22234/2004 e 10683/2002), tuttavia affermando l'applicabilità, in tema di computo delle maggioranze assembleari condominiali, del disposto dell'art. 2373 c.c., (riguardante il conflitto d'interessi in materia d'esercizio del diritto di voto del socio nelle deliberazioni delle assemblee delle s.p.a). E' stato conseguentemente- enunciando il principio per cui " ai fini del detto computo, non si debba tener conto del voto del condòmino (o dei condòmini) titolari (in relazione, sempre, all'oggetto della deliberazione) d'un interesse particolare contrastante, anche solo virtualmente, con quello degli altri condòmini" (Cassazione, II sez., sent. n. 10683/2002). Analogamente, la Suprema Corte, ha più di recente confermato che «sussiste il conflitto di interessi ove sia dedotta e dimostrata in concreto una sicura divergenza tra specifiche ragioni personali di determinati singoli condòmini, il cui voto abbia concorso a determinare la necessaria maggioranza ed un parimenti specifico contrario interesse istituzionale del condominio» (Cass., sent. n. 13004/2014).
Sulla questione va, tuttavia, segnalata Cassazione, sent. n. 18192/2009 secondo cui "in caso di conflitto di interessi fra un condòmino ed il condominio, qualora il condòmino in conflitto di interessi (nel caso di specie, l'amministratore-condòmino, che aveva ricevuto deleghe da 25 condòmini, n.d.r.,) sia stato delegato da altro condòmino ad esprimere il voto in assemblea, la situazione di conflitto che lo riguarda non è estensibile aprioristicamente al rappresentato, ma soltanto allorché si accerti, in concreto, che il delegante non era a conoscenza di tale situazione, dovendosi, in caso contrario, presumere che il delegante, nel conferire il mandato, abbia valutato anche il proprio interesse - non personale ma quale componente della collettività - e lo abbia ritenuto conforme a quello portato dal delegato". Tale affermazione potrebbe essere interpretata nel senso della validità della delega all'amministratore ove accertato che il condomino delegante sia al corrente della situazione di conflitto d'interesse. Nonostante tale pronuncia indichi la necessità di accertare in concreto l'esistenza di un conflitto d'interessi, sembra che il tenore assoluto del divieto di delega all'amministratore previsto dalla riforma del 2012 con il comma 5 dell'art. 67 delle disposizioni di attuazione non ammetta eccezioni . Sul punto, da tale data, non vi sono state pronunce giurisprudenziali significative.

L'abrogazione del quinto comma dell'art. 67 delle disposizioni di attuazione del c.c.L'articolo 2 della proposta di legge ripristina la disciplina ante riforma del 2012, disponendo l'abrogazione del quinto comma dell'art. 67 delle disposizione di attuazione e così consentendo al condòmino, pur nei limiti numerici indicati dal primo comma dell'art. 67, di delegare l'amministratore a partecipare alle assemblee condominiali.

Secondo la relazione illustrativa della proposta di legge, l'impossibilità di delegare l'amministratore "non trova fondamento in alcun principio di diritto nè in ragioni di opportunità". A sostegno della validità della proposta di abrogazione sono sottolineate le difficoltà che tale previsione comporta, in particolare, nei supercondomini (art. 1117-bis c.c.) e nelle case vacanza site in località turistiche - cui la legge 220/2012 ha esteso l'ordinaria disciplina civilistica del condominio - dove maggiori sono le difficoltà di raggiungere il numero legale per la validità dell'assemblea. Rileva la relazione alla p.d.l. che, in tali casi, i condòmini "abitano lontano dal fabbricato e hanno quindi difficoltà e disagi oggettivi a partecipare alle assemblee e, contemporaneamente, conoscono solo l'amministratore, non sussistendo i consueti rapporti di vicinato con gli altri condòmini, come invece può accadere negli immobili siti in città".

Si ricorda peraltro che nei supercondomini, ai sensi dell'art. 1117-bis del codice civile, quando i partecipanti sono complessivamente più di 60, ciascun condominio deve designare il proprio rappresentante all'assemblea per la gestione ordinaria delle parti comuni a più condominii e per la nomina dell'amministratore. In mancanza, ciascun partecipante può chiedere che l'autorità giudiziaria nomini il rappresentante del proprio condominio. Sembrerebbe che il problema sollevato riguardi solo i supercondomini con meno di 60 appartamenti

Il divieto previsto dal quinto comma dell'art. 67 sembrerebbe, inoltre, estraneo alla logica del mandato, cui l'amministrazione del condominio è assimilato in virtù dell'espresso rinvio di cui all'art. 1129, quindicesimo comma, del codice civile. Anche assemblee di particolare rilievo in cui il condòmino abbia delegato l'amministratore a rappresentarlo (come quelle citate, in cui all'o.d.g. ci sia l'approvazione del bilancio o la conferma o la revoca dell'amministratore stesso) non sembrerebbero comportare - sempre secondo la citata relazione -  situazioni di incompatibilità per conflitto di interessi dato che lo stesso conferimento della rappresentanza all'amministratore costituirebbe implicitamente voto favorevole.

In tale ultimo senso, la citata Cassazione, sent. n. 10683/2002 - relativa ad un caso in cui coincidevano il ruolo di amministratore e condòmino - precisava che l'esistenza di tale conflitto di interessi comporta l'esclusione, dal calcolo dei millesimi, delle relative carature attribuite al condomino confliggente, così estensivamente interpretato il citato art. 2373 c.c., ricorrendo in entrambe le fattispecie la medesima "ratio", consistente nell'attribuire carattere di priorità all'interesse collettivo rispetto a quello individuale. Ove, tuttavia, il condomino confliggente, prosegue la Suprema Corte,  sia stato delegato all'espressione del voto da altro condomino, la situazione di conflitto che lo riguarda non è estensibile al rappresentato aprioristicamente, ma soltanto allorché si accerti in concreto che il delegante non era a conoscenza di tale situazione, dovendosi, in caso contrario, presumere che il delegante abbia, nel conferire il mandato, valutato anche il proprio interesse - non personale, ma in quanto componente della collettività - e l'abbia ritenuto conforme a quello portato dal delegato" (in tal senso, la citata Cassazione, sent. n. 18192/2009).

Relazioni allegate o richieste

Alla proposta di legge è allegata la sola relazione illustrativa.


Necessità dell'intervento con legge

La proposta di legge modifica disposizioni di rango primario. Si giustifica, pertanto, l'intervento con legge.


Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

La proposta di legge interviene sulla materia "ordinamento civile", di esclusiva competenza legislativa statale in base all'art. 117, secondo comma, lett. l), della Costituzione.