Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento giustizia | ||||
Titolo: | Ordine europeo di indagine penale - A.G. 405 | ||||
Riferimenti: |
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Serie: | Atti del Governo Numero: 406 | ||||
Data: | 13/04/2017 | ||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | II-Giustizia |
Schede di lettura Norme di attuazione della direttiva 2014/41/UE relativa
all'ordine europeo di indagine penale Atto del Governo n. 405 art. 1, L. 9 luglio 2015, n. 114 aprile 2017
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Dossier n. 481
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Atti del Governo n. 406
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L'evoluzione della normativa europea in materia di
ricerca e formazione della prova
Il contenuto dello schema di
decreto legislativo
Titolo I – Disposizioni di principio e definizioni
Articolo 1 (Disposizioni di principio)
Articolo 3 (Protezione dei dati personali)
Titolo II – Richiesta dall'estero
Articolo 4 (Motivi di rifiuto e di restituzione)
Articolo 5 (Intervento e poteri di controllo del giudice)
Articolo 6 (Comunicazioni all'autorità di emissione)
Articolo 7 (Principio di proporzione)
Articolo 8 (Partecipazione all'esecuzione
dell'autorità di emissione)
Articolo 9 (Modalità particolari di esecuzione)
Articolo 10 (Motivi di rifiuto e di restituzione)
Articolo 11 (Deroghe alla doppia incriminazione)
Articolo 12 (Trasferimento delle prove)
Articolo 14 (Rinvio del riconoscimento o
dell'esecuzione)
Articolo 16 (Trasferimento temporaneo nello Stato di
emissione di persone detenute)
Articolo 17 (Trasferimento temporaneo in Italia di
persone detenute nello Stato di emissione)
Articolo 18 (Audizione mediante videoconferenza o
trasmissione audiovisiva)
Articolo 19 (Audizione mediante teleconferenza)
Articolo 20 (Informazioni e documenti presso banche e
istituti finanziari)
Articolo 21 (Operazioni sotto copertura)
Articolo 22 (Ritardo o omissione degli atti di arresto
o di sequestro)
Articoli da 23 a 25 (Intercettazione di
telecomunicazioni)
Articolo 26 (Provvedimenti di sequestro)
Articoli da 27 a 36 (Emissione dell’ordine di
indagine)
Articoli da 37 a 45 (Disposizioni specifiche per
determinati atti di indagine)
Articolo 46 (Clausola di invarianza finanziaria)
Lo schema di decreto legislativo
A.G. 405 - di recepimento della direttiva 2014/41/UE relativa all'ordine europeo di indagine
penale- è adottato in attuazione della legge di delegazione europea per il
2014 (legge
n. 114 del 2015). In particolare quest'ultima,
all'articolo 1, comma 1, reca la delega al Governo per l’attuazione delle
direttive elencate negli allegati A e B - la citata direttiva è compresa
nell'Allegato B - facendo rinvio, per quanto riguarda le procedure, i principi
e i criteri direttivi della delega, agli articoli 31 e 32 della legge 24
dicembre 2012, n. 234(Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla
formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione
europea).
Sugli schemi dei decreti legislativi di attuazione delle direttive di cui all'Allegato B deve essere acquisito, dopo l'acquisizione degli altri pareri previsti dalla legge, il parere delle competenti Commissioni parlamentari della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, nel termine di 40 giorni decorsi i quali i decreti sono emanati anche in mancanza del parere.
Il termine per l'espressione del parere da parte della Commissione Giustizia della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica – cui lo schema di decreto legislativo è stato assegnato il 21 marzo 2017 – è il 30 aprile 2017.
L'evoluzione della normativa europea in materia di ricerca e formazione della prova
La direttiva 2014/41/UE relativa all'ordine europeo di indagine penale (vedi amplius infra) mira ad istituite un sistema globale di ricerca ed acquisizione della prova nelle cause aventi una portata transfrontaliera. Fino alla sua entrata in vigore, prevista per il 22 maggio 2017, la circolazione transnazionale delle prove continuerà ad essere regolata dal vigente quadro normativo (ex articolo 35 della direttiva).
La normativa, attualmente in vigore, concernente la ricerca e l'acquisizione della prova nello spazio giudiziario europeo risulta alquanto frammentaria.
In tale scenario si inseriscono in primo luogo le tradizionali forme convenzionali di assistenza giudiziaria e in particolare:
ü la Convenzione europea sulla mutua assistenza giudiziaria penale del 20 aprile 1959- ratificata dall'Italia con la Legge 215/1961 (e i suoi due relativi Protocolli addizionali del 17 marzo 1978 e dell'8 novembre 2001);
ü la Convenzione di applicazione degli Accordi di Schengen del 19 giugno 1990 (ratificata dall'Italia con la Legge 388/1993);
ü la Convenzione sulla mutua assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea (cd. Convenzione di Bruxelles) del 29 maggio 2000, ratificata dall'Italia con la Legge 149/2016 (per l'attuazione si rinvia all'AG 387) e il relativo Protocollo del 16 ottobre 2001.
Tali Convenzioni, nel loro complesso, prevedono la possibilità di impiegare lo strumento rogatoriale per acquisire qualunque tipo di prova, attraverso attività sia di ricerca che di formazione. E' comunque lasciata salva l'applicabilità di eventuali disposizioni più favorevoli contenute in singoli accordi bilaterali tra Stati (articolo 26 Convenzione del 1959 e articolo 1 della Convenzione di Bruxelles).
Accanto agli strumenti di natura rogatoriale si sono in seguito affiancati nuovi strumenti investigativi basati sul principio del mutuo riconoscimento tra i quali si segnalano:
ü la decisione quadro 2003/577/GAI concernente l'esecuzione nell'Unione di provvedimenti di blocco di beni o di sequestro probatorio (attuata in Italia con il D.Lgs. 35/2016);
ü la decisione quadro 2008/978/GAI relativa al mandato europeo di ricerca delle prove. Lo strumento introdotto dalla decisione quadro, al di là delle sue enunciazioni programmatiche, si è rivelato sostanzialmente inefficace a causa del suo ridotto ambito applicativo (potendo essere impiegato solo per acquisire oggetti, documenti o dati reperibili in altri Stati) che lo ha portato peraltro a dover coesistere con i tradizionali strumenti rogatoriali.
La disorganicità della disciplina volta all'acquisizione transfrontaliera delle prove, suscettibile di impedire di fatto la cooperazione giudiziaria su questo importante settore, ha, quindi, reso necessaria una nuova impostazione che tenesse conto della necessaria flessibilità dell'assistenza giudiziaria europea.
Muovendo da queste premesse il Libro verde sulla ricerca delle prove in materia penale tra stati membri e sulla garanzia della loro ammissibilità ha prospettato la possibilità di introdurre un unico strumento europeo di raccolta transnazionale delle prove, utilizzabile per qualsiasi tipologia di attività istruttoria.
Successivamente nel programma di Stoccolma, adottato dal Consiglio europeo del 10-11 dicembre 2009, il Consiglio, nell'ambito dell'istituzione di un sistema globale di acquisizione delle prove di dimensione transfrontaliera basato sul principio del riconoscimento reciproco, ha chiesto la creazione di un sistema globale in sostituzione di tutti gli strumenti esistenti nel settore, che contempli per quanto possibile tutti i tipi di prove, stabilisca i termini di esecuzione e limiti al minimo i motivi di rifiuto.
Proprio in questo contesto si inserisce la direttiva 2014/41/UE, la quale prevede in materia di ricerca e formazione della prova, un unico strumento, denominato ordine europeo d'indagine (OEI).
E' appena il caso di ricordare che, dopo il
Trattato di Lisbona, l'abbandono della struttura a Pilastri delineata dal
Trattato di Maastricht e la comunitarizzazione della materia penale sostanziale
e processuale dell'ex Terzo Pilastro (Spazio di libertà, sicurezza e
giustizia), ha comportato l'attuazione della cooperazione giudiziaria penale
attraverso lo strumento della direttiva.
La direttiva è volta, da un lato, a superare sia i contenuti della decisione quadro 2008/978/GAI che quelli della decisione quadro 2003/577/GAI, e, dall'altro a sostituire la Convenzione di Bruxelles del 2000 nei rapporti di cooperazione in ambito UE con riguardo alle parti corrispondenti. La Convenzione di Bruxelles continuerà - con riguardo ai Paesi membri- quindi a trovare applicazione solo con riguardo ai fenomeni non regolati dalla direttiva (ad es. in tema di notificazioni ovvero di rapporti tra autorità amministrative)
La direttiva 2014/41/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3
aprile 2014, relativa all'ordine europeo di indagine penale è volta a istituire un unico strumento
denominato "ordine europeo d'indagine" (OEI) che garantisca
l'acquisizione delle prove da uno Stato all'altro nell'ambito dei procedimenti
penali transfrontalieri, al fine di superare la frammentarietà e la complessità
dell'attuale quadro giuridico. Essa viene incontro all'esigenza di
uniformità già espressa dal Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre 2009, nel
quale si ravvisava l'opportunità di istituire un sistema generale di
acquisizione delle prove nei procedimenti aventi dimensione transfrontaliera,
che fosse basato sul principio del reciproco riconoscimento, ma che tenesse
conto anche della flessibilità del sistema tradizionale di assistenza
giudiziaria.
Ai sensi dell'articolo 1 della direttiva, l'ordine europeo d'indagine
(OEI) è una decisione giudiziaria emessa o convalidata da un'autorità
competente di uno Stato membro ("Stato di emissione") per compiere
uno o più atti di indagine specifici in un altro Stato membro ("Stato di
esecuzione") ai fini di acquisire prove. Esso può anche essere emesso per
ottenere prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di
esecuzione. In base al principio del reciproco riconoscimento, gli Stati membri
hanno l'obbligo di darvi esecuzione. L'emissione di un OEI può essere richiesta
da una persona sottoposta a indagini o da un imputato, o da un avvocato che
agisce per conto di questi ultimi, nel quadro dei diritti della difesa
applicabili conformemente al diritto e alla procedura penale nazionale.
L'OEI deve essere emesso - secondo il modello allegato alla direttiva
(allegato A) - da: un giudice, un organo
giurisdizionale, un magistrato inquirente o un pubblico ministero; oppure deve
essere convalidato da questi ultimi, prima della trasmissione all'autorità di
esecuzione, qualora sia stato disposto da un'altra autorità (articolo 2).
La sua emissione deve essere in relazione a un procedimento penale o nel quadro
di procedimenti amministrativi aventi implicazioni penali (articolo 4).
L'OEI ha una portata
orizzontale e trova applicazione in tutti gli atti di indagine finalizzati
all'acquisizione di prove. Tuttavia, l'istituzione di una squadra investigativa
comune e l'acquisizione di prove nell'ambito di tale squadra richiedono
disposizioni specifiche, che continueranno a essere regolate dagli strumenti
esistenti (la Convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale
tra gli Stati membri dell'Unione europea, del 12 luglio 2000, e la decisione
quadro 2002/465/GAI del Consiglio).
La direttiva stabilisce
procedure e garanzie per lo Stato di emissione (capo II) e per lo Stato di esecuzione (capo III). L'autorità di emissione
può emettere un OEI solamente quando ritiene soddisfatte le seguenti
condizioni: l'emissione dell'OEI è necessaria e proporzionata ai fini del
procedimento, tenendo conto dei diritti della persona sottoposta a indagini o
imputata; l'atto o gli atti di indagine richiesti nell'OEI avrebbero potuto
essere emessi alle stesse condizioni in un caso interno analogo (articolo 6).
L'OEI è trasmesso dall'autorità di emissione all'autorità di esecuzione con
ogni mezzo che consenta di conservare una traccia scritta che permetta allo
Stato di esecuzione di stabilirne l'autenticità (articolo 7). L'autorità
competente dello Stato di esecuzione che riceve un OEI trasmette una comunicazione
di ricevuta, senza ritardo e comunque entro una settimana dalla ricezione,
compilando e inviando il modulo allegato alla direttiva (allegato B). Il
riconoscimento e l'esecuzione dell'OEI avvengono senza alcuna ulteriore
formalità, adottando immediatamente tutte le misure necessarie, secondo le
stesse modalità che sarebbero osservate qualora l'atto di indagine fosse stato
disposto da un'autorità dello Stato di esecuzione (articolo 9), salvo che
quest'ultima adduca uno dei motivi di non riconoscimento o di non esecuzione
indicati dall'articolo 11. Il
riconoscimento o l'esecuzione dell'OEI possono pertanto essere rifiutati
qualora: il diritto dello Stato di esecuzione preveda immunità o privilegi che
rendono impossibile l'esecuzione dell'OEI, o specifiche norme relative alla
libertà di stampa; l'esecuzione leda interessi essenziali di sicurezza
nazionale; l'esecuzione dell'OEI sia contraria al ne bis in idem; la condotta
riguardo alla quale è stato emesso l'OEI non costituisca reato in base al
diritto dello Stato di esecuzione, a meno che riguardi un reato elencato nelle
categorie figuranti nell'allegato D, come i reati di terrorismo o la tratta di
esseri umani, e questo sia punibile nello Stato di emissione con una pena o una
misura di sicurezza detentiva della durata massima di almeno tre anni. Secondo
una previsione posta a garanzia dello Stato di esecuzione, qualora l'atto di indagine richiesto nell'OEI non sia previsto dal
diritto dello Stato di esecuzione, oppure non sia disponibile in un caso
interno analogo, l'autorità di esecuzione dispone, ove possibile, un atto di
indagine alternativo (articolo 10).
Per quanto concerne i termini
per il riconoscimento o l'esecuzione, la direttiva prescrive che la
decisione abbia luogo con la stessa celerità e priorità usate in casi interni
analoghi (articolo 12). In particolare, tale decisione deve essere adottata il
più rapidamente possibile e, in ogni caso, entro 30 giorni, eventualmente
prorogabili per un massimo di 30 giorni, previa informativa all'autorità
competente dello Stato di emissione. L'autorità di esecuzione deve compiere
l'atto di indagine senza ritardo ed entro 90 giorni dall'adozione della
decisione. L'autorità di esecuzione deve inoltre trasferire all'autorità di
emissione, senza indebito ritardo, le prove acquisite o già in suo possesso; se
richiesto nell'OEI e consentito dalla legislazione nazionale dello Stato di
esecuzione, le prove sono trasferite immediatamente alle autorità competenti
dello Stato di emissione che partecipano all'esecuzione dell'OEI (articolo 13).
Nella procedura volta ad acquisire la prova deve essere, in ogni caso,
assicurata la riservatezza dell'indagine (articolo 19) e il rispetto dei
diritti fondamentali e dei princìpi sanciti dall'articolo 6 del Trattato
sull'Unione europea, compresi i diritti alla difesa delle persone sottoposte a
procedimento penale. Lo Stato di esecuzione deve sostenere tutti i costi
gravanti nel proprio territorio e connessi all'esecuzione di un OEI. Tuttavia,
qualora ritenga che tali costi siano eccezionalmente elevati, l'autorità di
esecuzione può consultare l'autorità di emissione sulla possibilità e le
modalità di condivisione delle spese o di modifica dell'OEI (articolo 21).
Sono previste disposizioni
specifiche per determinati atti di indagine, che richiedano il trasferimento
temporaneo nello Stato di emissione di persone detenute, l'audizione mediante
videoconferenza o teleconferenza, l'acquisizione di informazioni relative a
conti bancari o ad altre operazioni finanziarie, le consegne controllate o le
operazioni di infiltrazione (artt. 22-29). Si precisa, infine, che è
possibile ricorrere all'OEI anche per le operazioni di intercettazione di
telecomunicazioni (artt. 30 e 31). In tal caso, l'OEI deve contenere:
informazioni necessarie ai fini dell'identificazione della persona sottoposta
all'intercettazione; la durata auspicata dell'intercettazione; sufficienti dati
tecnici, in particolare gli elementi di identificazione dell'obiettivo, per
assicurare che l'OEI possa essere eseguito. L'articolo 36 fissa al 22 maggio 2017 il termine ultimo per il
recepimento della direttiva da parte degli Stati membri.
Si
ricorda che sulla proposta legislativa (Doc. Consiglio 9288/10) da cui è
scaturita la direttiva in oggetto, la Commissione giustizia del Senato ha
approvato una risoluzione (Doc. XVIII n. 81), nella quale, pur ritenendo l'iniziativa valida allo
scopo di accelerare e snellire le procedure che ne sono oggetto, ha rilevato
l'opportunità di specificare meglio il tipo di procedimento (civile, penale,
amministrativo) cui dovrebbe applicarsi l'OEI, sottolineando come il
riferimento esclusivo alla materia penale o a violazioni di legge refluenti
nell'ambito penale costituisca una sensibile limitazione del campo di
applicazione, "priva di alcuna giustificazione". Ha inoltre rilevato
alcune criticità evidenziando, in particolare, che: il termine di
riconoscimento e di esecuzione dell’OEI andrebbe fissato "in un lasso di
tempo non superiore a trenta giorni"; il rinvio dell'esecuzione non può
assimilarsi al rinvio del riconoscimento, categoria quest'ultima ritenuta
"assolutamente superflua", in quanto il riconoscimento è un giudizio
sui presupposti costitutivi dell'OEI che può quindi sempre essere effettuato,
ancorché l’esecuzione possa essere rinviata; le spese sostenute dallo Stato di
esecuzione dovrebbero essere ad esclusivo carico dello Stato di emissione;
risulta "difficilmente comprensibile" come la possibilità del ricorso
alla videoconferenza o alla teleconferenza, ai fini di un’audizione, possa
collidere con i princìpi fondamentali dello Stato di esecuzione.
Titolo I – Disposizioni di
principio e definizioni
Il Titolo I dello schema di decreto legislativo (articoli da 1 a 4) reca disposizioni di principio e definizioni.
Articolo 1
(Disposizioni di principio)
L'articolo individua le finalità del provvedimento: l'attuazione nell'ordinamento interno della direttiva 2014/41/UE del 3 aprile 2014, relativa all'ordine europeo di indagine penale.
Come si precisa nella relazione illustrativa la
necessità di intervenire con una dettagliata regolamentazione di attuazione è
collegata da un lato all'esigenza di delineare
una disciplina coerente con la nuova imminente configurazione dell'assistenza
giudiziaria in materia penale, (ad opera della legge 149/2016 recante
delega al Governo non solo per l'attuazione della Convenzione di Bruxelles, ma
anche per la complessiva riforma del libro XI c.p.p. in materia di rapporti
giurisdizionali con le autorità straniere) e dall'altro a quella di rendere, compatibilmente con i limiti
imposti dalla direttiva, più snella la
procedura tracciata dall'ordine di indagine penale.
Tale attuazione deve avvenire nel rispetto dei principi dell'ordinamento costituzionale e della Carta dei diritti fondamentali dell'UE, in tema di diritti fondamentali, nonché in tema di diritti di libertà e di giusto processo.
E' opportuno ricordare come direttamente riferiti alla
giustizia siano i diritti enunciati nel Titolo Vi (artt. 47-50) della Carta di
Nizza. Inoltre l'articolo 52, par. 3 della medesima Carta relativo alla portata
e interpretazione dei diritti e dei principi, precisa che laddove la Carta
contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea
per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali (CEDU),
il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla
suddetta convenzione, ferma restando la possibilità che il diritto dell'Unione
conceda una protezione più estesa.
Ai sensi dell'articolo 11, par. 1, lett. f) della
direttiva, l'esecuzione dell'ordine europeo di indagine può essere rifiutata
quando sussistono seri motivi per ritenere che essa sia incompatibile con gli
obblighi imposti dall'articolo 6 TUE, che prescrive l'osservanza della Carta di
Nizza, della CEDU e delle tradizioni costituzionali comuni.
E'appena il caso di notare che la formulazione della
garanzia costituzionale ricalca sostanzialmente quella prevista dall'articolo 1
della L. n. 69 del 2005 con riguardo al mandato di arresto europeo.
L'articolo 2 introduce alcune definizioni, esplicitando il significato delle parole-chiave attorno a cui ruota la disciplina dettata dal decreto legislativo.
Ai fini del decreto, chiarisce l'articolo, per "Ordine europeo di indagine penale", si intende "il provvedimento emesso dalla autorità giudiziaria di uno Stato membro dell'Unione europea, per compiere atti di indagine o di assunzione probatoria che hanno ad oggetto persone o cose che si trovano nel territorio dello Stato o di un altro Stato membro dell'Unione ovvero per acquisire informazioni o prove che sono già disponibili".
L'espressione "autorità di emissione" allude invece a "l'autorità che, secondo l'ordinamento di uno Stato membro, è competente ad emettere l'ordine di indagine attraverso il quale si dispone l'acquisizione di elementi di prova in un procedimento penale o si convalida una richiesta di acquisizione probatoria proveniente da un'autorità amministrativa".
Come
si evidenzia nella tabella di concordanza, la definizione di autorità di
emissione accolta nell'articolo in esame consente il riconoscimento dell'ordine
europeo di indagine "quando proveniente da un'autorità giudiziaria anche
quando essa convalidi un atto dell'autorità amministrativa".
E'
opportuno segnalare che ai sensi del successivo articolo 10, comma 3 è prevista
la restituzione dell'ordine europeo di indagine nei casi in cui esso sia stato
emesso da un'autorità diversa dalla giudiziaria o da questa non convalidato.
Ancora, la disposizione identifica l'"autorità di esecuzione" nell'autorità competente, secondo l'ordinamento di uno Stato membro, a ricevere, riconoscere e dare esecuzione a un ordine di indagine emesso dall'autorità giudiziaria italiana.
Con "Stato di emissione" e "Stato di esecuzione" si intendono rispettivamente lo Stato di appartenenza dell'autorità di emissione e quello di appartenenza dell'autorità di esecuzione.
Infine lo schema individua nel Ministero della giustizia "l'autorità centrale".
Articolo 3
(Protezione dei dati personali)
L’articolo 3 prevede che i dati personali nel compimento delle attività relative all'emissione, alla trasmissione, al riconoscimento e all'esecuzione dell'ordine di indagine, debbano essere trattati secondo le disposizioni legislative che regolano il trattamento dei dati giudiziari e in conformità agli atti normativi dell'Unione europea e alle Convenzioni del Consiglio d'Europa.
Per
quanto concerne le disposizioni legislative in materia di trattamento dei dati
giudiziari tale rinvio sembra doversi
considerare riferito alla disciplina del D.Lgs. 196/2003 sul trattamento dei
dati per ragioni di giustizia
L’articolo 47 del Codice della privacy stabilisce che al trattamento dei dati effettuato presso
uffici giudiziari di ogni ordine e grado, presso il CSM, gli altri organi di
autogoverno e il Ministero della giustizia, non si applicano se il trattamento è effettuato per ragioni di
giustizia le disposizioni del Codice relative: alla richiesta di accesso
ai dati da parte dell’interessato (articolo 9 e 10); agli obblighi deontologici
del titolare del trattamento (articolo 12); all’obbligo di informativa
all’interessato (articolo 13) e a quelli connessi alla cessazione del
trattamento (articolo 16); alle regole ulteriori dettate per i soggetti
pubblici (18-22); agli obblighi di notificazione del trattamento e di
comunicazione preventiva al Garante (artt. 37-39), al regime autorizzatorio del
trattamento dei dati da parte dello stesso Garante (artt. 40 e 41); al
trasferimento dei dati all’estero (artt. 42-45); alla tutela amministrativa
davanti al Garante, alternativa a quella giurisdizionale (artt. 145-151).
Con
riguardo alla normativa europea nella relazione illustrativa si fa espresso
riferimento alla Direttiva UE
2016/680 del Parlamento europeo e del Consiglio, fatta a Bruxelles il 27
aprile 2016, relativa appunto alla protezione delle persone fisiche
con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità
competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di
reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di
tali dati, con abrogazione della decisione quadro 2008/977/GAI del
Consiglio. Tale Direttiva - come si precisa nella relazione- di prossima
implementazione, è già entrata in vigore, e deve trovare esecuzione negli
ordinamenti degli Stati membri entro il 6 maggio 2018 (in sostanziale
coincidenza cioè con l'abrogazione della precedente), salva la possibilità di
attuazioni posticipate, secondo quanto specificamente disposto all'articolo 63.
Titolo II – Richiesta dall'estero
Il Titolo II dello schema di decreto legislativo (articoli da 4 a 26) disciplina la procedura passiva, ovvero la procedura che deve essere seguita per dare esecuzione in Italia ad un ordine di indagine emesso dalle autorità di un altro Stato UE.
Articolo 4
(Motivi di rifiuto e di restituzione)
Le disposizioni del Capo I artt.4- 15 dello schema di decreto prevedono la disciplina del procedimento finalizzata al riconoscimento e all'esecuzione da parte dell'autorità giudiziaria italiana dell'ordine europeo di indagine proveniente dall'autorità di altro Stato membro (assistenza giudiziaria passiva).
L'articolo 4 individua l'organo competente all'esecuzione nel procuratore della Repubblica presso il tribunale capoluogo del distretto del luogo in cui gli atti richiesti con l'ordine europeo di indagine devono essere assunti.
Nella relazione illustrativa si precisa come la scelta di individuare nel procuratore della Repubblica del capoluogo del distretto l'autorità competente a eseguire l'ordine europeo di indagine è stata effettuata anche tenendo conto dell'indicazione contenuta nella legge delega 149/2016 (vedi supra) con riguardo alle rogatorie. A ben vedere sarebbe stato singolare individuare un diverso meccanismo di attribuzione della competenza allorché si tratti di Stati appartenenti all'Unione europea rispetto a quello adottato con riguardo agli altri Stati. Tale scelta inoltre ha il vantaggio di rendere meno problematica, seppure solo sotto il profilo della legittimità costituzionale, l'individuazione dei criteri di determinazione della competenza nel caso in cui gli atti debbano essere compiuti in distretti diversi.
In conformità a quanto previsto dall'articolo 12 della direttiva la disposizione prevede che il Procuratore distrettuale debba provvedere con decreto motivato al riconoscimento dell'ordine di indagine entro 30 giorni dalla sua ricezione ovvero entro un termine diverso- più breve- indicato dall'autorità di emissione, quando sussistono ragioni di urgenza o di necessità. In ogni caso tale termine non può superare i 60 giorni (commi 1 e 3).
Lo
schema di decreto, come si precisa nella relazione illustrativa, non disciplina
invece espressamente la richiesta di proroga di cui al par. 5 dell'articolo 12
della direttiva " dal momento che i termini, che vanno intesi come
ordinatori, nel rispetto comunque degli obblighi di comunicazione, sono estesi
fino a sessanta giorni dal comma 1 dell'articolo 4".
Si prevede, poi, che all'esecuzione l'autorità provveda entro i
successivi novanta giorni, osservando le forme espressamente richieste
dall’autorità di emissione sempre che esse non siano contrarie ai principi
dell’ordinamento giuridico dello Stato. Il compimento di consegne controllate e
di operazioni sotto copertura (articoli 21 e 22 dello schema) è in ogni caso
regolato dalla legge italiana (comma 2).
Quest'ultima
previsione appare in linea con quanto espressamente previsto dall'articolo 9,
par. 2 della direttiva che fa salve diverse disposizioni della direttiva stessa
nel caso di consegne controllate e operazioni sotto copertura, attività
rispetto alle quali, se svolte sul territorio nazionale, trova applicazione
esclusiva la legge italiana.
Il decreto di riconoscimento è comunicato a cura della segreteria del
pubblico ministero al difensore della persona sottoposta alle indagini entro il
termine stabilito ai fini dell’avviso di cui ha diritto secondo la legge
italiana per il compimento dell’atto. Quando la legge italiana prevede soltanto
il diritto del difensore di assistere al compimento dell’atto senza previo
avviso, il decreto di riconoscimento è comunicato al momento in cui l’atto è
compiuto o immediatamente dopo (comma 4).
Nel caso in cui la richiesta di assistenza riguardi atti da eseguirsi
in più distretti, è competente il procuratore del distretto nel quale deve
compiersi il maggior numero di atti ovvero se di eguale numero, quello nel cui
distretto deve compiersi l’atto di maggior importanza investigativa (comma 5).
Nell'ipotesi in cui il procuratore
della Repubblica che ha ricevuto l’ordine di indagine ritiene che deve
provvedere al riconoscimento e alla esecuzione altro ufficio, trasmette allo
stesso immediatamente gli atti, dando comunicazione all’autorità di emissione.
Trovano applicazione, in caso di contrasto, gli articoli 54, 54-bis e 54-ter c.p.p. in materia di regolamentazione della competenza (comma 6).
La
risoluzione di eventuali conflitti è attribuita quindi al procuratore generale
presso la Corte di cassazione. Della potenziale insorgenza del contrasto, in
attuazione dell'articolo 16 della direttiva, deve essere data comunicazione
all'autorità di emissione.
Nell'ipotesi di un ordine di indagine emesso, nello stesso o in altro
procedimento, ad integrazione o completamento di uno precedente il
riconoscimento e l’esecuzione sono demandati al PM competente per il
procedimento iniziale(comma 7).
Tale
scelta, rileva la relazione illustrativa, è legata a ragioni connesse al
rispetto del principio della cd. continuità investigativa.
I verbali degli atti compiuti, ai quali il difensore della persona
sottoposta alle indagini ha diritto di assistere, sono depositati nella
segreteria del PM, secondo quanto previsto dall’articolo 366, comma 1, c.p.p. (comma 8).
Articolo 5
(Intervento e poteri di controllo del
giudice)
L'articolo prevede che nel caso di atti che devono essere compiuti, per
richiesta dell'autorità di emissione ovvero perché così è richiesto dalla legge
italiana, dal giudice, il PM riconosce
l’ordine di indagine e presenta la richiesta di assistenza al Gip che, ricevuta
la richiesta, autorizza l’esecuzione previo accertamento delle condizioni per
il riconoscimento dell’ordine di indagine (commi
1 e 2).
Come
si rileva nella relazione illustrativa al giudice è attribuito non il ruolo di
mero esecutore della richiesta ma gli è demandato il controllo non meramente
formale circa la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento dell'ordine
di indagine.
Salvo che non sia diversamente disposto, il Gip provvede all’esecuzione
in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 127 c.p.p.. L'esecuzione deve avvenire secondo le forme
richieste dall'autorità di emissione, a condizione che esse non si pongano in
contrasto con i principi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano (comma 3).
Articolo 6
(Comunicazioni all'autorità di emissione)
L'articolo disciplina gli obblighi formali attinenti alla attestazione dell'avvenuta ricezione dell'ordine di indagine europeo e gli obblighi di comunicazione nei confronti dell'autorità di emissione.
Tali
obblighi discendono dalla previsione del principio del mutuo riconoscimento in
base al quale l'atto è eseguito senza particolari formalità preliminari, come
se si trattasse di un atto dell'autorità nazionale.
Più nel dettaglio, l'autorità giudiziaria italiana deve dare comunicazione all'autorità di emissione della ricezione dell'ordine di indagine entro sette giorni attraverso la trasmissione del modello di cui all'Allegato B. In tale modello sono indicate le modalità di esecuzione nel caso in cui da esse derivi l'impossibilità di assicurare la riservatezza sui fatti e sul contenuto dell'ordine di indagine (comma 1).
All'autorità di emissione deve essere data altresì comunicazione, prima dell'esecuzione, che non sussistono le condizioni per il riconoscimento e l'esecuzione dell'ordine di indagine al fine di rimuovere ove possibile il motivo di rifiuto (comma 2).
Analogo obbligo informativo è previsto nel caso in cui il contenuto dell'ordine di indagine sia ritenuto dall'autorità di esecuzione non proporzionato (vedi articolo 7 dello schema). In tal caso l'obbligo informativo è finalizzato a consentire all’autorità di emissione di valutare l’opportunità di una nuova richiesta o di ritirare l’ordine di indagine (comma 3).
La disposizione prevede infine che siano immediatamente comunicata all'autorità di emissione:
ü la decisione di rifiuto del riconoscimento o il ritardo dell’esecuzione;
ü l’impugnazione e del provvedimento di annullamento del decreto di riconoscimento.
Articolo 7
(Principio di proporzione)
L'articolo dà attuazione al principio di proporzione espressamente affermato dall'articolo 6, par. 1, della direttiva.
La
previsione di un controllo di proporzionalità da parte dell'autorità di esecuzione
è volto ad evitare che la raccolta transnazionale delle prove tramite l'ordine
europeo di indagine avvenga sulla base di un bilanciamento non ragionevole tre
le esigenze di accertamento dei fatti e i diritti dell'accusato o di altre
persone coinvolte in un processo penale. L'autorità di esecuzione deve quindi
accertare in ciascuna situazione concreta che le attività istruttorie indicate
nell'ordine europeo di indagine arrechino un pregiudizio ai diritti
fondamentali solo nella stretta misura necessaria al loro svolgimento senza
comunque incidere sul nucleo essenziale dei medesimi.
Più nel dettaglio, la disposizione in esame considera non proporzionato l'ordine di indagine dalla cui esecuzione può derivare un sacrificio ai diritti e alle libertà dell'imputato o dell'indagato o di altri soggetti coinvolti dal compimento degli atti richiesti, non giustificato dalle esigenze investigative e probatorie del caso concreto, tenuto conto della gravità dei reati per i quali si procede e della relativa pena.
In
altri termini - come si precisa nella relazione illustrativa- compete
all'autorità giudiziaria italiana valutare la capacità del mezzo richiesto di
raggiungere l'obiettivo prefissato, secondo il criterio per il quale, a parità
di efficacia, è da preferire sempre il mezzo che abbia conseguenze meno
gravose.
Ogni
volta che l'atto è ritenuto "sproporzionato" l'autorità giudiziaria
italiana, secondo quanto previsto dall'articolo 6 dello schema, deve darne
comunicazione così da consentire all'autorità di emissione di valutare se
insistere nella richiesta ovvero avanzarne una diversa sulla base
dell'eventuale prospettazione dell'autorità interna.
Articolo 8
(Partecipazione all'esecuzione dell'autorità di emissione)
L'articolo riconosce all'autorità di emissione la facoltà di chiedere di poter partecipazione direttamente all'esecuzione dell'ordine di indagine (comma 1).
Per tale finalità la disposizione prevede la possibilità per il PM, ricevuta la richiesta, di promuovere la costituzione di una squadra investigativa comune (comma 2).
La
possibilità di istituire squadre investigative comuni è stata espressamente prevista e disciplinata dalla decisione quadro n.
2002/465/GAI
alla quale nell'ordinamento italiano è stata data attuazione con il decreto legislativo n. 34 del 2016. Tale decreto contiene la disciplina relativa alla
costituzione ed al funzionamento delle suddette squadre, operanti nel
territorio dell’Unione europea, istituite su iniziativa di un’autorità italiana
ovvero di autorità di altro Stato membro cui l’Italia sia invitata a
partecipare. Le squadre investigative comuni costituiscono una forma di
cooperazione non rogatoriale finalizzata all’accertamento e alla repressione di
forme di criminalità transazionale. Il decreto n.34 è peraltro espressamente
richiamato nel decreto attuativo della Convenzione di Bruxelles del 29 maggio
2000.
Nel caso in cui non venga costituita una squadra investigativa comune,
la determinazione delle modalità di partecipazione dell'autorità di emissione è
demandata all'accordo tra autorità (comma
3).
La
costituzione di una squadra investigativa in alcuni casi, si pensi alla mera
audizione di persona informata, può rivelarsi non opportuna, proprio per tale
ragione la disposizione contempla una soluzione alternativa regolando la qualifica
e lo status del funzionario
straniero.
Ai sensi del comma 4 il
funzionario dell'autorità di emissione che partecipa all'esecuzione dell'ordine
di indagine assume, anche agli effetti della legge penale la qualifica di
pubblico ufficiale.
Responsabile dei danni causati a terzi dall'autorità di emissione che
partecipa all'esecuzione dell'ordine di indagine è lo Stato italiano, il quale può agire in
sede di rivalsa sullo Stato di emissione (comma
5).
E'
appena il caso di rilevare che la disciplina dello status e della responsabilità dei funzionari stranieri appare
conforme a quanto previsto dal citato decreto legislativo n. 34 del 2016.
Articolo 9
(Modalità particolari di esecuzione)
L'articolo, dando attuazione all'articolo 10 della direttiva, prevede che nel caso in cui l'atto di indagine richiesto o il mezzo di ricerca della prova non siano previsti o consentiti dalla legge nazionale il procuratore della Repubblica deve, previa comunicazione all'autorità di emissione, provvedere attraverso uno strumento probatorio diverso da quello indicato dallo Stato emittente ma comunque idoneo al raggiungimento del medesimo scopo (comma 1).
Come
si rileva nella relazione illustrativa l'obbligo informativo gravante
sull'autorità italiana è volto a consentire all'autorità di emissione di
ritirare o di integrare l'ordine europeo di indagine originariamente emesso. Il
comma in esame è volto a trasporre la previsione di cui al par. 5 dell'articolo
10 della direttiva: l'impossibilità di eseguire l'attività richiesta anche con
altro atto ugualmente idoneo allo scopo è prevista come motivo di rifiuto;
tuttavia tale motivo interviene solo all'esito di opportune consultazioni tra
autorità al fine di concordare l'eventuale adozione di uno o più atti
equipollenti.
L'impossibilità di eseguire l'ordine di indagine costituisce motivo di rifiuto del riconoscimento (comma 3).
Tale
previsione traspone quanto stabilito dal par. 5 dell'articolo 5 della
direttiva. In ogni caso il motivo di rifiuto, derivante dall'impossibilità di
eseguire l'attività richiesta anche con altro atto ugualmente idoneo allo
scopo, interviene solo all'esito delle opportune consultazioni tra autorità
onde concordare l'eventuale adozione di uno o più atti equipollenti.
Nel caso in cui per il compimento dell'atto oggetto dell'ordine di indagine sia necessaria l'autorizzazione a procedere il PM deve farne tempestiva richiesta (comma 4).
Tale
previsione appare coerente con quanto stabilito nell'articolo 11, par. 5 della
direttiva che precisa che se la revoca del privilegio o dell'immunità compete
ad un'autorità dello Stato di esecuzione, l'autorità di esecuzione le deve
inoltrare prontamente la richiesta.
L'adozione di una via probatoria alternativa è altresì contemplata,
previo accordo con l'autorità di emissione, nel caso in cui l'ordine di
indagine non appaia conforme al principio di proporzione (comma 2).
La disposizione infine (comma 5)
individua alcune tassative ipotesi nelle quali - fatto sempre salvo il caso in
cui ricorra uno dei motivi di rifiuto di cui all'articolo 10, comma 1- l'autorità
giudiziaria italiana deve dare corso all'ordine europeo di indagine
direttamente e senza controlli sul rispetto del principio di proporzionalità.
Tali casi riproducono quanto previsto dall'articolo 10, par. 2 della Direttiva.
Più nel dettaglio l'autorità deve provvedere in ogni caso
all'esecuzione dell'ordine di indagine avente ad oggetto:
ü l'acquisizione dei verbali di prove di altro
procedimento;
ü l'acquisizione di informazioni contenute in
banche dati accessibili all'autorità giudiziaria;
ü l'audizione della persona informata dei
fatti, del testimone, del consulente o del perito, della persona offesa, nonché
della persona sottoposta ad indagini o dell'imputato presenti nel territorio
dello Stato;
ü il compimento di atti di indagine che non
incidono sulla libertà personale e sul diritto all'inviolabilità del domicilio;
ü l'identificazione di persone titolari di uno
specifico numero telefonico o di un indirizzo di posta elettronica o di un
indirizzo IP.
Articolo 10
(Motivi di rifiuto e di restituzione)
L'articolo 10, comma 1, in attuazione dell'articolo 11 della direttiva, prevede che, oltre all'ipotesi contemplata dal comma 3 dell'articolo 9 (vedi supra), l'autorità ha facoltà di rifiutare di riconoscere e dare esecuzione all'ordine di indagine:
ü se l'ordine di indagine è incompleto ovvero le informazioni in esso contenute sono manifestamente erronee o non corrispondenti al tipo di atto richiesto;
ü se la persona nei cui confronti si procede gode di immunità riconosciute dallo Stato italiano che limitano o impediscono l'esercizio o il proseguimento dell'azione penale;
Con riguardo alle immunità il rifiuto consegue
all'impossibilità di rimuoverla da parte dell'autorità italiana. Tale
previsione, introdotta in attuazione della lett. a) del par. 1 dell'articolo 11
della direttiva va peraltro collegata con quanto stabilito dall'articolo 9,
comma 4 dello schema(vedi supra). In
sede di attuazione il Governo non ha ritenuto di recepire, invece, la seconda
parte dell'articolo 11, par. 1, lett. a) della direttiva, nella parte in cui
prevede che l'autorità di esecuzione può rifiutare il riconoscimento e
l'esecuzione dell'ordine europeo di indagine qualora il diritto nazionale
contempli"norme sulla determinazione e limitazione della responsabilità
penale relative alla libertà di stampa e alla libertà di espressione in altri
mezzi di comunicazione che renderebbero impossibile l'esecuzione dell'ordine
europeo di indagine". Tale scelta è motivata in quanto l'esercizio del
diritto di critica nel nostro ordinamento si configura come scriminante e non è
prevista in astratto una limitazione della responsabilità penale che impedisca ex se il riconoscimento.
ü se l'esecuzione dell'ordine di indagine potrebbe recare pregiudizio alla sicurezza nazionale;
ü se vi è un contrasto con il principio del ne bis in idem (i casi di ne bis in idem sono regolati nel diritto interno dall'art. 649 c.p.p.)
la formulazione usata nel testo, è appena il caso di
notare, ricalca quella contenuta nel d.lgs 36/2016 di attuazione della
decisione quadro 2009/829/GAI sull’applicazione
tra gli Stati membri dell’Unione europea del principio del reciproco
riconoscimento alle decisioni sulle misure alternative alla detenzione
cautelare.
ü se
sussistono fondati motivi per ritenere che l'esecuzione dell'atto richiesto
nell'ordine di indagine non è compatibile con gli obblighi dello Stato sanciti
dall'articolo 6 del TUE e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'UE;
ü se
il fatto per il quale è stato emesso l'ordine non costituisce reato secondo la
legislazione italiana, indipendentemente dagli elementi costitutivi e dalla
qualificazione giuridica individuati dalla legge dello Stato di emissione.
Quest'ultima previsione è volta a dare attuazione a
quanto previsto dalle lettere g) e h) del par. 1 dell'art. 11 della direttiva.
Il
successivo articolo 11 dello schema di decreto prevede una deroga al motivo di
rifiuto basato sul requisito della doppia incriminazione in rapporto a
determinati reati puntualmente elencati. Tale elenco (amplius articolo 11) ricomprende gli illeciti, punibili nello Stato
di emissione con una pena di almeno tre anni di detenzione, considerati di
gravità tali da giustificare per definizione la raccolta delle prove attraverso
l'ordine europeo di indagine.
Ai sensi del comma 2 dell'articolo, se l'ordine di indagine è stato emesso in relazione a violazioni tributarie, doganali o valutarie, l'esecuzione non può essere rifiutata per il fatto che la legge italiana non impone lo stesso tipo di tasse o di imposte, o per il fatto che la legislazione italiana in materia tributaria, valutaria o doganale è diversa da quella dello Stato di emissione.
Tale deroga al principio generale della doppia
incriminabilità appare conforme alle previsioni dell'articolo 11, par. 3,
della direttiva.
Infine si prevede la restituzione all'autorità di emissione dell'ordine di indagine emesso da un'autorità diversa dalla giudiziaria o da questa non convalidato (comma 3).
Ques'ultima disposizione è volta a dare espressa
attuazione all'articolo 9, par. 3 della direttiva, il quale prevede che
l'autorità di esecuzione, se riceve un ordine europeo non emesso da un'autorità
di emissione (si veda articolo 2 dello
schema), lo restituisce allo Stato di emissione.
Articolo 11
(Deroghe alla doppia incriminazione)
Il comma unico dell'articolo contiene un lungo, tassativo elenco di gravi reati in relazione ai quali non si applica il principio della doppia incriminabilità: si tratta di un elenco di fattispecie penali, pressoché integralmente corrispondenti a quelle di cui all'allegato D della direttiva.
L'articolo in questione riproduce la lista delle aree
penali che, a partire dalla decisione quadro sul mandato di arresto europeo,
sono sempre state esentate dalla verifica sulla doppia incriminazione (sempre
che il fatto sia punito nello Stato di emissione con una pena non inferiore nel
massimo a tre anni di reclusione o con una misura di sicurezza detentiva).
I reati elencati sono i seguenti:
ü partecipazione a un'associazione per delinquere;
ü terrorismo;
ü tratta di esseri umani;
ü sfruttamento sessuale dei bambini e pornografia infantile;
ü traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope;
ü traffico illecito di armi, munizioni ed esplosivi;
ü corruzione;
ü frode, compresa la frode che lede gli interessi finanziari delle Comunità europee ai sensi della Convenzione del 26 luglio 1995 relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee;
ü riciclaggio;
ü falsificazione e contraffazione di monete;
ü criminalità informatica;
ü criminalità ambientale, compreso il traffico illecito di specie animali protette e il traffico illecito di specie e di essenze vegetali protette;
ü favoreggiamento dell'ingresso e del soggiorno illegali di cittadini extracomunitari;
ü omicidio volontario, lesioni personali gravi;
ü traffico illecito di organi e tessuti umani;
ü sequestro di persona;
ü razzismo e xenofobia;
ü rapina commessa da un gruppo organizzato o con l'uso di armi;
ü traffico illecito di beni culturali, compresi gli oggetti d'antiquariato e le opere d'arte;
ü truffa;
ü estorsione;
ü contraffazione e pirateria in materia di marchi e prodotti;
ü falsificazione di atti amministrativi e traffico di documenti falsi;
ü falsificazione di mezzi di pagamento;
ü traffico illecito di sostanze ormonali ed altri fattori di crescita;
ü traffico illecito di materie nucleari e radioattive;
ü ricettazione, riciclaggio e reimpiego di veicoli rubati;
ü violenza sessuale;
ü incendio;
ü reati che rientrano nella competenza giurisdizionale della Corte penale internazionale;
ü dirottamento di aereo o nave;
ü sabotaggio.
L'unica differenza sostanziale riguarda il reato di incendio: la
norma di recepimento non distingue tra fattispecie dolosa e colposa; la
direttiva contempla, invece, il solo incendio doloso. Inoltre, la fattispecie enunciata
nella direttiva di "favoreggiamento dell'ingresso e del soggiorno
illegale" è declinata dallo schema di decreto con specifico riguardo ai cittadini non UE.
Articolo 12
(Trasferimento delle prove)
La disposizione, in attuazione dell'articolo 13 della direttiva, interviene in materia di trasferimento delle prove.
Più nel dettaglio, la norma prevede che il PM deve trasmettere all'autorità competente dello Stato di emissione, nei tempi necessarie a consentire lo svolgimento del processo (" senza ritardo") i verbali degli atti compiuti, i documenti e le cose oggetto della richiesta, nonché i verbali di prove o gli atti acquisiti in altro procedimento (comma 1).
La relazione
illustrativa osserva come la disposizione non preveda un termine entro il quale
debba essere effettuata la consegna, tuttavia «la locuzione " senza
ritardo" indica di per sé l'assenza di qualsiasi iato tra acquisizione e
trasferimento».
L'articolo
prevede poi (comma 2) la possibilità
che il trasferimento avvenga attraverso consegna
immediata alle autorità competenti dello Stato di emissione che partecipino
all'esecuzione dell'ordine europeo di indagine ai sensi dell'articolo 8 dello
schema.
In
ogni caso della trasmissione deve essere data attestazione in forma scritta (comma 3).
Infine
la disposizione contempla la possibilità di un trasferimento temporaneo del corpo del reato o delle cose
pertinenti al reato. Tale trasferimento può essere disposto dal PM quando non risulti
d’impedimento alla spedita trattazione del procedimento in corso, e previo
accordo con l’autorità di emissione sulle modalità del trasferimento e sul
termine di restituzione. A tal fine, dopo l’esercizio dell’azione penale,il PM
richiede l’autorizzazione del giudice che procede, il quale provvede dopo aver
sentito le parti (comma 4).
La disposizione, in attuazione dell'articolo 14 della direttiva, disciplina la materia delle impugnazioni.
Come si evidenzia nella relazione illustrativa,
l'ordinamento interno non contempla mezzi di impugnazione diretta con riguardo
ai mezzi di ricerca della prova, ad eccezione che per l'atto di sequestro
probatorio. Le questioni afferenti alle nullità ed inutilizzabilità afferiscono
al merito dell'atto assunto e come tali devono essere fatte valere con i mezzi
predisposti nell'ordinamento dello Stato di emissione. Tuttavia al fine di non
sottrarre del tutto a qualsivoglia controllo di legittimità gli atti esecutivi
il Governo ha ritenuto necessario prevedere che, ove l'atto non sia altrimenti
impugnabile contro lo stesso può essere proposta opposizione davanti al
giudice.
Più nel dettaglio, i commi da 1 a 6 dell'articolo disciplinano l'opposizione conseguente alla comunicazione del decreto di riconoscimento prevista laddove la legge processuale riconosca diritto di avviso al difensore.
Si tratta di una "garanzia minima", ritenuta
tanto più opportuna in quanto non è prevista di regola (salvo i casi di atto
del giudice o che il giudice deve autorizzare) una competenza giurisdizionale
circa il vaglio sui requisiti positivi o negativi del riconoscimento ed
esecuzione dell'ordine europeo di indagine, né comunque altra impugnazione al
riguardo.
Entro cinque giorni dalla comunicazione del decreto di riconoscimento la persona sottoposta alle indagini e il suo difensore possono proporre opposizione al Gip, il quale decide, sentito il PM, con ordinanza. L’ordinanza è comunicata al PM e notificata all’interessato. Il procuratore della Repubblica è tenuto ad informare senza ritardo l’autorità di emissione della decisione. Nel caso di accoglimento dell’opposizione, il decreto di riconoscimento è annullato e non si dà luogo all'esecuzione dell'ordine di indagine. L’opposizione non ha effetto sospensivo dell’esecuzione dell’ordine di indagine e della trasmissione dei risultati delle attività compiute. Il PM può comunque non trasmettere i risultati delle attività compiute se può derivarne grave e irreparabile danno alla persona indagata, all’imputato o alla persona comunque interessata dal compimento dell’atto.
Quando è previsto, ai sensi dell'articolo 5 dello schema, il coinvolgimento del giudice nell'esecuzione dell'atto, questi provvede anche su richiesta delle parti nel corso della camera di consiglio all'annullamento del decreto di riconoscimento laddove ne difettano presupposti e condizioni.
Il comma 7 disciplina l'impugnazione in caso di sequestro. L'indagato o l’imputato, il suo difensore, la persona alla quale la prova o il bene sono stati sequestrati e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre opposizione avverso il decreto di riconoscimento dell’ordine di indagine avente ad oggetto il sequestro a fini di prova. In tal caso avverso la decisione del giudice entro dieci giorni dalla sua comunicazione o notificazione il PM e gli interessati possono proporre ricorso in cassazione per violazione di legge. Il ricorso non ha effetto sospensivo e la Corte di cassazione provvede, in camera di consiglio, entro trenta giorni dal ricorso.
Sempre nella
relazione illustrativa la scelta di prevedere una facoltà di impugnazione dei
sequestri, con riguardo ai presupposti del riconoscimento, più ampia, è
giustificata in ragione del fatto che all'indagato, come al terzo che vanti
diritti sulla cosa oggetto di vincolo l'ordinamento interno riconosce il
diritto al riesame e all'appello, in caso di diniego di restituzione. I
provvedimenti relativi sono ricorribili per cassazione. Al fine di adeguare
quindi le modalità previste in tema di impugnazioni del diritto interno
all'atto richiesto dall'estero lo schema di decreto estende la facoltà di
ricorso in sede di legittimità anche avverso l'ordinanza resa all'esito
dell'opposizione.
Articolo 14
(Rinvio del riconoscimento o dell'esecuzione)
La disposizione, dando attuazione all'articolo 15 della direttiva, autorizza l'autorità giudiziaria a rinviare il riconoscimento o l'esecuzione dell'ordine europeo di indagine quando essi possano intervenire con lo svolgimento di un procedimento penale interno (comma 1).
Il periodo di
sospensione collegato alle esigenze di indagine, come si rileva nella tabella
di concordanza, è quello ritenuto ragionevole ai sensi della lettera a) del
par. 1 dell'articolo 15 della direttiva. E' appena il caso di ricordare che la
durata delle indagini preliminari è compresa tra sei mesi e un anno a seconda
della gravità dei reati ed è prorogabile.
Analogamente è previsto il rinvio dell'esecuzione dell'ordine di indagine quando le cose, i documenti o i dati oggetto di richiesta di sequestro sono già sottoposti a vincolo, fino alla revoca del relativo provvedimento (comma 2).
Le due
ipotesi contemplate dalla disposizione di salvaguardia della priorità delle
esigenze giudiziarie interne ricalcano quando già previsto in base alla
tradizionale assistenza giudiziaria.
La decisione di rinvio deve essere immediatamente comunicata all'autorità di emissione.
Tale
decisione, come si precisa nella relazione illustrativa, deve indicare i motivi
e possibilmente la durata del rinvio.
Venuta meno la causa che ha dato luogo al rinvio l'ordine di indagine deve essere tempestivamente eseguito (commi 3 e 4).
La disposizione interviene in materia di spese.
Più nel dettaglio l'articolo prevede che siano a carico dello Stato italiano le spese sostenute per l'esecuzione dell'ordine di indagine (comma 1).
In caso di spese particolarmente ingenti, conseguenti all'esecuzione di un ordine di indagine, è previsto il supporto dell'autorità centrale al fine della loro condivisione con l'autorità di emissione (comma 2).
Articolo 16
(Trasferimento temporaneo nello Stato di emissione di persone detenute)
Il capo II (artt. 16-22) reca disposizioni specifiche per determinati atti di indagine.
L'articolo 16 in particolare disciplina l'ipotesi del trasferimento temporaneo di persone detenute o internate in Italia per il compimento all'estero di un atto di indagine o di prova. richiedendo il nulla osta al giudice che procede ai sensi dell'articolo 279 c.p.c.
L'ordine di indagine è eseguito, subordinatamente al consenso della persona, previo nulla osta del giudice che procede o del magistrato di sorveglianza in caso di persona condannata in via definitiva o internata. Ai fini del nulla osta si deve tenere conto dell'età e delle condizioni di salute fisica o mentale della persona(commi 1 e 2).
La richiesta di trasferimento
può essere rifiutata nel caso in cui la persona detenuta non presti il consenso al trasferimento.
Tale consenso deve risultare da
atto scritto e si considera validamente prestato solo se la persona
detenuta ha avuto modo di conferire con il proprio difensore(comma 4).
La
relazione illustrativa precisa che il consenso, secondo quanto previsto anche
dal par. 3 dell'articolo 22 della direttiva, è espresso validamente secondo le
modalità stabilite dall'ordinamento interno, ivi comprese quelle per le quali,
se le condizioni psicofisiche incidono sulla capacità del soggetto, questi sia
assistito da un curatore, da un tutore o da un amministratore di sostegno.
Compete al procuratore della Repubblica, d'accordo con l'autorità di emissione, la definizione delle modalità del trasferimento e la fissazione, nel rispetto dei termini massimi di custodia cautelare o del termine di cessazione della pena in esecuzione, del termine di rientro in Italia(comma 3).
Viene poi precisato che il periodo di detenzione trascorso all'estero, da un lato, è computato a ogni effetto nella durata della custodia cautelare e dall'altro è considerato, nel caso di detenuto in espiazione della pena, come trascorso in Italia (comma 5).
Con riguardo alla previsione di cui al comma 5, è
opportuno ricordare che la Corte
costituzionale (sentenza 143/2008), nel dichiarare l'illegittimità costituzionale
degli artt. 33 della l. 146/2006 e 72 c.p.p., ha rilevato: "l'equivalenza tra custodia all'estero e
custodia cautelare in Italia è stata affermata con riferimento all'estradizione
stessa, a maggior ragione, deve operare in relazione ad uno strumento - quale
il mandato d'arresto europeo - che poggia sul principio dell'immediato e
reciproco riconoscimento del provvedimento giurisdizionale".
La persona trasferita beneficia di un'immunità nel periodo di trasferimento che la pone al riparo da qualsiasi azione giudiziaria nei suoi confronti per fatti - diversi da quelli per i quali è stato disposto il trasferimento- commessi o per condanne pronunciate prima della sua partenza. Tale immunità ha termine se la persona trasferita, pur avendo avuto la possibilità di lasciare il territorio per quindici giorni consecutivi dalla data in cui la sua presenza non era più richiesta, sia rimasta comunque nel territorio ovvero vi sia tornata dopo averlo lasciato (comma 6).
Articolo 17
(Trasferimento temporaneo in Italia di persone detenute nello Stato di
emissione)
La disposizione disciplina l'ordine di indagine avente ad oggetto la richiesta di trasferimento temporaneo di persone detenute nello Stato di emissione, ai fini del compimento di atti di acquisizione probatoria da compiersi in Italia. La definizione delle modalità del trasferimento e del termine di rientro nello Stato di emissione sono concordate dal procuratore della Repubblica con l'autorità di emissione(comma 1).
Ai fini dell'esecuzione il procuratore della Repubblica dispone che la persona temporaneamente trasferita venga custodita, per la durata del trasferimento temporaneo, nella casa circondariale del luogo di compimento dell'atto di indagine o di prova. Le spese di mantenimento sono a carico dello Stato (comma 2)
La persona trasferita beneficia di un'immunità nel periodo di trasferimento che la pone al riparo da qualsiasi azione giudiziaria nei suoi confronti per fatti - diversi da quelli per i quali è stato disposto il trasferimento- commessi o per condanne pronunciate prima della sua partenza. Tale immunità ha termine se la persona trasferita, pur avendo avuto la possibilità di lasciare il territorio per quindici giorni consecutivi dalla data in cui la sua presenza non era più richiesta, sia rimasta comunque nel territorio ovvero vi sia tornata dopo averlo lasciato (comma 3).
Articolo 18
(Audizione mediante videoconferenza o trasmissione audiovisiva)
L’articolo 18 disciplina l'esecuzione della richiesta di procedere con videoconferenza all'audizione della persona sottoposta ad indagini, dell’imputato, del testimone, del consulente tecnico o del perito.
La disposizione prevede un accordo tra le autorità di esecuzione e quella di emissione relativamente alle modalità dell’audizione, anche per eventualmente poter proteggere la persona da ascoltare(comma 1). Nei casi previsti dall'articolo 5 dello schema (ovvero quando, secondo la legge processuale interna o perché espressamente indicata in richiesta, è il giudice a dover assumere l’atto), il procuratore della Repubblica deve richiedere l'esecuzione dell'ordine di indagine al GIP (comma 3).
Con specifico riguardo all’audizione dell’indagato o dell’imputato, la disposizione precisa che si potrà dare corso alla richiesta solo se gli interessati acconsentono a rendere dichiarazioni (comma 2).
Analogamente, ai sensi del comma 6, quando a essere audito sia un testimone, l’autorità italiana dovrà essere assicurata la facoltà di astensione prevista dal nostro ordinamento e dal quello dello Stato di emissione(artt. 199 e ss. c.p.p.).
Il procuratore della Repubblica e il giudice - ciascuno nell’ambito delle rispettive attribuzioni - provvederanno:
ü alla nomina di un interprete (nei casi previsti dalla legge);
ü all’identificazione della persona da audire;
ü a notificare ora e luogo della comparizione;
ü a citare il testimone, il consulente tecnico o il perito;
ü a invitare l’indagato o l’imputato a comparire, nel rispetto del codice di procedura penale e informandoli dei diritti e delle facoltà riconosciute dall’ordinamento dello Stato di emissione (commi 4 e 5).
Si
tratta, a ben vedere, di modalità pratiche volte a tutelare la persona.
Spetterà all’autorità di emissione condurre o dirigere l’audizione, il cui verbale sarà poi trasmesso all'autorità di emissione. Il procuratore della Repubblica o il giudice quando provvede all'esecuzione dell'ordine di indagine devono assicurare, nel compimento dell'atto, il rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano(commi 6 e 7).
Il comma 8, infine, stabilisce l’applicabilità, ai fatti commessi nel corso della videoconferenza, di alcuni delitti contro l’attività giudiziaria previsti dal codice penale.
In particolare, vengono richiamate le fattispecie di
rifiuto di uffici legalmente dovuti (articolo 366 c.p.), di simulazione di
reato (articolo 367 c.p.), di calunnia (articolo 368 c.p.), di autocalunnia (articolo
369 c.p.), di false informazioni al PM (articolo 371-bis c.p.) e di falsa testimonianza (articolo 372 c.p.) e falsa
perizia o interpretazione (articolo 373 c.p.).
Articolo 19
(Audizione mediante teleconferenza)
L’articolo 19 disciplina la possibilità di audire con il mezzo telefonico, anziché con la videoconferenza, testimoni o periti.
Si
tratta di una modalità di audizione non contemplata nel nostro ordinamento.
Proprio per tale ragione essa è prevista esclusivamente quando la richiesta
provenga dall'autorità di emissione.
Nella
stessa relazione illustrativa si rileva come tale istituto sia destinato a
trovare scarsa applicazione in considerazione dell'ampia diffusione degli
strumenti di comunicazione video.
La disposizione, che quanto alla procedura da seguire per l’audizione rinvia all’articolo 18 dello schema di decreto legislativo in quanto compatibile (v. sopra), richiede:
ü che la richiesta provenga dall’autorità di emissione;
ü e che non sia opportuno o possibile che il testimone o il perito compaiano personalmente dinnanzi all'autorità di emissione.
Nel caso in cui l'audizione davanti al giudice è condizione della richiesta il procuratore deve richiedere l'intervento del Gip.
Articolo 20
(Informazioni e documenti presso banche e istituti finanziari)
L'articolo, dando attuazione all'articolo 28 della direttiva, disciplina il caso di richiesta di informazioni in tempo reale sul flusso informatico di dati attinenti ad un conto bancario o di un istituto finanziario. In tale caso il PM deve dare esecuzione alla richiesta ove necessario, se cioè ricorrano nel caso concreto comunicazioni tutelate, con le forme stabilite dagli artt. 255 (sequestro presso banche) e 256 (dovere di esibizione e segreti) c.p.p.(comma 1) .
Il rinvio agli artt. 255 e 256 c.p.p. consente
in caso di ricezione di un ordine di indagine penale di provvedere o attraverso
il sequestro della documentazione esistente presso banche e istituti,
dimostrative dell'intestazione di un conto o di un rapporto, ovvero ordinando
alle stesse di mettere a disposizione dell'autorità giudiziaria i documenti
richiesti relativi alla titolarità del conto corrente o dei rapporti intrattenuti.
Per quanto concerne l’acquisizione in tempo reale dei flussi informatici o telematici provenienti o diretti a banche e istituti finanziari, il PM provvede, se necessario, mediante richiesta al Gip secondo quanto previsto dagli articoli 266 e seguenti c.p.p.(comma 2).
In
particolare l'art. 266-bis c.p.p.
prevede la possibilità di intercettare i flussi di comunicazioni relativi a
sistemi informatici.
Nel caso in cui l’ordine di indagine non illustri i motivi per i quali gli atti sono rilevanti nel procedimento il PM prima di darvi esecuzione deve richiedere all’autorità di emissione di fornire la relativa indicazione e ogni altra informazione utile ai fini della tempestiva ed efficace esecuzione dell’attività richiesta (comma 3).
Articolo 21
(Operazioni sotto copertura)
L’articolo 21, comma 1, prevede che l'ordine di indagine per i compimento di operazioni sotto copertura è riconosciuto ed eseguito nel rispetto della disciplina nazionale delle operazioni sotto copertura, di cui all’articolo 9 della legge n. 146 del 2006.
Si ricorda che l’articolo 9 della legge n. 146 del 2006, di ratifica della
Convenzione e dei Protocolli ONU contro il crimine organizzato transnazionale,
detta una disciplina generale delle
operazioni sotto copertura, che sono autorizzate esclusivamente in relazione ai seguenti delitti:
ü di falsità in monete, in
carte di pubblico credito e in valori di bollo, di cui agli articoli 453, 454,
455, 460 e 461 c.p.;
ü di contraffazione,
alterazione o uso di marchi o segni distintivi, brevetti, modelli e disegni di
cui all'articolo 473 c.p. e di introduzione nello Stato e commercio di prodotti
con segni falsi di cui all’articolo 474 c.p.;
ü di estorsione ex articolo
629 c.p., sequestro di persona ex articolo 630 c.p., usura ex articolo 644
c.p.; di riciclaggio ex articolo 648 bis
c.p. ed impiego di denaro di provenienza illecita ex articolo 648 ter c.p.;
ü contro la personalità
individuale, di cui al Libro II, Titolo XII, Capo III, Sezione I, del codice
penale;
ü concernenti armi, munizioni,
esplosivi;
ü in materia di immigrazione
clandestina previsti dall'articolo 12 del T.U. immigrazione;
ü in materia di stupefacenti
di cui al T.U. stupefacenti;
ü di attività organizzate per
il traffico illecito di rifiuti di cui all'articolo 260 del Codice
dell’ambiente (d.lgs. n. 152 del 2006);
ü in materia di sfruttamento
della prostituzione di cui all'articolo 3 della legge n. 75 del 1958;
ü con finalità di terrorismo e
di eversione.
La normativa nazionale esclude la punibilità degli ufficiali e agenti delle forze di polizia che, nei limiti delle
proprie competenze, nel corso di specifiche operazioni di polizia, al solo fine
di acquisire elementi di prova in ordine ai suddetti delitti, «danno rifugio o
comunque prestano assistenza agli associati, acquistano, ricevono,
sostituiscono od occultano denaro, armi, documenti, sostanze stupefacenti o
psicotrope, beni ovvero cose che sono oggetto, prodotto, profitto o mezzo per
commettere il reato o altrimenti ostacolano l'individuazione della loro
provenienza o ne consentono l'impiego o compiono attività prodromiche e
strumentali». L'esecuzione delle operazioni sotto copertura deve essere
autorizzata e l’organo che dispone l'esecuzione delle operazioni deve darne
preventiva comunicazione all'autorità giudiziaria competente per le indagini.
Nell’ambito di operazioni sotto copertura, gli
agenti possono omettere o ritardare gli atti di propria competenza, compiere
attività controllate di pagamento di riscatti, ritardare l’esecuzione di
provvedimenti di sequestro o l’applicazione di misure cautelari, dandone
tempestiva comunicazione al PM.
A tutela della riservatezza sulle operazioni e di
coloro che le svolgono è prevista la reclusione da 2 a 6 anni per chiunque
indebitamente rivela ovvero divulga i nomi degli ufficiali o agenti di polizia
giudiziaria che effettuano le operazioni.
Nel caso in cui l'ordine di indagine non illustri i motivi per i quali gli atti sono rilevanti nel procedimento, il procuratore della Repubblica prima di darvi esecuzione richiede all'autorità di emissione di fornire la relativa indicazione e ogni altra informazione utile ai fini della tempestiva ed efficace esecuzione dell'attività richiesta (comma 2)
Ai sensi del comma 3, ai fini dell'esecuzione della richiesta può essere promossa la costituzione di una squadra investigativa comune.
Il comma 4 attribuisce al funzionario dello Stato di emissione che partecipa alle attività nel nostro paese la qualifica di pubblico ufficiale. Ciò consente l’applicazione della causa di non punibilità prevista dall’articolo 9, comma 1, della legge n. 146 del 2006 (v. sopra).
Si
ricorda infatti che, se le operazioni sotto copertura sono autorizzate e si
svolgono nel rispetto dell’articolo 9 della legge, gli ufficiali ed agenti che
le compiono non sono punibili, fermo
quanto disposto dall'articolo 51 c.p. sull’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere.
Il comma 5 della disposizione riguarda infine la responsabilità civile per eventuali danni causati a terzi nel corso delle operazioni. Lo schema di decreto legislativo prevede che il risarcimento venga pagato dallo Stato, che potrà poi rivalersi sullo Stato di emissione.
Articolo 22
(Ritardo o omissione degli atti di arresto o di sequestro)
L'articolo prevede che, nell’ambito di operazioni sotto copertura, il
procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto,
previo accordo con l'autorità di emissione, può omettere o ritardare gli atti di propria competenza, compiere
attività controllate di pagamento di riscatti, ritardare l’esecuzione dell'arresto,
del fermo, della perquisizione o del sequestro probatorio (comma 1).
Ai sensi del comma 2, nel
caso in cui l'ordine di indagine non illustra i motivi per i quali gli atti
sono rilevanti nel procedimento il procuratore della Repubblica prima di darvi
esecuzione richiede all'autorità di emissione di fornire la relativa
indicazione e ogni altra informazione utile ai fini della tempestiva ed
efficace esecuzione dell'attività richiesta.
Articoli da 23 a 25
(Intercettazione di telecomunicazioni)
Il capo III disciplina le intercettazioni di telecomunicazioni nell’ambito della procedura passiva, ovvero il procedimento da seguire per dare esecuzione in Italia a un ordine europeo di indagine che richieda il compimento di tali attività. La richiesta delle autorità nazionali di procedere con intercettazioni in altro Stato UE (procedura attiva) è invece disciplinata dagli articoli 43 e 44 dello schema (v. infra).
In particolare, gli articoli 23 e 24 sono attinenti alle attività di intercettazione e riguardano, il primo, l’intercettazione da realizzare in Italia con l’assistenza tecnica dell’autorità giudiziaria italiana e, il secondo, la notifica all’autorità italiana delle attività di intercettazione già in corso; l’articolo 25 riguarda invece la trasmissione di tabulati.
Opportunamente la relazione illustrativa ricorda le similitudini tra la direttiva 2014/41/UE e la Convenzione di Bruxelles del 2000 sull’assistenza giudiziaria (oggetto di attuazione con l’A.G. 387) e rileva l’esigenza di tenere conto del fatto che il tema delle intercettazioni si inserisce su un quadro tecnologico caratterizzato da un alto coefficiente di innovazione; da questo deriva «la necessità di non parametrare le norme di attuazione a specifiche tecniche, apparendo al riguardo di gran lunga preferibile una puntualizzazione in termini giuridici generali».
La relazione evidenzia come, grazie al progresso tecnologico e agli accordi di roaming tra i gestori della telefonia, si siano notevolmente ridotte le ipotesi nelle quali lo stato estero abbisogna dell’assistenza dell’autorità giudiziaria nazionale per realizzare l’intercettazione. «In sostanza, non può essere ravvisata la necessità di "assistenza tecnica richiesta per effettuare l'intercettazione delle competenti autorità nazionali" nel caso in cui l'utenza mobile oggetto dell' intercettazione sia riferibile ad un gestore telefonico che abbia stipulato accordi di roaming tali da assicurare in automatico il trasferimento delle comunicazioni sul territorio dello Stato nel quale l'atto deve essere eseguito. In sintesi, si deve rilevare:
1. l'insussistenza di problemi a livello esecutivo per un'utenza che fruisca della connettività diretta assicurata da un gestore italiano.
2. nel caso di utenza di un gestore italiano utilizzata ad es. in un altro Paese, all'atto della chiamata il cellulare si connette alla stazione radio base più vicina (e quindi sita nel territorio estero). Il sistema della stazione riconosce il numero telefonico (caratterizzato dal prefisso +39) ed il numero IMSI che caratterizzano la chiamata; attraverso i meccanismi automatici di roaming tali dati vengono "dirottati" sul sistema nazionale.
3. nel caso di utenza di gestore estero che "si connette" una stazione radio base in Italia, non sussistono del pari problemi di esecuzione, in quanto la trasmissione dei dati avviene, almeno in parte, in Italia.
4. nel caso di utenza di gestore estero con chiamata che avviene all'estero ed è destinata all'estero, non sussiste in termini generali la possibilità tecnica di dare corso ad una intercettazione su comunicazione "collocata" almeno in parte sulla rete italiana.
Nei casi 1, 2, 3 non si presenta la necessità di avvalersi della collaborazione ''tecnica'' di un altro Stato; nel caso 4 non si tratterebbe tanto di una necessità di avvalersi tecnicamente, quanto di procedere con richiesta di assistenza internazionale (di carattere generale o nell' ambito di una convenzione)».
Analiticamente, l’articolo 23 disciplina l’ipotesi in cui l’autorità giudiziaria di un altro Stato membro UE debba eseguire un’intercettazione in Italia ed abbia a tal fine bisogno dell’assistenza tecnica dell’autorità giudiziaria italiana.
In questo caso la disposizione prevede che:
ü competente al riconoscimento dell’ordine di indagine per lo svolgimento di intercettazioni sia il procuratore distrettuale;
ü il procuratore distrettuale debba verificare la regolarità dell’ordine di indagine (autorità che richiede l’intercettazione, titolo che l’autorizza, dati tecnici necessari allo svolgimento delle operazioni; durata e motivo dell’indagine) prima di riconoscerlo;
ü l’ordine di indagine riconosciuto sia trasmesso al GIP per la decisione circa la sua esecuzione;
ü il GIP possa negare l’esecuzione nei casi previsti dall’art. 10 nonché «se non sussistono le condizioni di ammissibilità previste dall’ordinamento interno»;
ü del rifiuto debba essere data comunicazione tempestiva all’autorità richiedente.
Se invece il GIP autorizza l’esecuzione, si può procedere trasmettendo direttamente all’autorità estera i flussi comunicativi ovvero procedendo all’intercettazione per poi trasmettere registrazioni e risultati. L’autorità che ha emesso l’ordine di indagine potrà anche chiedere la trascrizione, la decodificazione o la decrittazione della registrazione.
Se nel corso delle intercettazioni vengono acquisite comunicazioni dei servizi di informazione per la sicurezza, il procuratore della Repubblica dovrà secretare le comunicazioni custodendo i supporti in luogo protetto (ex art. 270-bis c.p.p.), prima di trasmettere i risultati all’autorità richiedente.
L’articolo 23 specifica che le spese sostenute per l’esecuzione delle intercettazioni sono a carico dello Stato che dà esecuzione all’ordine di indagine, eccezion fatta per le eventuali spese di trascrizione, decodificazione o decrittazione.
L’articolo 24 disciplina invece il caso in cui l’autorità giudiziaria di un altro Stato membro UE stia già procedendo all’intercettazione di una utenza che si trova in Italia, senza aver avuto bisogno di assistenza tecnica: anche in questo caso, proprio perché si sta intercettando qualcuno nel territorio italiano, l’autorità estera dovrà notificare al procuratore della Repubblica l’avvio delle operazioni.
Il PM trasmetterà immediatamente la notizia al GIP, che potrà ordinare la cessazione delle operazioni se le intercettazioni riguardano un reato per il quale questo strumento di indagine non è consentito nel nostro ordinamento.
Spetterà al PM – che in base all’art. 4 dello schema è sempre il Procuratore distrettuale - comunicare entro 96 ore all’autorità giudiziaria dello Stato membro il provvedimento di cessazione e la conseguente non utilizzabilità delle intercettazioni.
In sostanza, con l’attuazione della Direttiva 2014/41/UE si afferma il principio per cui tutte le volte che si ascoltano utenze all’estero, anche se ciò è reso possibile dal roaming senza richiedere assistenza dello Stato nel quale si trova l’utenza, occorre che le autorità giudiziarie di tale Stato siano messe comunque a conoscenza delle operazioni. Con la conseguente possibilità di bloccare le operazioni di intercettazione e rendere inutilizzabili le prove acquisite.
L’articolo 25 rinvia alle modalità dettate dall’art. 256 del codice di procedura penale, relativo al dovere di esibizione di dati documentali, per l’esecuzione dell’ordine di indagine riguardante i dati del traffico telefonico o informatico (c.d. tabulati). L’autorità competente per l’esecuzione dell’ordine è il procuratore della Repubblica; non è previsto l’intervento del GIP.
L’articolo 256 c.p.p. (Dovere di esibizione) prevede che a seguito della richiesta dell’autorità giudiziaria, le persone tutelate dal segreto professionale e dal segreto d’ufficio devono consegnare immediatamente gli atti e i documenti, anche in originale se così è ordinato, nonché i dati, le informazioni e i programmi informatici, anche mediante copia di essi su adeguato supporto, e ogni altra cosa esistente presso di esse per ragioni del loro ufficio, incarico, ministero, professione o arte, salvo che dichiarino per iscritto che si tratti di segreto di Stato ovvero di segreto inerente al loro ufficio o professione.
Articolo 26
(Provvedimenti di sequestro)
L’articolo 26 dà attuazione all’art. 32 della Direttiva, che prevede la possibilità di chiedere l’emissione di un ordine europeo di indagine per sequestrare prove utili nel processo penale.
A fronte dell’ordine di indagine, l’autorità giudiziaria italiana ha 24 ore di tempo per sequestrare il corpo del reato o le cose pertinenti al reato.
La disposizione non specifica quale sia l’autorità competente; la relazione illustrativa afferma invece che: «L'esigenza di provvedere celermente e di facilitare -per l'autorità di emissione -l'ufficio destinatario della richiesta ha portato a individuare l'autorità di esecuzione sulla base di un criterio geografico di prossimità, nel luogo cioè ove si trova la cosa da sequestrare».
Le cose sequestrate potranno essere trasferite all’autorità di emissione, con le modalità delineate dall’art. 12 (v. sopra), ovvero trattenute in Italia. In quest’ultima ipotesi l’autorità di emissione dell’ordine dovrà indicare il termine trascorso il quale il sequestro è revocato.
Si rammenta che l’art. 32, paragrafo 4, della direttiva, prevede distingue più in dettaglio due ipotesi, nel caso in cui un ordine europeo di indagine è corredato dell'istruzione secondo cui le prove devono rimanere nello Stato di esecuzione: l'autorità di emissione deve infatti indicare la data in cui il provvedimento provvisorio è revocato oppure la data stimata della presentazione della richiesta di trasferimento delle prove nello Stato di emissione.
La disposizione infine consente al PM di revocare il sequestro (senza peraltro indicare espressamente i presupposti per la revoca), dovendosi limitare ad informare della decisione l’autorità di emissione, che può formulare osservazioni.
L’art. 32, paragrafo 5, della direttiva, precisa che: l'autorità di esecuzione può, previa consultazione dell'autorità di emissione, in conformità del diritto e delle prassi interni, stabilire condizioni adeguate alle circostanze del caso, al fine di limitare la durata di validità del provvedimento provvisorio; l'autorità di emissione deve notificare immediatamente all'autorità di esecuzione che il provvedimento provvisorio è stato revocato.
Il Titolo III dello schema di decreto legislativo (articoli da 27 a 46) disciplina la procedura attiva, ovvero la procedura che deve essere seguita dalle autorità giudiziarie italiane per emettere un ordine di indagine da eseguire in altro Stato UE.
Articoli da 27 a 36
(Emissione dell’ordine di indagine)
In particolare, gli articoli da 27 a 36 dello schema disciplinano la procedura di emissione dell’ordine di indagine.
L’articolo 27 chiarisce il campo d’applicazione di questa disciplina, che viene individuato nel procedimento penale e nel procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale.
L’ordine di indagine può essere emesso tanto dal pubblico ministero, nel corso delle indagini preliminari, quanto dal giudice, nella fase successiva all’esercizio dell’azione penale, e viene indirizzato direttamente all’autorità di esecuzione.
Quando l’ordine è emesso dal giudice, questi procederà sentite le parti.
In base all’articolo 28, l’ordine europeo di indagine relativo al sequestro a fini probatori può essere impugnato dall’indagato, dall’imputato, dal loro difensore, dalle persone alle quali il bene oggetto di sequestro viene sottratto. Si procede con una richiesta di riesame da presentare al tribunale entro 10 giorni dal sequestro, con le modalità previste dal codice di rito per l’impugnazione delle misure cautelari reali (art. 324 c.p.p.).
L’articolo 29 disciplina la partecipazione dell’autorità giudiziaria italiana all’esecuzione dell’ordine di indagine emesso. In particolare, se l’ordine di indagine è emesso dal giudice, egli può chiedere di partecipare direttamente all’esecuzione dell’ordine, accordandosi con l’autorità di esecuzione dell’ordine. Se invece l’ordine è emesso dal PM, egli può:
- partecipare direttamente all’esecuzione;
- fare partecipare uno o più ufficiali di polizia giudiziaria;
- promuovere la costituzione di una squadra investigativa comune, come previsto dal decreto legislativo n. 34 del 2016.
Il decreto legislativo n. 34 del 2016 ha dato attuazione alla decisione quadro 2002/465/GAI che, a sua volta, riproponeva integralmente il contenuto dell’articolo 13 della Convenzione di Bruxelles del 2000.
Il provvedimento disciplina la richiesta di costituzione di squadra investigativa comune presentata dall’autorità giudiziaria italiana e la procedura che segue ad un’analoga richiesta proveniente da Stato estero.
In particolare, per quanto riguarda la c.d. procedura attiva, l’articolo 2 stabilisce che la richiesta di costituzione di una squadra investigativa comune può essere presentata da ciascun procuratore della Repubblica. Nel caso in cui diversi uffici del pubblico ministero procedono ad indagini collegate, la richiesta è formulata d’intesa fra loro.
La richiesta può essere presentata quando sussista l’esigenza di compiere:
- indagini in relazione a delitti puniti con pena massima non inferiore a 5 anni di reclusione o ai delitti di cui agli articoli 51, commi 3-bis, 3-quater e 3-quinquies, e 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale;
- indagini particolarmente complesse sul territorio di più Stati o di assicurare il loro coordinamento.
La richiesta di istituzione della squadra investigativa comune oltre ad essere trasmessa all'autorità competente dello Stato membro o degli Stati membri con cui si intende istituire una squadra, deve essere comunicata anche al procuratore generale presso la Corte d’appello.
Le disposizioni sulla responsabilità per i danni previste dal decreto legislativo sulle squadre investigative comuni si applicano anche in caso di partecipazione diretta del PM o della polizia giudiziaria all’esecuzione dell’ordine all’estero.
L'art. 7 del decreto legislativo n. 34 disciplina la responsabilità civile dei membri della squadra investigativa. In particolare il comma 1 limita la responsabilità dello Stato italiano ai soli danni causati dai propri componenti della squadra investigativa comune e derivanti dalle attività della squadra stessa. In base al comma 2 se i componenti della squadra hanno causato danni a terzi nel territorio di un altro Stato membro, lo Stato italiano è tenuto a rimborsare integralmente a quest’ultimo le somme dal medesimo versate per ristorare il danno subito dalle parti lese. Infine il comma 3, dando attuazione all’articolo 2 della decisione quadro n. 2002/465/GAI, prevede che per i danni cagionati dai componenti della squadra investigativa comune sul territorio italiano sia responsabile lo Stato italiano, che a tal fine provvederà al risarcimento. Resta ferma la possibilità per lo Stato italiano di agire in rivalsa verso lo Stato di appartenenza dei membri distaccati per ottenere il rimborso delle somme versate.
L’articolo 30 individua, in attuazione dell’art. 5 della Direttiva, il contenuto dell’ordine di indagine: autorità di emissione, oggetto e ragioni della richiesta di indagine, individuazione della persona interessata dal compimento dell’atto; descrizione del fatto per cui si procede e norme di legge che si assumono essere state violate, descrizione dell’atto richiesto.
L’Allegato A dello schema di decreto legislativo contiene un modello dell’ordine europeo di indagine.
L’articolo 31, in attuazione dell’art. 1 della direttiva, disciplina l’ordine europeo emesso dall’autorità giudiziaria italiana su richiesta della difesa dell’indagato, dell’imputato o della persona per la quale è proposta l’applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale.
La difesa dovrà presentare richiesta motivata dell’atto di indagine al PM o al giudice, a seconda della fase del procedimento penale; il PM risponderà con un decreto motivato, il giudice con ordinanza, sentite le parti.
Se ad essere richiesto è un sequestro, in base all’art. 368 c.p.p., richiamato dallo schema, il PM - quandanche ritenesse di rigettare la richiesta - dovrà comunque rivolgersi al GIP.
In base all’articolo 32, l’ordine europeo di indagine emesso dall’autorità giudiziaria italiana e tradotto è trasmesso direttamente all’autorità di esecuzione, con l’ausilio dell’autorità centrale – Ministero della Giustizia – solo nei casi indispensabili («se necessario»).
La relazione illustrativa chiarisce che l’inciso «“se necessario” corrisponde alla previsione dell’art. 7, par. 7 della direttiva. L'idea è che le autorità giudiziarie abbiano rapporti diretti, senza doversi rivolgere all’autorità centrale; il ministero fornirà un ausilio se ci sono problemi».
L’individuazione dell’autorità competente all’esecuzione dell’atto di indagine e la trasmissione dell’ordine possono essere effettuati con l’ausilio della rete giudiziaria europea (e dei suoi punti di contatto).
Creata nel 1997, la rete giudiziaria europea (RGE) in materia penale è una rete di punti di contatto degli Stati membri, scelti tra autorità giudiziarie o altre aventi competenze specifiche nel campo della cooperazione giudiziaria internazionale. La Rete ha il compito di migliorare la cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri dell'Unione europea a livello giuridico e pratico al fine di combattere la grande criminalità, in particolare quella organizzata, la corruzione, il traffico di droga e il terrorismo. L'RGE mira a coordinare, in ciascuno Stato membro, persone competenti che svolgono un ruolo fondamentale sul piano pratico nel settore della cooperazione giudiziaria in materia penale, al fine di creare una rete di esperti per assicurare la corretta esecuzione delle richieste di assistenza giuridica. L'RGE svolge un ruolo particolarmente importante nel contesto dell'applicazione del principio dei contatti diretti tra autorità giudiziarie competenti.
L'RGE è composta da punti di contatto degli Stati membri e della Commissione europea. I punti di contatto nazionali sono designati da ciascuno Stato membro tra le autorità centrali incaricate della cooperazione giudiziaria internazionale, le autorità giudiziarie e altre autorità competenti con responsabilità specifiche nel campo della cooperazione giudiziaria internazionale, sia in generale sia per determinate forme di grande criminalità, quali la criminalità organizzata, la corruzione, il traffico di stupefacenti o il terrorismo.
I punti di contatto sono "intermediari attivi" incaricati di facilitare la cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri, in particolare al fine di combattere varie forme di grande criminalità. La decisione del Consiglio sulla Rete giudiziaria europea stabilisce che i punti di contatto consentiranno alle autorità competenti locali di "stabilire i contatti diretti più appropriati".
Altre funzioni dei punti di contatto consistono nel fornire le informazioni giuridiche e pratiche necessarie alle autorità locali per elaborare in modo efficace una richiesta di cooperazione giudiziaria, nonché nel coordinare le funzioni qualora una serie di richieste di autorità giudiziarie locali di uno Stato membro richieda un'azione coordinata in un altro Stato membro.
L’articolo 33 prevede che le due autorità giudiziarie, di emissione e di esecuzione dell’ordine, concordino le modalità di compimento dell’atto di indagine o di prova; in particolare, l’autorità di emissione dovrà informare quella di esecuzione dei diritti e delle facoltà riconosciuti dalla legge alle parti e ai loro difensori.
L’articolo 34 disciplina l’ipotesi in cui siano emessi due ordini di indagine tra loro collegati e prevede:
- che nell’ordine di indagine successivo si dia notizia del legame con il precedente (utilizzando la sezione D del modello allegato allo schema);
- che il successivo possa essere presentato direttamente dall’autorità giudiziaria di emissione che si trovi a partecipare all’esecuzione dell’ordine precedente. In sostanza, se nel corso del compimento del primo atto di indagine, l’autorità giudiziaria che partecipa all’esecuzione ravvisa l’esigenza di un ulteriore atto di indagine, può formularne direttamente la richiesta.
L’articolo 35 disciplina il seguito dell’esecuzione dell’ordine europeo di indagine, prevedendo che l’autorità giudiziaria (giudice o PM) che ha emesso l’atto debba comunicare alle parti ed ai difensori gli esiti delle attività compiute dall’autorità di esecuzione.
L’articolo 36 delinea il regime di utilizzabilità processuale degli atti di indagine e delle prove assunte all’estero a seguito di un ordine europeo.
La disposizione prevede che debbano essere inseriti nel fascicolo per il dibattimento i seguenti atti acquisiti o compiuti all’estero in esecuzione di un ordine europeo di indagine:
- i documenti;
- i verbali degli atti ai quali i difensori hanno assistito potendo esercitare le facoltà riconosciute alla difesa dall’ordinamento italiano, ivi compresi gli atti assunti con incidente probatorio;
- i verbali degli atti non ripetibili.
Quando l’ordine di indagine è emesso nel corso delle indagini preliminari, o da parte del GIP, il giudice, a richiesta di parte, può dare lettura dei verbali di dichiarazioni rese all’estero.
Questa disposizione riproduce quanto oggi previsto dall’art. 512-bis c.p.p. circa le dichiarazioni rese all’estero anche a seguito di rogatoria internazionale.
Come specifica la relazione illustrativa, «gli atti garantiti e gli atti irripetibili raccolti attraverso il nuovo strumento di cooperazione contribuiscono quindi a formare il fascicolo per il dibattimento, non diversamente da quelli raccolti mediante il vecchio sistema della rogatoria internazionale. Quanto alla prova dichiarativa raccolta mediante ordine di indagine nella fase delle indagini essa è sottoposta al medesimo regime di lettura stabilito dall'art. 512 bis c.p.p. per la prova raccolta mediante rogatoria. Il riferimento agli atti non indicati ciati dall'art. 431 c.p.p. è volto a chiarire che il regime di cui all'art. 5.12-bis C.p.p. riguarda le informazioni raccolte dal pubblico ministero in corso di indagine o dal Giudice dell'udienza preliminare ai sensi dell'art. 422c.p.p., non anche ovviamente gli atti assunti in incidente probatorio che sono in contrario raccolti nel fascicolo del dibattimento anche quando assunti mediante ordine di indagine (lettera b) del comma l del medesimo art.36 in esame)».
Articoli da 37 a 45
(Disposizioni specifiche per determinati atti di indagine)
Il Capo II disciplina la procedura attiva, di emissione dell’ordine europeo di indagine da parte dell’autorità giudiziaria italiana, con riferimento a specifiche attività.
In particolare, gli articoli 37 e 38 riguardano il trasferimento temporaneo di persone detenute. In entrambi i casi il presupposto per poter procedere è il consenso della persona da trasferire.
L’articolo 37 disciplina l’ipotesi in cui le autorità italiane (PM o giudice, a seconda della fase del procedimento penale) richiedano alle autorità di altro Stato membro il trasferimento temporaneo in Italia di un detenuto all’estero, per il compimento di specifiche attività di indagine. La disposizione prevede:
- che le autorità debbano concordare tra loro la durata e le modalità del trasferimento;
- che le spese siano a carico dell’Italia;
- che la persona sia custodita nella casa circondariale del luogo di compimento dell’atto di indagine o di prova (v. art. 17, comma 2, dello schema);
- che la persona trasferita non possa essere sottoposta a limitazioni della libertà personale per un fatto anteriore e diverso da quello per il quale il trasferimento temporaneo è autorizzato. Tale divieto viene meno nel caso in cui la persona temporaneamente trasferita – pur avendone la possibilità – non ha lasciato il territorio nazionale entro 15 giorni dal momento in cui la sua presenza non è più richiesta oppure – dopo avere lasciato il territorio nazionale - vi ha fatto volontariamente ritorno.
L’articolo 38 disciplina invece il caso in cui le autorità giudiziarie italiane abbiano necessità di trasferire temporaneamente all’estero una persona detenuta in Italia per compiere, all’estero appunto, un atto di indagine. Le spese, anche in questo caso, sono a carico dell’Italia e si rinvia (in quanto compatibile) a quanto prevista nell’ambito delle procedure passive dall’art. 16 dello schema (v. sopra). In particolare, il periodo di detenzione scontato all’estero nell’ambito del trasferimento temporaneo sarà computato nella durata della pena o della custodia cautelare.
L’articolo 39 disciplina l’ordine di indagine per svolgere un’audizione a distanza mediante videoconferenza. Analogamente a quanto previsto nell’ambito della procedura passiva (art. 18 dello schema), attraverso questa modalità possono essere sentiti:
- l’imputato o l’indagato, ma solo se vi consentono;
- testimoni, periti, consulenti tecnici e persone informate dei fatti.
L’ordine di indagine penale per l’audizione mediante videoconferenza può essere emesso in presenza dei seguenti presupposti:
- giustificati motivi per evitare la presenza fisica in Italia delle persone da audire;
- persona da audire detenuta nello Stato di esecuzione;
- casi previsti dall’art. 147-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, relativamente all’esame degli operatori sotto copertura, delle persone che collaborano con la giustizia e degli imputati di reato connesso.
Il presupposto per poter emettere un ordine di indagine di questo tipo è che l’autorità giudiziaria di esecuzione abbia la disponibilità dei mezzi tecnici necessari alla videoconferenza; se così non fosse, l’autorità giudiziaria italiana potrà, per il tramite del Ministero della giustizia, fornirglieli.
L’esecuzione dell’ordine avverrà in base a modalità concordate e l’autorità giudiziaria italiana dovrà verificare che la persona da ascoltare sia avvertita dei propri diritti e delle garanzie previste dall’ordinamento italiano.
Come è precisato nella relazione illustrativa «non è regolata la conferenza telefonica prevista in direttiva esclusivamente con riferimento a testimoni e periti in quanto si tratta di modalità di assunzione della prova non contemplata dall’ordinamento interno».
L’articolo 40 riguarda l’ordine di indagine per gli accertamenti bancari o fiscali per i quali è prevista l’utilizzazione di uno specifico modello, indicato in una apposita sezione (H4) dell’allegato A allo schema.
Gli articoli 41 e 42 – speculari agli articoli 21 e 22 dello schema sulle richieste dall’estero (v. sopra) - riguardano le operazioni sotto copertura.
In particolare, l’articolo 41 riguarda i casi in cui l’autorità giudiziaria italiana intenda utilizzare l’ordine di indagine per lo svolgimento di operazioni sotto copertura e rinvia alle modalità disciplinate dall’art. 9 della legge n. 146 del 2006.
La richiesta dovrà essere inoltrata dalle autorità italiane direttamente all’autorità di esecuzione, sempre secondo il modello allegato allo schema di decreto legislativo, e l’esecuzione delle operazioni dovrà essere concordata.
Il successivo articolo 42 riguarda invece l’ipotesi in cui l’autorità italiana, proprio per “proteggere” un’operazione sotto copertura in corso (disposta in base all’art. 9 della legge n. 146), utilizzi l’ordine di indagine per chiedere all’autorità giudiziaria di esecuzione di omettere o ritardare provvedimenti cautelari (arresto, fermo, perquisizione, sequestro probatorio).
Gli articoli da 43 a 45 disciplinano la procedura attiva di emissione da parte delle autorità giudiziarie italiane di un ordine di indagine per attività di intercettazione di comunicazioni.
Come già visto in relazione agli articoli da 23 a 25, la principale novità dell’attuazione della direttiva consiste nell’obbligo a carico degli Stati di informare sempre tempestivamente gli altri Stati membri UE quando sia in corso o in procinto di essere attivata una intercettazione di utenze situate all’estero, a prescindere dall’esigenza di una collaborazione tecnica da parte dello Stato sul quale è situata l’utenza da intercettare. La direttiva supera dunque il dato tecnologico che oggi consente nella maggior parte dei casi di svolgere l’intercettazione in roaming, senza ausilio di autorità estere, per richiedere comunque che siano fornite informazioni e che sia garantita la possibilità dello Stato ospitante l’utenza intercettata di negare l’autorizzazione alle attività.
In particolare, l’articolo 43 disciplina l’ipotesi in cui il PM abbia bisogno di assistenza tecnica da parte dell’autorità giudiziaria di altro Stato membro UE, al fine di intercettare una utenza (dispositivo o sistema informatico o telematico da controllare) che si trova su quel territorio. L’ordine di indagine dovrà essere redatto in base all’allegato (sez. H) e dovrà contenere i dati relativi all’autorità che ha disposto l’intercettazione, elementi utili ad individuare la persona da intercettare, i dati tecnici necessari all’operazione e la durata della stessa, i motivi della rilevanza dell’atto.
La relazione illustrativa specifica che, anche se l’ordine di indagine è emesso dal PM, questi potrà procedere solo previa emissione da parte del GIP di un valido provvedimento di autorizzazione alle operazioni , di cui è fatta espressa menzione nell’ordine di indagine; «non sono state cioè individuate ragioni per derogare allo schema generale in materia di intercettazioni. Sarà pertanto sempre il GIP a verificare i presupposti della richiesta, in base alla disciplina di cui agli articoli 266 e seguenti c.p.p. e quindi – eventualmente – a respingerla in assenza di tali presupposti».
Nella richiesta il PM indicherà se l’assistenza tecnica consiste nella trasmissione immediata delle telecomunicazioni ovvero nella trasmissione successiva degli esiti. In caso di richiesta relativa alla trascrizione, decodificazione o decrittazione, le spese dovranno essere anticipate dallo Stato.
L’articolo 44 riguarda invece l’ipotesi in cui, pur non essendo necessaria l’assistenza tecnica, l’intercettazione sia diretta verso un’utenza situata in altro Stato UE. Il PM dovrà comunque informare l’autorità giudiziaria competente dello svolgimento delle operazioni, dall’inizio ovvero non appena ha notizia che l’utenza si trova in altro Stato. Dall’obbligo di informare discende l’obbligo di cessare le operazioni se l’autorità giudiziaria estera, una volta informata, comunica che l’intercettazione non può essere proseguita.
La disposizione specifica che i risultati conseguiti con l’intercettazione potranno essere utilizzati nel procedimento penale «alle condizioni stabilite dall’autorità giudiziaria dello Stato membro»; ciò comporta che, a meno che l’autorità giudiziaria estera non specifichi l’inutilizzabilità, le prove acquisite prima della cessazione delle operazioni potranno essere utilizzate.
Infine, l’articolo 45 riguarda l’acquisizione dei c.d. tabulati telefonici o telematici, per la quale possono emettere un ordine di indagine tanto il PM quanto il giudice, in ragione della fase del procedimento penale. L’ordine di indagine dovrà contenere le informazioni utili a individuare l’utenza e ad identificare la persona oggetto di indagine, oltre al reato per il quale si procede.
Articolo 46
(Clausola di invarianza finanziaria)
L’articolo 46 specifica che dall’attuazione del decreto legislativo non dovranno derivare oneri per la finanza pubblica; conseguentemente le amministrazioni dovranno provvedere con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.