Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze - A.C. 3634
Riferimenti:
AC N. 3634/XVII     
Serie: Progetti di legge    Numero: 411
Data: 03/03/2016
Organi della Camera: II-Giustizia


+ maggiori informazioni sul dossier
+ maggiori informazioni sugli atti di riferimento

Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze

3 marzo 2016
Schede di lettura


Indice

Contenuto|Necessità dell'intervento con legge|Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite|Rispetto degli altri princìpi costituzionali|Compatibilità con la CEDU (a cura dell'Avvocatura della Camera dei deputati)|Compatibilità comunitaria|


Contenuto

 La proposta di legge C. 3634, approvata dal Senato il 25 febbraio 2016, consta di un articolo unico che detta due distinte discipline:

  • con la prima (commi da 1 a 35) sono regolamentate le unioni civili tra persone dello stesso sesso;
  • con la seconda (commi da 36 a 65) è introdotta una normativa sulle convivenze di fatto (che può riguardare sia coppie omosessuali che eterosessuali).

Le ultime disposizioni (commi da 66 a 69) riguardano la copertura finanziaria del provvedimento.


Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso (commi 1-35; 66-69)

Il Unione civilecomma 1 individua la finalità della legge nell'istituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso, quale specifica "formazione sociale" ai sensi degli artt. 2 e 3 della Costituzione, nonché nella disciplina delle convivenze di fatto.

- chi può costituirlaNel riconoscere a due persone maggiorenni dello stesso sesso il diritto di costituire una unione civile mediante dichiarazione di fronte all'ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni (comma 2), si prevede la registrazione degli atti di unione civile nell'archivio dello stato civile (comma 3). Il documento attestante la costituzione del vincolo deve contenere i dati anagrafici delle parti, l'indicazione del loro regime patrimoniale (comunione o separazione dei beni) e della loro residenza, oltre che i dati anagrafici e la residenza dei testimoni (comma 9).

L'articolo unico dispone ancora in ordine al cognome dell'unione civile prevedendo che le parti, mediante dichiarazione all'ufficiale di stato civile, possono indicare un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi; al contrario, i partner potranno anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome, se diverso (comma 10).

- cause impeditive E' prevista poi una serie di cause impeditive per la costituzione della unione civile (comma 4), la presenza di una delle quali determina la nullità dell'unione stessa (comma 5):

  • la sussistenza di un vincolo matrimoniale o di un'unione civile tra persone dello stesso sesso;
  • l'interdizione di una delle parti per infermità mentale; in caso sia soltanto promossa la causa di interdizione, il PM può chiedere che si sospenda il procedimento per l'unione civile; quest'ultimo riprende solo dopo la formazione del giudicato sulla causa per l'interdizione;
  • la sussistenza di rapporti di affinità o parentela tra le parti (primo comma dell'articolo 87 del codice civile);
  • la condanna definitiva di un contraente per omicidio consumato o tentato nei confronti di chi sia coniugato o unito civilmente con l'altra parte; se è stato disposto soltanto rinvio a giudizio ovvero sentenza di condanna di primo o secondo grado ovvero una misura cautelare la procedura per la costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso è sospesa sino a quando non è pronunziata sentenza di proscioglimento. Analoga causa impeditiva non è prevista - verosimilmente in relazione al diverso regime giuridico - con riguardo all'ipotesi in cui la vittima sia persona con la quale l'altra parte sia unita da contratto di convivenza.

 Lo stesso comma 5 stabilisce che all'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano alcuni articoli del codice civile relativi al matrimonio: in materia di nuovo matrimonio del coniuge (art. 65) e nullità del nuovo matrimonio (art. 68) nonché le disposizioni in materia di nullità del matrimonio relative all'interdizione (art. 119), all'incapacità di intendere e di volere (art. 120), alla simulazione (art. 123), all'azione del PM (art.125), alla separazione dei coniugi durante il giudizio (art. 126), all'intrasmissibilità dell'azione per impugnare il matrimonio (art. 127), al matrimonio putativo (art. 128), ai diritti dei coniugi in buona fede (art. 129) e alla responsabilità del coniuge in mala fede e del terzo (art. 129-bis).

- impugnazioneI commi da 6 a 8 riguardano l'impugnazione. Il comma 6 prevede la possibile impugnazione dell'unione civile, costituita nonostante la presenza di una causa impeditiva o in violazione del citato art. 68 c.c.; titolari dell'impugnazione sono, oltre ad una delle parti dell'unione, gli ascendenti prossimi, il PM e tutti coloro che hanno un interesse legittimo ed attuale al gravame. Si prevede, inoltre, che nel caso di costituzione di una nuova unione civile durante l'assenza di una delle parti, la nuova unione non è impugnabile finchè dura l'assenza.

Sul punto, si valiti l'opportunità di esplicitare il riferimento all'assenza dichiarata dal tribunale ai sensi dell'art. 49 del codice civile.

Il comma 7 estende sostanzialmente all'unione civile quanto previsto dall'art. 122 c.c. (violenza ed errore) per il matrimonio cioè la possibilità, per la parte, di impugnare il matrimonio se il suo consenso:

  • sia stato estorto con violenza o sia stato determinato da timore di eccezionale gravità, determinato da cause esterne alla parte;
  • sia stato dato per errore sull'identità della persona o per effetto di errore essenziale sulle qualità personali dell'altro contraente (l'errore essenziale è quello che riguarda: la presenza di grave malattia fisica o mentale che impedisca lo svolgimento della vita comune; l'esistenza di una sentenza di condanna alla reclusione non inferiore a 5 anni per delitto non colposo; la dichiarazione di delinquenza abituale o professionale; la circostanza che l'altro coniuge sia stato condannato per delitti concernenti la prostituzione a pena non inferiore a 2 anni). 

 Causa impeditiva dell'impugnazione è la circostanza che vi sia stata coabitazione per un anno dopo la cessazione della violenza o delle cause che hanno provocato il citato timore ovvero dopo la scoperta dell'errore.

Il comma 8 prevede la possibilità di impugnare in ogni tempo sia il matrimonio che l'unione civile dell'altra parte; analogamente a quanto previsto dall'art. 124 c.c. per il matrimonio, se, invece, viene opposta la nullità della prima unione, tale questione deve essere preventivamente giudicata.

 

- diritti e doveri Il comma 11 disciplina i diritti e doveri derivanti dall'unione civile omosessuale, nella sostanza riproducendo il contenuto dell'art. 143 del codice civile sul matrimonio (ad eccezione dell'obbligo di fedeltà, soppresso nel corso dell'esame in Assemblea al Senato): con la costituzione dell'unione civile le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri; l'unione comporta l'obbligo reciproco all'assistenza morale e materiale e alla coabitazione nonchè di contribuire ai bisogni comuni, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo. Il comma 12, riproducendo le previsioni dell'art. 144 c.c., stabilisce che l'indirizzo della vita familiare e la residenza comune siano concordati tra le parti, spettando a ciascuna di essa il potere di attuare l'indirizzo concordato.

Analogamente al matrimonio, il comma 13 prevede che il regime patrimoniale ordinario dell'unione civile consista nella comunione dei beni (art. 159 c.c.), fatta salva la possibilità che le parti formino una convenzione patrimoniale; a quest'ultima  cui si applicano le disposizioni del codice civile relative a forma (art. 162), modifica (art. 163), simulazione (art. 164) e capacità dell'inabilitato (art. 166) per la stipula delle convenzioni matrimoniali. Anche in tal caso, come nel matrimonio, resta ferma la possibilità di optare  per la separazione dei beni. Lo stesso comma 13, sancendo l'inderogabilità per i contraenti dei diritti e doveri derivanti dalla costituzione dell'unione civile, stabilisce in tema di regime patrimoniale l'applicazione a queste ultime della disciplina delle sezioni II (fondo patrimoniale, artt. 167-171), III (comunione legale, artt. 177-197), IV (comunione convenzionale, artt. 210 e 211), V (separazione dei beni, artt. 215-219) e VI (impresa familiare, art. 230-bis) del libro primo, titolo VI, del codice civile.

 

- estensione di istituti civilisticiIl comma 14 dell'articolo unico in esame estende alle unioni civili tra persone dello stesso sesso la disciplina dell'art. 342-ter c.c., prevedendo la possibilità che il giudice, su istanza della parte, applichi con decreto uno o più provvedimenti relativi al cd. ordine di protezione in caso di grave pregiudizio per l'integrità fisica o morale di una delle parti (con cui ordina all'altra parte la cessazione della condotta pregiudizievole, l'allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dall'istante e ai luoghi di istruzione dei figli della coppia; richiede l'intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare, nonché delle associazioni di sostegno e accoglienza a donne e minori vittime di abusi e maltrattati; imporre il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto dei provvedimenti adottati, rimangono prive di mezzi adeguati).

Si ricorda che già artt. 342-bis e 342-ter del codice civile (in tema di ordini di protezione contro gli abusi familiari)  prevedono le stesse forme di tutela dagli abusi sia per il coniuge che per il convivente. Parte della giurisprudenza ritiene che possano essere legittimati alla tutela anche i conviventi nell'ambito di un rapporto omosessuale (sempre se caratterizzato da un vincolo solidaristico con carattere di stabilità e durevolezza tali da conferire alla convivenza un determinato grado di certezza).

Il comma 15 prevede:

  • che la scelta dell'amministratore di sostegno da parte del giudice tutelare ricada, ove possibile, sulla parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso;
  • che l'iniziativa per l'interdizione e l'inabilitazione spetti anche alla parte dell'unione civile che, al cessare della causa, può chiederne la revoca.
L'art. 406 del codice civile prevede, tra i soggetti legittimati al ricorso per l'istituzione dell'amministratore di sostegno, anche "la persona stabilmente convivente", parimenti abilitata dal novellato art. 417 a promuovere l'interdizione e l'inabilitazione. L'art. 408 del codice civile prevede che il giudice tutelare debba designare come amministratore di sostegno, in mancanza del coniuge non separato legalmente, la persona stabilmente convivente, con preferenza rispetto a qualsiasi altro soggetto. Se è' indubbio che la disposizione si riferisca in primis alla convivenza more uxorio poiché, ai fini solidaristici propri dell'amministrazione di sostegno, vengono in rilievo, innanzi tutto situazioni connotate dalla c.d. affectio maritalis, tali situazioni possono concretarsi indifferentemente sia in convivenze eterosessuali che omosessuali.

Il comma 16 stabilisce che la violenza è causa di annullamento del contratto - analogamente a quanto previsto in generale dall'art. 1436, primo comma, del codice civile - anche quando il male minacciato riguarda la persona o i beni dell'altra parte dell'unione civile costituita dal contraente o da un discendente o ascendente di lui.

Il comma 17 stabilisce che, in caso di morte del prestatore di lavoro (parte dell'unione civile) vada corrisposta anche all'altra parte dell'unione sia l'indennità dovuta dal datore di lavoro (ex art. 2118 c.c.) che quella relativa al trattamento di fine rapporto (ex art. 2120 c.c.).

Il comma 18 prevede che, analogamente a quanto previsto per i coniugi, tra le parti dell'unione civile la prescrizione rimanga sospesa.

Pare opportuno che il comma 18 faccia esplicito riferimento alla prescrizione di cui all'art. 2941, primo comma, n. 1, c.c.

- obbligo degli alimentiIl comma 19 estende all'unione civile omosessuale la disciplina sugli obblighi alimentari prevista dal codice civile (libro primo, titolo XIII).

Trovano altresì applicazione alle unioni civili anche gli articoli 116, primo comma (matrimonio dello straniero nello Stato), 146 (allontanamento dalla residenza familiare), 2647 (costituzione del fondo patrimoniale e separazione dei beni), 2653, primo comma, n. 4 (trascrizione delle domande di separazione degli immobili dotali e di scioglimento della comunione tra coniugi avente per oggetto beni immobili) e 2659 (nota di trascrizione) oltre - come si è visto - l'articolo 2941, primo comma n. 1) (sospensione della prescrizione tra i coniugi), del codice civile.

Il comma 20 - fatte salve le disposizioni del codice civile non richiamate espressamente e quelle della legge sull'adozione (L. 4 maggio 1983, n. 184) - prevede che le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi», «marito» e «moglie», ovunque ricorrano nelle leggi, nei regolamenti, negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, trovino applicazione anche alla parte della unione civile tra persone dello stesso sesso.

Si ricorda che al Senato è stato soppresso l'art. 5 del testo presentato in Assemblea dalla relatrice, sen. Cirinnà (AS 2081) che, attraverso una modifica all'articolo 44, lettera b) della legge 4 maggio 1983 n. 184, interveniva in materia di adozione in casi particolari, consentendo alla parte di una unione civile di fare richiesta di adozione del figlio minore, anche adottivo del partner (cd. stepchild adoption). E' opportuno segnalare, in proposito, la nota decisione del Tribunale per i Minorenni di Roma, (sentenza 30/07/2014, n. 299), con la quale, il giudice ha riconosciuto, ai sensi del citato articolo 44, l'adozione, da parte di una coppia di donne omosessuali, di una bambina, figlia biologica di una di loro. Sulla decisione, confermata in appello, il PG ha proposto ricorso per cassazione. Il 1° marzo 2016 è stata diffusa la notizia da numerosi media che lo stesso Tribunale per i Minorenni di Roma - per la prima volta nel nostro Paese - ha riconosciuto sulle stesse basi giuridiche (facendo cioè riferimento alle citate adozioni in casi particolari), un'adozione incrociata di due bambine, figlie biologiche di partner omosessuali. Il giudice ha, infatti, riconosciuto il diritto delle due mamme ad adottare la figlia dell'altra. Le bambine, 4 e 8 anni, erano nate dalle due compagne attraverso una procedura di inseminazione artificiale praticata in Danimarca.

- diritti successoriIl comma 21 estende ai partner dell'unione civile parte della disciplina sulle successioni riguardante la famiglia contenuta nel libro secondo del codice civile; si tratta delle disposizioni: dei Capi III (Dell'indegnità) e X (Dei legittimari) del Titolo I; dell'intero Titolo II (Delle successioni legittime); dei Capi II (Della collazione) e V-bis (Del patto di famiglia) del Titolo IV.

 I successivi commi riguardano le seguenti ipotesi di scioglimento dell'unione civile, che riprendono gran parte della normativa relativa al divorzio (L. 898/1970):

  • per morte o dichiarazione di morte presunta di una delle parti (comma 22);
  • nella gran parte delle ipotesi in cui può essere chiesto il divorzio da uno dei coniugi (art. 3, n. 1 e n. 2, lett. a), c), d) ed e) legge 898/1970) (comma 23);
  • per volontà dei partner manifestata davanti all'ufficiale di stato civile; la domanda di scioglimento va proposta decorsi tre mesi dalla data in cui tale volontà è manifestata (comma 24);
  • a seguito della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso di una delle parti (comma 26);

- trasformazione del matrimonio in unione civileRecependo il dictum della Corte costituzionale (sentenza 11 giugno 2014, n. 170),  il comma 27 prevede una ipotesi di unione civile derivante dal matrimonio; se, infatti, dopo la rettificazione di sesso, i coniugi manifestano la volontà di non sciogliere il matrimonio o non cessarne gli effetti civili, questo si trasforma automaticamente in unione civile tra persone dello stesso sesso.

- negoziazione assistita e divorzio davanti al sindacoIl comma 25 estende alle unioni civili gran parte della disciplina della legge sul divorzio (tra esse, si segnala l'obbligo di una delle parti di somministrare periodicamente un assegno di mantenimento a favore dell'altro quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive; la possibilità di rivedere l'entità dell'assegno qualora sopravvengono giustificati motivi; la possibilità di imporre all'obbligato di prestare idonea garanzia reale o personale se esiste il pericolo che egli possa sottrarsi all'adempimento degli obblighi; la sua responsabilità penale  - ex art. 570 c.p. - ove si sottragga alla corresponsione dell'assegno; il diritto ad una percentuale dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge all'atto della cessazione del rapporto di lavoro) nonchè le disposizioni processuali in materia di famiglia e stato delle persone (libro quarto, titolo II, c.p.c.). Prevede l'applicazione alle stesse unioni civili delle discipline acceleratorie della separazione e dello scioglimento del matrimonio di cui agli artt. 6 (negoziazione assistita) e 12 (procedura semplificata davanti al sindaco quale ufficiale di stato civile) del decreto legge 132 del 2014 (conv. dalla legge 162 del 2014).

Delega al GovernoI commi da 28 a 31 prevedono una delega al Governo per l'ulteriore regolamentazione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso.

 La normativa delegata è adottata su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri dell'interno, del lavoro e delle politiche sociali e  degli affari esteri  e con l'ordinario coinvolgimento delle Commissioni parlamentari competenti (chiamate a pronunciarsi in via consultiva anche una seconda volta in caso di mancato recepimento del primo parere).  L'adozione del decreto (o dei decreti) legislativi avviene sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi:

  • adeguamento alla disciplina del provvedimento in esame delle disposizioni dell'ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni (lettera a);
  • modifica e riordino delle norme in materia di diritto internazionale privato, prevedendo l'applicazione della disciplina della unione civile omosessuale italiana alle coppie omosessuali che abbiano contratto all'estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo (lettera b);
  • modificazioni ed integrazioni normative per il necessario coordinamento del provvedimento in esame delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti (lettera c). Si valuti se il predetto coordinamento determini la modifica, anche parziale, con atto avente forza di legge di regolamenti o decreti.

Nel rispetto dei medesimi principi e criteri direttivi e con la stessa procedura, il Governo potrà  adottare, entro due anni dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto legislativo, ulteriori disposizioni integrative e correttive.

Unione civile come causa di invalidità del matrimonioI commi 32 e 33 modificano gli articoli 86 e 124 del codice civile, equiparando il vincolo giuridico  derivante dall'unione civile a quello derivante dal matrimonio.

Il comma 32 modifica l'articolo 86 (libertà di stato) inserendo fra le cause di invalidità del matrimonio anche la sussistenza di una precedente  unione civile tra persone dello stesso sesso. Il comma 33 prevede, di conseguenza, modificando l'art. 124 (vincolo del precedente matrimonio) l'impugnabilità in ogni tempo da parte del coniuge della precedente unione civile  contratta dall'altro coniuge.

Il comma 34 demanda ad un DPCM, su proposta del Ministro dell'interno, la disciplina transitoria necessaria all'adeguamento della tenuta dei registri di stato civile fino alla vigenza  dei decreti legislativi in materia di cui al comma 28, lett. a).

Il comma 35 prevede, infine, che l'efficacia delle disposizioni in materia di unioni civili tra persone dello stesso sesso (ovvero i commi da 1 a 34) decorra dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame.

I Copertura finanziariacommi da 66 a 69 disciplinano la copertura finanziaria delle disposizioni relative alle sole unioni civili. In particolare, il comma 66 individua gli oneri e ne dispone la copertura fino al 2025, autorizzando il Ministro dell'economia a provvedere alle relative variazioni di bilancio (comma 69).

Il comma 67 prevede un monitoraggio di tali oneri, sulla base di dati comunicati dall'INPS, da parte del Ministro del lavoro; in caso di scostamenti rispetto alle previsioni il Ministro dell'Economia è autorizzato a provvedere, dovendo altresì riferire con apposita relazione alle Camere (comma 68).

Dalla formulazione non risulta evidente se si tratti di una relazione orale in Assemblea o di una relazione scritta da trasmettere alle Camere.


Disciplina delle convivenze (commi 36-65)

La seconda parte del provvedimento è dedicata alla disciplina della convivenza di fatto, istituto che può riguardare tanto coppie eterosessuali quanto coppie omosessuali. Il Definizione di conviventi di fattocomma 36 definisce i conviventi di fatto come due persone maggiorenni:

  • non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da unione civile,
  • unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale
  • coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune. Il comma 37, infatti, richiama ai fini dell'accertamento della stabile convivenza il concetto di famiglia anagrafica previsto dal regolamento anagrafico (D.P.R. n. 223 del 1989).
In merito si ricorda che la costante giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, maturata con riguardo alla famiglia di fatto ha sempre ritenuto necessaria la presenza di una situazione interpersonale di natura affettiva con carattere di tendenziale stabilità e con un minimo di durata temporale e che si esplichi in una comunanza di vita e di interessi e nella reciproca assistenza morale e materiale (Cassazione civile, Sentenza 21 marzo 2013, n. 7214; Cassazione civile, Sentenza 8 agosto 2003, n. 11975 e Tribunale di Milano, Sentenza 14 gennaio 2009, n. 449).

Il comma 38 estende ai conviventi di fatto i diritti spettanti al coniuge in base all'Estensione ai conviventi di alcuni diritti dei coniugiordinamento penitenziario.

Si ricorda che l'ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975, n. 354) già inserisce il convivente tra i soggetti ai quali non può negarsi la facoltà di intrattenere colloqui con il detenuto, anche quando lo stesso sia sottoposto ad un regime di sorveglianza particolare (art. 14-quater) e prevede che, nel caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente, il detenuto possa richiedere un permesso di visita (art. 30).

 

Il comma 39 riconosce ai conviventi di fatto un reciproco diritto di visita, di assistenza e di accesso alle informazioni personali in ambito sanitario, analogamente a quanto previsto oggi per i coniugi e i familiari.

I Poteri di rappresentanza nelle scelte medichecommi 40 e 41 riconoscono a ciascun convivente di fatto la facoltà di designare (in forma scritta e autografa oppure, in caso di impossibilità, alla presenza di un testimone) il partner come rappresentante, con poteri pieni o limitati per l'assunzione di decisioni in materia di salute, anche in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere ovvero, in caso di morte, per le scelte relative alla donazione di organi e alle modalità delle esequie.

Si ricorda già attualmente l'art. 3 della legge n. 91 del 1999, in materia di prelievi e di trapianti di organi e tessuti, stabilisce che "Il prelievo di organi e di tessuti è consentito secondo le modalità previste dalla presente legge. I medici forniscono informazioni sulle opportunità terapeutiche per le persone in attesa di trapianto nonché sulla natura e sulle circostanze del prelievo al coniuge non separato o al convivente more uxorio o, in mancanza, ai figli maggiori di età o, in mancanza di questi ultimi, ai genitori ovvero al rappresentante legale".

I Diritti relativi all'abitazionecommi da 42 a 45 riconoscono ai conviventi alcuni diritti inerenti alla casa di abitazione.

In particolare, in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza, il comma 42 riconosce al convivente di fatto superstite il diritto di abitazione per 2 anni (che diventano 3 anni in caso di coabitazione di figli minori o di figli disabili del convivente superstite) o per un periodo pari alla durata della convivenza se superiore a 2 anni, e comunque fino ad un massimo di 5 anni. In base al comma 43, il diritto di abitazione viene meno se il convivente superstite cessa di abitare stabilmente nella casa o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto.

Queste previsioni sembrano porsi in linea con quegli orientamenti della giurisprudenza di merito che in caso di morte di un convivente proprietario esclusivo di un immobile riconosce in capo al convivente superstite "una detenzione qualificata" (si veda Tribunale di Milano, Sentenza 18 gennaio 2003). In particolare, il Tribunale di Torino (VIII sez. civile, sent. 28 febbraio 2002) in caso di morte di uno dei due partner ha riconosciuto l'usucapione del diritto di abitazione da parte del convivente more uxorio che aveva convissuto con compossesso ultraventennale corrispondente al diritto reale di abitazione, di cui all'art. 1022 c.c.. Il convivente superstite – secondo i giudici torinesi - acquisisce, per usucapione, la titolarità, vita natural durante, del diritto di abitazione, di una casa, di cui l'altro convivente, premorto, era proprietario. Il fondamento giuridico di tale decisione va ravvisato nella considerazione che "nel rapporto di fatto con il bene, costituito dal possesso tutelato ex lege, il convivente non può essere discriminato rispetto ai componenti della famiglia legittima"; il possesso deve essere però continuo, pacifico e pubblico.

Il comma 44 riguarda invece la successione nel contratto di locazione della casa di comune residenza, prevedendo tale facoltà per il convivente di fatto in caso di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto.

Questo tema è stato ampiamente affrontato dalla giurisprudenza e si deve segnalare, in particolare, la sentenza della Corte costituzionale n. 404 del 1988, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 6, comma 1, della legge n. 392 del 1978 (cd. legge sull'equo canone) in materia di locazione di immobili urbani, nella parte in cui non prevede il convivente more uxorio fra coloro che, in caso di morte del conduttore, possono succedere nella titolarità del contratto di locazione. La Consulta, nell'esaminare sotto vari profili la posizione del convivente more uxorio e nell'allargare con sentenza additiva ad esso la tutela prevista, ebbe ad individuare la ragione giustificativa della tutela e, quindi, della successione nel contratto locativo, nell'individuazione del profilo di dignità costituzionale del c.d. diritto all'abitazione. Tuttavia, l'illegittimità dell'art. 6 della L. 392 – nel diverso caso di semplice cessazione della convivenza da parte del conduttore - è dichiarata solo nella parte in cui non prevede la successione nel contratto a favore del convivente di questi, quando vi sia prole naturale. Solo attraverso la tutela del figlio naturale viene indirettamente tutelato anche il convivente more uxorio. I tentativi di equiparare la situazione del convivente con prole a quello senza prole ai fini della successione nel contratto di locazione con la motivazione che la residua esclusione del convivente more uxorio risulterebbe ormai priva di ragionevolezza e tale da vulnerare il fondamentale diritto alla abitazione sono stati puntualmente respinti dalla Consulta (v. C. cost., ordinanze n. 204 del 2003 e n. 7 del 2010).

Il comma 45 dispone in ordine all'inserimento nelle graduatorie per l'assegnazione di alloggi di edilizia popolare, equiparando il rapporto di convivenza a quello di coniugio ai fini di eventuali titoli o cause di preferenza nella formazione delle graduatorie stesse.

 

Il comma 46 introduce nel codice civile l'Impresa familiarearticolo 230-ter per disciplinare i diritti del convivente nell'attività di impresa. La nuova disposizione riconosce al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa del partner il diritto di partecipazione agli utili commisurato al lavoro prestato. Tale diritto non sussiste qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato.

Si tratta di una previsione innovativa, avendo la giurisprudenza sino ad oggi sempre negato la possibilità di una interpretazione analogica dell'articolo 230-bis del codice civile, in tema di impresa familiare, ai casi di mera convivenza o di famiglia di fatto. In particolare, la Cassazione (Sez. lavoro, sent. n. 4204 del 1994), dichiarando manifestamente infondata una questione di costituzionalità dell'art. 230-bis, nella parte in cui esclude dall'ambito dei soggetti tutelati il convivente more uxorio, ha affermato che «l'art. 230-bis c.c., che disciplina l'impresa familiare, costituisce norma eccezionale, in quanto si pone come eccezione rispetto alle norme generali in tema di prestazioni lavorative ed è pertanto insuscettibile di interpretazione analogica» e che l'elemento saliente dell'impresa familiare «è la famiglia legittima, individuata nei più stretti congiunti, e che un'equiparazione fra coniuge e convivente si pone in contrasto con la circostanza che il matrimonio determina a carico dei coniugi conseguenze perenni ed ineludibili (quale il dovere di mantenimento o di alimenti al coniuge, che persiste anche dopo il divorzio), mentre la convivenza è una situazione di fatto caratterizzata dalla precarietà e dalla revocabilità unilaterale ad nutum».

I Interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegnocommi 47 e 48 ampliano le facoltà riconosciute al convivente di fatto nell'ambito delle misure di protezione delle persone prive di autonomia, facoltà già in parte previste dalla normativa vigente (v. sopra). In particolare, il comma 47 modifica l'articolo 712 del codice di procedura civile, per inserire fra i soggetti che devono essere indicati nella domanda per l'interdizione o l'inabilitazione anche il convivente di fatto. Il comma 48 riconosce al convivente di fatto la facoltà di essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno del partner dichiarato interdetto o inabilitato o che presenti i requisiti per l'amministrazione di sostegno.

Il Risarcimento del dannocomma 49 equipara la convivenza di fatto al rapporto coniugale ai fini del risarcimento del danno da fatto illecito. In caso di decesso del convivente di fatto, derivante da fatto illecito di un terzo, nell'individuazione del danno risarcibile alla parte superstite si dovranno applicare i medesimi criteri individuati per il risarcimento del danno al coniuge superstite.

Tale disposizione recepisce di fatto orientamenti giurisprudenziali consolidati (seppure con riguardo a convivenze more uxorio eterosessuali). La giurisprudenza ha, infatti, progressivamente riconosciuto alle situazioni di convivenza una tutela di tipo risarcitorio, inizialmente in riferimento ai soli danni morali subiti dal convivente more uxorio, successivamente anche con riguardo al danno patrimoniale. Si ricorda, ad esempio, che la Corte di cassazione, con la sentenza 12 maggio 2014, n. 19487 ha ritenuto che, nel caso di morte sul lavoro dovuta alla responsabilità del datore, i danni morali e patrimoniali possono essere riconosciuti anche al convivente della vittima del reato. Per la Suprema corte, infatti, «quanto alla risarcibilità del danno sia patrimoniale che morale, l'elaborazione giurisprudenziale l'ha estesa da tempo anche ai conviventi della vittima in quanto, agli effetti della legitimatio ad causam, del soggetto, convivente di fatto della vittima dell'azione di un terzo, viene in considerazione non già il rapporto interno tra i conviventi, bensì l'aggressione che tale rapporto ha subito ad opera del terzo». Conseguentemente, «mentre è giuridicamente irrilevante che il rapporto interno non sia disciplinato dalla legge, l'aggressione ad opera del terzo legittima il convivente a costituirsi parte civile, essendo questi leso nel proprio diritto di libertà, nascente direttamente dalla Costituzione, alla continuazione del rapporto: diritto assoluto e tutelabile erga omnes, senza, perciò, interferenze da parte dei terzi». Perché il danno sia risarcibile, precisa la Corte, la convivenza deve però aver avuto «un carattere di stabilità tale da far ragionevolmente ritenere che, ove non fosse intervenuta l'altrui azione, la convivenza sarebbe continuata nel tempo».
Si osserva, peraltro, che se la giurisprudenza ha riconosciuto il diritto del convivente anche in caso di lesioni del partner (cfr. Cass., III sez., sent. 29 aprile 2005, n. 8976, che riconosce al convivente il risarcimento dei danni per le lesioni patite dal partner in un incidente stradale), il legislatore circoscrive questa possibilità al solo decesso derivante da fatto illecito.

I Contratto di convivenzacommi da 50 a 63 disciplinano il contratto di convivenza.

Si tratta di un accordo attraverso il quale i conviventi possono disciplinare i loro rapporti patrimoniali (- finalitàcomma 50), che deve avere le seguenti caratteristiche formali, da rispettare anche in caso di successive modifiche o risoluzione (- formacomma 51):

  • forma scritta (a pena di nullità);
  • atto pubblico o scrittura privata autenticata. In caso di scrittura privata, un notaio o un avvocato dovranno autenticare le firme e attestare la conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico.

Ai soli fini dell'opponibilità ai terzi, una copia dell'accordo deve essere trasmessa al comune di residenza per l'iscrizione all'anagrafe. A tale adempimento dovranno provvedere il notaio o l'avvocato che sono intervenuti nella redazione (comma 52). Il trattamento dei dati personali contenuti nelle certificazioni anagrafiche dovrà avvenire nel rispetto del codice della privacy (d.lgs. n. 196 del 2003) e i dati personali contenuti nelle certificazioni anagrafiche non dovranno costituire elemento di discriminazione a carico delle parti del contratto di convivenza (comma 55).

Il - contenutocomma 53 specifica i possibili contenuti del contratto, attraverso il quale le parti possono fissare la comune residenza, indicare le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, scegliere il regime patrimoniale della comunione dei beni (modificabile in qualunque momento nel corso della convivenza, in base al comma 54).

Il contratto non può essere sottoposto a termine o condizione (- nullitàcomma 56) ed è nullo nei seguenti casi (comma 57):

  • in presenza di un vincolo matrimoniale, di un'unione civile o di un altro contratto di convivenza;
  • se una delle parti è minorenne;
  • se una delle parti è interdetta;
  • se una delle parti è stata condannata per omicidio consumato o tentato sul coniuge dell'altra (impedimento al matrimonio in base all'art. 88 c.c.);
  • in mancanza degli ulteriori requisiti previsti dal comma 36 (assenza di rapporti di parentela, affinità o adozione; assenza di un legame affettivo stabile di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale).

Il comma 58 precisa che gli effetti del contratto di convivenza restano sospesi in pendenza del procedimento di interdizione giudiziale o nel caso di rinvio a giudizio o di misura cautelare disposti per il delitto di omicidio del coniuge (art. 88 c.c.), fino alla sentenza di proscioglimento. La sospensione non risulta quindi riferita espressamente - verosimilmente in ragione del diverso regime giuridico - alle ipotesi di omicidio di una parte di una unione civile o di una parte contraente di altra convivenza di fatto.

- risoluzioneIl contratto di convivenza si risolve, invece, in caso di (comma 59):

  • morte. Il convivente superstite o gli eredi del deceduto dovranno notificare l'estratto dell'atto di morte al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza, che provvederà a notificare il contratto con questa annotazione all'anagrafe del comune di residenza (comma 63);
  • recesso unilaterale o di comune accordo tra le parti. In questo caso il provvedimento richiede il rispetto delle formalità previste per la conclusione del contratto e prevede - se i conviventi avevano scelto la comunione legale dei beni - lo scioglimento della stessa. Il comma 60 rinvia, in quanto compatibili, alle disposizioni del codice civile che regolano la comunione legale nel matrimonio (artt. 177-197) e prevede che, se dal contratto di convivenza derivavano diritti reali immobiliari, al trasferimento degli stessi deve provvedere un notaio. In caso di recesso unilaterale, il notaio o l'avvocato che ricevono l'atto devono notificarne una copia all'altro contraente; se la casa di abitazione è nella disponibilità del recedente, l'atto di recesso dovrà concedere al convivente almeno 90 giorni per lasciare l'abitazione (comma 61);
  • matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed una terza persona. In questo caso la parte che ha contratto il matrimonio o l'unione civile deve notificare al convivente di fatto l'estratto di matrimonio o di unione civile; una copia dovrà essere notificata anche al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza (comma 62).

Il Legge applicabilecomma 64 modifica la legge n. 218 del 1995, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, introducendovi il nuovo art. 30-bis in materia di contratti di convivenza. La nuova disposizione prevede che ai contratti di convivenza si applichi la legge nazionale comune dei contraenti; in caso di convivenza tra cittadini di nazionalità diversa, si applicherà la legge del luogo ove si svolge prevalentemente la convivenza. La disposizione fa comunque salve le norme nazionali, internazionali ed europee che regolano il caso di cittadinanza plurima.

Il Diritto agli alimenticomma 65 disciplina, alla cessazione della convivenza di fatto, il diritto agli alimenti. Il diritto del convivente a ricevere dall'altro gli alimenti deve essere affermato da un giudice in presenza dei seguenti presupposti (mutuati dall'art. 438 del codice civile):

  • il convivente versa in stato di bisogno;
  • il convivente non è in grado di provvedere al proprio mantenimento.

La durata dell'obbligo alimentare, determinato dal giudice, è proporzionato alla durata della convivenza; la misura degli alimenti è quella prevista dal codice civile (art. 438, secondo comma, che individua come parametro il bisogno di chi domanda e le condizioni economiche di chi deve somministrarli, specificando che gli alimenti non devono superare quanto sia necessario per la vita dell'alimentando, avuto riguardo alla sua posizione sociale). La riforma antepone l'obbligo alimentare dell'ex-convivente a quello che grava sui fratelli e le sorelle della persona in stato di bisogno.


Necessità dell'intervento con legge

La proposta di legge introduce nell'ordinamento e disciplina come istituti di natura civilistica le unioni civili omosessuali e le convivenze di fatto, modificando in alcuni punti il codice civile e processuale civile. Ne discende la necessità dello strumento legislativo.


Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

Il provvedimento è riconducibile alle materie "stato civile e anagrafe" e "ordinamento civile", di esclusiva competenza statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettere i) ed l) della Costituzione.


Rispetto degli altri princìpi costituzionali

Il tema delle convivenze di fatto può essere inquadrato attraverso i seguenti articoli della Costituzione:

  • l'articolo 2, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità;
  • l'articolo 29, che riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.

Il favor matrimonii nella giurisprudenza costituzionaleDalla lettura di queste due disposizioni si ricava il particolare valore e la specifica rilevanza che il Costituente ha attribuito alla famiglia fondata sul matrimonio. La Corte costituzionale ha costantemente affermato che "la convivenza more uxorio è diversa dal vincolo coniugale" e a questo non meccanicamente assimilabile al fine di desumerne l'esigenza costituzionale di una parificazione di trattamento (sent. 352 del 2000).

Anzi, pur non disconoscendo il valore di altre forme di convivenza, ha affermato che l'articolo 29 della Costituzione riconosce alla famiglia legittima «una dignità superiore, in ragione dei caratteri di stabilità e certezza e della reciprocità e corrispettività di diritti e doveri, che nascono soltanto dal matrimonio» (sent. 310 del 1989). La Consulta, per effetto della copertura dell'art. 2 Cost., considera tuttavia la famiglia di fatto come una formazione sociale meritevole di tutela, seppur in maniera diversa da quella fondata sul matrimonio.

Oltre che nella citata sentenza del 1989, la Corte, in diverse altre decisioni, ha posto in luce la netta diversità strutturale e contenutistica tra rapporto coniugale - caratterizzato da stabilità e certezza nonché dalla reciprocità e corrispettività di diritti e doveri che nascono soltanto dal matrimonio - e convivenza di fatto, fondata sull'affectio quotidiana di ciascuna delle parti, liberamente e in ogni istante revocabile (sentenze 8/1996 e 461/2000).

Per la Consulta non è – quindi - né irragionevole, né arbitrario che il legislatore adotti soluzioni diversificate per la famiglia fondata sul matrimonio, espressamente contemplata nell'articolo 29 della Costituzione, e per la famiglia di fatto, tradizionalmente ricondotta all'articolo 2 della Costituzione (ord. 121/2004).

In particolare, con la sentenza n. 8 del 1996 la Corte ha fornito una lettura precisa del dettato costituzionale: citando la sentenza n. 237 del 1986, la Consulta ha ricordato come quest'ultima, pur ribadendo la rilevanza costituzionale del "consolidato rapporto" di convivenza, ancorché rapporto di fatto, lo ha tuttavia distinto dal rapporto coniugale, "secondo quanto impongono il dettato della Costituzione e gli orientamenti emergenti dai lavori preparatori".

Solo quest'ultimo è stato ricondotto alla protezione dell'art. 29 della Costituzione, mentre il rapporto di fatto ricadrebbe nell'ambito della protezione, offerta dall'art. 2, dei diritti inviolabili dell'uomo nelle formazioni sociali. Forme di convivenza diverse dal matrimonio, proseguiva la Corte, non sono indifferenti né al diritto, né alla Costituzione, e "trovano una tutela – sicuramente meno forte, ma pur sempre una tutela"; in particolare, dove esiste un rapporto stabile e duraturo, si è, comunque, pur tra qualche dissenso, riconosciuta una formazione sociale di rilievo costituzionale. Tenendo distinta l'una dall'altra forma di vita comune tra uomo e donna – proseguiva la Corte -"si rende possibile riconoscere a entrambe la loro propria specifica dignità; si evita di configurare la convivenza come forma minore del rapporto coniugale, riprovata o appena tollerata e non si innesca alcuna impropria "rincorsa" verso la disciplina del matrimonio da parte di coloro che abbiano scelto di liberamente convivere".
La Corte esclude, infine, che tale valutazione costituzionale possa essere contraddetta da opposte visioni dell'interprete, in quanto i punti di vista di principio assunti dalla Costituzione valgono innanzitutto come criteri vincolanti di comprensione e classificazione, e quindi di assimilazione o differenziazione dei fatti sociali giuridicamente rilevanti. In tal modo sono poste le premesse "per una considerazione giuridica dei rapporti personali e patrimoniali di coppia nelle due diverse situazioni, considerazione la quale - fermi in ogni caso i doveri e i diritti che ne derivano verso i figli e i terzi - tenga presente e quindi rispetti il maggior spazio da riconoscersi, nella convivenza, alla soggettività individuale dei conviventi; e viceversa dia, nel rapporto di coniugio, maggior rilievo alle esigenze obiettive della famiglia come tale, cioè come stabile istituzione sovraindividuale".

 

La Corte ha inoltre rilevato, posto che la convivenza rappresenta l'espressione di una scelta di libertà dalle regole che il legislatore ha sancito in dipendenza dal matrimonio, che "l'estensione automatica di queste regole alla famiglia di fatto potrebbe costituire una violazione dei principi di libera determinazione delle parti" (sentenza n. 166 del 1998).

Analoga linea è dettata più recentemente con la sentenza n. 140 del 2009, in cui si legge che «si deve ribadire quanto già più volte affermato, cioè che la convivenza more uxorio è diversa dal vincolo coniugale e non può essere assimilata a questo per desumerne l'esigenza costituzionale di una parità di trattamento. La stessa Costituzione ha valutato le due situazioni in modo diverso, ed il dato assume rilievo determinante in un giudizio di legittimità costituzionale. Infatti, il matrimonio forma oggetto della specifica previsione contenuta nell'art. 29 Cost., che lo riconosce elemento fondante della famiglia come società naturale, mentre il rapporto di convivenza assume anch'esso rilevanza costituzionale, ma nell'ambito della protezione dei diritti inviolabili dell'uomo nelle formazioni sociali garantita dall'art. 2 Cost».

Come per le unioni tra persone di sesso diverso anche il tema delle Le unioni omosessuali nella giurisprudenza costituzionaleunioni omosessuali può essere inquadrato da un punto di vista costituzionale attraverso i citati articoli 2 e 29 della Costituzione (v. ante), trovando possibile tutela nell'ambito delle formazioni sociali di cui all'art. 2.

Nonostante il dettato dell'art. 29 Cost. non specifichi che il matrimonio debba essere consentito solo tra partner di sesso diverso, la giurisprudenza ha costantemente precluso alle coppie omosessuali la possibilità di contrarre matrimonio in Italia (così come di vedere trascritto nei registri di stato civile un tale matrimonio legittimamente contratto all'estero) sulla base della necessaria diversità di sesso tra gli aspiranti coniugi. Ciò anche sulla base di una lettura della normativa nazionale, in particolare quella del codice civile in materia di filiazione (che parla di padre e madre, di concepimento, di parto.

Costante giurisprudenza della Consulta ritiene presupposto indefettibile del matrimonio la diversità di sesso dei coniugi. Le unioni omosessuali devono trovare, invece, riconoscimento e garanzie come "formazioni sociali" ai sensi dell'art. 2 della Costituzione. In tal senso la Corte, pur nel rispetto della discrezionalità del Parlamento, ha sollecitato il legislatore ad intervenire con una disciplina che regolamenti le unioni (tra persone dello stesso o di diverso sesso) che assumono forme diverse dal matrimonio.

 

Chiama- sentenza n. 138 del 2010ta a pronunciarsi sui profili di incostituzionalità del rifiuto di un ufficiale di stato civile, ai sensi dell'art. 98 c.c., a procedere alla pubblicazione di matrimonio richiesto da una coppia formata da due persone, entrambe di sesso maschile, la Consulta  (sentenza n. 138 del 2010) ha enunciato rilevanti principi di diritto in materia di unioni omosessuali. Secondo la Corte:

  • la "famiglia fondata sul matrimonio" prevista dal citato art. 29 Cost., è esclusivamente quella tra uomo e donna;
  • le unioni omosessuali non possono essere "omogenee" al matrimonio ma sono tutelate dall'art. 2 della Costituzione che tutela le formazioni sociali ove si svolge la personalità dell'uomo.
Rileva la Consulta che "come risulta dai citati lavori preparatori, la questione delle unioni omosessuali rimase del tutto estranea al dibattito svoltosi in sede di Assemblea, benché la condizione omosessuale non fosse certo sconosciuta. I costituenti, elaborando l'art. 29 Cost., discussero di un istituto che aveva una precisa conformazione ed un'articolata disciplina nell'ordinamento civile. Pertanto, in assenza di diversi riferimenti, è inevitabile concludere che essi tennero presente la nozione di matrimonio definita dal codice civile entrato in vigore nel 1942, che, come sopra si è visto, stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso…Questo significato del precetto costituzionale non può essere superato per via ermeneutica, perché non si tratterebbe di una semplice rilettura del sistema o di abbandonare una mera prassi interpretativa, bensì di procedere ad un'interpretazione creativa".
Nella pronuncia, la Corte ha rappresentato, tuttavia, l'esigenza di rimettere al Parlamento, nell'esercizio della sua piena discrezionalità, l'individuazione di forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d'intervenire a tutela di specifiche situazioni (come è avvenuto per le convivenze more uxorio: sentenze n. 559 del 1989 e n. 404 del 1988). Può accadere, infatti, che "in relazione ad ipotesi particolari, sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale, trattamento che questa Corte può garantire con il controllo di ragionevolezza".

 

Dopo che argomenti analoghi a quelli della sentenza del 2010 erano stati addotti nelle ordinanze n. 276 del 2010 e n. 4 del 2011, l'ennesima sollecitazione al Parlamento a legiferare per assicurare tutela giuridica a forme di unione diverse dal matrimonio è venuto dalla Consulta con la sentenza n. 170/2014 relativa alle conseguenze civilistiche conseguenti ad una rettificazione di sesso in costanza di matrimonio.

La vicenda trae origine dal caso Bernaroli (il caso delle due Alessandre) relativa a una coppia unita in matrimonio, che – a seguito della rettificazione di sesso di Alessandro Bernaroli (da maschile a femminile)– si era vista annotare dall'ufficiale di stato civile (su ordine del tribunale) sull'atto di matrimonio, contestualmente alla rettificazione, la cessazione degli effetti civili del vincolo con la moglie Alessandra. I due coniugi, nonostante la rettificazione dell'attribuzione di sesso, non intendevano interrompere la loro vita di coppia dando, tuttavia, vita ad un modello di unione che si poneva, evidentemente, fuori dal modello del matrimonio prevista dal nostro ordinamento che prevede il requisito essenziale della eterosessualità dei coniugi.

Secondo lo Stato civile, la mancata cancellazione avrebbe comportato il riconoscimento di un matrimonio che da eterosessuale si era trasformato in omosessuale.

La Corte di cassazione – chiamata poi a giudicare la questione - riconosceva (con ordinanza del 6 giugno 2013 n. 14329) che la norma di cui all'art 4 della legge n. 164/1982 (per cui la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso «provoca» lo scioglimento del matrimonio) doveva essere interpretata come ipotesi di scioglimento automatico del matrimonio; la stessa Corte, ravvisando tuttavia nel "divorzio imposto" contro la volontà dei coniugi una lesione degli artt. 2, 3, 24, 29 e 117 Cost. adiva la Consulta, che in adesione a tale tesi, con la sentenza n. 170 del 2014, ha dichiarato l'incostituzionalità della norma, ritenendo illegittima la carenza di qualsiasi specifica tutela per una coppia che abbia contratto matrimonio e che voglia restare sposata.

Secondo la Consulta, tuttavia, se tale unione non può continuare come "matrimonio", non può neanche essere semplicisticamente equiparabile ad una unione di fatto di soggetti dello stesso sesso, poiché ciò equivarrebbe a cancellare, sul piano giuridico, un pregresso vissuto, nel cui contesto quella coppia ha maturato reciproci diritti e doveri, anche di rilievo costituzionale, che, seppur non più declinabili all'interno del modello matrimoniale, non sono, per ciò solo, tutti necessariamente sacrificabili. Da qui, la pronuncia di incostituzionalità degli artt. 2 e 4 della legge 164 del 1982 e l'invito al Parlamento a "introdurre una forma alternativa (e diversa dal matrimonio) che consenta ai due coniugi di evitare il passaggio da uno stato di massima protezione giuridica ad una condizione, su tal piano, di assoluta indeterminatezza. E tal compito il legislatore è chiamato ad assolvere con la massima sollecitudine per superare la rilevata condizione di illegittimità della disciplina in esame per il profilo dell'attuale deficit di tutela dei diritti dei soggetti in essa coinvolti".


Compatibilità con la CEDU (a cura dell'Avvocatura della Camera dei deputati)

Quanto ai profili di compatibilità con l'ordinamento del Consiglio d'Europa e con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, i contenuti della proposta S. 2081 (oggi C. 3634) non appaiono in contrasto con i relativi orientamenti.

Vale la pena citare, al riguardo, il caso - Sentenza P.B. e J.S. c. AustriaP.B. e J.S. c. Austria del 2010.

I ricorrenti erano una coppia omosessuale. J.S. era un dipendente pubblico che intendeva nominare P.B. quale beneficiario associato dell'assicurazione obbligatoria che secondo la legge austriaca lo copriva. Le autorità amministrative prima e giudiziarie poi avevano rigettato le istanze dei ricorrenti. Peraltro, nel 2007, la legge austriaca era cambiata nel senso di richiedere per i beneficiari associati dell'assicurazione obbligatoria diversi requisiti, per esempio di parentela, di età e di durata della convivenza, ma eliminando ogni riferimento all'orientamento sessuale.

La Prima sezione della Corte EDU ha ravvisato, per il periodo anteriore alla modifica legislativa del 2007, una violazione del combinato disposto degli articoli 8 e 14 della Convenzione dei diritti (che prevedono rispettivamente il diritto alla vita privata e familiare e il divieto di discriminazione) in ragione che il criterio discretivo adoperato per concedere l'estensione al convivente dell'assicurazione e basato sull'orientamento sessuale non era una misura necessaria e proporzionata allo scopo di conseguire la concessione selettiva e mirata del beneficio. Viceversa, per il periodo successivo alla modifica legislativa, la Corte non ha ravvisato violazioni, giacché le restrizioni introdotte erano neutrali dal punto di vista dell'orientamento sessuale e basate su parametri oggettivi ragionevoli (parentela, età e durata della convivenza).

 

Nello stesso anno 2010, la Corte si è pronunciata nel caso - Sentenza Schalk e Kopf contro AustriaSchalk e Kopf contro Austria.

I ricorrenti erano una coppia omosessuale che aveva domandato le pubblicazioni prematrimoniali. Essi invece non ritenevano sufficienti per le loro istanze la mera registrazione amministrativa della loro unione, peraltro prevista dall'ordinamento austriaco solo diversi anni dopo l'inizio della loro relazione stabile (nel 2010). Subìto il rifiuto in tutti i gradi di giudizio della domanda di matrimonio, essi si erano rivolti alla Corte EDU. La Prima sezione riconosce che, per differenziare trattamenti giuridici sulla base dell'orientamento sessuale, occorrono l'esigenza imperiosa di proteggere un altro interesse meritevole di tutela e la proporzionalità della misura giuridica prescelta. In tale ambito, peraltro, gli Stati sottoscrittori godono di un certo margine di apprezzamento. Constatato che - in definitiva - le differenze di regime giuridico tra matrimonio e registrazione amministrativa dell'unione sono minime, la Corte statuisce che non vi è stata violazione degli articoli 8 e 14 della Convenzione, poiché la mancata previsione del matrimonio vero e proprio tra persone dello stesso sesso non eccede i limiti della discrezionalità legislativa. Né la Corte si sente di poter rimproverare all'Austria di non avere introdotto prima del 2010 la possibilità della registrazione amministrativa dell'unione.

 

Più di recente, si è imposto all'attenzione il caso - Sentenza Oliari contro ItaliaOliari c. Italia del 2015, su cui si è pronunciata la Quarta Sezione.

Enrico Oliari e il suo compagno avevano domandato al comune di Trento di procedere alle pubblicazioni prematrimoniali. Il comune si era rifiutato e ne era nato un contenzioso, giunto fino alla Corte costituzionale. Il giudice remittente aveva ritenuto non manifestamente infondata la questione se il codice civile violasse – per il tramite dell'articolo 8 della Convenzione EDU – l'articolo 117, primo comma, della Costituzione. La Corte dichiarò la questione in parte infondata e in parte inammissibile (sentenza n. 138 del 2010). Successivamente, la Corte d'appello di Trento rigettò il ricorso del signor Oliari. La Corte EDU, citati anche i precedenti tra cui la sentenza Schalk, osserva che in Italia non solo non è previsto il matrimonio omosessuale, ma manca (a differenza di altri Paesi) il riconoscimento delle unioni tra persone del medesimo sesso, anche in una forma più blanda. Ciò denota come il nostro Paese sia venuto meno all'obbligo positivo di tutela del diritto alla vita privata e familiare, attraverso il riconoscimento e la protezione formalizzati delle coppie omosessuali. Di qui la constatazione della violazione dell'articolo 8.


Compatibilità comunitaria


Documenti all'esame delle istituzioni dell'Unione europea

Il 16 marzo 2011 la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia di effetti patrimoniali delle unioni registrate (COM(2011)127).

La proposta fa parte di un pacchetto legislativo che comprende anche una proposta di regolamento relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia di regimi patrimoniali tra coniugi (COM(2011)126).

La proposta della Commissione non incide sulla regolamentazione degli effetti personali delle unioni registrate, non modificando il diritto sostanziale pertinente applicato negli Stati membri, ma riguarda esclusivamente gli effetti patrimoniali (in particolare, gli aspetti inerenti tanto alla gestione quotidiana dei beni dei partner quanto alla loro divisione in seguito a separazione o morte di un partner). Sono altresì esclusi dal campo d'applicazione della proposta: la capacità dei partner; le obbligazioni alimentari; le liberalità tra partner; i diritti successori del partner superstite; le società tra partner; la natura dei diritti reali e la pubblicità di tali diritti.

In estrema sintesi, la proposta della Commissione:

  • prevede come regola generale il principio secondo il quale i beni delle coppie legate da un'unione registrata sono assoggettati alla legge del paese in cui l'unione è stata registrata;
Tale norma di conflitto si applica a tutte le forme di unione registrata, indipendentemente dallo Stato in cui l'unione è stata conclusa, e non solo alle unioni registrate concluse in uno Stato membro. Il principio tuttavia non osta all'applicazione delle norme il cui rispetto è ritenuto cruciale da uno Stato membro per la salvaguardia dei suoi interessi pubblici, quali la sua organizzazione politica, sociale o economica, al punto da esigerne l'applicazione a tutte le situazioni che rientrino nel loro campo d'applicazione, qualunque sia la legge applicabile agli effetti patrimoniali dell'unione. Inoltre l'applicazione del principio può essere esclusa solo qualora tale applicazione risulti manifestamente incompatibile con l'ordine pubblico del foro. Tuttavia l'applicazione di una norma della legge designata dalla proposta non può essere considerata contraria all'ordine pubblico del foro per il solo motivo che la legge del foro non contempla l'istituto dell'unione registrata.
  • istituisce un insieme di norme coerenti per determinare l'autorità giurisdizionale competente;
  • semplifica la procedura per riconoscere decisioni e atti in tutta l'UE con la possibilità per i cittadini di proporre dinanzi a un'unica autorità giurisdizionale varie domande giudiziali.
In particolare, la proposta prevede la libera circolazione delle decisioni, degli atti pubblici e delle transazioni giudiziarie in materia di effetti patrimoniali delle unioni registrate. Mette quindi in atto il principio del riconoscimento reciproco sulla base della fiducia reciproca derivante dall'integrazione degli Stati membri nell'Unione europea. Questa libera circolazione si realizza attraverso una procedura uniforme per il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni, degli atti pubblici e delle transazioni giudiziarie emessi in un altro Stato membro, che sostituisce le procedure nazionali attualmente vigenti nei vari Stati membri. Parimenti, i motivi di diniego del riconoscimento o dell'esecuzione sono armonizzati a livello europeo e sono ridotti al minimo indispensabile, e sostituiscono i molteplici motivi attualmente esistenti a livello nazionale.

Si ricorda che secondo la procedura legislativa speciale –consultazione (che prevede il voto unanime del Consiglio, previa consultazione del Parlamento europeo), il Parlamento europeo ha approvato la proposta con risoluzione del 10 settembre 2013.

Il Parlamento europeo, inserendo nel testo un nuovo considerando (8 bis), ha rafforzato il principio per cui il riconoscimento in uno Stato membro di una decisione in materia di effetti patrimoniali di un'unione registrata mira soltanto a consentire l'esecuzione degli effetti patrimoniali determinati in tale decisione, e non comporta il riconoscimento da parte di quello Stato membro dell'unione cui si riferiscono gli effetti patrimoniali che hanno originato la decisione. Secondo tale considerando gli Stati membri in cui non esiste l'istituto dell'unione registrata non sono obbligati a introdurlo in forza del futuro regolamento.
Nella risoluzione si emenda, inoltre, la sezione della proposta relativa alla legge applicabile alle unioni registrate. In particolare, secondo il testo emendato i partner o futuri partner possono designare o cambiare di comune accordo la legge applicabile al regime patrimoniale della loro unione registrata purché tale legge riconosca l'istituto dell'unione registrata e i relativi effetti patrimoniali, e purché si tratti di una delle seguenti: la legge dello Stato della residenza abituale dei partner o futuri partner, o di uno di essi, al momento della conclusione dell'accordo; la legge di uno Stato di cui uno dei partner o futuri partner è cittadino al momento della conclusione dell'accordo; la legge di uno Stato in cui i partner hanno registrato l'unione. In assenza di accordo tra i partner il Parlamento europeo propone una serie di criteri oggettivi di collegamento, tra i quali anche la legge dello Stato in cui l'unione è stata registrata.

Per quanto riguarda l'attività del Consiglio, si segnala che nel novembre del 2014 la Presidenza italiana del semestre aveva presentato un testo di compromesso relativo alla proposta di regolamento, sul quale tuttavia il Consiglio non ha raggiunto l'accordo politico per l'approvazione all'unanimità (richiesta dal Trattato). In particolare, l'11 febbraio 2016 il Consiglio ha preso atto dell'esistenza di "difficoltà insormontabili che rendono impossibile raggiungere tale unanimità in questo momento ed entro un termine ragionevole". Si segnala che un numero significativo di Stati membri ha in ogni caso espresso la propria disponibilità a seguire la procedura di cooperazione rafforzata prevista dai Trattati.