| Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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| Autore: | Servizio Studi - Dipartimento giustizia | ||||
| Titolo: | Modifiche al codice civile in materia di cognome dei coniugi e dei figli A.C. 360, A.C. 1943, A.C. 2123 Schede di lettura 26 maggio 2014 | ||||
| Riferimenti: |
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| Serie: | Progetti di legge Numero: 166 | ||||
| Data: | 26/05/2014 | ||||
| Descrittori: |
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| Organi della Camera: | II-Giustizia | ||||
Modifiche al codice civile in materia di cognome dei coniugi e dei figli
26 maggio 2014
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I tre progetti di legge in esame – due d’iniziativa parlamentare (C. 360 Garavini e altri; C. 1943 Nicchi e altri) e uno d’iniziativa governativa (C. 2123) - sono diretti, con diverse modalità, a innovare la disciplina civilistica sull’attribuzione del cognome ai figli, affermando la pari dignità della donna all’interno del rapporto di coppia.
In particolare, in ottemperanza alla recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e in linea con la maggior parte dei sistemi giuridici europei, i provvedimenti in esame permettono,con distinte soluzioni, l’attribuzione ai figli anche del cognome materno.
Inoltre, le due proposte di legge di iniziativa parlamentare modificano anche la normativa civilistica sul cognome dei coniugi.
Quadro normativoIl diritto al nome trova riconoscimento a Costituzionelivello costituzionale nell'art. 22 della Costituzione, secondo cui «nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza e del nome», da leggersi in combinazione con l'art. 2 della Costituzione, che riconosce e garantisce in via generale i diritti inviolabili dell'uomo, tra i quali è pacificamente annoverato il diritto all'identità personale. Il nome, secondo la Corte costituzionale, «assume la caratteristica del segno distintivo ed identificativo della persona nella sua vita di relazione (...) accanto alla tradizionale funzione del cognome quale segno identificativo della discendenza familiare» (sent. n. 13/1994). L'art. 6 del codice civile Codice civilespecifica che ogni persona ha diritto al nome – definito come l'insieme di prenome e cognome - che le è per legge attribuito e che non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome, se non nei casi e con le formalità indicati dalla legge. Ai sensi dell'art. 7 c.c., la persona alla quale si contesti il diritto all'uso del proprio nome o che possa risentire pregiudizio dall'uso che altri indebitamente ne faccia, può chiedere giudizialmente la cessazione del fatto lesivo, salvo il risarcimento del danno. L'art. 8 c.c. stabilisce poi che le azioni previste dall'art. 7 c.c. possono essere promosse anche da chi, pur non portando il nome contestato o indebitamente usato, abbia alla tutela del nome un interesse fondato su ragioni familiari degne di essere protette. Le medesime azioni possono infine essere esperite a tutela dello pseudonimo, usato da una persona in modo che abbia acquisito l'importanza del nome (art. 9 c.c.). Attualmente, l’attribuzione al figlio del solo cognome paterno non risulta oggetto di esplicita previsione normativa primaria risultando, tuttavia, norma consuetudinaria saldamente radicata nella realtà sociale. Il codice civile, in effetti, disciplina i soli casi di attribuzione del cognome ai figli nati fuori dal matrimonio ed ai figli adottati. L’attribuzione al figlio del cognome paterno si desume dal solo Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile (DPR 396 del 2000), il cui art. 33 stabilisce tale regola in relazione al figlio legittimato. Tale distinzione è peraltro caduta in seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 154 del 2013 che ha eliminato dall’ordinamento la distinzione tra figli legittimi e figli naturali. La norma dell’art. 33 del DPR 396 va quindi letta in relazione a tutti i figli. L’art. 33 delDPR sull'ordinamento dello stato civile DPR 396/2000 stabilisce che il figlio assume il cognome del padre, ma se è maggiorenne alla data della legittimazione può scegliere, entro un anno dal giorno in cui ne viene a conoscenza, di mantenere il cognome portato precedentemente, se diverso, ovvero di aggiungere o di anteporre ad esso, a sua scelta, quello del genitore che lo ha riconosciuto. Stessa facoltà di scelta è concessa al figlio maggiorenne che subisce il cambiamento o la modifica del proprio cognome a seguito della variazione di quello del genitore da cui il cognome deriva, nonché al figlio nato fuori dal matrimonio di ignoti riconosciuto, dopo il raggiungimento della maggiore età, da uno dei genitori o contemporaneamente da entrambi. Le dichiarazioni di cui ai commi 1 e 2 relative alla scelta del cognome sono rese all'ufficiale dello stato civile del comune di nascita dal figlio personalmente o con comunicazione scritta e vengono annotate nell'atto di nascita del figlio medesimo. Per il figlio nato fuori dal matrimonio, l’art. 262 c.c. – recentemente modificato dal citato D.Lgs. 154/2013 - prevede che il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto. Se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio assume il cognome del padre (comma 1). Se la filiazione nei confronti del padre è stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte della madre, il figlio può assumere il cognome del padre aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello della madre (comma 2). La disciplina prevista dai primi due commi si applica anche se la filiazione nei confronti del genitore è stata accertata o riconosciuta successivamente all'attribuzione del cognome da parte dell'ufficiale dello stato civile. Quando, poi, il cognome precedentemente attribuitogli sia divenuto autonomo segno della sua identità personale, il figlio può conservarlo aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo al cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto o al cognome dei genitori in caso di riconoscimento da parte di entrambi (comma 3). Nel caso di minore età del figlio, il giudice decide circa l'assunzione del cognome del genitore, previo ascolto del figlio minore, che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento (comma 4). L’attribuzione del cognome al figlio adottato è invece disciplinata dall’art. 299 del codice civile, che prevede che questi assuma il cognome dell'adottante e lo anteponga al proprio (primo comma); analoga disciplina si applica nel caso in cui la filiazione sia stata accertata o riconosciuta successivamente all'adozione (secondo comma). Se l'adozione è compiuta da coniugi l'adottato assume il cognome del marito (terzo comma) mentre se ad adottare è una donna maritata, l'adottato, che non sia figlio del marito, assume il cognome della famiglia di lei (quarto comma). A livello di fonti sovranazionali, la Carta di Nizza (2000) sui diritti fondamentali dell’Unione Europea, vincolante a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, vieta ogni forma di discriminazione basata sul sesso (art. 21) nonché l’obbligo di assicurare la parità tra uomini e donne in tutti i campi (art. 23). Più specificamente - per quanto riguarda l'attribuzione del cognome - si deve richiamare la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna (adottata a New York il 18 dicembre 1979 e ratificata dall’Italia con legge 14 marzo 1985 n. 132). L’articolo 16 della Convenzione ha impegnato gli Stati aderenti a prendere tutte le misure adeguate per eliminare la discriminazione nei confronti della donna in tutte le questioni derivanti dal matrimonio e nei rapporti familiari, ed in particolare ad assicurare, in condizioni di parità con gli uomini, gli stessi diritti personali al marito e alla moglie, compresa la scelta del cognome (lett. g). Si segnalano, inoltre, le raccomandazioni n. 1271 del 1995 e n. 1362 del 1998 (e ancor prima con la risoluzione 37/1978), del Consiglio d'Europa che hanno affermato che il mantenimento di previsioni discriminatorie tra donne e uomini riguardo alla scelta del nome di famiglia non è compatibile con il principio di eguaglianza sostenuto dal Consiglio stesso, ha raccomandato agli Stati inadempienti di realizzare la piena eguaglianza tra madre e padre nell’attribuzione del cognome dei loro figli, di assicurare la piena eguaglianza in occasione del matrimonio in relazione alla scelta del cognome comune ai due partners, di eliminare ogni discriminazione nel sistema legale per il conferimento del cognome tra figli nati nel e fuori del matrimonio. Vanno ricordate, poi, le CEDUdisposizioni della Convenzione EDU la cui violazione ha portato a una recente condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo per violazione degli articoli 8 e 14 della Convenzione; tali disposizioni riguardano, rispettivamente, il diritto al rispetto della vita privata e familiare (norma che involge comunque ogni aspetto della identificazione personale) e il divieto di ogni forma di discriminazione. La sentenza 7 gennaio 2014 della CEDU (Cusan e Fazio c. Italia) ha definito la preclusione all’assegnazione al figlio del solo cognome materno una forma di discriminazione basata sul sesso che viola il principio di uguaglianza tra uomo e donna. La Corte rammenta che “l’articolo 8 della Convenzione non contiene alcuna disposizione esplicita in materia di cognome ma che, in quanto mezzo determinante di identificazione personale (Johansson c. Finlandia, n. 10163/02, § 37, 6 settembre 2007, e Daróczy c. Ungheria, n. 44378/05, § 26, 1° luglio 2008) e di ricongiungimento ad una famiglia, ciò non di meno il cognome di una persona ha a che fare con la vita privata e familiare di questa. Il fatto che lo Stato e la società abbiano interesse a regolamentarne l’uso non è sufficiente ad escludere la questione del cognome delle persone dal campo della vita privata e familiare, intesa come comprendente, in certa misura, il diritto dell’individuo di allacciare relazioni con i propri simili”. In relazione all’art. 14 della Convenzione, si legge nella sentenza che “nella sua giurisprudenza, la Corte ha stabilito che per discriminazione si intende il fatto di trattare in maniera diversa, senza giustificazione oggettiva e ragionevole, persone che si trovano, in un determinato campo, in situazioni comparabili”; in relazione al caso dedotto in giudizio “la Corte è del parere che, nell’ambito della determinazione del cognome da attribuire al «figlio legittimo», persone che si trovavano in situazioni simili, vale a dire il ricorrente e la ricorrente, rispettivamente padre e madre del bambino, siano stati trattati in maniera diversa. Infatti, a differenza del padre, la madre non ha potuto ottenere l’attribuzione del suo cognome al neonato, e ciò nonostante il consenso del coniuge” (sulla giurisprudenza della CEDU vedi ultra più in dettaglio). Nella giurisprudenza europea, si richiama inoltre le sentenza della Corte di Giustizia UECorte di giustizia UE 2 ottobre 2003 (caso C-148/02, Carlos Garcia Avello c. Belgio), che ha affermato che costituisce discriminazione in base alla nazionalità (e dunque violazione degli artt. 12 e 17 del Trattato) il rifiuto da parte dell'autorità amministrativa di uno Stato membro di consentire che un minore avente doppia nazionalità possa essere registrato allo stato civile col cognome cui avrebbe diritto secondo le leggi applicabili nell'altro Stato membro (nel caso di specie, i minori in questione - aventi nazionalità belga e spagnola - erano stati registrati dall'ufficiale di stato civile belga con il doppio cognome del padre, in ottemperanza alla legge belga che attribuisce ai figli lo stesso cognome del padre, invece che col primo cognome del padre seguito dal cognome della madre, come previsto dalle leggi e dalle consuetudini spagnole. Conseguentemente, detti minori risultavano chiamarsi Garcia Avello in Belgio e Garcia Weber in Spagna, con conseguenti problemi di carattere pratico, oltre che personale). In applicazione di tale sentenza, il Tribunale di Bologna, con decreto del 9 giugno 2004, ha stabilito che "la doppia cittadinanza del minore legittima i suoi genitori a pretendere che vengano riconosciuti nell'ordinamento italiano il diritto e la tradizione spagnoli per cui il cognome dei figli si determina attribuendo congiuntamente il primo cognome paterno e materno: solo così sono garantiti al minore il diritto ad avere riconosciuta nell'ambito dell'Unione una sola identità personale e familiare e ad esercitare tutti i diritti fondamentali attribuiti da ciascuna delle normative nazionali, spagnola ed italiana, cui egli è legato da vincoli di pari grado e intensità". Della questione della libertà di attribuzione del cognome al figlio fu investita già nel corso degli anni '80 la Corte costituzionaleCorte costituzionale, la quale ha dichiarato in due occasioni, con le ordinanze nn. 176 e 586 del 1988, manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale (nella prima pronuncia) degli artt. 71, 72 e 73 del r.d. n. 1238 del 1939 (successivamente abrogato ad opera del D.P.R. 396/2000), nonché (nella seconda pronuncia) dell’art. 73 del suddetto r.d. 1238/1939 e degli artt. 6, 143-bis, 236, 237, comma 2, e 262, comma 2, c.c., nella parte in cui non prevedono la facoltà dei genitori di determinare il cognome del proprio figlio legittimo mediante l’imposizione di entrambi i loro cognomi, né il diritto di quest'ultimo di assumere anche il cognome materno. In tali pronunce la Corte costituzionale ha rilevato che l’interesse alla conservazione dell’unità familiare tutelato dall’art. 29, secondo comma, Cost. sarebbe gravemente pregiudicato se il cognome dei figli nati dal matrimonio non fosse prestabilito fin dal momento dell’atto costitutivo della famiglia, così da essere non già imposto dai genitori ai figli, ma esteso ope legis; allo stesso tempo la Corte ha riconosciuto come del tutto compatibile con il quadro costituzionale, ed anzi maggiormente aderente all’evoluzione della coscienza sociale, una sostituzione della regola vigente con un criterio diverso, più rispettoso dell’autonomia dei coniugi ed idoneo a conciliare i due principi sanciti dall’art. 29 Cost., ritenendo tuttavia tale innovazione normativa, anche per la pluralità delle soluzioni adottabili, di esclusiva competenza del legislatore. In definitiva, la giurisprudenza della Corte costituzionale sul punto non si è mai espressa in maniera esplicita, puraffermando che l'attuale sistema di attribuzione automatica del cognome paterno ai figli legittimi è il "retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell'ordinamento e con il valore costituzionale dell'uguaglianza tra uomo e donna" (sentenza n. 61/2006). Dichiarando inammissibile la relativa questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3 e 29, secondo comma, della Costituzione, la Consulta (confermando le citate ordinanze nn. 176 e 586/1988) ha ritenuto non ipotizzabile - come prefigurato nell’ordinanza di rimessione della Corte di cassazione - nemmeno una pronuncia che, accogliendo la questione di costituzionalità, demandasse ad un futuro intervento del legislatore la successiva regolamentazione organica della materia. La Corte costituzionale ha ritenuto, infatti, che “l’intervento che si invoca con la ordinanza di rimessione richiede una operazione manipolativa esorbitante dai poteri della Corte”. Identiche considerazioni emergono dalla successiva ordinanza n. 145/2007. Al contrario della Consulta, la Corte di cassazioneCorte di cassazione più volte si è espressa sull’attribuzione al figlio del solo cognome paterno, pur in prevalente riferimento al caso di filiazione naturale il cui riconoscimento da parte dei genitori sia avvenuto in momenti diversi. Focalizzando l’attenzione sul supremo interesse del figlio, la Suprema Corte ha ritenuto che nell’attribuzione del cognome al figlio vada evitata ogni automaticità al fine di evitare un danno alla sua identità personale (tra le altre, Cass. sent. nn. 12641/2006, 23635/2009, 27069/2011 e 16271/2013). Ancor più esplicitamente, la Cassazione ha espresso l’opinione che l’attribuzione al figlio del solo cognome paterno sia ormai antistorica (oltre che in contrasto con le fonti sovranazionali), segnalando la necessità di un intervento del legislatore (sent. 16093 del 2006). Nella scorsa legislatura la L'attività parlamentare nelle precedenti legislatureCommissione Giustizia della Camera ha esaminato alcune proposte di legge di iniziativa parlamentare volte alla modifica della disciplina relativa all’attribuzione del cognome al figlio (A.C. 36 e abb.). Il relatore del provvedimento in Commissione (on. Bongiorno) aveva elaborato un testo unificato (del quale la Commissione non ha concluso l'esame) in base al quale i figli assumevano il cognome di entrambi i genitori. Al figlio legittimo veniva attribuito il doppio cognome secondo l’ordine concordemente deciso con dichiarazione resa allo stato civile (in mancanza di accordo, valeva l’ordine alfabetico); il figlio naturale assumeva il cognome del genitore che per primo lo aveva riconosciuto e, nel caso di riconoscimento contemporaneo, si applicava la disciplina prevista per il figlio legittimo. In relazione ai coniugi, il testo stabiliva il diritto di ogni coniuge alla conservazione del proprio cognome, da cui derivava che la moglie non avrebbe dovuto più aggiungere al proprio il cognome del marito.
Nella XV legislatura, la fine anticipata delle attività ha interrotto l’iter di un progetto di legge sull’attribuzione del cognome ai figli che, esaminato dalla Commissione Giustizia, era pervenuto all’esame dell’Assemblea del Senato. Il disegno di legge (A.S. 19 e abb.-A) introduceva un nuovo articolo nel codice civile (art. 143-bis.1) che prevedeva che al figlio di genitori coniugati fosse attribuito, secondo la volontà dei genitori, il cognome del padre o quello della madre, ovvero entrambi i cognomi dei genitori nell’ordine da questi concordato. La scelta era effettuata, con dichiarazione revocabile, all’atto del matrimonio ovvero, in mancanza o in caso di revoca, all’atto della nascita del primo figlio. Il d.d.l. stabiliva, inoltre, che, in caso di mancato accordo tra i genitori, ovvero in caso di morte, irreperibilità o incapacità di entrambi, venissero attribuiti al figlio i cognomi di entrambi i genitori in ordine alfabetico, limitatamente al primo cognome di ciascuno. Ai figli comuni successivi al primo, anche se nato prima del matrimonio, veniva attribuito lo stesso cognome attribuito al primo. Il figlio cui fosse stato attribuito il cognome di entrambi i genitori poteva trasmetterne al proprio figlio soltanto uno, a sua scelta. Era infine modificato l’articolo 30 del regolamento di stato civile DPR 396/2000 prevedendo l’obbligo, per chi rende la dichiarazione di nascita, di specificare sotto la sua responsabilità se ci fosse accordo o disaccordo fra i genitori sul cognome da attribuire al figlio. |
Contenuto delle proposte di leggeTutti e tre i progetti di legge all'esame della Commissione Giustizia modificano le vigenti disposizioni civilistiche relative all’attribuzione del cognome ai figli. In particolare, i provvedimenti in esame consentono, con diverse modalità, l’attribuzione ai figli anche del cognome materno. Di seguito viene data sintetica illustrazione dei progetti di legge segnalando preliminarmente come, nell’ottica del riconoscimento della pari dignità della donna all’interno del matrimonio, le due proposte di legge di iniziativa parlamentare, oltre ad intervenire sulla disciplina dell’attribuzione del cognome al figli, innovino anche la disciplina civilistica sul cognome dei coniugi. |
A.C. 360, GaraviniLa proposta di legge n. 360 è composta da cinque articoli. L’articolo 1 sostituisce l’art. 143-bis del codice civile (che attualmente, sotto la rubrica “Cognome della moglie”, stabilisce che la moglie aggiunge il proprio cognome a quello del marito conservandolo durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze). Il nuovo art. 143-bis, ora rubricato “Cognome dei coniugi”, prevede che con il matrimonio entrambi i coniugi mantengano il proprio cognome. Sono, poi, abrogati, per esigenze di coordinamento normativo:
L’articolo 2 della p.d.l. 360 introduce nel codice civile l’art. 143-bis.1, rubricato “Cognome del figlio di genitori coniugati”, che prevede, su accordo dei genitori, che sia attribuito al figlio al momento della sua registrazione presso gli uffici di stato civile:
Pare utile valutare una più puntuale formulazione del primo comma dell’art. 143-bis.1 che, anzichè alla “registrazione del figlio allo stato civile”, potrebbe fare riferimento alla “registrazione dell’atto di nascita del figlio allo stato civile”. In caso di mancato accordo, sono attribuiti al figlio entrambi i cognomi dei genitori, in ordine alfabetico (secondo comma). I due ulteriori commi dell’art. 143-bis.1 stabiliscono: - che i figli degli stessi genitori coniugati, registrati all’anagrafe dopo il primo figlio, portano lo stesso cognome di quest’ultimo (terzo comma); - che il figlio cui sono stati trasmessi due cognomi dai genitori può trasmetterne ai propri figli soltanto uno a sua scelta (quarto comma). Considerazioni analoghe a quelle espresse per il primo comma dell’art. 143-bis. possono essere espresse in relazione alla formulazione del terzo comma dello stesso articolo. Si potrebbe quindi formulare il terzo comma facendo riferimento, anziché a “I figli degli stessi genitori coniugati registrati successivamente…” a “I figli degli stessi genitori coniugati i cui atti di nascita sono registrati successivamente…”. Si osserva, inoltre, come il quarto comma dell’art. 143-bis.1 non preveda le modalità di manifestazione della scelta del cognome da trasmettere ai figli. L’articolo 3 della proposta di legge riformula l’art. 262 del codice civile, relativo al cognome del figlio nato fuori del matrimonio stabilendo che se il figlio è riconosciuto contemporaneamente da entrambi i genitori, si applica la stessa disciplina dettata dal nuovo art. 143-bis.1 per il figlio di genitori coniugati. Mentre, come è ovvio, se il figlio è riconosciuto da un solo genitore ne assume il cognome, ove il riconoscimento da parte dell’altro genitore avvenga successivamente, il cognome di questi si aggiunge al primo solo con il consenso del genitore che ha riconosciuto il figlio per primo nonché del figlio stesso (se già ha compiuto 14 anni). Si osserva che non è evidente, in tale ipotesi: se al minore di 14 anni una volta raggiunto tale limite di età debba essere comunque chiesto il consenso al mantenimento del doppio cognome; se a un suo eventuale diniego consegua la perdita del cognome aggiunto. Ove il figlio sia riconosciuto da entrambi i genitori (quindi, sia in caso di riconoscimento contemporaneo che successivo) se uno dei due ha un doppio cognome, ne trasmette al figlio solo uno a sua scelta. L’ultimo comma del nuovo art. 262, estendendo la disciplina dell’art. 143-bis.1, terzo comma, prevede che nel caso di più figli nati fuori dal matrimonio dagli stessi genitori, essi porteranno lo stesso cognome attribuito al primo figlio. L’articolo 4, comma 1, detta, anzitutto, una nuova formulazione dell’art. 299 del codice civile relativo al cognome dell’adottato maggiore di età. La nuova disciplina prevede che l’adottato anteponga al proprio cognome quello dell’adottante; nel caso in cui il primo abbia un doppio cognome, deve indicare quale intenda mantenere. Se l’adozione del maggiorenne è fatta da entrambi i coniugi, questi decidono d’accordo quale cognome attribuire al figlio adottivo (quello paterno, quello materno o entrambi, secondo l’ordine concordato) ai sensi dell’art. 143-bis.1, introdotto dall’art. 2; in mancanza di accordo, si segue l’ordine alfabetico (comma 1). Si osserva che l’ultima previsione pare essere riferita al caso di mancato accordo sull’ordine da dare al doppio cognome. Il comma 2 dell’art. 4 sostituisce l’art. 27 della legge sull’adozione (L. 184/1983) relativo agli effetti dell’adozione sullo status del minore adottato. Tale disposizione stabilisce attualmente che, a seguito dell’adozione, l'adottato acquista lo stato di figlio nato nel matrimonio degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome. Il nuovo art. 27 - confermando l’acquisto dello stato di figlio nato nel matrimonio - estende all’adottato la disciplina per l’attribuzione del cognome di cui all’art. 143-bis.1 c.c. (art. 2 della p.d.l.). Sono abrogati, quindi, i commi 2 e 3 dell’attuale art. 27 che prevedono, rispettivamente; - che se l’adozione è disposta nei confronti di moglie separata, l'adottato assume il cognome della famiglia di lei (il riferimento è al caso di separazione tra i coniugi affidatari che intervenga nel corso dell'affidamento preadottivo; in tal caso, infatti, l'adozione può essere disposta nei confronti di uno solo o di entrambi, nell'esclusivo interesse del minore, qualora il coniuge o i coniugi ne facciano richiesta); - che, a seguito dell’adozione, cessano i rapporti dell'adottato verso la famiglia d'origine, salvi i divieti matrimoniali (si tratta dei divieti a contrarre matrimonio con persone della famiglia di origine con cui l’adottato abbia un vincolo di parentela ex art 87 c.c.). Si osserva che l’abrogazione del comma 3 dell’art. 27 riguarda esclusivamente la disciplina dell’adozione e gli effetti della medesima. Infine, l’articolo 5 stabilisce che la nuova disciplina introdotta in materia di cognome dei figli si applica anche ai figli degli italiani residenti all’estero che, ai sensi della legge n. 470 del 1988 (Anagrafe e censimento degli italiani all'estero), devono essere iscritti nell'Anagrafe degli italiani residenti all’estero (cd. A.I.R.E.) tenute presso i comuni e presso il Ministero dell'interno. L’AIRE è costituita presso i comuni di nascita o di ultima residenza del cittadino italiano trasferito all’estero o, nel caso di cittadini italiani nati all’estero, presso il comune di Roma. Un’anagrafe cumulativa dei dati contenuti presso i comuni è tenuta dal Ministero dell’interno. Oltre ai dati anagrafici, l’AIRE reca l’indicazione relativa all’iscrizione del cittadino nelle liste elettorali del comune di provenienza (L. 470/1988, art. 1, comma 7).
Sono iscritti all’AIRE (L. 470/1988, art. 2, comma 1):
L’AIRE viene aggiornata continuamente a seguito delle variazioni che intervengono nel tempo: gli ufficiali di anagrafe dei comuni che eseguono le iscrizioni e le cancellazioni hanno l’obbligo di darne tempestiva comunicazione al Ministero dell’interno, che le comunica a sua volta agli uffici consolari competenti (L. 470/1988, art. 5, comma 1).
I cittadini italiani che trasferiscono la loro residenza da un comune italiano all'estero devono dichiararlo all'ufficio consolare della circoscrizione di immigrazione entro 90 giorni dal trasferimento (L. 470/1988, art. 6, comma 1). Si osserva che la formulazione dell'articolo 5 pare estendere le disposizioni italiane sul cognome dei figli anche ai figli italiani nati all'estero, indipendentemente dalle disposizioni vigenti nel paese di nascita. |
A.C. 1943, NicchiLa proposta di legge n. 1943 è composta da otto articoli. L’articolo 1 della proposta di legge C. 1943 detta una nuova formulazione dell’art. 143-bis del codice civile in materia di “Cognome dei coniugi”, introducendo una disciplina identica a quello dell’articolo 1 della proposta di legge AC 360 (v. sopra). L’articolo 2 aggiunge, dopo il secondo, un nuovo comma all’art. 6 del codice civile (in materia di diritto al nome) che sancisce il legame particolare che lega la prole alla madre. La disposizione, stabilendo che i figli assumono il cognome materno o paterno o di entrambi i genitori (pur non esplicitato espressamente dalla norma è, evidentemente, presupposto l’accordo tra questi ultimi), prevede che, in caso di attribuzione al figlio di doppio cognome, figura per primo il cognome della madre. Se non vi è accordo tra i genitori (sulla scelta tra le tre opzioni possibili) il figlio assume i cognomi di entrambi i genitori, sempre con priorità nell’ordine, a quello materno. I figli (nati all’interno o fuori del matrimonio ovvero adottati), una volta maggiorenni, possono tuttavia optare per una modifica del proprio cognome. Si osserva che, tra le proposte abbinate, la sola p.d.l. in esame opta per una diversa scelta sistematica intervenendo sull’art. 6 del codice civile, quindi, sul “diritto al nome” collocato nel titolo I (Delle persone fisiche) del libro primo del codice civile. Pare utile valutare l’efficacia normativa risultando le diverse possibili ipotesi di attribuzione del cognome al figlio nato all’interno o fuori del matrimonio già disciplinate – con identiche modalità - dalle successive disposizioni della proposta di legge. In relazione alla possibile modifica del cognome da parte dei figli al raggiungimento della maggiore età, pare, inoltre, opportuno segnalare come la disposizione aggiunta all’art. 6 c.c. faccia riferimento al cambiamento del cognome “in conformità a quanto disposto dagli articoli 143-bis.1, 262 e 299”. Tuttavia, le citate disposizioni (cfr. artt. 3, 5 e 6 della p.d.l.) recano solo la disciplina sostanziale relativa all’assunzione del cognome dei figli nati nel matrimonio (art. 143-bis.1 c.c.), fuori del matrimonio (art. 262 c.c.) e adottati (art. 299 c.c.); risulta, quindi, mancante in tali articoli una disciplina inerente l’eventuale cambiamento del cognome dei figli maggiorenni. L’articolo 3 della p.d.l. 1943 introduce nel codice civile l’art. 143-bis.1, relativo al cognome del figlio di genitori coniugati, secondo il quale, su scelta concordata dei genitori, è attribuito al figlio il cognome del padre, quello della madre o di entrambi. Nell’ultimo caso è indicato per primo il cognome della madre. Pare utile valutare se possa assumere rilievo l’ordine di citazione nella disposizione dei cognomi; infatti, al contrario che nel novellato art. 6 c.c., nell’art. 143-bis.1 è prima fatto riferimento al cognome del padre anziché quello della madre. L’ordine di citazione dei cognomi sembrerebbe, peraltro, avere solo valore formale, dal momento che l’attribuzione ai figli è comunque rimessa all’accordo tra i genitori. In caso di doppio cognome, l’art. 143-bis. 1 prevede che debba essere indicato per primo il cognome materno. I genitori effettuano la scelta all’atto di nascita del primo figlio. In caso di mancato accordo tra i genitori, ovvero in caso di morte, irreperibilità o incapacità di entrambi, sono attribuiti al figlio i cognomi di entrambi i genitori, con l’indicazione, quale primo cognome, di quello materno. Pare utile valutare se il riferimento al caso di morte o irreperibilità dei genitori debba riguardare l’ipotesi in cui tali eventi si verifichino prima del termine per la scelta sull’attribuzione del cognome ai figli. Ai figli successivi al primo, generati dai medesimi genitori, è attribuito lo stesso cognome del primo figlio. Il figlio cui è attribuito il cognome di entrambi i genitori può trasmetterne al proprio figlio soltanto uno, a sua scelta, in conformità a quanto previsto dalle disposizioni appena illustrate. Si osserva come non siano indicate le modalità di manifestazione della scelta del cognome da trasmettere ai figli. L’articolo 4 detta una nuova formulazione dell’art. 237 del codice civile in materia di possesso di stato, elemento che rileva ai fini della prova della filiazione. Si ricorda che la filiazione si prova con l’atto di nascita iscritto nei registri dello stato civile (art. 236, primo comma); in mancanza, lo status di figlio può essere provato con il possesso continuo di stato, il quale deve risultare da una serie di fatti che, nel loro complesso, valgano a dimostrare le relazioni di filiazione e di parentela fra una persona e la famiglia a cui essa pretende di appartenere. Tali fatti sono indicati dall’attuale art. 237 c.c. nei seguenti: a) che la persona abbia sempre portato il cognome del padre che essa pretende di avere (cd. nomen); b) che il padre l'abbia trattata come figlio ed abbia provveduto in questa qualità al mantenimento, alla educazione e al collocamento di essa (cd. tractatus); c) che sia stata costantemente considerata come tale nei rapporti sociali (cd. fama); d) che sia stata riconosciuta in detta qualità dalla famiglia. L’articolo 4 della p.d.l. modifica l’art. 237 c.c., anche per esigenze di coordinamento con le modifiche introdotte al codice civile. Viene così integrato il contenuto delle lettere a) e b), relative al cognome ed al trattamento di chi rivendica il possesso di stato, con il riferimento anche alla madre ovvero ad entrambi i genitori. L’articolo 5 della p.d.l. 1943 modifica la disciplina dell’art. 262 c.c. relativa al cognome da attribuire al figlio nato fuori dal matrimonio. La formulazione del nuovo art. 262 è analoga a quella introdotta dall’art. 3 della p.d.l. 360 (v. sopra). Non sono, tuttavie, disciplinate - rispetto a quest’ultima – le ipotesi che condizionano l’attribuzione del cognome al figlio in caso riconoscimento successivo di uno dei due genitori (art. 262, terzo comma, secondo periodo) nonchè quello del caso di doppio cognome di uno dei due genitori, in caso di riconoscimento congiunto (art. 262, quarto comma). L’articolo 6, comma 1, sostituisce l’art. 299 del codice civile prevedendo una nuova disciplina dell’assunzione del cognome del figlio adottato maggiorenne. Come l’art. 4 della p.d.l. 360, anche la disposizione in esame stabilisce che l’adottato assuma il cognome dell’adottante anteponendolo al proprio. Ove l’adozione sia compiuta da coniugi, essi debbono dichiarare congiuntamente (quindi in accordo tra loro) quale cognome attribuire all’adottato (quello del padre, quello della madre o quello di entrambi; in tale ultimo caso, anteponendo il cognome materno). Se i coniugi adottanti hanno figli, l’adottato assume il cognome già attribuito al primo figlio. Il comma 1 disciplina, poi, i casi di doppio cognome dell’adottato o dell’adottante:
Il comma 2 dell’art. 6 sostituisce l’art. 27 della legge sull’adozione (L. 184/1983), così coordinandone la disciplina con quella del nuovo art. 299 c.c.. Confermando l’attuale previsione secondo cui, a seguito dell’adozione, l'adottato acquista lo stato di figlio degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome, il nuovo art. 27 rinvia – per l’attribuzione del cognome all’adottato - alla disciplina introdotta al comma 1 dal nuovo art. 299 c.c. per il caso di adozione compiuta dai coniugi. In caso di disaccordo, l’adottato assume en trambi i cognomi dei genitori, con priorità, nell’indicazione, di quello della moglie. Confermata la previsione della cessazione, a seguito dell’adozione, dei rapporti dell'adottato verso la famiglia d'origine, salvi i divieti matrimoniali, risulta abrogato il comma 2 dell’art. 27 che prevede – in caso di adozione disposta nei confronti della moglie separata – che l'adottato assume il cognome della famiglia di lei. L’art. 7 della proposta di legge prevede – entro un mese dalla data di entrata in vigore della nuova legge - che il Governo apporti le modifiche all’art. 33 del regolamento anagrafico (DPR 396/2000) conseguenti alla riforma introdotta, in particolare coordinandone il contenuto con le nuove regole sull’attribuzione del cognome al figlio (nato nel matrimonio o fuori di esso) o al figlio adottato nonchè sulla possibilità di modifica del proprio cognome da parte del figlio maggiorenne. Il nuovo art. 33 dovrà, inoltre, prevedere le modalità di comunicazione all’ufficiale dello stato civile delle dichiarazioni in materia di cognome del figlio nonché l’obbligo di annotazione nel relativo atto di nascita. L’articolo 8, infine, detta una disciplina transitoria della riforma, stabilendo che la nuova disciplina sul cognome si applica a tutti i nati dopo la data di entrata in vigore del provvedimento in esame che non abbiano fratelli viventi nati dagli stessi genitori. Pare utile valutare se non sia preferibile esplicitare in positivo a quale disciplina transitoria per l’attribuzione del cognome dovrebbero essere assoggettati i figli nati dopo l’entrata in vigore della riforma vigente che abbiano fratelli viventi nati dagli stessi genitori (ovvero se, come attualmente, dovranno assumere solo il cognome del padre). Sembra inoltre utile chiarire quale disciplina sia applicabile nel caso in cui venga riconosciuto un figlio dopo la nascita di quello nato all’interno del matrimonio e a cui sia stata applicata la nuova disciplina sull’attribuzione del cognome. Alla stessa data di entrata in vigore, i cognomi composti da più parole si considerano, ai fini della riforma, quale cognome unico. Pare utile valutare l’impatto di tale previsione, soprattutto in relazione ai casi di possibile attribuzione al figlio del cognome di entrambi i genitori. |
A.C. 2123, GovernoIl disegno di legge del Governo, composto di quattro articoli, modifica la disciplina del codice civile allo scopo (dichiarato anche nel titolo del d.d.l.) di colmare la lacuna del nostro ordinamento riscontrata dalla CEDU in relazione all’impossibilità di attribuzione ai figli anche del cognome della madre. L’articolo 1 del disegno di legge modifica l’art. 143-bis del codice civile aggiungendovi un secondo comma in base al quale il figlio nato da genitori coniugati:
L’art. 143-bis (la cui nuova rubrica diventa “Cognome della moglie e del figlio”) sancisce quindi, con norma primaria, l’attuale consuetudine dell’attribuzione al figlio del cognome del padre, condizionando all’assenso di quest’ultimo (oltre che della madre) la possibile attribuzione del cognome materno. Ne sembra conseguire che, in caso di mancato accordo, prevarrà la regola dell’attribuzione al figlio del cognome del padre. L’articolo 2 del disegno di legge detta identica disciplina per l’attribuzione del cognome al figlio nato fuori del matrimonio riconosciuto contemporaneamente da entrambi i genitori. A tal fine è integrato il primo comma dell’art. 262 del codice civile (che attualmente prevede l’assunzione del solo cognome paterno), con un rinvio all’art. 143-bis c.c. Si osserva che la nuova disposizione non prevede la disciplina applicabile al caso, ricorrente (e oggetto di diverse pronunce di legittimità), in cui il riconoscimento del figlio non sia contemporaneo. L’articolo 3 detta analoga disciplina per l’attribuzione del cognome al figlio adottato maggiorenne, modificando il terzo comma dell’art. 299 del codice civile. Come evidenziato in precedenza, tale disposizione stabilisce attualmente che nell’adozione legittimante compiuta da entrambi i coniugi, l'adottato assume il cognome del marito. Secondo il nuovo terzo comma dell’art. 299 c.c. l’adottato di maggiore di età:
Anche in tal caso, l’assunzione del cognome materno da parte dell’adottato è condizionato all’assenso del futuro padre adottivo. L’articolo 4 del disegno di legge, infine, prevede una norma transitoria in base alla quale la nuova disciplina sull’attribuzione del cognome ai figli sarà applicabile solo in relazione alle dichiarazioni di nascita rese ed alle adozioni pronunciate successivamente all’entrata in vigore del provvedimento in esame. Nella relazione al d.d.l. si precisa che le motivazioni di tale disciplina derivano da esigenze di certezza nei rapporti giuridici (in relazione soprattutto ai profili pubblicistici del cognome) nonchè dal rispetto del principio di irretroattività della legge di cui all’art. 11 delle Preleggi. |
Relazioni allegate o richiesteIl disegno di legge governativo (A.C. 2123) è corredato, oltre che dalla relazione illustrativa, dall'analisi tecnico-normativa e dall'analisi di impatto della regolamentazione (AIR). Le due proposte di legge d'iniziativa parlamentare sono corredate dalla relazione illustrativa. |
Necessità dell'intervento con leggeL'intervento legislativo è necessario, essendo diretto a modificare disposizioni contenute nel codice civile o nella legge sulle adozioni. |
Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definiteIl contenuto dei progetti di legge è riconducibile alla materia "ordinamento civile", di competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lett. l), Cost.). |
Incidenza sull'ordinamento giuridicoLe modifiche introdotte dai progetti di legge, interessando l'attribuzione del cognome ai figli, dispongono per l'avvenire. L'incidenza sull'ordinamento giuridico è regolata da disposizioni di carattere transitorio nella p.d.l. 1943 e nel d.d.l. 2123. |
Compatibilità con la Convenzione EDU (a cura dell'Avvocatura della Camera dei Deputati)
I progetti di legge in titolo non presentano aspetti critici sotto il profilo della compatibilità con l’ordinamento del Consiglio d’Europa e, in particolare, con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Al contrario, esse appaiono idonee a superare un punto problematico emerso nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che si è presentato sotto due aspetti connessi: la disciplina dei cognomi dei coniugi dopo il matrimonio; e – proprio in relazione alla legislazione italiana - la scelta del cognome da attribuire ai figli. Quanto al primo profilo, l’art. 1 di entrambe le proposte di legge di iniziativa parlamentare è volto a sostituire l’art. 143-bis del codice civile (e, per conseguenza, ad abrogare l’art. 156-bis del medesimo codice e l’art. 5, commi 2, 3 e 4 della legge sul divorzio), statuendo il principio della conservazione in capo a ciascun coniuge del proprio cognome, in luogo del principio dell’aggiunta per la sola moglie del cognome del marito. Con tre sentenze, la Corte europea dei diritti (v. Burghartz c. Svizzera del 1994; Unal Tekeli c. Turchia del 2004; e Losonci Rose et Rose c. Svizzera del 2010) ha riavvisato nelle legislazioni, rispettivamente, svizzera e turca la violazione del combinato disposto degli articoli 8 e 14 della Convenzione, in materia di non discriminazione in relazione al diritto alla vita privata e familiare. I casi – con parziali differenze – inerivano alla volontà dei coniugi di conservare visibilità o dare preminenza al cognome della moglie. Nel caso Burghartz, entrambi i coniugi intendevano adottare il cognome della moglie come nome della famiglia, salvo che il marito che avrebbe anteposto a esso il proprio, ma le autorità cantonali svizzere avevano negato questa possibilità; nel caso Unal Tekeli,la moglie intendeva conservare il cognome da nubile sui documenti, al fine di non disperdere la propria notorietà professionale, ma le autorità turche le avevano negano questa facoltà; nel caso Losonci, entrambi i coniugi intendevano conservare esclusivamente il proprio cognome – ma vistisi rispondere dalle autorità che non era possibile – avevano domandato che il cognome della moglie fosse registrato come nome della famiglia, ma neanche questa facoltà era stata loro accordata. In tutti e tre i casi, la Corte europea – pur con motivazioni adattate agli specifici quadro normativi di riferimento - ha ravvisato le violazioni lamentate, giacché se si fosse trattato di adottare come cognome di famiglia o come cognome unico dopo il matrimonio quello del marito, le richieste sarebbero state accolte. Quanto al secondo aspetto, entrambe le proposte – oltre al disegno di legge di iniziativa governativa - sono volte a consentire che ai figli possa essere conferito il cognome materno (o anche esso). Con la sentenza sul caso Cusan e Fazzo c. Italia (depositata il 7 gennaio 2014, divenuta irrevocabile il 7 aprile scorso), la Corte europea dei diritti (sezione II, ricorso 77/07) ha constatato la violazione da parte dello Stato italiano del combinato disposto degli articoli 8 e 14 della Convenzione. Il caso ineriva a una coppia coniugata di Milano, che aveva domandato all’ufficiale di stato civile di attribuire alla figlia soltanto il cognome della madre. Dal rifiuto dell’ufficiale di stato civile era nato un lungo contenzioso (entro il quale si era avuta anche la sentenza d’inammissibilità della Corte costituzionale n. 61 del 2006), in esito al quale l’unico risultato che i coniugi avevano ottenuto era stato un provvedimento del prefetto di Milano di consentire alla figlia l’aggiunta del cognome materno al proprio (id est quello del padre). La Corte europea (rifacendosi anche alla propria giurisprudenza sulla problematica assimilabile, poc’anzi illustrata, inerente alla disciplina dei cognomi dei coniugi dopo il matrimonio, Burghartz, Unal Tekeli e Losonci Rose et Rose) ha ritenuto sussistente la violazione del principio di non discriminazione in relazione al pieno esercizio del diritto alla vita privata e familiare. La Corte ha statuito – infatti – che, sebbene l’art. 8 Cedu non disponga espressamente alcunché in ordine alla scelta del cognome dei membri di una famiglia, certamente tale tematica pertiene all’identità delle persone che la compongono e rientra quindi nell’ambito di applicazione del medesimo art. 8 (v. n. 55 della sentenza). La Corte ha altresì affermato – anche in ossequio alla propria costante giurisprudenza – che il divieto di discriminazioni (art. 14 Cedu) è violato laddove lo Stato convenuto detti norme o tenga comportamenti differenziati tra situazioni uguali e comunque operi sul piano normativo distinzioni tra categorie di destinatari senza motivi oggettivi e in modo ragionevole (v. n. 58 della sentenza). Poiché la legge italiana non presenta attualmente una sistemazione normativa in cui la discriminazione tra il trattamento del cognome paterno e quello materno possa dirsi giustificata, la Corte ha ravvisato la violazione (v. n. 68 della sentenza). |