Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento giustizia | ||||||||
Titolo: | Disposizioni per la prevenzione e il contrasto del bullismo e del bullismo informatico - A.C. 1986 Schede di lettura | ||||||||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 169 | ||||||||
Data: | 28/05/2014 | ||||||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | II-Giustizia |
Disposizioni per la prevenzione e il contrasto del bullismo e del bullismo informatico
28 maggio 2014
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La proposta di legge prevede misure per la prevenzione e il contrasto del bullismo e del bullismo informatico. A tal fine:
Il fenomeno e le attività di contrastoIl termine "bullismo" è stato utilizzato per la prima volta in una norma di rango legislativo nel 2012: in particolare, l'art. 50 del D.L. 5/2012 (L. conv. 35/2012) ha previsto che fossero emanate linee guida per la definizione, fra l'altro, di un organico di rete finalizzato anche al contrasto dei fenomeni di bullismo. Sebbene il "bullismo" sia stato inquadrato in vario modo da numerosi studi, anche in ambito internazionale, non ne esiste una definizione legislativa. Sulla dimensione e le forme del Le iniziative di contrasto del bullismofenomeno in Italia, la Fondazione Censis, su incarico del Ministero dell’istruzione, ha svolto nel 2008 la “Prima indagine nazionale sul Bullismo”. Ricerche comparate più recenti condotte da singoli studiosi sono state svolte e presentate nel 2010, nel 2012 e per gli Stati Uniti nel 2014. Le più recenti iniziative sul fronte del contrasto alla lotta al bullismo e al cyberbullismo sono state recentemente indicate dal Governo nel corso della seduta della Camera dei deputati del 6 maggio 2014, in risposta all’interrogazione 5-02483 . Il rappresentante del Governo ha ricordato che sono messi a disposizione delle istituzioni scolastiche, delle famiglie e delle vittime del fenomeno una serie di strumenti, a cominciare dalla direttiva n. 16 del 5 febbraio 2007, contenente le «Linee di indirizzo dalla direttiva n. generali ed azioni a livello nazionale per la prevenzione e la lotta al bullismo». Tra le iniziative già intraprese, sono state richiamate le seguenti:
Rispetto al tema più specifico del cyberbullismo il Governo ha fatto presente che il Ministero ha promosso e sostenuto azioni volte al contrasto di tale fenomeno nel Piano nazionale denominato «Più scuola meno mafia», realizzando, a partire dal 2010, le seguenti iniziative: a) il progetto di Milano «Open Eyes: safenet use», un Osservatorio per informare e formare studenti, famiglie e scuole sull'uso e l'abuso della rete informatica e per la gestione dei casi di stalking, cyber bullismo, e, in generale, per il sostegno alle vittime di comportamenti persecutori; b) il progetto di Caserta «Nausicaa», un Osservatorio di ricerca, formazione, e uno sportello per il sostegno psicologico agli studenti e alle le vittime di reati di bullismo e cyber bullismo. Il Ministero ha poi aderito nel 2010 al progetto europeo «Tabby in internet» (Threat Assessment of Bullying Behaviour: Valutazione della minaccia di cyber bullismo nei giovani), approvato nel quadro del programma Daphne III (2007-2013) e finalizzato a promuovere una cultura della rete «sana», ad accrescere la conoscenza delle minacce derivanti dall'uso di Internet e/o di altri mezzi di comunicazione informatizzata e ad attivare strategie e interventi mirati alla prevenzione di comportamenti devianti. Per quanto riguarda le iniziative realizzate recentemente, il Ministero ha lanciato il progetto «Safer Internet-Generazioni Connesse» per un utilizzo consapevole di internet e dei new media.. Poiché anche le scuole sono luoghi strategici e deputati a dare risposte adeguate al problema del cyberbullismo, il Ministero ha realizzato sia il portale «smontailbullo.it» che il portale «URP Social», primo social tematico che una pubblica amministrazione realizza, nei quali vengono offerte alle scuole opportunità di approfondimento e di orientamento rispetto a questo fenomeno sociale, sempre più dilagante. Nell'ottica del processo di rinnovazione della didattica educativa e della formazione segnato dall'interazione fra tecnologia mobile e concetto di rete, il Ministero ha realizzato due social tematici: «www.webimparoweb.eu» e «www.ilsocial.eu», rivolti ai ragazzi under 13 e over 14, i quali sono espressione di una piazza virtuale dove poter comunicare e socializzare le proprie esperienze, emozioni nel rispetto delle regole sulla sicurezza informatica, della netiquette e delle norme sulla privacy. Nella fase di prima attivazione (9 settembre 2013-9 ottobre 2013) ha registrato 1.449 visite e 6.038 visualizzazioni di pagina. Il Governo ha ricordato che i portali sono un punto di riferimento per moltissimi giovani e docenti che desiderano saperne di più, ma che cercano anche un canale di comunicazione con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che tramite la Direzione generale per lo studente, l'integrazione, la partecipazione e la comunicazione offre assistenza in rete con gli Ufficio Territoriali competenti e i Dirigenti Scolastici operativi nelle istituzioni scolastiche del Paese. |
I contenuti della proposta di leggeLa proposta di legge è composta da sei articoli. L’articolo 1 individua lL'obiettivo’obiettivo della legge: il contrasto dei fenomeni del bullismo e del bullismo informatico in tutte le loro manifestazioni, con azioni di carattere preventivo e repressivo. L’articolo 2 individua gli Gli atti di bullismoatti di bullismo. L’elencazione fa riferimento a una serie di condotte, ciascuna delle quali è riconducibile a specifiche fattispecie di reato punite dal codice penale o nelle leggi speciali. Le condotte che configurano gli atti di bullismo sono suddivise in cinque lettere (per ciascuna di esse sono qui sotto indicati i principali reati già previsti dalla normativa vigente). In base alla proposta di legge sono pertanto atti di bullismo: a) i comportamenti reiterati che si traducono in insulti, offese e derisioni; Secondo l’art. 594 c.p. commette il reato di ingiuria chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente ed è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a 516 euro. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa.
Con riguardo alla reiterazione delle condotte, si rammenta che l’art. 81 c.p. disciplina l’ipotesi del reato continuato: è punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata fino al triplo chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge.
Punti di contatto sussistono anche con il reato di atti persecutori (stalking), previsto dall’art. 612-bis c.p.: salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici. La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità ovvero con armi o da persona travisata. Il delitto è punito a querela della persona offesa. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate che siano gravi ovvero portate con specifiche modalità. Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio.
b) le voci diffamatorie e le false accuse; In base all’art. 595 c.p., commette il reato di diffamazione chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, ed è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032. Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065. Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516. Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.
Inoltre, la calunnia è punita in base all’articolo 368 c.p.: chiunque, con denunzia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all'autorità giudiziaria o ad un'altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne o alla Corte penale internazionale, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione da due a sei anni. La pena è aumentata se s'incolpa taluno di un reato pel quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a dieci anni, o un'altra pena più grave. La reclusione è da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna alla reclusione superiore a cinque anni; è da sei a venti anni, se dal fatto deriva una condanna all'ergastolo; e si applica la pena dell'ergastolo, se dal fatto deriva una condanna alla pena di morte.
c) i piccoli furti, le minacce, la violenza privata, le aggressioni; Per il reato di furto (art. 624 c.p.) è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 154 a euro 516 chiunque s'impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito. Ai fini della connotazione dei “piccoli” furti, si rammenta che costituisce circostanza attenuante comune l’avere, nei delitti contro il patrimonio o che comunque offendono il patrimonio, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità ovvero, nei delitti determinati da motivi di lucro, l’avere agito per conseguire o l’avere comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l’evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità (art. 62, primo comma, n. 4), c.p.).
Il reato di minaccia è punito con la multa fino a euro 51, la minaccia grave o posta in essere con specifiche modalità con la reclusione fino a un anno (art. 612. c.p.).
La violenza privata è punita con la reclusione fino a quattro anni (art. 610 c.p.). Sono previste aggravanti speciali.
Le aggressioni possono integrare varie fattispecie di reato (tra cui ad es. la violenza privata e le minacce).
d) le offese che hanno ad oggetto l'orientamento sessuale, la razza, la lingua, la religione, l'opinione politica, le condizioni personali e sociali della vittima; Sul tema delle offese relative all’orientamento sessuale, alla razza, alla lingua, alla religione, all’opinione politica e alle condizioni personali e sociali della vittima, si richiama in particolare, la legge 654/1975 (c.d. legge Reale), di ratifica ed esecuzione della Convenzione contro il razzismo adottata dalle Nazioni Unite a New York nel 1966, che all'articolo 3 sanziona le condotte di apologia, istigazione e associazione finalizzate alla discriminazione. Analiticamente, l'articolo 3 punisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato:
Il decreto-legge 122/1993 (convertito dalla legge 205/1993 – c.d. legge Mancino) ha inasprito le pene per i delitti previsti dalla legge del 1975 e ha introdotto (articolo 1) pene accessorie in caso di condanna (dall'obbligo di prestare un'attività non retribuita a favore della collettività all'obbligo di permanenza in casa entro orari determinati; dalla sospensione della patente di guida o del passaporto al divieto di detenzione di armi, al divieto di partecipare, in qualsiasi forma, ad attività di propaganda elettorale). Inoltre, facendo costante rinvio alle fattispecie di cui all'articolo 3 della legge 654/1975, l'articolo 2 del decreto-legge ha previsto sanzioni penali per:
Infine, il decreto-legge ha introdotto (articolo 3) la circostanza aggravante della finalità di discriminazione o di odio etnico: per qualsiasi reato - ad eccezione di quelli per i quali è previsto l'ergastolo - commesso per le finalità di discriminazione di cui alla legge n. 654/75, la pena viene aumentata fino alla metà. In caso di concorso di circostanze, il comma 2 stabilisce che il giudice non può ritenere le attenuanti equivalenti o prevalenti rispetto all'aggravante della finalità di discriminazione e che le eventuali diminuzioni di pena devono essere calcolate sulla pena risultante dall'aumento conseguente alla predetta aggravante. Tale principio non opera rispetto all'attenuante della minore età (di cui all'art. 98 del codice penale).
In questa legislatura, la Camera dei deputati ha approvato un testo unificato (pdl 245 e abb.) che intende contrastare le discriminazioni fondate su omofobia e trans fobia, modificando i provvedimenti del 1975 e del 1993.
La Commissione Giustizia del Senato ha avviato l'esame del provvedimento A.S. 1052 l'8 ottobre 2013. L'esame in sede referente è tuttora in corso.
e) le lesioni personali volontarie e il danneggiamento di cose altrui. Le lesioni personali sono punite dall’art. 582 c.p.: chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni.
Il reato di danneggiamento è previsto dall’art. 635 c.p.: chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 309. In particolare, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni e si procede d'ufficio, se il fatto è commesso con violenza alla persona o con minaccia.
L’articolo 3 individua i comportamenti che debbono essere considerati Gli atti di bullismo informaticoatti di bullismo informatico. Si tratta dei seguenti comportamenti: a) i messaggi on line violenti e volgari mirati a suscitare battaglie verbali in un forum; b) la spedizione reiterata di messaggi insultanti mirati a ferire la vittima; offendere qualcuno al fine di danneggiarlo gratuitamente e con cattiveria via e-mail, messaggistica istantanea o sui social network; c) la sostituzione di persona al fine spedire messaggi o pubblicare testi reprensibili; d) la pubblicazione di informazioni private o imbarazzanti su un'altra persona; e) l'ottenimento della fiducia di qualcuno con l'inganno al fine di pubblicare o condividere con altri le informazioni confidate via mezzi elettronici; f) l'esclusione deliberata di una persona da gruppi on-line al fine di provocare un sentimento di emarginazione; g) le molestie e le denigrazioni minacciose mirate a incutere timore. h) la registrazione con apparecchi elettronici di video o di audio degli atti di bullismo di cui all'articolo 2 e la pubblicazione degli stessi sui siti internet. Con riferimento al bullismo informatico, occorre ricordare che il tema dei reati commessi attraverso il web si collega – per la stessa natura immateriale della rete - alla necessità di affrontare la questione a livello transnazionale.
In questo senso, si ricorda che nello scorso mese di settembre 2013, si è svolta a Varsavia la 35^ Conferenza internazionale sulla privacy, nella quale si sono riunite le Autorità garanti per la protezione dei dati di tutto il mondo, che hanno approvato 8 risoluzioni. Le varie risoluzioni approvate, hanno riguardato una serie di importanti questioni: la necessità che imprese e governi assicurino la massima trasparenza nel trattamento dei dati dei cittadini; l'esigenza che l'attività di profilazione si basi su una preliminare valutazione di impatto-privacy, garantisca trasparenza agli interessati e ponga particolare attenzione alla tutela dei minori; l'attenzione da porre ai rischi legati più in generale al ricorso crescente al tracciamento della navigazione sul web (web tracking), che deve essere reso più trasparente ed ispirarsi ai principi detti di "privacy by design"; l'obiettivo di pervenire ad un maggiore coordinamento tre le Autorità per aumentare l'efficacia delle attività di enforcement; la necessità di adottare un piano strategico di azione per il biennio 2014-2015 finalizzato innanzitutto alla creazione di una rete globale di regolatori; la necessità di un accordo internazionale vincolante che salvaguardi i diritti umani attraverso un corretto equilibrio tra sicurezza, interessi economici e libertà di espressione.
Sul piano sanzionatorio, lo specifico connotato che definisce la categoria dei “reati informatici” è rappresentato dalla connessione dei fatti illeciti in esame con l’informatica, vale a dire con le procedure ed attività di elaborazione e trattamento automatizzato di dati e informazioni, nonché con i relativi strumenti e prodotti; tale connotazione va intesa in senso ampio fino a comprendervi le diverse modalità di trasmissione e comunicazione a distanza dei dati stessi (la c.d. telematica). Nel nostro ordinamento, lo sviluppo di una normativa in materia di criminalità informatica è avvenuto attraverso interventi settoriali, legati a contingenti necessità di tutela ovvero all’adeguamento ad indicazioni e raccomandazioni di fonte sovranazionale. Nel corso dell’XI legislatura, sulla spinta delle Raccomandazioni del Consiglio d’Europa, il legislatore italiano si è posto l’obiettivo di integrare il più possibile la disciplina penale dei nuovi fenomeni informatici in quella previgente e generale contenuta nel codice, ed ha approvato la legge 23 dicembre 1993, n. 547, che reca Modificazioni ed integrazioni alle norme del codice penale e del codice di procedura penale in tema di criminalità informatica. La tecnica legislativa utilizzata dalla legge è stata duplice, in quanto ha previsto sia l'introduzione nel codice penale di nuove fattispecie di reato, sia la modifica di fattispecie esistenti con riferimento ai beni informatici. Altre disposizioni hanno riguardano la procedura penale. Analoghe modalità di intervento (nuove fattispecie penali e novelle al codice) hanno caratterizzato la più recente legge 18 marzo 2008, n. 48, Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla criminalità informatica, fatta a Budapest il 23 novembre 2001, e norme di adeguamento dell' ordinamento interno. Da un punto di vista sistematico, le tipologie di reati previsti dal codice penale sono molteplici e di varia natura; da un lato, si tratta di reati commessi su beni informatici (sistemi, reti di telecomunicazione, programmi, ecc.), dall’altro di reati commessi attraverso l’uso illecito delle reti, dei software, dei mezzi di comunicazione informatica e telematica. In particolare, con riguardo ai diversi aspetti richiamati dalla proposta di legge sul tema del cyber bullismo:
Alcuni recenti interventi legislativi hanno interessato ancora i reati commessi con i mezzi telematici. Con il recente decreto-legge n. 93 del 2013 è stato modificato il reato di stalking (art. 612-bis c.d., Atti persecutori), con la previsione di un aumento di pena quando il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici. Questa modifica si inserisce in un filone di interventi volti a codificare l'estensione dell'applicabilità di fattispecie penali alla condotta commessa attraverso l'uso della rete, affiancando così l'opera della giurisprudenza. Nella medesima direzione, si ricorda nella scorsa legislatura la legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote, n. 172 del 2012, che ha introdotto nel codice penale il delitto di adescamento di minorenni (art. 609-undecies), punendo l'adescamento, inteso come qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce «posti in essere anche mediante l'utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione. In linea generale, in assenza di un inquadramento normativo specifico in materia di bullismo e cyber bullismo, la giurisprudenza ha fondato alcune sue pronunce sulle fattispecie esistenti. Infatti, si tratta prevalentemente di reati a forma libera, che quindi si consumano con ogni mezzo o modalità dell’offesa. I comportamenti posti in essere possono produrre conseguenze sia sul piano civilistico sia su quello penalistico. I reati che si possono configurare sono molteplici, tra cui l’ ingiuria (art. 594 c.p.), la diffamazione (art. 595 c.p.), la violenza privata (art. 610 c.p.), la minaccia (art. 612 c.p.) oltre allo stalking (art. 612-bis). Se l’autore è un minore di età ricompresa tra i 14 e i 18 anni, si applicano le norme del processo penale minorile (D.P.R. n. 448 del 1988). A mero titolo di esempio, per la giurisprudenza, Internet costituisce un “mezzo di pubblicità” ai fini del reato di diffamazione a mezzo stampa previsto dall’art. 595, terzo comma, c.p. (Cass. sez. V, 17 novembre 2000, n. 4741). L’articolo 4 introduce Il nuovo reato il reato di bullismo e di cyberbullismo: punisce con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con le condotte previste dagli articoli 2 e 3, cagiona un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero ingenera un fondato timore per la propria incolumità (comma 1). Si tratterebbe dunque di un reato di evento ovvero di un reato per la cui esistenza è prevista la realizzazione di un determinato effetto esteriore (in questo caso un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero un fondato timore per la propria incolumità). Con particolare riferimento alle condotte indicate nell’articolo 2 (bullismo) - e ad alcune di quelle indicate nell’articolo 3 (cyberbullismo) - pare trattarsi di un reato complesso ovverosia di un reato cui, secondo l’articolo 84, primo comma, c.p., non si dovrebbero applicare le disposizioni sul concorso di reati, laddove sono considerati come elementi costitutivi fatti che costituirebbero per sé stessi reati. Pare utile valutare se per la realizzazione del nuovo reato di bullismo e cyber bullismo sia sufficiente anche una sola delle condotte individuate dagli articoli 2 e 3. Pare inoltre utile valutare l’opportunità di chiarire in quali ipotesi si configuri il nuovo reato di bullismo e cyberbullismo e in quali ipotesi invece si applichino le disposizioni relative ai singoli reati che ne costituiscono elemento costitutivo. Il chiarimento sarebbe utile al fine di distinguere i casi in cui si determini un concorso formale di norme da quelli in cui si abbia eventualmente un concorso materiale di reati. Pare inoltre utile considerare se tutte le manifestazioni del cyberbullismo previste dall’articolo 3 consentano di definire fattispecie penali tassativamente determinate. Si consideri ad esempio l’ipotesi di pubblicazione di informazioni “imbarazzanti” su un’altra persona (lett. d) o quella dell’ottenimento della fiducia di qualcuno (lett. e). In ogni caso potrebbe risultare utile valutare le conseguenze sul piano probatorio. Il comma 2 dell'articolo 4 prevede che, se il soggetto è minore di anni 18, si applicano le disposizioni previste dall'articolo 98 del codice penale (comma 2). L’art. 97 c.p. stabilisce la non imputabilità del minore infraquattordicenne. Si tratta quindi di una presunzione assoluta di non colpevolezza, in quanto si ritiene che, in tale ipotesi, il soggetto attivo del reato abbia una piena immaturità. Si rammenta che, in base all’art. 98 c.p., è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva capacità d'intendere e di volere; ma la pena è diminuita. Quando la pena detentiva inflitta è inferiore a cinque anni, o si tratta di pena pecuniaria, alla condanna non conseguono pene accessorie. Se si tratta di pena più grave, la condanna importa soltanto l'interdizione dai pubblici uffici per una durata non superiore a cinque anni, e, nei casi stabiliti dalla legge, la sospensione dall'esercizio della responsabilità genitoriale o dell'autorità maritale. Pertanto, in base al codice, la capacità di intendere e di volere del minore di anni 18 ma non di anni 14deve essere sempreaccertata nel procedimento penale a suo carico: ne consegue l'assenza di un meccanismo presuntivo e la necessità di un accertamento caso per caso tanto della capacità d'intendere quanto della capacità di volere (si veda, da ultimo, Cass. pen. Sez. I, 5 maggio 2011, n. 33750; Cass. pen. Sez. V, 12 novembre 2010, n. 4104). Nei confronti del minore infraquattordicenne che abbia commesso un delitto e sia pericoloso, il giudice, tenuto specialmente conto della gravità del fatto e delle condizioni morali della famiglia in cui il minore è vissuto, applica la misura di sicurezza del riformatorio giudiziario o della libertà vigilata (art. 224 c.p. e artt. 36 ss. del processo minorile, DPR 448/1988). In base al comma 3 dell'articolo 4, se il soggetto è minore di anni 14, i genitori e i dirigenti scolastici sono tenuti a predisporre un piano di lavoro straordinario a servizio negli istituti scolastici di appartenenza, oltre l'orario scolastico, secondo le modalità più consone e nel rispetto della persona (comma 3). Sembra opportuno precisare il significato della locuzione "piano di lavoro straordinario a servizio". L’articolo 5 stabilisce che, qualora, con gli atti previsti dagli articoli 2 e 3, un minore abbia arrecato Il risarcimento per i danni a strutture scolastichedanni a una struttura scolastica, egli è chiamato a ripararli. Nei casi di danneggiamento grave i genitori o il tutore, tenuto conto delle condizioni economiche della famiglia, sono tenuti alla riparazione economica del danno in solido con l'istituto scolastico. Si rammenta che l’art. 2048 c.c. prevede che il padre e la madre o il tutore sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o d delle persone soggette alla tutela, che abitano con essi (primo comma). I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza (secondo comma). Le persone indicate nei commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto (comma 3). In base alla giurisprudenza in tema di responsabilita civile, la responsabilità a carico dei precettori a norma dell'art. 2048, comma 2, c.c. sussiste solo in relazione all'illecito prodotto dall'allievo nei confronti dei terzi, mentre per il danno che l'allievo abbia cagionato a se stesso la responsabilitaà dell'insegnante è di natura contrattuale (nella specie la Cassazione ha ribadito che l'attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, mentre è a carico del convenuto l'onere di dimostrare che l'evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile né alla scuola né all'insegnante) (Cass. civ. Sez. III, 4 febbraio 2014, n. 2413); a fronte di un fatto illecito causato dall'allievo a terzi, si applicano le regole dell'art. 2048 c.c. Ne deriva che, onde superare la presunzione di responsabilità che grava sull'insegnante, non è sufficiente la sola dimostrazione di non essere stato in grado di spiegare un intervento correttivo o repressivo dopo l'inizio della serie causale sfociante nella produzione del danno, essendo necessario anche dimostrare di aver adottato, in via preventiva, tutte le misure disciplinari od organizzative idonee ad evitare il sorgere di una situazione di pericolo favorevole al determinarsi di detta serie causale (Cass. civ. Sez. III, 4 febbaio 2014, n. 2413).
Pare utile chiarire se il riferimento alle condizioni economiche della famiglia costituisca condizione per la applicazione della responsabilità in solido oppure per la determinazione dell’entità dovuta. L’articolo 6 pone obblighi in capo al Gli obblighi del dirigente scolasticodirigente scolastico, stabilendo che, qualora venga a conoscenza degli atti di bullismo e di bullismo informatico deve informare prioritariamente le famiglie dei soggetti coinvolti; deve convocare una riunione con i soggetti coinvolti e uno psicologo della Associazione [rectius: Azienda] sanitaria locale di competenza al fine di esaminare la situazione e predisporre percorsi ad personam per l'assistenza alla vittima e la rieducazione del bullo; nei casi più gravi è tenuto a sporgere denuncia all'autorità giudiziaria. Si rammenta che il dirigente scolastico è un pubblico ufficiale. Come tale è tenuto a fare denuncia quando, nell’esercizio della funzione, ha notizia di un reato perseguibile d’ufficio (art. 331 c.p.p.). L’articolo 6 della proposta di legge costituisce quindi una deroga all’art. 331 c.p.p. Parrebbe inoltre utile individuare i casi più gravi in presenza dei quali permane l’obbligo di denuncia in capo al dirigente scolastico. Occorre infatti tenere conto del fatto che l’omessa denuncia di reato diverso da quelli punibili a querela, da parte del pubblico ufficiale, è punita dall’art. 361 c.p. con la multa da euro 30 a euro 516. |
Relazioni allegate o richiesteLa proposta, d'iniziativa parlamentare, è corredata dalla sola relazione illustrativa. |
Necessità dell'intervento con leggeLa proposta di legge introduce una nuova fattispecie penale, ambito riservato alla legge (art. 25 Cost.). A tal fine il ricorso allo strumento legislativo si rende pertanto necessario. |
Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definiteIl contenuto dei progetti di legge è riconducibile alla materia "ordinamento penale", di competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lett. l), Cost.). |
Rispetto degli altri princìpi costituzionaliPare utile considerare se tutte le condotte punite con la sanzione penale, individuate in particolare all'articolo 3, soddisfino i requisiti di tassatività e offensività (art. 25 Cost.). |
Compatibilità comunitaria |
Documenti all'esame delle istituzioni dell'Unione europea(a cura dell'Ufficio Rapporti con l'Unione europea) L’Unione europea ha sviluppato strumenti di contrasto al fenomeno del cyberbullismo con particolare riguardo alle politiche di protezione dei minori in attuazione dell’articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali (Diritti del minore). Giova ricordare anzitutto il Programma per i diritti dei minori del febbraio 2011, che include (tra le sue undici azioni) il sostegno agli Stati membri e alle altre parti interessate al potenziamento della prevenzione, della responsabilizzazione e della partecipazione dei minori al fine del contrasto al cyber-bullismo (oltreché all’esposizione a contenuti dannosi e ad altri rischi connessi alla navigazione su internet), in particolare attraverso il programma Safer Internet e mediante la cooperazione con l'industria attraverso iniziative di autoregolamentazione (2009-2014). Il Programma “Internet più sicuro” per il periodo 2009-2013, dotato di un bilancio complessivo di 55 milioni di euro, ha previsto tra le sue linee d’azione misure dirette alla lotta contro i contenuti illeciti ed i comportamenti dannosi: ai tratta di azioni destinate a ridurre il volume dei contenuti illeciti in linea ed a combattere la distribuzione di materiale pedopornografico, le pratiche di bullismo on line e di manipolazione psicologica in linea per scopi sessuali ("grooming"). Il programma mette a disposizione del pubblico alcuni punti di contatto accessibili a livello europeo per segnalare efficacemente tali abusi. È inoltre mirato alla lotta contro i comportamento dannosi, prendendo in esame gli aspetti psicologici e sociologici ma privilegiando l’applicazione di soluzioni tecniche. Infine promuove la cooperazione sul piano nazionale, comunitario ed internazionale, incoraggiando le parti interessate a condividere informazioni e migliori prassi.
Questo strumento è complementare al programma europeo Daphne III 2007-2013 volto a prevenire e a combattere ogni forma di violenza, fisica, sessuale e psicologica, nei confronti dei bambini, dei giovani e delle donne. (con una dotazione finanziaria complessiva di 116,85 milioni di euro per il periodo 2007-2013).
Un ambiente on line sicuro per i minori rientra anche tra gli obiettivi dell’Agenda digitale per l’Europa. Si segnala in particolare la comunicazione del maggio 2012 la “Strategia europea per un'internet migliore per i ragazzi” che prevede, tra l’altro, raccomandazioni (in particolare agli Stati membri e agli operatori del settore) volte ad instaurare meccanismi affidabili di segnalazione dei contenuti e dei contatti apparentemente dannosi per i ragazzi. In tale quadro deve richiamarsi l’autoregolamentazione europea nell’ambito della CEO Coalition (gruppo di 31 aziende hi tech, gestori di piattaforme informatiche, come ad esempio i social network, istituita grazie all’azione della Commissione europea, in particolare della Vicepresidente e Commissario per l’Agenda digitale, Neelie Kroes), che prevede, tra l’altro, meccanismi di segnalazione degli abusi, strumenti di classificazione dei contenuti e di parental control, misure di rimozione dei contenuti. |
Compatibilità con la Convenzione EDU(a cura dell'Avvocatura della Camera dei deputati) La proposta di legge nel complesso non presenta aspetti critici sotto il profilo della compatibilità con l’ordinamento del Consiglio d’Europa e, in particolare, con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Quanto specificamente ai profili trattati dall’art. 3 della proposta, si tratta di una materia che è stata oggetto di ampia disamina nell’ambito del Consiglio d’Europa. Si rammentano i seguenti atti, pur se riferiti prevalentemente alla promozione e alla protezione dello strumento di Internet nonché dallo strumento medesimo, e alla libertà d’informazione: la Convenzione sul Cybercrime del 2004, sottoscritta dai Paesi del Consiglio d’Europa con diversi altri Paesi (Canada, Giappone, Sudafrica e Stati Uniti) e diverse dichiarazioni e raccomandazioni del Comitato dei ministri (dichiarazioni del 28 maggio 2003 e del 13 maggio 2005 e raccomandazioni 11 e 16 del 2007, 6 del 2008 e 3 del 2012).
Le tematiche della tutela dell’ordine pubblico e dei diritti della persona da diffamazione e da tecniche aggressive su Internet è stata oggetto di pronunzie della Corte europea dei diritti dell’uomo, in varie chiavi.
Nella sentenza Pravoie Delo c. Ucraina del 5 maggio 2011, la Corte europea ha ritenuto violato l’articolo 10 della Cedu (che prevede il diritto alla libera manifestazione del pensiero) in relazione alla vicenda di un quotidiano che aveva pubblicato il testo di una lettera anonima, scaricato da Internet e considerato diffamatorio da terzi, e che per questo era stato condannato a risarcire il danno, ragione per cui – in definitiva – aveva successivamente chiuso.
Nella sentenza Yildirim c. Turchia del 18 dicembre 2012, la Corte europea – nel constatare una violazione dell’art. 10 a carico della Turchia, nella vicenda dell’oscuramento di un sito da cui un ricercatore traeva le informazioni per sua attività scientifica e accademica - ha chiarito i requisiti in presenza dei quali sono compatibili con la Cedu (e, in specie con l’art. 10) interventi diretti a censurare la diffusione di dati su Internet.
Occorre che la legge nazionale:
1) indichi quali siano i soggetti i cui siti possano essere censurati od oscurati, come per esempio proprietari interni o esteri di contenuti illeciti, siti web, piattaforme, utenti, soggetti che forniscono iper-links a quei siti o piattaforme, eccetera;
2) precisi i tipi di provvedimento adottabile (blocco del sito, dell’indirizzo IP, di particolari modalità d’utilizzo, eccetera);
3) fissi l’ambito di applicazione territoriale del provvedimento;
4) determini la durata dell’intervento censorio;
5) indichi le ragioni e gli interessi che il provvedimento è volto a tutelare;
6) rispetti il principio di proporzionalità tra il provvedimento e il relativo scopo;
7) rispetti il principio di necessità;
8) determini l’autorità competente;
9) preveda una procedura apposita;
10) prescriva la notifica del provvedimento al destinatario;
11) contempli forme d’impugnazione.
La proposta in titolo, appare conforme a questi dettami e anzi sembra assolvere agli obblighi di protezione e di attivazione della tutela della vita privata e familiare ai sensi dell’art. 8 della Cedu, ribadita dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Si ricordino, per esempio, i casi:
- K. U. c. Finlandia del 2 dicembre 2008, in cui è stata accertata la violazione dell’art. 8 del Paese scandinavo, in ragione dell’insufficiente protezione garantita dalla legislazione a una minore che era stata adescata su Internet;
- Delfi AS c. Estonia del 10 ottobre 2013, in cui è stata dichiarata la non violazione dell’art. 10 del Paese baltico, in una vicenda di pubblicazione sul sito web di un periodico che aveva aperto a commenti una notizia di cronaca, con la raccolta di molti insulti a carico di un soggetto determinato e la conseguente condanna risarcitoria dei responsabili del sito;
- Soderman c. Svezia del 12 novembre 2013, in cui è stata accertata la violazione dell’art. 8 del Paese convenuto, a motivo dell’insufficiente protezione garantita dalle decisioni giudiziali svedesi a una minore che era stata fraudolentemente ripresa da una telecamera mentre si spogliava.
Con riguardo specifico all’art. 3, comma 1, lett. d) della proposta, che contempla tra gli atti di cyber-bullismo “la pubblicazione di informazioni private o imbarazzanti su un'altra persona”, pare utile considerare la diffusione di messaggi anche meramente critici e censori su una persona, specie se di pubblica notorietà (ipotesi ricompresa nel novero delle condotte che potrebbero risolversi in un illecito penale ai sensi del successivo art. 4), alla luce dell’art. 10 della Cedu e della citata sentenza Yildirim. Al riguardo, la sentenza Ringier Axel Springer c. Slovacchia n. 3, del 7 gennaio 2014, ha ritenuto violato l’art. 10 in relazione a una condanna al risarcimento dei danni a carico di un quotidiano che aveva diffuso – in via cartacea e su Internet – notizie e opinioni su un fatto di cronaca. Più in particolare, era insorta una controversia tra un concorrente a una trasmissione televisiva a quiz e gli organizzatori del quiz medesimo. Costoro ebbero ad accusare il concorrente di tentata truffa ma questi era risultato poi esentato da qualsiasi rilievo penale. Nondimeno, della larga diffusione a stampa e su Internet del contenzioso, il concorrente si era doluto in sede giudiziale, ottenendo soddisfazione risarcitoria dalla testata giornalistica, in via definitiva. Sul ricorso del giornale, la Corte ha valutato che i tribunali nazionali non avevano compiutamente affrontato la questione del pubblico interesse che la vicenda del quiz aveva suscitato (v. 83 della sentenza). Per questo, secondo la Corte europea, sebbene la cronaca del fatto e dei suoi sviluppi potesse lasciare nel lettore l’impressione che il concorrente fosse in effetti implicato in una vicenda non chiara, le autorità giudiziarie slovacche non avevano colto il giusto equilibrio tra il diritto all’informazione e il libero dibattito su questioni di pubblico interesse, per un verso, e le aspettative di tutela del preteso diffamato, per l’altro; né esse avevano esaminato il profilo dell’eventuale buona fede delle pubblicazioni e del grado di diligenza nella selezione delle fonti profuso dai giornalisti nella loro attività. Di qui l’accertamento della violazione dell’art. 10 Cedu (v. nn. 84 e ss. della sentenza). |