Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Modifiche alla legge 13 aprile 1988, n. 117, in materia di responsabilità civile dei magistrati - A.C. 1735 - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 2738/XVII   AC N. 1735/XVII
Serie: Progetti di legge    Numero: 90
Data: 13/11/2013
Descrittori:
L 1988 0117   MAGISTRATI
PROCEDIMENTI RELATIVI A MAGISTRATI   RESPONSABILITA' CIVILE
RESPONSABILITA' NEL PUBBLICO IMPIEGO     
Organi della Camera: II-Giustizia

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Modifiche alla legge 13 aprile 1988, n. 117, in materia di responsabilità civile dei magistrati

A.C. 1735

 

 

 

 

 

 

 

n. 90

 

 

 

13 novembre 2013

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Giustizia

( 066760-9559 / 066760-9148– * st_giustizia@camera.it

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici:

Servizio Biblioteca – Osservatorio della legislazione straniera

( 066760-2278 – * bib_segreteria@camera.it

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

§  La nota di sintesi e le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi.

§  Le parti relative ai profili di carattere finanziario sono state curate dal Servizio Bilancio dello Stato, nonché dalla Segreteria della V Commissione per quanto concerne le coperture.

§  Le parti relative ai documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea e alle procedure di contenzioso sono state curate dall'Ufficio rapporti con l'Unione europea.

§  Le parti relative alla legislazione comparata sono state curate dal Servizio Biblioteca.

 

La documentazione dei servizi e degli uffici della Camera è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte.

File: gi0131.doc

 


INDICE

Schede di lettura

§  Introduzione                                                                                                     3

Quadro normativo                                                                                              5

§  Il referendum abrogativo del 1987                                                                   5

§  La legge n. 117 del 1988                                                                                 7

§  L’attività parlamentare nella XVI legislatura                                                   11

La giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea e le procedure di contenzioso aperte (in collaborazione con l’Ufficio Rapporti con l’Unione Europea)                                                                                     15

Contenuto della proposta di legge                                                                 19

§  Testo a fronte tra la normativa vigente e le disposizioni dell’A.C. 1735         23

La responsabilità civile dei magistrati in alcuni ordinamenti europei (a cura del Servizio Biblioteca)                                                                                    33

§  Francia                                                                                                           33

§  Germania                                                                                                       35

§  Regno Unito                                                                                                   37

§  Spagna                                                                                                           37

Documentazione

Corte di Giustizia dell’Unione Europea

§  Grande sezione, 13 giugno 2006, n. 173 (sentenza “Traghetti del Mediterraneo”)                                                                                               45

§  Sezione III, sentenza del 24 novembre 2011, n. 379                                     55

Consiglio d’Europa

§  Raccomandazione CM / Rec (2010) 12 del Comitato dei Ministri agli stati membri sui giudici: indipendenza, efficacia e responsabilità                         67

 

 


Schede di lettura

 


Introduzione

La proposta di legge A.C. 1735 modifica alcune disposizioni sulla responsabilità civile dei magistrati. A tal fine novella la legge n. 117 del 1988, che disciplina l’azione per fare valere la responsabilità civile dello Stato per i danni causati dalla condotta illecita di un magistrato.

Come specificato nella Relazione illustrativa, la «proposta di legge intende farsi carico delle criticità che sono derivate dall’applicazione della legge n. 117 del 1988 e al tempo stesso cercare di recepire le indicazioni provenienti dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea».

Si ricorda, infatti, che il 24 novembre 2011 la Corte di giustizia dell’Unione europea ha deciso su una procedura di infrazione (causa C-379/10) promossa dalla Commissione europea nei confronti dello Stato italiano in merito alla disciplina italiana sulla responsabilità civile del magistrato. In particolare, la Corte ha rilevato che la disciplina italiana sul risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati, laddove esclude qualsiasi responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell'Unione da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado, qualora tale violazione derivi dall'interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove effettuate dall'organo giurisdizionale medesimo, e laddove limita tale responsabilità ai casi di dolo o di colpa grave, è in contrasto con il principio generale di responsabilità degli Stati membri per la violazione del diritto dell'Unione.

 

Di seguito si dà conto del quadro normativo vigente, della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE e delle procedure di infrazione tuttora aperte nei confronti dell’Italia, nonché del contenuto della proposta all’esame della Commissione Giustizia. Sono inoltre richiamate le principali previsioni normative vigenti in alcuni Paesi europei.


Quadro normativo

Con “responsabilità civile del magistrato” si intende la responsabilità di chi svolge funzioni giudiziarie nei confronti delle parti processuali o di altri soggetti, a seguito di eventuali errori o inosservanze nell’esercizio delle funzioni. Diversamente, la responsabilità disciplinare concerne la violazione dei doveri funzionali che il magistrato assume nei confronti dello Stato al momento della nomina.

 

La responsabilità civile del magistrato, come quella dei pubblici dipendenti, trova il suo fondamento nell’art. 28 della Costituzione.

 

Costituzione, articolo 28

I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici.

 

La Corte costituzionale ha affermato che, nell’art. 28 Cost., «trova affermazione "un principio valevole per tutti coloro che, sia pure magistrati, svolgono attività statale: un principio generale che da una parte li rende personalmente responsabili, ma dall'altra non esclude, poiché la norma rinvia alle leggi ordinarie, che codesta responsabilità sia disciplinata variamente per categorie o per situazioni". Scelte plurime, anche se non illimitate, in quanto la peculiarità delle funzioni giudiziarie e la natura dei relativi provvedimenti suggeriscono condizioni e limiti alla responsabilità dei magistrati, specie in considerazione dei disposti costituzionali appositamente dettati per la Magistratura (artt. 101 e 113), a tutela della sua indipendenza e dell'autonomia delle sue funzioni» (sentenza n. 26 del 1987; cfr. anche sentenza n. 2 del 1968 e sentenza n. 468 del 1990).

 

Il referendum abrogativo del 1987

La responsabilità civile dei magistrati è oggi disciplinata dalla legge 13 aprile 1988, n. 117[1] che ha dato alla materia una nuova regolamentazione all’indomani del referendum del novembre 1987, che ha comportato l’abrogazione della previgente disciplina, fortemente limitativa dei casi di responsabilità civile del giudice.

Il quesito referendario del 1987 riguardava l’abrogazione dei seguenti articoli del codice di procedura civile:

 

§  art. 55, che delimitava i casi nei quali il giudice era civilmente responsabile;

 

L’art. 55 (Responsabilità civile del giudice) così disponeva: «Il giudice è civilmente responsabile soltanto: 1) quando nell'esercizio delle sue funzioni è imputabile di dolo, frode o concussione; 2) quando senza giusto motivo rifiuta, omette o ritarda di provvedere sulle domande o istanze delle parti e, in generale, di compiere un atto del suo ministero.

Le ipotesi previste nel numero 2 possono aversi per avverate solo quando la parte ha depositato in cancelleria istanza al giudice per ottenere il provvedimento o l'atto, e sono decorsi inutilmente dieci giorni dal deposito».

 

§  art. 56, che condizionava in vario modo l’esercizio della relativa azione;

 

L’art. 56 (Autorizzazione) così disponeva: «La domanda per la dichiarazione di responsabilità del giudice non può essere proposta senza l'autorizzazione del Ministro di grazia e giustizia.

A richiesta della parte autorizzata la Corte di cassazione designa, con decreto emesso in camera di consiglio, il giudice che deve pronunciare sulla domanda.

Le disposizioni del presente articolo e del precedente non si applicano in caso di costituzione di parte civile nel processo penale o di azione civile in seguito a condanna penale».

 

§  e art. 74, che estendeva tali norme anche ai magistrati del pubblico ministero che intervengono nel processo civile.

 

L’art. 74 (Responsabilità del pubblico ministero) così disponeva: «Le norme sulla responsabilità del giudice e sull'esercizio dell'azione relativa si applicano anche ai magistrati del pubblico ministero che intervengono nel processo civile, quando nell'esercizio delle loro funzioni sono imputabili di dolo, frode o concussione».

 

Il referendum del 1987 ha raggiunto il quorum e ha visto prevalere la volontà abrogatrice delle disposizioni del codice di procedura civile.

 

Iscritti alle liste

45.870.931

 

Votanti

29.866.249

65,10% degli iscritti alle liste

Schede bianche/nulle

3.969.894

 

Voti validi

25.896.355

 

Risposta affermativa (Sì)

20.770.334

80,2% dei voti validi

Risposta negativa (No)

5.126.021

19,8% dei voti validi

 

 

La legge n. 117 del 1988

Il vuoto normativo prodotto dal referendum è stato colmato dalla legge 13 aprile 1988, n. 117, Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati.

 

L’articolo 1 della legge n. 117/1988 ne delinea il campo d’applicazione, stabilendo che le disposizioni sulla responsabilità civile dei magistrati si applicano «a tutti gli appartenenti alle magistrature ordinaria, amministrativa, contabile, militare e speciali, che esercitano l'attività giudiziaria, indipendentemente dalla natura delle funzioni, nonché agli estranei che partecipano all'esercizio della funzione giudiziaria». Tali disposizioni si applicano anche ai magistrati che esercitano le proprie funzioni in organi collegiali.

 

Sotto il profilo sostanziale, l’articolo 2 della legge n. 117 afferma il principio della risarcibilità del danno ingiusto.

 

Secondo la costante interpretazione della giurisprudenza, il danno ingiusto risarcibile, secondo la nozione recepita dall'art. 2043 cod. civ., è quello che produce la lesione di un interesse giuridicamente rilevante, senza che assuma rilievo la qualificazione dello stesso in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo (Cass., III sez., ord. 10 agosto 2002, n. 12144; Sez. III, sent. 19 luglio 2002, n. 10549).

 

Il danno deve rappresentare l’effetto di un comportamento, atto o provvedimento giudiziario posto in essere da un magistrato con “dolo” o “colpa grave” nell’esercizio delle sue funzioni ovvero conseguente “a diniego di giustizia”.

 

Ai sensi dell’art. 7, comma 3, della legge 117/1988, i giudici di pace e i giudici popolari rispondono soltanto in caso di dolo. I cittadini estranei alla magistratura che concorrono a formare o formano organi giudiziari collegiali rispondono in caso di dolo e nei casi di colpa grave di cui all'articolo 2, comma 3, lettere b) e c).

 

L’art. 2, comma 3, della legge 117, prevede che costituiscano colpa grave:

a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;

b) l'affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento;

c) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento;

d) l'emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione.

 

La giurisprudenza della Cassazione civile ha affermato che «In tema di risarcimento del danno per responsabilità civile del magistrato, l'ipotesi di colpa grave di cui all'art. 2, comma 3, l. n. 117/88 sussiste quando il comportamento del magistrato si concretizza in una violazione grossolana e macroscopica della norma ovvero in una lettura di essa contrastante con ogni criterio logico, che comporta l’adozione di scelte aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore, la manipolazione assolutamente arbitraria del testo normativo e lo sconfinamento dell’interpretazione nel diritto libero» (cfr. Sez. III, sentenza n. 7272 del 18 marzo 2008). Per quanto riguarda il concetto di negligenza inescusabile, la Suprema Corte ha sostenuto che questo esige un "quid pluris" rispetto alla colpa grave delineata dall'art. 2236 cod. civ., nel senso che si esige che la colpa stessa si presenti come "non spiegabile", e cioè priva di agganci con le particolarità della vicenda, che potrebbero rendere comprensibile, anche se non giustificato, l'errore del magistrato (cfr. Sez. I, sent. n. 6950 del 26 luglio 1994 e Sez. III, Sent. n. 15227 del 5 luglio 2007).

 

La legge chiarisce, comunque, che non possono dare luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto e quella di valutazione del fatto e delle prove (art. 2, comma 2), ferme restando le ipotesi di possibile responsabilità disciplinare del magistrato in presenza di un’abnorme o macroscopica violazione di legge ovvero di uso distorto della funzione giudiziaria. La tutela delle parti, in tali ipotesi, è di natura esclusivamente endoprocessuale, attraverso il ricorso al sistema delle impugnazioni del provvedimento giurisdizionale che si assume viziato.

 

In base all’articolo 3 della legge, costituisce diniego di giustizia il rifiuto, l'omissione o il ritardo del magistrato nel compimento di atti del suo ufficio quando, trascorso il termine di legge per il compimento dell'atto, la parte ha presentato istanza per ottenere il provvedimento e sono decorsi inutilmente, senza giustificato motivo, i termini previsti dalla legge. In particolare, il termine ordinario è di 30 giorni dalla data di deposito in cancelleria dell’istanza; se tuttavia l'omissione o il ritardo senza giustificato motivo concernono la libertà personale dell'imputato, il termine è di 5 giorni (improrogabili, a decorrere dal deposito dell'istanza) o coincide con il giorno in cui si è verificata una situazione o è decorso un termine che rendano incompatibile la permanenza della misura restrittiva della libertà personale.

 

Chi ha subito il danno ingiusto non può agire direttamente in giudizio contro il magistrato, ma deve agire contro lo Stato (art. 2, comma 1). Lo Stato, a determinate condizioni, può esercitare l’azione di rivalsa nei confronti del magistrato (art. 7).

 

Sotto il profilo processuale (artt. 4 e 5), l'azione di risarcimento del danno contro lo Stato:

§  deve essere esercitata nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri e davanti al tribunale del capoluogo del distretto della corte d'appello competente ai sensi dell’art. 11 c.p.p. e dell'articolo 1 delle norme di attuazione del codice di procedura penale;

§  è esperibile soltanto quando siano stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione o gli altri rimedi previsti avverso i provvedimenti cautelari e sommari, e comunque quando non siano più possibili la modifica o la revoca del provvedimento ovvero, se tali rimedi non sono previsti, quando sia esaurito il grado del procedimento nell'ambito del quale si è verificato il fatto che ha cagionato il danno;

§  deve essere proposta a pena di decadenza entro 2 anni dal momento in cui l’azione è esperibile (3 anni dalla data del fatto che ha cagionato il danno se in tal termine non si è concluso il grado del procedimento nell'ambito del quale il fatto stesso si è verificato);

§  è sottoposta a delibazione preliminare di ammissibilità (controllo presupposti, rispetto termini e valutazione manifesta infondatezza) da parte del tribunale distrettuale.

 

Nel giudizio di risarcimento è ammessa la facoltà d’intervento del magistrato (art. 6) il cui comportamento, atto o provvedimento rileva in giudizio; questi non può essere assunto come teste né nel giudizio preliminare di ammissibilità, né nel giudizio contro lo Stato.

 

Se è accertata nel giudizio la responsabilità del magistrato, lo Stato, entro un anno dal risarcimento, esercita nei suoi confronti l'azione di rivalsa (artt. 7 e 8). In nessun caso la transazione è opponibile al magistrato nel giudizio di rivalsa e nel giudizio disciplinare. L'azione di rivalsa, promossa dal Presidente del Consiglio dei Ministri, va proposta davanti allo stesso tribunale del capoluogo del distretto della corte d'appello, da determinarsi a norma dell'articolo 11 c.p.p. e dell'articolo 1 delle norme di attuazione del codice di procedura penale.

 

La misura della rivalsa non può superare una somma pari al terzo di una annualità dello stipendio, al netto delle trattenute fiscali, percepito dal magistrato al tempo in cui l'azione di risarcimento è proposta, anche se dal fatto è derivato danno a più persone e queste hanno agito con distinte azioni di responsabilità. Tale limite non si applica al fatto commesso con dolo. L'esecuzione della rivalsa quando viene effettuata mediante trattenuta sullo stipendio, non può comportare complessivamente il pagamento per rate mensili in misura superiore al quinto dello stipendio netto.

Le citate disposizioni sulla misura della rivalsa dello Stato si applicano anche agli estranei che partecipano all'esercizio delle funzioni giudiziarie. Per essi la misura della rivalsa è calcolata in rapporto allo stipendio iniziale annuo, al netto delle trattenute fiscali, che compete al magistrato di tribunale; se l'estraneo che partecipa all'esercizio delle funzioni giudiziarie percepisce uno stipendio annuo netto o reddito di lavoro autonomo netto inferiore allo stipendio iniziale del magistrato di tribunale, la misura della rivalsa è calcolata in rapporto a tale stipendio o reddito al tempo in cui l'azione di risarcimento è proposta.

 

L’esercizio dell’azione disciplinare nei confronti del magistrato ordinario per i fatti che hanno dato causa all'azione di risarcimento spetta al procuratore generale presso la Corte di cassazione; l’azione va proposta entro due mesi dalla comunicazione del tribunale distrettuale che dichiara ammissibile la domanda di risarcimento. Gli atti del giudizio disciplinare possono essere acquisiti, su istanza di parte o d'ufficio, nel giudizio di rivalsa (articolo 9).

 

La legge 117/1988 prevede invece l’applicazione delle norme ordinarie nel caso in cui il danno sia conseguenza di un fatto costituente reato commesso dal magistrato nell'esercizio delle sue funzioni (articolo 13). In tal caso l'azione civile per il risarcimento del danno ed il suo esercizio anche nei confronti dello Stato come responsabile civile sono regolati dalle norme ordinarie; il danneggiato quindi potrà agire direttamente nei confronti del magistrato e dello Stato, quale responsabile civile, e l'azione di regresso dello Stato che sia tenuto al risarcimento nei confronti del danneggiato sarà disciplinata dalle norme ordinarie relative alla responsabilità dei pubblici dipendenti.

 

Come ha chiarito la giurisprudenza, la responsabilità ex art. 13 della legge n. 117 si pone su di un piano diverso da quello delle ipotesi di responsabilità contemplate dagli artt. 2 e segg. della legge stessa e si riferisce a fattispecie che presentino - rispetto all'ipotesi di dolo di cui all'art. 2 - un ulteriore connotato, rappresentato dalla costituzione di parte civile nel processo penale eventualmente instaurato a carico del magistrato, ovvero da una sentenza penale di condanna del medesimo, passata in giudicato (Cass., sez. I,. 19 agosto 1995, n. 8952; Cass., Sez. III, 16 novembre 2006, n. 24387).

 

 

La legge n. 117 del 1988 è stata da alcuni ritenuta in contrasto con lo spirito del referendum abrogativo del 1987 perché eccessivamente favorevole al magistrato.

In merito, tanto nel 1995 quanto nel 1999, sono state presentate ulteriori richieste di referendum abrogativo; in entrambi i casi è stata la Corte costituzionale a giudicare i quesiti inammissibili[2].

 

L’attività parlamentare nella XVI legislatura

Limitando l’analisi alla scorsa legislatura, si possono evidenziare almeno quattro diversi momenti nei quali le Camere hanno affrontato il tema della responsabilità civile dei magistrati.

 

La riforma costituzionale del Titolo IV “La Magistratura” (A.C. 4275)

Il disegno di legge costituzionale A.C. 4275, presentato dal Governo Berlusconi alla Camera dei deputati, e volto ad una riforma complessiva del Titolo IV della Parte II della Costituzione, “La Magistratura”, prevedeva (articolo 14) l’introduzione in Costituzione di una nuova sezione e un nuovo articolo, relativi alla responsabilità dei magistrati.

 

Sezione II-bis, Responsabilità dei magistrati

Art. 113-bis

I magistrati sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione dei diritti al pari degli altri funzionari e dipendenti dello Stato.

La legge disciplina espressamente la responsabilità civile dei magistrati per i casi di ingiusta detenzione e di altra indebita limitazione della libertà personale.

La responsabilità civile dei magistrati si estende allo Stato.

 

Il nuovo articolo 113-bis prevede, al primo comma, che i magistrati sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione dei diritti al pari degli altri funzionari e dipendenti dello Stato.

La disposizione prevede innanzitutto una responsabilità diretta dei magistrati per gli atti compiuti in violazione dei diritti, senza quindi che il cittadino debba rivolgersi allo Stato[3].

Il nuovo art. 113-bis, secondo comma, introduce il principio della responsabilità civile dei magistrati per i casi di ingiusta detenzione e di altra indebita limitazione della libertà personale e rimette la disciplina alla legge.

Si ricorda in proposito che l’art. 24, comma quarto, Cost. prevede che la legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.

Il terzo comma prevede infine, ribadendo quanto già previsto dall’art. 28 Cost. per i funzionari ed i dipendenti dello Stato, che la responsabilità civile dei magistrati si estende allo Stato.

Il disegno di legge del Governo ha avviato l’iter in sede referente presso le Commissioni I e II della Camera dei deputati, che hanno disposto lo svolgimento di un’indagine conoscitiva nel corso della quale sono stati affrontati anche i temi della responsabilità civile dei magistrati[4]. Le Commissione non hanno concluso l’esame in sede referente.

 

Le proposte di legge sulla responsabilità civile dei magistrati

Nella XVI legislatura, la Commissione Giustizia della Camera ha avviato l’esame di una serie di proposte di legge in materia di responsabilità civile dei magistrati (C. 1956 Brigandì, C. 252 Bernardini, C. 1429 Lussana, C. 2089 Mantini, C. 3285 Versace, C. 3300 Laboccetta e C. 3592 Santelli), svolgendo sul tema una serie di audizioni informali. L’esame in sede referente non si è concluso.

 

Il disegno di legge Comunitaria 2010

A seguito della procedura di infrazione comunitaria (2009/2230) avviata dalla Commissione europea contro il nostro Paese sul tema della responsabilità civile dei magistrati (v. infra), proposte di modifica della legge 117 del 1988 sono state inserite in diversi momenti parlamentari nei disegni di legge comunitaria.

Si ricorda, in primo luogo, il disegno di legge comunitaria 2010 che, nel testo della Commissione Politiche dell’Unione europea (A.C. 4059-A), conteneva una specifica disposizione (articolo 18), incidente sui presupposti della responsabilità civile dei magistrati. Dopo il rinvio del disegno di legge in Commissione, disposto il 6 aprile 2011 dall'Assemblea, il provvedimento è tornato all'esame dell'Aula il 26 luglio, dove l'approvazione di un emendamento della Commissione ha disposto la soppressione dell'art. 18 sulla responsabilità civile dei magistrati.

 

Il disegno di legge Comunitaria 2011

La volontà di introdurre una disposizione di modifica della legge 117/1988 si manifesta pochi mesi dopo in sede di esame del disegno di legge comunitaria 2011 quando, il 2 febbraio 2012, l’Assemblea della Camera dei deputati approva un articolo aggiuntivo al disegno di legge (emendamento Pini 30.052), con il parere contrario del Governo (v. art. 25 dell’A.S. A.S. 3129). Sul testo si è espresso con un parere critico anche il Consiglio superiore della magistratura (14 marzo 2012).

 

In particolare, l’articolo 25 prevedeva la sostituzione del comma 1 dell’art. 2 della legge n. 117/1988 con la previsione della possibilità - per chi abbia subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, atto o provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato nell'esercizio delle sue funzioni nelle ipotesi considerate nel medesimo articolo 2, ovvero per diniego di giustizia - di agire non solo contro lo Stato, ma anche contro il soggetto riconosciuto colpevole, per ottenere il risarcimento dei danni.

Un'ulteriore innovazione era poi l'introduzione dell'ipotesi della "violazione manifesta del diritto", aggiuntiva rispetto ai già previsti titoli di imputazione della responsabilità (dolo o colpa grave), un'innovazione connessa a quanto statuito dalla Corte di giustizia nelle sentenze 30 settembre 2003, emessa nella causa C-224/01 (Kobler), e 13 giugno 2006, emessa nella causa C-173/03 (Traghetti del Mediterraneo SpA).

L'ultima innovazione era infine rappresentata dall'aggiunta di un ultimo periodo al comma in questione, con il quale veniva esplicitamente specificato che costituisce dolo il carattere intenzionale della violazione del diritto.

L’articolo 25 sostituiva anche il comma 2 dell’articolo 2 della legge 117/1988, eliminando la disposizione che attualmente esclude la configurabilità della responsabilità in presenza di attività di interpretazione di norme di diritto. Il suddetto comma 2 viene infatti riformulato prevedendo che, salvi i casi previsti dai commi 3 e 3-bis del medesimo articolo 2, nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non possa dar luogo a responsabilità la sola attività di valutazione del fatto e delle prove.

La terza e ultima novella all'articolo 2 prevista dall’art. 25 consisteva nell’inserimento del comma 3-bis, in base al quale, ai fini della determinazione dei casi in cui sussiste una violazione manifesta del diritto ai sensi del comma 1, deve essere valutato se il giudice abbia tenuto conto di tutti gli elementi che caratterizzano la controversia sottoposta al suo sindacato, con particolare riferimento al grado di chiarezza e di precisione della norma violata, al carattere intenzionale della violazione, alla scusabilità o inescusabilità dell'errore di diritto. In caso di violazione del diritto dell'Unione europea, si deve tener conto se il giudice abbia ignorato la posizione adottata eventualmente da un'istituzione dell'Unione europea, non abbia osservato l'obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell'articolo 267, terzo paragrafo, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, nonché se abbia ignorato manifestamente la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea.

 

L’esame del disegno di legge comunitaria 2011, approvato dalla Camera, non si è poi concluso al Senato (A.S. 3129).

 

 


La giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea e le procedure di contenzioso aperte
(in collaborazione con l’Ufficio Rapporti con l’Unione Europea)

Nella sentenza 13 giugno 2006, emessa nella causa C-173/03 (Traghetti del Mediterraneo), pronunciandosi in via pregiudiziale, la Corte di giustizia ha affermato che «Il diritto comunitario osta ad una legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello Stato membro per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado per il motivo che la violazione controversa risulta da un'interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove operate da tale organo giurisdizionale».

La Corte ha osservato che «Il diritto comunitario osta altresì ad una legislazione nazionale che limiti la sussistenza di tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove una tale limitazione conducesse ad escludere la sussistenza della responsabilità dello Stato membro interessato in altri casi in cui sia stata commessa una violazione manifesta del diritto vigente, quale precisata ai punti 53-56 della sentenza 30 settembre 2003, causa C-224/01, Köbler».

Alla luce della sentenza da ultimo indicata, al fine di determinare se questa condizione sia soddisfatta, il giudice nazionale investito di una domanda di risarcimento danni deve tener conto di tutti gli elementi che caratterizzano la situazione sottoposta al suo sindacato, e, in particolare, del grado di chiarezza e di precisione della norma violata, del carattere intenzionale della violazione, della scusabilità o inescusabilità dell’errore di diritto, della posizione adottata eventualmente da un’istituzione comunitaria nonché della mancata osservanza, da parte dell’organo giurisdizionale di cui trattasi, del suo obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 234, terzo comma, CE, nonché della manifesta ignoranza della giurisprudenza della Corte di giustizia nella materia (sentenza Köbler, cit., punti 53-56).

 

Sulla base di questa pronuncia della Corte di Giustizia, la Commissione europea, con lettera di costituzione in mora ex articolo 226 del Trattato CE (oggi riferibile all’articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea) del 9 ottobre 2009, ha contestato all’Italia di essere venuta meno agli obblighi imposti dal diritto dell’Unione in virtù del principio generale della responsabilità degli Stati membri in caso di violazione del diritto comunitario imputabile ad un loro organo giurisdizionale.

In particolare, gli addebiti mossi dalla Commissione riguardavano la compatibilità rispetto al diritto dell’Unione europea delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 2 della legge n. 177 del 1988.

 

Con lettera del 22 marzo 2010 la Commissione ha fatto pervenire alla Repubblica italiana un parere motivato, invitandola ad adottare le misure necessarie per conformarsi entro il termine di due mesi a decorrere dalla sua ricezione. Ritenendo che tale parere motivato fosse rimasto senza risposta, il 29 luglio 2010, la Commissione europea ha convenuto la Repubblica italiana innanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea mediante ricorso per inadempimento degli obblighi derivanti dai trattati ex articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Ribadendo considerazioni già espresse nella lettera di messa in mora (e, in precedenza, nella sentenza della Corte di giustizia del 2006), a sostegno del ricorso la Commissione ha sostanzialmente ribadito i due addebiti:

§  da un lato, ha contestato alla Repubblica italiana di avere escluso responsabilità dello Stato italiano per i danni causati a singoli dalla violazione del diritto dell’Unione da parte di un proprio organo giurisdizionale qualora tale violazione derivi da un’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e prove effettuate dall’organo giurisdizionale medesimo;

§  dall’altro, ha rilevato che il nostro ordinamento limita, in casi diversi dall’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e prove, la possibilità di invocare tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave.

 

La Repubblica italiana, d’altro canto, ha contestato l’addebito dell’inadempimento, dovuto - a suo parere - ad un’interpretazione erronea della legge n. 117/88.

Tra le controdeduzioni di parte italiana deve ricordarsi l’argomento secondo cui l’art. 2 di detta legge conterrebbe unicamente una clausola limitativa della responsabilità, a prescindere dall’attività giurisdizionale in questione, considerato che i presupposti (dolo e colpa grave) fissati al primo comma dell’art. 2 della legge medesima (e precisati, con riguardo alla nozione di «colpa grave», al successivo terzo comma), si applicherebbero anche alla fattispecie relativa all’interpretazione di norme di diritto ed alla valutazione di fatti e prove. Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione europea, nella menzionata sentenza Traghetti del Mediterraneo la Corte non avrebbe respinto l’interpretazione dell’art. 2 della legge n. 117/88 sostenuta dalla Repubblica italiana, bensì si sarebbe limitata a rispondere alla questione pregiudiziale formulata dal giudice del rinvio. Secondo la Repubblica italiana, la disciplina contestata non sarebbe di per sé in contrasto con la giurisprudenza della Corte, atteso che ai giudici nazionali sarebbe consentito procedere ad un’interpretazione di tale legge conforme ai requisiti del diritto dell’Unione e, in particolare, a quelli fissati nelle citate sentenze Köbler e Traghetti del Mediterraneo; a tal proposito la nozione di «colpa grave» contenuta nella normativa italiana in esame coinciderebbe con la condizione della «violazione grave e manifesta del diritto dell’Unione», quale definita dalla giurisprudenza della Corte.

 

Sulla procedura di infrazione (causa C-379/10) promossa dalla Commissione europea si è pronunciata la Corte di Giustizia dell’Unione europea con la sentenza del 24 novembre 2011.

La Corte, accogliendo gli addebiti rilevati dalla Commissione, ha stabilito che la disciplina italiana sul risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati, laddove esclude qualsiasi responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell'Unione da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado, qualora tale violazione derivi dall'interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove effettuate dall'organo giurisdizionale medesimo, e laddove limita tale responsabilità ai casi di dolo o di colpa grave, è in contrasto con il principio generale di responsabilità degli Stati membri per la violazione del diritto dell'Unione.

La Corte rammenta che uno Stato membro è tenuto al risarcimento dei danni arrecati ai singoli per violazione del diritto dell'Unione da parte dei propri organi in presenza di tre condizioni:

-        la norma giuridica violata dev'essere preordinata a conferire diritti ai singoli,

-        la violazione deve essere sufficientemente caratterizzata e

-        tra la violazione dell'obbligo incombente allo Stato e il danno subìto dal soggetto leso deve sussistere un nesso causale diretto.

La responsabilità dello Stato per i danni causati dalla decisione di un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado è disciplinata dalle stesse condizioni. In tal senso, una «violazione sufficientemente caratterizzata della norma di diritto» si realizza quando il giudice nazionale ha violato il diritto vigente in maniera manifesta. Il diritto nazionale può precisare la natura o il grado di una violazione che implichi la responsabilità dello Stato ma non può, in nessun caso, imporre requisiti più rigorosi.

 

Da ultimo si segnala che, con lettera di messa in mora ex articolo 260 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, il 26 settembre 2013 la Commissione ha contestato all’Italia di non aver adottato alcuna iniziativa volta ad adempiere alla sentenza della Corte 24 novembre 2011, nella causa C-379/10.

 

Si ricorda che ai sensi dell’articolo 260, paragrafi 1 e 2 del TFUE, quando la Corte di giustizia dell'Unione europea riconosca che uno Stato membro ha mancato ad uno degli obblighi ad esso incombenti in virtù dei trattati, tale Stato è tenuto a prendere i provvedimenti che l'esecuzione della sentenza della Corte comporta.

La Commissione, ove ritenga che lo Stato membro in questione non abbia preso le misure che l'esecuzione della sentenza della Corte comporta, dopo aver posto tale Stato in condizione di presentare osservazioni, può adire la Corte. Essa precisa l'importo della somma forfettaria o della penalità, da versare da parte dello Stato membro in questione, che essa consideri adeguato alle circostanze. Infine, la Corte, qualora riconosca che lo Stato membro in questione non si è conformato alla sentenza da essa pronunciata, può comminargli il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità.

 


Contenuto della proposta di legge

L’articolo unico della proposta di legge interviene sugli articoli 2, 5 e 7 della legge n. 117 del 1988 in modo da:

§  equiparare, ai fini della responsabilità civile dello Stato, la condotta dei magistrati onorari a quella dei magistrati togati;

§  ridefinire il concetto di colpa grave;

§  limitare l’attuale clausola di salvaguardia, volta a individuare i casi in cui non si dà luogo a responsabilità;

§  eliminare il filtro di ammissibilità della domanda di risarcimento danni, attualmente attribuito alla valutazione del tribunale distrettuale;

§  integrare la disciplina dell’azione di rivalsa dello Stato.

 

Analiticamente, la lettera a) novella l’art. 2 della legge n. 117/1988.

 

La disposizione vigente (v. sopra) afferma il principio della risarcibilità del danno ingiusto subito per effetto di un comportamento, atto o provvedimento giudiziario posto in essere da un magistrato con “dolo” o “colpa grave” nell’esercizio delle sue funzioni ovvero conseguente “a diniego di giustizia”. Non possono dare luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto e quella di valutazione del fatto e delle prove, ferme restando le ipotesi di possibile responsabilità disciplinare del magistrato in presenza di un’abnorme o macroscopica violazione di legge ovvero di uso distorto della funzione giudiziaria. Il comma 3 dell’articolo 2 specifica che costituiscono colpa grave:

a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;

b) l'affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento;

c) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento;

d) l'emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione.

 

In primo luogo, l’attuale rubrica dell’articolo 2 – Responsabilità per dolo o colpa grave – è sostituita con la rubrica Responsabilità dello Stato.

Appare utile valutare la portata della modifica della rubrica, suscettibile, se non altro, di orientare l’interprete. Occorre infatti considerare che, come già oggi, la proposta conferma l’azione risarcitoria diretta nei confronti dello Stato e fa salva l’azione di rivalsa di quest’ultimo nei confronti del magistrato.

 

In secondo luogo, novellando il comma 1 dell’articolo 2, la proposta di legge specifica che le disposizioni sulla responsabilità civile dello Stato si applicano non solo ai danni provocati da un atto del giudice togato, ma anche da quello compiuto da un magistrato onorario. Si ricorda, invece, che attualmente, in base all’art. 7, comma 3, della legge 117/1988, i giudici di pace e i giudici popolari rispondono soltanto in caso di dolo; la disposizione è stata sul punto novellata (v. infra).

Si osserva che la disposizione potrebbe trovare più idonea collocazione nell’art. 1 della legge 117/1988, relativo all’ambito di applicazione della medesima.

 

La proposta mantiene come presupposto della responsabilità civile dello Stato, oltre al diniego di giustizia, il dolo o la colpa grave del giudice nell'esercizio delle sue funzioni (comma 1). Tuttavia, novellando il comma 2 dell’articolo 2, corregge la c.d. clausola di salvaguardia, che attualmente esclude che l’attività di interpretazione di norme di diritto e l’attività di valutazione del fatto e delle prove possano dare luogo a responsabilità civile.

La proposta esclude espressamente dalla salvaguardia i casi di dolo, nonché i casi nei quali si ledano i diritti fondamentali della persona attraverso:

§  la manifesta violazione di norme di diritto. L’espressione è analoga all’attuale ipotesi di «grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile», prevista tra i casi di colpa grave dal comma 3, lettera a), che viene contestualmente soppressa;  

§  il travisamento del fatto. L’espressione sostituisce le attuali ipotesi – relative alla colpa grave - di «affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento», prevista dal comma 3, lettera b), e di «negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento», prevista dal comma 3, lettera c). Entrambe le lettere del comma 3 sono contestualmente soppresse;

§  il travisamento di una prova.

 

Inoltre, novellando il comma 3 dell’articolo 2, la proposta precisa che per colpa grave si intendono le ipotesi descritte al comma 2 (ovvero la manifesta violazione di norme di diritto, il travisamento del fatto e il travisamento di una prova), nonché l’emissione di provvedimenti concernenti la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione. In sostanza, la novella richiama le ipotesi previste dal comma precedente e sopprime le tre specificazioni sulla grave violazione di legge e sull’esistenza di fatti esclusi o l’inesistenza di fatti acclarati, attualmente previste.

 

Si osserva che le fattispecie di colpa grave introdotte nel comma 2 sono tali ope legis, ma non sono più caratterizzate dall’elemento soggettivo della “negligenza inescusabile”. Pare inoltre utile valutare se tali fattispecie siano maggiormente tipizzate nella nuova stesura rispetto a quelle corrispondenti, espunte dal comma 3. Occorre poi considerare se l’elenco dei diritti fondamentali della persona debba considerarsi rimesso alla determinazione dell’interprete o, ad esempio, si debba attingere ai diritti costituzionalmente tutelati. Inoltre sembra utile verificare in quale modo possa empiricamente distinguersi, con riguardo ai diritti fondamentali della persona, tra valutazione del fatto (per la quale è esclusa la responsabilità) e travisamento del fatto (che la consente) e, analogamente, tra valutazione delle prove e loro travisamento.

Ai fini della formulazione del testo, pare in fine utile chiarire al comma 2 se – come sembrerebbe - i casi di dolo costituiscano titolo per il risarcimento indipendentemente dalla sussistenza dei presupposti ivi indicati per la colpa grave.

 

 

La lettera b) dell’articolo unico della proposta di legge abroga l’articolo 5 della legge 177/1988, che attualmente subordina il risarcimento alla delibazione preliminare di ammissibilità della domanda (controllo presupposti, rispetto termini e valutazione di manifesta infondatezza) da parte del tribunale distrettuale.

 

La lettera c) novella l’articolo 7 della legge 117/1988, relativo all’azione di rivalsa dello Stato nei confronti del magistrato.

 

L’articolo 7 prevede che se è accertata nel giudizio la responsabilità del magistrato, lo Stato, entro un anno dal risarcimento, esercita nei suoi confronti l'azione di rivalsa (comma 1). In nessun caso la transazione è opponibile al magistrato nel giudizio di rivalsa e nel giudizio disciplinare (comma 2). La rivalsa dello Stato si applica anche (comma 3) ai giudici di pace (la legge fa riferimento ai giudici conciliatori) e ai giudici popolari, che rispondono sono a titolo di dolo, mentre i cittadini estranei alla magistratura che concorrono a formare o formano organi giudiziari collegiali rispondono a titolo di dolo e in caso di “affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento” ovvero di “negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento” (ovvero colpa grave ai sensi dell’art. 2, comma 3, lettere b) e c)).

 

Rispetto alla normativa vigente, la proposta di legge:

§  elimina dal comma 1 ogni riferimento alla dichiarazione di ammissibilità della domanda, coordinando il testo con l’abrogazione dell’art. 5;

§  specifica che l’azione di rivalsa può essere esercitata dallo Stato nei confronti del magistrato solo se il fatto è commesso con dolo o colpa grave;

si osserva che, già in base all’art. 2 della legge 117/1988, come modificata dalla proposta di legge, non paiono esservi ipotesi di risarcibilità ulteriori rispetto ai casi di dolo o colpa grave.

§  elimina ogni riferimento ai giudici conciliatori e ai giudici popolari, in considerazione dell’inserimento all’art. 2 della legge del richiamo alla magistratura onoraria. Mantiene il richiamo ai cittadini estranei alla magistratura, specificando per coordinamento con la novella dell’art. 2, comma 3, che essi rispondono solo per dolo e nei casi di colpa grave per travisamento del fatto o di una prova.

Si osserva che il testo attuale dell’art. 7, comma 3, distingue tre categorie di soggetti: giudici conciliatori, giudici popolari e cittadini estranei alla magistratura che concorrono a formare o formano organi giudiziari collegiali.

Se i primi sono senz’altro riconducibili alla categoria dei giudici onorari, cui è esteso dalla p.d.l. il campo d’applicazione della legge sulla responsabilità civile, e i terzi sono mantenuti nella nuova formulazione della disposizione, resta da chiarire quale sia la disciplina relativa ai giudici popolari. Occorre quindi considerare se i giudici popolari debbano essere ricondotti alla categoria dei cittadini estranei alla magistratura che concorrono a formare o che formano organi giudiziari collegiali, nel presupposto che sia errata la distinzione del 1988.

 

Si osserva, in fine, che la proposta di legge A.C. 1735 non prevede alcuna disposizione transitoria.

 

 

Sui medesimi temi della proposta di legge, si segnala che il comunicato stampa relativo al Consiglio del ministri n. 33 dell’8 novembre 2013 dà conto dell’approvazione da parte del Governo del disegno di legge europea 2013, in cui sarebbero comprese anche disposizioni che, in ottemperanza con la sentenza della Corte di Giustizia UE, prevedono che in caso di violazioni gravi e manifeste dell’ordinamento della UE da parte di organi giurisdizionali di ultimo grado, lo Stato ne debba rispondere direttamente.

 

 


Testo a fronte tra la normativa vigente e le disposizioni dell’A.C. 1735

 

Normativa vigente

A.C. 1735

Legge 13 aprile 1988, n. 117
Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati

Art. 1

Ambito di applicazione

1.  Le disposizioni della presente legge si applicano a tutti gli appartenenti alle magistrature ordinaria, amministrativa, contabile, militare e speciali, che esercitano l'attività giudiziaria, indipendentemente dalla natura delle funzioni, nonché agli estranei che partecipano all'esercizio della funzione giudiziaria.

1. Identico.

2.  Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche ai magistrati che esercitano le proprie funzioni in organi collegiali.

2. Identico.

3.  Nelle disposizioni che seguono il termine "magistrato" comprende tutti i soggetti indicati nei commi 1 e 2.

3. Identico.

 

 

Art. 2

Responsabilità per dolo o colpa grave

Responsabilità dello Stato

1. Chi ha subìto un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell'esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale.

1. Chi ha subìto un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato, anche onorario, con dolo o colpa grave nell'esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale.

2. Nell'esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l'attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove.

2. Nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dare luogo a responsabilità, salvo i casi di dolo, l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove, tranne i casi di manifesta violazione di norme di diritto ovvero di travisamento del fatto o di una prova, che ledano i diritti fondamentali della persona.

3. Costituiscono colpa grave:

a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;

b) l'affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento;

c) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento;

d) l'emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione.

3. Costituisce colpa grave, oltre alle ipotesi di cui al comma 2, [segue]

 

 

 

 

 

 

 

 

      [continua] l’emanazione di un provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge o senza motivazione.

 

 

Art. 3

Diniego di giustizia

1.  Costituisce diniego di giustizia il rifiuto, l'omissione o il ritardo del magistrato nel compimento di atti del suo ufficio quando, trascorso il termine di legge per il compimento dell'atto, la parte ha presentato istanza per ottenere il provvedimento e sono decorsi inutilmente, senza giustificato motivo, trenta giorni dalla data di deposito in cancelleria. Se il termine non è previsto, debbono in ogni caso decorrere inutilmente trenta giorni dalla data del deposito in cancelleria dell'istanza volta ad ottenere il provvedimento.

1. Identico.

2.  Il termine di trenta giorni può essere prorogato, prima della sua scadenza, dal dirigente dell'ufficio con decreto motivato non oltre i tre mesi dalla data di deposito dell'istanza. Per la redazione di sentenze di particolare complessità, il dirigente dell'ufficio, con ulteriore decreto motivato adottato prima della scadenza, può aumentare fino ad altri tre mesi il termine di cui sopra.

2. Identico.

3.  Quando l'omissione o il ritardo senza giustificato motivo concernono la libertà personale dell'imputato, il termine di cui al comma 1 è ridotto a cinque giorni, improrogabili, a decorrere dal deposito dell'istanza o coincide con il giorno in cui si è verificata una situazione o è decorso un termine che rendano incompatibile la permanenza della misura restrittiva della libertà personale.

3. Identico.

 

 

Art. 4

Competenza e termini

1. L'azione di risarcimento del danno contro lo Stato deve essere esercitata nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri. Competente è il tribunale del capoluogo del distretto della corte d'appello, da determinarsi a norma dell'articolo 11 del codice di procedura penale e dell'articolo 1 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271.

1. Identico.

2.  L'azione di risarcimento del danno contro lo Stato può essere esercitata soltanto quando siano stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione o gli altri rimedi previsti avverso i provvedimenti cautelari e sommari, e comunque quando non siano più possibili la modifica o la revoca del provvedimento ovvero, se tali rimedi non sono previsti, quando sia esaurito il grado del procedimento nell'ambito del quale si è verificato il fatto che ha cagionato il danno. La domanda deve essere proposta a pena di decadenza entro due anni che decorrono dal momento in cui l'azione è esperibile.

2. Identico.

3.  L'azione può essere esercitata decorsi tre anni dalla data del fatto che ha cagionato il danno se in tal termine non si è concluso il grado del procedimento nell'ambito del quale il fatto stesso si è verificato.

3. Identico.

4.  Nei casi previsti dall'art. 3 l'azione deve essere promossa entro due anni dalla scadenza del termine entro il quale il magistrato avrebbe dovuto provvedere sull'istanza.

4. Identico.

5.  In nessun caso il termine decorre nei confronti della parte che, a causa del segreto istruttorio, non abbia avuto conoscenza del fatto.

5. Identico.

 

 

 

Art. 5

Ammissibilità della domanda

Abrogato

1.  Il tribunale, sentite le parti, delibera in camera di consiglio sull'ammissibilità della domanda di cui all'art. 2.

2.  A tale fine il giudice istruttore, alla prima udienza, rimette le parti dinanzi al collegio che è tenuto a provvedere entro quaranta giorni dal provvedimento di rimessione del giudice istruttore.

3.  La domanda è inammissibile quando non sono rispettati i termini o i presupposti di cui agli articoli 2, 3 e 4 ovvero quando è manifestamente infondata.

4.  L'inammissibilità è dichiarata con decreto motivato, impugnabile con i modi e le forme di cui all'art. 739 del codice di procedura civile, innanzi alla corte d'appello che pronuncia anch'essa in camera di consiglio con decreto motivato entro quaranta giorni dalla proposizione del reclamo. Contro il decreto di inammissibilità della corte d'appello può essere proposto ricorso per cassazione, che deve essere notificato all'altra parte entro trenta giorni dalla notificazione del decreto da effettuarsi senza indugio a cura della cancelleria e comunque non oltre dieci giorni. Il ricorso è depositato nella cancelleria della stessa corte d'appello nei successivi dieci giorni e l'altra parte deve costituirsi nei dieci giorni successivi depositando memoria e fascicolo presso la cancelleria. La corte, dopo la costituzione delle parti o dopo la scadenza dei termini per il deposito, trasmette gli atti senza indugio e comunque non oltre dieci giorni alla Corte di cassazione che decide entro sessanta giorni dal ricevimento degli atti stessi. La Corte di cassazione, ove annulli il provvedimento di inammissibilità della corte d'appello, dichiara ammissibile la domanda. Scaduto il quarantesimo giorno la parte può presentare, rispettivamente al tribunale o alla corte d'appello o, scaduto il sessantesimo giorno, alla Corte di cassazione, secondo le rispettive competenze, l'istanza di cui all'art. 3.

5.  Il tribunale che dichiara ammissibile la domanda dispone la prosecuzione del processo. La corte d'appello o la Corte di cassazione che in sede di impugnazione dichiarano ammissibile la domanda rimettono per la prosecuzione del processo gli atti ad altra sezione del tribunale e, ove questa non sia costituita, al tribunale che decide in composizione interamente diversa. Nell'eventuale giudizio di appello non possono far parte della corte i magistrati che abbiano fatto parte del collegio che ha pronunziato l'inammissibilità. Se la domanda è dichiarata ammissibile, il tribunale ordina la trasmissione di copia degli atti ai titolari dell'azione disciplinare; per gli estranei che partecipano all'esercizio di funzioni giudiziarie la copia degli atti è trasmessa agli organi ai quali compete l'eventuale sospensione o revoca della loro nomina.

 

 

 

Art. 6

Intervento del magistrato nel giudizio

1.  Il magistrato il cui comportamento, atto o provvedimento rileva in giudizio non può essere chiamato in causa ma può intervenire in ogni fase e grado del procedimento, ai sensi di quanto disposto dal secondo comma dell'art. 105 del codice di procedura civile. Al fine di consentire l'eventuale intervento del magistrato, il presidente del tribunale deve dargli comunicazione del procedimento almeno quindici giorni prima della data fissata per la prima udienza.

1. Identico.

2.  La decisione pronunciata nel giudizio promosso contro lo Stato non fa stato nel giudizio di rivalsa se il magistrato non è intervenuto volontariamente in giudizio. Non fa stato nel procedimento disciplinare.

2. Identico.

3.  Il magistrato cui viene addebitato il provvedimento non può essere assunto come teste né nel giudizio di ammissibilità, né nel giudizio contro lo Stato.

3. Identico.

 

 

Art. 7

Azione di rivalsa

1. Lo Stato, entro un anno dal risarcimento avvenuto sulla base di titolo giudiziale o di titolo stragiudiziale stipulato dopo la dichiarazione di ammissibilità di cui all'art. 5, esercita l'azione di rivalsa nei confronti del magistrato.

1. Lo Stato, entro un anno dal risarcimento avvenuto sulla base di titolo giudiziale o di titolo stragiudiziale, esercita l’azione di rivalsa nei confronti del magistrato nei casi in cui il fatto dannoso sia stato commesso con dolo o con colpa grave ai sensi dell’articolo 2, commi 2 e 3.

2. In nessun caso la transazione è opponibile al magistrato nel giudizio di rivalsa e nel giudizio disciplinare.

2. Identico.

3. I giudici conciliatori e i giudici popolari rispondono soltanto in caso di dolo. I cittadini estranei alla magistratura che concorrono a formare o formano organi giudiziari collegiali rispondono in caso di dolo e nei casi di colpa grave di cui all'art. 2, comma 3, lettere b) e c).

3. I cittadini estranei alla magistratura che concorrono a formare o che formano organi giudiziari collegiali rispondono in caso di dolo e nei casi di colpa grave per travisamento del fatto o di una prova.

 

 

Art. 8

Competenza per l'azione di rivalsa e misura della rivalsa

1.  L'azione di rivalsa deve essere promossa dal Presidente del Consiglio dei Ministri.

1. Identico.

2. L'azione di rivalsa deve essere proposta davanti al tribunale del capoluogo del distretto della corte d'appello, da determinarsi a norma dell'articolo 11 del codice di procedura penale e dell'articolo 1 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271.

2. Identico.

3.  La misura della rivalsa non può superare una somma pari al terzo di una annualità dello stipendio, al netto delle trattenute fiscali, percepito dal magistrato al tempo in cui l'azione di risarcimento è proposta, anche se dal fatto è derivato danno a più persone e queste hanno agito con distinte azioni di responsabilità. Tale limite non si applica al fatto commesso con dolo. L'esecuzione della rivalsa, quando viene effettuata mediante trattenuta sullo stipendio, non può comportare complessivamente il pagamento per rate mensili in misura superiore al quinto dello stipendio netto.

3. Identico.

4.  Le disposizioni del comma 3 si applicano anche agli estranei che partecipano all'esercizio delle funzioni giudiziarie. Per essi la misura della rivalsa è calcolata in rapporto allo stipendio iniziale annuo, al netto delle trattenute fiscali, che compete al magistrato di tribunale; se l'estraneo che partecipa all'esercizio delle funzioni giudiziarie percepisce uno stipendio annuo netto o reddito di lavoro autonomo netto inferiore allo stipendio iniziale del magistrato di tribunale, la misura della rivalsa è calcolata in rapporto a tale stipendio o reddito al tempo in cui l'azione di risarcimento è proposta.

4. Identico.

 

 

Art. 9

Azione disciplinare

1.  Il procuratore generale presso la Corte di cassazione per i magistrati ordinari o il titolare dell'azione disciplinare negli altri casi devono esercitare l'azione disciplinare nei confronti del magistrato per i fatti che hanno dato causa all'azione di risarcimento, salvo che non sia stata già proposta, entro due mesi dalla comunicazione di cui al comma 5 dell'art. 5. Resta ferma la facoltà del Ministro di grazia e giustizia di cui al secondo comma dell'art. 107 della Costituzione.

1. Identico.

2.  Gli atti del giudizio disciplinare possono essere acquisiti, su istanza di parte o d'ufficio, nel giudizio di rivalsa.

2. Identico.

3.  La disposizione di cui all'art. 2, che circoscrive la rilevanza della colpa ai casi di colpa grave ivi previsti, non si applica nel giudizio disciplinare.

3. Identico.

 

 

Art. 10

Consiglio di presidenza della Corte dei conti

(omissis)

Art. 11

Disposizioni concernenti i referendari e primi referendari della Corte dei conti

(omissis)

Art. 12

Stato giuridico ed economico dei componenti non magistrati del consiglio di presidenza della Corte dei conti

(Omissis)

 

 

Art. 13

Responsabilità civile per fatti costituenti reato

1.  Chi ha subìto un danno in conseguenza di un fatto costituente reato commesso dal magistrato nell'esercizio delle sue funzioni ha diritto al risarcimento nei confronti del magistrato e dello Stato. In tal caso l'azione civile per il risarcimento del danno ed il suo esercizio anche nei confronti dello Stato come responsabile civile sono regolati dalle norme ordinarie.

1. Identico.

2.  All'azione di regresso dello Stato che sia tenuto al risarcimento nei confronti del danneggiato si procede altresì secondo le norme ordinarie relative alla responsabilità dei pubblici dipendenti.

2. Identico.

 

 

Art. 14

Riparazione per errori giudiziari

1.  Le disposizioni della presente legge non pregiudicano il diritto alla riparazione a favore delle vittime di errori giudiziari e di ingiusta detenzione.

1. Identico.

 

 

Art. 15

Esenzioni

1.  Si osserva, in quanto applicabile, l'articolo unico, della legge 2 aprile 1958, n. 319, come sostituito dall'articolo 10, della legge 11 agosto 1973, n. 533.

1. Identico.

 

 

Art. 16

Responsabilità dei componenti gli organi giudiziari collegiali

1. (Novella l’art. 148 c.p.p.)

1. Identico.

2. (Novella l’art. 131 c.p.c.)

2. Identico.

3.  Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche ai provvedimenti di altri giudici collegiali aventi giurisdizione in materia penale e di prevenzione; le disposizioni di cui al comma 2 si applicano anche ai provvedimenti dei giudici collegiali aventi giurisdizione in ogni altra materia. Il verbale delle deliberazioni è redatto dal meno anziano dei componenti del collegio o, per i collegi a composizione mista, dal meno anziano dei componenti togati, ed è sottoscritto da tutti i componenti del collegio stesso.

3. Identico.

4.  Nei casi previsti dall'art. 3, il magistrato componente l'organo giudiziario collegiale risponde, altresì, in sede di rivalsa, quando il danno ingiusto, che ha dato luogo al risarcimento, è derivato dall'inosservanza di obblighi di sua specifica competenza.

4. Identico.

5.  Il tribunale innanzi al quale è proposta l'azione di rivalsa ai sensi dell'art. 8 chiede la trasmissione del plico sigillato contenente la verbalizzazione della decisione alla quale si riferisce la dedotta responsabilità e ne ordina l'acquisizione agli atti del giudizio.

5. Identico.

6.  Con decreto del Ministro di grazia e giustizia vengono definiti i modelli dei verbali di cui ai commi 1, 2 e 3 e determinate le modalità di conservazione dei plichi sigillati nonché della loro distruzione quando sono decorsi i termini previsti dall'art. 4.

6. Identico.

 

 

Art. 17

Modifica dell'art. 328 del codice penale

1. (Novella l’art. 328 c.p.)

1. Identico.

 

 

Art. 18

Misure finanziarie

1.  Agli oneri conseguenti all'attuazione dell'art. 15 della presente legge, valutati in euro 1.032.913,80 (lire 2.000 milioni) in ragione d'anno a decorrere dall'esercizio 1988, si fa fronte mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1988-1990, al capitolo 6856 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per l'anno 1988, utilizzando parzialmente l'accantonamento "Revisione della normativa in materia di patrocinio gratuito".

1. Identico.

2.  Gli altri oneri derivanti dall'attuazione della presente legge sono imputati ad apposito capitolo da istituire "per memoria" nello stato di previsione del Ministero del tesoro alla cui dotazione si provvede, in considerazione della natura della spesa, mediante prelevamento dal fondo di riserva per le spese obbligatorie e d'ordine iscritto nel medesimo stato di previsione.

2. Identico.

3.  Il Ministro del tesoro è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

3. Identico.

 

 

Art. 19

Entrata in vigore

1.  La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

1. Identico.

2.  La presente legge non si applica ai fatti illeciti posti in essere dal magistrato, nei casi previsti dagli articoli 2 e 3, anteriormente alla sua entrata in vigore.

2. Identico.

 

 

 

 

 


La responsabilità civile dei magistrati in alcuni ordinamenti europei
(a cura del Servizio Biblioteca)

Francia

In Francia la peculiarità della funzione giurisdizionale ha da sempre imposto una particolare cautela nella previsione della responsabilità di coloro che la esercitano. Progressivamente i magistrati dell’ordine giudiziario sono stati percepiti come professionisti tenuti alla buona realizzazione dei loro compiti nell’esercizio dei loro poteri giurisdizionali e, pertanto, non esenti dall’applicazione di un principio generale di responsabilità civile, temperato tuttavia dalla necessità di preservarli dal moltiplicarsi di azioni legali di risarcimento da parte di ricorrenti semplicemente insoddisfatti del contenuto delle decisioni giudiziarie prese nei loro confronti[5].

Per tali ragioni è lo Stato a rispondere, in via prioritaria, degli eventuali danni (e interessi) determinati dall’amministrazione della giustizia nei confronti di coloro che sono ad essa sottoposti.

Sono previsti i seguenti tre regimi di responsabilità civile dei magistrati (Code de l’organisation judiciaire, artt. L 141-1 e ss.):

 

§  il primo riguarda la responsabilità per funzionamento difettoso del servizio giudiziario (fonctionnement défectueux du service de la justice), il cui campo di applicazione risulta peraltro limitato alle due ipotesi della colpa grave[6] (faute lourde) e del diniego di giustizia (déni de justice) (art. L 141-1)[7];

 

§  il secondo concerne la responsabilità per colpa personale (faute personnelle) dei magistrati ordinari (i magistrati del Corpo giudiziario) ed è soggetto alla disciplina contenuta nello statut de la magistrature (art. L 141-2);

 

§  il terzo è relativo alla responsabilità per colpa personale degli altri giudici (ad es., i giudici amministrativi o quelli appartenenti a giurisdizioni speciali) ed è appositamente regolato da leggi speciali o, in loro assenza, segue il procedimento della cosiddetta “prise à partie” (art. L141-3)[8].

 

In tutti e tre i casi la responsabilità civile viene fatta valere contro lo Stato e non è ammessa l’azione diretta contro i magistrati: è lo Stato, pertanto, a garantire le vittime anche dei danni causati dalle colpe personali dei magistrati, fatta salva la facoltà dello Stato di rivalersi su questi ultimi.

 

Per ciò che riguarda, in particolare, il primo regime, il funzionamento difettoso della giustizia si riferisce all’insieme di attività in cui si esplica il servizio della giustizia: sentenze, provvedimenti e atti giurisdizionali, ma anche tutti gli atti giuridici o materiali connessi all’esercizio del servizio, nonché gli atti delle autorità amministrative che collaborano al servizio della giustizia.

La responsabilità diretta dello Stato nei confronti delle vittime deriva dalla nozione di colpa del servizio (faute de service) riconosciuta a carico dello Stato, indipendentemente dall’accertamento di una responsabilità personale dell’autore materiale del danno[9]. Tuttavia, come richiamato in precedenza, i casi di malfunzionamento del servizio giudiziario sono circoscritti ai due casi, rispettivamente, di colpa grave (ad esempio, la divulgazione alla stampa di atti giudiziari o la sparizione, in determinate circostanze, di dossier istruttori) e di diniego di giustizia (ad esempio, la fissazione eccessivamente tardiva di un’udienza o una sentenza che dopo lungo tempo ancora non viene pronunciata).

 

Il secondo regime si basa sul concetto di “colpa personale” del giudice, che tuttavia, secondo il dettato dell’art. 11-1 dello statut de la magistrature, va intesa come comportamento lesivo del magistrato, ma sempre collegato al servizio pubblico della giustizia (faute personnelle se rattachant au service public de la justice) o non distaccabile da quel servizio o, per lo meno, non privo di collegamenti con il servizio pubblico della giustizia[10]. In questo caso lo Stato – come già ricordato – può rivalersi con un’azione riconvenzionale nei confronti del giudice personalmente responsabile del danno[11].

 

Anche il terzo regime di responsabilità civile si fonda sulla colpa personale del giudice, ma, a differenza del precedente, si applica ai magistrati non appartenenti al Corpo giudiziario (come i giudici amministrativi o i giudici speciali) e, invece di essere regolato dallo statut de la magistrature, segue la procedura della “prise à partie”. Tale procedura, regolata in dettaglio dagli artt. 366-1 e ss. del Code de procedure civile, è ammessa nei seguenti casi: dolo, frode, concussione, colpa grave e diniego di giustizia. Ma, sebbene qui la responsabilità civile riguardi il comportamento personale del giudice (rientrante nelle fattispecie appena menzionate) e non un suo comportamento legato al servizio pubblico della giustizia, è sempre lo Stato a rispondere civilmente delle condanne al risarcimento dei danni e interessi che possono essere pronunciate contro i magistrati. La causa è di competenza della Corte d’Appello della circoscrizione nella quale il giudice interessato tiene le sue udienze. La prise à partie per essere procedibile deve essere autorizzata preventivamente dal Primo Presidente della Corte d’appello, che decide dopo aver acquisito il parere del Procuratore generale presso la Corte, ossia del Pubblico Ministero. Il rifiuto del Primo Presidente può essere impugnato davanti ad una Chambre civile della Corte di Cassazione.

Germania

La Legge fondamentale tedesca (Grundgesetz - GG), all’articolo 34, sancisce la responsabilità dello Stato (Federazione o Land) in caso di violazione dei doveri della funzione da parte di un giudice.

La responsabilità risarcitoria è, dunque, indiretta, nel senso che il preteso danneggiato non può direttamente chiamare in causa il giudice di cui si vuole far valere la responsabilità.

La fattispecie della responsabilità è quella prevista dall’articolo 839 del Codice civile (Burgerliches Gesetzbuch – BGB)[12], rispetto alla quale opera il criterio di imputazione (allo Stato) stabilito dall’articolo 34 GG[13].

 

L’articolo 839, comma 1, del Codice civile tedesco, stabilisce la responsabilità del funzionario pubblico (Beamter - categoria nella quale sono ricompresi i giudici) che violi dolosamente o colposamente i doveri d’ufficio di cui è titolare; tale responsabilità comporta il risarcimento del danno subito da terzi.

Al comma 2, la stessa disposizione prevede la responsabilità del funzionario che violi i propri doveri nell’emanazione di provvedimenti (Urteil) nel quadro di una vertenza, e la conseguente responsabilità, se la violazione commessa costituisce reato.

 

Quindi, l’obbligo di risarcimento da parte del giudice sorge quando, nel corso di un procedimento giurisdizionale, egli abbia cagionato un danno attraverso la violazione dell’articolo 839, comma 2. Non rientrano in queste ipotesi il rifiuto o il ritardo di esercitare le proprie funzioni, rispetti ai quali opera l’immunità giudiziaria (Richterprivilege) posta a fondamento dell’indipendenza della magistratura. Tale indipendenza richiede, infatti, che nell’interesse dell’imparzialità del giudice, egli non debba temere azioni o ritorsioni per le decisioni assunte; la garanzia di indipendenza della magistratura, inoltre, è stabilita nell’interesse della certezza del diritto, che verrebbe incrinata se la pretesa inesattezza di una decisione giudiziaria fosse oggetto non soltanto della revisione da parte di un altro giudice secondo le comune norme procedurali, ma anche di azioni giudiziarie per atto illecito.

 

Sotto il profilo soggettivo, le disposizioni in materia di responsabilità e le relative esimenti si applicano tanto ai giudici di ruolo che a quelli onorari (figure contemplate dall’ordinamento giudiziario tedesco a livello di Länder).

 

Sotto il profilo oggettivo, la nozione di Urteil di cui all’articolo 839, comma 2, BGB, comprende una gamma di provvedimenti giurisdizionali adottati non soltanto ad esito e a chiusura di un procedimento (sentenza), ma anche durante il suo svolgimento. In base all’interpretazione giurisprudenziale, rientrano nella nozione atti processuali aventi carattere tendenzialmente definitivo, quali la decisione di condanna alle spese oppure le decisioni che sottopongono a tutela o a curatela le persone. Ne sono, invece, esclusi gli atti processuali a carattere tendenzialmente provvisorio, quali, ad esempio, le ordinanze relative all’ammissione di prove, le decisioni sul valore della lite, e, in ambito penale, il mandato di arresto, gli ordini di perquisizione, le ordinanze di sospensione della patente di guida.

Regno Unito

Sui magistrati grava una generale responsabilità per il loro operato, la quale si modula secondo i principi della loro accountability, sia “interna” (ossia verso i poteri pubblici e lo stesso ordine di cui sono membri), sia “esterna”, con riguardo allo scrutinio pubblico al quale sono sottoposti i loro atti[14]. Ciò non comporta, tuttavia, l’indifferenziata applicazione nei loro riguardi delle norme comuni in materia di responsabilità per fatto illecito.

 

Il principio dell’esonero dalla responsabilità civile del magistrato per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, radicato nel common law, è tradizionalmente inteso quale presidio dell’indipendenza della magistratura nel suo complesso (precedente giurisprudenziale rilevante, a questo riguardo, è Sirros v Moore [1975] QB 118, in cui la corte giudicante precisò l’ambito della judicial immunity che tutela il giudice rispetto alla “liability in a civil action for damages in respect of acts done in his judicial capacity”).

 

Il principio suddetto (codificato anche dal legislatore con riferimento ai magistrates, giudici onorari disciplinati dal Justice of Peace Act 1997, ss. 51, 52) ha subìto temperamenti a seguito dell’incorporazione nel diritto interno della CEDU con lo Human Rights Act 1988, che in attuazione dell’art. 5(5) della Convenzione ha riconosciuto il diritto al risarcimento per ingiusta detenzione.

Spagna

La normativa in materia di responsabilità civile dei giudici e dei magistrati è contenuta in alcuni articoli della Ley Orgánica 6/1985 del Poder Judicial (LOPJ)[15].

L’art. 16 della LOPJ stabilisce che i giudici e i magistrati rispondono penalmente e civilmente nei casi e nella forma prevista dalle leggi.

Vi è anche, agli articoli 411-413, un apposito capitolo sulla responsabilità civile. I giudici e i magistrati rispondono civilmente per i danni e i pregiudizi causati quando, nello svolgimento delle loro funzioni, incorrano in dolo o colpa (art. 411). La responsabilità civile può esigersi su istanza della parte lesa o dei suoi aventi causa, nel relativo giudizio (art. 412). La domanda di responsabilità civile non può essere presentata fino a quando non sia stata emessa la decisione che conclude il processo in cui si presuma sia stato prodotto il danno; in nessun caso la sentenza del giudizio di responsabilità civile può modificare la decisione emessa alla fine di tale processo (art. 413).

L’art. 266, n. 1, della Ley 1/2000, de 7 de enero, de Enjuiciamiento Civil[16], nel disciplinare alcuni casi speciali di presentazione di documentazione processuale, cita la “domanda di responsabilità civile contro giudici e magistrati per danni e pregiudizi causati nell’esercizio delle loro funzioni, con dolo, colpa o ignoranza inescusabile”, l’art. 403, comma 2, della medesima legge, sancisce la non ammissibilità delle domande di responsabilità civile contro giudici e magistrati per i danni e pregiudizi che, per dolo, colpa o ignoranza inescusabile, sono stati arrecati nell’esercizio delle loro funzioni, se non sia stata emessa la risoluzione che pone fine al processo durante il quale si suppone sia stato prodotto il danno.

Accanto a questa responsabilità di tipo personale del magistrato o giudice, esiste anche una responsabilità patrimoniale dello Stato per gli errori giudiziari, per il funzionamento anomalo dell’amministrazione della giustizia e per l’ingiusta carcerazione preventiva. L’art. 121 della Costituzione prevede che:

«I danni causati per errori giudiziari, così come quelli che siano conseguenza del malfunzionamento dell’Amministrazione della Giustizia, daranno diritto a un indennizzo a carico dello Stato, conformemente alla legge».

La LOPJ ha dato attuazione al precetto costituzionale, aggiungendovi la previsione dell’ingiusta carcerazione preventiva. Il titolo V del libro III della LOPJ è dedicato alla “responsabilità patrimoniale dello Stato per il funzionamento dell’Amministrazione della Giustizia” (artt. 292-297).

L’art. 292 della LOPJ prevede che, per i danni causati per errore giudiziario o come conseguenza del funzionamento anomalo della giustizia, spetti ai danneggiati un indennizzo a carico dello Stato, salvo casi di forza maggiore. Il danno arrecato deve essere effettivo, valutabile economicamente e individualizzato in relazione a una persona o gruppo di persone.

L’art. 293 della LOPJ stabilisce che l’indennizzo per errore deve essere preceduto da una decisione giudiziaria che espressamente lo riconosca. Tale decisione può risultare direttamente da una sentenza emessa in virtù del ricorso di revisione. Negli altri casi si applicano le seguenti regole:

a)        l’azione giudiziaria per il riconoscimento dell’errore deve essere sollecitata obbligatoriamente entro tre mesi dal giorno in cui può essere esercitata;

b)        la domanda di dichiarazione dell’errore è sottoposta alla Sala del Tribunale supremo corrispondente al medesimo ordine giurisdizionale dell’organo a cui è imputato l’errore; se l’errore è attribuito a una sezione o Sala del Tribunale supremo, la competenza è della Sala speciale prevista dall’art. 61 della LOPJ[17]; in caso di organi della giurisdizione militare, la competenza è della Sala Quinta (militare) del Tribunale supremo[18];

c)        il procedimento per decidere sulla domanda è quello del ricorso di revisione in materia civile, essendone parti, in ogni caso il Pubblico ministero (Ministerio Fiscal) e l’Amministrazione dello Stato;

d)        il Tribunale emette sentenza definitiva, senza ulteriore ricorso, nel termine di quindici giorni, con previa relazione dell’organo giurisdizionale a cui è attribuito l’errore;

e)        se l’errore non è riconosciuto, saranno addebitate le spese al richiedente;

f)         non si procede alla dichiarazione di errore contro una risoluzione giudiziaria se non si sono esauriti i ricorsi previsti dall’ordinamento;

g)        la semplice richiesta di dichiarazione dell’errore non impedisce l’esecuzione della risoluzione giudiziaria a cui è imputato l’errore.

 

Sia nel caso di errore giudiziario, sia di funzionamento anomalo dell’amministrazione della giustizia, l’interessato deve presentare la propria richiesta di indennizzo direttamente al Ministero della giustizia. Contro la risoluzione può essere presentato ricorso contenzioso-amministrativo. Il diritto a reclamare l’indennizzo si prescrive nel termine di un anno, a partire dal giorno in cui può essere esercitato.

L’art. 294 disciplina in particolare l’indennizzo in favore di chi abbia scontato la carcerazione preventiva essendo poi assolto per inesistenza del fatto imputato o nel caso in cui sia stato dichiarato il non luogo a procedere, sempre che il soggetto ne abbia avuto pregiudizi. La determinazione dell’indennizzo è fissata in funzione del tempo di privazione della libertà e delle conseguenze personali e familiari prodotte.

In nessun caso di dà luogo all’indennizzo quando l’errore giudiziario o l’anomalo funzionamento dei servizi è causato dalla condotta dolosa o colposa della vittima (art. 295).

L’art. 296 prevede che lo Stato risponda dei danni prodotti da giudici e magistrati per dolo o colpa grave. In tal caso lo Stato può ripetere quanto pagato a titolo di indennizzo al danneggiato mediante un’azione di rivalsa nei confronti del giudice che ha causato il danno.

 

 

 


Documentazione


Corte di Giustizia dell’Unione Europea

 


Grande sezione, 13 giugno 2006, n. 173 (sentenza “Traghetti del Mediterraneo”)

 

Intestazione

Nel procedimento C-173/03,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'art. 234 CE, dal Tribunale di Genova con ordinanza 20 marzo 2003, pervenuta in cancelleria il 14 aprile 2003, nella causa

{Traghetti del Mediterraneo} SpA, in liquidazione,

contro

Repubblica italiana,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann, C.W.A. Timmermans (relatore), K. Schiemann e J. Makarczyk, presidenti di sezione, dal sig. J.N. Cunha Rodrigues, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. K. Lenaerts, P. K?ris, E. Juhász e U. Lõhmus, giudici,

avvocato generale: sig. P. Léger,

cancelliere: sig.ra M. Ferreira, amministratore principale,

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 7 dicembre 2004,

considerate le osservazioni presentate:

- per la {Traghetti del Mediterraneo} Spa, in liquidazione, dagli avv.ti V. Roppo, P. Canepa e S. Sardano;

- per il governo italiano, dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dai sigg. G. Aiello e G. De Bellis, avvocati dello Stato;

- per il governo greco, dalle sig.re E. Samoni e Z. Chatzipavlou, nonché dai sigg. M. Apessos, K. Boskovits e K. Georgiadis, in qualità di agenti;

- per l'Irlanda, dal sig. D. O'Hagan, in qualità di agente, assistito dagli avv.ti P. Sreenan, SC, e P. McGarry, BL;

- per il governo dei Paesi Bassi, dalla sig.ra S. Terstal, in qualità di agente;

- per il governo del Regno Unito, dalla sig.ra R. Caudwell, in qualità di agente, assistita dai sigg. D. Anderson, QC, e M. Hoskins, barrister;

- per la Commissione delle Comunità europee, dalla sig.ra D. Maidani e dal sig. V. Di Bucci, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza dell'11 ottobre 2005,

ha pronunciato la seguente

 

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sul principio e sulle condizioni per la sussistenza della responsabilità extracontrattuale degli Stati membri per i danni arrecati ai singoli da una violazione del diritto comunitario, allorquando tale violazione è imputabile a un organo giurisdizionale nazionale.

 

2 Tale domanda è stata proposta nell'ambito di una causa intentata contro la Repubblica italiana dalla {Traghetti del Mediterraneo} SpA, impresa di trasporti marittimi, attualmente in liquidazione (in prosieguo: la <TDM>), al fine di ottenere il risarcimento del danno che essa avrebbe subito a causa di un'erronea interpretazione, da parte della Corte suprema di cassazione, delle norme comunitarie relative alla concorrenza e agli aiuti di Stato e, in particolare, per il rifiuto opposto da quest'ultima alla sua richiesta di sottoporre alla Corte le pertinenti questioni di interpretazione del diritto comunitario.

 

Contesto normativo nazionale

 

3 Ai sensi dell'art. 1, n. 1, della legge 13 aprile 1988, n. 117 [sul] risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e [sulla] responsabilità civile dei magistrati (GURI n. 88 del 15 aprile 1988, pag. 3; in prosieguo: la <legge n. 117/88>), detta legge si applica <a tutti gli appartenenti alle magistrature ordinaria, amministrativa, contabile, militare e speciali, che esercitano l'attività giudiziaria, indipendentemente dalla natura delle funzioni, nonché agli estranei che partecipano all'esercizio della funzione giudiziaria>.

 

4 L'art. 2 della legge n. 117/88 prevede:

<1. Chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell'esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale.

2. Nell'esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l'attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove.

3. Costituiscono colpa grave:

a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;

b) l'affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento;

c) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento;

d) l'emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione>.

 

5 Ai sensi dell'art. 3, n. 1, prima frase, della legge n. 117/88, costituisce peraltro un diniego di giustizia <il rifiuto, l'omissione o il ritardo del magistrato nel compimento di atti del suo ufficio quando, trascorso il termine di legge per il compimento dell'atto, la parte ha presentato istanza per ottenere il provvedimento e sono decorsi inutilmente, senza giustificato motivo, trenta giorni dalla data di deposito in cancelleria>.

 

6 Gli articoli seguenti della legge n. 117/88 precisano le condizioni e le modalità per proporre un'azione di risarcimento del danno ai sensi degli artt. 2 o 3 di detta legge, così come le azioni che possono essere intraprese, a posteriori, nei confronti del magistrato che si sia reso colpevole di dolo o colpa grave nell'esercizio delle sue funzioni, se non addirittura di un diniego di giustizia.

I fatti all'origine della controversia nella causa principale e le questioni pregiudiziali

 

7 La TDM e la Tirrenia di Navigazione (in prosieguo: la <Tirrenia>) sono due imprese di trasporti marittimi che, negli anni '70, effettuavano regolari collegamenti marittimi tra l'Italia continentale e le isole della Sardegna e della Sicilia. Nel 1981, mentre era stata sottoposta alla procedura di concordato, la TDM citava la Tirrenia in giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli al fine di ottenere il risarcimento del pregiudizio che essa avrebbe subito, negli anni precedenti, a causa della politica di prezzi bassi praticata da quest'ultima.

 

8 La TDM invocava, a tal riguardo, tanto la violazione, da parte della sua concorrente, dell'art. 2598, n. 3, del codice civile italiano, relativo agli atti di concorrenza sleale, quanto la violazione degli artt. 85, 86, 90 e 92 del Trattato CEE (divenuti, rispettivamente, artt. 85, 86, 90 e 92 del Trattato CE, a loro volta diventati artt. 81 CE, 82 CE, 86 CE, e, in seguito a modifica, 87 CE) per il fatto che, a suo parere, la Tirrenia aveva violato le norme fondamentali di tale Trattato, e in particolare aveva abusato della propria posizione dominante sul mercato in questione, praticando tariffe notevolmente inferiori al prezzo di costo grazie al conseguimento di sovvenzioni pubbliche la cui legittimità sarebbe stata dubbia alla luce del diritto comunitario.

 

9 Con sentenza del Tribunale di Napoli 26 maggio 1993, confermata in appello dalla sentenza 13 dicembre 1996 della Corte d'appello di Napoli, tale domanda di risarcimento veniva tuttavia respinta dai giudici italiani, poiché le sovvenzioni concesse dalle autorità di tale Stato erano legittime in quanto perseguivano obiettivi di interesse generale connessi, in particolare, allo sviluppo del Mezzogiorno ed in quanto, in ogni caso, non recavano pregiudizio all'esercizio di attività di trasporto marittimo diverse e concorrenti rispetto a quelle censurate dalla TDM. Pertanto, nessun atto di concorrenza sleale poteva essere imputato alla Tirrenia.

 

10 Ritenendo, da parte sua, che queste due sentenze fossero viziate da errori di diritto, in quanto fondate, in particolare, su un'interpretazione erronea delle norme del Trattato in materia di aiuti di Stato, il curatore fallimentare della TDM proponeva contro la sentenza della Corte d'appello di Napoli un ricorso in cassazione, nell'ambito del quale invitava la Corte suprema di cassazione a sottoporre alla Corte, ai sensi dell'art. 177, terzo comma, del Trattato CE (divenuto articolo 234, terzo comma, CE), le pertinenti questioni d'interpretazione del diritto comunitario.

 

11 Con sentenza 19 aprile 2000, n. 5087 (in prosieguo: la <sentenza 19 aprile 2000>), la Corte suprema di cassazione tuttavia rifiutava di accogliere tale istanza poiché la soluzione adottata dai giudici di merito rispettava la lettera delle pertinenti disposizioni del Trattato ed era, per di più, perfettamente conforme alla giurisprudenza della Corte, in particolare alla sentenza 22 maggio 1985, causa 13/83, Parlamento/Consiglio (Racc. pag. 1513).

 

12 Per giungere a tale conclusione, la Corte suprema di cassazione rilevava, da un lato, riguardo alla presunta violazione degli artt. 90 e 92 del Trattato, che tali articoli permettono di derogare, a certe condizioni, al divieto generale degli aiuti di Stato al fine di favorire lo sviluppo economico di regioni svantaggiate o di soddisfare domande di beni e servizi che il gioco della libera concorrenza non permette di soddisfare pienamente. Orbene, secondo tale giudice, tali condizioni ricorrerebbero appunto nella fattispecie in quanto, nel corso del periodo contestato (cioè tra il 1976 e il 1980), i trasporti di massa tra l'Italia continentale e le sue isole maggiori potevano essere assicurati, attesi i loro costi, solo per via marittima, cosicché sarebbe stato necessario soddisfare la domanda, sempre più pressante, per tale tipo di servizi affidando la gestione di tali trasporti ad un concessionario pubblico che praticava una tariffa imposta.

 

13 Secondo lo stesso giudice, la distorsione della concorrenza che deriverebbe dall'esistenza di tale concessione non comporterebbe, tuttavia, l'illegittimità automatica dell'aiuto accordato. In effetti, l'attribuzione di una tale concessione di servizio pubblico comporterebbe sempre, implicitamente, un effetto distorsivo della concorrenza e la TDM non sarebbe riuscita a dimostrare che la Tirrenia avesse tratto vantaggio dall'aiuto accordato dallo Stato per realizzare utili connessi ad attività diverse da quelle per cui le sovvenzioni erano state effettivamente concesse.

 

14 Dall'altro lato, quanto al motivo relativo alla violazione degli artt. 85 e 86 del Trattato, la Corte suprema di cassazione lo ha respinto in quanto infondato poiché, all'epoca dei fatti della controversia, l'attività di cabotaggio marittimo non era ancora stata liberalizzata e poiché la natura ed il contesto territoriale limitati di tale attività non consentivano di individuare chiaramente il mercato rilevante ai sensi dell'art. 86 del Trattato. In siffatto contesto, tale giudice ha, tuttavia, rilevato che, se era difficile identificare detto mercato, una concorrenza reale poteva nondimeno esercitarsi nel settore interessato dal momento che l'aiuto concesso nella fattispecie riguardava solamente una delle attività tra quelle, numerose, tradizionalmente svolte da un'impresa di trasporto marittimo e che era per di più limitata ad un solo Stato membro.

 

15 In tali circostanze, la Corte suprema di cassazione ha, di conseguenza, respinto il ricorso per cui era stata adita, dopo aver rigettato anche le censure sollevate dalla TDM riguardo alla violazione delle disposizioni nazionali relative agli atti di concorrenza sleale e all'omissione da parte della Corte d'appello di Napoli di statuire sulla domanda della TDM diretta a sottoporre alla Corte le pertinenti questioni d'interpretazione. Precisamente tale decisione di rigetto è all'origine del procedimento pendente dinanzi al giudice del rinvio.

 

16 Infatti, ritenendo che la sentenza 19 aprile 2000 fosse fondata su un'errata interpretazione delle norme del Trattato in materia di concorrenza e di aiuti di Stato e sulla premessa erronea dell'esistenza di una giurisprudenza costante della Corte in materia, il curatore fallimentare della TDM, società nel frattempo messa in liquidazione, citava la Repubblica italiana dinanzi al Tribunale di Genova per ottenere la condanna di quest'ultima al risarcimento del danno che tale impresa avrebbe subito a causa degli errori di interpretazione commessi dalla Corte suprema di cassazione e a causa della violazione dell'obbligo di rinvio che graverebbe a carico di quest'ultimo organo giurisdizionale ai sensi dell'art. 234, terzo comma, CE.

 

17 A tal riguardo, fondandosi, segnatamente, sulla decisione della Commissione 21 giugno 2001, 2001/851/CE, relativa agli aiuti di Stato corrisposti dall'Italia alla compagnia marittima Tirrenia di Navigazione (GU L 318, pag. 9) - decisione riguardante, sì, sovvenzioni concesse successivamente al periodo controverso nella causa principale, ma adottata al termine di un procedimento avviato dalla Commissione delle Comunità europee prima dell'udienza dibattimentale della Corte suprema di cassazione nella causa conclusasi con sentenza 19 aprile 2000 - la TDM sostiene che, se quest'ultimo giudice si fosse rivolto alla Corte, l'esito del ricorso in cassazione sarebbe stato completamente diverso. Al pari della Commissione, nella summenzionata decisione, la Corte avrebbe, infatti, rilevato la dimensione comunitaria delle attività di cabotaggio marittimo così come le difficoltà inerenti alla valutazione della compatibilità di sovvenzioni pubbliche con le norme del Trattato in materia di aiuti di Stato, il che avrebbe portato la Corte di cassazione a dichiarare illegittimi gli aiuti concessi alla Tirrenia.

 

18 La Repubblica italiana contesta la ricevibilità stessa di tale azione di risarcimento, basandosi sul tenore della legge n. 117/88, ed in particolare sul suo art. 2, n. 2, ai sensi del quale l'interpretazione di norme giuridiche effettuata nell'ambito dell'esercizio delle funzioni giurisdizionali non potrebbe comportare la responsabilità dello Stato. Tuttavia, nel caso in cui la ricevibilità di tale ricorso dovesse essere ammessa dal giudice del rinvio, essa sostiene, in subordine, che il ricorso deve in ogni caso essere respinto poiché non ricorrerebbero i presupposti per un rinvio pregiudiziale e la sentenza 19 aprile 2000, passata in giudicato, non potrebbe più essere rimessa in discussione.

 

19 In risposta a tali argomentazioni, la TDM si interroga sulla compatibilità della legge n. 117/88 con le prescrizioni del diritto comunitario. Essa sostiene, in particolare, che le condizioni di ricevibilità delle azioni previste da tale legge e la prassi seguita in materia dagli organi giurisdizionali nazionali (tra cui la stessa Corte suprema di cassazione) sono talmente restrittive che rendono eccessivamente difficile, se non addirittura impossibile, il conseguimento di un risarcimento da parte dello Stato dei danni causati da provvedimenti giurisdizionali. Di conseguenza, una tale normativa sarebbe in contrasto con i principi sanciti dalla Corte, in particolare, nelle sentenze 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90, Francovich e a. (Racc. pag. I-5357), e 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du pêcheur et Factortame (Racc. pag. I-1029).

 

20 Pertanto, nutrendo dubbi quanto alla soluzione da dare alla controversia dinanzi ad esso pendente nonché quanto alla possibilità di estendere al potere giudiziario i principi sanciti dalla Corte, nelle sentenze citate al punto precedente, relative alle violazioni del diritto comunitario commesse nell'esercizio di un'attività legislativa, il Tribunale di Genova ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

<1) Se uno Stato [membro] risponda a titolo di responsabilità extracontrattuale nei confronti dei singoli cittadini degli errori dei propri giudici nell'applicazione del diritto comunitario o della mancata applicazione dello stesso e in particolare del mancato assolvimento da parte di un giudice di ultima istanza dell'obbligo di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ai sensi dell'art. 234, comma 3, del Trattato.

2) Nel caso in cui debba ritenersi che uno Stato membro risponda degli errori dei propri giudici nell'applicazione del diritto comunitario e in particolare dell'omesso rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia da parte di un giudice di ultima istanza ai sensi dell'art. 234, comma 3, del Trattato, se osti all'affermazione di tale responsabilità - e sia quindi incompatibile con i principi del diritto comunitario - una normativa nazionale in tema di responsabilità dello Stato per errori dei giudici che:

- esclude la responsabilità in relazione all'attività di interpretazione delle norme di diritto e di valutazione del fatto e delle prove rese nell'ambito dell'attività giudiziaria,

- limita la responsabilità dello Stato ai soli casi di dolo e colpa grave del giudice>.

 

21 A seguito della pronuncia della sentenza 30 settembre 2003, causa C?224/01, Köbler (Racc. pag. I-10239), il cancelliere della Corte ha inviato copia di tale sentenza al giudice del rinvio chiedendogli se, alla luce del contenuto della sentenza, ritenesse utile mantenere la sua domanda pregiudiziale.

 

22 Con lettera 13 gennaio 2004, pervenuta alla cancelleria della Corte il 29 gennaio seguente, il Tribunale di Genova, sentite le parti della causa principale, ha ritenuto che la summenzionata sentenza Köbler fornisse una risposta esauriente alla prima delle due questioni da esso proposte, di modo che non è più necessario che la Corte si pronunci su di essa.

 

23 Esso ha, invece, ritenuto utile mantenere la sua seconda questione affinché la Corte si pronunci, <anche alla luce dei principi affermati (-) nella sentenza Köbler>, sulla questione se <osti all'affermazione della responsabilità dello stato per violazioni imputabili a un organo giurisdizionale nazionale una normativa nazionale in tema di responsabilità dello stato per errori del giudice che, come quella italiana, esclude la responsabilità in relazione all'attività di interpretazione delle norme di diritto e di valutazione del fatto e delle prove rese nell'ambito dell'attività giudiziaria e limita la responsabilità dello stato ai soli casi di dolo e colpa grave del giudice>.

Sulla questione pregiudiziale

 

24 In via preliminare, occorre rilevare che la causa pendente dinanzi al giudice del rinvio ha per oggetto un'azione diretta a far sorgere la responsabilità dello Stato per una decisione, non impugnabile, emessa da un organo giurisdizionale supremo. La questione proposta dal giudice del rinvio deve quindi essere intesa come vertente, in sostanza, sulla questione se il diritto comunitario e, in particolare, i principi sanciti dalla Corte nella summenzionata sentenza Köbler, ostino ad una normativa nazionale come quella di cui alla causa principale, che, da un lato, esclude ogni responsabilità dello Stato membro per i danni causati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario commessa da un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado allorquando tale violazione risulta da un'interpretazione delle norme di diritto o da una valutazione dei fatti e delle prove ad opera di tale organo giurisdizionale e che, dall'altro lato, limita, peraltro, tale responsabilità ai soli casi del dolo e della colpa grave del giudice.

 

25 Per la TDM, come per la Commissione, tale questione richiede chiaramente una risposta affermativa. Infatti, dal momento che la valutazione dei fatti e delle prove nonché l'interpretazione delle norme di diritto sarebbero inerenti all'attività giurisdizionale, l'esclusione, in tali casi, della responsabilità dello Stato per i danni arrecati ai singoli a seguito dell'esercizio di tale attività equivarrebbe, in pratica, ad esonerare quest'ultimo da ogni responsabilità per violazioni del diritto comunitario imputabili al potere giudiziario.

 

26 Per quanto riguarda, peraltro, la limitazione di detta responsabilità ai soli casi del dolo o della colpa grave del giudice, anch'essa sarebbe di natura da condurre ad un'esenzione di fatto da ogni responsabilità dello Stato, poiché, da un lato, la nozione stessa di <colpa grave> non sarebbe lasciata alla libera valutazione del giudice chiamato a statuire su un'eventuale domanda di risarcimento dei danni causati da una decisione giurisdizionale, ma sarebbe rigorosamente delimitata dal legislatore nazionale, che enumererebbe preliminarmente - ed in modo tassativo - le ipotesi di colpa grave.

 

27 Secondo la TDM si desumerebbe, dall'altro lato, dall'esperienza acquisita in Italia nell'attuazione della legge n. 117/88 che gli organi giurisdizionali di detto Stato, in particolare, la Corte suprema di cassazione, darebbero una lettura estremamente restrittiva di tale legge, così come delle nozioni di <colpa grave> e di <negligenza inescusabile>. Questi nozioni sarebbero interpretate da tale ultimo organo giurisdizionale come una <violazione evidente, grossolana e macroscopica della norma> o contenente una lettura di essa <in termini contrastanti con ogni criterio logico>, il che condurrebbe, in pratica, al rigetto quasi sistematico delle denunce presentate contro lo Stato italiano.

 

28 Al contrario, secondo il governo italiano, sostenuto, su tale punto, dall'Irlanda e dal governo del Regno Unito, una normativa nazionale come quella di cui alla causa principale sarebbe perfettamente conforme ai principi stessi del diritto comunitario dal momento che essa realizzerebbe un giusto equilibrio tra la necessità di preservare l'indipendenza del potere giudiziario e gli imperativi della certezza del diritto, da un lato, e la concessione di una tutela giurisdizionale effettiva ai singoli nei casi più evidenti di violazioni del diritto comunitario imputabili al potere giudiziario, dall'altro lato.

 

29 In tale ottica, ove dovesse essere riconosciuta, la responsabilità degli Stati membri per i danni risultanti da tali violazioni dovrebbe dunque essere limitata ai soli casi in cui si possa identificare una violazione sufficientemente grave del diritto comunitario. Tuttavia, essa non potrebbe sussistere qualora un organo giurisdizionale nazionale abbia deciso una controversia sulla base di un'interpretazione degli articoli del Trattato che si rispecchi adeguatamente nella motivazione fornita da tale organo giurisdizionale.

 

30 A tal riguardo, occorre ricordare che, nella summenzionata sentenza Köbler, pronunciata successivamente alla data in cui il giudice del rinvio s'è rivolto alla Corte, quest'ultima ha ricordato che il principio per il quale uno Stato membro è obbligato a risarcire i danni arrecati ai singoli per violazioni del diritto comunitario che gli sono imputabili ha valore in riferimento a qualsiasi ipotesi di violazione del diritto comunitario, qualunque sia l'organo di tale Stato la cui azione od omissione ha dato origine alla trasgressione (v. punto 31 di detta sentenza).

 

31 Al riguardo, fondandosi in particolare sul ruolo essenziale svolto dal potere giudiziario nella tutela dei diritti che derivano ai singoli dalle norme comunitarie, nonché sulla circostanza che un organo giurisdizionale di ultimo grado costituisce, per definizione, l'ultima istanza dinanzi alla quale essi possono far valere i diritti che il diritto comunitario conferisce loro, la Corte ne ha dedotto che la tutela di tali diritti sarebbe indebolita - e la piena efficacia delle norme comunitarie che conferiscono simili diritti sarebbe rimessa in questione - se fosse escluso che i singoli potessero ottenere, a talune condizioni, il risarcimento dei danni loro arrecati da una violazione del diritto comunitario imputabile a una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado (v. sentenza Köbler, cit., punti 33-36).

 

32 È vero che, considerate la specificità della funzione giurisdizionale nonché le legittime esigenze della certezza del diritto, la responsabilità dello Stato, in un caso del genere, non è illimitata. Come la Corte ha affermato, tale responsabilità può sussistere solo nel caso eccezionale in cui l'organo giurisdizionale che ha statuito in ultimo grado abbia violato in modo manifesto il diritto vigente. Al fine di determinare se questa condizione sia soddisfatta, il giudice nazionale investito di una domanda di risarcimento danni deve, a tal riguardo, tener conto di tutti gli elementi che caratterizzano la situazione sottoposta al suo sindacato, e, in particolare, del grado di chiarezza e di precisione della norma violata, del carattere intenzionale della violazione, della scusabilità o inescusabilità dell'errore di diritto, della posizione adottata eventualmente da un'istituzione comunitaria nonché della mancata osservanza, da parte dell'organo giurisdizionale di cui trattasi, del suo obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell'art. 234, terzo comma, CE (sentenza Köbler, cit., punti 53-55).

 

33 Considerazioni analoghe, connesse alla necessità di garantire ai singoli una protezione giurisdizionale effettiva dei diritti che il diritto comunitario conferisce loro, ostano, allo stesso modo, a che la responsabilità dello Stato non possa sorgere per il solo motivo che una violazione del diritto comunitario imputabile ad un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado risulti dall'interpretazione delle norme di diritto effettuata da tale organo giurisdizionale.

 

34 Da un lato, infatti, l'interpretazione delle norme di diritto rientra nell'essenza vera e propria dell'attività giurisdizionale poiché, qualunque sia il settore di attività considerato, il giudice, posto di fronte a tesi divergenti o antinomiche, dovrà normalmente interpretare le norme giuridiche pertinenti - nazionali e/o comunitarie - al fine di decidere la controversia che gli è sottoposta.

 

35 Dall'altro lato, non si può escludere che una violazione manifesta del diritto comunitario vigente venga commessa, appunto, nell'esercizio di una tale attività interpretativa, se, per esempio, il giudice dà a una norma di diritto sostanziale o procedurale comunitario una portata manifestamente erronea, in particolare alla luce della pertinente giurisprudenza della Corte in tale materia (v., a questo riguardo, la summenzionata sentenza Köbler, punto 56), o se interpreta il diritto nazionale in modo da condurre, in pratica, alla violazione del diritto comunitario vigente.

 

36 Come rilevato dall'avvocato generale al paragrafo 52 delle sue conclusioni, escludere, in simili circostanze, ogni responsabilità dello Stato a causa del fatto che la violazione del diritto comunitario deriva da un'operazione di interpretazione delle norme giuridiche effettuata da un organo giurisdizionale equivarrebbe a privare della sua stessa sostanza il principio sancito dalla Corte nella citata sentenza Köbler. Tale constatazione vale, a maggior ragione, per gli organi giurisdizionali di ultimo grado, incaricati di assicurare a livello nazionale l'interpretazione uniforme delle norme giuridiche.

 

37 Si deve giungere ad analoga conclusione nel caso di una legislazione che escluda, in maniera generale, la sussistenza di una qualunque responsabilità dello Stato allorquando la violazione imputabile ad un organo giurisdizionale di tale Stato risulti da una valutazione dei fatti e delle prove.

 

38 Da un lato, infatti, una simile valutazione costituisce, così come l'attività di interpretazione delle norme giuridiche, un altro aspetto essenziale dell'attività giurisdizionale poiché, indipendentemente dall'interpretazione effettuata dal giudice nazionale investito di una determinata causa, l'applicazione di dette norme al caso di specie spesso dipenderà dalla valutazione che egli avrà compiuto sui fatti del caso di specie così come sul valore e sulla pertinenza degli elementi di prova prodotti a tal fine dalle parti in causa.

 

39 Dall'altro lato, una tale valutazione - che richiede a volte analisi complesse - può condurre ugualmente, in certi casi, ad una manifesta violazione del diritto vigente, sia essa effettuata nell'ambito dell'applicazione di specifiche norme relative all'onere della prova, al valore di tali prove o all'ammissibilità dei mezzi di prova, ovvero nell'ambito dell'applicazione di norme che richiedono una qualificazione giuridica dei fatti.

 

40 Escludere, in tali casi, ogni possibilità di sussistenza della responsabilità dello Stato poiché la violazione contestata al giudice nazionale riguarda la valutazione effettuata da quest'ultimo su fatti o prove equivarrebbe altresì a privare di effetto utile il principio sancito nella summenzionata sentenza Köbler, per quanto riguarda le manifeste violazioni del diritto comunitario che sarebbero imputabili agli organi giurisdizionali nazionali di ultimo grado.

 

41 Come rilevato dall'avvocato generale ai paragrafi 87-89 delle sue conclusioni, ciò avviene, in particolare, in materia di aiuti di Stato. Escludere, in tale settore, qualunque responsabilità dello Stato poiché la violazione del diritto comunitario commessa da un organo giurisdizionale nazionale risulterebbe da una valutazione dei fatti rischia di condurre a un indebolimento delle garanzie procedurali offerte ai singoli in quanto la salvaguardia dei diritti che essi traggono dalle pertinenti disposizioni del Trattato dipende, in larga misura, da successive operazioni di qualificazione giuridica dei fatti. Orbene, nell'ipotesi in cui la responsabilità dello Stato fosse esclusa in maniera assoluta, a seguito delle valutazioni operate su determinati fatti da un organo giurisdizionale, tali singoli non beneficerebbero di alcuna protezione giurisdizionale ove un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado commettesse un errore manifesto nel controllo delle summenzionate operazioni di qualificazione giuridica dei fatti.

 

42 Riguardo, infine, alla limitazione della responsabilità dello Stato ai soli casi di dolo o di colpa grave del giudice, occorre ricordare, come rilevato al punto 32 della presente sentenza, che la Corte, nella summenzionata sentenza Köbler, ha dichiarato che la responsabilità dello Stato per i danni arrecati ai singoli a causa di una violazione del diritto comunitario imputabile ad un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado poteva sorgere nel caso eccezionale in cui tale organo giurisdizionale avesse violato in modo manifesto il diritto vigente.

 

43 Tale violazione manifesta si valuta, in particolare, alla luce di un certo numero di criteri quali il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, il carattere scusabile o inescusabile dell'errore di diritto commesso, o la mancata osservanza, da parte dell'organo giurisdizionale di cui trattasi, del suo obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell'art. 234, terzo comma, CE, ed è presunta, in ogni caso, quando la decisione interessata interviene ignorando manifestamente la giurisprudenza della Corte in materia (sentenza Köbler, cit., punti 53-56).

 

44 Pertanto, se non si può escludere che il diritto nazionale precisi i criteri relativi alla natura o al grado di una violazione, da soddisfare affinché possa sorgere la responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario imputabile a un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, tali criteri non possono, in nessun caso, imporre requisiti più rigorosi di quelli derivanti dalla condizione di una manifesta violazione del diritto vigente, quale precisata ai punti 53-56 della summenzionata sentenza Köbler.

 

45 Il diritto al risarcimento sorgerà, dunque, se tale ultima condizione è soddisfatta, non appena sarà stato stabilito che la norma di diritto violata ha per oggetto il conferimento di diritti ai singoli e che esiste un nesso di causalità diretto tra la violazione manifesta invocata e il danno subito dall'interessato (v., segnatamente, a tale riguardo, le summenzionate sentenze Francovich e a., punto 40; Brasserie du pêcheur e Factortame, punto 51, nonché Köbler, punto 51). Come risulta, in particolare, dal punto 57 della citata sentenza Köbler, tali tre condizioni sono, in effetti, necessarie e sufficienti per attribuire ai singoli un diritto al risarcimento, senza tuttavia escludere che la responsabilità dello Stato possa essere accertata a condizioni meno restrittive in base al diritto nazionale.

 

46 Alla luce di quanto sopra considerato, si deve quindi risolvere la questione proposta dal giudice del rinvio, come riformulata con la sua lettera 13 gennaio 2004, nel senso che il diritto comunitario osta ad una legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello Stato membro per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado per il motivo che la violazione controversa risulta da un'interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove operate da tale organo giurisdizionale. Il diritto comunitario osta altresì ad una legislazione nazionale che limiti la sussistenza di tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove una tale limitazione conducesse ad escludere la sussistenza della responsabilità dello Stato membro interessato in altri casi in cui sia stata commessa una violazione manifesta del diritto vigente, quale precisata ai punti 53-56 della citata sentenza Köbler.

 

Sulle spese

 

47 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

P.Q.M.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

Il diritto comunitario osta ad una legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello Stato membro per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado per il motivo che la violazione controversa risulta da un'interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove operate da tale organo giurisdizionale.

Il diritto comunitario osta altresì ad una legislazione nazionale che limiti la sussistenza di tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove una tale limitazione conducesse ad escludere la sussistenza della responsabilità dello Stato membro interessato in altri casi in cui sia stata commessa una violazione manifesta del diritto vigente, quale precisata ai punti 53-56 della sentenza 30 settembre 2003, causa C-224/01, Köbler.

 

 


Sezione III, sentenza del 24 novembre 2011, n. 379

 

INTESTAZIONE

Nella causa CC379/10,

avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell'art. 258 TFUE, proposto il 29 luglio 2010,

Commissione europea, rappresentata dalla sig.ra L. Pignataro e dal sig. M. Nolin, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Repubblica italiana, rappresentata dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente, assistita dal sig. G. De Bellis, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

 

LA CORTE (Terza Sezione),

composta dal sig. K. Lenaerts, presidente di sezione, dal sig. J. Malenovský, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. T. von Danwitz (relatore) e D. váby, giudici,

avvocato generale: sig. N. Jääskinen

cancelliere: sig. A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l'avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente sentenza

 

FATTO

 

1 Con il proprio ricorso, la Commissione europea chiede alla Corte di dichiarare che:

“ escludendo qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell'Unione imputabile ad un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, qualora tale violazione risulti da interpretazione di norme di diritto o di valutazione di fatti e prove effettuata dall'organo giurisdizionale medesimo, e

“ limitando tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave,

ai sensi dell'art. 2, commi 1 e 2, della legge 13 aprile 1988, n. 117, sul risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati (GURI n. 88, del 15 aprile 1988, pag. 3; in prosieguo: la «legge n. 117/88»), la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del principio generale della responsabilità degli Stati membri per violazioni del diritto dell'Unione da parte di un proprio organo giurisdizionale di ultimo grado.

 

Contesto normativo nazionale

2 Ai sensi del suo art. 1, la legge n. 117/88 si applica «a tutti gli appartenenti alle magistrature ordinaria, amministrativa, contabile, militare e speciali che esercitano l'attività giudiziaria, indipendentemente dalla natura delle funzioni, nonché agli estranei che partecipano all'esercizio della funzione giudiziaria».

 

3 L'art. 2 di tale legge così recita:

«1. Chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell'esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale.

2. Nell'esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l'attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove.

3. Costituiscono colpa grave:

a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;

b) l'affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento;

c) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento;

d) l'emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione».

 

Fatti

 

 4 L'art. 2 della legge n. 117/88 ha costituito oggetto, a seguito di un rinvio pregiudiziale, della sentenza 13 giugno 2006, causa CC173/03, Traghetti del Mediterraneo (Racc. pag. II5177).

 

5 In tale sentenza la Corte ha affermato, ai punti 33-37, quanto segue:

«33 Considerazioni (() connesse alla necessità di garantire ai singoli una protezione giurisdizionale effettiva dei diritti che il diritto comunitario conferisce loro, ostano (() a che la responsabilità dello Stato non possa sorgere per il solo motivo che una violazione del diritto comunitario imputabile ad un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado risulti dall'interpretazione delle norme di diritto effettuata da tale organo giurisdizionale.

34 Da un lato, infatti, l'interpretazione delle norme di diritto rientra nell'essenza vera e propria dell'attività giurisdizionale poiché, qualunque sia il settore di attività considerato, il giudice, posto di fronte a tesi divergenti o antinomiche, dovrà normalmente interpretare le norme giuridiche pertinenti nazionali e/o comunitarie al fine di decidere la controversia che gli è sottoposta.

35 Dall'altro lato, non si può escludere che una violazione manifesta del diritto comunitario vigente venga commessa, appunto, nell'esercizio di una tale attività interpretativa, se, per esempio, il giudice dà a una norma di diritto sostanziale o procedurale comunitario una portata manifestamente erronea, in particolare alla luce della pertinente giurisprudenza della Corte in tale materia (v., a questo riguardo, sentenza 30 settembre 2003, causa CC224/01, Köbler, Racc. pag. II10239, punto 56), o se interpreta il diritto nazionale in modo da condurre, in pratica, alla violazione del diritto comunitario vigente.

36 Come rilevato dall'avvocato generale al paragrafo 52 delle sue conclusioni, escludere, in simili circostanze, ogni responsabilità dello Stato a causa del fatto che la violazione del diritto comunitario deriva da un'operazione di interpretazione delle norme giuridiche effettuata da un organo giurisdizionale equivarrebbe a privare della sua stessa sostanza il principio sancito dalla Corte nella citata sentenza Köbler. Tale constatazione vale, a maggior ragione, per gli organi giurisdizionali di ultimo grado, incaricati di assicurare a livello nazionale l'interpretazione uniforme delle norme giuridiche.

37 Si deve giungere ad analoga conclusione nel caso di una legislazione che escluda, in maniera generale, la sussistenza di una qualunque responsabilità dello Stato allorquando la violazione imputabile ad un organo giurisdizionale di tale Stato risulti da una valutazione dei fatti e delle prove».

 

Il procedimento precontenzioso

 

6 In data 10 febbraio 2009 la Commissione inviava una lettera alla Repubblica italiana in cui dichiarava che, escludendo qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell'Unione imputabile a un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, qualora tale violazione risulti dall'interpretazione di norme di diritto o di valutazione di fatti e prove effettuate dall'organo giurisdizionale medesimo, e limitando tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave, ai sensi dell'art. 2, commi 1 e 2, della legge n. 117/88, la Repubblica italiana era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in considerazione del principio generale di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell'Unione da parte di un proprio organo giurisdizionale di ultimo grado.

 

7 Il 9 ottobre seguente la Commissione trasmetteva alla Repubblica italiana una lettera di diffida che restava senza risposta.

 

8 Con lettera del 22 marzo 2010 la Commissione faceva pervenire alla Repubblica italiana un parere motivato, invitandola ad adottare le misure necessarie per conformarvisi entro il termine di due mesi a decorrere dalla sua ricezione. Atteso che tale parere motivato restava parimenti senza risposta, la Commissione decideva di proporre alla Corte il presente ricorso.

 

Sul ricorso

Argomenti delle parti

 

9 La Commissione deduce che le menzionate disposizioni della legge n. 117/88, che hanno già costituito oggetto di esame da parte della Corte nella citata sentenza Traghetti del Mediterraneo, sono incompatibili con la giurisprudenza della Corte relativa alla responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell'Unione da parte di un proprio organo giurisdizionale di ultimo grado, in particolare con la menzionata sentenza Köbler.

 

10 A sostegno del ricorso la Commissione deduce, sostanzialmente, due addebiti. Da un lato, contesta alla Repubblica italiana di avere escluso, ai sensi dell'art. 2, secondo comma, della legge n. 117/88, qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni causati a singoli dalla violazione del diritto dell'Unione da parte di un proprio organo giurisdizionale di ultimo grado, qualora tale violazione derivi da un'interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e prove effettuate dall'organo giurisdizionale medesimo. Dall'altro, la Commissione contesta alla Repubblica italiana di aver limitato, in casi diversi dall'interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e prove, la possibilità di invocare tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave, il che non sarebbe conforme ai principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte.

 

11 L'istituzione fa valere, a tal riguardo, che, al punto 42 della menzionata sentenza Traghetti del Mediterraneo, la Corte, richiamandosi alla citata sentenza Köbler, ha rammentato che la responsabilità dello Stato per i danni arrecati ai singoli a causa di una violazione del diritto dell'Unione imputabile ad un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado può sorgere solamente per violazione manifesta del diritto vigente compiuta da tale organo giurisdizionale. La Commissione ricorda che tale violazione manifesta viene valutata, in particolare, alla luce di determinati criteri, quali il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, il carattere scusabile ovvero inescusabile dell'errore di diritto commesso, ed è presunta, in ogni caso, quando la decisione interessata interviene ignorando manifestamente la giurisprudenza della Corte in materia. Inoltre, a parere della Commissione, non può escludersi che il diritto nazionale precisi tali criteri, criteri che non possono, in nessun caso, imporre requisiti più rigorosi di quelli derivanti dalla condizione della manifesta violazione del diritto vigente.

 

12 La Commissione deduce che, nella menzionata sentenza Traghetti del Mediterraneo, la Corte ha affermato, da un lato, che il diritto dell'Unione osta ad una legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello Stato membro interessato per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell'Unione imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado, qualora tale violazione derivi da un'interpretazione di norme di diritto o da una valutazione di fatti e prove operate dall'organo giurisdizionale medesimo. L'istituzione ricorda, dall'altro, che la Corte ha parimenti dichiarato l'incompatibilità di una limitazione di tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove una tale limitazione conduca ad escludere la sussistenza della responsabilità dello Stato membro interessato in altri casi in cui sia stata accertata una violazione manifesta del diritto vigente.

 

13 La Commissione aggiunge che dalla motivazione e dal dispositivo della menzionata sentenza Traghetti del Mediterraneo emerge, conseguentemente, che la Corte ha ritenuto che la normativa italiana in questione determinasse, al tempo stesso, un'esclusione della responsabilità dello Stato nel settore dell'interpretazione delle norme di diritto o della valutazione di fatti e prove nonché una limitazione della responsabilità negli altri settori di attività giurisdizionale, quali la nomina di tutori o le dichiarazioni di incapacità. In tal senso, nella causa da cui è scaturita la detta sentenza, la Corte avrebbe, da un lato, respinto l'interpretazione sostenuta dalla Repubblica italiana all'udienza, secondo cui la legge n. 117/88 conterrebbe unicamente una clausola limitativa della responsabilità per tutti i settori dell'attività giurisdizionale, e, dall'altro, rilevato l'incompatibilità con il diritto dell'Unione delle disposizioni di cui trattasi.

 

14 Il tenore dell'art. 2 della legge n. 117/88 sarebbe d'altronde inequivocabile a tal riguardo, in quanto la nozione di «colpa grave» figurerebbe ai commi 1 e 3 di tale articolo, ma non al secondo comma del medesimo.

 

15 Per quanto attiene al secondo addebito, la Commissione deduce che la giurisprudenza della suprema Corte di cassazione, fermo restando che essa non riguarda disposizioni connesse con l'interpretazione del diritto dell'Unione, ha interpretato la nozione di «colpa grave» in termini estremamente restrittivi, il che, in contrasto con i principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte, determina una limitazione della responsabilità dello Stato italiano, anche in casi diversi dall'interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e prove.

 

16 A tal riguardo, la Commissione richiama due sentenze di detto giudice, pronunciate, rispettivamente, in data 5 luglio 2007, n. 15227, e 18 marzo 2008, n. 7272, secondo cui tale nozione sarebbe stata interpretata, sostanzialmente, in termini tali da coincidere con il «carattere manifestamente aberrante dell'interpretazione» effettuata dal magistrato. In tal senso, la Commissione menziona, in particolare, la massima della seconda delle menzionate sentenze in cui la suprema Corte di cassazione avrebbe affermato che i presupposti previsti dall'art. 2, terzo comma, lett. a), della legge n. 117/88 sussistono «allorquando, nel corso dell'attività giurisdizionale, (...) si sia concretizzata una violazione evidente, grossolana e macroscopica della norma stessa ovvero una lettura di essa in termini contrastanti con ogni criterio logico o l'adozione di scelte aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore o la manipolazione assolutamente arbitraria del testo normativo».

 

17 A parere della Commissione, la responsabilità dello Stato italiano per violazione del diritto dell'Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado non può essere quindi fatta valere negli stessi termini stabiliti dalla giurisprudenza della Corte e risulta, in pratica, difficilmente invocabile.

 

18 Conseguentemente, sembrerebbe che, malgrado la pronuncia della menzionata sentenza Traghetti del Mediterraneo, il testo della legge n. 117/88 sia stato mantenuto inalterato e che la suprema Corte di cassazione non abbia modificato il proprio orientamento giurisprudenziale restrittivo, e ciò nonostante il fatto che detta sentenza abbia operato una «rielaborazione evidente» della normativa di cui trattasi.

 

19 La Repubblica italiana contesta l'inadempimento addebitatole.

 

20 A suo parere, la Commissione interpreta erroneamente la legge n. 117/88. L'art. 2 di detta legge conterrebbe unicamente una clausola limitativa della responsabilità, a prescindere dall'attività giurisdizionale in questione. Infatti, i presupposti fissati al primo comma dell'art. 2 della legge medesima, precisati, con riguardo alla nozione di «colpa grave», al successivo terzo comma, si applicherebbero parimenti nell'ambito del secondo comma dell'articolo stesso, relativo all'interpretazione di norme di diritto ed alla valutazione di fatti e prove.

 

21 Contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, nella menzionata sentenza Traghetti del Mediterraneo la Corte non avrebbe respinto l'interpretazione dell'art. 2 della legge n. 117/88 sostenuta dalla Repubblica italiana, bensì si sarebbe limitata a rispondere alla questione pregiudiziale formulata dal giudice del rinvio.

 

22 Inoltre, in tale sentenza, la Corte non si sarebbe espressamente pronunciata sull'incompatibilità della legge n. 117/88 con il diritto dell'Unione. Orbene, la legge italiana non sarebbe di per sé in contrasto con la giurisprudenza della Corte, atteso che ai giudici nazionali sarebbe consentito procedere ad un'interpretazione di tale legge conforme ai requisiti del diritto dell'Unione e, in particolare, a quelli fissati nelle menzionate sentenze Köbler e Traghetti del Mediterraneo. Infatti, la nozione di «colpa grave» contenuta nella normativa italiana in esame coinciderebbe, in effetti, con la condizione della «violazione grave e manifesta del diritto dell'Unione», quale definita dalla giurisprudenza della Corte.

 

23 La Repubblica italiana deduce che un inadempimento potrebbe essere dichiarato solamente qualora la giurisprudenza nazionale interpretasse la legge n. 117/88 in termini non conformi a tali requisiti. Orbene, la Commissione non sarebbe stata in grado di dimostrare l'esistenza, successivamente alla pronuncia della menzionata sentenza Traghetti del Mediterraneo, di sentenze della suprema Corte di cassazione che accolgano un'interpretazione dell'art. 2 della legge n. 117/88 che presenti un collegamento con il diritto dell'Unione né, tanto meno, di sentenze che accolgano un'interpretazione di tale legge differente da quella sostenuta dal governo italiano.

 

24 Infatti, le due sentenze della suprema Corte successive alla citata sentenza Traghetti del Mediterraneo, richiamate dalla Commissione, non riguarderebbero una violazione dei principi del diritto dell'Unione. Inoltre, dette sentenze dimostrerebbero che la suprema Corte di cassazione ha inteso il terzo comma, dell'art. 2 della legge n. 177/88 quale strumento interpretativo del precedente secondo comma e che quest'ultimo comma non può essere pertanto inteso nel senso che costituisca una clausola di esclusione della responsabilità.

 

25 A sostegno di tale argomento, la Repubblica italiana sottolinea che la menzionata sentenza della suprema Corte di cassazione del 18 marzo 2008 non fa alcun riferimento all'art. 2, secondo comma, della legge n. 117/88, laddove, secondo la tesi sostenuta dalla Commissione, l'applicazione di tale disposizione avrebbe peraltro consentito alla suprema Corte di respingere il ricorso nella causa oggetto della sentenza stessa. Dalla mancata menzione di detto secondo comma dell'art. 2 deriverebbe che tale disposizione non può essere, in realtà, intesa nel senso che costituisca una clausola di esclusione della responsabilità.

 

26 L'errore di interpretazione della Commissione sarebbe parimenti evidenziato dall'affermazione, contenuta nella citata sentenza della suprema Corte di cassazione del 5 luglio 2007, secondo cui le «ipotesi specifiche» previste dall'art. 2 della legge n. 177/88, «hanno quale comune fattore» una negligenza inescusabile. Ne conseguirebbe che tale articolo dovrebbe essere complessivamente inteso nel senso che subordina il sorgere della responsabilità dello Stato al compimento di una negligenza di tal genere da parte del giudice nazionale.

 

Giudizio della Corte

 

27 Si deve rilevare, in limine, che la Repubblica italiana non contesta l'applicabilità dell'art. 2 della legge n. 117/88 alle azioni di responsabilità proposte da singoli nei confronti dello Stato italiano per violazione del diritto dell'Unione da parte di uno dei suoi organi giurisdizionali di ultimo grado.

 

28 Le parti dissentono, tuttavia, sulla questione della conformità di tale articolo con il diritto dell'Unione e, in particolare, con la giurisprudenza della Corte.

 

29 Come rammentato da costante giurisprudenza, nell'ambito del procedimento per inadempimento ex art. 258 TFUE, se è pur vero che incombe alla Commissione dimostrare l'esistenza del preteso inadempimento, spetta allo Stato membro convenuto, una volta che la Commissione abbia fornito elementi sufficienti a dimostrare la veridicità dei fatti contestati, confutare in modo sostanziale e dettagliato i dati forniti e le conseguenze che ne derivano (v. sentenze 22 settembre 1988, causa 272/86, Commissione/Grecia, Racc. pag. 4875, punto 21; 7 luglio 2009, causa CC369/07, Commissione/Grecia, Racc. pag. II5703, punto 75, e 6 ottobre 2009, causa CC335/07, Commissione/Finlandia, Racc. pag. II9459, punto 47).

 

30 Si deve rilevare che, al di fuori dei casi di dolo e di diniego di giustizia, l'art. 2, primo comma, della legge n. 117/88 prevede che la responsabilità dello Stato italiano per violazione del diritto dell'Unione può sorgere qualora un magistrato abbia commesso «colpa grave» nell'esercizio delle proprie funzioni. Quest'ultima nozione viene definita nel successivo terzo comma, lett. a), quale «grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile». Ai sensi del secondo comma del medesimo articolo, nell'esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l'interpretazione di norme di diritto né la valutazione dei fatti e delle prove.

 

31 In primo luogo, la Commissione contesta alla Repubblica italiana di escludere, per effetto dell'art. 2, secondo comma, della legge n. 117/88, qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni causati a singoli derivanti da una violazione del diritto dell'Unione compiuta da uno dei suoi organi giurisdizionali di ultimo grado, qualora tale violazione derivi dall'interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione dei fatti e delle prove effettuate dal giudice medesimo.

 

32 A sostegno di tale primo addebito la Commissione deduce che tale disposizione costituisce una clausola di esclusione di responsabilità autonoma rispetto al disposto di cui ai commi 1 e 3 del medesimo art. 2.

 

33 Si deve ricordare, a tal riguardo, che, ai sensi dell'art. 2 della legge n. 117/88, la normativa italiana in materia di responsabilità dello Stato per i danni causati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie prevede, da un lato, ai commi 1 e 3 di tale articolo, che tale responsabilità è limitata ai casi di dolo, di colpa grave e di diniego di giustizia, e, dall'altro, al secondo comma dell'articolo stesso, che «non può dar luogo a responsabilità l'attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove». Dall'esplicito tenore di quest'ultima disposizione emerge che tale responsabilità resta esclusa, in via generale, nell'ambito dell'interpretazione del diritto e della valutazione dei fatti e delle prove.

 

34 Negli stessi termini il giudice del rinvio ha d'altronde esposto l'art. 2 della legge n. 117/88 nelle questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte nella causa da cui è scaturita la menzionata sentenza Traghetti del Mediterraneo, come emerge dal punto 20 della medesima.

 

35 Orbene, ai punti 33340 di tale sentenza, la Corte ha affermato che il diritto dell'Unione osta ad una legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello Stato membro per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell'Unione imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado per il motivo che la violazione controversa risulti da un'interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove operate da tale organo giurisdizionale.

 

36 La Repubblica italiana deduce, richiamandosi alle due sentenze della suprema Corte di cassazione menzionate supra al punto 16, che l'interpretazione dell'art. 2 della legge n. 117/88 operata dalla Commissione è erronea.

 

37 Tuttavia, a prescindere dal significato da attribuire al fatto che la motivazione della sentenza della suprema Corte di cassazione del 18 marzo 2008 non fa riferimento all'art. 2, secondo comma, della legge n. 117/88 nonché al passo della sentenza della Corte medesima del 5 luglio 2007, secondo cui le «ipotesi specifiche» previste all'art. 2 di tale legge hanno quale «comune fattore» una negligenza inescusabile, si deve rilevare che, a fronte dell'esplicito tenore dell'art. 2, secondo comma, di tale legge, lo Stato membro convenuto non ha fornito alcun elemento in grado di dimostrare validamente che, nell'ipotesi di violazione del diritto dell'Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado, tale disposizione venga interpretata dalla giurisprudenza quale semplice limite posto alla sua responsabilità qualora la violazione risulti dall'interpretazione delle norme di diritto o dalla valutazione dei fatti e delle prove effettuate dall'organo giurisdizionale medesimo, e non quale esclusione di responsabilità.

 

38 Il primo addebito della Commissione deve essere conseguentemente accolto.

 

39 In secondo luogo, la Commissione contesta alla Repubblica italiana di limitare, in casi diversi dall'interpretazione delle norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove, la possibilità di invocare la responsabilità dello Stato italiano per violazione del diritto dell'Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado ai soli casi di dolo o di colpa grave, il che non sarebbe conforme ai principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte. A tal riguardo, la Commissione sostiene, segnatamente, che la nozione di «colpa grave», di cui all'art. 2, commi 1 e 3, della legge n. 117/88, viene interpretata dalla suprema Corte di cassazione in termini coincidenti con il «carattere manifestamente aberrante dell'interpretazione» effettuata dal magistrato e non con la nozione di «violazione manifesta del diritto vigente» postulata dalla Corte ai fini del sorgere della responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell'Unione.

 

40 Si deve ricordare, a tal riguardo, che, secondo costante giurisprudenza della Corte, tre sono le condizioni in presenza delle quali uno Stato membro è tenuto al risarcimento dei danni causati ai singoli per violazione del diritto dell'Unione al medesimo imputabile, vale a dire che la norma giuridica violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli, che si tratti di violazione sufficientemente caratterizzata e, infine, che esista un nesso causale diretto tra la violazione dell'obbligo incombente allo Stato e il danno subito dai soggetti lesi (v. sentenze 5 marzo 1996, cause riunite CC46/93 e CC48/93, Brasserie du pêcheur e Factortame, Racc. pag. II1029, punto 51; 4 luglio 2000, causa CC424/97, Haim, Racc. pag. II5123, punto 36, nonché 24 marzo 2009, causa CC445/06, Danske Slagterier, Racc. pag. II2119, punto 20).

 

41 La responsabilità dello Stato per i danni causati dalla decisione di un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado che violi una norma di diritto dell'Unione è disciplinata dalle stesse condizioni, ove la Corte ha tuttavia precisato che, in tale contesto, la seconda di dette condizioni dev'essere intesa nel senso che consenta di invocare la responsabilità dello Stato solamente nel caso eccezionale in cui il giudice abbia violato in maniera manifesta il diritto vigente (v. sentenza Köbler, cit., punti 52 e 53).

 

42 Dalla giurisprudenza della Corte emerge, inoltre, che, se è pur vero che non si può escludere che il diritto nazionale precisi i criteri relativi alla natura o al grado di una violazione, criteri da soddisfare affinché possa sorgere la responsabilità dello Stato in un'ipotesi di tal genere, tali criteri non possono, in nessun caso, imporre requisiti più rigorosi di quelli derivanti dalla condizione di una manifesta violazione del diritto vigente (v. sentenza Traghetti del Mediterraneo, cit., punto 44 nonché la giurisprudenza ivi citata).

 

43 Nella specie, si deve rilevare che la Commissione ha fornito, alla luce, segnatamente, degli argomenti riassunti supra al punto 16, elementi sufficienti da cui emerge che la condizione della «colpa grave», di cui all'art. 2, commi 1 e 3, della legge n. 117/88, che deve sussistere affinché possa sorgere la responsabilità dello Stato italiano, viene interpretata dalla suprema Corte di cassazione in termini tali che finisce per imporre requisiti più rigorosi di quelli derivanti dalla condizione di «violazione manifesta del diritto vigente».

 

44 In risposta a tale argomento della Commissione la Repubblica italiana si limita, sostanzialmente, ad affermare, da un lato, che le sentenze della suprema Corte di cassazione menzionate supra al punto 16 non riguardano una violazione del diritto dell'Unione e, dall'altro, che l'art. 2 della legge n. 117/88 può essere oggetto di interpretazione conforme al diritto dell'Unione medesimo e che la nozione di «colpa grave» di cui al detto articolo è, in realtà, equivalente a quella di «violazione manifesta del diritto vigente».

 

45 Orbene, indipendentemente dalla questione se la nozione di «colpa grave», ai sensi della legge n. 117/88, malgrado il rigoroso contesto in cui essa si colloca all'art. 2, terzo comma, della legge medesima, possa essere effettivamente interpretata, nell'ipotesi di violazione del diritto dell'Unione da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado dello Stato membro convenuto, in termini tali da corrispondere al requisito di «violazione manifesta del diritto vigente» fissato dalla giurisprudenza della Corte, si deve rilevare che la Repubblica italiana non ha richiamato, in ogni caso, nessuna giurisprudenza che, in detta ipotesi, vada in tal senso e non ha quindi fornito la prova richiesta quanto al fatto che l'interpretazione dell'art. 2, commi 1 e 3, di tale legge accolta dai giudici italiani sia conforme alla giurisprudenza della Corte.

 

46 Alla luce della giurisprudenza citata supra al punto 29, si deve concludere che la Repubblica italiana non ha confutato in termini sufficientemente sostanziali e dettagliati l'addebito contestatole dalla Commissione, secondo cui la normativa italiana limita, in casi diversi dall'interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione dei fatti e delle prove, la responsabilità dello Stato italiano per violazione del diritto dell'Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado in modo non conforme ai principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte.

 

47 Alla luce delle suesposte considerazioni, il secondo addebito della Commissione deve essere accolto ed il ricorso dalla medesima proposto deve ritenersi fondato.

 

48 Conseguentemente si deve dichiarare che:

“ escludendo qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell'Unione imputabile a un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, qualora tale violazione risulti da interpretazione di norme di diritto o di valutazione di fatti e prove effettuate dall'organo giurisdizionale medesimo, e

“ limitando tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave,

ai sensi dell'art. 2, commi 1 e 2, della legge n. 117/88, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del principio generale di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell'Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado.

Sulle spese

 

49 Ai sensi dell'art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese, se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ha concluso in tal senso, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, deve essere condannata alle spese.

P.Q.M.

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce:

1) La Repubblica italiana,

” escludendo qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell'Unione imputabile a un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, qualora tale violazione risulti da interpretazione di norme di diritto o da valutazione di fatti e prove effettuate dall'organo giurisdizionale medesimo, e

” limitando tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave,

ai sensi dell'art. 2, commi 1 e 2, della legge 13 aprile 1988, n. 117, sul risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del principio generale di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell'Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado.

2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.

 


Consiglio d’Europa

 


Raccomandazione CM / Rec (2010) 12 del Comitato dei Ministri agli stati membri sui giudici: indipendenza, efficacia e responsabilità

 

(Raccomandazione [19] adottata dal Comitato dei Ministri il 17 novembre 2010 in occasione della 1098^ riunione dei Delegati dei Ministri)

 

 

Il Comitato dei Ministri, ai sensi dell'articolo 15.b dello Statuto del Consiglio d'Europa,

Visto l'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo indicata come "la Convenzione”, ETS n. 5) che stabilisce che "ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge" e la pertinente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo;

Tenuto conto dei Principi di base delle Nazioni Unite sull’indipendenza della magistratura, approvati dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel novembre 1985;

Visti i Pareri del Consiglio consultivo dei giudici europei (CCJE), i lavori della Commissione europea per l'efficacia della giustizia (CEPEJ) e la Carta europea sullo Statuto dei giudici predisposta nell'ambito di riunioni multilaterali del Consiglio d’Europa;

Rilevando che il ruolo dei giudici, nell'esercizio delle loro funzioni giurisdizionali, è essenziale per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali;

Desiderando promuovere l'indipendenza dei giudici, elemento connaturale allo Stato di diritto ed essenziale per l'imparzialità dei giudici ed il funzionamento del sistema giudiziario;

Sottolineando il fatto che l'indipendenza della magistratura garantisce ad ogni persona il diritto ad un equo processo e quindi non è un privilegio dei magistrati ma una garanzia per il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che permette ad ogni persona di avere fiducia nel sistema giudiziario;

Nella consapevolezza della necessità di garantire lo statuto e i poteri dei giudici al fine di instaurare un ordinamento giuridico equo ed efficace, e di incoraggiarli ad impegnarsi attivamente per il funzionamento del sistema giudiziario;

Riconoscendo la necessità di assicurare che siano debitamente esercitati le responsabilità, i doveri e i poteri dei giudici, volti a tutelare gli interessi di qualsiasi persona;

Desiderando trarre insegnamento dalle esperienze dei vari stati membri nell’organizzare le istituzioni giudiziarie nel rispetto dello Stato di diritto;

Considerata la diversità degli ordinamenti giuridici, delle posizioni costituzionali e delle concezioni in tema di separazione dei poteri;

Notando che nulla in questa raccomandazione deve intendersi volto a diminuire le garanzie di indipendenza attribuite ai giudici dalle costituzioni o dagli ordinamenti giuridici degli stati membri;

Notando che le costituzioni o gli ordinamenti giuridici di alcuni stati membri hanno istituito un consiglio, cui si fa riferimento in questa raccomandazione come “consiglio superiore della magistratura”;

Desiderando promuovere i rapporti tra magistrature e tra singoli giudici dei vari stati membri al fine di incoraggiare lo sviluppo di una cultura comune della giurisdizione;

Considerando che la Raccomandazione Rec (94) 12 del Comitato dei Ministri sull’indipendenza, l’efficacia e il ruolo dei giudici deve essere aggiornata in misura rilevante per munire di maggior forza tutte le misure necessarie per promuovere l'indipendenza e l'efficacia dei giudici, per garantire e rendere più effettiva la loro responsabilità, e per rafforzare il ruolo dei singoli giudici e quello della magistratura in generale;

Raccomanda ai governi degli stati membri di adottare le misure per assicurare che siano attuate nella loro legislazione, nelle loro politiche e nelle loro prassi le disposizioni contenute nell'allegato alla presente raccomandazione, che sostituisce la Raccomandazione Rec (94) 12 di cui sopra, e che siano forniti ai giudici i mezzi per svolgere le loro funzioni in conformità a queste disposizioni.

 

Allegato alla Raccomandazione CM / Rec (2010) 12

 

Capitolo I - Aspetti generali

 

Campo di applicazione della raccomandazione

1. La presente raccomandazione si applica a tutte le persone che esercitano funzioni giudiziarie, comprese quelle che trattano questioni costituzionali.

2. Le disposizioni di cui alla presente raccomandazione si applicano anche ai giudici onorari, tranne che sia chiaro dal contesto che esse si applicano solo ai giudici professionali.

 

Indipendenza della magistratura e fonte del diritto che deve garantirla

3. L'indipendenza, come sancito dall'articolo 6 della Convenzione, mira a garantire ad ogni persona il diritto fondamentale di avere la sua causa esaminata equamente, sulla sola base del diritto e in assenza di qualsiasi influenza indebita.

4. L'indipendenza del singolo giudice è salvaguardata dall’indipendenza della magistratura nel suo complesso e costituisce, in tal senso, un aspetto fondamentale dello Stato di diritto.

5. I giudici devono avere libertà assoluta di statuire sui procedimenti in modo imparziale, in conformità al diritto e al loro apprezzamento dei fatti.

6. I giudici devono disporre di poteri sufficienti ed essere in grado di esercitarli al fine di svolgere le loro funzioni e preservare la loro autorità e la dignità del tribunale. Ogni persona interessata ad una causa, comprese le pubbliche autorità o i loro rappresentanti, deve essere sottoposta all'autorità del giudice.

7. L'indipendenza del giudice e della magistratura deve essere sancita nella costituzione o al più alto livello possibile delle fonti del diritto negli stati membri, nonché formare oggetto di disposizioni più specifiche al livello della legislazione.

8. Quando i giudici ritengono che la loro indipendenza sia minacciata devono essere in grado di poter ricorrere al consiglio superiore della magistratura o altra autorità indipendente, o devono disporre di strumenti impugnatori effettivi.

9. Una causa non può essere distolta da un giudice particolare senza giusta causa. La decisione di riassegnare un affare affidato ad un giudice deve essere assunta da un'autorità all'interno del sistema giudiziario sulla base di criteri oggettivi e predeterminati attraverso una procedura trasparente.

10. Solo gli stessi giudici devono decidere della propria potestà giurisdizionale su un determinato affare, quale definita dal diritto.

 

Capitolo II – Indipendenza esterna

 

11. L'indipendenza esterna dei giudici non è una prerogativa o un privilegio accordati nel loro interesse personale ma nell’interesse dello Stato di diritto e di ogni persona che richieda e attenda una giustizia imparziale. L'indipendenza dei giudici deve essere considerata una garanzia di libertà, di rispetto dei diritti dell’uomo e dell'applicazione imparziale del diritto. L’imparzialità e l’indipendenza dei giudici sono essenziali per garantire la parità delle parti dinanzi ai tribunali.

12. Fatto salvo il rispetto della loro indipendenza, i giudici e il sistema giudiziario devono mantenere un costruttivo rapporto professionale con le istituzioni e gli enti pubblici coinvolti nella gestione e amministrazione dei tribunali nonché con i professionisti i cui compiti sono collegati a quelli dei giudici, al fine di consentire la realizzazione di una giustizia efficace.

13. Devono essere adottate tutte le misure necessarie per rispettare, tutelare e promuovere l'indipendenza e l'imparzialità dei giudici.

14. La legge deve prevedere sanzioni nei confronti delle persone che tentino di esercitare indebita influenza sui giudici.

15. Le sentenze devono essere motivate e pronunciate pubblicamente. I giudici non devono essere obbligati a riferire in alcun altro modo circa i motivi alla base delle loro pronunce.

16. I provvedimenti dei giudici non devono essere soggetti ad alcuna revisione al di fuori delle procedure di impugnazione o riapertura del procedimento ai sensi della legge.

17. Con l'eccezione delle decisioni in materia di amnistia, grazia o misure analoghe, i poteri esecutivo e legislativo non devono assumere decisioni che invalidino pronunce giurisdizionali.

18. Se commentano le decisioni dei giudici, i poteri esecutivo e legislativo devono evitare ogni critica che possa compromettere l'indipendenza della magistratura e minare la fiducia del pubblico nella stessa. Essi devono inoltre astenersi da qualsiasi azione che possa mettere in dubbio la loro volontà di rispettare le decisioni dei giudici, diversa dall’esprimere la loro intenzione di interporre impugnazione.

19. I procedimenti giudiziari e le questioni relative all'amministrazione della giustizia sono di pubblico interesse. Il diritto all'informazione in materia deve però essere esercitato tenendo conto delle limitazioni imposte dall'indipendenza della magistratura. Deve essere incoraggiata la creazione di posti di portavoce giudiziario o di servizi stampa e comunicazione sotto la responsabilità dei tribunali o sotto il controllo dei consigli superiori della magistratura o di altre autorità indipendenti. I giudici devono dar prova di moderazione nei loro rapporti con i media.

20. I giudici, che fanno parte della società che servono, non possono rendere giustizia in modo efficace senza godere della fiducia del pubblico. Essi devono informarsi sulle aspettative della società nei confronti del sistema giudiziario nonché sulle doglianze in merito al funzionamento dello stesso. A ciò possono contribuire meccanismi permanenti per la raccolta di tali dati gestiti dai consigli superiori della magistratura o altre autorità indipendenti.

21. I giudici possono svolgere attività al di fuori delle loro funzioni ufficiali. Al fine di evitare qualsiasi conflitto di interessi, reale o percepito, la loro partecipazione deve essere limitata ad attività compatibili con la loro imparzialità e indipendenza.

 

Capitolo III - Indipendenza interna

 

22. Il principio di indipendenza della magistratura presuppone l'indipendenza del singolo giudice nell'esercizio delle sue funzioni giurisdizionali. I giudici devono assumere le loro decisioni in modo indipendente ed imparziale e devono poter agire senza alcuna restrizione, influenza indebita, pressione, minaccia o interferenza, dirette o indirette, da parte di qualsiasi autorità, comprese le stesse autorità interne alla magistratura. L'organizzazione gerarchica dei tribunali non deve compromettere l'indipendenza del singolo giudice.

23. I tribunali superiori non devono emanare istruzioni nei confronti dei giudici sul modo in cui questi ultimi devono decidere in un determinato affare, tranne che nel quadro di un rinvio pregiudiziale o nella statuizione sulle impugnazioni, nelle condizioni previste dalla legge.

24. La distribuzione degli affari all'interno di un tribunale deve seguire criteri oggettivi predeterminati, al fine di garantire il diritto a un giudice indipendente e imparziale. Non deve essere influenzata dai desideri di una parte in causa, né di qualsiasi altra persona interessata all’esito dell’affare.

25. I giudici devono essere liberi di formare ed aderire a organizzazioni professionali i cui obiettivi siano di garantire la loro indipendenza, tutelare i loro interessi e promuovere lo Stato di diritto.

 

Capitolo IV – Consigli superiori della magistratura

 

26. I consigli superiori della magistratura sono organi indipendenti, costituiti in base alla legge o alla costituzione, volti a garantire l'indipendenza della magistratura e del singolo giudice e quindi a promuovere l'efficace funzionamento del sistema giudiziario.

27. Almeno la metà dei membri di tali consigli devono essere i giudici scelti da parte dei loro colleghi di tutti i livelli del sistema giudiziario e nel rispetto del pluralismo all'interno del sistema giudiziario.

28. I consigli superiori della magistratura devono evidenziare il massimo livello di trasparenza verso i giudici e verso la società attraverso lo sviluppo di procedure prestabilite e la motivazione delle decisioni.

29. Nell'esercizio delle loro funzioni, i consigli superiori della magistratura non devono interferire con l'indipendenza del singolo giudice.

 

Capitolo V - Indipendenza, efficacia e risorse

 

30. L'efficacia dei giudici e dei sistemi giudiziari è una condizione necessaria per la tutela dei diritti di ogni persona, per il rispetto delle esigenze di cui all'articolo 6 della Convenzione, per la certezza del diritto e la fiducia del pubblico nello Stato di diritto.

31. L'efficacia sta nell’emettere decisioni di qualità entro un termine ragionevole e sulla base di un apprezzamento equo delle circostanze. Il singolo giudice è tenuto ad assicurare un trattamento efficace degli affari di cui è responsabile, compresa l'esecuzione delle decisioni quando essa è di sua competenza.

32. Spetta alle autorità responsabili per l'organizzazione e il funzionamento del sistema giudiziario creare le condizioni che consentano ai giudici di svolgere la loro missione e raggiungere l'efficacia, ferma la salvaguardia ed il rispetto per l'indipendenza e l'imparzialità dei giudici.

 

Risorse

 

33. Ogni stato deve assegnare ai tribunali risorse, strutture e attrezzature adeguate che consentano loro di operare in conformità alle esigenze di cui all'articolo 6 della Convenzione e per consentire ai giudici di lavorare in modo efficace.

34. I giudici devono disporre delle informazioni di cui hanno necessità per assumere decisioni pertinenti di carattere procedurale quando queste abbiano implicazioni in termini di spesa. Il potere di un giudice di pronunciarsi su un affare non deve essere limitato soltanto dal vincolo di fare l’uso più efficace delle risorse.

35. Ai tribunali deve essere assegnato un numero sufficiente di giudici e di personale di supporto adeguatamente qualificato.

36. Per prevenire e ridurre il carico di lavoro dei tribunali debbono essere assunte misure compatibili con l'indipendenza della magistratura al fine di attribuire compiti non giurisdizionali ad altre persone con qualifiche adeguate.

37. L'utilizzo dei sistemi elettronici di gestione dei processi e delle tecnologie informatiche e di comunicazione deve essere promosso sia dalle autorità che dai giudici e deve essere parimenti incoraggiata la loro generalizzazione nei tribunali.

38. Devono essere assunte tutte le misure necessarie per garantire la sicurezza dei giudici. Tali misure possono includere la protezione dei tribunali e dei giudici che possono essere, o sono stati, vittime di minacce o atti di violenza.

 

Risoluzione alternativa delle controversie

 

39. Deve essere promosso il ricorso ai modi alternativi di risoluzione delle controversie.

 

Amministrazione dei tribunali

 

40. I consigli superiori della magistratura, se esistenti, o altre autorità indipendenti responsabili della gestione dei tribunali, i giudici stessi e / o le organizzazioni professionali dei giudici possono essere consultati nella preparazione del bilancio della giustizia.

41. Deve essere promossa la partecipazione dei giudici all'amministrazione dei tribunali.

 

Valutazione

 

42. Per contribuire alla gestione efficace della giustizia e continuare a migliorare la sua qualità, gli stati membri possono istituire sistemi di valutazione dei giudici da parte delle autorità giudiziarie, conformemente al paragrafo 58.

 

Dimensione internazionale

 

43. Gli stati devono fornire ai tribunali i mezzi adeguati per svolgere appieno i propri compiti negli affari con elementi di internazionalità o che coinvolgano questioni di diritto straniero, nonché per promuovere la cooperazione e le relazioni tra i giudici al livello internazionale.

 

Capitolo VI - Statuto del giudice

 

Selezione e carriera

 

44. Le decisioni riguardanti la selezione e la carriera dei giudici devono essere basate su criteri oggettivi predeterminati dalla legge o dalle autorità competenti. Tali decisioni devono essere basate sul merito, tenuto conto dei titoli, delle competenze e delle capacità necessarie per decidere controversie applicando il diritto, fermo il rispetto della dignità umana.

45. Deve essere vietata ogni forma di discriminazione verso i giudici o i candidati all'ufficio di giudice basata su ragioni quali il sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, l’opinione politica o di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la disabilità, la nascita, l'orientamento sessuale o altra condizione personale. Non deve essere considerato discriminatorio il requisito che un giudice o un candidato a ufficio giudiziario sia cittadino dello stato interessato.

46. L'autorità competente per la selezione e la carriera dei giudici deve essere indipendente dai poteri esecutivo e legislativo. Per garantire la sua indipendenza, almeno la metà dei membri dell'autorità devono essere giudici scelti da parte dei loro colleghi.

47. Tuttavia, quando le disposizioni costituzionali o altre disposizioni di legge prevedono che il capo dello stato, il governo o il potere legislativo assumano decisioni in merito alla selezione e alla carriera dei giudici, deve essere riconosciuto ad un organo competente e indipendente, composto di una parte sostanziale di membri provenienti dal potere giudiziario (fatte salve le norme applicabili ai consigli superiori della magistratura di cui al capitolo IV), il potere di formulare raccomandazioni o esprimere pareri, cui l'autorità competente per la nomina secondo prassi si attenga.

48. La composizione delle autorità indipendenti di cui ai paragrafi 46 e 47 deve garantire la rappresentanza più ampia possibile. Le loro procedure devono essere trasparenti e con possibilità di accesso, per i candidati che ne fanno richiesta, alle motivazioni delle decisioni. Un candidato escluso deve aver diritto di proporre impugnazione avverso la decisione o, almeno, avverso il procedimento che ha portato ad essa.

 

Permanenza nelle funzioni e inamovibilità

 

49. La certezza di permanenza nelle funzioni e l’inamovibilità sono elementi chiave dell’indipendenza dei giudici. Di conseguenza ai giudici deve essere garantita la permanenza nelle funzioni fino al raggiungimento dell'età di pensionamento obbligatorio, se essa esiste.

50. La permanenza nelle funzioni dei giudici deve essere stabilita dalla legge. Dopo una nomina a tempo indeterminato deve potersi disporre la destituzione solo in caso di gravi infrazioni della normativa disciplinare o penale stabilite dalla legge, o laddove il giudice non possa più esercitare le sue funzioni giurisdizionali. Deve essere consentito il pensionamento anticipato solo su richiesta del giudice interessato o per ragioni mediche.

51. Quando il reclutamento preveda un periodo di prova o una nomina a termine, la decisione sulla conferma o sul rinnovo della nomina deve essere effettuata esclusivamente in conformità al paragrafo 44 per garantire il pieno rispetto dell'indipendenza della magistratura.

52. Un giudice non deve ricevere un nuovo incarico o essere assegnato ad altre funzioni giudiziarie senza il suo consenso, salvo nei casi di sanzione disciplinare o di riforma organizzativa del sistema giudiziario.

 

Remunerazione

 

53. Le regole fondamentali in tema di remunerazione dei giudici professionali devono essere stabilite per legge.

54. La retribuzione dei giudici deve essere commisurata al loro ruolo professionale e alle loro responsabilità, ed essere di livello sufficiente a renderli immuni da qualsiasi pressione volta ad influenzare le loro decisioni. Deve essere garantito il mantenimento di una remunerazione ragionevole in caso di malattia, di congedo per maternità o paternità, nonché il pagamento di una pensione per il collocamento a riposo il cui livello deve essere ragionevolmente rapportato alla retribuzione dei giudici in servizio. Devono essere adottate specifiche disposizioni di legge per garantire che non possa essere disposta una riduzione delle retribuzioni rivolta specificamente ai giudici.

55. Devono essere evitati sistemi che facciano dipendere dalle prestazioni gli elementi essenziali della retribuzione, in quanto essi possono creare difficoltà all'indipendenza dei giudici.

 

Formazione

 

56. Deve essere erogata ai giudici una formazione teorica e pratica, iniziale e permanente, integralmente a carico dello stato. Essa deve ricomprendere la trattazione delle questioni economiche, sociali e culturali relative all'esercizio delle funzioni giudiziarie. L'intensità e la durata di tale formazione devono essere determinate in base alle precedenti esperienze professionali.

57. Un'autorità indipendente deve garantire, nel pieno rispetto della autonomia didattica, che i programmi di formazione iniziale e permanente soddisfino i requisiti di apertura, competenza professionale e imparzialità connaturali alla funzione giurisdizionale.

 

Valutazione

 

58. Ove le autorità giudiziarie istituiscano sistemi di valutazione dei giudici, questi devono essere basati su criteri oggettivi. Tali criteri devono essere resi pubblici dalla competente autorità giudiziaria. La procedura deve consentire ai giudici di esprimere il proprio punto di vista sulle loro attività e sulla valutazione delle attività stesse, nonché di impugnare la valutazione dinanzi ad un'autorità indipendente o un tribunale.

 

Capitolo VII - Doveri e responsabilità

 

Doveri

 

59. I giudici devono tutelare i diritti e le libertà di tutte le persone in uguaglianza, rispettando la loro dignità nello svolgimento dei procedimenti giudiziari.

60. I giudici devono agire in tutti i casi in maniera indipendente e imparziale, assicurando che sia data equa udienza a tutte le parti e, se del caso, illustrando le questioni procedurali. I giudici devono agire, ed apparire agire, liberi da qualsiasi influenza esterna indebita sui procedimenti giudiziari.

61. I giudici devono decidere sugli affari loro affidati. Essi devono astenersi dal giudicare o rifiutare di pronunciare se sussistano valide ragioni stabilite per legge, e solo in tal caso.

62. I giudici devono trattare ogni causa con diligenza ed entro un termine ragionevole.

63. I giudici devono motivare le sentenze in linguaggio che sia chiaro e comprensibile.

64. I giudici devono, ove opportuno, incoraggiare le parti a raggiungere una composizione amichevole.

65. I giudici devono aggiornarsi con regolarità e ampliare il proprio bagaglio professionale.

 

Responsabilità e procedimenti disciplinari

 

66. L'interpretazione della legge, l’apprezzamento dei fatti o la valutazione delle prove effettuate dai giudici per deliberare su affari giudiziari non deve fondare responsabilità disciplinare o civile, tranne che nei casi di dolo e colpa grave.

67. Soltanto lo stato, ove abbia dovuto concedere una riparazione, può richiedere l’accertamento di una responsabilità civile del giudice attraverso un’azione innanzi ad un tribunale.

68. L'interpretazione della legge, l’apprezzamento dei fatti o la valutazione delle prove effettuate dai giudici per deliberare su affari giudiziari non devono fondare responsabilità penale, tranne che nei casi di dolo.

69. Può essere promosso procedimento disciplinare nei confronti dei giudici che non ottemperano ai loro doveri in modo efficace e adeguato. Tale procedimento deve svolgersi da parte di un'autorità indipendente o di un tribunale con tutte le garanzie dell’equo processo e deve garantire al giudice il diritto di impugnare la decisione e la sanzione. Le sanzioni disciplinari devono essere proporzionate.

70. I giudici non devono essere personalmente responsabili se una decisione è riformata in tutto o in parte a seguito di impugnazione.

71. Al di fuori dell'esercizio delle funzioni giudiziarie, i giudici rispondono in sede civile, penale e amministrativa come qualsiasi altro cittadino.

 

Capitolo VIII – Deontologia giudiziaria

 

72. Nella loro attività i giudici devono essere guidati da principi deontologici di condotta professionale. Tali principi non solo ricomprendono doveri suscettibili di sanzione disciplinare, ma forniscono anche indicazioni ai giudici sul come comportarsi.

73. Tali principi devono essere sanciti in codici di etica giudiziaria che debbono ispirare pubblica fiducia nei giudici e nella magistratura. I giudici devono assumere il ruolo principale nella preparazione di tali codici.

74. I giudici devono poter richiedere pareri su temi deontologici ad un organo nell’ambito della magistratura.

 

 


 

 



[1]     Legge 13 aprile 1988, n. 117, Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati.

[2]     Con la richiesta del 1995 si mirava all’abolizione delle disposizioni che consentono di chiedere i danni esclusivamente allo Stato e non direttamente al magistrato responsabile; la Corte costituzionale si è pronunciata con la sentenza n. 34 del 1997. Analogamente, sulla richiesta del 1999 si è pronunciata la Corte costituzionale con la sentenza n. 38 del 2000.

[3]     Secondo la relazione illustrativa, l’art. 113-bis afferma per la prima volta, nella Costituzione, il principio della responsabilità professionale del magistrato, destinato a completare il nuovo assetto della magistratura in cui l'autonomia e l'indipendenza devono trovare un necessario bilanciamento nella efficienza e responsabilità. Con riferimento al primo comma, la relazione illustrativa sottolinea  che «si prevede un'unica disciplina comune per tutti gli impiegati civili dello Stato: il magistrato dovrà, infatti, rispondere degli atti compiuti in violazione dei diritti, che cagionino un danno ingiusto al pari degli altri funzionari dello Stato».

[4]     Sul tema della responsabilità civile dei magistrati si vedano in particolare le audizioni di Valerio Onida e Alntonio D’Aloja (1° giugno 2011), di Vladimiro Zagrebelsky (6 giugno 2011), di Giovanni Maria Flick (10 giugno 2011), di Ernesto Lupo e di Michele Vietti  (13 giugno 2011).

[5]     RIGHETTI E., La responsabilità civile del giudice nel diritto francese in "Rivista di diritto processuale", 1991, n. 1, pp. 178-224; JOLY-HURARD J., La responsabilité civile, pénale et disciplinaire des magistrats, in "Revue internationale de droit comparé", n. 2006, n. 2, pp. 439-475; CANIVET G., JOLY-HURARD J., La responsabilité des juges, ici et ailleurs in "Revue internationale de droit comparé", 2006, n. 4, pp. 1049-1093; GUINCHARD S., Les responsabilités encourues pour dysfonctionnement du service public de la justice civile in “Petites Affiches”, luglio 2007, pp. 12-24.

[6]     Sebbene il concetto di “colpa grave” non sia definito a livello normativo, è più volte intervenuta la giurisprudenza a precisarne il contenuto: cfr. JOLY-HURARD J., op. cit., pp. 446 ss.

[7]     Nonostante la riduzione della responsabilità per faute de service soltanto a queste due ipotesi, la giurisprudenza ne ha ammorbidito l’applicazione estendendo, ad esempio, la responsabilità dello Stato anche a casi dove la mancanza di servizio si estrinsecava nella “lentezza del giudizio”, assimilata al “diniego di giustizia”.

[8]     Fino ad ora questo terzo regime si è sempre identificato con la prise à partie, dal momento che le leggi speciali previste dal Codice non sono mai state emanate.

[9]     Secondo la dottrina affermata, il danno derivante dal comportamento lesivo viziato da colpa grave o diniego di giustizia deve essere certo, personale, diretto e lesivo di un “intérêt légitime juridiquement protégé”. DE VITA A., La responsabilità civile del giudice e dello Stato come problema nel diritto francese (note comparative)(in "Il Foro italiano", 1979, fasc. 9, pp. 181-239, pt. 5).

[10]   L’eventuale atto o comportamento illecito “esclusivamente personale”, compiuto dal magistrato senza alcun collegamento con il servizio pubblico della giustizia, rientra invece nel campo d’applicazione delle disposizioni di diritto comune in materia di responsabilità civile (Code civil, artt. 1382 e 1383) in quanto il magistrato, in questo caso, sarebbe perseguito non come agente pubblico ma come un cittadino ordinario.

[11]   L’azione è esercitata davanti a una sezione civile (Chambre civile) della Cassazione.

[12]   L’ art. 839 del Codice civile tedesco (Responsabilità per violazione dei doveri d’ufficio) recita:

      (1) Se un funzionario viola dolosamente o colposamente i doveri d’ufficio che incombono su di lui nei confronti di un terzo, deve risarcire al terzo il danno da ciò derivante. Se al funzionario è imputabile solo negligenza, nei suoi confronti possono essere avanzate pretese solo se il soggetto leso non possa ottenere risarcimento in altro modo.

      (2) Se un funzionario viola il suo dovere d’ufficio nella decisione di una vertenza, è responsabile del danno da ciò derivante solo se la violazione del dovere consiste in un reato. Questa disposizione non trova applicazione ad un diniego contrario al proprio dovere o ad un ritardo dell’esercizio dell’ufficio.

      (3) L’obbligo di risarcimento non sorge se il soggetto leso dolosamente o colposamente ha omesso di impedire il danno mediante l’impiego di mezzi legali.

[13]   L’articolo 34 della Grundgesetz recita: “Se taluno, nell'esercizio di un ufficio pubblico affidatogli, viene meno al suo dovere d'ufficio nei riguardi di un terzo, la responsabilità, per principio, ricade sullo Stato o sull'ente in cui egli presta servizio. In caso di dolo o di colpa grave può essere fatto valere il diritto di rivalsa. Per quanto concerne il diritto al risarcimento dei danni e il diritto di rivalsa non può mai essere esclusa l'azione di fronte alla giurisdizione ordinaria”.

[14]   I profili della accountability dei magistrati, precisati alla luce della riforma costituzionale del 2005, sono esposti nella guida The Accountabilityof the Judiciary, predisposta dal Lord Chief Justice nell’ottobre 2007.

[15]   La Legge organica 6/1985 è consultabile al seguente link: http://noticias.juridicas.com/base_datos/Admin/lo6-1985.html.

[16]   La Legge 1/2000 è consultabile al seguente link: http://noticias.juridicas.com/base_datos/Privado/l1-2000.l2t1.html.

[17] Tale Sala è composta dal Presidente del Tribunale supremo, dai Presidenti di Sala e dal magistrato più anziano e più giovane di ciascuna di esse.

[18] Il Tribunale supremo ha cinque Salas, rispettivamente competenti in materia: civile, penale, contenzioso-amministrativa, sociale (del lavoro) e militare.

[19]   Versione non ufficiale in lingua italiana, condotta sugli originali inglese e francese, a cura del dott. Raffaele Sabato, Past President e componente dell’Ufficio direttivo del Consiglio Consultivo dei Giudici Europei (CCJE). Si autorizza la riproduzione ai sensi della licenza di cui in appresso, in particolare sotto condizione di menzione del traduttore, della non ufficialità della traduzione e della integralità e non rielaborazione, neanche per estratto, della riproduzione stessa, comprensiva di tutti gli articoli e della presente nota (Napoli, 22.11.2010).