Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento giustizia | ||||
Titolo: | Modifiche al testo unico stupefacenti - A.C. 1203 | ||||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 42 | ||||
Data: | 03/07/2013 | ||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni |
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Modifiche al testo unico stupefacenti
3 luglio 2013
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Introduzione
La proposta di legge – composta da 3 articoli - è diretta a modificare il Testo Unico (TU) sugli stupefacenti (DPR 309/1990), con la finalità di mitigare gli effetti della c.d. legge "Fini-Giovanardi" (legge n. 49 del 2006). In particolare, la proposta interviene sull'art. 73 del Testo unico , attenuando le pene per alcuni illeciti aventi ad oggetto hashish e marijuana, anche in relazione all'uso personale (artt. 1 e 2). Una ulteriore modifica riguarda l'art. 75 del Testo unico, relativo a comportamenti che costituiscono illeciti amministrativi (art. 3). |
Quadro normativoCon il D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) fu introdotto nell'ordinamento il principio generale del divieto dell'uso personale di sostanze stupefacenti (art. 72, comma 1). Dopo l'abrogazione di tale divieto, a seguito del referendum del 18-19 aprile 1993, la legge "Fini-Giovanardi" (legge n. 49 del 2006, di conversione del DL 272/2005) ha soppresso la distinzione tabellare fra droghe leggere e droghe pesanti e ha introdotto un'unica tabella delle sostanze stupefacenti; la contestuale detenzione di sostanze stupefacenti di tipo e natura diversi integra, quindi, un'unica fattispecie penale, sanzionata dall'art. 73 del DPR 309/1990 (Cassazione penale, sez. IV, sentenza 17 giugno 2011, n. 33448).
La Corte costituzionale dovrà decidere sulla legittimità delle norme della legge 49/2006 (di conversione del DL 272/2005), che ha equiparato le droghe pesanti a quelle leggere. La Corte di cassazione, con ordinanza 11 giugno 2013, n. 25554, ha infatti sollevato la questione di legittimità costituzionale sotto «il profilo dell'estraneità delle nuove norme inserite nella legge di conversione all'oggetto, alla finalità, alla ratio dell'originale contenuto del decreto-legge». In via subordinata, la Cassazione chiede alla Consulta la valutazione del profilo della "evidente carenza del presupposto del caso straordinario di necessità e urgenza" relativo ai decreti-legge. La questione proposta si aggiunge ad altra sollevata recentemente dalla Corte d'Appello di Roma, che aveva formulato - tra l'altro - analoghe censure (Corte d'appello di Roma, Sez. III, ord. 28 gennaio 2013).
L'attuale disciplina repressiva in materia di stupefacenti contenuta nel TU del 1990 si basa sui seguenti principi base:
Il citato art. 73, comma 1, del DPR 309/1990 punisce con la reclusione da 6 a 20 anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000 chiunque, senza l'autorizzazione del Ministero della sanità, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall'articolo 14 dello stesso DPR.
Nella tabella I sono indicati:
Dalla cannabis indica (canapa indiana) sono prodotti sia l'hashish che la marijuana.
Il comma 1-bis dell'art. 73 punisce con le medesime pene chiunque, senza l'indicata autorizzazione, importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque illecitamente detiene: a) sostanze stupefacenti o psicotrope che per quantità, in particolare se superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministro della salute (emanato di concerto con il Ministro della giustizia sentita la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento nazionale per le politiche antidroga, v. DM Salute 11 aprile 2006), ovvero per modalità di presentazione, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato, ovvero per altre circostanze dell'azione, appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale;
Con il decreto del Ministero della Salute dell'11 aprile 2006 si è provveduto alla determinazione dei limiti quantitativi massimi relativi alle sostanze stupefacenti incluse nella Tabella I prevista dall'articolo 73 del Testo unico approvato con D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, come modificato dalla legge 49/2006, di conversione del D.L. 272/2005. La quantità massima detenibile (soglia) in mg, è ottenuta moltiplicando la dose media singola, vale a dire la quantità di principio attivo per singola assunzione idonea a produrre in un soggetto tollerante e dipendente un effetto stupefacente, per un moltiplicatore variabile in relazione alle caratteristiche di ciascuna sostanza, con particolare riferimento al potere di indurre alterazioni comportamentali e scadimento delle capacità psicomotorie. Per quanto riguarda i preparati attivi della Cannabis (hashish, marijuana, olio, resina, foglie e infiorescenze) si fa riferimento alla quantità di principio attivo contenuta - il delta 8-Tetraidrocannabinolo e il delta 9-Tetraidrocannabinolo - per una dose media singola pari a 25 mg da moltiplicarsi per 20 con un valore soglia pari a mg 500 (essendo stato il D.M. 4 agosto 2006, che aveva portato a mg 1.000 tale soglia, annullato dal Tar del Lazio con sentenza n. 2487 del 2007).
b) medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope elencate nella tabella II, sezione A, che eccedono il quantitativo prescritto. In questa ultima ipotesi, le pene suddette sono diminuite da un terzo alla metà.
Il caso maggiormente frequente di applicazione dell'art. 73 del DPR n 309/1990 è quello relativo alla fattispecie di cui al comma 1-bis, che comporta la sanzionabilità della detenzione di stupefacenti a fini di spaccio, fattispecie su cui si è formata una nutrita e non sempre univoca giurisprudenza. A tal fine, sono individuati nel comma 1-bis alcuni criteri rivelatori della finalità criminosa ovvero:
Data la severità della pena applicabile in entrambe le ipotesi di cui all'art. 73 (comma 1 e 1-bis) - reclusione da 6 a 20 anni - particolare importanza assume la verifica della possibile applicazione dell'attenuante di cui al comma 5 del medesimo articolo 73, che riconduce i limiti di pena all'interno della cornice edittale da 1 a 6 anni. Il comma 5 stabilisce, infatti, tale riduzione di pena «quando, per i mezzi, per la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, i fatti previsti dal presente articolo sono di lieve entità». In considerazione della possibile aggravante prevista dall'art. 80 TU (aumento della pena dalla metà a due terzi, se il fatto riguarda quantità ingenti di sostanze illecite), il quantitativo della sostanza stupefacente detenuto ha un rilievo particolarmente significativo, in quanto può determinare l'oscillazione della pena da un minimo di un anno ad un massimo di oltre 30 anni di reclusione.
La giurisprudenza, a più riprese, si è occupata di stabilire il quantitativo di sostanza stupefacente necessario e sufficiente ai fini della prova della sussistenza del reato (cioè dell'esclusione o meno dell'uso personale), nonché ai fini della ricorrenza dell'attenuante della lieve entità di cui al comma 5 dell'art. 73 TU. Con riferimento all'integrazione del fatto di reato e all'attenuante, la giurisprudenza ha osservato come il dato relativo al peso della sostanza stupefacente detenuta non sia di per sé decisivo, nel senso che le modalità dell'azione potranno orientare diversi criteri di valutazione del fatto. Così, si è ritenuta compatibile con un uso personale anche la detenzione di una quantità rilevante di sostanza stupefacente in mancanza di ulteriori elementi a supporto della tesi opposta ed in considerazione di peculiari caratteristiche dell'imputato; al contrario, la detenzione occasionale di un quantitativo minimo di sostanza stupefacente, in presenza di una serie di circostanze del fatto che depongano per la sussistenza di un'attività organizzata e finalizzata allo spaccio, potrebbe non essere giudicata compatibile con l'applicazione dell'attenuante della lieve entità. | La legge Fini-GiovanardiArt. 73, comma 1, TU Art. 73, comma 1-bis, TU Art. 73, comma 5, TU |
Giurisprudenza della Cassazione penaleDi seguito è riportata una sintetica rassegna della più recente giurisprudenza della Corte di cassazione sulla valutazione dell'uso personale e sull'applicazione dell'attenuante della "lieve entità".
Sez. IV, sent. 4 maggio 2011 n. 21799 ha ritenuto che l'indagine ricostruttiva del giudice non può mancare di attribuire forte rilievo al dato ponderale e al numero di dosi ricavabili, giacché, di fronte a quantitativi di rilievo, la destinazione a uso personale può essere ritenuta solo quando si sia in presenza di emergenze probatorie che spieghino in modo concludente le ragioni per cui l'agente si sia indotto a detenere, per uso personale, stupefacente che eccede i bisogni di un breve arco temporale.
Sez. VI, sent. 26 ottobre 2011 n. 5000 ha, tuttavia, precisato che il mero dato quantitativo del superamento dei limiti tabellari previsti dall'art. 73, comma 1 bis, lett. a), d.P.R. n. 309 del 1990, non vale ad invertire l'onere della prova a carico dell'imputato, ovvero ad introdurre una sorta di presunzione, sia pure relativa, in ordine alla destinazione della sostanza ad un uso non esclusivamente personale. In questi casi, il giudice deve valutare globalmente, sulla base degli ulteriori parametri indicati nella predetta disposizione normativa, se le modalità di presentazione e le altre circostanze dell'azione siano tali da escludere una finalità esclusivamente personale della detenzione.
Analogamente, Sez. V, sent. n. 34578 dell'11 settembre 2012, ha ritenuto che il superamento dei limiti massimi indicati nel decreto ministeriale cui fa riferimento l'art. 73, comma 1 bis, lett. a), d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 non costituisce una presunzione assoluta in ordine alla condotta di "spaccio" del detentore, ma occorre valutare anche altre circostanze che siano indicative di un uso non esclusivamente personale dello stupefacente detenuto, giacché tale superamento non vale a invertire l'onere della prova - che è a carico dell'accusa - in ordine alla destinazione della sostanza stupefacente a un uso non esclusivamente personale: in questa prospettiva, pur a fronte del superamento dei limiti tabellari, il giudice deve valutare globalmente, sulla base degli ulteriori parametri indicati nella norma, se le "modalità di presentazione" e le "altre circostanze dell'azione" siano tali da escludere una finalità esclusivamente personale della detenzione.
Sez. VI, sent. 25 gennaio 2011 n. 4613 ha affermato, nell'opposta ipotesi, che, la detenzione di quantità di stupefacenti inferiori ai limiti indicati nel DM richiamato dall'art. 73, comma 1 bis, lett. a), del D.P.R. n. 309 del 1990, non costituisce un dato di per sé decisivo ai fini dell'esclusione della rilevanza penale della condotta, in quanto il superamento del limite ivi fissato rappresenta solo uno dei parametri normativi rilevanti ai fini dell'affermazione della responsabilità e l'esclusione della destinazione della droga ad un uso strettamente personale ben può essere ritenuta dal giudice anche in forza di ulteriori circostanze dell'azione, alcune delle quali sono espressamente tipizzate nella disposizione normativa sopra citata.
Sez. VI, sent. 26 ottobre 2011 n. 40668, in relazione alla valutazione di cui all'art. 73, comma 1-bis, del TU del 1990 ha ritenuto che la divisione in dosi di uno stupefacente non è sufficiente per affermare che la sostanza sia destinata allo spaccio; i parametri utili per apprezzare la destinazione all'uso non esclusivamente personale sono da valutare nel caso concreto.
Sez. IV, sent. 14 marzo 2012, n. 15445 ha ritenuto che la valutazione in ordine alla destinazione della droga (ovvero spaccio o uso personale) va effettuata dal giudice di merito, ogniqualvolta la condotta non appaia indicativa dell'immediatezza del consumo, tenendo conto di tutte le circostanze oggettive e soggettive del fatto e, in particolare, dei parametri indicati nell'art. 73 comma 1 bis, lett. a), d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 ("quantità", "modalità di presentazione", "altre circostanze dell'azione"), che appunto costituiscono criteri probatori idonei a orientare la valutazione del giudice in ordine alla dimostrazione della destinazione "a un uso non esclusivamente personale", tale da integrare l'illecito penale.
Sez. VI, sent. n. 21962 del 17 maggio-2003 ha affermato che per l'applicazione dell'attenuante della lieve entità del fatto prevista dal comma 5 dell'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990, il dato ponderale della sostanza detenuta assume valore preclusivo solo quando esso è preponderante; mentre, qualora tale dato non sia rilevante, assumono valore i parametri sussidiari previsti dalla norma e relativi ai mezzi, alle modalità e dalle circostanze dell'azione.
Per Sez. VI, Sent. n. 27052 del 14 aprile 2008 in materia di sostanze stupefacenti, la circostanza attenuante speciale prevista dall'art. 73, comma quinto, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n 309, trova applicazione quando la fattispecie concreta risulti di trascurabile offensività, sia per l'oggetto materiale del reato, in relazione alle caratteristiche qualitative e quantitative della sostanza, sia per la condotta, riferibile ai mezzi, alle modalità e alle circostanze della stessa, dovendosi conseguentemente escludere l'ipotesi del fatto di lieve entità in presenza del vaglio negativo anche di uno solo dei parametri di riferimento individuati dalla legge. (Fattispecie in cui il diniego dell'attenuante è stato riferito al carattere frequente e sistematico della condotta di commercializzazione, ritenuta sintomo di una non trascurabile potenzialità diffusiva dell'attività di spaccio).
Sez. VI, Sent. n. 39931 del 16 ottobre 2008 ha opinato che la circostanza attenuante del fatto di lieve entità non può trovare applicazione, pur in assenza di altri elementi impeditivi, se il quantitativo di sostanza supera un ragionevole limite, tale da configurare pericolo di accumulo della sostanza.
Sez. IV, Sent. n. 22643 del 21maggio 2008 ha ritenuto che, in tema di sostanze stupefacenti, ai fini della sussistenza della circostanza attenuante del "fatto di lieve entità" è possibile attribuire rilievo non soltanto alla maggiore o minore purezza della sostanza, ma anche alla natura della stessa (in quanto il D.M. 11 aprile 2006, nel fissare la "quantità massima detenibile" di droga, ha fatto ricorso per le principali sostanze ad un "moltiplicatore variabile" della "dose media singola", determinato, per le sostanze ritenute meno pericolose, in termini più ampi), sempre che non risultino ostativi gli altri parametri indicati nell'art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del 1990.
Per Sez. IV, sent. n. 34331 del 3 giugno 2009, l'attenuante di cui al comma 5 dell'art. 73 TU non è applicabile quando la quantità di sostanza si riveli considerevole, trattandosi di sintomo sicuro di una notevole potenzialità offensiva del fatto e di diffusività della condotta di spaccio.
Sez. VI, sent. n. 42112 del 14 ottobre 2009 ha affermato che, in materia di stupefacenti, ai fini della configurabilità dell'attenuante di cui all'art. 73, comma quinto, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non hanno alcun valore preclusivo i precedenti specifici del soggetto attivo, risultando gli stessi estranei agli elementi di valutazione previsti dalla predetta disposizione normativa.
Sez. IV, sent. n. 31663 del 27 maggio 2010 ha ritenuto che la circostanza attenuante del fatto di lieve entità, nei reati concernenti le sostanze stupefacenti, è esclusa nel caso in cui il dato ponderale e qualitativo della sostanza superi una soglia ragionevole di valore economico, non rilevando in senso contrario eventuali circostanze favorevoli all'imputato.
Sez. VI, sent. n. 16154 del 2 febbraio 2011 ha affermato che l'accertamento del principio attivo contenuto nella sostanza in sequestro è sempre necessario, anche quando venga riconosciuta l'attenuante del fatto di lieve entità (nello stesso senso, Sez. VI, sent. n. 16154 del 02-02-2011).
Secondo Sez. IV, sent. 22 dicembre 2011 n. 6732, ai fini della concedibilità o del diniego della circostanza attenuante del fatto di lieve entità di cui all'art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del 1990, il giudice è tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi normativamente indicati, quindi, sia quelli concernenti l'azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all'oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendo conseguentemente escludere il riconoscimento dell'attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di 'lieve entità (analogamente, Cassazione, IV sez. sent. 12 novembre 2010, n. 43399).
Premesso il generale divieto di coltivazione non autorizzata di stupefacenti previsto dall'art. 26 del TU, sanzionato ex art. 73, primo comma, la giurisprudenza di legittimità ha costantemente ritenuto che tale ipotesi integrasse un reato di pericolo astratto per la cui configurabilità non rilevano la quantità e qualità delle piante, la loro effettiva tossicità o la quantità di sostanze drogante da esse estraibile, trattandosi di fattispecie volta a vietare la produzione di specie vegetali idonee a produrre l'agente psicotropo, indipendentemente dal principio attivo estraibile (Cassazione, Sez. IV, sentenza 46229 del 2004).
Sez. VI, sent. n. 3895 del 1 febbraio 2002, ha ritenuto che, a fini della sussistenza del delitto di coltivazione di piante da stupefacenti (art. 26 del D.P.R. n. 309 del 1990) non rileva il grado di maturazione raggiunto dalla pianta né il livello di concentrazione del principio attivo (THC), ma il tipo di vegetale coltivato, ferma restando la necessità dell'idoneità della coltivazione a produrre sostanze droganti, per escludere la quale non è sufficiente il richiamo al fatto notorio relativo alle condizioni climatiche.
Sez. VI, Sent. n. 12328 del 24 gennaio 2007 ha ritenuto che, ai fini della sussistenza del reato di coltivazione di piante da stupefacente, la modesta quantità di principio attivo ottenibile non assume rilievo, posto che in detta ipotesi deve escludersi la riconducibilità della condotta ad un utilizzo meramente personale; nè può invocarsi l'applicazione dell'art. 49 cod. pen. (sotto il profilo del reato impossibile), in quanto la modesta entità del principio attivo assume rilevanza esclusivamente ai fini della graduazione di gravità della condotta antigiuridica.
Per Sez. VI, Sent. n. 20426 del 15 febbraio 2007, ai fini della declaratoria di responsabilità penale per la coltivazione di piante da cui possono ricavarsi sostanze stupefacenti, è irrilevante la destinazione ad uso personale del prodotto della coltivazione.
Recentemente, anche a causa del contrasto interpretativo tra le diverse sezioni, Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 28605 del 10 luglio 2008 ha esplicitato un principio di diritto sulla base della confermata premessa secondo cui «costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale». Le Sezioni Unite hanno affermato nella sentenza che la condotta di coltivazione appare punibile sin dal momento di messa a dimora dei semi, siccome "…si caratterizza, rispetto agli altri delitti in materia di stupefacenti, quale fattispecie contraddistinta da una notevole "anticipazione" della tutela penale e dalla valutazione di un "pericolo del pericolo", cioè del pericolo, derivante dal possibile esito positivo della condotta, della messa in pericolo degli interessi tutelati dalla normativa in materia di stupefacenti".
La Corte ha, tuttavia, chiarito che spetta al giudice, in ossequio al principio di offensività inteso nella sua accezione concreta, "verificare se la condotta, di volta in volta contestata all'agente ed accertata, sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico protetto". Le Sezioni Unite hanno quindi ritenuto che la condotta in oggetto è "inoffensiva" soltanto "se la sostanza ricavabile dalla coltivazione non è idonea a produrre un effetto stupefacente in concreto rilevabile". Sarà, quindi, il giudice a dovere verificare la reale "pericolosità" della coltivazione sulla base dell'"idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile" (in identico senso, Cass., Sez. IV, sent. 1222 del 2009 e Cass., sez. IV, 17 febbraio 2011 n. 25674). | Uso personaleLieve entità Coltivazione non autorizzata |
StatisticheA fini conoscitivi, viene di seguito proposta la tabella fornita dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, relativa alla serie storica dei detenuti presenti in carcere (1993-2012) che, oltre al totale generale delle presenze, reca i dati numerici sulle presenze dei tossicodipendenti e dei detenuti ristretti per reati di cui all'art. 73 del TU 309/1990.
NB: La notevole diminuzione delle presenze del 2007 e del 2008 è dovuta agli effetti dell'indulto concesso con legge 31 luglio 2006, n. 241.
Ulteriori approfondimenti statistici sulla nazionalità e l'età dei detenuti per il delitto di cui all'art. 73 del TU sono contenuti nell'ultima relazione sullo stato delle tossicodipendenze in Italia, aggiornata al primo semestre 2012 (DOC XXX, n. 5), nella quale si sottolinea, tra l'altro, che il numero dei soggetti con procedimenti pendenti per violazione dell'art. 73 del TU è in crescita nel periodo 2005-2008 (da 141.580 a 184.565); nel periodo successivo si registra un lieve decremento (175.850 soggetti nel secondo semestre 2011). Inoltre, l'attesa di primo giudizio risulta la posizione giuridica prevalente sia per reati commessi in violazione dell'art. 73 che dell'art. 74, ma con valori superiori in corrispondenza del reato più grave (57,1% dell'art. 73 rispetto al 69,2% dell'art. 74); situazione analoga è riscontrabile anche nella percentuale di soggetti con provvedimento giuridico definitivo, seppur carattrizzata da una minor differenza percentuale tra l'art. 73 e 74, rispettivamente pari al 16,2% e 16,9%». Quanto agli ingressi negli istituti penali per minorenni, la relazione evidenzia che i minori che hanno violato l'art. 73 del DPR 309/90 sono stati 110 del 2010 e 164 nel 2011. | Presenze in carcereDOC XXX, n. 5 |
ContenutoI tre articoli della proposta di legge intervengono sul Testo Unico sugli stupefacenti (DPR 309/1990) attenuando le sanzioni introdotte dalla cd. legge "Fini-Giovanardi" (legge n. 49 del 2006, di conversione del decreto-legge n. 272 del 2005). Come accennato nella relazione illustrativa, con tale disciplina «è stato equiparato il trattamento sanzionatorio per le ipotesi illecite penalmente rilevanti, a prescindere dalla tipologia di stupefacente, fatto che, anche alla luce dei risultati conseguiti, appare privo di qualunque motivazione razionale».
In particolare, l'articolo 1 della proposta di legge integra la formulazione del comma 1 dell'art. 73 del TU del 1990. Come detto, tale disposizione punisce attualmente con la reclusione da 6 a 20 anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000 chiunque, senza l'autorizzazione del Ministero della sanità, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo una delle sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall'articolo 14 (oppiacei, cocaina, anfetamine, cannabis indica, ecc.)
Una prima modifica (comma 1, lett. a) stabilisce che, quando gli illeciti riguardano le sostanze di cui all'art. 14, comma 1, lett. a), n. 6), - ovvero la "cannabis indica" e i suoi derivati (i prodotti da essa ottenuti; i tetraidrocannabinoli, i loro analoghi naturali, le sostanze ottenute per sintesi o semisintesi che siano ad essi riconducibili per struttura chimica o per effetto farmaco-tossicologico) - i limiti edittali minimi e massimi della reclusione, sono ridotti, rispettivamente, a 1 e 3 anni e la multa è fissata fino ad un massimo di 20.00 euro (l'entità minima della multa è pari a 50 euro, ai sensi dell'art. 24 c.p.). Rilevante conseguenza procedurale dell'abbassamento del limite di pena è, in relazione a tali illeciti, l'inapplicabilità della custodia cautelare in carcere (che l'art. 280 c.cp. prevede in riferimento a delitti puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a 4 anni); ciò nel presupposto che con la nuova formulazione adottata si intenda individuare un'autonoma fattispecie di reato e non una circostanza attenuante della fattispecie esistente. Rimane, invece, possibile l'uso di intercettazioni telefoniche. Si ricorda, infatti, che l'art. 266, primo comma, lett. c), consente l'intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altra forme di telecomunicazione nei procedimenti relativi ai «delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope».
Una ulteriore modifica (comma 1, lett. b) introdotta dall'articolo 1 in esame aggiunge un comma 3-bis allo stesso art. 73 TU, che esclude il rilievo penale con riguardo:
Appare utile valutare se l'espressione "destinazione al consumo immediato" possa favorire un'interpretazione univoca, dal momento che la finalità o destinazione della cessione non sono sempre desumibili. Inoltre, il nuovo comma 3-bis, riferendosi genericamente a "piccoli quantitativi" di stupefacente, pare introdurre un ulteriore elemento di valutazione discrezionale in ordine alla sussistenza o meno della stessa scriminante. Sul punto potrà essere utile tenere conto delle varie interpretazioni giurisprudenziali, ad esempio con riguardo alla determinazione della "lieve entità" dei fatti (art. 73, comma 5, TU) o, specularmente, alla "ingente quantità" di stupefacenti (art. 80, comma 2, TU). Lo stesso articolo 1 (comma 1, lett. c) abroga il comma 5 dell'art. 73 TU. Come già evidenziato, il comma 5 prevede l'attenuante della "lieve entità" in relazione alla commissione degli illeciti di cui al comma 1 dello stesso art. 73 (il comma 5 prevede che quando, per i mezzi, per la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, i fatti previsti dal presente articolo sono di lieve entità, si applicano le pene della reclusione da uno a sei anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000). L'abrogazione va letta in correlazione al contenuto dell'articolo 2 della proposta di legge che rende reato autonomo l'illecito di lieve entità.
L'articolo 2 della p.d.l., infatti, aggiunge al DPR 309/1990 un nuovo art. 73-bis con il quale è prevista l'applicazione di pene ridotte (reclusione da 3 mesi a 3 anni e multa da 3.000 a 10.000 euro) rispetto a quelle attualmente stabilite dall'attenuante quando per i mezzi, le modalità, ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, le attività illecite di cui all'art. 73 siano di lieve entità (comma 1). Lo stesso art. 73-bis prevede pene ulteriormente ridotte quando gli illeciti abbiano ad oggetto la "cannabis indica"; in tal caso, infatti, la sanzione è la reclusione da 1 mese ad 1 anno e la multa fino a 2.000 euro (comma 2).
L'articolo 3 dell'AC. 1203, infine, interviene sull'art. 75 del DPR 309/1990 che prevede una serie di condotte collegate alla detenzione di stupefacenti che integrano illeciti di natura amministrativa. L'art. 75 TU prevede che chiunque illecitamente importa, esporta, acquista, coltiva, riceve a qualsiasi titolo o comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope per uso personale è sanzionato in via amministrativa dal Prefetto, per un periodo non inferiore a 1 mese e non superiore a 1 anno: con la sospensione o il divieto di ottenere uno o più documenti fra patente auto e moto, patentino di guida ciclomotori (in tali casi fino a 3 anni), porto d'armi, passaporto e carta d'identità a fini di espatrio, permesso di soggiorno per gli stranieri. L'interessato, inoltre, ricorrendone i presupposti, è invitato a seguire il programma terapeutico e socio-riabilitativo altro programma educativo e informativo personalizzato in relazione alle proprie specifiche esigenze, predisposto dal servizio pubblico per le tossicodipendenze competente per territorio o da una struttura privata autorizzata. Avverso le sanzioni amministrative irrogate dal prefetto con decreto all'esito di contraddittorio con l'interessato, è possibile il ricorso al giudice ordinario. Se per i fatti previsti, nel caso di particolare tenuità della violazione, ricorrono elementi tali da far presumere che la persona si asterrà, per il futuro, dal commetterli nuovamente, in luogo della sanzione, e limitatamente alla prima volta, il prefetto può definire il procedimento con il formale invito a non fare più uso delle sostanze stesse, avvertendo il soggetto delle conseguenze a suo danni.
La p.d.l. integra la formulazione dell'art. 75 in due aspetti:
| Novelle all'art. 73, comma 1Nuovo comma 3-bis dell'art. 73 Abrogazione comma 5 dell'art. 73 Nuovo art. 73-bis Novelle all'art. 75 |
Relazioni allegate o richiesteLa proposta di legge, di iniziativa parlamentare, è accompagnata dalla sola relazione illustrativa. |
Necessità dell'intervento con leggeLa proposta di legge interviene su disposizioni di rango primario e su materie coperte da riserva di legge. Si giustifica, pertanto, l'intervento con legge. |
Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definiteLa proposta di legge interviene su fattispecie di reato e dunque attiene a materia rientrante nella competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell'art.117, secondo comma, lettera l) (giurisdizione e norme processuali, ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa) della Costituzione. |
Incidenza sull'ordinamento giuridicoLa proposta di legge riduce o esclude le sanzioni penali per determinate condotte. Conseguentemente, riduce l'area della punibilità rispetto al diritto vigente. Le disposizioni di maggior favore dovranno trovare applicazione anche nei confronti di coloro che già sono stati condannati per le fattispecie interessate. |