Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali - A.C. 631 e abb.
Riferimenti:
AC N. 631/XVII     
Serie: Progetti di legge    Numero: 17
Data: 28/05/2013
Descrittori:
MISURE CAUTELARI E LIBERTA' PERSONALE DELL' IMPUTATO     


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Misure cautelari personali

28 maggio 2013
Elementi per l'istruttoria legislativa



Indice

Introduzione|La disciplina vigente delle misure cautelari personali|Misure cautelari personali: il richiamo del Primo Presidente della Corte di Cassazione|La posizione della Corte Europea dei diritti dell'uomo|Il contenuto della proposta di legge|Relazioni allegate o richieste|Necessità dell'intervento con legge|Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite|Coordinamento con la normativa vigente|Formulazione del testo|



Introduzione

La proposta di legge in esame:

  • introduce modifiche alla disciplina sulle misure cautelari personali prevista dal codice di procedura penale, delimitando maggiormente il ricorso ad esse;
  • novella l'art. 73 del testo unico sugli stupefacenti, riducendo la pena per alcuni illeciti di lieve entità e, conseguentemente, l'applicabilità delle misure cautelari.

Come indica  la relazione illustrativa, le modifiche sono dirette a produrre effetti certi di deflazione dell'elevatissimo carico penitenziario.

Al 30 aprile 2013, su un totale di 65.917 detenuti presenti nelle 206 carceri italiane, risultavano 24.637 detenuti in custodia cautelare (37,3%) di cui 12.258 in attesa del primo giudizio (18,6%).

La proposta, inoltre, intende "ripristinare una cultura delle cautele penali fondate sul pieno rispetto della presunzione d'innocenza e sulla funzione strumentale del processo delle misure di contenimento anticipato".



La disciplina vigente delle misure cautelari personali

Le misure cautelari personali previste dal codice di procedura penale consistono in limitazioni della libertà personale o della sfera giuridica di una persona.

Titolare alla loro adozione è sempre un giudice – anche nella fase delle indagini - per finalità di cautela processuale, sulla base di specifiche condizioni generali di applicabilità (art. 274). Al PM, titolare della richiesta delle misure cautelari al giudice, è consentita l'adozione solo di misure provvisorie e anticipatorie (cd. precautelari), come il fermo e l'arresto; in via ordinaria è quindi il giudice ad assicurare le esigenze cautelari con provvedimenti di natura giurisdizionale, che assumono la forma di ordinanza.

Avverso le decisioni relative alle sole misure coercitive è sempre possibile il ricorso al giudice del riesame ex art. 309 c.p.p. (cd. tribunale della libertà) o direttamente alla cassazione (per i soli motivi di legittimità); il rimedio per le altre misure consiste nell'appello (art. 310 c.p.p.). Sempre per i soli motivi di legittimità, sia sulle decisioni adottate in fase di riesame che di appello, è analogamente ammesso il ricorso per cassazione.

Di seguito, sono riassunte sinteticamente le  misure cautelari personali previste dal codice di procedura penale, distinte in coercitive e interdittive.

 

Le misure coercitive  incidono sulla libertà fisica dell'individuo e possono essere di regola applicate solo se si procede per delitti puniti con l'ergastolo o con la reclusione superiore nel massimo a 3 anni (art. 280 c.p.p.). Tali misure si distinguono, a loro volta, in custodiali o non custodiali.

Le misure coercitive custodiali sono le seguenti:

  • custodia cautelare in carcere (art. 285); consiste nella privazione della libertà attuata in uno stabilimento carcerario; la sua maggiore afflittività ne giustifica la possibile applicazione in relazione a delitti per i quali sia prevista la reclusione non inferiore nel massimo a 4 anni (art. 280, comma 2, c.p.p.);
  • custodia cautelare in luogo di cura (art. 286); consiste nella privazione della libertà attuata in idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero di persona in stato di infermità mentale che ne esclude o ne diminuisce grandemente la capacità di intendere e di volere;
  • arresti domiciliari (art. 284); consiste nella misura con cui si prescrive all'imputato di non allontanarsi dalla propria abitazione o altro luogo di privata dimora.

 

Le misure coercitive non custodiali sono le seguenti:

  • divieto di espatrio (art. 281); consiste nella prescrizione all'imputato di non uscire dal territorio nazionale senza l'autorizzazione del giudice che procede;
  • obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria (art. 282); consiste nella prescrizione all'imputato di presentarsi in giorni ed ore stabiliti ad un determinato ufficio di polizia giudiziaria;
  • allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis); consiste nella prescrizione all'imputato di lasciare immediatamente la casa familiare, ovvero di non farvi rientro, e di non accedervi senza l'autorizzazione del giudice che procede;
  • divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282-ter); consiste nella prescrizione all'imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa;
  • divieto di dimora (art. 284); consiste nella prescrizione all'imputato di non dimorare in un determinato luogo e di non accedervi senza l'autorizzazione del giudice che procede;
  • obbligo di dimora (art. 284) consiste nella prescrizione all'imputato  di non allontanarsi, senza l'autorizzazione del giudice che procede, dal territorio del comune di dimora abituale

 

Le misure interdittive incidono, invece, sulla sfera giuridica della persona e sono le seguenti:

  • sospensione dalla potestà genitoriale (art. 288); consiste nella interdizione temporanea dall'esercizio (in tutto in parte) della potestà dei poteri genitoriali;
  • sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio (art. 289), consiste nella sospensione o interdizione temporanea dell'imputato, in tutto o in parte, dalle attività inerenti all'esercizio di un pubblico ufficio o servizio;
  • divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali (art. 290); consiste nell'interdizione temporanea dell'imputato dall'esercitare determinate professioni, imprese o uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese.

 

Le misure coercitive
Le misure interdittive


Misure cautelari personali: il richiamo del Primo Presidente della Corte di Cassazione

Sulla necessità di un intervento del legislatore sulla disciplina delle misure cautelari personali, meritevoli di segnalazione appaiono le parole pronunciate dal Primo Presidente uscente della Corte di cassazione, Ernesto Lupo, in occasione dell'inaugurazione del nuovo anno giudiziario (25 gennaio 2013):

"Con riguardo alle misure precautelari e cautelari detentive, nel gennaio 2012, abbiamo qualificato come inaccettabile una percentuale dei detenuti in custodia cautelare pari a circa il 40%, che, per quanto diminuita negli ultimi decenni, e pur tenendo conto del fatto che circa la metà di questa aliquota riguarda imputati condannati in primo grado, rappresenta un sintomo perdurante dei gravi squilibri del sistema processuale penale italiano. Davamo atto del positivo intervento normativo in tema di interventi precautelari (D.L. 211 del 2001, così detto "porte girevoli"), segnalando tuttavia la necessità oramai inderogabile: della rivisitazione del catalogo dei reati per i quali è imposto l'arresto (con particolare riguardo a due settori che contribuiscono grandemente all'affollamento carcerario, quello della materia della immigrazione clandestina e quello del piccolo spaccio di sostanze stupefacenti, anche "leggere"); dell'estensione della previsione dell'obbligo di liberazione (art. 121 disp. att. cod. proc. pen.) alle ipotesi di richiesta di misura non custodiale; della riconduzione anche normativa della detenzione carceraria alla sua natura di extrema ratio in controtendenza rispetto agli interventi "emergenziali" (di recente attuati ad esempio sull'art. 275 cod. proc. pen. su spinte emozionali-populistiche, piuttosto che in base a ragioni costituzionalmente accettabili di politica criminale; del potenziamento degli strumenti di tipo interdittivo.

Riconducendo il sacrificio della libertà personale alla sua natura di extrema ratio, non solo si diminuirebbe la popolazione carceraria e si ridurrebbe il pericolo di carcerazioni sofferte da persone che potrebbero poi essere riconosciute innocenti, ma si otterrebbe indirettamente di rendere più celeri i giudizi sul merito della responsabilità penale, riversando su di questi corrispondenti mezzi materiali e umani.

E' questo che ci spinse a richiamare i giudici a un più responsabile ricorso alla misura carceraria, segnalando come già il sistema imponga di considerare realisticamente le esigenze cautelari e di saggiarne prudentemente l'effettiva attualità; di valutare e privilegiare ogni modo alternativo di loro contenimento, adeguando le decisioni ai principî di proporzionalità e di adeguatezza.

Sennonché, a dicembre 2012 circa il 60%dei 65.701 detenuti, di cui si è detto, risultano condannati in via definiti va; sicché il numero di detenuti in custodia cautelare è ancora in accettabilmente elevato. Delle misure legislative suggerite, solo quella del potenziamento delle misure interdittive, come strumento alternativo alle misure coercitive, è stata parzialmente recepita, trovando attuazione nella citata legge 6 novembre 2012, n. 190, che, introducendo nell'art. 308 cod. proc. pen. un comma 2-bis, estende, peraltro con riguardo solo ai reati contro la pubblica amministrazione, la durata di efficacia della misura interdittiva a sei mesi e prevede la possibilità di rinnovazione della misura esclusivamente per esigenze probatorie (mentre, come è ampiamente noto, le misure cautelari vengono in genere disposte soprattutto per fronteggiare il pericolo di reiterazione di condotte criminose).

Nel silenzio del legislatore, sulla presunzione di adeguatezza della sola misura cautelare carceraria è dovuta nuovamente intervenire, inevitabilmente in forma episodica, la Corte costituzionale con la sentenza n. 110 del 3 maggio 2012 ; e nuovamente la Corte di cassazione ha dovuto sollevare questione di costituzionalità, con le ordinanze Sez. U, nn. 34473 e 34474 del 19 luglio 2012.

Nel corso dell'anno 2012 in cui la Corte di cassazione ha deciso 4.721 ricorsi in materia di misure cautelari personali in genere, di cui circa 800 accolti (attorno al 17%)– sono stati registrati oltre 4.422 ricorsi relativi alle sole misure coercitive, dei quali 2.899 proposti da imputati in stato di detenzione carceraria per il titolo impugnato, e solamente 758 da imputati in stato di arresti domiciliari.

Le ordinanze cautelari e i provvedimenti di riesame continuano a essere caratterizzati da assoluto squilibrio tra la parte dedicata alla gravità indiziaria e la motivazione in punto di necessità cautelare, troppo spesso dedicando poche stereotipate parole alla valutazione d'inadeguatezza di misure attenuate, che di fatto continuano ad essere adottate in misura percentuale significativamente ridotta (in particolare per stranieri e indigenti). Proiettando i dati dei ricorsi per cassazione, emerge infine che ancora nell'anno trascorso le procedure relative alle misure cautelari personali costituiscono circa il 9% del totale di tutte le decisioni assunte nel settore penale (cognizione, esecuzione, sorveglianza, prevenzione), impegnando dunque in termini corrispondenti magistrati e personale amministrativo delle procure e degli uffici giudicanti (in particolare, g.i.p., tribunale "della libertà", Corte di cassazione), con indiretta significativa incidenza sui tempi di definizione dei procedimenti ordinari."



La posizione della Corte Europea dei diritti dell'uomo

La Corte europea dei diritti dell'uomo -  nella recente sentenza  8 gennaio 2013 (Torreggiani ed altri, contro Italia) che ha condannato l'italia per violazione dell'art. 3 della Convenzione in relazione alle inumane condizioni di detenzione -  ha evidenziato come il problema del sovraffollamento carcerario sia legato anche all'eccessivo uso della custodia cautelare in carcere. Le misure cautelari dovrebbero essere, secondo la CEDU, le minime compatibili con gli interessi della giustizia e invece il 42% dei detenuti è recluso in regime di custodia cautelare a cui nella metà dei casi non seguirà una condanna definitiva.

Secondo la Corte "l'applicazione della custodia cautelare e la sua durata dovrebbero essere ridotte al minimo compatibile con gli interessi della giustizia. Gli Stati membri dovrebbero, al riguardo, assicurarsi che la loro legislazione e la loro prassi siano conformi alle disposizioni pertinenti della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo ed alla giurisprudenza dei suoi organi di controllo e lasciarsi guidare dai principi enunciati nella Raccomandazione n. R (80) 11 in materia di custodia cautelare per quanto riguarda, in particolare, i motivi che consentono l'applicazione della custodia cautelare". La CEDU ritiene "opportuno fare un uso più ampio possibile delle alternative alla custodia cautelare quali ad esempio l'obbligo, per l'indagato, di risiedere ad un indirizzo specificato, il divieto di lasciare o di raggiungere un luogo senza autorizzazione, la scarcerazione su cauzione, o il controllo e il sostegno di un organismo specificato dall'autorità giudiziaria. A tale proposito è opportuno valutare attentamente la possibilità di controllare tramite sistemi di sorveglianza elettronici l'obbligo di dimorare nel luogo precisato.  Per sostenere il ricorso efficace e umano alla custodia cautelare, è necessario impegnare le risorse economiche e umane necessarie e, eventualmente, mettere a punto i mezzi procedurali e tecnici di gestione appropriati".



Il contenuto della proposta di legge

La proposta di legge in esame è composta da 9 articoli.

 

Gli articoli 1 e 2 modificano l'art. 274 c.p.p. relativo alle condizioni di applicabilità delle misure cautelari, precisandone i presupposti.

Le condizioni attualmente previste dall'art. 274 sono:

  • il pericolo di inquinamento delle prove (comma 1, lett. a);
  • il pericolo di fuga (comma 2, lett. b)
  • il pericolo di reiterazione dei reati (comma 3, lett. c).
In particolare, il comma 1, lett. b), dell'art. 274 presume la sussistenza delle esigenze cautelari "quando l'imputato si è dato alla fuga o sussiste concreto pericolo che egli si dia alla fuga, sempre che il giudice ritenga che possa essere irrogata una pena superiore a due anni di reclusione".
Il comma 1, lett. c), dell'art. 274 prevede che le misure cautelari siano disposte "quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali, sussiste il concreto pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni".

 

Gli articoli 1 e 2 della proposta di legge paiono volti a limitare la discrezionalità del giudice – che si vuole più stringente sia nella valutazione del pericolo di fuga (art. 1) che in quello di reiterazione del reato (art. 2). Le lett. b) e c) del comma 1 dell'art. 274 sono così modificate con l'aggiunta della previsione, in entrambi i casi, della verifica, oltre che della concretezza, anche dell'attualità del pericolo.

In tal senso, in relazione alla necessità di attualità del pericolo di reiterazione del reato, già la Corte di Cassazione (sentenza n. 10673 del 2003)  ha rilevato che il giudice deve procedere ad individuare, in modo particolarmente specifico e dettagliato "gli elementi concludenti atti a cogliere l'attualità e la concretezza del pericolo di reiterazione criminosa fronteggiabile soltanto con la permanenza in carcere". In senso contrario, Cass., Sez. Un. n. 34537 del 2001, in relazione alla sussistenza del pericolo di fuga, aveva rilevato che ai fini del ripristino, determinato da sopravvenuta condanna, della custodia cautelare nei confronti di imputato scarcerato per decorrenza dei termini, detta sussistenza va individuata in concreto, e perciò con riferimento ad elementi e circostanze attinenti al soggetto, idonei a definire, nel caso specifico, non la certezza, ma la probabilità che lo stesso faccia perdere le sue tracce (personalità, tendenza a delinquere e a sottrarsi ai rigori della legge, pregresso comportamento, abitudini di vita, frequentazioni, natura delle imputazioni, entità della pena presumibile o concretamente inflitta) "senza che sia necessaria l'attualità di suoi specifici comportamenti indirizzati alla fuga o a anche solo a un tentativo iniziale di fuga."


 Lo stesso art. 274 c.p.p. è integrato nel suo contenuto dall'articolo 3 della proposta di legge con un nuovo comma 1-bis in base a cui:

  • il pericolo di fuga alla base delle esigenze cautelari non può essere desunto solo dalla gravità del reato attribuito (in tal senso, si consderi la citata Cass., Sez.Un., sentenza n. 34537 del 2001);
  • il pericolo di reiterazione del reato non può dedursi esclusivamente dalle modalità del fatto-reato e la personalità dell'indagato (o dell'imputato) non può parimenti dedursi unicamente dalle circostanze del fatto addebitato.

 

L'articolo 4  del provvedimento in esame interviene, poi, sull'art. 275 c.p.p. in materia di scelta delle misure cautelari.

E', infatti, sostituito il comma 2-bis che attualmente prevede il divieto di applicazione della custodia cautelare quando il giudice ritenga che con la sentenza possa concedersi la sospensione condizionale della pena (ai sensi dell'art. 163 c.p.).

Secondo la Cassazione (sent. n. 17691 del 2010) il giudizio prognostico in ordine alla concessione della sospensione condizionale della pena, che legittima il rigetto della richiesta di applicazione della misura cautelare non deve essere semplicemente teorico (in relazione alla presenza dei requisiti per la sospensione, ad es. i limiti di pena previsti dall'art. 163 c.p.). Tale giudizio da parte del giudice "implica comunque l'esclusione del pericolo di reiterazione del reato, dal momento che la concessione della sospensione è indefettibilmente correlata ad una previsione favorevole in ordine alla condotta futura del condannato".

Nello stesso caso, il nuovo comma 2-bis aggiunge anche il divieto di applicazione degli arresti domiciliari qualora il giudice ritenga che possa essere concessa la sospensione condizionale.

La nuova disposizione codifica quanto già affermato dalla giurisprudenza (v. tra le altre: Cass., sentt. nn. 58 e 3607/1997, 6480/1988, 18683/2008). Va inoltre considerato che l'art. 284, comma 5, c.p.p., prevede espressamente che l'imputato agli arresti domiciliari "si considera in stato di custodia cautelare".

 

Anche gli articoli 5 e 6 della proposta di legge novellano l'art. 275 del codice di procedura penale.

L'articolo 5  riformula il primo periodo del comma 3 dell'art. 275 c.p.p. che stabilisce che la custodia cautelare in carcere può essere disposta "soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata";  la custodia cautelare in carcere rappresenta, quindi, l'extrema ratio.

La nuova disposizione conferma il carattere residuale della custodia cautelare, con la specificazione che essa può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive (in lugo di "ogni altra misura"), anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate.

L'articolo 6  della proposta di legge riguarda l'applicazione della custodia in carcere per alcuni reati più gravi.

Se, in via generale, vale la regola dell'applicazione della custodia in carcere solo quando le altre misure risultino inadeguate, il secondo e terzo periodo del comma 3 dell'art. 275 c.p.p. prevedono attualmente che, in presenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine ad uno specifico catalogo di reati ritenuti di particolare gravità, operi una presunzione di idoneità della sola misura carceraria.
Quindi, l'adeguatezza della custodia in carcere risulta presunta ex lege ed il giudice non può decidere per l'applicazione di una misura cautelare diversa, a meno che siano acquisiti elementi dai quali risulti l'insussistenza delle esigenze cautelari.
Si tratta dei reati di particolare allarme sociale di cui all'articolo 51, commi 3-bis (associazione mafiosa o finalizzata al traffico di stupefacenti, riduzione in schiavitù, tratta di persone, sequestro di persona a scopo di estorsione, ecc.), 3-quater (delitti con finalità di terrorismo) del codice di procedura penale, nonché dei delitti di cui agli articoli 575 (omicidio), 600-bis, primo comma (induzione alla prostituzione minorile), 600-ter, (pornografia minorile, esclusa la cessione del materiale, anche gratuita) e 600-quinquies (turismo sessuale) del codice penale, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari. Analogamente, la custodia in carcere si applica in ordine ai delitti previsti dagli articoli 609-bis (violenza sessuale), 609-quater (atti sessuali con minorenne) e 609-octies (violenza sessuale di gruppo) del codice penale, salvo che ricorrano le circostanze attenuanti dagli stessi contemplate.
Peraltro, la Corte costituzionale (sentt. nn. 265/2010, 164 e 231/2011) ha dichiarato la parziale incostituzionalità del secondo e terzo periodo del comma 3 dell'art. 275 c.p.p.  nella parte in cui, in ordine ai delitti di omicidio, di violenza sessuale semplice e di gruppo, di atti sessuali con minorenni e di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, l'applicazione della misura carceraria non fa salva l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. Più recentemente, analoghe decisioni della Consulta hanno riguardato, negli stessi termini, l'art. 275, comma 3, c.p.p. in relazione: al delitto di associazione a delinquere, realizzato allo scopo di commettere i delitti previsti dagli artt. 473 (contraffazione) e 474 (introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi) del codice penale (sentenza n. 110/2012); ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis (delitti commessi con metodo mafioso) ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo (sentenza n. 57/2013).

 

L'articolo 6 della p.d.l. - novellando il secondo e sopprimendo il terzo periodo del comma 3 dell'art. 275 c.p.p. - limita la presunzione di idoneità della misura  carceraria in relazione alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine ai soli delitti di associazione sovversiva (art. 270 c.p.), associazione terroristica, anche internazionale (art. 270-bis c.p.), associazione mafiosa (art. 416-bis c.p.) e associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (art. 74, DPR 309/1990). La modifica proposta ripropone la versione della norma voluta dalla legge n. 332 del 1995, di riforma della custodia cautelare.

Si ricorda, in relazione a tale ultimo delitto, la contraria opinione della Corte costituzionale (cit. sent. 231/2011) che ha dichiarato sul punto parzialmente incostituzionale l'art. 275, comma 3, c.p.p., nella parte in cui, in ordine al delitto di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, l'applicazione della misura carceraria non fa salva l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.

 

L'articolo 7, infine, modifica l'art. 299 c.p.p. in materia di controlli successivi da parte del giudice sulla legittimità della misura cautelare applicata (revoca e sostituzione delle misure).

Il comma 1 prevede attualmente che le misure coercitive e interdittive sono immediatamente revocate quando risultano mancanti, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni generali di applicabilità delle misure previste dall'art. 273 o dalle disposizioni relative alle singole misure ovvero le esigenze cautelari previste dall'articolo 274 (inquinamento delle prove, pericolo di fuga, pericolo di reiterazione di reati).

Il comma 1 è novellato prevedendosi la possibile revoca (su istanza dell'imputato o del PM, ex. comma 3) solo "per ragioni sopravvenute". La relazione alla p.d.l. motiva tale modifica in ragione dell'opportunità di escudere "domande fondate su argomenti già interamente valutati in precedenza, le quali sono così da ritenere inammissibili".

Complementare alla modifica al comma 1 è la riformulazione del comma 3-ter dell'art. 299 relativa all'interrogatorio dell'indagato (art. 7, comma 2, della p.d.l.).

La norma vigente prevede che il giudice, valutati gli elementi addotti per la revoca o la sostituzione delle misure, prima di decidere può interrogare la persona sottoposta alle indagini. L'interrogatorio è, invece, obbligatorio se la domanda di revoca o di sostituzione è basata su elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già valutati.

Il nuovo comma 3-ter sopprime il primo periodo (relativo all'interrogatorio facoltativo) e prevede l'interrogatorio obbligatorio dell'indagato solo se la domanda si basa su "fatti" sopravvenuti e la persona ne faccia richiesta.

 

L'articolo 8  del provvedimento interviene sull'art. 308 c.p.p. che prevede i termini della perdita di efficacia sia delle misure coercitive (diverse dalla custodia cautelare) sia delle misure interdittive.

Le prime (comma 1) perdono efficacia quando dall'inizio della loro esecuzione è decorso un periodo di tempo pari al doppio dei termini di durata massima della custodia cautelare.

In base al comma 2, le misure interdittive perdono efficacia decorsi due mesi dall'inizio della loro esecuzione, ferma restando la possibilità di rinnovazione ultra termine in caso siano state disposte per esigenze probatorie (e osservati, in ogni caso i limiti massimi di durata della custodia cautelare.

L'articolo 8 della pd.l. estende da 2 mesi a 12 mesi il periodo di possibile applicazione delle misure interdittive da parte del giudice. Rimane ferma la possibilità di poterne disporre la rinnovazione (entro i limiti massimi previsti dal comma 1) quando le misure siano disposte per esigenze probatorie.

Sul punto va ricordato l'analogo intervento della cd. legge anticorruzione (L. 190/2012) che - aggiungendo un comma 2-bis all'art. 308 c.p.p. - ha esteso da 2 a 6 mesi l'efficacia delle misure interdittive nel caso si proceda per numerosi, specifici delitti contro la pubblica amministrazione. In ogni caso, il comma 2-bis prevede - qualora esse siano state disposte per esigenze probatorie - che il giudice possa disporne la rinnovazione anche oltre sei mesi dall'inizio dell'esecuzione, fermo restando che comunque la loro efficacia viene meno se dall'inizio della loro esecuzione è decorso un periodo di tempo pari al triplo dei termini di durata massima della custodia cautelare, previsti dall'articolo 303 c.p.p.

 

   L'articolo 9 interviene sul DPR 309/1990 (Testo Unico stupefacenti), novellandone l'art. 73, comma 5: viene così dimezzata da 6 a 3 anni la pena della reclusione (la pena pecuniaria della multa da 3.000 a 26.000 euro resta immutata) quando il reato di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope risulti di lieve entità, in relazione alle modalità o alle circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze.

La relazione illustrativa giustifica quest'unica disposizione della p.d.l. che incide sul diritto sostanziale rilevando come, per la frequenza della fattispecie di spaccio e detenzione di modica quantità di stupefacente, l'abbassamento della pena sotto i 4 anni "dovrebbe permettere" nella prassi, "di ridurre significativamente i casi quotidiani di applicazione della custodia cautelare".

Come accennato, infatti, l'art. 280, comma 2, c.p.p. stabilisce che la custodia cautelare in carcere può essere disposta solo per delitti, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni.

 

Condizioni di applicabilità
Valutazione dei presupposti
Scelta delle misure
Custodia in carcere
Presunzione di idoneità della misura carceraria
Revoca delle misure
Termini di efficacia delle misure interdittive
Riduzione di pene relative a stupefacenti


Relazioni allegate o richieste

 La proposta, d'iniziativa parlamentare, è accompagnata dalla sola relazione illustrativa.



Necessità dell'intervento con legge

La proposta di legge reca interventi di natura penale, processuale e sostanziale, e dunque interviene su materia coperta da riserva di legge.



Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

Il contenuto della proposte di legge è riconducibile alla materia di competenza esclusiva dello Stato di cui all'articolo 117, secondo comma, lett. l), con riguardo a giurisdizione e norme processuali e ordinamento penale.



Coordinamento con la normativa vigente

Il coordinamento con la normativa vigente è effettuato attraverso la tecnica della novellazione



Formulazione del testo

Poichè la custodia cautelare potrebbe essere disposta anche in ambiente diverso da quello carcerario (in luogo di cura, ex art. 286 c.p.p.), all'articolo 5 andrebbe valutata la portata normativa della soppressione dei termini "in carcere" dopo le parole "custodia cautelare".

Occorre, inoltre, valutare se l'articolo 6, relativo alla presunzione di idoneità della misura carceraria (art. 275, comma 3, c.p.p.) sia conforme alla giurisprudenza costituzionale in materia.