Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili - A.C. 331 e 927 -B Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 331-B/XVII   AC N. 927/XVII
AC N. 331/XVII     
Serie: Progetti di legge    Numero: 7    Progressivo: 2
Data: 05/02/2014
Descrittori:
ALTRI ASPETTI DELLE PENE   LEGGE DELEGA
PENE DETENTIVE     
Organi della Camera: II-Giustizia

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili

A.C. 331-927-B

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 7/2

 

 

 

5 febbraio 2014

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Giustizia

( 066760-9559 / 066760-9148* st_giustizia@camera.it

 

 

 

 

 

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File: gi0039b.doc

 


INDICE

Schede di lettura

§  Introduzione                                                                                                     3

Capo I (Deleghe al Governo)                                                                             5

§  Articolo 1 (Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie)   6

§  Articolo 2 (Delega al Governo per la riforma della disciplina sanzionatoria)  12

Capo II (Sospensione del procedimento con messa alla prova)                 29

§  Articolo 3 (Modifiche al codice penale in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova)                                                             31

§  Articolo 4 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova                                                        37

§  Articolo 5 (Introduzione del capo X-bis del titolo I delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale                         42

§  Articolo 6 (Modifica al TU casellario giudiziale in materia di messa alla prova) 44

§  Articolo 7 (Disposizioni in materia di pianta organica degli UEPE e obbligo di relazione)                                                                                                       45

§  Articolo 8 (Regolamento del Ministro della giustizia per disciplinare le convenzioni in materia di lavoro di pubblica utilità)                                        46

Capo III (Sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili)   47

§  Articolo 9 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di udienza preliminare)                                                                                                    48

§  Articolo 10 (Disposizioni in materia di dibattimento)                                      51

§  Articolo 11 (Disposizioni in materia di impugnazioni e di restituzione nel termine)                                                                                                          52

§  Articolo 12 (Modifiche al codice penale in materia di prescrizione del reato) 53

§  Articolo 13 (Modalità e termini di comunicazione e gestione dei dati relativi all’assenza dell’imputato)                                                                               54

§  Articolo 14 (Modifica delle norme di attuazione, coordinamento e transitorie del codice di procedura penale)                                                                           55

§  Articolo 15 (Modifiche al TU casellario giudiziale)                                         56

Capo IV (Disposizioni comuni)                                                                        57

§  Articolo 16 (Clausola di invarianza finanziaria)                                              57

Documentazione in tema di depenalizzazione  (art. 2)

§  Le precedenti depenalizzazioni                                                                      61

§  Tabella n. 1 – Nuovi reati introdotti dal 2000 ad oggi                                     67

§  Tabella n. 2 – Codice penale – Reati puniti con la sola multa                     117

§  Tabella n. 3 – Codice penale – Reati puniti con la sola ammenda              123

 

 



Introduzione

Il testo che torna all’esame della Commissione Giustizia è frutto di una prima approvazione da parte della Camera dei deputati, il 4 luglio 2013, del testo unificato delle proposte di legge AC 331 e 927, che riproponevano il testo del disegno di legge del Governo Monti (AC 5019-bis), già approvato nella scorsa legislatura dalla sola Camera (4 dicembre 2012).

 

A seguito dell’esame del provvedimento in Senato, il testo A.C. 331-927-B si è arricchito di alcuni contenuti ed è stato in parte modificato così che oggi prevede:

§  una delega al Governo per la disciplina delle pene detentive non carcerarie (art. 1);

§  una delega al Governo per la depenalizzazione di un’ampia categoria di reati, introdotta dal Senato all’art. 2;

§  la disciplina della sospensione del procedimento con messa alla prova (artt. 3-8);

§  la disciplina della sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili (artt. 9-15, di cui solo quest’ultimo reca una modifica di mero coordinamento, rispetto al testo approvato dalla Camera);

§  la clausola di invarianza finanziaria (art. 16).

 

 

 


Capo I
(Deleghe al Governo)

Il testo approvato dalla Camera dei deputati in prima lettura prevedeva una delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie, introdotta all’articolo 1 del progetto di legge.

Nel corso dell’esame del provvedimento al Senato, a tale delega se ne è aggiunta un’altra, all’articolo 2, relativa alla riforma della disciplina sanzionatoria, volta a prevedere una depenalizzazione.

Conseguentemente, il Capo I del provvedimento all’esame della Commissione Giustizia fa ora riferimento a “deleghe” al Governo.

 

 

 


Articolo 1
(Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie)

 

L’articolo 1, modificato nel corso dell’esame al Senato, prevede una delega al Governo per la riforma del sistema delle pene, da operare essenzialmente attraverso l’introduzione nel codice penale, e nella normativa complementare, di pene detentive non carcerarie (reclusione presso il domicilio e arresto presso il domicilio), di durata continuativa o per singoli giorni settimanali o fasce orarie, da scontare presso l’abitazione.

 

La delega dovrà essere esercitata sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi (comma 1):

§  prevedere che le pene principali in caso di commissione di un reato siano le seguenti: ergastolo, reclusione, reclusione domiciliare, arresto domiciliare, multa e ammenda. Il Senato ha dunque previsto che la delega non valga semplicemente ad introdurre le pene detentive non carcerarie, ma serva anche a rivedere complessivamente il sistema delle pene ad esempio eliminando l’arresto (lett. a);

Si osserva che l'arresto in carcere è comunque previsto in modo esplicito dalla successiva lettera f) per l'ipotesi in cui non risulti disponibile un domicilio idoneo ad assicurare la custodia del condannato ovvero quando il comportamento del condannato, per la violazione delle prescrizioni dettate o per la commissione di ulteriore reato, risulti incompatibile con la prosecuzione delle stesse.

§  disciplinare la reclusione domiciliare e l'arresto domiciliare, da espiare presso l'abitazione del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza (domicilio), con durata continuativa o per singoli giorni della settimana o per fasce orarie (lett. a);

§  stabilire che l’applicazione della reclusione domiciliare e dell’arresto domiciliare avvenga in base al seguente schema (lett. b), c), con eventuale prescrizione delle particolari modalità di controllo previste dall’art. 275-bis c.p.p., c.d. braccialetto elettronico (lett. d)):

 

Pena attuale

Pena prevista dalla legge delega

§  Arresto

§  Arresto domiciliare (automatico), con eventuale c.d. braccialetto elettronico

+

Lavoro di pubblica utilità (eventuale, v. infra)

La lettera b), richiamando l’art. 278 c.p.p., precisa che l’arresto deve essere previsto dalla legge come pena per il reato consumato o tentato; non si tiene conto della continuazione, della recidiva e delle circostanze del reato, a meno che non si tratti di circostanze ad effetto speciale (che determinano cioè l’applicazione di una pena di specie diversa). Si rileva che nel corso dell’esame al Senato è stata soppressa la disposizione (precedente lett. c)), che prevedeva per l’arresto domiciliare una durata minima di 5 giorni e massima di 3 anni.

Si osserva che non è espressamente prevista la “conversione” dell’arresto in arresto domiciliare anche per l’ipotesi in cui la pena sia congiunta (arresto e ammenda) o alternativa (arresto o ammenda).

In ordine alla formulazione della lettera b) si sottolinea l’esigenza di far corrispondere all’arresto, l’arresto domiciliare, e alla reclusione, la reclusione domiciliare, invertendo l’ordine nel quale sono richiamate le nuove pene non detentive alla fine del periodo.

 

Pena attuale

Pena prevista dalla legge delega

§  Reclusione fino a 3 anni

§  Reclusione domiciliare (automatica) con eventuale braccialetto elettronico

+

Lavoro di pubblica utilità (eventuale, v. infra)

Anche in questo caso la lettera b), richiamando l’art. 278 c.p.p., precisa che la reclusione deve essere prevista dalla legge come pena per il reato consumato o tentato; non si tiene conto della continuazione, della recidiva e delle circostanze del reato, a meno che non si tratti di circostanze ad effetto speciale (che determinano cioè l’applicazione di una pena di specie diversa, es. ergastolo).

 

Pena attuale

Pena prevista dalla legge delega

§  Reclusione fra 3 e 5 anni

§  Reclusione domiciliare (discrezionalità del giudice) con eventuale braccialetto elettronico

+

Lavoro di pubblica utilità (eventuale, v. infra)

La lettera c) prevede che per i delitti puniti con la reclusione da 3 anni a 5 anni spetti al giudice, valutata la gravità del reato ai sensi dell’art. 133 c.p., decidere se condannare alla reclusione domiciliare.

Si ricorda che il testo approvato dalla Camera consentiva al giudice di valutare l’applicazione della reclusione domiciliare per i delitti puniti con la reclusione fino a 6 anni; il Senato ha abbassato a 5 anni di reclusione la pena edittale attualmente prevista, introducendo però l’automatismo della reclusione domiciliare per i delitti puniti con la reclusione fino a 3 anni, per i quali non si andrà dunque in carcere, a prescindere dalla gravità del reato. Si sottolinea inoltre che il testo approvato dalla Camera prevedeva che la reclusione domiciliare dovesse avere una durata corrispondente alla precedente reclusione in carcere; il testo del Senato non individua criteri per determinare la durata non solo dell’arresto domiciliare ma anche della reclusione domiciliare.

In ordine alla formulazione del testo, si evidenzia che la lettera b) fa riferimento, per l’applicazione automatica della reclusione domiciliare, ai reati puniti con la reclusione non superiore nel massimo a tre anni, mentre la lettera c) richiama, per l’applicazione discrezionale, i delitti per cui è prevista la pena della reclusione tra i tre e i cinque anni. Pare pertanto sussistere una parziale sovrapposizione tra le due ipotesi, con riguardo ai reati puniti nel massimo con pena pari a tre anni. Inoltre, pare utile esplicitare anche alla lettera c) che si tratta sempre della pena massima.

 

§  Escludere dall’applicazione delle pene detentive non carcerarie i delinquenti abituali (artt. 102 e 103 c.p.), professionali (art. 105 c.p.) e per tendenza (art. 108 c.p.) (lett. e). Il Senato ha eliminato il riferimento all'art. 104 c.p., relativo ai contravventori abituali, presente nel testo approvato dalla Camera;

§  prevedere che la reclusione domiciliare e l’arresto domiciliare possano essere sostituiti dal giudice con le pene della reclusione o dell'arresto in carcere nei seguenti casi (lett. f):

-        indisponibilità di un'abitazione o altro domicilio idoneo ad assicurare la custodia del condannato;

-        comportamento del condannato incompatibile con la prosecuzione delle pene detentive non carcerarie, anche sulla base delle esigenze di tutela della persona offesa. In particolare, il condannato deve aver tenuto un comportamento contrario alle prescrizioni impartite ovvero aver commesso un nuovo reato.

In merito si osserva che il Senato ha eliminato il riferimento esplicito alla fase dell’esecuzione della pena, nel corso della quale il giudice può prendere la decisione sulla sostituzione della pena.

Si rileva che il giudice – che pare essere ancora il giudice dell’esecuzione – è chiamato a sostituire la pena dell’arresto domiciliare con una pena, l’arresto in carcere, che dovrebbe invece non essere più prevista nell’ordinamento penale.

Infine si sottolinea che questa impostazione sembra ricondurre le pene detentive non carcerarie a una sorta di beneficio penitenziario che può essere revocato in caso di cattiva condotta; una revocazione della misura che si accompagna anche all’applicazione del delitto di evasione (v. infra).

§  prevedere che per la determinazione delle pene si tenga conto, in ogni caso, dell’art. 278 c.p.p. che, in particolare, afferma di non doversi tener conto delle circostanze del reato, tranne che per le circostanze ad effetto speciale, che comportano l’applicazione di una pena di specie diversa (lett. g);

In merito si osserva che tale previsione è già contenuta nelle lettere b) e c).

§  Stabilire l’applicabilità del delitto di evasione (art. 385 c.p.) per i casi di allontanamento non autorizzato del condannato dal domicilio o da altro luogo nel quale debba essere eseguita la pena della detenzione non carceraria (lett. h);

In merito si rileva che l’ipotesi base di evasione, prevista dal primo comma dell’art. 385 c.p., è a sua volta punita con la reclusione da 1 a 3 anni. Sarà dunque opportuno prevedere che se l’evasione si realizza sottraendosi alla pena detentiva non carceraria, non potrà essere nuovamente comminata tale pena.

 

Le lettere i) ed l) sono state integralmente introdotte nel corso dell’esame al Senato e prevedono che, per i reati attualmente puniti con l’arresto o con la reclusione fino a 5 anni, il giudice possa, sentito l’imputato e il PM, applicare anche la sanzione del lavoro di pubblica utilità (lett. i).

Il lavoro di pubblica utilità dovrà avere una durata minima di 10 giorni; l'orario non potrà superare le otto ore giornaliere e dovrà conciliarsi con le esigenze personali del condannato (studio, lavoro e famiglia). L'attività, non retribuita e svolta a beneficio della collettività, potrà essere svolta presso lo Stato, le regioni, gli enti locali o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e volontariato (lett. l).

In base al testo approvato dal Senato il lavoro di pubblica utilità non è una pena principale (non a caso non è richiamato nell’elencazione della lettera a)), bensì una pena accessoria che il giudice può decidere di applicare, sentito l’imputato. Resta peraltro da chiarire se la disposizione richieda il consenso dell’imputato –già previsto nelle altre ipotesi di lavoro di pubblica utilità disciplinate nell’ordinamento (v. infra, commento al capo II) e richiesto dalla CEDU – ovvero se non sia sufficiente acquisire un parere non vincolante da parte dell’interessato.

Non è inoltre specificato se l’applicazione della pena del lavoro di pubblica utilità rappresenti un aggravio rispetto alla mera pena detentiva non carceraria ovvero se l’applicazione del primo comporti una diversa commisurazione della seconda.

Ancora, in merito alla formulazione delle predette lettere i) ed l), non è specificato quali siano le conseguenze della violazione delle prescrizioni inerenti al lavoro di pubblica utilità.

 

La lettera m), anch’essa introdotta dal Senato, contiene una delega per la disciplina della non punibilità per tenuità del fatto. La disposizione delega infatti il Governo a prevedere l’esclusione della punibilità per quelle condotte attualmente punite con la sola pena pecuniaria (arresto o multa) o con pene detentive non superiori nel massimo a 5 anni, nelle seguenti ipotesi:

-        particolare tenuità dell’offesa;

-        non abitualità del comportamento.

L’esclusione della punibilità penale non dovrà pregiudicare l’esercizio dell’azione civile per il risarcimento del danno.

 

In merito si ricorda che, limitatamente ai reati di competenza del giudice di pace, tale ipotesi risulta già disciplinata (art. 34 del decreto legislativo n. 274 del 2000).

Si ricorda, altresì che, sul proscioglimento per particolare tenuità del fatto, nella scorsa legislatura la Commissione Giustizia della Camera ha concluso, il 16 febbraio 2012, l’esame in sede referente di una proposta di legge (A.C. 2094-A). Il provvedimento prevedeva che potesse essere dichiarata d’ufficio la non punibilità per particolare tenuità del fatto, in ogni stato e grado del giudizio e già a partire dalla fase delle indagini, sulla base dei seguenti parametri: modalità della condotta; occasionalità della condotta (la condotta può essere ritenuta non occasionale quando l’autore è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero quando ha commesso - in precedenza o successivamente - altri reati della stessa indole, anche se ciascun fatto sia stato ritenuto di particolare tenuità); esiguità delle conseguenze dannose o pericolose della condotta. Nonostante l'Assemblea della Camera abbia avviato la discussione il 20 febbraio 2012, il provvedimento non ha concluso il proprio iter.

 

Infine, la lettera n) delega il Governo a coordinare le nuove norme in materia di pene detentive non carcerarie con una serie di ulteriori disposizioni vigenti, tenendo conto della necessità di razionalizzare e di graduare il sistema delle pene, delle sanzioni sostitutive e delle misure alternative applicabili in concreto dal giudice di primo grado. In particolare, il legislatore delegato dovrà tener conto del contenuto delle seguenti disposizioni:

§  legge 24 novembre 1981, n. 689, Modifiche al sistema penale;

§  legge 26 novembre 2010, n. 199, Disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a diciotto mesi;

§  D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, c.d. TU del casellario giudiziale;

§  legge 26 luglio 1975, n. 354, Ordinamento penitenziario.

La formulazione della lettera n) fa riferimento alle "misure alternative applicabili in concreto dal giudice di primo grado"; in merito si osserva che, nella normativa vigente, non sembrano rinvenibili misure alternative in senso proprio applicate dal giudice di primo grado, essendo in ogni caso le stesse riservate alla competenza della magistratura di sorveglianza.

 

Il comma 2 dell’articolo 1, non modificato nel corso dell’esame al Senato, stabilisce modalità e termini per l'esercizio della delega prevedendo, in particolare, che i decreti legislativi di cui al comma 1 vengano adottati entro il termine di 8 mesi dalla data di entrata in vigore della legge delega.

I decreti legislativi delegati saranno adottati su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, e dovranno contenere, altresì, le disposizioni necessarie al coordinamento con le altre norme legislative vigenti nella stessa materia.

Il comma 3 stabilisce, invece, che entro il termine di 18 mesi dalla data di entrata in vigore dell'ultimo dei decreti legislativi, possano essere emanati uno o più decreti legislativi correttivi e integrativi, nel rispetto dei principi e del procedimento già indicati.

I commi 4 e 5, infine, precisano - rispettivamente - che dall'attuazione della delega in esame non dovranno derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio statale e che le pubbliche amministrazioni interessate dovranno provvedere ai compiti derivanti dall'attuazione della delega con le risorse a loro disposizione a legislazione vigente.

 


Articolo 2
(Delega al Governo per la riforma della disciplina sanzionatoria)

 

L'articolo 2 è stato introdotto durante l'esame del provvedimento al Senato e delega il Governo ad operare una articolata depenalizzazione, sulla base di enumerati principi e criteri direttivi.

 

Come si evince dalla ricostruzione delle precedenti depenalizzazioni attuate dal legislatore a partire dagli anni ’80 (v. Documentazione allegata), ciclicamente il Parlamento è intervenuto per sfoltire il diritto penale speciale.

All’indomani della depenalizzazione, peraltro, lo stesso legislatore ha continuato ad introdurre nuove fattispecie penali. Basti pensare che dall’ultima depenalizzazione recata dal decreto legislativo n. 507 del 1999 al 30 gennaio 2014 sono state introdotte nel nostro ordinamento non meno di 321 nuove fattispecie penali, tra le quali 181 nuove contravvenzioni e 140 nuovi delitti (v. elenco allegato)[1].

 

La disposizione approvata dal Senato intende nuovamente sfoltire il campo del diritto penale speciale, operando una depenalizzazione i cui effetti concreti sul processo penale e sul sovraffollamento carcerario potranno essere quantificati solo dal Ministero della Giustizia.

 

Per quanto riguarda il testo della delega per la depenalizzazione, il comma 1 dell’articolo 2 delega il Governo ad adottare, entro il termine e con le procedure di cui ai commi 4 e 5, uno o più decreti legislativi per la riforma della disciplina sanzionatoria dei reati e la contestuale introduzione di sanzioni amministrative e civili, secondo i principi e criteri direttivi specificati nei successivi commi 2 e 3.

 

La trasformazione in illeciti amministrativi dei reati puniti con la sola pena della multa o dell’ammenda (lettera a))

In particolare, il comma 2, lettera a), delega il Governo a trasformare in illeciti amministrativi tutti i reati per i quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda, individuando materie per le quali fare eccezione.

 

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 162 del codice penale, in caso di contravvenzione punita con la sola ammenda, prima dell’apertura del dibattimento il contravventore è ammesso a pagare una somma pari al terzo del massimo della pena prevista (oltre le spese del procedimento), così estinguendo il reato per oblazione.

 

Limitando l’analisi ai reati contenuti nel codice penale, sono emersi 20 articoli che prevedono delitti puniti con la sola multa (cfr. Tabella allegata alla documentazione) e 12 articoli che contengono contravvenzioni punite con la sola ammenda (cfr. Tabella allegata alla documentazione). Peraltro, non tutte le disposizioni individuate potranno essere fatte oggetto di depenalizzazione, perché alcune ricadono nelle materie escluse.

Tra le fattispecie che dovranno essere depenalizzate spiccano alcune ipotesi di favoreggiamento personale (art. 378 c.p.), i reati di rissa (art. 588 c.p.) e minaccia (art. 612).

Estremamente ampio è invece il campo dei reati puniti con la sola pena pecuniaria contenuti nella legislazione speciale, come si può verificare anche solo dall’elenco delle nuove fattispecie di reato introdotte dal 2000 ad oggi (v. Tabella allegata).

 

Per quanto riguarda le materie escluse dalla depenalizzazione, il disegno di legge prevede:

 

1) i reati in materia edilizia e urbanistica

Nel 1977, nell’ambito del trasferimento delle funzioni amministrative alle Regioni, la materia urbanistica veniva definita come «la disciplina dell'uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonché la protezione dell'ambiente»[2]. Oggi l’esclusione di questa materia comporta l’impossibilità di depenalizzare le fattispecie penali punite con la sola pena pecuniaria, contenute nel decreto legislativo 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia).

 

2) i reati in materia di ambiente, territorio e paesaggio

Sono dunque escluse dalla depenalizzazione le fattispecie penali contenute nel Codice del paesaggio (d. lgs. n. 42/2004[3]) e nel Codice dell’ambiente (d. lgs. n. 152/2006[4]). Peraltro, questo principio di delega dovrebbe escludere anche la depenalizzazione degli articoli 727-bis (Uccisione, distruzione, cattura, prelievo, detenzione di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette) e 734 (Distruzione o deturpamento di bellezze naturali) del codice penale.

 

3) i reati in materia di alimenti e bevande

L’esclusione di queste fattispecie dalla depenalizzazione è forse motivata dal fatto che già il decreto-legislativo n. 507 del 1999 era espressamente intervenuto operando un’ampia depenalizzazione in questo settore[5].

 

Peraltro, da allora, il legislatore ha inserito fattispecie penali nel

- D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 193, Attuazione della direttiva 2004/41/CE relativa ai controlli in materia di sicurezza alimentare e applicazione dei regolamenti comunitari nel medesimo settore;

- D.Lgs. 21 marzo 2005, n. 70, Disposizioni sanzionatorie per le violazioni del regolamento (CE) n. 1829/2003 e del regolamento (CE) n. 1830/2003, relativi agli alimenti ed ai mangimi geneticamente modificati;

- D.Lgs. 21 maggio 2004, n. 169, Attuazione della direttiva 2002/46/CE relativa agli integratori alimentari.

 

4) i reati in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro

In base al n. 4 sono dunque escluse dalla depenalizzazione tutte le fattispecie penali contenute nella legislazione a tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. Vengono in rilievo soprattutto le recenti numerose previsioni del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro), che non potrà essere oggetto di depenalizzazione.

Il disegno di legge, peraltro, consente invece la depenalizzazione delle fattispecie contenute nella legislazione sul mercato del lavoro (d. lgs. n. 276 del 2003[6]).

 

5) i reati in materia di sicurezza pubblica

L’espressione “sicurezza pubblica” rimanda immediatamente al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del 1931 (TULPS)[7], che all’articolo 1 attribuisce all’autorità di pubblica sicurezza il compito di vigilare sul mantenimento dell'ordine pubblico, sulla sicurezza dei cittadini, sulla loro incolumità e sulla tutela della proprietà. Se appare dunque chiaro che le fattispecie penali contenute nel TULPS non potranno essere depenalizzate, più difficile è definire i confini dell’esclusione operata dal n. 5.

Si evidenzia anche che recentemente il legislatore ha intitolato alla tutela della sicurezza pubblica numerose leggi (legge n. 94 del 2009[8]) e decreti-legge (d.l. n. 92 del 2008[9], d.l. n. 11 del 2009[10], d.l. n. 16 del 2005[11]) che, a loro volta, contengono disposizioni nelle più variegate materie.

Come evidenziato anche dalla dottrina, si osserva che se «tradizionalmente si ravvisa il nucleo costitutivo della nozione di sicurezza pubblica nella finalità di conservazione dello Stato e di mantenimento dell'ordine interno, nell'ordinamento italiano la nozione di sicurezza pubblica è sempre rimasta indefinita, ed il ricorrente accostamento alla materia dell'ordine pubblico impone tuttora di individuare caratteri distintivi che ne permettano una autonoma definizione»[12].

Sulla materia della sicurezza pubblica è inoltre intervenuta la stessa Corte costituzionale a più riprese dopo l’entrata in vigore della riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione (v. ad esempio le sentt. 6/2004, 95/2005, 226/2010), circoscrivendone l’ambito anche ai fini del corretto riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni.

 

6) reati in materia di giochi d’azzardo e scommesse

Per quanto riguarda le scommesse e i giochi d'azzardo, anche in questo caso, oltre al codice penale, la disciplina fondamentale è contenuta nel TULPS. Si ricorda, inoltre, che l’articolo 4 della legge 401/1989 (Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive) punisce l’organizzazione di scommesse o concorsi pronostici abusivi e la partecipazione agli stessi; in particolare, il comma 3 punisce con l’arresto fino a tre mesi o con l'ammenda da euro 51 a euro 516 chiunque partecipa a concorsi, giuochi, scommesse gestiti abusivamente, fuori dei casi di concorso in uno dei reati più gravi, legati all’organizzazione del gioco clandestino.

 

7) reati in materia di armi ed esplosivi

Con riferimento alla materia relativa alle armi e agli esplosivi, si rammenta che il possesso degli stessi è in parte disciplinato dal TULPS, ma ha anche una legislazione speciale molto più ampia, che era stata espressamente esclusa dalla depenalizzazione di cui alla legge n. 689 del 1981 (esclusione dei reati in tema di armi, munizioni ed esplosivi).

 

8) reati in materia elettorale e di finanziamento dei partiti

Per quanto riguarda la materia relativa alle elezioni e al finanziamento ai partiti, l'esclusione dalla depenalizzazione dovrebbe, in particolare, riguardare la previsione di cui al terzo comma dell’art. 7 della legge 175/1994 (che punisce con la reclusione da 6 mesi a 4 anni e con la multa fino al triplo delle somme versate in violazione della legge, chiunque corrisponde o riceve contributi in violazione dei divieti previsti, ovvero, trattandosi di società, senza che sia intervenuta la deliberazione dell'organo societario o senza che il contributo o il finanziamento siano stati regolarmente iscritti nel bilancio).

 

9) reati in materia di proprietà intellettuale e industriale

In merito si ricorda che l'articolo 1 del Codice della proprietà industriale di cui al D.Lgs. 30/2005 definisce l'espressione "proprietà industriale" ricomprendendo nella stessa "marchi ed altri segni distintivi, indicazioni geografiche, denominazioni di origine, disegni e modelli, invenzioni, modelli di utilità, topografie dei prodotti a semiconduttori, informazioni aziendali riservate e nuove varietà vegetali". L'espressione "proprietà intellettuale", qui utilizzata, comprenderebbe invece specificamente la materia del diritto d'autore la cui disciplina di riferimento è contenuta nella legge 633/1941.

 

La trasformazione in illeciti amministrativi di specifici reati contenuti nel codice penale (lettera b))

La lettera b) del comma 2 individua poi nel codice penale alcuni reati - diversi da quelli oggetto della previsione di cui alla lettera a) - dei quali viene disposta in modo espresso la trasformazione in illeciti amministrativi. Si tratta:

1) dei delitti previsti dagli articoli 527, primo comma, e 528, limitatamente alle ipotesi di cui al primo e al secondo comma, in materia di atti osceni e pubblicazioni e spettacoli osceni;

2) delle contravvenzioni previste dagli articoli 652, 659, 661, 668 e 726, concernenti specificamente le ipotesi di rifiuto di prestare la propria opera in occasione di un tumulto, di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone, di abuso della credulità popolare, di rappresentazioni teatrali o cinematografiche abusive e, infine, di atti contrari alla pubblica decenza.

 

La trasformazione in illecito amministrativo del reato di omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali (lettera c))

La lettera c) prevede espressamente la depenalizzazione del reato previsto dall’art. 2, comma 1-bis, del decreto-legge 463/1983[13]: si tratta dell’omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, attualmente punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire due milioni. La depenalizzazione opera purchè l’omesso versamento non ecceda complessivamente i 10.000 euro annui.

Peraltro, già attualmente la disposizione stabilisce – così come fa la lettera c) - la non punibilità del datore di lavoro che provvede al versamento entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell'avvenuto accertamento della violazione.

 

La trasformazione in illecito amministrativo di alcune specifiche contravvenzioni punite con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda (lettera d))

La lettera d) del comma 1 dell’articolo 2 della proposta di legge individua alcune contravvenzioni, attualmente punite con la pena detentiva alternativa alla pena pecuniaria, e ne dispone la trasformazione in illeciti amministrativi.

 

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 162-bis del codice penale, in caso di contravvenzione punita con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda, prima dell’apertura del dibattimento il contravventore non recidivo né delinquente abituale o per tendenza può essere ammesso a pagare una somma pari alla metà del massimo dell’ammenda prevista (oltre le spese del procedimento), così estinguendo il reato per oblazione. Il giudice può respingere la domanda di oblazione avuto riguardo alla gravità del fatto.

 

Le contravvenzioni da depenalizzare, espressamente individuate dal disegno di legge delega sono le seguenti:

 

1) la contravvenzione prevista dall’art. 11, primo comma, della legge n. 234 del 1931

La disposizione richiamata punisce con l'arresto fino a due anni o con l’ammenda da lire 40.000 a 400.000 le violazioni della legge 8 gennaio 1931, n. 234, che detta Norme per l'impianto e l'uso di apparecchi radioelettrici privati e per il rilascio delle licenze di costruzione, vendita e montaggio di materiali radioelettrici.

 

2) la contravvenzione prevista dall’art. 171-quater della legge sul diritto d’autore

L’articolo 171-quater della legge n. 633 del 1941[14] punisce con l'arresto sino ad un anno o con l'ammenda da euro 516 a euro 5.164 chiunque abusivamente ed a fini di lucro: a) concede in noleggio o comunque concede in uso a qualunque titolo, originali, copie o supporti lecitamente ottenuti di opere tutelate dal diritto di autore; b) esegue la fissazione su supporto audio, video o audiovideo delle prestazioni artistiche di attori, i cantanti, i musicisti, i ballerini e le altre persone che rappresentano, cantano, recitano, declamano o eseguono in qualunque modo opere dell'ingegno, siano esse tutelate o di dominio pubblico.

 

3) la contravvenzione prevista dall’art. 3 del decreto legislativo luogotenenziale n. 506 del 1945

Si fa qui riferimento al D.Lgs.Lgt. 10 agosto 1945, n. 506, che reca Disposizioni circa la denunzia dei beni che sono stati oggetto di confische, sequestri o altri atti di disposizione adottati sotto l'impero del sedicente governo repubblicano. In particolare, l’articolo 3 punisce con l'arresto non inferiore nel minimo a sei mesi o con l'ammenda non inferiore a lire 2.000.000 chiunque omette di denunciare la detenzione di beni mobili o immobili che siano stati oggetto di confisca o sequestro disposti da qualsiasi organo amministrativo o politico sotto l'impero del sedicente governo della Repubblica sociale italiana. Ove l'omissione risulti colposa la pena è dell'arresto non inferiore a tre mesi o dell'ammenda non inferiore a lire 1.000.000.

 

4) la contravvenzione prevista dall’articolo 15, secondo comma, della legge n. 1329 del 1965

La legge 28 novembre 1965, n. 1329, recante Provvedimenti per l'acquisto di nuove macchine utensili, punisce all’articolo 15, secondo comma, chiunque ometta di far ripristinare il contrassegno alterato, cancellato, o reso irriconoscibile da altri, apposto su macchina di cui abbia il possesso o la detenzione, ovvero ometta di comunicare al cancelliere del tribunale indicato nel contrassegno l'alterazione, la cancellazione, o la intervenuta irriconoscibilità del contrassegno. La pena letteralmente prevista dalla disposizione è l'ammenda da lire 150.000 a lire 600.000 o l'arresto fino a tre mesi.

Peraltro, avendo l’articolo 4 del d.lgs n. 274/2000 attribuito la competenza su questa contravvenzione al giudice di pace, la pena è ora dell’ammenda da euro 258 a euro 2.582, ai sensi di quanto disposto dall'articolo 52, comma 2, lettera a), dello stesso decreto legislativo.

Si osserva che questa disposizione dovrebbe risultare già oggetto di depenalizzazione in base alla precedente lettera a).

 

5) la contravvenzione prevista dall’articolo 16, quarto comma, del decreto-legge 745/1970

Si tratta della disposizione che punisce con l'arresto da 2 mesi a 2 anni o con l'ammenda da 155 a 1.550 euro l'abusiva installazione o esercizio di impianti di distribuzione automatica di carburanti per uso di autotrazione.

 

6) la contravvenzione prevista dall’articolo 28, comma 2, del TU stupefacenti

La disposizione riguarda la coltivazione di piante proibite nel territorio nazionale senza le prescritte autorizzazioni.

 

L’entità della sanzione amministrativa (lettera e))

La lettera e) del comma 2 dell'articolo 2 stabilisce poi che, nell'esercizio della delega, per i reati trasformati in illeciti amministrativi:

§  siano previste sanzioni adeguate e proporzionate alla gravità della violazione, all'eventuale reiterazione dell'illecito, all'opera svolta dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle sue conseguenze, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche;

§  sia prevista come sanzione principale il pagamento di una somma compresa tra un minimo di euro 5.000 e un massimo di euro 50.000;

§  nelle ipotesi di cui alle precedenti lettere b) e d), ovvero per la trasformazione in illecito amministrativo di reati ora previsti dal codice penale o delle specifiche contravvenzioni punite ora con pena alternativa, sia prevista l'applicazione anche di eventuali sanzioni amministrative accessorie consistenti nella sospensione di facoltà e diritti derivanti da provvedimenti dell'amministrazione.

 

L’autorità competente ad irrogare le sanzioni (lettera f))

La lettera f) delega il Governo a individuare l’autorità competente a irrogare le sanzioni amministrative, rispettando i criteri di riparto indicati nella legge n. 689 del 1981.

 

Si ricorda che l'applicazione della sanzione amministrativa in base alla legge n. 689 del 1981 avviene secondo il seguente schema:

§  accertamento, contestazione-notifica al trasgressore;

§  pagamento in misura ridotta o inoltro di memoria difensiva all’autorità amministrativa;

§  archiviazione o emanazione di ordinanza ingiunzione di pagamento da parte dell’autorità amministrativa;

§  eventuale opposizione all’ordinanza ingiunzione davanti all’autorità giudiziaria (giudice di pace o tribunale);

§  accoglimento dell’opposizione, anche parziale o rigetto (sentenza ricorribile per cassazione);

§  eventuale esecuzione forzata per la riscossione delle somme.

 

Dal punto di vista procedimentale, occorre innanzitutto che essa sia accertata dagli organi di controllo competenti o dalla polizia giudiziaria (art. 13). L'attività di accertamento può consistere nell'assunzione di informazioni, nell'ispezione della dimora privata, in rilievi segnaletici, fotografici e nel sequestro cautelare della cosa che è stata utilizzata per commettere l'illecito o che ne costituisce il prezzo o il profitto (come avviene in caso di guida di autoveicolo non coperto da assicurazione obbligatoria o senza documento di circolazione). In particolare, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, oltre che esercitare i poteri indicati, possono procedere, quando non sia possibile acquisire altrimenti gli elementi di prova, a perquisizioni in luoghi diversi dalla privata dimora, previa autorizzazione motivata del competente tribunale territoriale. È fatto salvo l'esercizio degli specifici poteri di accertamento previsti dalle leggi vigenti.

La violazione deve essere immediatamente contestata o comunque notificata al trasgressore entro 90 giorni (art. 14); entro i successivi 60 giorni l'autore può conciliare pagando una somma ridotta pari alla terza parte del massimo previsto o pari al doppio del minimo (cd. oblazione o pagamento in misura ridotta, art. 16).

In caso contrario, egli può, entro 30 giorni, presentare scritti difensivi all'autorità competente; quest'ultima, dopo aver esaminato i documenti e le eventuali memorie presentate, se ritiene sussistere la violazione contestata determina l'ammontare della sanzione con ordinanza motivata e ne ingiunge il pagamento (cd. ordinanza-ingiunzione, art. 18).

Entro 30 giorni dalla sua notificazione l'interessato può presentare opposizione all’ordinanza ingiunzione (che, salvo eccezioni, non sospende il pagamento), inoltrando ricorso all’autorità giudiziaria competente (art. 22, 22-bis).

In base all’art. 6 del decreto-legislativo 150/2011, l’autorità giudiziaria competente è il giudice di pace a meno che, per il valore della controversia (sanzione pecuniaria superiore nel massimo a 15.493 euro) o per la materia trattata (tutela del lavoro, igiene sui luoghi di lavoro e prevenzione degli infortuni sul lavoro; previdenza e assistenza obbligatoria; tutela dell'ambiente dall'inquinamento, della flora, della fauna e delle aree protette; igiene degli alimenti e delle bevande; valutaria; antiriciclaggio), non sussista la competenza del tribunale.

L'esecuzione dell'ingiunzione non viene sospesa e il giudizio che con esso si instaura si può concludere o con un'ordinanza di convalida del provvedimento o con sentenza di annullamento o modifica del provvedimento. Il giudice ha piena facoltà sull'atto, potendo o annullarlo o modificarlo, sia per vizi di legittimità che di merito.

In caso di condizioni economiche disagiate del trasgressore, l’autorità che ha applicato la sanzione può concedere la rateazione del pagamento (art. 26)

Decorso il termine fissato dall’ordinanza ingiunzione, in assenza del pagamento, l’autorità che ha emesso il provvedimento procede alla riscossione delle somme dovute con esecuzione forzata in base alle norme previste per l’esazione delle imposte dirette (art. 27). Il termine di prescrizione delle sanzioni amministrative pecuniarie è di 5 anni dal giorno della commessa violazione (art. 28).

 

Il pagamento in misura ridotta e la rateizzazione (lettera g))

La lettera f) stabilisce che i decreti legislativi prevedano – a fronte dell’irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria – la possibilità di definire il procedimento mediante il pagamento – anche rateizzato – di un importo pari alla metà della sanzione irrogata.

 

Si ricorda che l’articolo 16 della legge n. 689 del 1981 attualmente consente il pagamento di una somma in misura ridotta pari alla somma minore tra:

-      la terza parte del massimo della sanzione prevista per la violazione commessa;

-      il doppio del minimo della sanzione edittale oltre alle spese del procedimento, entro 60 giorni dalla contestazione immediata o, se questa non vi è stata, dalla notificazione degli estremi della violazione.

 

Quanto alla rateizzazione, l’articolo 26 della legge n. 689 prevede che l'autorità giudiziaria o amministrativa che ha applicato la sanzione pecuniaria possa disporre, su richiesta dell'interessato che si trovi in condizioni economiche disagiate, che la sanzione medesima venga pagata in rate mensili da tre a trenta; ciascuna rata non può essere inferiore a euro 15. In ogni momento il debito può essere estinto mediante un unico pagamento. Decorso inutilmente, anche per una sola rata, il termine fissato dall'autorità giudiziaria o amministrativa, l'obbligato è tenuto al pagamento del residuo ammontare della sanzione in un'unica soluzione.

 

L’abrogazione di articoli del codice penale (comma 3, lett. a) e c)

Il comma 3, lettera a) stabilisce che, nell'esercizio della delega, il Governo dovrà abrogare i seguenti delitti:

§  delitti di falsità in scritture private di cui al libro secondo, titolo VII, capo III (Della falsità in atti), del codice penale, limitatamente alle condotte relative a scritture private e ad esclusione delle fattispecie previste dall'articolo 491, ovvero delle ipotesi nelle quali agli effetti della pena le scritture private siano equiparate agli atti pubblici[15];

§  delitto di ingiuria (art. 594 c.p.[16]);

§  delitto di sottrazione di cose comuni (art. 627 c.p.[17]);

§  delitti di usurpazione (art. 631 c.p.[18]), di deviazione di acque e modificazione dello stato dei luoghi (art. 632 c.p.[19]), di invasione di terreni o edifici (art 633 c.p.[20], primo comma), di danneggiamento (art. 635 c.p.[21], primo comma) limitatamente alle ipotesi perseguibili a querela;

§  delitto di appropriazione di cose smarrite, del tesoro o di cose avute per errore o caso fortuito (art. 647 c.p.[22])

La successiva lettera c) stabilisce che, per i delitti di cui alla lettera a), vengano previste adeguate sanzioni pecuniarie civili, fermo il diritto al risarcimento del danno.

 

Si ricorda che di sanzioni civili tratta il Libro I del codice penale, al Titolo VII (Delle sanzioni civili), includendo in questa categoria tra l’altro le restituzioni e il risarcimento del danno (art. 185) e la riparazione del danno mediante pubblicazione della sentenza di condanna (art. 186). Peraltro, tutte le disposizioni di questo titolo fanno riferimento alla sanzione civile conseguente al reato, e pertanto non possono essere tout court richiamate laddove di reato non possa parlarsi per abrogazione della fattispecie incriminatrice.

 

Di sanzioni pecuniarie civili trattano più ampiamente le successive lettere d) ed e), alle quali si rinvia, che specificano meglio anche l’entità della sanzione per le condotte che diverranno penalmente irrilevanti.

 

La depenalizzazione del reato di immigrazione clandestina (comma 3, lett. b))

La lettera b) prevede l'ulteriore criterio dell'abrogazione, con trasformazione in illecito amministrativo, del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, di cui all'articolo 10-bis del TU immigrazione (Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286). Si tratta della contravvenzione introdotta nel TU immigrazione dalla legge 94/2009 (parte integrante del “pacchetto sicurezza” varato all’inizio della XVI legislatura) con la quale si punisce con una ammenda da 5 mila a 10 mila euro lo straniero che fa ingresso o si trattiene nel territorio dello Stato illegalmente. Sul procedimento penale è competente il giudice di pace.

 

Analiticamente, in base all’art. 10-bis del t.u. immigrazione, salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del testo unico nonché di quelle di cui all’articolo 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68, è punito con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro. Al reato non si applica l’articolo 162 del codice penale (comma 1). Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano allo straniero destinatario del provvedimento di respingimento ai sensi dell’ articolo 10, comma 1 ovvero allo straniero identificato durante i controlli della polizia di frontiera, in uscita dal territorio nazionale (comma 2). Al procedimento penale per il reato di cui al comma 1 si applicano le disposizioni di cui agli articoli 20-bis, 20-ter e 32-bis del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, sulla competenza penale del giudice di pace (comma 3). Ai fini dell’esecuzione dell’espulsione dello straniero denunciato ai sensi del comma 1 non è richiesto il rilascio del nulla osta di cui all’ articolo 13, comma 3, da parte dell’autorità giudiziaria competente all’accertamento del medesimo reato. Il questore comunica l’avvenuta esecuzione dell’espulsione ovvero del respingimento di cui all’ articolo 10, comma 2, all’autorità giudiziaria competente all’accertamento del reato (comma 4). Il giudice, acquisita la notizia dell’esecuzione dell’espulsione o del respingimento ai sensi dell’ articolo 10, comma 2, pronuncia sentenza di non luogo a procedere. Se lo straniero rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima del termine previsto dall’ articolo 13, comma 14, si applica l’articolo 345 del codice di procedura penale (comma 5). Nel caso di presentazione di una domanda di protezione internazionale di cui al decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, il procedimento è sospeso. Acquisita la comunicazione del riconoscimento della protezione internazionale di cui al decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, ovvero del rilascio del permesso di soggiorno nelle ipotesi di cui all’ articolo 5, comma 6, del testo unico, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere (comma 6).

 

La materia è parzialmente interessata dalla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 6 dicembre 2012, C-430/11 (caso Sagor). Con questa sentenza la Corte UE ha ravvisato l’incompatibilità di alcune disposizioni del testo unico in materia di immigrazione con la direttiva 2008/115/CE (c.d. direttiva “rimpatri”) recepita dall’ordinamento ad opera del decreto-legge 89/2011.

Il reato di immigrazione illegale non è in realtà oggetto di sindacato della sentenza Sagor. Quest’ultima, peraltro, ribadisce il proprio orientamento secondo il quale la direttiva rimpatri non vieta che il diritto di uno Stato membro qualifichi il soggiorno irregolare quale reato e lo punisca con sanzioni penali.

Tuttavia, la Corte individua nella procedura penale connessa alla punizione del reato alcune misure che compromettono l’applicazione delle norme previste dalla direttiva, “privando quest’ultima del suo effetto utile”.

La prima misura risiede nella previsione, contenuta nella legge sulla competenza penale del giudice di pace, che la pena pecuniaria non eseguita per insolvibilità del condannato si converte, a richiesta del condannato, in lavoro sostitutivo da svolgere per un periodo non inferiore ad un mese e non superiore a sei mesi. Se il condannato non richiede di svolgere il lavoro sostitutivo oppure si sottrae ad esso si applica l’obbligo di permanenza domiciliare al massimo di 45 giorni (art. 55, D.Lgs. 274/2000).

Secondo la Corte, la previsione dell’obbligo della permanenza domiciliare applicata allo straniero irregolare contraddice il principio della direttiva secondo il quale l’allontanamento deve essere adempiuto con la massima celerità.

Infatti, l’articolo 8 della direttiva prevede che gli Stati membri adottano tutte le misure necessarie per eseguire la decisione di rimpatrio qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria (da 7 a 30 giorni).

E’ vero che il giudice può sostituire la pena dell’ammenda con l’espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni (art. 16, comma 1 TU). Ma in questo caso l’espulsione è immediata; infatti l’art. 16, comma 2, TU fa rinvio per le modalità di espulsione all’art. 13, comma 4, TU, relativo espulsione con accompagnamento alla frontiera, e “immediata”, come definita dal successivo comma 5.

E qui interviene la seconda censura della Corte che ribadisce che la facoltà di sostituire l’ammenda con l’espulsione non è di per sé vietata dalla direttiva, ma tuttavia l’espulsione immediata, ossia senza la concessione di un periodo di tempo per la partenza volontaria, può essere disposta esclusivamente in presenza di precise condizioni (quali il pericolo di fuga ecc.) e che “qualsiasi valutazione al riguardo deve fondarsi su un esame individuale della fattispecie in cui è coinvolto l’interessato” e quindi non può applicarsi automaticamente allo straniero per il solo fatto di essere in posizione irregolare e condannato per il reato di immigrazione clandestina.

L’adeguamento dell’ordinamento interno alla sentenza della Corte è previsto dall’articolo 2 del disegno di legge europea 2013-bis, attualmente al’esame della Camera (A.C. 1864).

 

 

Il principio di delega prevede che debbano conservare rilievo penale le condotte di violazione dei provvedimenti amministrativi adottati in materia. Tra queste si ricorda la violazione del divieto di reingresso nel territorio dello Stato successivamente all’espulsione amministrativa, punita con la reclusione da 1 a 4 anni (art. 13, co. 13, TU); la violazione del divieto di reingresso a seguito di espulsione disposta dal giudice, punita con la stessa pena (art. 13, co. 13-bis, TU); il reingresso dello straniero già punito per violazione del divieto di reingresso, punito con la reclusione da 1 a 5 anni (art. 13, co. 13-bis TU); la violazione dell’ordine di lasciare il territorio dello Stato, punito con una multa fino a 20.000 la prima volta (art. 14, co. 5-ter, TU) e fino a 30.000 euro successivamente (art. 14, co. 5-quater, TU).

 

Pare utile coordinare questa disposizione con quella di carattere generale contenuta nel comma 2, lettera a), ai sensi della quale - come già evidenziato - il Governo è delegato a trasformare in illeciti amministrativi tutti i reati per i quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda (salve le sopra richiamate eccezioni).

L’introduzione di sanzioni pecuniarie civili (comma 3, lett. d) ed e))

La lettera d) delega il Governo a disciplinare una sanzione pecuniaria civile, da aggiungere al risarcimento del danno patito dall’offeso, individuando:

-        le condotte alle quali applicare la sanzione;

-        l’importo minimo e massimo;

-        l’autorità competente all’irrogazione.

Si rileva la particolare ampiezza dei principi di delega sul punto, che non indicano né le condotte né i limiti delle sanzioni. Pare utile valutare se il riferimento alla “autorità competente all’irrogazione” debba intendersi all’autorità giudiziaria (se fosse un’autorità amministrativa, verrebbe meno il tratto peculiare delle sanzioni civili rispetto a quelle amministrative).

 

La successiva lettera e) specifica che nella individuazione della sanzione civile da applicare alle condotte di cui alla lettera a) – ovvero descritte in articoli del codice penale soggetti ad abrogazione – il Governo dovrà rispettare i seguenti criteri:

§  proporzionalità alla gravità della violazione;

§  proporzionalità alla reiterazione dell’illecito;

§  proporzionalità all’arricchimento del soggetto responsabile;

§  proporzionalità all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della propria azione;

§  proporzionalità alla personalità dell’agente;

§  proporzionalità alle condizioni economiche dell’agente.

 

L’istituto delle sanzioni civili, ulteriori rispetto al risarcimento, evoca i punitive damages (danni punitivi) di derivazione anglosassone. I punitive damages si caratterizzano per una condanna che prevede il pagamento di una somma di denaro che oltrepassa l'ammontare dei danni effettivamente subìti dal danneggiato, allo scopo di punire comportamenti dolosi, oppressivi od oltraggiosi aventi particolare gravità sociale.

 

I punitive damages già trovano una prima, embrionale espressione nel nostro ordinamento nell’art. 96 c.p.c., il cui terzo comma, introdotto dalla legge 69/2009, prevede la possibilità per il giudice di pronunciare, contestualmente alla statuizione sulle spese di lite, condanna, anche di ufficio, della parte soccombente al pagamento in favore della controparte di somma – ulteriore rispetto alle spese processuali – equitativamente determinata.

Come può desumersi dall'analisi dei lavori preparatori alla riforma, il legislatore ha adottato quale modello di riferimento l'istituto regolato dal previgente - e contestualmente abrogato - articolo 385, quarto comma (che così recitava: «Quando pronuncia sulle spese, anche nelle ipotesi di cui all'articolo 375, la Corte, anche d'ufficio, condanna, altresì, la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma, equitativamente determinata, non superiore al doppio dei massimi tariffari, se ritiene che essa ha proposto il ricorso o vi ha resistito anche solo con colpa grave»). In questo modo, – con l'inserimento di una norma analoga nel libro primo del codice – il legislatore ha introdotto una disposizione di portata generale, riferita a ogni tipo di controversia e non circoscritta al solo ricorso per Cassazione.

Peraltro, diversamente dal modello ispiratore dell'art. 385, 4° co., la norma introdotta chiarisce unicamente che la condanna può essere pronunciata: a) anche d'ufficio, senza necessità di un'apposita istanza di parte (che, se formulata, assume valenza di mera sollecitazione all'esercizio del potere officioso); b) soltanto nei confronti della parte soccombente in giudizio; soccombenza, questa, da intendere, in analogia con quanto ritenuto in relazione alla fattispecie di cui al 1° co., come totale e concreta, con esclusione delle ipotesi di soccombenza reciproca o parziale.

Sul punto, si veda da ultimo Trib. Bari Sez. III, 14-02-2012, secondo cui l'art. 96, comma 3, c.p.c. ha introdotto una vera e propria pena pecuniaria che prescinde dalla domanda di parte e dalla prova dei danni e si fonda sulla mala fede o la colpa grave del soggetto risultato poi soccombente nel giudizio.

Anche il Consiglio di Stato, nella sent. n. 3083 del 23 maggio 2011, ha evidenziato come, in materia di spesa di giudizio, la norma sancita dall'art. 96, co. 3, persegua lo scopo immediato di approntare una soddisfazione in denaro alla parte risultata vincitrice in un processo civile; indirettamente si coglie l'ulteriore intento della legge di arginare il proliferare di cause superflue che appesantiscono oggettivamente gli uffici giudiziari ostacolando la realizzazione del giusto processo attraverso il rispetto del valore (costituzionale ed internazionale) della ragionevole durata del processo.

 

Il comma 4 prevede che i decreti legislativi siano adottati entro il termine di 18 mesi dalla data di entrata in vigore della nuova legge, su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.

Sugli schemi dei decreti legislativi dovranno esprimere il parere le competenti Commissioni entro il termine di 30 giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti sono emanati anche in mancanza dei pareri. Qualora detto termine venga a scadere nei trenta giorni antecedenti allo spirare del termine di diciotto mesi di cui sopra o successivamente, la scadenza di quest'ultimo è prorogata di sessanta giorni.

Si dispone inoltre che nella predisposizione dei decreti legislativi il Governo tenga conto delle eventuali modificazioni della normativa vigente comunque intervenute fino al momento dell'esercizio della delega. Si prevede altresì che i decreti legislativi contengano le disposizioni necessarie al coordinamento con le altre norme legislative vigenti nella stessa materia.

 

Infine il comma 5 stabilisce che, entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore dell'ultimo dei decreti, possono essere emanati uno o più decreti correttivi ed integrativi nel rispetto della procedura di cui al comma 4, nonché dei principi e criteri direttivi di cui all'articolo in commento.

 

Si osserva, infine che l’articolo 2 non contiene alcuna previsione in ordine ad un'apposita normativa transitoria da accompagnare alla depenalizzazione. In assenza di una disciplina che disponga l’applicazione retroattiva delle sanzioni amministrative previste per gli illeciti depenalizzati, la giurisprudenza della Cassazione penale esclude che i fatti commessi quando la fattispecie costituiva reato possano essere sanzionati. Non è possibile sanzionarli né in via penale (essendosi verificata una abolitio criminis ai sensi dell’articolo 25 della Costituzione e dell’articolo 2, comma 2, del codice penale), né quali illeciti amministrativi, in quanto l’articolo 1 della legge n. 689 del 1981 stabilisce che «nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione» (comma 1) e che «le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e nei tempi in esse considerati» (comma 2).

La Cassazione penale ha pertanto affermato che, nel caso in cui le leggi di depenalizzazione non contemplino norme transitorie, il giudice penale deve dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, senza tuttavia rimettere gli atti all’autorità amministrativa competente all’applicazione della sanzione pecuniaria. Diverso è l’orientamento della Cassazione civile che ritiene le disposizioni transitorie previste dalla Legge n. 689 del 1981 – in base alla quale le disposizioni in materia di depenalizzazione contenute nella legge "si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente all'entrata in vigore della presente legge che le ha depenalizzate, quando il relativo procedimento penale non sia stato definito" (art. 40) – siano suscettibili di interpretazione analogica, essendo dunque consentita l'applicazione, pur in mancanza di una norma espressa, delle nuove sanzioni amministrative pecuniarie agli illeciti depenalizzati commessi prima della legge di depenalizzazione.

Proprio per evitare incertezze sul punto una specifica previsione di delega in ordine alla normativa transitoria fu introdotta nella depenalizzazione di cui alla legge n. 205 del 1999 (si veda in particolare l'articolo 16, comma 1, lettera b) della legge citata). La funzione di un'apposita normativa transitoria si evidenzia peraltro anche con riferimento alle ipotesi di trasformazione di reati in illeciti civili, rispetto alle quali mancano peraltro precedenti normativi essendo quelli - cui si è fatto riferimento in precedenza - limitati a casi di trasformazione di reati in illeciti amministrativi.


Capo II
(Sospensione del procedimento con messa alla prova)

Il Capo II della proposta, composto, a seguito dell’approvazione da parte del Senato, dagli articoli da 3 a 8, introduce nell'ordinamento l'istituto della sospensione del procedimento penale con messa alla prova.

Scopo della nuova disciplina – ispirata alla probation di origine anglosassone - è quello di estendere l'istituto, tipico del processo minorile, anche al processo penale per adulti in relazione a reati di minor gravità.

 

La disciplina del processo penale minorile (DPR 448/1988) prevede (art. 28) che il giudice, sentite le parti, possa disporre con ordinanza la sospensione del processo quando ritiene di dover valutare la personalità del minorenne all'esito della prova. Il processo è sospeso per un periodo non superiore a tre anni quando si procede per reati per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni; negli altri casi, per un periodo non superiore a un anno. Durante tale periodo è sospeso il corso della prescrizione (comma 1). Con l'ordinanza di sospensione il giudice affida il minorenne ai servizi minorili dell'amministrazione della giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi locali, delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno. Con il medesimo provvedimento il giudice può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato (comma 2). Contro l'ordinanza possono ricorrere per Cassazione il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore (comma 3). La sospensione è revocata in caso di ripetute e gravi trasgressioni alle prescrizioni imposte (comma 5).

Ai sensi del successivo art. 29 del DPR, decorso il periodo di sospensione, il giudice fissa una nuova udienza nella quale dichiara con sentenza estinto il reato se, tenuto conto del comportamento del minorenne e della evoluzione della sua personalità, ritiene che la prova abbia dato esito positivo. All’esito negativo della prova, il giudice assume, ex artt. 32 e 33, gli opportuni provvedimenti per la prosecuzione del processo.

L’art. 27 del D.L.vo n. 272/1989 (Norme di attuazione del processo minorile) detta la disciplina delle modalità di articolazione dell’intervento dei servizi sociali minorili sia per l’elaborazione del progetto individuale della messa alla prova che dei controlli periodici sul minore e i relativi obblighi di informazione al giudice sull’andamento della prova.

 

L’introduzione della messa alla prova nel processo penale ordinario era stata prevista anche nei lavori della cd. Commissione Pisapia[23] durante la XV legislatura.

 

La Relazione finale della Commissione Pisapia (19 novembre 2007) così recitava: La Commissione ha ritenuto di estendere al processo per adulti, in presenza di reati puniti con pena diversa da quella detentiva e per i reati per cui è prevista una pena detentiva non superiore nel massimo a tre anni, l'istituto della “messa alla prova”, che, nel processo minorile ha dato risultati positivi in una percentuale, secondo stime del Ministero, attorno all'85%. Tale istituto ….. oltre a consentire di pervenire all'estinzione del reato (laddove la rinnovata sospensione condizionale della pena potrà solo estinguere quest'ultima), avrà sicuramente effetti positivi anche in termini di deflazione del carico giudiziario. Poiché tale istituto si configura come una probation giudiziale con sospensione del procedimento, la sua concessione non poteva non essere ancorata alla tipologia di pena e/o a parametri edittali: in particolare la messa alla prova sarà possibile solo in presenza di reati puniti con pena diversa da quella detentiva o con pena detentiva non superiore nel massimo a tre anni. In caso di esito positivo della prova, il reato si estingue.

Si è previsto, onde evitare la eccessiva cumulabilità dei benefici, che - se la sospensione del processo con messa alla prova sia stata concessa per reato punito con pena detentiva - una eventuale successiva sospensione condizionale della pena non potrà mai essere concessa più di una volta. La Commissione ha ritenuto che la disciplina concreta dell'Istituto, per il suo carattere fondamentalmente processuale, dovrà trovare spazio nel codice di rito”.

La messa alla prova (introdotta dall’art. 44 dell’articolato della Commissione) è, inoltre, stata prevista dalla stessa Commissione anche in possibile abbinamento alla sospensione condizionale della pena, anch’essa oggetto di intervento nel progetto di legge delega. L’art. 48 dell’articolato (Sospensione condizionale della pena con prescrizioni e misure di controllo) aveva, infatti previsto che la sospensione condizionale potesse, o dovesse, a secondo dei casi, accompagnarsi alla messa alla prova; la norma stabiliva, infatti, che il giudice, nel sospendere l'esecuzione della pena, potesse ordinare la messa alla prova del condannato per il periodo corrispondente, per favorirne il reinserimento sociale e che in caso di seconda concessione la messa alla prova fosse obbligatoria. In caso di messa alla prova: a) il giudice, sentite le parti, determina prescrizioni per il reinserimento sociale che non siano lesive della dignità e dei diritti fondamentali del condannato; che, per le prescrizioni che prevedano obblighi di fare, sia obbligatorio il consenso del condannato e che, in caso di rifiuto, il giudice, ove comunque la conceda, possa subordinare la sospensione ad altre prescrizioni; b) il giudice possa revocare o modificare le prescrizioni; c) il giudice dia, quando necessario, disposizioni per interventi di aiuto, di sostegno e di controllo del condannato; d) la prova decorra dalla condanna, salvo che l'imputato richieda un inizio anticipato; e) il giudice possa dichiarare l'estinzione anticipata del periodo di prova quando ritenga raggiunto il reinserimento sociale dello stesso.


Articolo 3
(Modifiche al codice penale in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova)

L’articolo 3 modifica il codice penale aggiungendo al capo I del titolo IV del libro I (tra le cause estintive del reato) tre nuovi articoli (da 168-bis a 168-quater) relativi alla messa alla prova. Su tali disposizioni, già introdotte dalla Camera, è intervenuto il Senato.

 

Il nuovo articolo 168-bis c.p. prevede che nei seguenti procedimenti l'imputato possa chiedere la sospensione del processo con messa alla prova (primo comma):

§  procedimenti per reati puniti con la sola pena pecuniaria;

§  procedimenti per reati puniti con pena detentiva fino a 4 anni (sola, congiunta o alternativa a pena pecuniaria);

La formulazione del testo esclude che abbiano qualsiasi rilievo, ai fini dell'applicabilità dell'istituto della sospensione, tutte le circostanze aggravanti, incluse quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e quelle ad effetto speciale.

Si osserva, dal punto di vista sistematico, che i riferimenti ai limiti edittali sono, in genere, integrati da previsioni che tengono conto in modo specifico degli effetti delle circostanze per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e di quelle ad effetto speciale (si veda, a titolo esemplificativo, il disposto dell'articolo 157 del codice penale in tema di prescrizione ovvero quello dell'articolo 4 del codice di procedura penale o ancora quello dell'articolo 278 dello stesso codice in materia di misure cautelari.

§  procedimenti per uno dei reati in relazione ai quali l'articolo 550, comma 2, c.p.p. prevede la citazione diretta a giudizio ovverosia violenza o minaccia a un pubblico ufficiale (art. 336 c.p.), resistenza a un pubblico ufficiale (art. 337 c.p.), oltraggio a un magistrato in udienza aggravato (art. 343, secondo comma, c.p.), violazione di sigilli aggravata (art. 349, secondo comma, c.p.), rissa aggravata (art. 588, secondo comma, c.p.) con esclusione delle ipotesi in cui nella rissa taluno sia rimasto ucciso o abbia riportato lesioni gravi o gravissime, furto aggravato (art. 625 c.p.) e ricettazione (art. 648 c.p.).

 

La sospensione non potrà comunque essere concessa:

-        all’imputato che si sia già avvalso di questo istituto (quarto comma). Il Senato ha infatti modificato la disposizione approvata dalla Camera che consentiva l’accesso alla messa alla prova per due volte, a meno che non si trattasse di un procedimento per reato della stessa indole rispetto a quello per il quale si era già beneficiato della messa alla prova;

-        ai delinquenti e contravventori abituali (artt. 102, 103 e 104 c.p.), professionali (art. 105 c.p.) e ai delinquenti per tendenza (art. 108 c.p.), in base al quinto comma dell’art. 168-bis.

 

I commi secondo e terzo, sui quali è intervenuto il Senato, individuano i contenuti della messa alla prova. L'applicazione della misura comporta:

§  condotte riparatorie volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato;

§  ove possibile, misure risarcitorie del danno;

§  l’affidamento dell’imputato al servizio sociale per lo svolgimento di un programma che può comprendere attività di volontariato sociale, l'osservanza di prescrizioni sui rapporti col servizio sociale o con una struttura sanitaria oltre a possibili limitazioni della libertà di dimora, di movimento o di frequentazione di determinati locali;

§  la prestazione di lavoro di pubblica utilità. Se, infatti, la Camera aveva inserito il lavoro di pubblica utilità tra i possibili contenuti del programma elaborato dai servizi sociali, il Senato ha espressamente subordinato la messa alla prova alla prestazione del lavoro. Tale attività lavorativa presenta le seguenti caratteristiche:

-        prestazione non retribuita;

-        prestazione da determinare – in base a quanto stabilito dal Senato - tenendo conto delle specifiche professionalità e attitudini lavorative dell’imputato;

-        prestazione della durata di minimo 10 giorni (erano 30 nel testo approvato dalla Camera dei deputati), anche non continuativi;

-        prestazione da svolgere in favore della collettività presso Stato, Regioni, province, comuni o onlus, ma anche, come aggiunto da Senato, presso aziende sanitarie o organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato, anche internazionali;

-        prestazione la cui durata giornaliera non può superare le 8 ore;

-        prestazione da svolgere con modalità tali da non pregiudicare le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell'imputato.

 

Il lavoro di pubblica utilità è già presente nel nostro ordinamento.

Al riguardo vengono in rilievo, in primo luogo, le disposizioni del già citato Decreto legislativo n. 274 del 2000, sulla competenza penale del giudice di pace. Il lavoro di pubblica utilità costituisce infatti una delle sanzioni principali previste per i reati attribuiti alla competenza penale del giudice di pace (si veda l'articolo 52 del Decreto legislativo n. 274). In tale ambito l'applicazione dello stesso può avvenire "solo su richiesta dell'imputato" (ai sensi dell'articolo 54 del medesimo decreto).

In secondo luogo - con riferimento al tema in questione - vanno richiamate le modifiche apportate alla disciplina della sospensione condizionale della pena dalla legge n. 145 del 2004. In particolare, la legge citata ha modificato il disposto dell'articolo 165 del codice penale prevedendo che la sospensione condizionale della pena, quando è concessa a persona che ne ha già usufruito, deve essere subordinata all'adempimento di uno degli obblighi previsti nel primo comma del medesimo articolo 165. Tra questi è ricompresa, purché il condannato non si opponga, la prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna.

 

La prestazione di attività non retribuita a favore della collettività risulta sostanzialmente equiparabile al lavoro di pubblica utilità considerato, tra l'altro, che l'articolo 18-bis del Regio Decreto n. 601 del 1931, recante disposizioni di coordinamento e transitorie per il codice penale, introdotto dalla citata legge n. 145 de 2004, richiama, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 44, 54, commi 2, 3, 4 e 6, e 59 del predetto Decreto legislativo n. 274 del 2000. Anche tale prestazione è subordinata al consenso dell'interessato.

 

Infine, in tema di conversione delle pene pecuniarie, l'articolo 1026 della legge n. 689 del 1981 prevede che le pene della multa e dell'ammenda non eseguite per insolvibilità del condannato possono essere convertite, a richiesta del condannato, in lavoro sostitutivo.

Anche per quanto riguarda i reati di competenza del giudice di pace, ai sensi dell'articolo 55 del più volte citato Decreto legislativo n. 274, la pena pecuniaria non eseguita per insolvibilità del condannato può essere convertita, a richiesta del condannato medesimo, in lavoro sostitutivo da svolgere per un periodo non inferiore ad un mese e non superiore a sei mesi con le modalità indicate nell'articolo 54 dello stesso decreto.

Il nostro ordinamento prevede poi alcuni ulteriori e specifici casi di applicazione della sanzione del lavoro di pubblica utilità.

In proposito si rammenta che il decreto-legge n. 272 del 2005 ha introdotto una modifica all'articolo 73 testo unico in materia di sostanze stupefacenti e psicotrope - di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 - prevedendo, al comma 5-bis di tale articolo, che nelle ipotesi di produzione, traffico e detenzione illeciti delle predette sostanze, nei casi di lieve entità, il giudice può applicare la sanzione del lavoro di pubblica utilità, in luogo delle pene detentive o pecuniarie, "su richiesta dell'imputato e sentito il pubblico ministero".

Il lavoro di pubblica ha in tale ipotesi una durata corrispondente a quella della pena detentiva irrogata. Il successivo decreto-legge n. 78 del 2013, inserendo un comma 5-ter all'articolo 73 citato, ha poi ulteriormente esteso tale disciplina ad altre fattispecie di reato commesso da persona tossicodipendente o da assuntore abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope e in relazione alla propria condizione di dipendenza o di assuntore abituale, qualora il giudice infligga una pena non superiore ad un anno di detenzione e salvo che si tratti di reato previsto dall'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale o di reato contro la persona.

Inoltre nel codice della strada di cui al Decreto legislativo. n. 285 del 1992, agli articoli 186 e 187, rispettivamente dedicati alla guida sotto l'effetto dell'alcool e di stupefacenti, in seguito alle modifiche recate dalla legge n. 120 del 2010, si prevede la possibilità di sostituzione della pena detentiva o pecuniaria, in alcuni casi, con lavori di pubblica utilità "se non vi è opposizione da parte dell'imputato". Anche in questo caso il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata.

Emerge, in sintesi, come nelle vigenti previsioni in materia di lavoro di pubblica utilità ovvero relative ad analoghe fattispecie il legislatore si sia costantemente orientato nel senso di subordinare l'applicabilità di questa tipologia di sanzione al consenso, esplicito o implicito, dell'interessato. Rispetto a tale impostazione sono rinvenibili soltanto due circoscritte eccezioni.

Si tratta in primo luogo del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 1228, il quale prevede, all'articolo 1, la sanzione accessoria del lavoro di pubblica utilità per reati connessi a motivi razziali etnici o religiosi. In tale caso nulla viene specificato, dall'articolo citato, in ordine alla volontà del condannato.

In secondo luogo la legge n. 102 del 2006, inserendo nel codice della strada l'articolo 224-bis, ha previsto che, nei casi di condanna per delitto colposo in violazione del medesimo codice, il giudice possa disporre la sanzione amministrativa accessoria del lavoro di pubblica utilità. Anche in tale caso nulla si dice, nel testo del citato articolo, circa la volontà del condannato.

 

L'introduzione nell'ambito del nostro ordinamento di un'ipotesi di lavoro di pubblica utilità che prescinde dal consenso dell'interessato potrebbe, da un diverso punto di vista, essere valutata anche sotto il profilo della sua compatibilità con il divieto di lavoro forzato stabilito dall'articolo 4 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. In proposito si rammenta che il citato articolo 4, al paragrafo 2, stabilisce che "nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato od obbligatorio", mentre il successivo paragrafo 3 prevede che "non è considerato lavoro forzato od obbligatorio ai sensi del presente articolo: (a) il lavoro normalmente richiesto a una persona detenuta alle condizioni previste dall’articolo 5 della presente Convenzione o durante il periodo di libertà condizionale; (b) il servizio militare o, nel caso degli obiettori di coscienza nei paesi dove l’obiezione di coscienza è considerata legittima, qualunque altro servizio sostitutivo di quello militare obbligatorio; (c) qualunque servizio richiesto in caso di crisi o di calamità che minacciano la vita o il benessere della comunità; (d) qualunque lavoro o servizio facente parte dei normali doveri civici.".

Nella sua giurisprudenza la Corte europea dei diritti dell'uomo ha ulteriormente precisato che l'espressione "lavoro forzato o obbligatorio" indica "ogni lavoro o servizio che è imposto ad una persona sotto la minaccia di una sanzione e per il quale la detta persona non si è offerta volontariamente", rilevando inoltre come le eccezioni previste dal citato paragrafo 3 del medesimo articolo 4, nonostante la loro diversità, sono fondate su esigenze di tutela di interessi generali della collettività, nonché su esigenze di solidarietà. (si vedano Van der Mussele v. Belgium, Siliadin v. France, Karlheinz Schmidt v. Germany, Zarb Adami v. Malta, Van Droogenbroeck v. Belgium, Stummer v. Austria). Inoltre, con riferimento a casi che prevedevano sia l'obbligo di prestare attività lavorativa in condizioni di detenzione, sia l'obbligo di prestare attività lavorativa in condizioni di libertà quale adempimento al quale era subordinata la sospensione dello stato di detenzione, la Corte ha affermato che la violazione della Convenzione in tema di lavoro forzato si ha in casi di seria limitazione della libertà personale e quando il lavoro ecceda quanto richiesto dall'attuazione di un percorso di reinserimento nella società.

Potrebbe inoltre suscitare incertezze, in ordine all'esatta volontà del legislatore delegante, il fatto che la lettera i) - stabilendo che "per i reati di cui alle lettere b) e c) il giudice, sentiti l'imputato e il pubblico ministero, possa applicare anche la sanzione del lavoro di pubblica utilità, con le modalità di cui alla lettera 1)" - utilizzi una formulazione che già sul piano letterale può essere letta sia nel senso di configurare la sanzione del lavoro di pubblica utilità come una misura che si aggiunge alla reclusione domiciliare ovvero all'arresto domiciliare, sia nel senso che il giudice può applicare la sanzione del lavoro di pubblica utilità in via alternativa alle predette pene detentive non carcerarie per i reati considerati. In questa seconda direzione depongono peraltro sia i precedenti normativi - nel senso che in questi il lavoro di pubblica utilità ha generalmente carattere alternativo alla sanzioni detentive in senso proprio - sia la circostanza che la formulazione della successiva lettera l) del comma 1 in commento riprende quella del terzo comma del nuovo articolo 168-bis del codice penale introdotto dal successivo articolo 3 del disegno di legge in esame, in tema di sospensione del procedimento con messa alla prova, dove il lavoro di pubblica utilità è senz'altro configurato come una misura che esclude lo stato detentivo.

 

 

Il nuovo articolo 168-ter c.p., non modificato dal Senato, disciplina gli effetti della sospensione del procedimento con messa alla prova, prevedendo:

§  durante la prova (primo comma), la sospensione del corso della prescrizione del reato, relativamente al solo imputato ammesso alla prova e non anche ai concorrenti nel reato (a seguito dell’asserita inapplicabilità del primo comma dell’art. 161 c.p.);

§  in caso di esito positivo della prova (secondo comma), l'estinzione del reato, restando comunque applicabili le eventuali sanzioni amministrative accessorie.

 

Il nuovo articolo 168-quater c.p. concerne la revoca della sospensione del procedimento con messa alla prova. La disposizione – modificata dal Senato – individua le seguenti circostanze che conducono alla revoca:

§  la trasgressione grave del programma di trattamento o delle prescrizioni imposte dal giudice (per il testo approvato dalla Camera la trasgressione doveva essere “di non lieve entità”);

§  la reiterata trasgressione del programma di trattamento o delle prescrizioni imposte dal giudice;

§  il rifiuto di prestare il lavoro di pubblica utilità (questa novella è coerente con  l’impostazione del Senato che ha fatto del lavoro un presupposto della messa alla prova);

§  la commissione, durante il periodo di prova, di un nuovo delitto non colposo ovvero di un reato della stessa indole rispetto a quello per cui si procede. Il testo approvato dalla Camera non prevedeva questa ipotesi, che era comunque in astratto riconducibile alla trasgressione al programma di trattamento o alle prescrizioni imposte, ma tale rilevanza sarebbe stata in ogni caso filtrata dalla valutazione del giudice, che il Senato ha deciso di evitare.


Articolo 4
(Modifiche al codice di procedura penale in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova

 

L’articolo 4 modifica il codice di procedura penale, introducendo nel Libro VI (Procedimenti speciali), il Titolo V-bis (Della sospensione del procedimento con messa alla prova), che detta le disposizioni processuali relative al nuovo istituto, inserendo gli articoli da 464-bis a 464-novies, e introducendo anche il nuovo art. 657-bis, per consentire il computo del periodo di messa alla prova svolto dall’imputato in caso di successiva revoca del beneficio.

 

In particolare, il nuovo articolo 464-bis c.p.p.non modificato nel corso dell’esame al Senato - dispone che la messa alla prova può essere richiesta dall'imputato (oralmente o in forma scritta; personalmente o a mezzo procuratore speciale) entro determinati termini, che la norma specifica sia in relazione alla fase che al tipo di procedimento (commi 1-3).

 

Fase e tipo di procedimento

Termine

Udienza preliminare

Fino alla formulazione delle conclusioni (ai sensi degli artt. 421 e 422)

Giudizio direttissimo

Fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento

Procedimento con citazione diretta a giudizio

Fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento

Giudizio immediato

Entro 15 giorni dalla notifica del decreto di giudizio immediato

Procedimento per decreto

Unitamente all’atto di opposizione

 

All'istanza di messa alla prova occorre allegare un programma di trattamento che l'imputato elabora d'intesa con l'ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE) oppure – ove l'elaborazione del programma non sia stata possibile – la richiesta dell'imputato di elaborazione del programma stesso.

I contenuti minimi del programma sono costituiti (comma 4):

§  dalle modalità di coinvolgimento dell'imputato e – ove sia necessario e possibile - della sua famiglia e del suo ambiente di vita nel processo di reinserimento sociale;

§  dalle prescrizioni comportamentali e da altri impegni che l'imputato accetta di assumere, sia in relazione all'attenuazione delle conseguenze del reato (condotte riparatorie, risarcimento del danno, restituzioni), sia al lavoro di pubblica utilità e alle eventuali attività di volontariato sociale;

§  dalle condotte volte a promuovere, laddove possibile, la mediazione con la parte offesa.

Per assumere la decisione in merito alla concessione, alla determinazione degli obblighi e delle eventuali prescrizioni, si prevede che il giudice possa acquisire le informazioni ritenute necessarie relativamente alle condizioni di vita personale, familiare, sociale ed economica dell'imputato tramite polizia giudiziaria, servizi sociali o altri enti pubblici; tali informazioni devono essere tempestivamente portate a conoscenza del PM e del difensore dell'imputato (comma 5).

 

L’articolo 464-ter c.p.p detta disposizioni procedimentali relative alla richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova nel corso delle indagini preliminari.

La richiesta dell’indagato deve essere rivolta al giudice che la trasmetterà al PM per acquisire – entro 5 giorni - le sue valutazioni (comma 1):

-        se il PM acconsente alla messa alla prova, deve comunicarlo con atto scritto e sinteticamente motivato (tale ultima specificazione è stata introdotta dal Senato). In tal caso il giudice provvede ai sensi del successivo art. 464-quater (commi 2 e 3);

-        se il PM dissente, deve esplicitare le sue ragioni.

La decisione è presa dal GIP. In caso di diniego della messa alla prova, l’imputato potrà rinnovare la richiesta prima dell’apertura del dibattimento; se il giudice accoglierà in quella fase la richiesta, provvederà a norma dall’art. 464-quater (comma 4).

 

L'articolo 464-quater c.p.p. riguarda la decisione del giudice sulla richiesta di messa alla prova, assunta con ordinanza, e gli effetti della pronuncia.

La concessione della messa alla prova da parte del giudice (che deve sentire le parti ed eventualmente anche l'imputato) - valutata la gravità del reato (ex art. 133 c.p.) - deriva anzitutto dalla mancanza dei presupposti per un proscioglimento dell’imputato a norma dell’art. 129 c.p.p. e poi dalla prognosi favorevole su due elementi:

§  l’idoneità del programma di trattamento presentato;

§  la previsione che l'imputato non commetterà altri reati.

Il Senato ha aggiunto (al comma 3) che, al fine di valutare l'idoneità del programma di trattamento presentato e la probabilità che l'imputato si asterrà dal commettere nuovi reati, il giudice debba valutare anche che il domicilio indicato nel programma dell'imputato sia tale da assicurare le esigenze di tutela della persona offesa dal reato.

Il programma trattamentale presentato con la domanda - già contenente prescrizioni ed obblighi per l'imputato - può essere integrato o modificato dal giudice con ulteriori obblighi e misure (su cui è, tuttavia, necessario il consenso dell'imputato) ai fini dell'idoneità (comma 4).

Sono, tuttavia, previsti limiti massimi di sospensione del procedimento (commi 5 e 6): 2 anni, in caso di reati puniti con pena detentiva; 1 anno, in caso di reati puniti con sola pena pecuniaria. I termini decorrono dalla sottoscrizione del verbale di messa alla prova.

Contro l'ordinanza è ammesso ricorso per cassazione da parte dell'imputato, del PM o della stessa persona offesa. L'impugnazione non sospende il procedimento (comma 7).

Il Senato ha soppresso il richiamo all’applicazione dell'articolo 588, comma 1, c.p.p., previsto dalla Camera, in base al quale dal momento della pronuncia, durante i termini per impugnare e fino all'esito del giudizio di impugnazione, l'esecuzione del provvedimento impugnato è sospesa, salvo che la legge disponga altrimenti.

Se la richiesta di messa alla prova è accolta, il processo civile promosso nei confronti dell’imputato per le restituzioni ed il risarcimento del danno non si sospende (comma 8).

Se la richiesta di messa alla prova è rigettata, potrà essere riproposta nel giudizio, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento (comma 9).

 

L'articolo 464-quinquies c.p.p. precisa che, nell'ordinanza che dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice stabilisce il termine entro il quale le prescrizioni e gli obblighi relativi alle condotte riparatorie o risarcitorie imposti devono essere adempiuti; tale termine può essere prorogato, su istanza dell'imputato, non più di una volta e solo per gravi motivi. Il giudice può anche, con il consenso della persona offesa, autorizzare il pagamento rateale delle somme eventualmente dovute a titolo di risarcimento del danno (comma 1). L'ordinanza è immediatamente trasmessa all'ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE), che deve prendere in carico l'imputato (comma 2).

Durante la sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice può modificare con ordinanza le prescrizioni originarie, ferma restando la congruità delle nuove prescrizioni rispetto alle finalità della messa alla prova. Il Senato ha sul punto precisato che ogni modifica deve essere apportata sentiti l’imputato e il PM. (comma 3). Il testo approvato dalla Camera disponeva che tale modifica delle prescrizioni dovesse avvenire "con il consenso dell'imputato e sentito il pubblico ministero".

 

In merito si osserva che le prescrizioni del programma che definisce le modalità di svolgimento della prova sono, in base all’art. 464-quater, comma 4 (v. sopra), modificabili dal giudice solo con il consenso dell'imputato. La modifica operata dal Senato all’art. 464-quinquies, che rende sufficiente l’ascolto dell’imputato per poter procedere alla modifica delle prescrizioni, necessita dunque di un coordinamento con l’articolo precedente.

Peraltro, su un piano più generale, la previsione del consenso dell'imputato risulta avere una funzione condizionante l'intera dinamica dell'istituto della sospensione del processo con messa alla prova. A differenza che nel processo minorile, infatti, nell’istituto ora all’esame del Parlamento la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova può essere avanzata solo dall'imputato (comma 1 dell'articolo 464-bis); le prescrizioni oggetto del programma di trattamento costituiscono impegni specifici assunti dall'imputato (comma 4 dell’articolo 464-bis), e - come si già evidenziato - ai sensi dell'articolo 464-quater, quando il giudice decide sulla sospensione del procedimento e sull'ammissione alla prova, le predette prescrizioni trattamentali sono modificabili dal giudice stesso solo con il consenso dell'imputato.

Si ricorda che tale scelta era stata fatta alla Camera dei deputati anche a seguito delle audizioni svolte nel corso dell'esame dell'A.C. 5019 della XVI legislatura[24], nell’ambito delle quali era stato evidenziato che il ruolo attribuito al consenso dell'imputato è finalizzato sia ad evitare problemi di compatibilità con l'articolo 4 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo - in ordine al divieto di lavoro forzato - sia a giustificare un trattamento sanzionatorio, per quanto a contenuto afflittivo attenuato, in assenza di una sentenza di condanna (e da questo punto di vista vengono in rilevo gli articoli 27, secondo comma, e 111 della Costituzione). Potrebbe pertanto ritenersi opportuno un approfondimento sul punto in questione.

 

L'articolo 464-sexies c.p.p., non modificato dal Senato, disciplina l'acquisizione di prove durante la sospensione del procedimento con messa alla prova, prevedendo che il giudice, a richiesta di parte, possa svolgere l'attività probatoria non rinviabile, nonché quella che può condurre al proscioglimento dell'imputato.

 

L'articolo 464-septies c.p.p. disciplina l'esito della messa alla prova stabilendo che, acquisita la relazione finale degli uffici, il giudice, se l'esito è positivo, dichiara estinto il reato con sentenza. Il Senato è intervenuto sulla valutazione del giudice circa l’esito positivo della prova, stabilendo che a tal fine il giudice deve tenere conto, oltre che del comportamento dell’imputato, “del rispetto delle prescrizioni impartite” (comma 1).

Se, al contrario, la prova ha esito negativo, il giudice adotta ordinanza di prosecuzione del procedimento penale. Il Senato ha soppresso il periodo in base al quale le informazioni acquisite durante il procedimento di messa alla prova non sono utilizzabili nel prosieguo del procedimento penale.

 

L'articolo 464-octies c.p.p., non modificato dal Senato, è relativo alla possibile revoca dell'ordinanza di messa alla prova, disposta anche d'ufficio dal giudice (a sua volta con ordinanza). Il provvedimento di revoca è ricorribile per cassazione per violazione di legge e, quando l'ordinanza di revoca è divenuta definitiva, il procedimento riprende il suo corso dal momento in cui era stato sospeso e cessa l'esecuzione delle prescrizioni e degli obblighi imposti.

 

L'articolo 464-novies c.p.p., non modificato dal Senato, stabilisce il divieto di riproposizione dell'istanza di messa alla prova sia in caso di esito negativo della prova, sia in caso di revoca della misura.

 

La lettera b) del comma 1 dell’articolo 4 della proposta di legge aggiunge, infine, nel codice di procedura penale l'articolo 657-bis, concernente il computo del periodo di messa alla prova dell'imputato in caso di revoca del provvedimento di ammissione.

Tale norma prevede che, in caso di prova negativa o di revoca, il pubblico ministero debba detrarre dalla pena da eseguire il periodo di messa alla prova, applicando questa equivalenza:

§  3 giorni di prova = un giorno di pena detentiva (reclusione o arresto) = 250 euro di pena pecuniaria (multa o ammenda)


Articolo 5
(Introduzione del capo X-bis del titolo I delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale

 

L’articolo 5, non modificato nel corso dell’esame al Senato, novella le disposizioni di attuazioni del codice di procedura penale, inserendovi il nuovo Capo X-bis, recante Disposizioni in materia di messa alla prova, composto dagli articoli 141-bis e 141-ter.

 

Il nuovo articolo 141-bis disciplina l'avviso del pubblico ministero per la richiesta di ammissione alla messa alla prova e prevede la facoltà dello stesso – anche prima dell'esercizio dell'azione penale – di avvisare l'interessato della possibilità di avvalersi della messa alla prova e della circostanza che l'esito positivo della prova estingue il reato.

 

Il nuovo articolo 141-ter, invece, riguarda le attività di pertinenza dei servizi sociali nei confronti degli imputati maggiorenni ammessi alla prova. Si prevede che tali funzioni siano svolte dagli uffici locali di esecuzione penale esterna (UEPE).

 

Gli uffici di esecuzione penale esterna (UEPE) sono stati istituiti dalla legge 27 luglio 2005, n. 154 che ha modificato l'art. 72 della legge 26 luglio 1975, n. 354 che costituiva i centri di servizio sociale per adulti dell'amministrazione penitenziaria.

Il loro coordinamento è affidato agli uffici dell'esecuzione penale esterna presso i provveditorati regionali dell'Amministrazione penitenziaria.

Gli uffici provvedono ad eseguire, su richiesta del magistrato di sorveglianza, le inchieste sociali utili a fornire i dati occorrenti per l'applicazione, la modificazione, la proroga e la revoca delle misure di sicurezza e per il trattamento dei condannati e degli internati. Prestano la loro opera per assicurare il reinserimento nella vita libera dei sottoposti a misure di sicurezza non detentive. Inoltre, su richiesta delle direzioni degli istituti penitenziari, prestano opera di consulenza per favorire il buon esito del trattamento penitenziario.

Gli assistenti sociali in sevizio negli UEPE svolgono le attività indicate dall'art. 72 della legge: compiti di vigilanza e/o di assistenza nei confronti dei soggetti ammessi alle misure alternative alla detenzione nonché compiti di sostegno e di assistenza nei confronti dei sottoposti alla libertà vigilata.

Nell'attuare gli interventi di osservazione e di trattamento in ambiente esterno (applicazione ed esecuzione delle misure alternative, delle sanzioni sostitutive e delle misure di sicurezza) l'ufficio si coordina con le istituzioni e i servizi sociali che operano sul territorio. Le intese operative con i servizi degli enti locali sono definite in una visione globale delle dinamiche sociali che investono la vicenda personale e familiare dei soggetti e in una prospettiva integrata d'intervento.

Gli indirizzi generali e il coordinamento in materia sono dettati dalla Direzione generale dell'esecuzione penale esterna presso il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.

 

In particolare, l’art. 141-ter dispone che, dopo la richiesta di programma presentata dall'imputato al competente UEPE, il medesimo ufficio, sulla base di indagine socio-familiare, rediga il programma di trattamento, sul quale deve acquisire il consenso dell'interessato, nonché l'adesione dell'ente o soggetto presso cui questi sarà chiamato a svolgere il lavoro di pubblica utilità. Indagine e programma sono trasmessi al giudice con le considerazioni dell'ufficio.

Obblighi di relazione al giudice, almeno trimestrali, sull'andamento della prova sono posti in capo agli uffici locali per l'esecuzione esterna; detti uffici, al termine della prova, trasmettono al giudice una relazione finale sul decorso e l'esito della prova. Le relazioni periodiche e quella finale sono depositate in cancelleria almeno 10 giorni prima dell'udienza che decide sull'esito della messa alla prova.


Articolo 6
(Modifica al TU casellario giudiziale in materia di messa alla prova)

 

L'articolo 6, non modificato nel corso dell’esame al Senato, novella l'articolo 3 del Testo Unico sul casellario giudiziale, di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 313 del 2002, inserendovi la lettera i-bis) con l'obiettivo di aggiungere, tra i provvedimenti da iscrivere per estratto, l'ordinanza che dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova.


Articolo 7
(Disposizioni in materia di pianta organica degli UEPE e obbligo di relazione)

 

In relazione all'introduzione dell’istituto della messa alla prova, l’articolo 7 del provvedimento – non modificato nel corso dell’esame al Senato - stabilisce che, qualora si rendesse necessario procedere all'adeguamento numerico e professionale della pianta organica degli uffici locali di esecuzione penale esterna del DAP, il Ministro della Giustizia riferisca tempestivamente alle competenti Commissioni parlamentari in ordine alle modalità con cui si provvederà a tale adeguamento, previo stanziamento delle necessarie risorse finanziarie.

Obblighi di relazione annuali (entro il 31 maggio di ciascun anno) alle competenti commissioni parlamentari sull'attuazione delle disposizioni in materia di messa alla prova sono posti in capo al Ministro della giustizia.

 


Articolo 8
(Regolamento del Ministro della giustizia per disciplinare le convenzioni in materia di lavoro di pubblica utilità)

 

L'articolo 8 prevede – entro 3 mesi dalla data di entrata in vigore della legge di riforma – l'adozione di un regolamento da parte del Ministro della giustizia, volto a disciplinare le convenzioni in merito al lavoro di pubblica utilità conseguente alla messa alla prova che il Ministero della giustizia (o il presidente del tribunale delegato) può stipulare con enti e organizzazioni non lucrative di utilità sociale.

Il Senato ha aggiunto che i testi delle convenzioni devono essere resi disponibili sul sito internet del Ministero e raggruppati per distretto di corte d’appello.

 

 


Capo III
(Sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili)

Il Capo III del progetto di legge, composto dagli articoli da 9 a 15, non modificato nel corso dell’esame al Senato, disciplina il procedimento penale nei confronti degli irreperibili.

Con previsioni immediatamente precettive, il provvedimento già approvato dalla Camera dei deputati riforma la materia della contumacia, eliminando tale istituto e sostituendolo con quello della sospensione del procedimento per assenza dell'imputato. L’intervento è volto a modificare il vigente quadro normativo in materia, anche in riferimento alle numerose decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo relative al diritto dell’imputato - ai sensi dell'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) - ad essere presente al proprio processo che, censurando l’Italia per la violazione del diritto anzidetto, impongono altresì un obbligo di conformazione della disciplina nazionale (ex art. 46 della CEDU).

 

La giurisprudenza della Corte di Strasburgo, in particolare, nella sentenza Sejdovic c. Italia (Grande Chambre del 1° marzo 2006) ha stabilito che l'obbligo di garantire all'accusato il diritto ad essere presente in udienza è uno degli elementi essenziali dell'art. 6 CEDU; ne consegue che il rifiuto di riaprire un processo che si è svolto in contumacia, in assenza di ogni indicazione che l'accusato abbia rinunciato al suo diritto a comparire, è da considerarsi come un flagrante diniego di giustizia, manifestamente contrario ai principi che ispirano il citato art. 6.

In precedenza, la Corte EDU si era pronunziata nel caso Somogy c. Italia (18 maggio 2004). Entrambe le pronunce citate si sono ispirate ai principi dettati dalla Corte europea nelle più datate sentenze Colozza c. Italia del 12 febbraio 1985 e Cat Berro c. Italia del 28 agosto 1991.

Successivamente e in termini analoghi la Corte EDU si è pronunziata nei casi Kollcaku c. Italia e Pititto c. Italia (8 febbraio 2007) in cui è stato osservato che la notifica delle azioni intentate nei confronti del contumace costituisce un atto giuridico di tale importanza da richiedere condizioni formali e sostanziali idonee a garantire l'esercizio effettivo dei diritti dell'accusato. Ciò non può condurre ad escludere, in linea generale, che alcuni fatti possano dimostrare inequivocabilmente la conoscenza da parte di un imputato del processo iniziato nei suoi confronti e della natura e della causa delle accuse. La Corte ha ritenuto che i ricorsi previsti dagli artt. 175 e 670 del c.p.p. italiano non possano essere ritenuti rimedi che, con un grado sufficiente di certezza, offrano al condannato la possibilità di avere un nuovo processo nel quale esercitare il proprio diritto alla difesa.


Articolo 9
(Modifiche al codice di procedura penale in materia di udienza preliminare)

 

L’articolo 9, non modificato nel corso dell’esame al Senato, novella le disposizioni del codice di procedura penale in tema di udienza preliminare.

 

In particolare, il comma 1 interviene sull'articolo 419 c.p.p. - relativo agli atti introduttivi dell'udienza preliminare - eliminando in tale disposizione il riferimento alla contumacia.

 

Il successivo comma 2 sostituisce l'articolo 420-bis c.p.p., individuando i casi in cui il giudice può adottare l'ordinanza con la quale dispone di procedere in assenza dall'imputato.

Più specificamente, la nuova disposizione codicistica, al comma 1, prevede che, se l'imputato non è presente all'udienza e, anche se impedito, ha espressamente rinunciato ad assistervi, il giudice procede in sua assenza.

Ai sensi del comma 2 il giudice dispone altresì che si proceda in assenza dell'imputato quando l’imputato:

§  nel corso del procedimento, ha dichiarato o eletto domicilio;

§  è stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare;

§  ha nominato un difensore di fiducia;

§  ancorché assente, abbia ricevuto personalmente la notificazione dell'avviso dell'udienza;

§  risulti comunque con certezza a conoscenza del procedimento o si sia volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti dello stesso.

Ai sensi del comma 3, in tali ipotesi l'imputato dovrà essere rappresentato dal difensore; sarà rappresentato dal difensore e considerato presente anche se, dopo essere comparso, si allontani dall'aula di udienza o, pur presente ad una udienza, non compaia ad udienze successive.

L'ordinanza che dispone di procedere in assenza dell'imputato è revocata anche d'ufficio se, prima della decisione, l'imputato compare. In tal caso, in base al comma 4, se l'imputato fornisce la prova che l'assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo, il giudice rinvia l'udienza e l'imputato può chiedere l'acquisizione di atti e documenti ai sensi dell'articolo 421, comma 3, c.p.p.

Nel corso del giudizio di primo grado, l'imputato ha diritto di formulare richiesta di prove ai sensi dell'articolo 493 c.p.p. Ferma restando in ogni caso la validità degli atti regolarmente compiuti in precedenza, l'imputato può altresì chiedere la rinnovazione di prove già assunte. Nello stesso modo si procede se l'imputato dimostra che versava nell'assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento e che la prova dell'impedimento è pervenuta con ritardo senza sua colpa. Ai sensi del successivo comma 5, il giudice revoca altresì l'ordinanza e procede a norma dell'articolo 420-quater se risulta che il procedimento, per l'assenza dell'imputato, doveva essere sospeso ai sensi delle disposizioni di tale articolo.

 

 

Ferma la disciplina dell'impedimento a comparire, di cui all'articolo 420-ter c.p.p., che non viene novellata, l'articolo 9, comma 3, sostituisce l'articolo 420-quater, con la disciplina della sospensione del processo per assenza dell'imputato. Si prevede, infatti, che, se non ricorrono le ipotesi dell'articolo 420-bis, né quelle dell'articolo 420-ter, a fronte dell'assenza dell'imputato, il giudice rinvia l'udienza e dispone che l'avviso sia notificato all'imputato personalmente ad opera della polizia giudiziaria (comma 1).

Quando la notificazione non risulta possibile, e sempre che non debba essere pronunciata sentenza di non luogo a procedere (ovvero, per la fase dibattimentale, di proscioglimento) a norma dell'articolo 129 c.p.p., il giudice dispone con ordinanza la sospensione del processo nei confronti dell'imputato assente. Si applica l'articolo 18, comma 1, lettera b), c.p.p. - per cui il giudice disporrà la separazione del processo nei confronti dell'imputato assente, salvo che ritenga la riunione dei procedimenti assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti - mentre viene esclusa l'applicabilità dell'articolo 75, comma 3, c.p.p., così da evitare la sospensione del processo civile in cui sia stata successivamente proposta l'azione civile per le restituzioni e il risarcimento del danno.

Durante la sospensione del processo il giudice, con le modalità stabilite per il dibattimento, acquisisce, a richiesta di parte, le prove non rinviabili.

 

Infine la riformulazione dell'articolo 420-quinquies, operata dal comma 4, stabilisce, al comma 1, che, alla scadenza di un anno dalla pronuncia dell'ordinanza di cui al comma 2 dell'articolo 420-quater, o anche prima quando ne ravvisi l'esigenza, il giudice dispone nuove ricerche dell'imputato per la notifica dell'avviso. Analogamente il giudice provvede a ogni successiva scadenza annuale, qualora il procedimento non abbia ripreso il suo corso.

Sempre l’art. 420-quinquies prevede, al comma 2, che il giudice disponga la revoca dell'ordinanza di sospensione del processo se le ricerche hanno avuto esito positivo, se l'imputato ha nel frattempo nominato un difensore di fiducia, nonché in ogni altro caso in cui vi sia la prova certa che l'imputato è a conoscenza del procedimento penale e, infine, se deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p..

Il comma 3 del nuovo art. 420-quinquies stabilisce inoltre che, con l'ordinanza di revoca della sospensione del processo, il giudice fissa la data per la nuova udienza, disponendo che l'avviso sia notificato all'imputato e al suo difensore, alle altre parti private e alla persona offesa, nonché comunicato al pubblico ministero, mentre il successivo comma 4 prevede che, all'udienza di cui al comma 3, l'imputato possa richiedere il giudizio abbreviato o l'applicazione della pena su richiesta ai sensi degli articoli 438 e 444 c.p.p..

 


Articolo 10
(Disposizioni in materia di dibattimento)

 

L'articolo 10, non modificato nel corso dell’esame al Senato, novella le disposizioni in tema di dibattimento, eliminando ogni riferimento alla contumacia.

 

In particolare, il comma 1 novella l'articolo 489 c.p.p. per disciplinare l'ipotesi in cui l'imputato contro il quale si è proceduto in assenza nell'udienza preliminare intervenga in dibattimento e chieda di rendere dichiarazioni spontanee. Se l'imputato prova che l'assenza era incolpevole, potrà ottenere una rimessione in termini per accedere al giudizio abbreviato o al patteggiamento.

 

I commi da 2 a 5, intervenendo sugli articoli 490, 513, comma 1, 520 e 548, comma 3, del codice di procedura penale, eliminano in tali disposizioni ogni riferimento alla contumacia.


Articolo 11
(Disposizioni in materia di impugnazioni e di restituzione nel termine)

 

L'articolo 11 della proposta di legge, non modificato nel corso dell’esame al Senato, interviene sulla disciplina delle impugnazioni e della restituzione del termine, ancora una volta per sopprimere ogni richiamo all'istituto della contumacia.

In particolare, i commi 1 e 2, nel modificare - rispettivamente - gli articoli 585 e 603, comma 4, c.p.p., sopprimono ogni richiamo all'istituto della contumacia.

Il comma 3 aggiunge invece il comma 5-bis all'articolo 604 c.p.p. per prevedere che, se si è proceduto in assenza dell'imputato in carenza dei presupposti previsti dal codice, ovvero comunque quando questi incolpevolmente non aveva avuto conoscenza della celebrazione del processo di primo grado, il giudice d'appello deve dichiarare la nullità della sentenza e disporre il rinvio degli atti al giudice di primo grado.

Il comma 4 modifica l'articolo 623 c.p.p. per prevedere che - nei casi di cui al sopra citato comma 5-bis dell'articolo 604 - analogamente debba procedere la Corte di Cassazione; il successivo comma 5 introduce quindi nel codice l'articolo 625-ter, dedicato alla rescissione del giudicato, possibile quando il condannato definitivo dimostri che l'assenza al processo è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo.

Infine il comma 6 sostituisce l'articolo 175, comma 2, c.p.p. disponendo che l'imputato condannato con decreto penale, che non abbia avuto effettiva conoscenza del provvedimento, sia previa richiesta restituito nel termine per proporre opposizione, a meno che vi abbia rinunciato.

 


Articolo 12
(Modifiche al codice penale in materia di prescrizione del reato)

 

L'articolo 12, non modificato nel corso dell’esame al Senato, interviene sull’art. 159 del codice penale, aggiungendo la sospensione del processo a carico dell'irreperibile (nuovo art. 420-bis c.p.p.) alle ipotesi che già comportano una sospensione del corso della prescrizione (autorizzazione a procedere, deferimento della questione ad altro giudice, sospensione del procedimento e del processo penale per impedimento delle parti e dei difensori ovvero su richiesta dell’imputato o del suo difensore).

 


Articolo 13
(Modalità e termini di comunicazione e gestione dei dati relativi all’assenza dell’imputato)

 

L'articolo 13, non modificato nel corso dell’esame al Senato, attribuisce il potere regolamentare ai Ministri della giustizia e dell'Interno affinché siano disciplinati con decreto, entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge, le modalità e i termini secondo i quali devono essere comunicati e gestiti i dati relativi all'ordinanza di sospensione del processo per assenza dell'imputato.


Articolo 14
(Modifica delle norme di attuazione, coordinamento e transitorie del codice di procedura penale)

 

L'articolo 14 della proposta di legge, non modificato nel corso dell’esame al Senato, introduce l'art. 143-bis nelle norme di attuazione del c.p.p. dettando gli adempimenti conseguenti alla sospensione del processo per assenza dell'imputato.

Si prevede, in particolare, che quando il giudice dispone tale sospensione, la relativa ordinanza e il decreto di fissazione dell'udienza preliminare, ovvero il decreto che dispone il giudizio o il decreto di citazione a giudizio, siano trasmessi alla locale sezione di polizia giudiziaria, ai fini dell'inserimento nel Centro elaborazione dati di cui all'articolo 8 della Legge n. 121 del 1981[25], istituito presso il Ministero dell'interno.

 


Articolo 15
(Modifiche al TU casellario giudiziale)

 

L'articolo 15, sostanzialmente non modificato nel corso dell’esame al Senato, novella il Testo Unico sul casellario giudiziario (D.P.R. 313/2002), aggiungendo, all'articolo 3, tra i provvedimenti da iscrivere per estratto quelli di sospensione del processo per assenza dell'imputato e, all'articolo 5, tra le iscrizioni da eliminare, lo stesso provvedimento di sospensione, ove revocato.

 


Capo IV
(Disposizioni comuni)

Articolo 16
(Clausola di invarianza finanziaria)

 

Il Capo IV, sostanzialmente non modificato nel corso dell’esame al Senato, concerne le disposizioni comuni e si compone del solo articolo 16 (che registra una modifica di mero coordinamento dovuta all’esame del provvedimento in Senato), recante la clausola di invarianza finanziaria.

In particolare, viene specificato che le amministrazioni interessate devono provvedere all'attuazione delle misure contenute nel progetto di legge in esame nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


Documentazione in tema di depenalizzazione
(art. 2)

 


Le precedenti depenalizzazioni

Ciclicamente il legislatore - ispirato ai principi del “diritto penale minimo”, ovvero di quel modello che riserva l’intervento repressivo dello Stato sul piano penale esclusivamente alla tutela dei valori primari, di cui l’ordinamento non può tollerare l’offesa - rivede il diritto penale con interventi volti a ridurre il numero dei reati attraverso la soppressione di alcune fattispecie vigenti, ritenute anacronistiche, ovvero la trasformazione di alcuni illeciti penali in illeciti amministrativi.

 

Anche se il primo intervento di depenalizzazione si può far risalire alla legge 24 dicembre 1975, n. 706[26], è soprattutto con la legge 24 novembre 1981, n. 689, che si realizza la prima depenalizzazione di ampio respiro.

 

La depenalizzazione del 1981

 

La legge 24 novembre 1981, n. 689, oltre a depenalizzare sia alcuni delitti che alcune contravvenzioni (artt. 32-39), introduceva diverse altre misure volte ad alleggerire il carico complessivo del sistema penale, quali l’introduzione delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi (artt. 53-76), l’estensione della perseguibilità a querela di determinati reati (artt. 86-99) e l’introduzione di una speciale ipotesi di oblazione (art. 162-bis, c.p.).

L’art. 32 della legge prevedeva l’irrogazione di sanzione amministrativa per tutti i reati puniti soltanto con la multa o l’ammenda (erano esclusi i reati che, nelle ipotesi aggravate, fossero punibili con pena detentiva, anche se alternativa a quella pecuniaria oltre che i delitti punibili a querela); l’art. 35 estendeva il regime della sanzione amministrativa a tutte le violazioni previste da leggi in materia di previdenza e assistenza obbligatoria punite con la sola ammenda e altrettanto prevedeva l’art. 39 per le violazioni finanziarie punite con la sola ammenda. Erano inoltre depenalizzate altre ipotesi di reato[27].

Erano invece escluse dalla depenalizzazione le seguenti fattispecie:

a) i reati che, pur puniti con pena pecuniaria, erano puniti, nelle ipotesi aggravate, con pena detentiva, anche se alternativa a quella pecuniaria;

b) i reati che, pur puniti con la sola pena pecuniaria, erano perseguibili a querela;

c) i reati previsti dal codice penale (salvo i casi espressamente elencati);

d) i reati in tema di armi, munizioni ed esplosivi;

e) i reati in materia di tutela igienico sanitaria degli alimenti, salvo talune eccezioni;

f) i reati in materia di inquinamento;

g) i reati in tema di impiego pacifico dell’energia nucleare;

h) i reati previsti dalla legge edilizia ed urbanistica;

i) i reati previsti dalla legge in materia di lavoro, ivi compresa la normativa antinfortunistica;

l) taluni reati in materia elettorale;

m) i reati in tema di interruzione volontaria della gravidanza.

 

Nonostante l’intervento del 1981, pochi anni dopo, nel 1988, la Commissione ministeriale per la riforma del codice penale presieduta dal Prof. Pagliaro, già individuava tra gli obiettivi da perseguire quello della ridefinizione dell’apparato sanzionatorio penale con la riduzione delle fattispecie incriminatici e del peso della legislazione speciale.

 

Anche il Consiglio superiore della magistratura, con una relazione approvata l’11 giugno 1992, auspicava un intervento legislativo di depenalizzazione sottolineando con forza come la sanzione penale non possa essere utilizzata indiscriminatamente per colpire ogni comportamento non in regola con le norme, ma, come essa debba, al contrario, essere riservata alle esigenze di tutela dei beni primari della collettività e, segnatamente, dei beni di rilevanza costituzionale.

In questo clima, nel corso dell’XI legislatura il legislatore ha approvato i seguenti provvedimenti di depenalizzazione:

§  legge 6 dicembre 1993, n. 499, “Delega al Governo per la riforma dell’apparato sanzionatorio in materia di lavoro[28];

§  legge 28 dicembre 1993, n. 561, “Trasformazione di reati minori in illeciti amministrativi”;

§  legge 28 dicembre 1993, n. 562, “Delega al Governo per la riforma della disciplina sanzionatoria contenuta nel Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza e delle disposizioni ad esso connesse o complementari[29].

 

Nel corso della XII legislatura la Commissione giustizia della Camera calendarizza proposte di legge per la depenalizzazione dei c.d. reati minori e nella XIII legislatura si giunge all’approvazione della legge 25 giugno 1999, n. 205, recante Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale e tributario.

 

La depenalizzazione del 1999

 

La legge 25 giugno 1999, n. 205 ha conferito al Governo tre distinte deleghe:

§  la prima è volta a trasformare in illeciti amministrativi diverse fattispecie di reato in materia di disciplina degli alimenti, della navigazione, di circolazione stradale e autotrasporto, di leggi finanziarie, tributarie e concernenti i mercati finanziari e mobiliari, di assegni bancari e postali. La legge analiticamente indica i principi della depenalizzazione, specificando per ogni settore quali condotte devono restare penalmente sanzionate. Inoltre, la legge elenca una serie di disposizioni legislative per le quali prefigura la depenalizzazione. All’attuazione di questa delega il Governo ha provveduto con il decreto legislativo n. 507 del 1999;

§  la seconda è relativa alla sostanziale depenalizzazione della disciplina dei reati in materia di imposte sul reddito e sul valore aggiunto, imperniata sulla legge 7 agosto 1982 n. 516 (cd. “manette agli evasori”). La delega è stata attuata con il decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74;

§  la terza riguarda l’adozione di misure alternative alla detenzione, con la possibilità per il giudice, in relazione alle diverse fattispecie di reato, di optare per la detenzione carceraria o altra misura (lavoro di pubblica utilità non retribuito, lavoro sostitutivo o altre forme prescrittive specifiche). Questa delega è rimasta inattuata.

La legge delega ha previsto infine l’attribuzione della competenza generale sull’opposizione alle ordinanze-ingiunzioni (di norma prefettizie) emesse a seguito dell’accertamento di violazioni amministrative, al giudice di pace, ferma restando, in casi specificamente individuati, la competenza del tribunale in composizione monocratica.

 

Il decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507, con un testo ampio e particolarmente articolato (ben 105 articoli), ha attuato la prima delle deleghe. Analiticamente,

§  il titolo I ha affrontato la riforma della disciplina sanzionatoria in materia di alimenti, agendo tramite la trasformazione in illeciti amministrativi dei reati prima previsti, con eccezione di quelli contenuti nel codice penale e di alcune fattispecie previste dalla legge 283/1962; viene precisata l’entità delle diverse sanzioni amministrative pecuniarie e si introducono misure interdittive dell’attività in casi particolari (come la sospensione o la revoca della licenza), oltre alla chiusura dell’esercizio per mancanza dei requisiti igienico-sanitari;

§  il titolo II ha modificato il sistema sanzionatorio previsto dal codice della navigazione. Sono depenalizzate diverse fattispecie in materia di danni a beni pubblici destinati alla navigazione, di ordinamento e polizia dei porti e degli aerodromi, di assunzione della gente di mare e del personale navigante, di proprietà della nave e dell’aeromobile, di polizia della navigazione. In tal caso, la depenalizzazione, in ossequio a quanto previsto dalla legge delega, ha riguardato soltanto le contravvenzioni, ad esclusione dei delitti previsti dagli artt. 1161, 1176 e 1177; anche in tale settore sono introdotte sanzioni accessorie come la sospensione dei titoli professionali marittimi, la sospensione della professione marittima o aeronautica ecc.;

§  il titolo III è intervenuto sul sistema sanzionatorio in materia di circolazione stradale. L’intervento riguarda il codice della strada (D.Lgs 285/1992), la disciplina dell’autotrasporto (artt. 24 e 26 della legge 298/1974) e la normativa sul blocco stradale (art. 1 del d.lgs. n. 66/194), che viene trasformato in illecito amministrativo, con l’esclusione delle ipotesi di abbandono o deposito sui binari di oggetti di congegni o altri oggetti di qualsiasi specie, che continua ad essere punito con la reclusione da uno a sei anni; di particolare impatto appare l’intervento depenalizzatore di moltissimi illeciti previsti dal codice della strada (ad es. la guida senza patente e le condotte in materia di guida dei veicoli) con alcune significative eccezioni, di particolare gravità.

§  il titolo IV ha disposto in ordine ad alcune violazioni finanziarie abrogando in particolare l’art. 20 della legge 4/1929 che conteneva il principio della cd. ultrattività delle norme penali finanziarie, sancendo il principio dell’irretroattività della norma penale sfavorevole, ma non l’obbligatoria retroattività di quella favorevole sopravvenuta. Alla scomparsa del principio di ultrattività è ricollegato un notevole effetto deflattivo sul carico penale potendo trovare applicazione, anche per le norme penali tributarie, l’art. 2 c.p. L’art. 25 del D.Lgs 507 opera, in particolare, una limitata depenalizzazione di alcune fattispecie di contrabbando previste dal T.U delle leggi doganali (DPR 43/1973) sempre che esse non riguardino tabacchi lavorati esteri.

§  il titolo V affronta la disciplina degli assegni bancari e postali, prevedendo in particolare la depenalizzazione del reato di emissione di assegni a vuoto e senza autorizzazione (art. 1 e 2 della legge 386/1990). Il fulcro del nuovo modello sanzionatorio è la cd. revoca di sistema (art. 35) ovvero un meccanismo automatico per il quale l’emissione di assegni senza provvista o autorizzazione comporta, per sei mesi, la revoca di tutte le autorizzazioni ad emettere assegni e il divieto di stipulare nuove convenzioni di assegno con le banche o uffici postali (a differenza di quanto accadeva in precedenza ove la revoca era solo aziendale). Strumentale al funzionamento dell’indicato meccanismo è l’istituzione di un apposito archivio informatico presso la Banca d’Italia (art. 36);

§  il titolo VI, infine, attua la delega per la parte relativa alla trasformazione in illeciti amministrativi di reati (delitti e contravvenzioni) previsti dal codice penale (Capo I)[30] e da numerose leggi speciali (Capo II). In particolare, il legislatore delegato ha depenalizzato gli illeciti contenuti in 33 leggi speciali, inerenti i più diversi settori (dall’abigeato, alla bonifica di terreni paludosi, ai divieti di importazione e esportazione, al lotto pubblico, alle frodi pensionistiche, all’imposta sugli spettacoli, all’invito al libertinaggio, alla pubblicità sui medicinali di uso umano).

§  Il titolo VII, accorpa in unico contesto le modifiche alla legge di depenalizzazione n. 689/1981, introducendo una disposizione che precisa il concetto di reiterazione delle violazioni amministrative e una deroga al principio di specialità di cui all’art. 9 della legge 689. Inoltre, applicando le previsioni dell’art. 1 della legge delega, il decreto legislativo restituisce al giudice di pace la competenza in materia di opposizione alla ordinanza-ingiunzione di pagamento e all'ordinanza che dispone la sola confisca (artt. 22 e ss. della legge 689/1981);

§  il titolo VIII reca infine le norme relative alla disciplina transitoria che, a fronte dell’elevato  numero di procedimenti pendenti per reati oggetto di depenalizzazione, assume particolare rilievo. La norma chiave del titolo è l’art. 100 che, allineandosi alla impostazione dettata dalla legge 689/1981 (artt.40 e 41), ha applicato in pieno il principio del favor rei stabilendo che le norme che sostituiscono le sanzioni penali con sanzioni amministrative possono essere applicate anche alle violazioni commesse prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo 507, facendo ovviamente salva l’intangibilità del giudicato.

 

 

All’indomani della depenalizzazione, peraltro, lo stesso legislatore ha continuato ad introdurre nuove fattispecie penali[31].

Basti pensare che dal decreto legislativo n. 507 del 1999 al 30 gennaio 2014 sono state introdotte nel nostro ordinamento non meno di 310 nuove fattispecie penali, tra le quali 171 nuove contravvenzioni e 139 nuovi delitti (v. infra).

 

Per questa ragione, anche nella scorsa legislatura, il Governo Monti ha presentato alla Camera un disegno di legge di depenalizzazione (AC 5019-ter), che non ha concluso l’iter, ma i cui contenuti sono in parte stati ripresi dal Senato all’articolo 2 del provvedimento in esame.

 

 

 


Tabella n. 1 – Nuovi reati introdotti dal 2000 ad oggi

La tabella contiene - in ordine cronologico decrescente – i provvedimenti che hanno introdotto nell’ordinamento nuove fattispecie penali da gennaio 2000 a dicembre 2013 ad eccezione dei seguenti provvedimenti:

- decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale);

- decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro);

- decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell'ordinamento militare).

Non sono state considerate le novelle di illeciti già considerati penali prima del gennaio 2000.

 

 

 





[1]     Peraltro, i dati sui reati dal 2000 non tengono conto dei seguenti provvedimenti:

- decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale);

- decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro);

- decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell'ordinamento militare).

[2]     Cfr. art. 80 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all'art. 1 della L. 22 luglio 1975, n. 382).

[3]     D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della L. 6 luglio 2002, n. 137

[4]     D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, Norme in materia ambientale.

[5]     Si ricorda infatti che il titolo I del decreto legislativo ha affrontato la riforma della disciplina sanzionatoria in materia di alimenti, agendo tramite la trasformazione in illeciti amministrativi dei reati prima previsti, con eccezione di quelli contenuti nel codice penale e di alcune fattispecie previste dalla legge 283/1962. L’art. 2 precisa l’entità delle diverse sanzioni amministrative pecuniarie mentre il successivo art. 3 introduce misure interdittive dell’attività in casi particolari (come la sospensione o la revoca della licenza), oltre alla chiusura dell’esercizio per mancanza dei requisiti igienico-sanitari (art. 8); sono poi previsti i casi di pubblicazione del provvedimento applicativo della sanzione (art. 7).

[6]     Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 14 febbraio 2003, n. 30.

[7]     R.D. 18 giugno 1931, n. 773, Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza.

[8]     Legge 15 luglio 2009, n. 94 , Disposizioni in materia di sicurezza pubblica.

[9]     Decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica.

[10]   Decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori.

[11]   Decreto-legge 21 febbraio 2005, n. 16, Interventi urgenti per la tutela dell'ambiente e per la viabilità e per la sicurezza pubblica.

[12]   Cfr. S. Foà, Sicurezza pubblica, in Digesto (Discipline pubblicistiche), UTET, 1999.

[13]   D.L. 12 settembre 1983, n. 463, Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini, convertito in legge, con modificazioni, con l'articolo unico, L. 11 novembre 1983, n. 638.

[14]   Legge 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.

[15]   L’art. 491 c.p. (Documenti equiparati agli atti pubblici agli effetti della pena) così dispone «Se alcuna delle falsità prevedute dagli articoli precedenti riguarda un testamento olografo, ovvero una cambiale o un altro titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore, in luogo della pena stabilita per la falsità in scrittura privata nell'articolo 485, si applicano le pene rispettivamente stabilite nella prima parte dell'articolo 476 e nell'articolo 482.

Nel caso di contraffazione o alterazione di alcuno degli atti suddetti, chi ne fa uso, senza essere concorso nella falsità, soggiace alla pena stabilita nell'articolo 489 per l'uso di atto pubblico falso».

[16] L’art. 594 c.p. (Ingiuria) così dispone «Chiunque offende l'onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 516.

Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa.

La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a euro 1.032 se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato.

Le pene sono aumentate qualora l'offesa sia commessa in presenza di più persone».

[17]   L’art. 627 c.p. (Sottrazione di cose comuni) così dispone «Il comproprietario, socio o coerede che, per procurare a sé o ad altri un profitto, si impossessa della cosa comune, sottraendola a chi la detiene, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni o con la multa da euro 20 a euro 206.

Non è punibile chi commette il fatto su cose fungibili, se il valore di esse non eccede la quota a lui spettante».

[18]   L’art. 631 c.p. (Usurpazione) così dispone «Chiunque, per appropriarsi, in tutto o in parte, dell'altrui cosa immobile, ne rimuove o altera i termini è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 206».

[19]   L’art. 632 c.p. (Deviazione di acque e modificazione dello stato dei luoghi) così dispone «Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, devia acque, ovvero immuta nell'altrui proprietà lo stato dei luoghi, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 206».

[20]   L’art. 633 c.p. (Invasione di terreni o edifici) così dispone «Chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni o con la multa da euro 103 a euro 1.032.

Le pene si applicano congiuntamente, e si procede d'ufficio, se il fatto è commesso da più di cinque persone, di cui una almeno palesemente armata, ovvero da più di dieci persone, anche senza armi».

[21]   L’art. 635 c.p. (Danneggiamento) così dispone al primo comma «Chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 309».

[22]   L’art. 647 c.p. (Appropriazione di cose smarrite, del tesoro o di cose avute per errore o caso fortuito) così dispone «È punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 30 a euro 309:

1. chiunque, avendo trovato denaro o cose da altri smarrite, se li appropria, senza osservare le prescrizioni della legge civile sull'acquisto della proprietà di cose trovate;

2. chiunque, avendo trovato un tesoro, si appropria, in tutto o in parte, la quota dovuta al proprietario del fondo;

3. chiunque si appropria cose, delle quali sia venuto in possesso per errore altrui o per caso fortuito.

Nei casi preveduti dai numeri 1 e 3, se il colpevole conosceva il proprietario della cosa che si è appropriata, la pena è della reclusione fino a due anni e della multa fino a euro 309.

[23]   Istituita il 30 luglio 2006 (XV leg) con decreto del Ministro della Giustizia Mastella, la Commissione aveva avuto l'incarico di predisporre uno schema di disegno di legge delega di riforma del codice penale.

[24]   Si vedano, in particolare, le audizioni svoltesi davanti alla commissione Giustizia della Camera dei deputati in data 20 e 21 giugno 2012, nonché in data 3 luglio 2012.

[25]   Recante Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza.

[26]   La legge aveva disposto, in linea generale, che «tutte le violazioni per la quali è prevista soltanto la pena dell’ammenda» fossero trasformate in illecito amministrativo. Tuttavia erano state sottratte da tale depenalizzazione le numerose contravvenzioni previste dal codice penale e dal testo unico di pubblica sicurezza, dalle leggi in tema di lavoro, in tema di alimenti e bevande, da una serie di leggi poste a tutela della sanità e dell’ambiente, dalle leggi in tema di edilizia e di urbanistica.

[27]   Si tratta:

-         dei reati previsti dagli artt. 669, 672, 687, 693 e 694 c.p.;

-         i reati previsti dagli artt. 121 e 124 TULPS e dagli artt. 121, 180, 181 e 186 del relativo regolamento;

-         taluni reati previsti dal codice della strada;

-         il reato previsto dall’art. 32 della legge n. 990 del 1969, in tema di assicurazione per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli.

[28]   Il Governo ha attuato questa delega con il D.Lgs. 24 marzo 1994, n. 211 (Norme in materia di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali), il D.Lgs. 9 settembre 1994, n. 566 (Modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di tutela del lavoro minorile, delle lavoratrici madri e dei lavoratori a domicilio) ed il D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758 (Modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro).

[29]   Il Governo ha attuato la delega con l’emanazione del D.Lgs. 13 luglio 1994, n. 480 (Riforma della disciplina sanzionatoria contenuta nel testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773).

[30]   I reati contenuti nel codice penale oggetto di depenalizzazione sono i seguenti: Artt. 345 Offesa all'autorità mediante danneggiamento di affissioni - 350 Agevolazione colposa della violazione di sigilli - 352 Vendita di stampati sequestrati - 465 Uso di biglietti falsificati di imprese di trasporto - 466 Alterazioni di segni nei valori di bollo o nei biglietti usati - 498 Usurpazione di titoli e onori - 527 Atti osceni - 654 Grida e manifestazioni sediziose - 663 Vendita, distribuzione o affissione abusiva di scritti o disegni - 663-bis Divulgazione di stampa clandestina - 664 Distruzione o deterioramento di affissioni - 666 Spettacoli o trattenimenti pubblici senza licenza - 675 Collocamento pericoloso di cose - 676 Rovina di edifici o di altre costruzioni - 677 Omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina - 686 Fabbricazione o commercio abusivi di liquori o droghe, o di sostanze destinate alla loro composizione - 688 Ubriachezza - 692 Detenzione di misure e pesi illegali - 705 Commercio non autorizzato di cose preziose - 724 Bestemmia e manifestazioni oltraggiose verso i defunti - 725 Commercio di scritti, disegni o altri oggetti contrari alla pubblica decenza.

Per la quasi totalità degli illeciti indicati la sanzione amministrativa è irrogata dal prefetto.

[31]   Nella XV legislatura, la Commissione ministeriale per la riforma del codice penale, presieduta da Giuliano Pisapia, ha affermato, nella relazione del 19 novembre 2007, che una riforma del codice deve porsi l'obiettivo di un diritto penale “minimo, equo ed efficace”, in grado di invertire la tendenza “panpenalistica” che mostra, ogni giorno di più, il suo fallimento. L‘inserimento nel nostro ordinamento di sempre nuove fattispecie penali (soprattutto contravvenzionali) – che puniscono condotte per le quali sarebbe ben più efficace una immediata sanzione amministrativa – ha contribuito in modo rilevante a determinare l'attuale stato della nostra giustizia penale, unanimemente considerata al limite del collasso, con milioni di procedimenti penali pendenti e conseguente quotidiana violazione di quella “ragionevole durata del processo”, sancita dall'art. 111 della Costituzione e dall'art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo.