Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari esteri |
Titolo: | Incontro con una delegazione dell'Assemblea dei Rappresentanti del Popolo e di altre istituzioni pubbliche della Repubblica tunisina |
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 255 |
Data: | 22/09/2016 |
Organi della Camera: | III-Affari esteri e comunitari |
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Camera dei deputati |
XVII LEGISLATURA |
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Documentazione e ricerche |
Incontro
con una delegazione dell’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo e di altre
istituzioni pubbliche della Repubblica tunisina |
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n. 255 |
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22 settembre 2016 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi Dipartimento Affari esteri ( 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it |
Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici: |
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File:
es0524.docx |
INDICE
Scheda-paese: Repubblica di Tunisia
Sviluppi istituzionali e problemi
della sicurezza in Tunisia (a cura del Servizio Studi)
La lotta alla corruzione nei
provvedimenti della XVII legislatura (a cura del Servizio Studi)
Rapporti parlamentari con la
Tunisia (a cura del Servizio Rapporti Internazionali)
Composizione
della delegazione
Scheda-paese: Repubblica di Tunisia
(fonte: Treccani, Atlante
geopolitico 2016)
La Tunisia è un paese del Maghreb, la
fascia costiera dell’Africa settentrionale che dal Marocco si estende fino alla
Libia. Dal punto di vista geopolitico si differenza da altri attori dell’area –
come Algeria e Libia – perché non è ricca di risorse naturali; questa
caratteristica la accomuna al Marocco e rende il paese più dipendente dai
rapporti con i partner della sponda nord del Mediterraneo. La sua strategica
collocazione geografica, sulla sponda sud del Canale di Sicilia e nel mezzo
delle rotte mediterranee, rende d’altra parte la Tunisia un attore importante
per tutti i paesi dell’Europa meridionale. Le relazioni con l’Unione Europea
(Eu), con cui la Tunisia ha firmato un accordo di associazione già nel 1998,
rappresentano una delle priorità di politica estera. In particolare, il
paese ha i più stretti legami con la Francia, che è stata per decenni potenza
coloniale in Tunisia (fino al conseguimento dell’indipendenza nel 1956), e con
l’Italia, per motivi di vicinanza geografica e relazioni storiche. Nell’area
maghrebina e, più in generale, mediorientale, la Tunisia mantiene buone
relazioni con tutti i vicini e con tutti i paesi arabi, nonostante non manchino
alcune tensioni con l’Algeria, dovute a motivi di carattere geostrategico e
politico. Paese storicamente di secondo piano dal punto di vista politico e
diplomatico, tanto per via della posizione marginale rispetto al cuore del
Medio Oriente quanto per le sue ridotte dimensioni, tra la fine del 2010 e
l’inizio del 2011 la Tunisia è divenuta il modello per i movimenti di protesta
popolari che hanno coinvolto gran parte dei paesi dell’area: è stata il primo
paese testimone di un cambio di regime, dando il via a quel fenomeno che
sarebbe stato conosciuto come ‘Primavere arabe’.
Nel 2011 l’ex
presidente Zine el-Abidine Ben Ali, in carica dal 1987, è stato costretto alla
fuga in Arabia Saudita a seguito di due settimane di manifestazioni e proteste
popolari, nelle quali circa 80 persone sono morte. Da quel momento, la Tunisia
ha avviato un processo di transizione politica, instauratosi con l’elezione di
un’assemblea costituente nell’ottobre del 2011. Tale organo, oltre ad avere il
compito di scrivere la nuova carta costituzionale del paese, ha svolto anche le
funzioni legislative, in attesa delle elezioni del 2014. Prima di questa data,
l’assemblea era composta da una maggioranza che gravitava intorno al partito
islamico Ennahda, il quale governava in coalizione con Ettakatol e il Congresso
per la repubblica. Nonostante le divisioni politiche e sociali e il clima di
polarizzazione creatosi all’indomani della vittoria del partito islamico, dopo
più di due anni di discussione l’assemblea ha approvato la nuova Costituzione
nel gennaio del 2014. Questo è stato solo il primo passo verso un più
strutturato processo di democratizzazione, continuato con il dialogo nazionale
tra i partiti per l’istituzione di un governo tecnico nel 2014 – in un clima
teso per via dell’assassinio di due politici afferenti alle forze di
opposizione, Chokri Belaid e Mohamed Brahmi –, che portasse il paese a nuove
elezioni. Tale fase è stata guidata dal cosiddetto ‘quartetto’, vale a dire da
quattro associazioni della società civile (il maggiore sindacato, Uggt;
l’associazione degli industriali; quella degli avvocati; la Lega tunisina per i
diritti umani) che, proprio per questo sforzo, nell’ottobre del 2015 è stato
insignito del Premio Nobel per la pace. Nell’ottobre del 2014 le prime elezioni
parlamentari democratiche della storia repubblicana, hanno visto la vittoria
della formazione secolare Nidaa Tounes, guidata dall’ex ministro (fin dai primi
anni della presidenza Bourguiba) e capo del governo (nel secondo governo
transitorio dopo la caduta di Ben Ali), Béji Caïd Essebsi. Quest’ultimo, nel
dicembre del 2014, è poi stato eletto presidente della repubblica. A seguito di
tale risultato elettorale, i due maggiori partiti, Ennahda e Nidaa Tounes,
hanno dato vita nel 2015 a un governo di coalizione guidato dal primo ministro
Habib Essid, cui partecipano anche l’Unione patriottica libera e Afek Tounes.
Nonostante i tentativi di destabilizzazione manifestatisi con gli attentati al
Museo del Bardo di Tunisi nel marzo 2015 e contro un resort turistico presso
Sousse nel giugno dello stesso anno, le forze politiche continuano a portare
avanti il difficile processo di transizione.
La Tunisia è il paese meno popoloso di tutta l’area maghrebina, dopo la Libia. A differenza di quest’ultima, però, la Tunisia è etnicamente molto omogenea e presenta scarse divisioni dal punto di vista tribale e religioso, elemento che ne rafforza la coesione interna. La quasi totalità della popolazione, circa il 98%, è araba, mentre la minoranza berbera e quella ebrea rappresentano ciascuna l’1%. La composizione etnica si riflette a livello religioso: il 98% della popolazione professa la religione musulmana sunnita, mentre vi sono minoranze cristiane e di religione ebraica. La presenza della comunità ebraica è importante soprattutto dal punto di vista storico: gli ebrei tunisini, oggi circa 1500, vivono soprattutto sull’isola di Gerba, dove sorge una delle sinagoghe, al Ghriba, e una delle comunità ebraiche più antiche del mondo. La libertà di culto è stata garantita anche nella Costituzione del 2014, la quale comunque stabilisce che l’islam è la religione di stato.
Il tasso di crescita della popolazione è molto basso, riflesso di un tasso di fecondità minore rispetto agli altri paesi, mentre di contro l’età media è la più alta della regione. La Tunisia, del resto, ha anche una delle popolazioni più urbanizzate ed è interessata, sia in misura diretta sia indiretta, dal fenomeno dell’emigrazione, sia esterna che interna. Da un lato, centinaia di persone partono ogni anno per raggiungere l’Europa, mentre dall’altro sono molte le persone che dalle aree rurali si spostano verso quelle urbane e della costa orientale del paese. A incidere su tali scelte, vi sono spesso le difficili condizioni socioeconomiche in cui la Tunisia continua a versare, nonostante i cambiamenti politici.
La Tunisia vanta livelli di istruzione elevati e un sistema educativo – anche a livello universitario – tra i più efficienti della regione, che però non trova un’adeguata risposta dal punto di vista della qualità dell’offerta di lavoro; ciò ha creato negli anni uno strutturale problema di disoccupazione, soprattutto giovanile. Il tasso di alfabetizzazione è superiore a quello di molti altri paesi maghrebini e mediorientali, specie per quanto riguarda le fasce giovanili, e sono molti i tunisini che studiano in università estere. La spesa per l’istruzione della Tunisia è tra le più alte di tutta la regione e una delle più alte al mondo in termini relativi.
Dal punto di vista delle libertà politiche e civili, indubbi passi in avanti sono stati fatti durante i primi quattro anni di transizione dopo la caduta di Ben Ali. Fino al 2011 il paese era uno dei più repressivi per ciò che concerne la libertà di stampa e su internet, mentre oggi la sua posizione è notevolmente migliorata, anche se permangono alcuni problemi legati alla censura. Un altro settore in cui il paese ancora presenta delle problematicità è quello delle forze di polizia e di sicurezza: si registrano ancora casi di arresti sommari e torture in carcere, soprattutto a danno di presunti componenti di movimenti di stampo salafita, in un contesto che è diventato più polarizzato rispetto agli anni del regime di Ben Ali. Si registrano ancora casi di attivisti arrestati per reati di opinione e, più in generale, il paese risente delle contraddizioni tipiche di una realtà in via di democratizzazione. Molte critiche sono state mosse, infine, alla nuove legge sul terrorismo approvata nel luglio del 2015, che limiterebbe ulteriormente le libertà e reintroduce la pena di morte.
L’economia tunisina è penalizzata dalla scarsa disponibilità di risorse naturali. Il paese produce gran parte dell’energia consumata, ma le risorse da esportare sono esigue. Tale condizione ha fatto sì che, rispetto ad altri attori regionali, il sistema economico tunisino divenisse più dipendente dai rapporti con i paesi europei, soprattutto Francia e Italia. Questi ultimi rivestono un’importanza vitale per la Tunisia, viste le relazioni commerciali, gli investimenti e i flussi turistici che contribuiscono a mantenere l’economia nazionale in condizioni relativamente buone. Fatta eccezione per la Libia durante il periodo di Gheddafi, la Tunisia è, in termini di pil pro capite, il paese più ricco di tutta la fascia maghrebina.
Il settore terziario contribuisce a più del 60% del pil totale tunisino ed è quindi il settore dominante; l’agricoltura pesa per più dell’8% e l’industria per il restante 30%. Nei servizi emerge il turismo, che può contare sulle bellezze naturali del paese (in particolar modo la costa) e su un notevole patrimonio archeologico, e che contribuisce da solo a circa il 20% del pil. Gli attentati del 2015 hanno messo in ginocchio l’industria del turismo tunisino, contribuendo a peggiorare la situazione economica del paese. Potenzialmente la Tunisia è ancora in grado di svilupparsi; tuttavia, non è riuscita ad attirare ingenti investimenti diretti esteri, specie in relazione agli altri attori dell’area. A pesare, vi sono le condizioni ancora molto chiuse di alcuni settori chiave, come i trasporti e le comunicazioni. Se il processo di transizione politica dopo la caduta di Ben Ali è andato avanti in maniera piuttosto lineare, dunque, altrettanto non si può dire per il sistema economico, ancora bisognoso di riforme strutturali. L’alto tasso di disoccupazione (comunque in calo, dal 16% del 2014 al 13,3% del 2015) che nella fascia giovanile assume dimensioni più preoccupanti, è uno dei maggiori problemi in questo senso. A ciò si aggiunge la grande disparità economica e infrastrutturale tra le zone costiere, specialmente quelle collocate a nord, attorno alla capitale Tunisi, e le zone interne e meridionali il cui sviluppo è stato nettamente trascurato dalla dittatura di Ben Ali e che sono state l’origine delle rivolte del 2011 e, allo stato attuale, sono territorio fertile per nuovi giovani radicalizzati.
I rapporti commerciali più importanti della Tunisia sono quelli con l’Eu. Francia, Italia e Germania sono i primi tre partner commerciali. La bilancia commerciale è in negativo, anche a causa delle importazioni di idrocarburi. Una fetta consistente delle entrate tunisine è rappresentata, infine, dalle rimesse estere.
Sebbene la Tunisia fosse giudicata uno dei paesi più stabili della regione, la caduta del regime a seguito delle rivolte di inizio 2011 ha dimostrato come le dinamiche politiche interne e la mancanza di libertà civili avessero contribuito a creare un potenziale di instabilità difficile da controllare. Dal punto di vista interno, di particolare rilevanza è il fenomeno del salafismo politico, emerso nei quattro anni di transizione, che ha causato numerosi problemi ai governi provvisori che si sono succeduti. I contrasti sono degenerati spesso anche in scontri aperti con i movimenti laici e le forze di sicurezza, causando molti feriti e alcune vittime.
Durante il 2013, inoltre, ad assumere ancora più rilevanza è emerso il terrorismo di stampo jihadista. La Tunisia, come gli altri paesi della fascia maghrebina, è un territorio potenzialmente fertile per la proliferazione di gruppi legati al terrorismo islamico e, in particolar modo, ad al-Qaida nel Maghreb Islamico (Aqim), con il suo gruppo affiliato Uqba ibn Nafaa. Dal 2013, il terrorismo è tornato a provocare vittime e attentati in Tunisia, prima soltanto contro obiettivi militari nell’area montuosa dello Jebel Chaambi, al confine con l’Algeria. Dopo la messa al bando di Ansar al-Sharia in Tunisia, il maggiore gruppo salafita sorto dopo la caduta di Ben Ali, la situazione della sicurezza si è però notevolmente aggravata. Il 2015, in questo senso, ha segnato un anno di vera e propria svolta, in quanto si sono verificati i primi attentati indiscriminati contro civili, sia cittadini tunisini che, soprattutto, turisti. Agli attacchi contro il Museo del Bardo e contro un gruppo di turisti su una spiaggia nei pressi di Sousse, che complessivamente hanno provocato 60 vittime, si è aggiunto quello suicida contro un autobus di poliziotti in pieno centro a Tunisi nel novembre del 2015, che ne ha uccisi 12. Anche cellule legate allo Stato islamico (Is) operano in Tunisia, soprattutto tramite i contatti con i gruppi jihadisti nella vicina Libia, in cui si recano molti foreign fighters tunisini (la Tunisia è tra i primi paesi al mondo per numero di combattenti all’estero, in Siria, Iraq e Libia).
Nonostante la Tunisia rimanga nel 2016 l’unico paese, rispetto agli altri paesi convolti dalla cosiddetta ‘primavera araba’, a continuare sul cammino della transizione politica, ha ancora diverse sfide davanti a sé. Quella più grande e che sicuramente pesa di più sulla tenuta delle neonate istituzioni democratiche è rappresentata dall’emergere di forze terroriste sul proprio territorio. In maniera più evidente, tale fenomeno – reso più preoccupante dalla presenza di almeno 3000 tunisini in teatri del jihad all’estero, Siria, Iraq e Libia – si è manifestato in tutta la sua gravità durante il 2015, con gli attentati del Bardo e di Sousse. Alle radici della radicalizzazione in Tunisia vi sono due ordini di motivazioni diversi tra loro. Da un lato, vi è la cosiddetta radicalizzazione politica, spinta da motivazioni ideologiche e aumentata notevolmente con la diffusione dell’ideologia dell’Is. Dall’altro, vi sono ragioni che dipendono maggiormente da fattori socio-economici e che hanno a che fare con le disparità interne: non è un caso che uno dei maggiori centri di radicalizzazione sia l’area di Kasserine, al confine con l’Algeria, tra le più povere del paese. Di fronte a tale situazione, le azioni di antiterrorismo del governo tunisino, oltre che puntare sulla sicurezza, dovranno essere volte a migliorare anche le politiche di sviluppo.
2014
Alla metà di
dicembre del 2013, non senza grandi difficoltà, si raggiungeva un accordo istituzionale per porre fine
all’instabilità che aveva caratterizzato il paese per tutto il 2013. Il 9
gennaio 2014 effettivamente si dimetteva
il premier Laarayedh, nelle
stesse ore in cui la Costituente sanciva, con un emendamento al progetto
costituzionale in via di elaborazione, la completa parità giuridica tra uomini
e donne – già inserita nel testo - anche nelle assemblee elettive.
La nuova
Costituzione prevedeva anche, nonostante il riconoscimento dell’Islam come
religione di Stato, l’esclusione della Shari’a
dal quadro delle fonti dell’ordinamento giuridico dello Stato, consentendo
invece libertà di fede e coscienza, e rigettando le ipotesi di apostasia quali
figure di reato.
Il 26 gennaio 2014 l’ex ministro dell’industria Mehdi Jomaa riceveva l’incarico di formare
un governo tecnico frutto del compromesso tra Ennahdha e le opposizioni.
Il 4 marzo il Presidente del Consiglio Matteo Renzi
si recava a Tunisi per la prima
missione all’estero del suo mandato: Renzi incontrava le massime cariche
istituzionali del vicino paese – oltre che esponenti della vivace società
civile -, alle quali rinnovava la considerazione della centralità del
Mediterraneo per l’Italia, in una prospettiva di dialogo e sviluppo.
Alla fine di
maggio il paese tornava a dividersi in
merito allo scioglimento della Lega per la protezione della rivoluzione
disposto dal Tribunale civile di Tunisi: la Lega, una formazione a carattere
paramilitare, era stato costante sostegno dei governi di ispirazione islamista,
con forme di violenza fisica nei confronti degli oppositori, che talvolta erano
giunte all’omicidio. Lo scioglimento della Lega naturalmente determinava
reazioni negative da parte del fronte islamista, ma anche di partiti come il
Congresso per la Repubblica - che aveva fatto parte dei governi successivi alla
caduta di Ben Alì e che si esprimeva in senso contrario al provvedimento del
tribunale civile di Tunisi.
Dall’altra parte
le forze che maggiormente avevano sperimentato le violenze della Lega salutavano con favore lo scioglimento
di essa. Singolare era poi giudicato in diversi ambienti del paese nordafricano
il fatto che di fronte alle innumerevoli violenze compiute negli ultimi anni
dalla Lega lo scioglimento di essa fosse stato poi decretato per ragioni
amministrative, quando lo Stato decideva di contestare la legalità formale
della sua costituzione: indirettamente, ciò era visto come conferma
dell’inerzia della giustizia penale tunisina.
Il 28 maggio la violenza si riaccendeva nella
regione sudoccidentale della Tunisia, a Kasserine, in una zona limitrofa a una roccaforte dei
fondamentalisti ove dall’inizio del 2013 si erano registrati due assassinii
politici e una ventina di morti tra i membri delle forze dell’ordine: attorno
alla mezzanotte alcuni miliziani presumibilmente fondamentalisti uccidevano
quattro poliziotti durante un attacco
all’abitazione del ministro degli interni Ben Jeddou, che tuttavia ne usciva
illeso.
La Presidenza
della Repubblica decretava un giorno di lutto nazionale, nelle stesse ore in
cui si inaugurava nella capitale una conferenza internazionale sulla libertà di
espressione nel mondo arabo - promossa da un’organizzazione non governativa
italiana (“Un ponte per”) all’interno
di un progetto cofinanziato dall’Unione europea - nella quale, in riferimento
alla Tunisia, si constatava la persistente difficoltà per la libertà di
espressione a causa dell’opposta
pressione di forze populiste - da un lato quelle integraliste islamiche e
dall’altro gruppi risorgenti di persone già appartenute al sistema di potere di
Ben Alì, che proprio nella lotta agli islamisti cercavano il veicolo per
riaccreditarsi sulla scena del paese.
Il 16 luglio si
registrava un altro grave episodio di terrorismo nell’area del monte Chaambi,
vicino al confine algerino, da tempo dichiarata a rischio per la presenza di
diversi gruppi terroristici: proprio uno di tali gruppi perpetrava l’attacco a
due basi di controllo dell’esercito, provocando la morte di 14 militari e il ferimento di una ventina. Le autorità
proclamavano tre giorni di lutto nazionale, mentre giungeva una rivendicazione
da parte di una brigata appartenente al gruppo jihadista di Ansar al-Sharia,
collegato ad al-Qaida.
La Tunisia tornava al centro dell’attenzione
internazionale verso la fine di ottobre, in vista delle elezioni legislative
fissate per il giorno 26, e delle presidenziali del 23 novembre. L’attesa elettorale era funestata il 24 ottobre
dall’assalto delle forze dell’ordine ad una casa alla periferia della capitale
dove si erano asserragliati alcuni presunti terroristi: il bilancio del blitz era di sei morti, tra i quali
cinque donne.
La vigilia del
voto registrava ancora la massima incertezza sui risultati, anche in
considerazione del divieto di pubblicazione dei sondaggi durante la campagna
elettorale. Comunque, i tunisini avrebbero scelto i loro rappresentanti tra i
candidati di oltre 1.300 liste in 33 circoscrizioni, sei delle quali estere.
Certamente nuovo si presentava il panorama delle forze politiche tunisine, con
un’accentuata polarizzazione su due
raggruppamenti maggioritari, quello tra Ennahdha,
Ettakatol ed il Congresso per la Repubblica, interprete dei valori più
tradizionali e maggiormente legato all’islamismo; e quello guidato dalla forza
politica creata nel giugno 2012 da Caid Essebsi, NidaaTounes, più legato al laicismo tradizionale e al nazionalismo
tunisino, sulla scia di Habib Bourghiba. Proprio Essebsi aveva escluso per
tutta la durata della campagna elettorale ogni possibilità di alleanza con gli
islamisti di Ennahdha.
Più in dettaglio,
va osservato come i tre partiti che avevano fino a quel momento guidato la
Tunisia, pur scontando le differenze tra Ennahdha
da un lato, e i due partiti di centro-sinistra Ettakatol e Congresso per la Repubblica dall’altro, avevano subito
un notevole discredito proprio dall’insufficiente prova di governo. Per quanto
concerne Ennahdha, poi, molti
tunisini rimproveravano al partito islamico moderato di Ghannouci l’eccessiva
tolleranza verso le iniziative aggressive dei salafiti, moltiplicatesi dopo la
caduta di Ben Ali.
A riprova dello
smarrimento di Ennahdha, molti
osservatori evidenziavano poi come il partito, pur maggioritario nelle
precedenti elezioni, non avesse un proprio candidato alle presidenziali, a
differenza di Ettakatol e del
Congresso per la Repubblica, che presentavano quali candidati per la carica di
capo dello Stato rispettivamente il leader
Mustafa ben Jaafar - presidente dell’Assemblea nazionale costituente - e
Moncef Marzouki, capo dello Stato uscente - peraltro non più alla guida del
Congresso per la Repubblica, al cui vertice si trovava ormai Abderraouf Ayadi.
Per quanto
concerne l’altro schieramento, Nidaa
Tounes si era visto spesso rimproverare di essere espressione di personaggi
vicini al regime di Ben Ali, ma un indubbio punto di forza di questo partito
era la candidatura di Caid Essebsi alle presidenziali, per le quali era dato
per favorito.
Completavano il
quadro delle forze politiche principali partecipanti alle elezioni legislative
il partito repubblicano, nato nel 2012 dalla fusione di vari partiti di centro,
con la figura principale nella persona di Ahmed Chebbi, anch’egli candidato
alle presidenziali; e l’Unione patriottica libera del facoltoso uomo d’affari
Slim Riahi, ugualmente centrista e con un’ispirazione modernista di mercato -
Riahi si era anche candidato alle presidenziali del 23 novembre.
Il 26 ottobre, fortunatamente, le elezioni politiche si svolgevano
regolarmente e senza incidenti di rilievo, sotto il controllo di
ottantamila appartenenti alla polizia e alle forze armate, e di circa seicento
osservatori internazionali. Il presidente USA Obama salutava le elezioni come
tappa importante nel processo di costruzione democratica della Tunisia, e a
questo giudizio positivo si associava anche il Presidente del Consiglio Matteo Renzi. L’Alta Rappresentante per la
politica estera europea Federica
Mogherini, allora negli ultimi giorni della sua funzione di Ministro degli
esteri italiano, citava la Tunisia come esempio della possibilità di realizzare
quello che era apparso il progetto iniziale delle Primavere arabe, con la
costruzione di istituzioni democratiche attraverso il confronto politico.
I risultati delle elezioni vedevano
l’affermazione del raggruppamento raccolto attorno a Nidaa Tounes, che conquistava una maggioranza relativa dei
seggi, e con essa la possibilità di indicare il nuovo premier. Ennahdha
riconosceva la sconfitta elettorale, complimentandosi con gli avversari
ed invitando i propri sostenitori a festeggiare comunque la tenuta delle
elezioni come vittoria del paese.
Va peraltro
registrato che i risultati definitivi
assegnavano 85 seggi a Nidaa Tounes e
69 ad Ennahdha, prefigurando
pertanto lo scenario di una possibile forzata collaborazione per poter
raggiungere la soglia minima di 109 deputati su 217 complessivi.
Decisivo per il
futuro assetto di governo della Tunisia si presentava pertanto l’appuntamento del 23 novembre, primo turno
di svolgimento delle elezioni presidenziali, sia per un riscontro ulteriore
della forza dei rispettivi schieramenti in campo, sia perché sarebbe stato il
prossimo presidente della Repubblica ad affidare l’incarico di formare il nuovo
governo. Come previsto, le consultazioni
registravano l’affermazione di
Caid Essebsi, il quale tuttavia non riusciva
a raggiungere una quota di voti tale da evitare il ballottaggio con il secondo
classificato, il presidente uscente Moncef Marzouki. Questi, già familiare
con gli ambienti islamisti per aver governato a lungo nella cosiddetta troika con Ennahdha ed Ettakatol, sembrava in effetti cercare di recuperare
spazio politico e voti facendo appello agli ambienti islamici radicali e, sul
piano internazionale, al Qatar - che invece con la vittoria nelle elezioni
politiche di Nidaa Tounes sembrava
aver perso una parte della propria presa sulla realtà tunisina a favore di
Francia e Stati Uniti, chiaramente schierati a favore del raggruppamento laico.
Va in tal senso
precisato che il risultato delle
presidenziali già di per sé aveva
registrato un assottigliamento della distanza tra i due raggruppamenti
principali, in quanto Essebsi sfiorava il 40% dei consensi, ma Marzouki
superava il 33% - ciò evidentemente perché riusciva a far convergere sulla
propria persona la pressoché totalità dei voti espressi dagli elettori di Ennahdha, che pure li aveva lasciati
liberi nell’espressione del voto per le presidenziali.
Il 21 dicembre il ballottaggio delle elezioni
presidenziali registrava la prevista vittoria di Caid Essebsi, che prevaleva chiaramente sul capo dello Stato in
carica Marzouki: per la verità questi contestava nell’immediato il risultato
elettorale, denunciando brogli, e alcuni suoi sostenitori davano vita nella
serata a un raduno di protesta a El Hamma, disperso dalla polizia. Nella
sconfitta di Marzouki aveva probabilmente giocato anche l’atteggiamento di Ennhadha, che pure per il ballottaggio
aveva lasciato libertà di voto ai propri sostenitori.
La conclusione
della tornata elettorale presidenziale in Tunisia riscontrava nei giorni successivi
l’apprezzamento del Consiglio d’Europa, dell’Amministrazione USA nonché
dell’Alta Rappresentante per la politica estera dell’Unione europea Federica
Mogherini. Anche il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si felicitava
con il nuovo omologo tunisino. Il 31 dicembre Essebsi giurava innanzi
all’Assemblea dei rappresentanti del popolo in seduta plenaria, e alla presenza
dell’esecutivo guidato da Mehdi Jomaa, di rappresentanti dei partiti politici e
personalità nazionali, nonché del corpo diplomatico accreditato nel paese.
2015
La procedura per
la formazione del nuovo governo iniziava il 5 gennaio 2015, quando il
presidente Essebsi riceveva dal partito di maggioranza Nidaa Tounes la candidatura
a futuro premier di Habib Essid.
Essid, già attivo nell’alta burocrazia nel ventennio precedente la rivoluzione
tunisina, e in seguito ministro dell’interno durante l’assetto di governo
provvisorio succeduto alla caduta di Ben Ali, aveva a disposizione un mese di
tempo, prorogabile di un ulteriore analogo periodo, per dar vita al nuovo
esecutivo.
Nonostante i
positivi segnali di assestamento della compagine istituzionale tunisina, il
clima della sicurezza continuava a presentare qualche aspetto preoccupante,
come quando ad esempio un importante esponente del gruppo terroristico tunisino
Ansar al-Sharia minacciava di morte in un video dalla Siria due giornalisti che
avevano aderito alla condanna del sanguinoso attacco al settimanale satirico
francese Charlie Hebdo, preannunciando
una specifica campagna terroristica contro i mezzi di comunicazione a impronta
laica della Tunisia.
Il 23 gennaio,
comunque, il premier in carica Essid
presentava la sua formazione di governo al capo dello Stato Essebsi, un esecutivo con molti ministri del partito
Nidaa Tounes e alcuni tecnici, ma
privo di esponenti di Afek Tounes e
di Ennahdha. Nei giorni
successivi, evidentemente, Essid comprendeva la difficoltà che la sua
formazione di governo avrebbe incontrato pochi giorni dopo nel voto di fiducia
parlamentare, tanto che il 2 febbraio presentava
una nuova lista di ministri, all’interno della quale era rientrato il
partito Afek Tounes, e figuravano
inoltre l’Unione patriottica libera e l’islamista Ennahdha – cui sarebbe andato il ministero della formazione. Con il
governo così configurato - formato da 22 ministri, 2 ministri delegati e 15
segretari di Stato, e con scarsa presenza di tecnici - prendeva corpo la
prospettiva di un governo di larghe intese che già i risultati delle elezioni
legislative, ma soprattutto quelli delle presidenziali, avevano fatto
presagire.
Il 4 febbraio effettivamente
Essid si presentava in Parlamento, dove il suo governo dopo un lungo dibattito
otteneva la fiducia, per entrare in carica due giorni dopo. Essid riceveva
le pronte congratulazioni dell’Alto rappresentante della politica estera
europea Federica Mogherini e del
Presidente del Consiglio Matteo Renzi, che salutava il ruolo della
Tunisia saldamente incamminata in un percorso di sviluppo democratico e di
progresso economico.
Il 13 febbraio Federica Mogherini aveva occasione di
esprimere direttamente alle autorità tunisine il proprio compiacimento, nel
corso della visita ufficiale durante la quale incontrava il capo della
Stato Essebsi e il ministro degli esteri Baccouche, affrontando tra gli altri
in particolare i temi della sicurezza, nella declinazione della gravissima
crisi libica e della lotta al terrorismo, oltre naturalmente al dossier sui
rapporti tra Tunisia e Unione europea - nella prospettiva di un futuro accordo
di libero scambio e di facilitazione dei visti per il territorio europeo.
Il terrorismo tornava però in primo piano il 18
febbraio, quando nella pericolosissima area di Boulaaba, nel Governatorato di Kasserine,
verso il confine algerino, quattro appartenenti alla Guardia nazionale erano
uccisi: poche ore dopo proprio la brigata Okba ibn Nafee, legata ad al
Qaeda e che nella regione ha il proprio quartier generale, rivendicava i
quattro omicidi, avvenuti ancora una volta nei pressi del Monte Chaambi.
L’attentato veniva presentato dai jihadisti come risposta all’offensiva che le
forze di sicurezza tunisine stavano attuando - ed effettivamente i quattro
assassinati facevano parte di una pattuglia impegnata in un’operazione di
rastrellamento.
Il 25 febbraio vi era la visita a Tunisi del
Ministro degli esteri Paolo Gentiloni, il quale incontrava le massime autorità dello
Stato, ribadendo il sostegno dell’Italia al percorso democratico della Tunisia,
e auspicando una sempre maggiore collaborazione in tema di informazioni per la
sicurezza e di contrasto al terrorismo.
All’inizio di marzo venivano colpiti alcuni gruppi
terroristici, anzitutto grazie alla cooperazione tra Algeria e Tunisia già da tempo
in corso: infatti reparti della Gendarmeria nazionale algerina conducevano
un’operazione a poca distanza dalla frontiera con la Tunisia - e quindi dalla
zona del Monte Chaambi, roccaforte dei jihadisti tunisini -, catturando 13
persone e portando un duro colpo ad un gruppo jihadista algerino affiliato al Daesh, e in rapporti di collaborazione
con la brigata tunisina Okba ibn Nafee. Tre giorni dopo, il 4 marzo,
un’operazione tunisina nella regione di Kasserine provocava l’uccisione di due
presunti terroristi, a seguito di un’operazione di rastrellamento.
La tela sempre più intensa dei rapporti
italo-tunisini registrava un
nuovo sviluppo il 5 marzo, quando il
Ministro dell’interno Alfano incontrava al Viminale l’omologo tunisino
Gharsalli, con al centro dei colloqui il problema dell’immigrazione
clandestina e la cooperazione nel contrasto al terrorismo - con particolare
riguardo alla situazione di instabilità della Libia e alle minacce che ne
derivano. La collaborazione tra Italia e Tunisia proseguiva il 17 marzo, quando
una delegazione di magistrati del paese
nordafricano era ricevuta al Consiglio superiore della magistratura per un
confronto sulla riforma della giustizia in Tunisia. Nel corso dei colloqui
emergevano l’apprezzamento e l’attenzione del CSM per l’indipendenza della
magistratura quale configurata nella nuova Costituzione tunisina, esempio di
ciò che gli sforzi del sistema giudiziario italiano si proponevano di
contribuire a realizzare in tutti i paesi del Nord Africa impegnati in processi
di democratizzazione - in tal senso veniva preconizzato il possibile avvento,
accanto allo spazio giuridico europeo, anche dello spazio giuridico del
Mediterraneo, come fattore essenziale di stabilità regionale.
Il 17 marzo era
anche il giorno in cui la Ministra tunisina del turismo, Selma Ellouni,
smentendo notizie allarmistiche e minacce circolate sul web nei confronti della
Tunisia, esortava a visitare il paese, da considerare a suo dire sicuro - e in
effetti dopo la crisi del 2011 si era assistito ad una graduale ripresa, con
oltre 250.000 turisti italiani approdati in Tunisia nel 2014.
Le parole del
ministro tunisino erano tuttavia tragicamente smentite il giorno successivo, 18 marzo, dall’attacco terroristico a Tunisi, quando due jihadisti pesantemente
armati dapprima tentavano di entrare in Parlamento
e, non riuscendovi, ripiegavano in direzione del Museo nazionale del Bardo dove, prima di prendere in ostaggio
decine di persone, uccidevano 21 persone
– in maggioranza turisti a bordo di pullman sbarcati da una nave da
crociera della Costa, tra i quali
quattro nostri connazionali, prima di essere a loro volta uccisi dalle
forze di sicurezza. Il giorno successivo il
Daesh rivendicava la strage,
anche se fonti dell’intelligence USA
esprimevano cautela al proposito.
Il Consiglio europeo di Bruxelles del 20 marzo esprimeva sostegno alla Tunisia nella lotta al
terrorismo e disponibilità a inviare una missione di sicurezza in Libia dopo
l’eventuale formazione di un governo di unità nazionale: particolarmente forte
l’allarme lanciato dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi per una maggiore
attenzione dell’Europa alle minacce provenienti dal Mediterraneo, come si era
già visto capaci di investire l’intero territorio europeo. In ogni modo il
Consiglio europeo incaricava l’Alto rappresentante per la politica estera Federica
Mogherini di presentare delle opzioni di intervento per il 20 aprile in relazione alla situazione
libica. L’Italia peraltro insisteva anche sulla necessità di stipulare intese
di collaborazione tra l’Europa e i paesi del Nord Africa in materia migratoria,
potenziando altresì le missioni di
monitoraggio e soccorso nel Mediterraneo.
Il 20 marzo la Tunisia offriva comunque una
confortante risposta di massa, reagendo con grandi manifestazioni all’attacco terroristico di due giorni prima,
anche in concomitanza del 59º anniversario dell’indipendenza nazionale del
1956.
Nei giorni
successivi Tunisi forniva segnali di forte ripresa, con la progettata
riapertura del Museo del Bardo per il 24 marzo e, soprattutto, la grande marcia
dei popoli uniti contro il terrorismo fissata in apertura del Forum
sociale mondiale previsto per la stessa giornata. Nel frattempo
proseguivano con solerzia le indagini che, oltre ad individuare e ricercare un
terzo terrorista implicato nell’attacco del 18 marzo, portavano0 all’arresto di
non meno di 15 persone. Emergeva intanto che i due terroristi uccisi nel blitz delle forze di sicurezza si erano
addestrati in Libia, mentre il Capo
dello Stato Essebsi avvalorava la
credibilità della rivendicazione del Daesh.
Si procedeva altresì a rimuovere diversi alti funzionari di polizia,
riconoscendo indirettamente manchevolezze nell’apparato di sicurezza della
capitale nella giornata del 18 marzo: tra essi il capo del distretto di Tunisi,
il capo della polizia stradale, quello per la sicurezza dei turisti e il capo
della sicurezza del Museo del Bardo.
Il 25 marzo vi era
l’arresto di una persona considerata la mente dell’attacco terroristico del 18
a Tunisi - si trattava di un tunisino residente in Belgio. Emergeva intanto che
le persone arrestate nelle indagini successive all’attentato sarebbero state
tutte appartenenti alla famigerata brigata
Okba ibn Nafee, il cui capo si era in effetti recentemente
distaccato dalla fedeltà ad al Qaeda
nel Maghreb islamico (AQMI) per schierarsi dalla parte del Daesh. Nella stessa giornata il Consiglio dei ministri approvava il
testo della nuova legge antiterrorismo, da sottoporre successivamente al
parlamento. Si procedeva inoltre a chiudere o censire luoghi sospetti per la
propaganda jihadista.
Il 24 marzo il
Ministro degli esteri Gentiloni si era intanto recato nuovamente in Tunisia:
qui era raggiunto un accordo per la
cancellazione di 25 milioni di euro del debito tunisino nei confronti
dell’Italia ma, ancor di più, veniva ribadita la collaborazione con Roma e
Bruxelles nella lotta al terrorismo - in tal senso l’Italia e la Francia si
impegnavano a tentare di includere la Tunisia tra gli obiettivi del grande
piano di investimenti della Commissione europea (il c.d. piano Juncker).
Il giorno
successivo il Presidente Essebsi
rivolgeva un appello al popolo a “envoyer
un message à l'étranger selon lequel la Tunisie continue sa lutte contre le
terrorisme, mais persiste aussi dans son attachement aux réformes politiques
qu'elle a faites”, attraverso la partecipazione ad una marcia
internazionale per commemorare le vittime dell’attentato, che svolgeva
effettivamente nella capitale tunisina domenica
29 marzo ed alla quale partecipavano tra gli altri il Presidente
francese François Hollande, la
Presidente della Camera dei deputati, Laura
Boldrini ed il Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi – che attestava la vicinanza dell’Italia, pienamente
coinvolta nel dramma terroristico con la morte di alcuni connazionali, al
popolo tunisino e alle autorità legittime del paese: “non lasceremo il futuro
in mano agli estremisti”, ribadiva con fermezza il Presidente del Consiglio. La manifestazione registrava la
presenza di decine di migliaia di persone giunte nella capitale da tutto il
paese, nella cornice di un imponente spiegamento di forze militari – inclusa la
Guardia nazionale - e di polizia: giungeva frattanto la notizia della liquidazione, nel sud del paese, di Chaled
Chaib, capo della cellula Okba ibn Nafee, ucciso in un blitz delle forze
di sicurezza assieme ad altri otto jihadisti.
Il 18 maggio il Capo dello Stato Sergio Mattarella si recava a Tunisi per una visita ufficiale, nel corso della quale condivideva con le autorità tunisine l’impegno contro il terrorismo e a difesa della pacifica convivenza, in un grande patto di civiltà capace di legare più che in passato le due sponde del Mediterraneo. Questi i contenuti emersi dagli incontri con il presidente Essebsi e il primo ministro Essid, che punteggiavano la giornata di Sergio Mattarella assieme alla visita al Museo nazionale del Bardo colpito dall’attentato del 18 marzo. Tra l’altro durante la visita del Capo dello Stato veniva firmato un accordo per un programma triennale di cooperazione italo-tunisino, confermando altresì quanto già annunciato in merito alla conversione, per un totale di 25 milioni di euro, del debito della Tunisia nei confronti del nostro Paese. Il Presidente della Repubblica interveniva altresì nel Parlamento tunisino riunito in seduta straordinaria, riconoscendo il carattere di dramma umanitario senza precedenti alle vicende dei flussi migratori nel Mediterraneo, rispetto ai quali dall’Europa si attendeva che se ne facesse carico in spirito di solidarietà e di accoglienza. Sergio Mattarella respingeva peraltro recisamente ogni ipotesi di intervento militare quale soluzione della questione libica, che avrebbe dovuto necessariamente passare per la decisione politica dei libici di dar vita a un governo di unità nazionale, capace di iniziare la ricostruzione di istituzioni statuali funzionanti.
Proprio in relazione all’attentato al Museo del Bardo
del 18 marzo va segnalato che la prosecuzione dell’indagine aveva condotto fino
al 19 maggio all’arresto di 46 persone ritenute coinvolte a vario titolo
nell’episodio terroristico: nella serata del 19 maggio le forze di polizia
italiane procedevano all’arresto di
Abdel Majid Touil, di nazionalità marocchina ma residente a Gaggiano,
nell’hinterland milanese, accusato in un primo tempo di aver fatto parte come
fiancheggiatore dell’organizzazione dell’attentato del Bardo: successivamente
diverse evidenze sembravano mostrare invece la presenza di Touil in Italia
proprio nei giorni in cui era perpetrato l’attentato. Cionondimeno, le autorità
tunisine ribadivano con forza la loro convinzione della colpevolezza di Touil,
che sarebbe stato chiamato in causa da alcuni altri arrestati sempre in
relazione allo stesso episodio. Dopo diverse schermaglie giuridiche, il 16
giugno la Quinta Corte d’appello di Milano confermava la necessità di detenzione
in carcere per Touil, ritenendo ancora attuale e concreto il pericolo di fuga
dell’indagato, per di più accusato di delitti particolarmente gravi. La
decisione della Quinta Corte d’appello era adottata nell’attesa che dalla
Tunisia giungesse la formale richiesta di estradizione, il cui incartamento
avrebbe dovuto contenere accuse ed elementi di prova tali da consentire di
precisare i capi d’imputazione a carico di Touil. Nel frattempo, il 28 maggio
si sapeva dell’arresto di un altro marocchino, Noureddine Naibi, che secondo le
autorità tunisine avrebbe conosciuto in Libia Touil e i due tunisini
dell’attentato del Bardo. Le persistenti divergenze investigative tra Italia e
Tunisia conducevano la Corte d’appello
di Milano a negare l’estradizione di Touil verso la Tunisia – chiedendo altresì
l’archiviazione delle accuse a suo carico di terrorismo internazionale e strage
-, e il 28 ottobre il cittadino marocchino veniva scarcerato. La Questura di
Milano, tuttavia, ne disponeva il trattenimento nel Centro di identificazione
ed espulsione di Torino, proprio in vista del possibile rinvio del giovane in
Marocco, in quanto clandestino. Questo provvedimento della Questura non era
però convalidato dal giudice di pace del capoluogo piemontese, e Touil il 30 ottobre
poteva tornare in libertà. Al trattenimento di Touil nel CIE si erano opposti
naturalmente i suoi legali, ma anche la Procura di Torino, perché l’espulsione
nella quale poteva culminare il soggiorno nel CIE avrebbe potuto esporre il
giovane a gravi rischi personali - nulla vietava infatti che una volta in
Marocco fosse estradato in Tunisia, dove la recente legislazione antiterrorismo
aveva reintrodotto fattispecie punibili con la pena capitale.
Il 25 maggio nella base militare tunisina di Bouchoucha un trentenne caporale dell’esercito, privato della facoltà di portare armi a seguito della manifestazione di problemi mentali, sottraeva un’arma ad un commilitone e apriva il fuoco sui militari presenti durante l’alzabandiera, uccidendone sette, tra i quali un colonnello, e ferendone una decina. Mentre le autorità tunisine parlavano di un atto completamente scollegato da ogni riferimento al terrorismo, il giorno successivo l’ISIS rivendicava la strage, compiuta a suo dire da quello che era definito un “leone solitario”. Per la verità alcuni media tunisini riferivano di una certa vicinanza del caporale a gruppi estremistici, che sarebbe stata la vera causa delle limitazioni impostegli dalle autorità militari.
La brigata Okba
ibn Nafee tornava tragicamente all’attenzione generale il 15 giugno, quando nel luogo simbolo di Sidi
Bouzid, dove l’autoimmolazione di un ambulante vessato dalla polizia di Ben Ali
aveva dato inizio nel 2011 alle “Primavere Arabe”, erano uccisi tre agenti
della Guardia nazionale in due diversi attacchi, e vi era altresì il ferimento
di 11 civili.
La vera ripresa su larga scala del terrorismo in Tunisia doveva purtroppo tuttavia ancora arrivare: il 26 giugno un terrorista, Seiffeddine Rezgui, attaccava turisti stranieri sulla spiaggia di Sousse, uccidendone trentotto – 25 dei quali britannici - a colpi di Kalashnikov.
L’attentato sulla spiaggia di Sousse gettava le autorità tunisine nello sconcerto, avendo esso ancor più direttamente colpito un settore economico, quello del turismo, sul quale il paese conta moltissimo per una sua ripresa - e certamente anche da parte dei terroristi vi era il progetto di danneggiare l’industria turistica tunisina, mettendo in crisi il governo. Le indagini ipotizzavano subito l’esistenza di una rete di sostegno per il terrorista Rezgui, del quale emergeva che nel passato aveva lavorato come animatore turistico. Inoltre era sostanzialmente acclarato che Rezgui si era recato negli ultimi tre mesi in Libia ad addestrarsi in un campo di Ansar al-Sharia, dove avrebbe anche conosciuto i due connazionali attentatori del Bardo. Mentre una serie di arresti venivano effettuati in Tunisia, il governo decideva di schierare quasi duemila agenti supplementari armati per il pattugliamento di spiagge e hotel, nonché di procedere alla chiusura di un’ottantina di moschee considerate al di fuori del controllo statale. Le autorità tunisine riferivano il 30 giugno dell’arresto di un conoscente di Rezgui che sarebbe stato implicato nella strage di Sousse.
La concomitanza dell’addestramento dei tre terroristi tunisini in Libia portava poi le indagini nella direzione di Seifallah Ben Hassine, leader radicale islamico tunisino che proprio in Libia risiedeva dal 2013, e in quel paese sarebbe stato seguito da molti dei suoi fedeli reclutati dopo la caduta di Ben Ali e nella sostanziale inerzia delle autorità tunisine nel periodo del governo di Ennahdha. Ben Hassine, conosciuto anche come Abu Iyadh, fondatore dell’ala tunisina di Ansar al-Sharia, sarebbe tuttavia morto il 14 giugno in seguito a un attacco dei droni americani in territorio libico, nelle stesse circostanze che avrebbero portato alla morte il terrorista algerino Belmokhtar.
Il 4 luglio vi era la dichiarazione dello stato di emergenza su tutto il territorio tunisino per 30 giorni, ulteriormente rinnovabili. Il presidente Essebsi ne dava l’annuncio alla nazione in un discorso di 30 minuti, nel quale ricordava le circostanze eccezionali che il paese stava vivendo, di fronte alle quali il Capo dello Stato aveva il preciso dovere di imporre lo stato di emergenza - secondo Essebsi un altro attentato come quelli del 18 marzo e del 26 giugno avrebbe potuto condurre addirittura al crollo della compagine statale, minata dalla paura e dalla sfiducia. Lo stato d’emergenza comportava ovviamente l’estensione dei poteri dei governatori, dell’esercito e della polizia, nonché la limitazione del diritto a manifestare e radunarsi, come anche al diritto di sciopero, e l’ampliamento della facoltà di dar luogo a perquisizioni domiciliari in ogni momento, accrescendo altresì il controllo sulla stampa e le pubblicazioni di qualsiasi natura.
L’8 luglio il primo ministro Essid riferiva al parlamento, riunito in sessione straordinaria per discutere sulla proclamazione dello stato di emergenza di quattro giorni prima, sui progetti dei gruppi terroristici di compiere altri attentati per paralizzare l’economia tunisina: pertanto il governo avrebbe provveduto a costruire una barriera di 160 km su tutta la frontiera con la Libia, munita di stazioni di controllo a intervalli regolari, da completare entro il 2015. L’allarme di Essid non appariva ingiustificato, se si pensa che dopo l’attentato sulla spiaggia di Sousse, nonostante il grande impegno delle autorità di sicurezza - che avevano arrestato fino al 10 luglio 127 presunti terroristi e avevano eseguito oltre settecento perquisizioni - risultavano cancellate prenotazioni per un milione di pernottamenti nel paese, con una perdita stimata pari a 500 milioni di euro. Ciò induceva addirittura gli albergatori a promettere forti sconti ai tunisini residenti all’estero se si fossero recati a trascorrere le vacanze nel paese di origine.
La gravità della situazione della sicurezza conduceva il 25 luglio il parlamento tunisino, dopo tre giorni di dibattito e con un’amplissima maggioranza, ad approvare la nuova legislazione antiterrorismo: il parlamento realizzava in tal modo l’impegno del suo presidente, Mohamed Ennaceur, preso subito dopo la strage di Sousse. La nuova legislazione prevedeva un rafforzamento delle misure di sicurezza in tutto il paese, l’utilizzo accentuato delle intercettazioni telefoniche nei confronti di sospetti terroristi, una più efficace lotta alla diffusione del terrorismo con mezzi informatici, sanzioni per chi avesse rivelato l’identità di agenti infiltrati nelle organizzazioni estremiste e, infine, un maggior controllo delle fonti di finanziamento delle organizzazioni estremiste. La nuova legislazione colpiva inoltre, vietandola, l’accusa di apostasia (takfir), nonché l’eccitazione all’odio e alla violenza tra le diverse religioni o nei confronti delle minoranze religiose: per queste fattispecie la nuova legislazione reintroduceva la possibilità, dopo una moratoria de facto di un quarto di secolo, di comminare la pena capitale, prevista altresì per l’assassinio di agenti diplomatici e funzionari internazionali.
Il 9 ottobre la società civile tunisina vedeva riconosciuto al più alto livello il proprio sforzo per incamminare il paese sulla via di una democrazia stabile e pluralista, quando il Comitato norvegese per il Premio Nobel per la pace, riunito a Oslo, lo assegnava al Quartetto per il dialogo nazionale tunisino, un insieme di organizzazioni creato nell’estate del 2013, che raggruppano sindacalisti, imprenditori, attivisti per i diritti umani, avvocati. L’attribuzione del premio era motivata con l’esser riuscito il Quartetto a creare un processo politico pacifico in un momento in cui la Tunisia era sull’orlo della guerra civile. Un mese dopo il Quartetto, i cui rappresentanti si erano recati a Roma su invito del Consiglio nazionale forense italiano, lanciava un accorato appello alla Comunità internazionale per un sostegno economico alla Tunisia, in mancanza del quale il paese avrebbe potuto riprecipitare nel caos di una lotta fra opposti estremismi. Nel corso della visita a Roma i rappresentanti del Quartetto erano ricevuti dalla Presidente della Camera Laura Boldrini e da Papa Francesco, che con immagine assai efficace li definiva “artigiani della pace”.
Ulteriori conferme delle gravi preoccupazioni per la evoluzione della situazione della sicurezza in Tunisia venivano dalla constatazione che dal paese nordafricano risultava partito il più numeroso contingente dei combattenti in Siria e Iraq sotto le bandiere dell’ISIS, circa tremila persone; ma, assai più, dal nuovo attentato del 24 novembre che colpiva un autobus carico di guardie presidenziali tunisine, provocato da una bomba o da un kamikaze a bordo, con un bilancio di non meno di 12 morti e 17 feriti. Nella serata del 24 novembre il presidente Essebsi interveniva alla televisione dichiarando il ripristino dello stato di emergenza per 30 giorni, con un coprifuoco dalle 21 alle 5 del mattino.
2016
Il 2016 si apriva con un nuovo grave fronte di tensione e di preoccupazione per la Tunisia, che confermava l’allarme lanciato in novembre dal Quartetto per il dialogo nazionale: il 16 gennaio infatti nella regione di Kasserine un giovane disoccupato che minacciava di gettarsi nel vuoto da un pilone dell’alta tensione, essendo sfumata la sua assunzione nel Dipartimento regionale dell’istruzione, rimaneva fulminato. Nei giorni successivi all’episodio si accendeva la rivolta sociale - in apparente analogia a quanto accaduto a Sidi Bouzid nel gennaio 2011 dopo la morte dell’ambulante che innescò la rivolta contro Ben Alì -, che il 20 gennaio costringeva a chiudere le scuole e i licei di Kasserine, con i manifestanti che giungevano in prossimità della sede del governatorato. La costante dei tumulti era la richiesta di lavoro e di migliori condizioni di vita, e le adunanze culminavano spesso in scontri con le forze dell’ordine. L’estensione della protesta, con la chiusura di molti edifici pubblici e negozi e lo schieramento dell’esercito a protezione del governatorato di Kasserine, provocava la dichiarazione del coprifuoco nella città dalle 18 alle 5 del mattino. Il bilancio degli scontri era di una ventina di manifestanti e altrettanti agenti feriti. Dopo l’estensione a diversi gruppi della società la protesta divampava rapidamente anche in altre città della Tunisia. Nella stessa capitale nel pomeriggio del 20 gennaio i manifestanti invadevano pacificamente la sede del governatorato, e venivano poi ricevuti dal governatore. La pericolosità della possibile saldatura dei movimenti jihadisti con la protesta sociale non sfuggiva alle autorità tunisine, che compivano forti bombardamenti aerei nell’area del Monte Chambi per prevenire la possibilità di infiltrazione di estremisti islamici nelle manifestazioni sociali utilizzando i ben conosciuti sentieri della zona. In ogni modo gli scontri proseguivano in diverse zone del paese e a Seriana perdeva la vita un agente di 25 anni, aggredito nella sua auto a colpi di pietre dai manifestanti.
Di fronte al precipitare della situazione il Consiglio dei Ministri varava specifiche misure a favore dell’occupazione e dello sviluppo della regione di Kasserine, finanziando circa 500 progetti con 3 milioni di euro e disponendo l’assunzione di 6.400 disoccupati; era inoltre prevista la creazione di una commissione d’inchiesta su presunti casi di corruzione tra pubblici funzionari, nonché la concessione di terreni demaniali a privati e la creazione di nove società a carattere imprenditoriale. Il 22 gennaio si decretava il coprifuoco notturno in tutto il paese dalle 20 alle 5 del mattino, dopo che perfino nella periferia di Tunisi veniva saccheggiata una banca, con 44 agenti feriti e 16 arresti. Il presidente Essebsi in un discorso televisivo indicava forze interne ed esterne volte a destabilizzare la Tunisia, in particolare i gruppi jihadisti dell’ISIS in agguato alla frontiera libica. Il premier Essid annunciava fermezza da parte dello Stato, dopo aver incassato a Parigi la promessa di un miliardo di euro in cinque anni per un nuovo piano di sostegno a favore delle regioni sfavorite della Tunisia.
Le preoccupazioni del presidente Essebsi trovavano conferma il 7 marzo, quando milizie dell’ISIS attaccavano alcune caserme delle forze di sicurezza tunisine nell’ultima città prima del confine con la Libia, Ben Guerdane, e, dopo essere stati respinti, colpivano anche obiettivi civili. Alla fine si contavano 35 jihadisti morti, ma anche 11 tra le forze di sicurezza tunisine e 7 civili. Veniva decretato il coprifuoco notturno a Ben Guerdane, chiudendo temporaneamente i valichi di frontiera e intensificando i pattugliamenti aerei dei confini. Significative le parole del ministro della difesa tunisino Horchani, che annunciava una legge in base alla quale forze militari straniere avrebbero potuto stazionare sul territorio della Tunisia - alludendo evidentemente alla possibilità di richiesta di assistenza militare contro il pericolo jihadista.
Per quanto concerne le misure di sostegno alla Tunisia vale la pena di ricordare che il 10 marzo il Parlamento europeo dava il via libera definitivo al provvedimento di agevolazione all’importazione senza dazio di 35.000 tonnellate di olio d’oliva tunisino per il 2016 e altrettante per il 2017. La normativa prevedeva altresì una valutazione intermedia dell’impatto delle misure, a difesa dei produttori europei. Il provvedimento aveva destato particolari proteste proprio nel nostro Paese, con il Ministro delle politiche agricole Maurizio Martina che dichiarava la propria contrarietà a qualsiasi aumento permanente dei contingenti di olio tunisino da importare in franchigia di dazio. La delegazione del Partito Democratico al Parlamento europeo si divideva tra 11 favorevoli e 14 contrari. Vibrate proteste venivano dalla Coldiretti e da altre associazioni di olivicoltori italiani.
Una prospettiva positiva per la Tunisia veniva il 22 maggio dal 10º Congresso generale del partito di ispirazione islamista Ennahdha, nel quale, sempre sotto l’accorta regia di Rachid Ghannouci, sembrava consumarsi una vera svolta in senso democratico, e si sanciva la separazione tra la dimensione politica e quella religiosa. Ennahdha voleva in tal modo accreditarsi come partito moderno e democratico, con aspirazioni nazionali e assolutamente contrario ad ogni forma di terrorismo e jihadismo. Con la piena adesione al percorso istituzionale nato dalla nuova Costituzione, il partito indicava la necessità di agire unitariamente per combattere il sottosviluppo con una politica sociale inclusiva e più giusta.
Quasi in consonanza con le scelte di Ennahdha, nel mese di giugno il presidente Essebsi lanciava un’iniziativa per la creazione di un governo di coalizione allargata, al fine di superare le difficili circostanze che la Tunisia attraversava. Il 13 luglio, poi, rappresentanti di nove partiti politici, nonché sindacali e imprenditoriali firmavano un documento, il cosiddetto Accordo di Cartagine, nel quale si metteva a punto una road map per la creazione del nuovo governo di unità nazionale e le relative priorità di intervento. Conseguentemente il 30 luglio il primo ministro in carica Essid veniva sfiduciato dal parlamento con un’ampia maggioranza: lo stesso Essid aveva del resto rifiutato di dimettersi in base ai soli sviluppi politici delle settimane precedenti, richiedendo l’espresso voto di contrarietà in parlamento.
Il 27 agosto il nuovo governo di unità nazionale, con a capo il premier Youssef Chahed, dopo una lunga seduta parlamentare otteneva in nottata a larga maggioranza la fiducia. Nella nuova compagine governativa otto dicasteri sono andati a Nidaa Tounes e sei a Ennahdha, mentre vi figurano altresì otto donne. Il programma del nuovo governo è rappresentato proprio dalle priorità dell’Accordo di Cartagine, ovvero lotta al terrorismo, alla corruzione e al contrabbando, lo sviluppo economico, l’equilibrio finanziario, la tutela dell’ambiente. Nel suo intervento parlamentare il neopremier non ha nascosto le difficoltà finanziarie del paese, indebitato per l’equivalente di più di 30 miliardi di euro.
Come è noto, numerose ricerche e relazioni di organismi nazionali e sovranazionali hanno rilevato l'estensione del fenomeno corruttivo in Italia e la consapevolezza della sua pervasività da parte dei cittadini, non mancando di stimolare l'Italia a profonde riforme di sistema.
A partire dalla seconda parte della scorsa legislatura, il legislatore si è attivato per ratificare le Convenzioni internazionali in materia (in particolare, la Convenzione delle Nazioni Unite sulla corruzione internazionale, fatta a Merida nel 2003, ratificata dalla legge n. 116 del 2009 e le Convenzioni di Strasburgo del 1999, promosse dal Consiglio d'Europa e relative alle conseguenze penali e civili della corruzione, ratificate, rispettivamente, dalla legge n. 110 del 2012 e dalla legge n. 112 del 2012), introdurre nuove fattispecie di reato, inasprire le pene per i reati già previsti e disciplinare modelli organizzativi per prevenire il fenomeno corruttivo (in questo senso è intervenuta la c.d. legge Severino, legge n. 190 del 2012).
Di seguito si dà conto degli ulteriori provvedimenti di lotta alla corruzione approvati in questa legislatura e di quelli tuttora in corso di esame parlamentare.
Con l'approvazione della legge n. 62 del 2014, il Parlamento ha modificato l'art. 416-ter del codice penale, relativo al delitto di scambio elettorale politico-mafioso, definendo in modo più specifico la fattispecie penale, ampliandone la portata e riducendo l'entità della pena.
Il nuovo testo dell'art. 416-ter punisce ora con la reclusione da 4 a 10 anni chiunque accetta la promessa di procurare voti mediante le modalità proprie dell'associazione mafiosa, in cambio dell'erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di altra utilità. E' punito con la stessa pena chi promette di procurare voti con le medesime modalità.
Si segnala che il disegno di legge di riforma del processo penale (AS. 2067-A) all'esame del Senato propone un aumento a 6 e 12 anni dei limiti di pena per lo scambio elettorale politico. mafioso.
Con l'art. 3 della legge n. 186 del 2014 il Parlamento ha introdotto nell'ordinamento penale italiano, dopo un lungo dibattito dottrinale e dopo un travagliato iter parlamentare, il delitto di autoriciclaggio all'art 648-ter.1 c.p.
Soggetto attivo del reato è l'autore del delitto presupposto, nonché i concorrenti nel delitto presupposto. Si tratta, pertanto, di un reato proprio.
La condotta tipica consiste nell'impiegare, sostituire, trasferire, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione del delitto presupposto.
Due elementi contribuiscono alla delimitazione dell'area di rilevanza penale del fatto:
· le condotte devono essere idonee ad ostacolare concretamente l'identificazione della provenienza delittuosa del loro oggetto;
· i beni devono essere tassativamente destinati ad attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative.
Non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.
Le pene previste per il delitto di autoriciclaggio variano in ragione della gravità del delitto presupposto. La pena base è la reclusione da 2 a 8 anni unita alla multa da 5 mila a 25 mila euro.
Nell'attuale legislatura, oltre ai numerosi provvedimenti che hanno riformato e rafforzato il ruolo dell'Autorità nazionale anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche (ANAC), si segnala l'approvazione della legge n. 69 del 2015 che, tra l'altro, inasprisce il quadro sanzionatorio in tema di I reati contro la P.A.lotta alla corruzione. Il provvedimento è volto, in particolare, a contrastare i fenomeni corruttivi attraverso una serie di misure che vanno dall'incremento generalizzato delle sanzioni penali, comprese quelle accessorie, alla riformulazione di alcuni reati, come quelli che puniscono il falso in bilancio, per delimitare la eventuale area di non punibilità.
In particolare, quanto ai reati contro la P.A., la legge:
· modifica l'art. 32-ter del codice penale, relativo all'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, elevando da 3 a 5 anni la durata massima di questa pena accessoria;
· modifica l'art. 32-quinquies del codice penale, che disciplina i casi nei quali alla condanna consegue l'estinzione del rapporto di lavoro o di impiego, per prevedere che l'estinzione del rapporto di lavoro o di impiego, nei confronti del dipendente di amministrazioni od enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica, consegue alla condanna alla reclusione non inferiore ai 2 anni (oggi è per pene non inferiori a 3 anni) per i delitti di peculato, concussione, corruzione per l'esercizio della funzione, corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio, corruzione in atti giudiziari, induzione indebita a dare o promettere utilità, ovvero corruzione di persona incaricata di pubblico servizio;
· aumenta le pene previste dal codice penale per una serie di reati del pubblico ufficiale contro la pubblica amministrazione; in particolare, la pena per il peculato (art. 314) è la reclusione da 4 anni a 10 anni e 6 mesi (in precedenza la pena massima era di 10 anni); la pena per il reato di corruzione per l'esercizio della funzione (art. 318) è la reclusione da uno a 6 anni (prima la pena massima era 5 anni); la pena per il reato di corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio (art. 319) è la reclusione da 6 a 10 anni (prima da 4 a 8 anni); la pena per il reato di corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter) è la reclusione da 6 a 12 anni (prima da 4 a 10) e se dal fatto deriva l'ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore a cinque anni, la pena è della reclusione da 6 a 14 anni (prima da 5 a 12 anni); se deriva l'ingiusta condanna alla reclusione superiore a cinque anni o all'ergastolo, la pena è della reclusione da 8 a 20 anni (prima da 6 a 20); la pena per il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater) è la reclusione da 6 a 10 anni e 6 mesi (in precedenza da 3 a 8 anni);
· introduce una ulteriore circostanza attenuante nell'art. 323-bis attraverso la quale è prevista una diminuzione della pena da un terzo a due terzi per colui che, responsabile di uno dei delitti contro la p.a., sia efficacemente adoperato per evitare che l'attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l'individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite;
· modifica la fattispecie di concussione (art. 317 c.p.), ampliandone l'ambito soggettivo di applicazione per ricomprendervi anche "l'incaricato di un pubblico servizio", così tornando alla formulazione ante-legge Severino;
· inserisce nel codice l'art. 322-quater, in materia di riparazione pecuniaria. Il nuovo articolo prevede che, con la sentenza di condanna per un delitto contro la p.a., venga sempre ordinato il pagamento di una somma pari all'ammontare di quanto indebitamente ricevuto dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di un pubblico servizio a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell'amministrazione di appartenenza, ovvero, in caso di corruzione in atti giudiziari, in favore dell'amministrazione della giustizia, restando impregiudicato il diritto al risarcimento del danno;
· modifica la disciplina del patteggiamento per condizionare l'accesso al rito speciale, con riguardo ai procedimenti per i delitti dei pubblici ufficiali contro la p.a., alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato;
· prevede che in caso di esercizio dell'azione penale per un delitto contro la p.a., il PM debba informare dell'imputazione il Presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione.
Il provvedimento modifica, poi, la legge Severino (L. 190 del 2012):
·
attribuendo
all'ANAC (l'Autorità nazionale anticorruzione) anche l'esercizio della vigilanza e del controllo sui contratti esclusi (in tutto o in
parte) dall'ambito di applicazione del codice dei contratti pubblici (come i
contratti segretati o che esigono particolari misure di sicurezza; gli appalti
aggiudicati in base a norme internazionali; particolari contratti di servizi)
ai sensi degli artt. 17 e ss. del D.Lgs. 163/2006 (Codice degli appalti);
·
imponendo
specifici obblighi informativi verso
l'Autorità nazionale anticorruzione: da parte delle stazioni appaltanti in
relazione alla procedura di scelta del contraente; da parte del giudice
amministrativo in relazione a controversie sull'aggiudicazione dell'appalto e
divieto di rinnovo tacito dei contratti pubblici da cui emergano nel corso del
giudizio, anche in esito a una sommaria valutazione, condotte o atti
contrastanti con le regole della trasparenza.
La legge n. 69 del 2015 riforma, infine, la disciplina delle false comunicazioni sociali: la novità principale è che il falso in bilancio torna ad essere un reato penale per tutte le imprese, non solo per quelle quotate in borsa, sulle quali comunque c'è una stretta. La reclusione per le società quotate va da 3 a 8 anni (prima era fra i 6 mesi e i 3 anni), mentre per le aziende non quotate va da 1 a 5 anni (rispetto alla pene precedente di massimo due anni, ma ci sono una serie di casi di esclusione che sono stati cancellati). Il testo prevede anche un inasprimento delle sanzioni amministrative.
In particolare, per quanto riguarda le società non quotate, la legge modifica l'articolo 2621 del codice civile, relativo alle false comunicazioni sociali. La previsione - che nella maggioranza dei casi riguarda le PMI - è che il reato sia d'ora in poi sempre punito con pene detentive, che possono andare da 1 a 5 anni di reclusione.
Ci sono però casi (nuovo art. 2621-bis c.c.) in cui anche il provvedimento anticorruzione prevede pene ridotte (da 6 mesi a 3 anni) per il reato di falso in bilancio:
· se i fatti sono di lieve entità. La lieve entità viene valutata dal giudice, in base alla natura e alle dimensioni della società e alle modalità o agli effetti della condotta dolosa;
· se i fatti riguardano società che non possono fallire (perché non superano i limiti indicati dal secondo comma dell'articolo 1 della legge fallimentare). In questo caso, il reato è perseguibile a querela di parte (della società, dei soci, dei creditori o degli altri destinatari della comunicazione sociale), e non d'ufficio.
·
Un nuovo
art. 2621-ter c.c. prevede poi una ipotesi di non punibilità per particolare tenuità del falso in bilancio.
Alle società quotate si applica ora l'art. 2622 c.c., che prevede la reclusione da 3 a 8 anni. Anche in tal caso, aumentano le sanzioni pecuniarie previste dal citato D.Lgs 231 del 2001, che passano da 400 a 600 quote (rispetto alle precedenti da 150 a 300 quote).
Il Parlamento sta tuttora affrontando il tema della lotta alla corruzione, attraverso l'esame di due diversi provvedimenti - entrambi all'esame del Senato, - relativi alla riforma della prescrizione del reato e alla tutela dei lavoratori che segnalano irregolarità.
Per quanto riguarda la prescrizione, la riforma - già approvata dalla Camera e confluita nel disegno di legge del Governo di riforma del processo penale (A.S. 2067-A) - non modifica il principio generale, in base al quale il reato si estingue decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale, e comunque un tempo non inferiore a 6 anni in caso di delitto e a 4 anni in caso di contravvenzione (articolo 157 del codice penale).
Il provvedimento,
modificato in alcuni punti dal Senato, si caratterizza, invece, per le
modifiche all'articolo 159 dello stesso codice, con l'introduzione di nuove ipotesi di sospensione del decorso
del termine di prescrizione.
Attualmente, l'art. 159 del codice penale prevede che il corso della prescrizione rimane sospeso in una serie di ipotesi:
· in ogni caso in cui la sospensione del procedimento o del processo penale o dei termini di custodia cautelare è imposta da una particolare norma di legge;
· nei casi di autorizzazione a procedere;
· nel caso di deferimento della questione ad altro giudizi;
· di sospensione del procedimento o del processo penale per ragioni di impedimento delle parti e dei difensori o assenza dell'imputato.
In base alla riforma, la prescrizione è sospesa:
- per richiesta di rogatoria all'estero (con un termine massimo di sospensione pari a sei mesi);
- dopo la sentenza di condanna in primo grado, il termine di prescrizione resta sospeso fino al deposito della sentenza di appello, e comunque per un tempo non superiore a un anno e sei mesi;
- dopo la sentenza di condanna in appello, anche se pronunciata in sede di rinvio, il termine di prescrizione resta sospeso fino alla pronuncia della sentenza definitiva e comunque ancora una volta per un tempo non superiore a un anno e sei mesi.
Viene precisato, inoltre che, in caso di assoluzione dell'imputato in secondo grado o di annullamento della sentenza di condanna ovvero di dichiarazione di nullità della decisione con conseguente restituzione degli atti al giudice, i periodi di sospensione di un anno e sei mesi (per il giudizio d'appello) e di un anno e sei mesi (per il giudizio di Cassazione) vengano ricomputati ai fini del calcolo del termine di prescrizione.
Altre novità riguardano la sospensione della prescrizione per richiesta di autorizzazione a procedere e per deferimento della questione ad altro giudizio.
Viene precisato, nel primo caso, che il termine è sospeso a decorrere dal provvedimento con il quale il pubblico ministero presenta la richiesta e fino al giorno in cui la richiesta è accolta; nel secondo, che il termine è sospeso fino al giorno in cui viene decisa la questione.
Viene poi modificato l'articolo 158 del codice penale prevedendo che, per una specifica serie di reati commessi in danno di minori, regola generale è che il termine di prescrizione decorre dal compimento dei 18 anni della vittima, salvo che l'azione penale non sia stata esercitata in precedenza; in quest'ultimo caso, infatti, il termine decorre dall'acquisizione della notizia di reato. I reati in questione, previsti dal codice penale, sono i maltrattamenti in famiglia (articolo 572), la riduzione in schiavitù e il commercio di schiavi (artt. 600 e 602), la prostituzione e la pornografia minorile (artt. 600 bis e ter), la detenzione di materiale pornografico minorile, anche virtuale (art. 600-quater), il turismo sessuale (art. 600-quinquies), la tratta di persone (art. 601), la violenza sessuale (art. 609-bis), atti sessuali con minorenne e la corruzione di minorenne (artt. 609-quater e quinquies), la violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies), l'adescamento di minori (art. 609-undecies) e lo stalking (art. 612-bis).
E', poi, stabilito con una modifica all'art. 160 del codice penale che anche l'interrogatorio reso alla polizia giudiziaria, su delega del pubblico ministero, determini l'interruzione del corso della prescrizione.
Modifiche sono introdotte anche all'art. 161 dello stesso codice, che disciplina degli effetti dell'interruzione e della sospensione. Rispetto alla formulazione vigente della norma, che stabilisce come tanto la sospensione quanto l'interruzione abbiano effetto nei confronti di tutti coloro che hanno commesso il reato, la riforma distingue le due ipotesi e prevede che: l'interruzione ha effetto per tutti coloro che hanno commesso il reato; la sospensione ha effetto solo per gli imputati nei cui confronti si sta procedendo.
E' stato approvata dalla Camera anche una proposta di legge di iniziativa parlamentare (A.S. 2208) che detta disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell'ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato.
La proposta mira a tutelare gli autori della segnalazione di illeciti o reati in ambito lavorativo, i cosiddetti whistleblower, intesi non solo come dipendenti pubblici, ma anche lavoratori privati, collaboratori, consulenti e soggetti che svolgono attività di apprendistato o tirocinio o sono assunti con contratto di formazione e lavoro.
Destinatari della segnalazione - oltre l'Autorità nazionale anticorruzione, la Corte dei conti, l'autorità giudiziaria e gli organi di polizia - sono: in ambito pubblico, il responsabile per la prevenzione della corruzione nominato dall'ente a cui appartiene il segnalante; in ambito privato, l'organo di vigilanza preposto.
La segnalazione può essere anonima e deve comunque essere esaminata se adeguatamente circostanziata. Al segnalante deve essere garantita la riservatezza, devono essere escluse discriminazioni; ogni eventuale atto di ritorsione perpetrato nei confronti del segnalante è punibile con l'applicazione di sanzioni disciplinari. Spetta all' Autorità nazionale anticorruzione dettare linee guida per la presentazione e la gestione delle segnalazioni.
RAPPORTI PARLAMENTARI TRA LA CAMERA DEI DEPUTATI E
L’ASSEMBLEA DEL POPOLO TUNISINO
· Incontri bilaterali
Il 28 gennaio 2016 la Presidente della
Camera, Laura Boldrini, ha incontrato il Presidente dell'Assemblea dei
Rappresentanti del popolo, Mohamed Ennaceur,
accompagnato da una delegazione di deputati tunisini. I due Presidenti hanno
quindi svolto un intervento nel corso della prima sessione dell'incontro
"Italia-Tunisia, insieme per la democrazia", dedicata al tema dei
Parlamenti a sostegno della democrazia. Al termine di tale sessione i due
Presidenti hanno sottoscritto il Memorandum d'intesa tra la Camera dei deputati
e l'Assemblea dei Rappresentanti del popolo tunisina.
L'8 novembre 2015 la Presidente Boldrini
ha ricevuto i rappresentanti del "Quartetto
del dialogo nazionale tunisino", vincitore del Premio Nobel per la
Pace 2015.
Dal 28 al 29 marzo 2015 la Presidente della
Camera dei deputati, Laura Boldrini, ha effettuato una visita ufficiale in Tunisia.
Durante la sua
visita la Presidente ha effettuato incontri con il Presidente dell'Assemblea
dei Rappresentanti del Popolo della Repubblica di Tunisia, Mohamed Ennaceur e
con Ministra della Cultura e della Salvaguardia del Patrimonio, Latifa
Lakddhar, insieme ad alcune deputate e rappresentanti della società civile
femminile tunisina. La Presidente ha incontrato inoltre rappresentanti della
comunità italiana a Tunisi ed ha inoltre effettuato una visita al Museo
Nazionale del Bardo accompagnata dal Ministra della Cultura e della
Salvaguardia del Patrimonio, Latifa Lakddhar e dalla Ministra del Turismo e
dell'Artigianato Selma Elloumi Rekik.
Il 29 marzo 2015 la Presidente ha
partecipato alla marcia contro il terrorismo organizzata a seguito dell'atto
terroristico avvenuto al “Museo Nazionale del Bardo”.
Il 10 settembre 2014, la Presidente
Boldrini ha incontrato, insieme al Presidente del Senato, Pietro Grasso, il
Presidente della Repubblica di Tunisia, Mohamed
Moncef Marzouki.
In occasione del Primo Vertice dei Presidenti dei
Parlamenti dei Paesi dell'Unione per il Mediterraneo (UpM), svoltosi a Marsiglia il 7 aprile 2013, la Presidente della Camera dei deputati, Laura
Boldrini, ha incontrato il Presidente dell'Assemblea Nazionale Costituente
della Tunisia, Mustapha Ben Jaafar.
·
Incontri delle Commissioni
Il 12 e 13 luglio 2015, una delegazione
della Commissione Affari esteri, guidata dal Presidente Cicchitto, si è recata in visita ufficiale in Tunisia.Precedentemente la Commissione esteri
si era recata in Tunisia dal 18 al 21
gennaio 2015.
Il 28 maggio 2013, il Presidente della
Commissione Affari esteri, Fabrizio Cicchitto, ha incontrato l'Ambasciatore
della Repubblica tunisina in Italia, Naceur
Mestiri.
·
Protocollo di collaborazione
bilaterale
Il 28 gennaio 2016, la Presidente della
Camera dei deputati, Laura Boldrini, e il Presidente dell'Assemblea dei
Rappresentanti del Popolo della Tunisia, Mohamed Ennaceur, hanno sottoscritto un Memorandum d'intesa che
stabilisce la creazione di Gruppo
parlamentare di collaborazione tra le due Camere, composto da 6 deputati
per ciascuna parte e coordinato in ciascuna Assemblea da un deputato con
incarico istituzionale.
L'intesa prevede
lo svolgimento di Vertici parlamentari con cadenza biennale, da organizzarsi
alternativamente in Italia e in Tunisia, Il Gruppo parlamentare di
collaborazione ha l'obiettivo di consolidare e approfondire i legami già
esistenti tra le due Camere, promuovere incontri tra Commissioni parlamentari
omologhe su temi di interesse comune, favorire la cooperazione parlamentare e
la formazione di posizioni convergenti in ambito multilaterale, rafforzare la
cooperazione fra le due Amministrazioni.
La parte italiana
del Gruppo, coordinata dal deputato Lorenzo
Dellai, è formata dai deputati: Matteo
Colaninno, Titti Di Salvo, Pia Locatelli, Edmondo Cirielli e Valentino
Valentini.
In preparazione
dei lavori, una delegazione della parte italiana del Gruppo parlamentare di
collaborazione il 26 luglio 2016 ha
incontrato il Vice Ministro degli Affari esteri, Mario Giro.
·
Sedi multilaterali
La Tunisia
partecipa alla cooperazione parlamentare nell'ambito dell'Assemblea parlamentare
dell'Unione del Mediterraneo (AP-UpM), prendendo parte a tutte le sedi ove
si svolge tale cooperazione. Alla Tunisia è stata assegnata, per il quadriennio
2008-2012 e quello successivo 2012-2016, la Presidenza della Commissione
diritti della donna, carica ora ricoperta dall'on. Samira Merai-Friaa; ha
esercitato la Vice Presidenza della Commissione per l'energia e l'ambiente dal
2008 al 2012; e per il quadriennio 2012-2016 esercita la Vice Presidenza della
Commissione Cultura.
La Tunisia ha
co-presieduto, insieme all'Italia, il Gruppo di lavoro tecnico incaricato di
approfondire la questione della trasformazione del FEMIP in Banca euro mediterranea
di sviluppo. La Tunisia ha esercitato la Presidenza di turno della medesima
Assemblea da marzo 2006 a marzo 2007. La Tunisia partecipa altresì
all'Assemblea Parlamentare Mediterranea (PAM). La Tunisia partecipa al Dialogo
5 + 5 (Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Malta e Algeria, Tunisia, Marocco,
Libia e Mauritania), la cui ultima riunione si è tenuta a Lisbona, il 20 maggio
2014.
La Tunisia è
Partner mediterraneo per la cooperazione dell'OSCE. Il Parlamento tunisino ha lo status di osservatore nel Gruppo
Speciale del Mediterraneo e del Medio oriente dell'Assemblea Parlamentare della
NATO. Dal 28 settembre al 1 ottobre 2015, si è svolto a Tunisia la Riunione del
Gruppo Speciale Mediterraneo e Medio Oriente (GSM) dell'Assemblea NATO cui ha
preso parte l'onorevole Alli.
Durante la
missione i parlamentari hanno incontrato Mohamed Ennaceur, Presidente del
Parlamento tunisino e il Ministro degli interni Gharsalli. Sono stati inoltre
svolti incontri presso la base navale tunisina di Bizerta, la Banca Mondiale e
la Delegazione UE di Tunisi. I parlamentari hanno poi partecipato a una tavola
rotonda con alcuni docenti universitari sui temi delle riforme, della scuola,
della lotta al terrorismo, e della disoccupazione giovanile e, successivamente,
incontrato alcuni rappresentanti della società civile tunisina, di organismi
internazionali e ONG.
Si ricorda inoltre
che l'Assemblea parlamentare dell'OSCE ha effettuato una missione di
osservazione elettorale in Tunisia in occasione delle elezioni per la
costituzione dell'Assemblea Costituente, del 23 ottobre 2011.
·
Collaborazione amministrativa
Una funzionaria
della Camera dei deputati ha effettuato una missione a Tunisi, dal 10 al 13
giugno 2015, per partecipare al seminario sul ruolo delle Assemblee
parlamentari nella progettazione e implementazione dello Stato decentralizzato,
nell'ambito di un programma delle Nazioni Unite per il sostegno al processo
costituzionale e parlamentare e al dialogo nazionale in Tunisia.
La Camera dei
deputati, congiuntamente al Senato, si sono aggiudicati, insieme al Parlamento
francese, il progetto di gemellaggio
europeo con l'Assemblea dei rappresentanti del popolo tunisina. Il
progetto, finanziato dall'Unione europea, ha l'obiettivo collaborare con
l'amministrazione dell'Assemblea tunisina nell'attuazione della nuova
Costituzione, entrata in vigore nel febbraio 2014.
In particolare il
progetto intende sostenere il consolidamento della governance democratica tunisina, mediante il rafforzamento
dell'azione parlamentare, potenziando le competenze legislative dei
parlamentari e le competenze legislative e tecniche dell'amministrazione. Il
programma ha avuto inizio il 1° gennaio 2016 e durerà complessivamente 36 mesi.
Il 18 novembre 2015, si è tenuta alla
Camera una visita di studio di una delegazione di funzionari tunisini,
nell'ambito del corso "Sostegno al processo di transizione democratica in
Tunisia", promosso dall'Università degli studi di Roma la Sapienza e dal
Ministero degli Affari esteri.
Prénom |
Nom |
Fonction et Institution |
Fonction |
Emna |
Yahyahoui |
INLUCC |
Experte en investigation |
Khaled |
Tarrouch |
Ministère de l’Intérieur |
Directeur Général du Bureau de l’Organization et des
Méthodes de Travail |
Nizar |
Nizar
Bensghaier |
Ministère de la Fonction Publique et de la
Gouvernance |
Directeur de l’Instance de la fonction publique |
Jawhar |
Hassayoun |
Direction des Douanes |
Chef de Service et point focal de l’organisation
mondiale des douanes en matière de renforcement des capacités |
Sami |
Oueslati |
CAPJC (Centre
Africain de Perfectionnement des Journalistes) |
Directeur
Adjoint |
Hayet |
Ouerghi |
Ministère des
Affaires Locales |
Administrateur
conseiller affectée à la Direction
Générale des Collectivités Locales |
Mohamed |
Gueddich |
Assemblée des
Représentants du Peuple |
Parlementaire
de la Commission parlementaire de Lutte contre la corruption |
Mohsen |
Dhaouafi |
Ministère de
Développement et de la coopération internationale |
Responsable de
l’unité de la Bonne Gouvernance |
Mohamed |
Daghari |
Association
Jeune Chambre Internationale (JCI-Djerba) |
Président |
|
|
|
|