Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari esteri | ||||
Titolo: | Incontro con l'on. Erel Margalit, deputato alla Knesset | ||||
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 240 | ||||
Data: | 15/06/2016 | ||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | III-Affari esteri e comunitari | ||||
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Camera dei deputati |
XVII LEGISLATURA |
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Documentazione e ricerche |
Incontro
con l’on. Erel Margalit, |
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n. 240 |
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15 giugno 2016 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi Dipartimento Affari esteri ( 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it |
Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici: |
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Schede di lettura
Scheda
Paese Stato d’Israele (a cura del Ministero degli affari esteri e della cooperazione Internazionale) 3
La
questione israelo-palestinese: recenti sviluppi (a cura del Servizio Studi della Camera dei
deputati) 47
Rapporti
tra Unione europea ed Israele (a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea) 55
Rapporti
parlamentari Italia-Israele (a cura del Servizio Rapporti Internazionali) 61
Profilo
biografico (a cura
del Servizio Rapporti internazionali)
Erel
N. Margalit 69
Pubblicistica
§
Y.
Aubin de la Messuzière ‘Pour l’Europe et
la France, le conflit israélo-palestinien est devenu secondaire’, in:
Confluences Mediterranée, n. 96/2015-2016 73
§
P.
Velilla ‘Les élections israéliennes du 17
mars 2015: vote de classe, vote ethnique et vote identitaire’, in:
Pouvoirs, n. 156/2016 83
§
I.
Masala ‘Come la scoperta di Zohr cambia
il panorama energetico di Israele’, in: www.bloglobal.net, 2016/01 92
§
C. De
Martino ‘L’imperativo per Israele di
darsi confini stabili: una questione politica identitaria’, in: www.aspeninstitute.it,
17 febbraio 2016 96
§
G.
Dentice ‘Stati Uniti-Israele e la crisi
di fiducia bilaterale’, in: Commentary ISPI, 10 marzo 2016 100
§
G.
Gomel ‘Due popoli, una pace, malgrado
tutto’, in: www.affarinternazionali.it, 6 giugno 2016 102
§
L.
Zecchini ‘Vers un réveil européen face au
conflit israélo-palestinien?’, in: Revue Défense Nationale, Marzo 2016 104
L'evoluzione
dei rapporti tra Israele e Palestina è stata segnata a fondo, e
fortemente rallentata, dalla crisi nella Striscia di Gaza e dalla sospensione
dei negoziati per un accordo di pace, avvenuta a fine aprile 2014. Anche sui
rispettivi fronti interni, le ultime evoluzioni politico-istituzionali
disegnano un quadro complesso.
In Israele,
le elezioni tenutesi il 17 marzo 2015 hanno visto una sostanziale affermazione del Likud, il
partito del premier Netanyahu, che ha ottenuto, con il 23,4% dei voti, una
maggioranza più ampia rispetto a quanto i sondaggi non facessero prevedere, ma
non sufficiente a governare in autonomia. È stato pertanto formato un governo
di coalizione, insediatosi il 14
maggio 2015, che comprende altri quattro partiti: Kulanu, partito di centro
destra di recente formazione; Habayit Hayehudi, formazione di destra; il
partito religioso Shas e l'ultra ortodosso United Torah Judaism. Nell'insieme,
la coalizione dispone di una maggioranza numericamente esigua (61 seggi su 120)
che non sembra deporre a favore della stabilità.
In Palestina,
particolare rilievo ha assunto lo scioglimento del governo di unità
nazionale che si era insediato il 2 giugno 2014, appena cinque settimane
dopo la firma di un accordo di riconciliazione tra Hamas e Fatah. Tale accordo
sembrava aver posto fine a una divisione durata per sette anni e seguita a una
breve guerra civile in cui Hamas aveva assunto il controllo della Striscia di
Gaza, mentre l'Autorità palestinese in mano a Fatah aveva continuato ad
amministrare la maggior parte delle aree urbane della Cisgiordania (il
controllo del territorio non urbanizzato, come della parte orientale di
Gerusalemme, restava invece nelle mani di Israele).
Concepito
come esecutivo transitorio in vista dello svolgimento di nuove elezioni legislative,
il governo è stato sciolto dal Presidente Abbas il 17 giugno 2015.
Contestualmente, è stato dato l'incarico al premier Hamdallah di formare un
nuovo esecutivo. La decisione è stata motivata con l'impossibilità per
l'esecutivo di imporre la propria autorità sulla Striscia di Gaza, di fatto
sotto il perdurante controllo di Hamas, che a sua volta ha rigettato la
dissoluzione unilaterale del governo di unità nazionale, ascrivendola alla
volontà di Fatah di evitare le elezioni - che secondo diversi sondaggi
darebbero un esito favorevole a Hamas anche in Cisgiordania.
Al
quadro politico interno, incerto per entrambe le parti in causa, si sommano la
complessità dello scenario internazionale e la forte instabilità dell'area. Tra
i fattori di maggiore rilievo si segnalano:
-
gli effetti della cosiddetta "Intifada diplomatica" portata
avanti da Abbas per ottenere il riconoscimento internazionale dello Stato
palestinese, e culminata, tra l'altro, nell'adesione, ad aprile 2015, dell'ANP
alla Corte penale internazionale, nella decisione della Corte di giustizia
dell'UE che ha annullato, per motivi procedurali, la decisione del Consiglio
che manteneva Hamas nella lista europea delle organizzazioni terroristiche, e
nella firma, il 26 giugno, dell'Accordo
globale tra la Santa Sede e lo Stato di Palestina, entrato in vigore
all’inizio del 2016.
- la
presentazione lo scorso 29 giugno, al Consiglio per i diritti umani dell'ONU,
di un rapporto sul conflitto di Gaza del luglio 2014, rigettato da
entrambe le parti in causa, che, nell'affermare che crimini di guerra sono
stati commessi tanto da Israele quanto da gruppi armati palestinesi, evidenzia
forti responsabilità dello Stato ebraico, soffermandosi sulla sproporzione tra
le vittime (2.251palestinesi a fronte di 67 israeliani);
- l'accordo
raggiunto a Vienna lo scorso 14 luglio sul nucleare iraniano tra i sei
paesi negoziatori (USA, Russia, Cina, Regno Unito, Francia e Germania) e
l'Iran, che ha incontrato l'unanime dissenso delle forze politiche israeliane,
che considerano la prospettiva di un Iran nuclearizzato alla stregua di una
fondamentale minaccia all'esistenze stessa dello Stato ebraico;
- la
guerra civile siriana, cui Israele ha reagito accogliendo con
sostanziale favore l'indebolimento del regime di Assad, ma anche con rafforzati
timori per l'accrescersi della minaccia qaidista e l'avanzata dell'ISIS.
A
partire dal mese di ottobre 2015, il quadro mediorientale è stato
segnato da una nuova ondata di tensioni, culminata in quella che è stata
definita, con termine efficace giornalisticamente, la "Intifada dei
coltelli", per i numerosi episodi di accoltellamento di ebrei, a
Gerusalemme come in altre città, da parte di palestinesi o arabi israeliani,
quasi sempre poi uccisi da polizia o esercito.
La
causa scatenante di queste nuove tensioni è stata la marcia sulla Spianata
delle Moschee a Gerusalemme - luogo sacro dell'Islam sunnita e "Monte
del Tempio" per gli ebrei - da
parte di Uri Ariel, ministro dell'edilizia ed esponente del partito
sionista "La Casa Ebraica", insieme
ad altri esponenti politici di destra. Lo stesso Ariel, nel mese di luglio,
aveva auspicato la ricostruzione del Tempio nel punto dove oggi sorge la
Moschea di Al-Aqsa. Il gesto di Ariel, considerato alla stregua di una grave
provocazione, ha causato una serie di scontri nella Città vecchia di
Gerusalemme e sulla Spianata, con decine di feriti tra manifestanti e forze
dell'ordine, seguita dall'uccisione di due coloni israeliani nei pressi di
Nablus il 1° ottobre e di due ebrei ortodossi nella Città vecchia di
Gerusalemme.
Tali
episodi, cui è seguita una reazione molto violenta e decisa da parte delle
forze di sicurezza israeliane, hanno sostanzialmente compattato maggioranza e
opposizione in un sostegno deciso al governo Netanyahu, mentre Abbas ha incitato
a una pacifica protesta popolare in difesa della Moschea di Al-Aqsa, intimando
al governo israeliano di "stare alla larga dai luoghi sacri all'Islam e ai
cristiani". Tale linea, sostanzialmente moderata, si scontra con un processo di radicalizzazione in atto nei
Territori occupati, cui non è probabilmente estraneo, nell'ambito di una
comune matrice jihadista, il potere attrattivo esercitato dall'ISIS.
L'azione svolta dall'Alto Rappresentante per la politica estera europea
Federica Mogherini è stata tutta mirata
a un rilancio del dialogo tra le parti: in tale contesto vanno inquadrati gli
incontri con entrambi gli attori di governo (Netanyahu a Berlino, il 21
ottobre, e Abu Mazen a Bruxelles, il 26 ottobre), finalizzati alla ricerca
"di passi concreti sul territorio che possano migliorare la vita del
popolo palestinese, rafforzando l'Autorità nazionale non solo sul piano
economico ma anche su quello politico e della sicurezza e garantendo così, al
contempo, la sicurezza del popolo israeliano".
Tra
i due incontri con i leader israeliano e palestinese, l'Alto Rappresentante ha
partecipato a Vienna, il 23 ottobre, alla riunione del Quartetto (USA,
Russia, Unione europea e Nazioni Unite), che si è conclusa con una
Dichiarazione comune nella quale:
-
viene espressa grande preoccupazione per l'escalation
incessante delle tensioni tra israeliani e palestinesi e si condannano tutti
gli atti di terrore e di violenza contro i civili;
- si
auspica il ritorno della calma e si chiede alle parti di evitare qualunque dichiarazione
o azione che possa suonare provocatoria;
- si
incoraggia Israele a lavorare di concerto con la Giordania per tutelare lo status quo nei luoghi sacri di
Gerusalemme;.
Il
Quartetto ha altresì annunciato l'invio di propri rappresentanti nella regione,
che si confronteranno direttamente con le parti in causa, con l'obiettivo di
incoraggiarle "a intraprendere azioni concrete, in linea con i precedenti
accordi, per dimostrare un impegno autentico verso la soluzione basata su due
Stati sovrani".
Gli ultimi mesi hanno visto rinnovate
polemiche dell’esecutivo israeliano con l’Unione Europea, le Nazioni Unite e la
Svezia, a
partire da quando alla metà di novembre del 2015 sono state approvate le linee-guida europee volte a
distinguere i prodotti provenienti da Israele da quelli realizzati nelle
colonie dei Territori occupati, colonie che l’Unione europea considera
illegali dal punto di vista del diritto internazionale. L’impatto delle
linee-guida europee appare limitato, se si pensa che i prodotti provenienti dai
Territori occupati sono all’incirca l’1% del totale delle esportazioni
israeliane verso il territorio dell’Unione europea: sembra inoltre difficile
una identificazione univoca della provenienza dei prodotti, stante il fatto che
nelle colonie si produrrebbero in prevalenza componenti.
La
reazione del governo israeliano è consistita nella sottolineatura dei danni che
la decisione europea provocherà soprattutto ai palestinesi impiegati nelle
fabbriche israeliane dei Territori occupati. Inoltre secondo il governo di Tel
Aviv la decisione europea sarebbe stata presa su base politica e
discriminatoria, e potrebbe addirittura essere accusata di antisemitismo. La
reazione israeliana è giunta anche con la convocazione al ministero degli
esteri di Tel Aviv dell’ambasciatore dell’Unione europea Lars Faaborg-Andersen.
Alla
metà di gennaio 2016 il ministro degli
esteri svedese, signora Margot Wallstrom, aveva accennato alla possibilità di
un’indagine per accertare eventuali esecuzioni extragiudiziali di palestinesi perpetrate
da Israele in risposta all’ondata di attentati contro civili e militari
israeliani negli ultimi mesi.
Accusando
il capo della diplomazia di Stoccolma di presentare in modo distorto la realtà,
Israele ha comunicato all’ambasciatore
svedese la volontà di escludere Stoccolma da ogni futuro ruolo nelle mediazioni
internazionali tra Israele e i palestinesi. Tra l’altro a caldo il
ministero degli esteri israeliano aveva definito le parole della Wallstrom un
incoraggiamento alla violenza e al terrorismo. Va poi ricordato come il governo
svedese avesse già suscitato l’irritazione di Israele quando nell’ottobre 2015
aveva proceduto a riconoscere direttamente lo Stato di Palestina, laddove
numerosi altri paesi occidentali avevano utilizzato per questo scopo atti
parlamentari di indirizzo.
Alla
fine di gennaio la polemica si è accesa invece tra Israele e il segretario
generale dell’Onu Ban Ki-moon: dopo il tentativo di alcuni coloni, appoggiati
dal Likud, di insediarsi a Hebron forzando i tempi dei permessi governativi, e
dopo l’attribuzione della qualifica di terre demaniali ad una vasta zona a sud
della città di Gerico, il ministero
della difesa israeliano ha approvato la costruzione di 153 nuove case per i
coloni in Cisgiordania.
La reazione di Ban Ki-moon è stata immediata, qualificando il nuovo insediamento quale
affronto per il popolo palestinese e per la Comunità internazionale,
suscettibile di pregiudicare per sempre l’opzione dei due Stati. Alludendo poi
ai rinnovati sporadici lanci di razzi da Gaza verso il territorio israeliano e
ai toni esasperati di alcuni mezzi di comunicazione palestinesi in consonanza
con la rivolta nei Territori, Ban
Ki-moon, pur dicendosi assai preoccupato, ha in qualche modo giustificato le reazioni palestinesi all’occupazione:
pertanto il premier israeliano Netanyahu
ha accusato il segretario generale delle Nazioni Unite di offrire con le sue
parole incoraggiamento e giustificazione per il terrorismo. Analoga alla
presa di posizione del Segretario generale dell’ONU è apparsa il 18 febbraio
quella delle Chiese cattoliche di Terrasanta, espresso in un documento redatto
dalla Commissione pace e giustizia, nel quale si definisce come inumana
l’attuale condizione di palestinesi, parte dei quali impegnati in una nuova
Intifada, in forme palesemente caratterizzate dalla disperazione data da una
vita priva di speranza e piena di frustrazioni e umiliazioni. Il documento delle Chiese cattoliche
invita a smetterla di qualificare tutti i palestinesi alla stregua di
terroristi, vedendo invece le enormi difficoltà della loro condizione di vita,
dalle quali senza dubbio emerge anche la spinta a compiere atti inconsulti
contro civili, poliziotti e militari israeliani. Il documento interroga anche
la società israeliana in merito alla sua consapevolezza della situazione, che
nella continua ostilità con i palestinesi non offre comunque per nessuno
prospettive di sicurezza e tranquillità.
Per la verità, all’inizio del 2016 le forme della
prosecuzione dell’Intifada palestinese nei Territori occupati hanno presentato
due profili parzialmente nuovi e particolarmente preoccupanti: infatti,
dopo il 3 dicembre 2015 e il 31 gennaio 2016, il 14 febbraio nella città di
Gerusalemme per la terza volta un attacco contro obiettivi israeliani ha visto
la partecipazione di un individuo inquadrato nelle forze di sicurezza
dell’Autorità nazionale palestinese. Nella stessa giornata, poi, sono stati
anche perpetrati in diverse località dei Territori attacchi con l’uso di armi
automatiche, non più solo di coltelli. Le circostanze hanno fatto immaginare la
possibilità che dietro le azioni sporadiche di attacco contro obiettivi
israeliani possa essere subentrato una sorta di coordinamento o una regia,
potenzialmente capaci di indirizzare gli attacchi verso specifici obiettivi
nell’ambito di una strategia complessiva.
All’inizio di marzo è
tornato in primo piano il tema dei rapporti di Israele con gli Stati Uniti,
dapprima con la cancellazione della
prevista visita di Netanyahu alla Casa Bianca, in merito alla quale già le
diverse versioni fornite da ambienti israeliani e americani testimoniavano
delle tensioni tra i due alleati - tensioni particolarmente incentrate sul
prolungato stallo nella firma dell’accordo sugli aiuti militari americani a
Israele, che Netanyahu riteneva troppo limitati. Tutto ciò comunque non ha
impedito che l’8 marzo il vicepresidente Joe Biden si recasse in visita in
Israele, preceduto da rivelazioni del Wall
Street Journal per le quali il
presidente Obama sarebbe stato in procinto di rilanciare i negoziati di pace
tra israeliani e palestinesi con un nuovo piano, parte del quale sarebbe
stata anche una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU, e che si
sarebbe comunque incentrato sulla ricerca della soluzione dei due Stati, avendo
però come base - per riconoscere realisticamente la situazione determinata
dagli insediamenti israeliani nei decenni - non più i confini del 1967, ma le
frontiere armistiziali del 1949 succedute alla guerra arabo-israeliana. Proprio
mentre Joe Biden si trovava nelle vicinanze per un incontro con l’ex presidente
israeliano Shimon Peres, tuttavia, un
turista americano perdeva la vita sul lungomare tra Jaffa e Tel Aviv, a
seguito di uno dei quattro attacchi palestinesi della giornata.
Peraltro nella stessa
giornata dell’8 marzo il gabinetto di
sicurezza del governo israeliano decideva il completamento della barriera
difensiva a Gerusalemme e in Cisgiordania. Ciò tuttavia non bastava a
spegnere le accuse contro l’esecutivo di
non agire efficacemente contro i continui episodi di terrorismo
palestinese, accuse provenienti per la massima parte proprio dall’interno del
partito di Netanyahu, il Likud, ma anche dall’ex alleato del premier ed ex ministro degli esteri
Lieberman. Il canale tv del Parlamento israeliano riscontrava in un sondaggio
che solo l’8% dei cittadini si riteneva soddisfatto dell’azione contro l’ondata
di attacchi terroristici. All’interno del Likud, in particolare, Gideon Saar
affermava che quella in corso non sarebbe una intifada a livello individuale, ma una nuova tappa nella lotta tra
israeliani e palestinesi, nella quale sarebbe necessaria un’accentuazione della
pressione militare tale da scoraggiare gli attentati. Da parte dell’opposizione
di centro-sinistra Yair Lapid ha fatto appello, per spiegare la situazione
critica attuale, alla grave crisi nelle relazioni tra Stati Uniti e Israele,
tale da indebolire i margini di manovra per una risposta politica all’offensiva
palestinese.
A partire dall’11 marzo sono risalite le tensioni tra il territorio
israeliano e la Striscia di Gaza, dopo il lancio in serata di quattro razzi
verso il sud di Israele, al quale ha fatto seguito nella notte un attacco
dell’aviazione di Tel Aviv contro postazioni di Hamas, che ha provocato tra l’altro
la morte di due bambini e il ferimento di un loro fratello. Il 5 maggio una
donna palestinese è rimasta uccisa a Rafah per un raid dell’aviazione
israeliana conseguente ai ripetuti colpi di mortaio piovuti sui soldati
impegnati a scoprire i tunnel scavati dai palestinesi per raggiungere il
territorio israeliano e compiervi attacchi contro i civili. Proprio nella
giornata del 5 maggio, tra l’altro, è stato scoperto un secondo tunnel.
Il 15 marzo
l’organizzazione non governativa Peace
Now aveva frattanto reso nota una decisione
delle autorità israeliane di procedere di fatto alla confisca di 234 ettari di
terreno a sud di Gerico, dichiarandoli di proprietà governativa, ampliando
un precedente orientamento del ministero della difesa che si limitava a 140
ettari. La decisione è stata criticata
dai governi di Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania e Italia: in
particolare la Farnesina ha invitato il governo israeliano a riesaminare la
decisione, esortando altresì entrambe le parti ad astenersi da azioni
suscettibili di aggravare le tensioni, e a favorire invece una ripresa dei
negoziati. Tanto per il Governo italiano che per quello britannico la decisione
israeliana minerebbe in modo evidente la prospettiva della soluzione dei due
Stati, mentre l’espansione degli insediamenti che la confisca di fatto dei
terreni a sud di Gerico consentirebbe è stata contrastata dalle diplomazie di
USA e Francia.
In aprile, profilandosi la ripresa diplomatica internazionale con i
colloqui di Ginevra sul futuro assetto della Siria, proprio mentre le truppe di Bashar al-
Assad, forti dell’appoggio russo, sembravano iniziare a riprendere in mano la
situazione, il premier israeliano Netanyahu riteneva di dover intervenire,
rivendicando dapprima decine di attacchi israeliani che sarebbero stati
condotti in territorio siriano durante il conflitto per impedire rifornimenti
di armi sofisticate agli Hezbollah libanesi in esso impegnati assieme alle
forze iraniane; e sostenendo poi la
volontà di Israele di non modificare in futuro l’assetto delle alture del Golan,
il cui controllo da parte israeliana avrebbe garantito alla regione stabilità e
prosperità. In ordine alla soluzione del
problema siriano, inoltre, Netanyahu ha fatto comprendere come Israele non sia
sfavorevole un accordo politico globale, ma senza pregiudizio della propria
sicurezza - il che non può che alludere alla necessità che non solo l’ISIS,
ma anche le truppe iraniane e gli Hezbollah lascino alla fine il territorio
siriano.
Nella seconda metà di maggio la trama politica israeliana si è
notevolmente modificata,
con riflessi decisivi - al di là dell’atteggiamento prudente di Netanyahu - sia
sul versante interno che sulle relazioni internazionali del paese: infatti a
partire dal 18 maggio – il negoziato si è chiuso in realtà il 25 dello stesso
mese - è stata resa nota l’improvvisa
virata a destra di Netanyahu, che, dopo lunghi negoziati per attrarre nella
maggioranza i laburisti guidati da Herzog, a loro volta divisi sulla
prospettiva, ha aperto al partito dell’ex ministro degli esteri Lieberman,
capace di aggiungere alla risicata maggioranza parlamentare del governo
Netanyahu cinque deputati. Allo stesso Lieberman è stato tra l’altro affidato
il dicastero della difesa, in sostituzione di Yaalon del Likud.
Il significato
dell’improvvisa svolta a destra di Netanyahu è stato spiegato dagli analisti
soprattutto nella sua valenza di
politica estera, inserendosi nella complessa trama di trattative
internazionali nella prospettiva della Conferenza di pace sul Medio Oriente
voluta dalla Francia per la prossima estate - sarebbero state proprio le
pressioni degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e dell’Egitto, coordinati da
Tony Blair, a caldeggiare l’ingresso dei laburisti al governo come passo
necessario per rilanciare il processo di pace israelo-palestinesi sulla base
della soluzione dei due Stati. In tal senso la mossa di Netanyahu di allargare
a destra la compagine governativa sarebbe stata assai efficace per sabotare le
prospettive indicate da Blair, riportando le possibili trattative sul piano del
negoziato diretto con i palestinesi.
Sul piano interno,
peraltro, senz’altro notevole è stato il successo di Lieberman, che ha visto
accogliere tutte le proprie richieste, ad eccezione forse dell’interpretazione
delle norme in vigore tale da aprire la strada alla inedita possibilità di
comminare la pena di morte ai terroristi.
In questo senso le successive aperture di prospettiva di
Netanyahu alla collaborazione anche con i laburisti sono apparse piuttosto
utili a contenere il disappunto internazionale, che non a consentire davvero
l’allargamento della compagine governativa, reso problematico proprio dalla
decisiva presenza di Israel Beitenu e
del suo capo Lieberman. L’abilità di Netanyahu è emersa anche quando non ha
affatto escluso che un futuro governo di ampia unità nazionale possa accettare
di negoziare con i palestinesi in base all’Iniziativa di pace araba del 2002,
opportunamente rivista per tener conto dei grandi cambiamenti avvenuti nella
regione, e che consiste essenzialmente nel riconoscimento di Israele da parte
della generalità dei paesi arabi in cambio di un accordo definitivo con i
palestinesi. Proprio in tal senso, anzi, Netanyahu ha accortamente sfruttato
l’offerta di mediazione rilanciata il 17 maggio dal rais egiziano al-Sisi, inquadrandola esclusivamente nella
prospettiva di un rinnovato negoziato bilaterale con i palestinesi, e non, come
invece probabilmente era nello spirito originario dell’offerta di al-Sisi,
nell’insieme degli sforzi internazionali che dovrebbero culminare nella
Conferenza di Parigi della prossima estate. Va considerata sintomatico al
proposito lo scetticismo completo espresso dal segretario generale dell’OLP
Erekat, per il quale la disponibilità israeliana manifestata avrebbe avuto il
solo scopo di ostacolare lo svolgimento del summit a livello di ministri degli
esteri convocato per il 3 giugno in Francia, in vista della Conferenza di pace.
La presa di posizione palestinese è stata infatti confermata il 2 giugno,
quando Netanyahu ha esplicitamente dichiarato l’inutilità per il raggiungimento
della pace di Conferenze internazionali come quella in programma in Francia,
rilanciando ancora una volta la necessità di trattative dirette
israelo-palestinesi.
In questa intricata
situazione nella serata dell’8 giugno il
terrorismo palestinese ha colpito in modo assai grave nel cuore di Tel Aviv,
città considerata relativamente al riparo, con due attentatori che hanno
provocato quattro morti e 16 feriti sparando sui passanti e gli avventori dei
numerosi locali in quella che sembrava una normale serata. Il giorno successivo vi sono state ulteriori misure restrittive da
parte israeliana, con la revoca di circa 83.000 permessi concessi ai
palestinesi per la celebrazione del Ramadan,
il dispiegamento di altri due battaglioni di soldati in Cisgiordania, dove
intanto erano stati eseguiti una serie di arresti e il villaggio originario dei
due attentatori, Yatta, era stato praticamente blindato. Netanyahu ha attaccato
la dirigenza palestinese per la mancanza di una netta condanna dell’accaduto,
citando anzi le scene di giubilo risuonate da Gaza e da alcune zone della
Cisgiordania.
Le relazioni UE-Israele sono di ampio respiro e poggiano su solide basi economiche e commerciali e sulla cooperazione in ambito tecnico. Dal punto di vista giuridico sono disciplinate dall'accordo di associazione entrato in vigore il 1° giugno 2000. (vedi infra).
Quadro
macroeconomico
Secondo l’OCSE la popolazione di Israele si attesta a 8,1 milioni di persone.
Secondo gli ultimi dati del Fondo monetario internazionale[1], i principali indicatori macroeconomici di Israele nel 2016 e nel 2017 dovrebbero avere il seguente andamento:
PIL % |
Rapporto deficit/PIL % |
Rapporto debito/PIL % |
Inflazione % |
Tasso di disoccupazione |
Reddito pro capite (in dollari) |
||||||
2016 |
2017 |
2016 |
2017 |
2016 |
2017 |
2016 |
2017 |
2016 |
2017 |
2016 |
2017 |
2,8 |
3,0 |
-3,8 |
-3,8 |
65.9 |
67,6 |
-0,1 |
0,8 |
5,2 |
5,2 |
35.905 |
36.524 |
L’accordo
di associazione
L’Accordo di associazione, concluso per una durata illimitata, mira a rafforzare i legami che esistono tra l’Unione europea e Israele instaurando relazioni fondate sulla reciprocità, la compartecipazione e il co-sviluppo nel rispetto dei principi democratici e dei diritti umani. Una dichiarazione congiunta, allegata all’Accordo, sottolinea l’importanza che le Parti attribuiscono alla lotta contro la xenofobia, l’antisemitismo e il razzismo.
Nel quadro dell’Accordo è istituito un dialogo politico regolare che si svolge a livello governativo – mediante incontri di ministri e di alti funzionari – e a livello parlamentare attraverso contatti tra il Parlamento europeo e la Knesset.
L’Accordo sottolinea l’importanza della cooperazione regionale e la necessità di contribuire alla stabilità e alla prosperità della regione mediterranea. A tal fine l’accordo ha ampliato le concessioni reciproche per gli scambi commerciali[2] – rispetto a quelle previste dal precedente accordo del 1975 – ed ha previsto l’approfondimento della cooperazione economica.
A partire dal 2003 le relazioni tra Unione europea e Israele si svolgono anche nel contesto della politica europea di vicinato[3].
UE e Israele collaborano per migliorare le relazioni economiche e
commerciali, anche attraverso una serie di accordi settoriali tra i quali si
segnalano:
·
il
protocollo all’accordo euromediterraneo sulla valutazione dello stato di
conformità e l’accettazione dei prodotti industriali firmato il 6 maggio
2010 a Bruxelles;
·
l’accordo
concernente le misure di liberalizzazione reciproca per i prodotti agricoli,
i prodotti agricoli trasformati, il pesce e i prodotti della pesca, entrato
in vigore nel 2010;
·
l’accordo
in materia di servizi aerei firmato il 9 dicembre 2008, in base al quale
le compagnie aeree avranno accesso al mercato israeliano da qualsiasi Stato
membro. L’accordo è entrato in vigore il 4 novembre 2009. Si segnala inoltre
che nel 2013 è stato firmato un accordo globale con Israele per uno spazio aereo comune che associ la
liberalizzazione del mercato con un processo parallelo di cooperazione e/o
convergenza normativa;
·
l’accordo
di cooperazione al programma comunitario di navigazione satellitare Galileo,
firmato il 17 marzo 2004;
·
l’accordo sulle
procedure di sicurezza per lo scambio di informazioni classificate tra Israele e UE
entrato in vigore il 1° novembre 2010;
·
l’accordo quadro di cooperazione tra l'Agenzia spaziale
europea e l'Agenzia spaziale di Israele firmato
il 31 gennaio 2011.
I
rapporti commerciali
L’UE e Israele mantengono forti relazioni commerciali: Israele occupa il ventisettesimo posto nella lista dei maggiori importatori dell’UE e il ventitreesimo nella lista degli esportatori; l’UE è il maggior partner commerciale di Israele con scambi di beni per un valore totale di 30 miliardi di euro nel 2014, pari ad un terzo del commercio totale del paese: l’UE ha esportato beni in Israele per 17 miliardi di euro e importato per 13 miliardi di euro.
Per quanto riguarda lo scambio di servizi,
nel 2012 l’UE ha esportato servizi per 4,7
miliardi e importato servizi per 3,4 miliardi di euro.
Assistenza
finanziaria
Nel quadro delle prospettive finanziarie 2007-2013, per la prima volta l’UE ha previsto una dotazione a livello nazionale di 14 milioni di euro per l’intero periodo[4], destinati a sostenere iniziative di cooperazione tra le pubbliche amministrazioni di Stati membri dell’UE e di Israele per avvicinare la legislazione israeliana al diritto dell’UE e per favorire l’attuazione del piano d’azione adottato nel quadro della politica europea di vicinato[5].
Anche per il periodo di programmazione finanziaria dell’UE 2014-2020 i finanziamenti destinati ad Israele saranno molto limitati rispetto agli altri paesi coinvolti dalla politica di vicinato dell’UE, considerato il livello di sviluppo economico del paese.
Conclusioni
del Consiglio dell’UE del 18 gennaio 2016 sul processo di pace in Medio Oriente
Il Consiglio
affari esteri dell’UE il 18 gennaio
2016 ha adottato delle conclusioni
sul processo di pace in Medio Oriente nelle quali, in particolare, indica che l’UE:
· esorta tutte le parti ad astenersi da azioni che possano aggravare la situazione, nonché ad attenersi rigorosamente ai principi di necessità e proporzionalità nell'uso della forza;
· auspica un cambiamento radicale della politica di Israele riguardo al territorio palestinese occupato, in particolare il settore C, che possa rafforzare la stabilità e la sicurezza;
· è unita nell'impegno volto ad individuare una soluzione fondata sulla coesistenza di due Stati, che risponda ai bisogni di sicurezza israeliani e palestinesi e alle aspirazioni dei palestinesi alla statualità e alla sovranità, ponga fine all'occupazione iniziata nel 1967;
· ritiene che, al fine di garantire una pace giusta e duratura, sarà necessario un aumento dello sforzo internazionale comune;
· ribadisce la sua ferma opposizione alla politica in materia di insediamenti di Israele, che invita a porre fine a tutte le attività di insediamento e a smantellare gli avamposti costruiti dopo il marzo 2001;
· continuerà a distinguere, in modo inequivocabile, Israele da tutti i territori occupati da Israele nel 1967, garantendo fra l'altro la non applicabilità di tutti gli accordi dell'UE con lo Stato di Israele a tali territori. L'UE e i suoi Stati membri sono uniti nell'impegno ad assicurare un'attuazione piena della normativa vigente dell'Unione europea e degli accordi bilaterali applicabili ai prodotti degli insediamenti;
La Commissione
europea ha pubblicato l’11 novembre
2015 una comunicazione interpretativa relativa
all’indicazione di origine delle merci dei territori occupati da Israele dal giugno del 1967, nella quale, in particolare, si indica che i prodotti provenienti dai
territori della Palestina occupati da Israele devono essere etichettati in
maniera chiara per distinguerli chiaramente da quelli provenienti da aziende
collocate all’interno dei confini internazionalmente riconosciuti dello Stato
di Israele. Si ricorda che l’Unione europea non riconosce la sovranità di
Israele sui territori occupati dal giugno del 1967, ossia alture del Golan,
striscia di Gaza e Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est.
· sollecita tutte le fazioni palestinesi a impegnarsi nel processo di riconciliazione, elemento importante per giungere a una soluzione fondata sulla coesistenza di due Stati;
· chiede di adottare iniziative rapide per consentire un cambiamento radicale della situazione politica, economica e di sicurezza nella striscia di Gaza, inclusa la revoca della chiusura dei valichi e una loro totale apertura, tenendo conto nel contempo delle preoccupazioni legittime di Israele in materia di sicurezza. L'UE invita le parti palestinesi a fare della ricostruzione di Gaza una priorità nazionale fondamentale, in particolare per quanto riguarda la sanità, l'energia e l'accesso all'acqua. L’Autorità palestinese deve riprendere appieno le sue funzioni di governo nella striscia di Gaza. L'UE ritiene che, al fine di consentire il processo di ricostruzione e la prestazione dei servizi di base, sia necessario eliminare le restrizioni alla circolazione di persone, servizi e beni, in particolare quelli designati come "prodotti a duplice uso". L'UE invita tutte le parti, attori statali e non statali, a garantire l'accesso agli aiuti umanitari senza restrizioni a Gaza;
· ribadisce
l'offerta a entrambe le parti, in caso di un accordo di pace definitivo, di un pacchetto di sostegno politico, economico e
in materia di sicurezza e di un partenariato privilegiato speciale con
l’Unione europea, che offrano vantaggi sostanziali alle due parti.
L’incontro
del 12 febbraio 2016 tra l’Alto Rappresentante – Vicepresidente della
Commissione Federica Mogherini e il Primo Ministro di Israele, Benjamin
Netanyahu
Il 12 febbraio 2016 l’Alto Rappresentante – Vicepresidente della Commissione Federica Mogherini e il Primo Ministro di Israele, Benjamin Netanyahu si sono incontrati per uno scambio di opinioni sulle relazioni bilaterali EU, sul processo di pace in Medio Oriente (MEPP) e su questioni regionali.
Le parti hanno discusso, tra l’altro, degli sviluppi nelle relazioni bilaterali dopo la decisione UE recante la comunicazione interpretativa relativa all’indicazione di origine delle merci dei territori occupati da Israele dal giugno del 1967 (v. supra). L'Alto rappresentante/Vicepresidente ha confermato che la responsabilità per l'attuazione delle nota interpretativa spetta alle autorità competenti degli Stati membri.
L’AR/VP ha rinnovato l’impegno UE per la soluzione dei due Stati, e precisato che l’indicazione di origine delle merci non comporta pregiudizio a tale soluzione, compresa la questione dei confini che dovrebbe essere risolta mediante i negoziati tra le parti.
L’AR/VP ha inoltre sottolineato che:
·
l’indicazione
di origine non costituisce boicottaggio
e non dovrebbe essere interpretato come tale;
·
l’UE
si oppone al boicottaggio contro Israele e respinge
fermamente i tentativi del movimento BDS
(boicottaggio, disinvestimento e sanzioni) di isolare Israele.
Presidente della Knesset |
Yuli-Yoel
EDELSTEIN (Likud), |
Rappresentanti diplomatici |
Ambasciatore dello Stato d’Israele in Italia:
Naor GILON, (dal 15 marzo 2012)
Ambasciatore d’Italia nello Stato d’Israele:
Francesco Maria
TALÒ (dal 16 agosto 2012)
Incontri bilaterali |
Il 15 gennaio 2016, la
Presidente della Camera, Laura Boldrini,
ha ricevuto il Presidente della Knesset,
Yuli Edelstein. Nel colloquio, che
si è svolto a pochi giorni dalla celebrazione della Giornata della Memoria, è
stata ribadita la necessità di mantenere vivo il ricordo delle vittime
dell'Olocausto e di combattere l'odio che produsse il genocidio. Inoltre sono
state esaminate le questioni relative all’emergenza migratoria e alla
recrudescenza del terrorismo internazionale. Il Presidente Edelstein ha
espresso la sua contrarietà al recente accordo sul nucleare concluso tra Stati
Uniti ed Iran, richiamando anche l’attenzione sulla situazione del mancato
rispetto dei diritti umani in Iran.
La Presidente Boldrini aveva già incontrato il Presidente Edelstein in
due occasioni: il 15 gennaio 2014, a
Gerusalemme in occasione della visita ufficiale in Israele, e a Roma l’8 ottobre 2013.
Il 10 febbraio 2016, il Vice
Presidente della Camera, Luigi Di Maio, ha ricevuto il Ministro
Plenipotenziario dell’Ambasciata israeliana a Roma, Dan Haezrachy.
Il 4 febbraio 2015, la Vice
Presidente della Camera, Marina Sereni,
ha ricevuta la visita dell'Ambasciatore israeliano, Naor Gilon.
Il 13 gennaio 2015 il
Segretario di Presidenza, Edmondo
Cirielli, ha incontrato il Vice Capo
Missione dell'Ambasciata d'Israele in Italia, Dan Haezrachy.
Il 6 agosto 2014 la
Presidente della Camera, Laura Boldrini, ha incontrato i rappresentanti della Comunità ebraica romana, per uno scambio su la
condizione attuale delle comunità ebraiche in Italia e sui problemi scaturiti
dalla recrudescenza di manifestazioni antisemite.
La Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, ha effettuato
una visita ufficiale in Israele dal 13 al 15 gennaio 2014. La Presidente
Laura Boldrini, alla Knesset oltre all’incontro con il Presidente Edelstein, ha
incontrato la parte israeliana del Gruppo di collaborazione parlamentare Italia
- Israele, guidata da Orly Levi. Inoltre è stata ricevuta dal Ministro
dell'intelligence, delle relazioni internazionali e degli affari strategici,
Yuval Steinitz, dal leader dell'opposizione Yithak Herzog e dalla leader del
Partito Meretz, Zehava Galon.
La Presidente, dopo la visita al Tempio italiano di Gerusalemme, dove ha
incontrato la comunità italiana, si è recata presso il Centro Peres per la pace
dove è stata ricevuta da rappresentanti di numerose associazioni e ONG
operative nel campo della tutela dei diritti umani e della ricerca della pace.
La Presidente ha infine visitato la Tel Aviv University, dove ha incontrato
esponenti del Corpo accademico e dei ricercatori compresi alcuni studenti
italiani.
La Presidente della Camera, Laura
Boldrini, ha ricevuto la visita dell’Ambasciatore israeliano a Roma, Naor Gilon, l’8 aprile 2013.
Nel colloquio, la Presidente Boldrini ha ribadito
il suo sostegno al rafforzamento delle relazioni tra Italia ed Israele, che
vantano una consolidata tradizione di rapporti bilaterali tra le rispettive
assemblee parlamentari, nonché il suo fermo impegno contro ogni forma di
intolleranza e di discriminazione. Al centro del colloquio, oltre ai rapporti
bilaterali tra i due Paesi, il processo di pace in Medio Oriente, la crisi
siriana e la situazione dei rifugiati.
Incontri delle Commissioni |
Il 3 febbraio 2016, il
Presidente della Commissione Affari esteri e comunitari, Fabrizio Cicchitto, ha ricevuto la visita del leader laburista israeliano, Isaac Herzog; alla riunione erano presenti i
deputati: Andrea Manciulli, Vice Presidente della Commissione e Presidente
della delegazione parlamentare italiana della NATO, Lia Quartapelle, Segretaria
della Commissione, e Valentino Valentini membro della Commissione e Segretario
del Comitato sull’attuazione dell’agenda 2030 e gli obiettivi dello sviluppo
sostenibile.
Il 24 novembre 2015, la
Presidente del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione
dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e
vigilanza in materia di immigrazione,
Laura Ravetto, ha ricevuto la visita dell’Ambasciatore d’Israele in
Italia, Naor Gilon. Successivamente,
il 13 gennaio scorso, l’Ambasciatore
israeliano è stato audito dal Comitato.
Il Presidente della Commissione Affari esteri, Fabrizio Cicchitto, ha incontrato l'Ambasciatore di Israele, Naor Gilon, il 28 ottobre e il 28 luglio
2014 e il 3 giugno 2013.
Il 24 ottobre 2013 il
Presidente della Commissione Affari esteri, Fabrizio Cicchitto ha
incontrato il Vice Presidente della
Knesset, Yehiel Hilik Bar.
L’8 ottobre 2013, il Presidente della Knesset, Yuli-Yoel
Edelstein, è stato audito dalle Commissioni riunite per gli Affari esteri
di Camera e Senato sulla situazione in Medio oriente.
Il 12 maggio 2013, l’allora
Presidente della Commissione Cultura, Giancarlo
Galan, ha ricevuto la visita del Professor Manuel Trajtenberg, docente di economia presso l’Università di Tel
Aviv, Capo della Commissione governativa per il cambiamento economico e sociale
e Presidente della Commissione Bilancio e Programmazione del Consiglio per
l'istruzione superiore in Israele.
Protocollo di
collaborazione |
Il 6 ottobre 2009, l’allora
Presidente della Camera, Gianfranco Fini, e l’allora Presidente della Knesset,
Reuven Rivlin, hanno firmato un Protocollo
di collaborazione tra la Camera dei deputati e la Knesset. Il Protocollo
prevede la costituzione di un Gruppo di
collaborazione tra la Camera dei deputati e la Knesset, copresieduto da
parlamentari designati dai Presidenti di ciascuna Assemblea, e composto da un
numero massimo di sei parlamentari per parte.
Il Gruppo di collaborazione parlamentare è coordinato dal deputato Emanuele Fiano e composto dai deputati Mara Carfagna, Florian Kronbichler, Mariano
Rabino e Eugenia Roccella.
La prossima riunione del Gruppo si dovrebbe svolgere a Roma, in una data
da definirsi.
Nella XVI
legislatura, la parte italiana del Gruppo è stata presieduta dall'on. Fiamma
Nirestein - che in precedenza aveva avuto l'incarico di coordinare i rapporti
parlamentari con la Knesset - ed era composta dai deputati Ferdinando Adornato,
Luca Barbareschi, Augusto Di Stanislao, Emanuele Fiano, Enrico Pianetta,
Massimo Polledri, Gianni Vernetti. La parte israeliana era presieduta dall'on.
Orly Levi. La prima riunione del Gruppo
si è svolta a Gerusalemme il 23 e 24
giugno 2010. Al termine è stata approvata una Dichiarazione finale che sancisce tra
l'altro l'impegno a portare avanti azioni di comprensione internazionale e di
sostegno delle due nazioni.
Altri incontri
Una delegazione di studenti israeliani, nell'ambito
dell'iniziativa "Giovani
Ambasciatori", si è recata in visita alla Camera il 17 febbraio 2015 ed è stata ricevuta
dai deputati Emanuele Fiano, Florian
Kronbichler, e Mariano Rabino, componenti del Gruppo di collaborazione
parlamentare italo-israeliano.
Cooperazione multilaterale
Assemblea
parlamentare dell’Unione del Mediterraneo (AP-UpM)
Israele partecipa alla cooperazione parlamentare nell’ambito dell’Assemblea parlamentare dell’Unione per il
Mediterraneo (AP-UpM), prendendo parte a tutte le sedi ove si svolge tale
cooperazione. Ad Israele è assegnata la Vice Presidente della Commissione politica
e di sicurezza. L’ultima Sessione
Plenaria, si è svolta a Tangeri, il 28 e 29 maggio 2016. La delegazione
parlamentare israeliana non era presente ai lavori.
Assemblea
parlamentare del Mediterraneo (PAM)
La Knesset partecipa altresì all'Assemblea Parlamentare Mediterranea
(PAM), nell’ambito dell'Unione interparlamentare.
Assemblea
parlamentare del Consiglio d'Europa
La Knesset ha ottenuto lo status
di "osservatore" presso l’Assemblea
parlamentare del Consiglio d'Europa il 2 dicembre 1957.
Il 22 gennaio 2015, il
Presidente della delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare del
Consiglio d’Europa, Michele Nicoletti, ha incontrato l’Ambasciatore
israeliano, Naor Gilon.
NATO ed OSCE
Israele è altresì membro associato
mediterraneo dell’Assemblea parlamentare della NATO ed è Partner
mediterraneo per la cooperazione in seno all’Assemblea parlamentare dell’OSCE.
Il 15 gennaio 2015 il Presidente della delegazione italiana, presso
l’Assemblea parlamentare della NATO, Andrea
Manciulli, ha ricevuto l’Ambasciatore israeliano, Naor Gilon, in vista
della missione che ha effettuato in
Israele dal 9 all’11 giugno successivo.
Unione
Interparlamentare
Nell’ambito dell’Unione interparlamentare (UIP) opera la sezione di
amicizia Italia-Israele. Nella XVII
legislatura la Presidenza della parte italiana del Gruppo è stata assegnata al
sen. Claudio Moscardelli (PD) e composta dai deputati Rocco Buttiglione (AP) e
Florian Kronbichler (SEL) e dai senatori Federica Chiavaroli (AP), Sergio
Divina (LN-Aut) e Pamela Orrù (PD).
[1] World economic outlook, aprile 2016.
[2] Sulla base di un accordo raggiunto a dicembre 2004 dal Comitato di cooperazione doganale UE-Israele, a partire dal 1° febbraio 2005 è stato disposto che le dichiarazioni su fattura e i certificati di circolazione emessi in Israele rechino indicazione della zona di origine del prodotto. L’intento è quello di individuare i prodotti che provengono dai territori che dal 1967 sono sotto il controllo dell’amministrazione israeliana. Tali prodotti secondo l’Unione europea non sono ammessi a beneficiare del trattamento tariffario preferenziale previsto dall’accordo di associazione UE-Israele.
[3]
La “politica europea di
vicinato” (PEV) si rivolge ai nuovi Stati indipendenti (Bielorussia, Moldova,
Ucraina), ai paesi del Mediterraneo meridionale (Algeria, Autorità palestinese,
Egitto, Giordania, Israele, Libano, Libia, Marocco, Siria, Tunisia) e a quelli
del Caucaso (Armenia, Azerbaigian e Georgia).
[4] Tali finanziamenti provengono dallo strumento europeo di vicinato e partenariato (anche detto ENPI) che per il periodo 2007-2013 è stato destinato alla frontiera esterna dell’UE allargata
[5] I piani d’azione, che rappresentano una delle componenti principali della politica europea di vicinato, vengono concordati dall’Unione europea con ciascuno dei paesi interessati. Tali piani d’azione, differenziati, per riflettere lo stato delle relazioni con ciascun paese, le sue necessità e capacità, nonché gli interessi comuni, definiscono il percorso da seguire per un periodo di 3-5 anni e successivamente aggiornati.