Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: Recenti sviluppi della crisi libica
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 219
Data: 09/03/2016
Descrittori:
LIBIA     
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Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

Recenti sviluppi della crisi libica

 

 

 

 

 

 

 

n. 219

 

 

 

8 marzo 2016

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi

 

Dipartimento Affari esteri

( 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it

 

 

 

 

La documentazione dei servizi e degli uffici della Camera è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte.

File: es0452.docx

 


INDICE

 

 

 

Scheda di lettura

L’evoluzione della crisi libica: cronologia degli avvenimenti (a cura del Servizio Studi)                                                                                                      3

Pubblicistica

§  W. Pusztai ‘How much of a Threat is the Islamic State in Libya?                  13

§  V. Camporini ‘Italia in Libia, invertendo l’ordine dei fattori il risultato cambia’, in: www.affarinternazionali.it, 16 gennaio 2016                                                  16

§  U. Profazio ‘Governo libico, parto difficile’, in: www.affarinternazionali.it, 28 gennaio 2016                                                                                                 18

§  A. Ricucci, C. Tinazzi ‘Libia: le parole e i fatti’, in: Commentary ISPI, 28 gennaio 2016                                                                                                 20

§  A. Mattiello ‘Libia: verso un intervento militare?’, in: Senato della Repubblica, Servizio Affari Internazionali, Nota n. 15, 29 gennaio 2016                           22

§  ’Background e mappe – Le forze in campo in Libia’, in: www.ispionline.it, 1 febbraio 2016                                                                                                 28

§  A. Varvelli ’Italia in Libia: una visione politica’, in: Commentary ISPI, 1 febbraio 2016                                                                                                               31

§  M. Toaldo ‘March to Folly 2.0: The Next Western Military Intervention in Libya’, in: www.ecfr.eu.it (European Council on foreigh Relations), 2 febbraio 2016 33

§  M. Arpino ‘In Libia, invertire le priorità’, in: www.affarinternazionali.it, 11 febbraio 2016                                                                                                 39

§  U. Profazio ‘Libia, guerra delle risorse tra Tripoli e Tobrouk’, in: www.affarinternazionali.it, 15 febbraio 2016                                                  41

§  M. Toaldo ‘Note to Berlin: Make Libya a priority’, in: www.ecfr.eu.it (European Council on foreigh Relations), 18 febbraio 2016                                            43

§  I. El Amrani ‘Hou Much of Libya Does the Islamic State Control?’, in: www.crisisgroup.org, 18 febbraio 2016                                                          48

§  K. Mezran – Commentary A. Varvelli ‘Libyan crisis and the West: a political vision’, in: www.ispionline.it, 20 febbraio 2016                                               53

§  G. Iacovino, F. Tosato, M. Di Liddo e S. Azzolina ‘Riconciliazine o fallimento: la Libia al bivio’, in: CeSI (Centro Studi Internazionali), febbraio 2016              55

§  C. Bertolotti ‘Missione in Libia: l’intervento militare e i suoi rischi’, in: Commentary ISPI, 24 febbraio 2016                                                              75

§  U. Profazio ‘Libia, un piede dentro e due fuori’, in: www.affarinternazionali.it, 4 marzo 2016                                                                                                    79

 

 


Scheda di lettura

 


L’evoluzione della crisi libica: cronologia degli avvenimenti
(a cura del Servizio Studi)

 

Il 13 settembre, dopo che il 27 agosto, ancora una volta senza la delegazione di Tripoli, erano ripresi in Marocco i tentativi di chiudere l’accordo per un nuovo assetto politico della Libia, l’inviato dell’ONU Bernardino Leon annunciava il superamento da parte di tutte le delegazioni presenti dei principali punti di disaccordo. Tuttavia, nonostante la prematura esultanza da parte di molti ambienti internazionali, all’annuncio di Leon non seguiva per lungo tempo l’effettiva conclusione del negoziato, con la firma del relativo accordo: un nodo particolarmente “caldo” era quello della composizione del futuro governo di unità nazionale, per il quale l’inviato dell’ONU si era posto l’obiettivo di ottenere da entrambe le parti candidature per le cariche di primo ministro e dei due vicepremier - ancora una volta era la delegazione di Tripoli a differire la presentazione delle proprie candidature.

Il 25 settembre l’uccisione all’alba, nei dintorni del Medical Center di Tripoli, di un boss del traffico di migranti verso l’Europa provocava accuse alle forze speciali italiane da parte del presidente del congresso di Tripoli, Nuri Abu Sahmain, cui il trafficante ucciso sarebbe stato molto vicino. Secca la smentita da parte italiana, e ciò tanto da parte della Farnesina quanto di ambienti della difesa, come anche da parte di esponenti dell’intelligence del nostro Paese. Controversa è rimasta peraltro l’identità del trafficante ucciso.

 

La posizione del Governo italiano di fronte alle ipotesi d’intervento internazionale in Libia

L’Italia non mancava tuttavia di ribadire la propria disponibilità a un ruolo guida nei confronti della situazione libica: intervenendo infatti a New York per l’apertura della sessione annuale dell’Assemblea generale dell’ONU, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, il 29 settembre, chiariva come l’Italia fosse pronta a collaborare con un governo di unità nazionale e ad assumere, su richiesta del (futuro) governo libico un ruolo di guida per la stabilizzazione del paese con il sostegno della Comunità internazionale.

Tutto ciò, proseguiva il Presidente Renzi, anche alla luce dei rischi che l’affacciarsi dell’ISIS sulla sponda sud del Mediterraneo comporta per il nostro Paese e per l’intera Europa. Due giorni dopo il Ministro degli Esteri Gentiloni ribadiva il sostegno italiano alla fase finale del negoziato tra le fazioni libiche mediato da Bernardino Leon, che a detta di Gentiloni non doveva essere indebolito nella sua figura di mediatore solo per l’approssimarsi della scadenza del suo mandato - e in tal senso il Presidente Renzi e il Ministro Gentiloni richiedevano espressamente al Segretario generale dell’ONU di sostenere con forza Bernardino Leon.

Per quanto poi riguarda il coinvolgimento dell’Italia nella questione libica, il Ministro Gentiloni chiariva non trattarsi affatto di una corposa spedizione, ma di interventi limitati su richiesta delle sperabilmente ricostituite autorità libiche, interventi che potevano andare dal monitoraggio elettorale alla messa in sicurezza di alcuni luoghi chiave del paese.

Con tutto ciò l’incontro dei rappresentanti di Tripoli e di Tobruk al Palazzo di vetro delle Nazioni Unite (2 ottobre), quale forte momento di pressione della Comunità internazionale sulle fazioni libiche per giungere alla stretta finale dell’accordo, non dava i risultati sperati, e anzi il capo della delegazione dei filoislamisti che dominano Tripoli definiva l’incontro un disastro – pur non chiudendo la porta alla possibilità di un accordo, da perseguire in ulteriori incontri nella città statunitense, e poi successivamente con la ripresa dei colloqui in Marocco.

Allo stesso tempo l’incontro del 2 ottobre rappresentava plasticamente alle fazioni libiche la consapevolezza internazionale che non fosse possibile frapporre ulteriori ritardi al raggiungimento di un accordo, da concludere assolutamente anche per porre fine all’instabilità che favorisce sia la diffusione dell’ISIS che le attività illegali degli scafisti. Non a caso all’incontro del 2 ottobre, oltre al Segretario generale dell’ONU e a Bernardino Leon, avevano partecipato anche il Segretario di Stato USA John Kerry, il Ministro degli Esteri italiano Gentiloni - unitamente ad altri colleghi di Stati membri dell’Unione europea -, e gli omologhi di Marocco, Algeria, Egitto, Turchia, Qatar ed altri.

Il 19 ottobre il Parlamento di Tobruk, con una decisione che in un primo tempo era apparsa all’unanimità – ma che successivamente l’inviato dell’ONU ha sostenuto doversi attribuire a una minoranza -, rigettava  recisamente la proposta di governo di unità nazionale formulata dieci giorni prima.

Nel contempo il parlamento di Tobruk decideva di sciogliere la sua delegazione che aveva partecipato ai negoziati in Marocco. Il portavoce del parlamento ha spiegato che il voto negativo sarebbe stato correlato ad alcuni emendamenti all’accordo proposti dai filoislamisti di Tripoli, e che le Nazioni Unite avrebbero rifiutato di rigettare. Per quanto riguarda proprio Tripoli, il braccio politico dei Fratelli musulmani in Libia, il Partito Giustizia e Costruzione, aveva intanto lanciato un appello al Consiglio nazionale generale (in pratica il parlamento della capitale) ad un atteggiamento di responsabilità nei confronti della dialogo proposto dall’ONU.

Nel prolungarsi dello stallo negoziale libico, nella notte fra il 13 e il 14 novembre il leader dell’ISIS nel paese nordafricano Wissam al-Zubaydi (conosciuto anche come Abu Nabil) cadeva vittima dell’attacco di un caccia F-15 statunitense in un’operazione accuratamente pianificata dal Pentagono.

Il ruolo oggettivamente preminente dell’Italia rispetto allo scenario libico, peraltro ampiamente riconosciuto anche da diversi settori importanti della Comunità internazionale – in primis dagli Stati Uniti -, prendeva ulteriormente quota quando il Governo italiano riusciva a convocare per il 13 dicembre a Roma una Conferenza per stabilire le linee-guida per il raggiungimento dell’accordo politico libico, evitando un voto diretto di approvazione da parte dei due parlamenti rivali di Tripoli di Tobruk, ma impegnando la maggioranza dei membri dei due consessi alla la firma diretta dell’intesa.

Tale impostazione era il frutto anche del nuovo approccio del mediatore delle Nazioni Unite succeduto a Bernardino Leon, il diplomatico tedesco Martin Kobler, intento a coinvolgere nella firma dell’accordo anche rappresentanti delle municipalità libiche, capi tribali e membri della società civile. Si trattava tra l’altro di un escamotage volto a interrompere il potere di ricatto delle milizie sui parlamentari di riferimento. Oltre alla Conferenza di Roma, l’Italia riscontrava un cenno della propria credibilità nella questione libica quando negli stessi giorni il generale di corpo d’armata Paolo Serra era nominato senior advisor di Martin Kobler per le questioni di sicurezza correlate al dialogo politico in Libia.

 

L’accordo di Skhirat

La Conferenza di Roma si dimostrava un passo decisivo, e finalmente il 17 dicembre a Skhirat, in Marocco, veniva firmato l’Accordo politico libico, con la sigla di 90 membri della Camera dei rappresentanti di Tobruk e di 69 deputati del Congresso nazionale di Tripoli. L’intesa ha previsto la formazione di un governo di unità nazionale, a sua volta articolato in un Consiglio di presidenza e in un Gabinetto, nonché di una Camera dei rappresentanti e di un Consiglio di Stato. Al Consiglio di presidenza, guidato da Fayez Serraj, è stato attribuito il compito di formare la lista dei ministri di un governo di unità nazionale da insediare a Tripoli entro un mese giorni. In ossequio all’impostazione della Conferenza di Roma, hanno apposto la propria firma all’accordo politico numerosi rappresentanti della società civile, dei partiti politici e delle municipalità libiche.

Il giorno successivo, 18 dicembre, il Consiglio di sicurezza dell’ONU adottava all’unanimità la risoluzione 2254 sulla Libia, nella quale si sollecita il Consiglio di presidenza formato in base all’accordo del giorno precedente a lavorare con sollecitudine per rispettare il termine dei 30 giorni per la formazione del governo di unità nazionale, e nel contempo si richiede agli Stati membri delle Nazioni Unite di rispondere alle richieste di assistenza del governo di unità nazionale per l’attuazione dell’accordo politico libico e per far fronte alle minacce alla sicurezza provenienti dall’ISIS o da al-Qaida.

 

I tentativi per la creazione di un esecutivo di unità nazionale

In effetti il Consiglio di presidenza libico si metteva al lavoro e il 20 gennaio 2016 consegnava la lista del governo di unità nazionale, forte di 32 ministri e 64 sottosegretari. Nelle stesse ore il Ministro della difesa italiano Roberta Pinotti, da Parigi, dove partecipava a una riunione del gruppo ristretto della coalizione anti-ISIS, ribadiva la disponibilità dell’Italia ad assumere un ruolo guida nella stabilizzazione della Libia, purché richieste in tal senso vengano dalle autorità di quel paese e purché il processo di stabilizzazione venga operato congiuntamente dall’Italia e dai suoi alleati.

Tuttavia cinque giorni dopo, il 25 gennaio, il Parlamento di Tobruk rigettava di fatto la compagine, votando a larga maggioranza una mozione che dava ulteriori dieci giorni a Fayez Serraj per presentare una nuova lista di ministri. Un’altra mozione, inoltre, votata quasi all’unanimità dal parlamento di Tobruk,  ha bloccato anche il via libera all’accordo politico di Skhirat, ponendo come condizione assoluta l’eliminazione dell’articolo 8 delle disposizioni finali dell’accordo, articolo che delega le nomine e le decisioni militari al Consiglio di presidenza, espropriandone di fatto interamente l’influente generale Khalifa Haftar.

In tal modo la grande maggioranza dei membri del Parlamento di Tobruk sembra aver ribadito la propria vicinanza alle posizioni di Haftar, che lungamente avevano costituito un ostacolo al raggiungimento dell’accordo tra le diverse fazioni del paese, proprio per i non troppo nascosti propositi del generale di procedere manu militari alla riconquista della capitale e dell’intero territorio libico.

In questo scenario indubbiamente, dilatandosi i tempi per una soluzione “istituzionale” della situazione libica, sono state rilanciate le voci, già numerose nella seconda metà di dicembre, di vari preparativi a carattere militare o di intelligence da parte dei principali paesi occidentali, a partire dagli Stati Uniti – ove il Pentagono sembrerebbe orientato in tal senso assai più della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato. Irritazione negli ambienti francesi della difesa ha destato quanto diffuso il 24 febbraio dal quotidiano Le Monde sulla presenza di forze francesi in Cirenaica impegnate da diverse settimane a combattere in maniera clandestina il “Califfato”.

Intanto il 14 febbraio, ancora una volta a Skhirat in Marocco, era stata stilata la lista di una nuova compagine di governo, assai più leggera della precedente, con 13 ministri e cinque ministri di Stato: tra essi tre donne. Mentre nei dicasteri della difesa e dell’interno sono stati confermati rispettivamente al-Burghuthi e al-Khouja, agli esteri è stato nominato un ex ministro della cooperazione in carica negli ultimi anni del regime di Gheddafi, Mohammed Sayala. In particolare, il premier incaricato Serraj ha fatto leva sulla conferma di al-Burghuthi alla difesa come possibile punto di mediazione, in quanto pur essendo stato questi agli ordini di Haftar,  risulterebbe gradito a varie milizie filo islamiche della fazione di Tripoli, così come il ministro dell’interno in pectore al-Khouja, già attivo nella stessa carica proprio a Tripoli.

La nuova lista di ministri ha trovato però nuovamente nel Consiglio di presidenza l’opposizione di due esponenti favorevoli al generale Haftar, al-Qatrani e al-Aswad, non l’hanno sottoscritta. Proprio al-Qatrani avrebbe lasciato intendere la pregiudiziale opposizione di una parte significativa del parlamento di Tobruk al ministro della difesa designato, e ha accusato il Consiglio di presidenza di essere controllato dai Fratelli Musulmani.

Il 19 febbraio si era poi verificato un raid aereo statunitense contro postazioni dell’ISIS nella cittadina di Sabrata, a una settantina di km. da Tripoli: l’attacco aereo ha avuto come obiettivo un campo di addestramento di appartenenti allo “Stato islamico”, e avrebbe provocato una quarantina di vittime, senza peraltro poter escludere la morte di diversi civili - accertata purtroppo invece la morte di due cittadini serbi, dipendenti dell’ambasciata di Belgrado in Libia e rapiti nel novembre 2015.

Nel raid probabilmente ha perso la vita Noureddine Chouchane, ritenuto l’ideatore degli attacchi ai turisti in Tunisia al Museo del Bardo e sulla spiaggia di Sousse. Sabrata risultava da alcuni mesi il bastione più occidentale del “Califfato” in Libia: i jihadisti si erano dapprima accordati con le tribù locali per occupare parti della città, poi, grazie anche ai traffici di migranti, sarebbero stati in grado di creare campi di addestramento. Per tutta risposta, comunque, circa 150 miliziani dell’ISIS occupavano nei giorni seguenti il quartier generale della sicurezza di Sabrata: i miliziani venivano successivamente respinti, ma non prima di aver decapitato una decina di agenti di sicurezza libici.

Sul fronte del cammino politico-istituzionale della Libia, il 24 febbraio 101 parlamentari di Tobruk hanno firmato una petizione a sostegno del nuovo esecutivo proposto da Serraj, un fatto che, pur non significando ancora il via libera di Tobruk, ha costituito uno snodo potenzialmente importante nella questione.

Infatti il 1° marzo il Ministro degli esteri italiano Paolo Gentiloni, a colloquio a New York con l’incaricato speciale delle Nazioni Unite per la Libia Martin Kobler - che il giorno dopo avrebbe riferito al Consiglio di sicurezza dell’ONU - avanzava la proposta italiana di far leva sul pronunciamento dei 101 parlamentari di Tobruk per considerare espressa e formalizzata la volontà della maggioranza di quel consesso parlamentare - ove peraltro, come emerso da una lettera del vicepresidente Hamuhu a Martin Kobler, un libero dibattito sarebbe stato più volte impedito anche con la violenza.

L’urgenza di sbloccare la situazione istituzionale libica è emersa sempre più pressante anche in rapporto allo stato avanzato dei preparativi per quello che potrebbe essere un secondo intervento internazionale nel paese nordafricano, per il quale intanto veniva istituito a Roma il centro di coordinamento della coalizione. Le difficoltà della situazione libica si confermavano tuttavia il 4 marzo, quando colpi di granate anticarro raggiungevano a Tripoli la sede del Partito della patria, il giorno dopo che più di 50 deputati del Congresso nazionale generale di Tripoli a quel partito riferentisi avevano dichiarato il proprio appoggio al nascente governo unitario.

Per di più alcuni deputati di Tobruk avevano frattanto negato di aver apposto la propria firma alla petizione del 24 febbraio, ponendo in ulteriore difficoltà i piani di Martin Kobler e anche la proposta avanzata dal nostro Paese - diversi media libici hanno tra l’altro protestato contro l’escamotage fatto proprio da Kobler, qualificato alla stregua di un tentativo di aggiramento della maggioranza qualificata richiesta per l’approvazione del parlamento di Tobruk della nuova lista dei ministri. Per uscire dall’impasse è emersa da parte dell’inviato speciale delle Nazioni Unite la prospettazione di una possibile ripresa del dialogo politico libico, per affidare nuovamente a un formato extraparlamentare la riconciliazione nazionale e il via libera a un nuovo esecutivo, superando i blocchi e i veti incrociati delle varie minoranze del paese. Su questo obiettivo di Kobler un portavoce del Dipartimento di Stato USA ha espresso convinto sostegno.

 

Le rivelazioni del Wall Street Journal sull’impiego della base aerea di Sigonella per operazioni di bombardamento con droni

Una polemica interna allo schieramento politico italiano si è aperta dopo le rivelazioni del 22 febbraio del Wall Street Journal, secondo le quali dal mese di gennaio decollerebbero dalla base NATO italiana di Sigonella droni armati statunitensi per operazioni di bombardamento contro l’ISIS in Libia e in altre località del Nordafrica. Il Ministero della difesa italiano ha confermato l’accordo tra Washington e Roma per l’utilizzo della base di Sigonella, negando tuttavia che siano già in corso voli finalizzati a tali missioni, e precisando che ogni singola missione dovrà essere sottoposta all’autorizzazione del Governo italiano. Inoltre l’accordo non riguarderebbe tanto la Libia, e quindi un’accelerazione della possibilità di intervento militare nel paese nordafricano, quanto profili più generali di protezione e sicurezza del personale impegnato nella lotta contro l’ISIS in tutti gli scenari in cui il “Califfato” è presente.

Le opposizioni parlamentari hanno lamentato di non essere state adeguatamente informate dal Governo su tali sviluppi, a loro dire particolarmente preoccupanti alla luce del più volte manifestato allarme degli Stati Uniti per la crescente presenza dell’ISIS in Libia, con la richiesta di una maggior cooperazione agli alleati europei.

Tutte queste questioni sono state affrontate il 25 febbraio dal Consiglio supremo di difesa presieduto dal Capo dello Stato Sergio Mattarella, dal quale è emersa la disponibilità italiana a intervenire, ma solo su richiesta di un’autorità libica ricostituita unitariamente, per una missione di supporto che vedrebbe impegnato un numero limitato di militari, con compiti di addestramento delle forze locali e sorveglianza di siti particolarmente sensibili, come ambasciate e palazzi istituzionali.

Parallelamente al crescere della pressione statunitense sulle autorità italiane - con il Segretario alla difesa USA Ashton Carter che in una conferenza stampa del 29 febbraio al Pentagono esplicitamente ha ribadito spettare all’Italia il ruolo guida per un intervento in Libia -; è emerso come anche l’Italia abbia già dispiegato una quarantina di agenti operativi del servizio segreto esterno (AISE), e si trovi nell’imminenza di inviare una cinquantina di appartenenti al reggimento d’assalto paracadutisti Col Moschin.

Questa forma di intervento è stata possibile in ragione di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 10 febbraio, oggetto di secretazione, che avrebbe avocato al Dipartimento per la sicurezza - cui fa capo il coordinamento dei due servizi italiani di intelligence - e quindi alla Presidenza del Consiglio, la responsabilità in ordine ad operazioni per gravi crisi all’estero. In base al citato DPCM, con gli agenti dell’AIE sarà possibile la collaborazione di militari di alcuni corpi speciali, in via diretta e al di fuori della normale catena di comando - che naturalmente farebbe invece capo al Ministero della difesa.

Nell’espletare queste funzioni gli appartenenti ai corpi speciali della difesa godrebbero dell’estensione delle normali garanzie funzionali a favore degli agenti dell’AISE, estensione già disposta nel decreto-legge di rinnovo della partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali della fine del 2015 (D.L. 174/2015, art. 7-bis, nel quale pure si riscontra la base legislativa del DPCM del 10 febbraio).

Va comunque segnalato che lo stesso Presidente del Consiglio Renzi, anche nel clima di costernazione destato dall’uccisione dei due tecnici italiani in Libia e prima del rientro dei due colleghi superstiti, ha espresso forte irritazione per ogni accelerazione mediatica in ordine a un possibile intervento del nostro Paese nello scenario libico, definita quale atto di irresponsabilità. Matteo Renzi ha ribadito che la priorità dell’Italia è diplomatica, e mira anzitutto alla formazione di un governo libico unitario, ed effettivamente gran parte dell’arco politico-parlamentare è sembrato convergere sulla cautela del Presidente Renzi, sulla quale appaiono altresì quasi perfettamente sintoniche fonti dell’Eliseo, in vista dell’incontro dell’8 marzo tra Matteo Renzi e il Presidente francese Hollande.

 

L’assassinio di due ostaggi italiani e la liberazione degli altri due connazionali rapiti

Il 2 marzo purtroppo si era intanto avuta notizia dell’uccisione di Salvatore Failla e Fausto Piano - due dei quattro ostaggi italiani, tecnici dell’azienda Bonatti, rapiti in Libia nel luglio 2015 - che perdevano la vita nel corso di un attacco a Sabrata delle milizie fedeli a Tripoli nei confronti di gruppi ritenuti vicini all’ISIS. Nel caos di Sabrata è stato particolarmente difficile nelle prime ore ricostruire gli eventi, anche per la delicatezza della situazione, che sembrava far immaginare la volontà delle autorità cittadine di trattenere i due ostaggi superstiti – Gino Pollicardo e Filippo Calcagno -, alla ricerca di una qualche forma di riconoscimento politico di Tripoli, cui le autorità di Sabrata risultano collegate. Fortunatamente all’alba del 6 marzo ha potuto atterrare all’aeroporto di Ciampino l’aereo che riportato a casa i due tecnici superstiti, che già in tarda mattinata sono stati ascoltati dai magistrati in una caserma del Reparto Operativo Speciale dei Carabinieri.

Nelle sei ore di colloquio sarebbe emerso come, unitamente ai due colleghi deceduti, Pollicardo e Calcagno abbiano patito durante gli otto mesi di prigionia violenze fisiche e psicologiche da parte della banda criminale che li aveva in ostaggio. Quanto alla loro liberazione, sarebbe avvenuta il 4 marzo, dopo la scomparsa dei loro carcerieri, i quali due giorni prima avevano prelevato Failla e Piano, che non avrebbero più rivisto i propri colleghi di lavoro e di prigionia.

Sulla vicenda tra l’altro il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha asserito il 6 marzo la necessità di comprendere come mai i quattro tecnici italiani siano entrati in Libia quando già era stato posto un esplicito divieto da parte delle autorità del nostro Paese: al Presidente del Consiglio ha replicato il numero uno della società Bonatti, Paolo Ghirelli, dicendo che la sua azienda aveva rispettato tutti gli obblighi di legge e i quattro tecnici si trovavano in Libia per uno scopo di lavoro ben preciso.

Per ciò che concerne il coinvolgimento dell’Italia nella questione libica, va rilevato anzitutto come nell’incontro a Washington dell’8 febbraio tra il Presidente Obama e il Capo dello Stato Sergio Mattarella l’Italia abbia avuto assicurazione dal capo della Casa Bianca che gli Stati Uniti si trovano in consonanza con il nostro Paese nel subordinare qualsiasi intervento di carattere militare in Libia alla formazione di un governo nazionale unitario e all’eventuale richiesta da parte di quest’ultimo, rimanendo comunque nell’ambito della legalità internazionale rappresentata dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.


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§  V. Camporini ‘Italia in Libia, invertendo l’ordine dei fattori il risultato cambia’, in: www.affarinternazionali.it, 16 gennaio 2016                                                  16

§  U. Profazio ‘Governo libico, parto difficile’, in: www.affarinternazionali.it, 28 gennaio 2016                                                                                                 18

§  A. Ricucci, C. Tinazzi ‘Libia: le parole e i fatti’, in: Commentary ISPI, 28 gennaio 2016                                                                                                 20

§  A. Mattiello ‘Libia: verso un intervento militare?’, in: Senato della Repubblica, Servizio Affari Internazionali, Nota n. 15, 29 gennaio 2016                           22

§  ’Background e mappe – Le forze in campo in Libia’, in: www.ispionline.it, 1 febbraio 2016                                                                                                 28

§  A. Varvelli ’Italia in Libia: una visione politica’, in: Commentary ISPI, 1 febbraio 2016                                                                                                               31

§  M. Toaldo ‘March to Folly 2.0: The Next Western Military Intervention in Libya’, in: www.ecfr.eu.it (European Council on foreigh Relations), 2 febbraio 2016 33

§  M. Arpino ‘In Libia, invertire le priorità’, in: www.affarinternazionali.it, 11 febbraio 2016                                                                                                 39

§  U. Profazio ‘Libia, guerra delle risorse tra Tripoli e Tobrouk’, in: www.affarinternazionali.it, 15 febbraio 2016                                                  41

§  M. Toaldo ‘Note to Berlin: Make Libya a priority’, in: www.ecfr.eu.it (European Council on foreigh Relations), 18 febbraio 2016                                            43

§  I. El Amrani ‘Hou Much of Libya Does the Islamic State Control?’, in: www.crisisgroup.org, 18 febbraio 2016                                                          48

§  K. Mezran – Commentary A. Varvelli ‘Libyan crisis and the West: a political vision’, in: www.ispionline.it, 20 febbraio 2016                                               53

§  G. Iacovino, F. Tosato, M. Di Liddo e S. Azzolina ‘Riconciliazine o fallimento: la Libia al bivio’, in: CeSI (Centro Studi Internazionali), febbraio 2016              55

§  C. Bertolotti ‘Missione in Libia: l’intervento militare e i suoi rischi’, in: Commentary ISPI, 24 febbraio 2016                                                              75

§  U. Profazio ‘Libia, un piede dentro e due fuori’, in: www.affarinternazionali.it, 4 marzo 2016                                                                                                    79

 

 


Scheda di lettura

 


L’evoluzione della crisi libica: cronologia degli avvenimenti
(a cura del Servizio Studi)

 

Il 13 settembre, dopo che il 27 agosto, ancora una volta senza la delegazione di Tripoli, erano ripresi in Marocco i tentativi di chiudere l’accordo per un nuovo assetto politico della Libia, l’inviato dell’ONU Bernardino Leon annunciava il superamento da parte di tutte le delegazioni presenti dei principali punti di disaccordo. Tuttavia, nonostante la prematura esultanza da parte di molti ambienti internazionali, all’annuncio di Leon non seguiva per lungo tempo l’effettiva conclusione del negoziato, con la firma del relativo accordo: un nodo particolarmente “caldo” era quello della composizione del futuro governo di unità nazionale, per il quale l’inviato dell’ONU si era posto l’obiettivo di ottenere da entrambe le parti candidature per le cariche di primo ministro e dei due vicepremier - ancora una volta era la delegazione di Tripoli a differire la presentazione delle proprie candidature.

Il 25 settembre l’uccisione all’alba, nei dintorni del Medical Center di Tripoli, di un boss del traffico di migranti verso l’Europa provocava accuse alle forze speciali italiane da parte del presidente del congresso di Tripoli, Nuri Abu Sahmain, cui il trafficante ucciso sarebbe stato molto vicino. Secca la smentita da parte italiana, e ciò tanto da parte della Farnesina quanto di ambienti della difesa, come anche da parte di esponenti dell’intelligence del nostro Paese. Controversa è rimasta peraltro l’identità del trafficante ucciso.

 

La posizione del Governo italiano di fronte alle ipotesi d’intervento internazionale in Libia

L’Italia non mancava tuttavia di ribadire la propria disponibilità a un ruolo guida nei confronti della situazione libica: intervenendo infatti a New York per l’apertura della sessione annuale dell’Assemblea generale dell’ONU, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, il 29 settembre, chiariva come l’Italia fosse pronta a collaborare con un governo di unità nazionale e ad assumere, su richiesta del (futuro) governo libico un ruolo di guida per la stabilizzazione del paese con il sostegno della Comunità internazionale.

Tutto ciò, proseguiva il Presidente Renzi, anche alla luce dei rischi che l’affacciarsi dell’ISIS sulla sponda sud del Mediterraneo comporta per il nostro Paese e per l’intera Europa. Due giorni dopo il Ministro degli Esteri Gentiloni ribadiva il sostegno italiano alla fase finale del negoziato tra le fazioni libiche mediato da Bernardino Leon, che a detta di Gentiloni non doveva essere indebolito nella sua figura di mediatore solo per l’approssimarsi della scadenza del suo mandato - e in tal senso il Presidente Renzi e il Ministro Gentiloni richiedevano espressamente al Segretario generale dell’ONU di sostenere con forza Bernardino Leon.

Per quanto poi riguarda il coinvolgimento dell’Italia nella questione libica, il Ministro Gentiloni chiariva non trattarsi affatto di una corposa spedizione, ma di interventi limitati su richiesta delle sperabilmente ricostituite autorità libiche, interventi che potevano andare dal monitoraggio elettorale alla messa in sicurezza di alcuni luoghi chiave del paese.

Con tutto ciò l’incontro dei rappresentanti di Tripoli e di Tobruk al Palazzo di vetro delle Nazioni Unite (2 ottobre), quale forte momento di pressione della Comunità internazionale sulle fazioni libiche per giungere alla stretta finale dell’accordo, non dava i risultati sperati, e anzi il capo della delegazione dei filoislamisti che dominano Tripoli definiva l’incontro un disastro – pur non chiudendo la porta alla possibilità di un accordo, da perseguire in ulteriori incontri nella città statunitense, e poi successivamente con la ripresa dei colloqui in Marocco.

Allo stesso tempo l’incontro del 2 ottobre rappresentava plasticamente alle fazioni libiche la consapevolezza internazionale che non fosse possibile frapporre ulteriori ritardi al raggiungimento di un accordo, da concludere assolutamente anche per porre fine all’instabilità che favorisce sia la diffusione dell’ISIS che le attività illegali degli scafisti. Non a caso all’incontro del 2 ottobre, oltre al Segretario generale dell’ONU e a Bernardino Leon, avevano partecipato anche il Segretario di Stato USA John Kerry, il Ministro degli Esteri italiano Gentiloni - unitamente ad altri colleghi di Stati membri dell’Unione europea -, e gli omologhi di Marocco, Algeria, Egitto, Turchia, Qatar ed altri.

Il 19 ottobre il Parlamento di Tobruk, con una decisione che in un primo tempo era apparsa all’unanimità – ma che successivamente l’inviato dell’ONU ha sostenuto doversi attribuire a una minoranza -, rigettava  recisamente la proposta di governo di unità nazionale formulata dieci giorni prima.

Nel contempo il parlamento di Tobruk decideva di sciogliere la sua delegazione che aveva partecipato ai negoziati in Marocco. Il portavoce del parlamento ha spiegato che il voto negativo sarebbe stato correlato ad alcuni emendamenti all’accordo proposti dai filoislamisti di Tripoli, e che le Nazioni Unite avrebbero rifiutato di rigettare. Per quanto riguarda proprio Tripoli, il braccio politico dei Fratelli musulmani in Libia, il Partito Giustizia e Costruzione, aveva intanto lanciato un appello al Consiglio nazionale generale (in pratica il parlamento della capitale) ad un atteggiamento di responsabilità nei confronti della dialogo proposto dall’ONU.

Nel prolungarsi dello stallo negoziale libico, nella notte fra il 13 e il 14 novembre il leader dell’ISIS nel paese nordafricano Wissam al-Zubaydi (conosciuto anche come Abu Nabil) cadeva vittima dell’attacco di un caccia F-15 statunitense in un’operazione accuratamente pianificata dal Pentagono.

Il ruolo oggettivamente preminente dell’Italia rispetto allo scenario libico, peraltro ampiamente riconosciuto anche da diversi settori importanti della Comunità internazionale – in primis dagli Stati Uniti -, prendeva ulteriormente quota quando il Governo italiano riusciva a convocare per il 13 dicembre a Roma una Conferenza per stabilire le linee-guida per il raggiungimento dell’accordo politico libico, evitando un voto diretto di approvazione da parte dei due parlamenti rivali di Tripoli di Tobruk, ma impegnando la maggioranza dei membri dei due consessi alla la firma diretta dell’intesa.

Tale impostazione era il frutto anche del nuovo approccio del mediatore delle Nazioni Unite succeduto a Bernardino Leon, il diplomatico tedesco Martin Kobler, intento a coinvolgere nella firma dell’accordo anche rappresentanti delle municipalità libiche, capi tribali e membri della società civile. Si trattava tra l’altro di un escamotage volto a interrompere il potere di ricatto delle milizie sui parlamentari di riferimento. Oltre alla Conferenza di Roma, l’Italia riscontrava un cenno della propria credibilità nella questione libica quando negli stessi giorni il generale di corpo d’armata Paolo Serra era nominato senior advisor di Martin Kobler per le questioni di sicurezza correlate al dialogo politico in Libia.

 

L’accordo di Skhirat

La Conferenza di Roma si dimostrava un passo decisivo, e finalmente il 17 dicembre a Skhirat, in Marocco, veniva firmato l’Accordo politico libico, con la sigla di 90 membri della Camera dei rappresentanti di Tobruk e di 69 deputati del Congresso nazionale di Tripoli. L’intesa ha previsto la formazione di un governo di unità nazionale, a sua volta articolato in un Consiglio di presidenza e in un Gabinetto, nonché di una Camera dei rappresentanti e di un Consiglio di Stato. Al Consiglio di presidenza, guidato da Fayez Serraj, è stato attribuito il compito di formare la lista dei ministri di un governo di unità nazionale da insediare a Tripoli entro un mese giorni. In ossequio all’impostazione della Conferenza di Roma, hanno apposto la propria firma all’accordo politico numerosi rappresentanti della società civile, dei partiti politici e delle municipalità libiche.

Il giorno successivo, 18 dicembre, il Consiglio di sicurezza dell’ONU adottava all’unanimità la risoluzione 2254 sulla Libia, nella quale si sollecita il Consiglio di presidenza formato in base all’accordo del giorno precedente a lavorare con sollecitudine per rispettare il termine dei 30 giorni per la formazione del governo di unità nazionale, e nel contempo si richiede agli Stati membri delle Nazioni Unite di rispondere alle richieste di assistenza del governo di unità nazionale per l’attuazione dell’accordo politico libico e per far fronte alle minacce alla sicurezza provenienti dall’ISIS o da al-Qaida.

 

I tentativi per la creazione di un esecutivo di unità nazionale

In effetti il Consiglio di presidenza libico si metteva al lavoro e il 20 gennaio 2016 consegnava la lista del governo di unità nazionale, forte di 32 ministri e 64 sottosegretari. Nelle stesse ore il Ministro della difesa italiano Roberta Pinotti, da Parigi, dove partecipava a una riunione del gruppo ristretto della coalizione anti-ISIS, ribadiva la disponibilità dell’Italia ad assumere un ruolo guida nella stabilizzazione della Libia, purché richieste in tal senso vengano dalle autorità di quel paese e purché il processo di stabilizzazione venga operato congiuntamente dall’Italia e dai suoi alleati.

Tuttavia cinque giorni dopo, il 25 gennaio, il Parlamento di Tobruk rigettava di fatto la compagine, votando a larga maggioranza una mozione che dava ulteriori dieci giorni a Fayez Serraj per presentare una nuova lista di ministri. Un’altra mozione, inoltre, votata quasi all’unanimità dal parlamento di Tobruk,  ha bloccato anche il via libera all’accordo politico di Skhirat, ponendo come condizione assoluta l’eliminazione dell’articolo 8 delle disposizioni finali dell’accordo, articolo che delega le nomine e le decisioni militari al Consiglio di presidenza, espropriandone di fatto interamente l’influente generale Khalifa Haftar.

In tal modo la grande maggioranza dei membri del Parlamento di Tobruk sembra aver ribadito la propria vicinanza alle posizioni di Haftar, che lungamente avevano costituito un ostacolo al raggiungimento dell’accordo tra le diverse fazioni del paese, proprio per i non troppo nascosti propositi del generale di procedere manu militari alla riconquista della capitale e dell’intero territorio libico.

In questo scenario indubbiamente, dilatandosi i tempi per una soluzione “istituzionale” della situazione libica, sono state rilanciate le voci, già numerose nella seconda metà di dicembre, di vari preparativi a carattere militare o di intelligence da parte dei principali paesi occidentali, a partire dagli Stati Uniti – ove il Pentagono sembrerebbe orientato in tal senso assai più della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato. Irritazione negli ambienti francesi della difesa ha destato quanto diffuso il 24 febbraio dal quotidiano Le Monde sulla presenza di forze francesi in Cirenaica impegnate da diverse settimane a combattere in maniera clandestina il “Califfato”.

Intanto il 14 febbraio, ancora una volta a Skhirat in Marocco, era stata stilata la lista di una nuova compagine di governo, assai più leggera della precedente, con 13 ministri e cinque ministri di Stato: tra essi tre donne. Mentre nei dicasteri della difesa e dell’interno sono stati confermati rispettivamente al-Burghuthi e al-Khouja, agli esteri è stato nominato un ex ministro della cooperazione in carica negli ultimi anni del regime di Gheddafi, Mohammed Sayala. In particolare, il premier incaricato Serraj ha fatto leva sulla conferma di al-Burghuthi alla difesa come possibile punto di mediazione, in quanto pur essendo stato questi agli ordini di Haftar,  risulterebbe gradito a varie milizie filo islamiche della fazione di Tripoli, così come il ministro dell’interno in pectore al-Khouja, già attivo nella stessa carica proprio a Tripoli.

La nuova lista di ministri ha trovato però nuovamente nel Consiglio di presidenza l’opposizione di due esponenti favorevoli al generale Haftar, al-Qatrani e al-Aswad, non l’hanno sottoscritta. Proprio al-Qatrani avrebbe lasciato intendere la pregiudiziale opposizione di una parte significativa del parlamento di Tobruk al ministro della difesa designato, e ha accusato il Consiglio di presidenza di essere controllato dai Fratelli Musulmani.

Il 19 febbraio si era poi verificato un raid aereo statunitense contro postazioni dell’ISIS nella cittadina di Sabrata, a una settantina di km. da Tripoli: l’attacco aereo ha avuto come obiettivo un campo di addestramento di appartenenti allo “Stato islamico”, e avrebbe provocato una quarantina di vittime, senza peraltro poter escludere la morte di diversi civili - accertata purtroppo invece la morte di due cittadini serbi, dipendenti dell’ambasciata di Belgrado in Libia e rapiti nel novembre 2015.

Nel raid probabilmente ha perso la vita Noureddine Chouchane, ritenuto l’ideatore degli attacchi ai turisti in Tunisia al Museo del Bardo e sulla spiaggia di Sousse. Sabrata risultava da alcuni mesi il bastione più occidentale del “Califfato” in Libia: i jihadisti si erano dapprima accordati con le tribù locali per occupare parti della città, poi, grazie anche ai traffici di migranti, sarebbero stati in grado di creare campi di addestramento. Per tutta risposta, comunque, circa 150 miliziani dell’ISIS occupavano nei giorni seguenti il quartier generale della sicurezza di Sabrata: i miliziani venivano successivamente respinti, ma non prima di aver decapitato una decina di agenti di sicurezza libici.

Sul fronte del cammino politico-istituzionale della Libia, il 24 febbraio 101 parlamentari di Tobruk hanno firmato una petizione a sostegno del nuovo esecutivo proposto da Serraj, un fatto che, pur non significando ancora il via libera di Tobruk, ha costituito uno snodo potenzialmente importante nella questione.

Infatti il 1° marzo il Ministro degli esteri italiano Paolo Gentiloni, a colloquio a New York con l’incaricato speciale delle Nazioni Unite per la Libia Martin Kobler - che il giorno dopo avrebbe riferito al Consiglio di sicurezza dell’ONU - avanzava la proposta italiana di far leva sul pronunciamento dei 101 parlamentari di Tobruk per considerare espressa e formalizzata la volontà della maggioranza di quel consesso parlamentare - ove peraltro, come emerso da una lettera del vicepresidente Hamuhu a Martin Kobler, un libero dibattito sarebbe stato più volte impedito anche con la violenza.

L’urgenza di sbloccare la situazione istituzionale libica è emersa sempre più pressante anche in rapporto allo stato avanzato dei preparativi per quello che potrebbe essere un secondo intervento internazionale nel paese nordafricano, per il quale intanto veniva istituito a Roma il centro di coordinamento della coalizione. Le difficoltà della situazione libica si confermavano tuttavia il 4 marzo, quando colpi di granate anticarro raggiungevano a Tripoli la sede del Partito della patria, il giorno dopo che più di 50 deputati del Congresso nazionale generale di Tripoli a quel partito riferentisi avevano dichiarato il proprio appoggio al nascente governo unitario.

Per di più alcuni deputati di Tobruk avevano frattanto negato di aver apposto la propria firma alla petizione del 24 febbraio, ponendo in ulteriore difficoltà i piani di Martin Kobler e anche la proposta avanzata dal nostro Paese - diversi media libici hanno tra l’altro protestato contro l’escamotage fatto proprio da Kobler, qualificato alla stregua di un tentativo di aggiramento della maggioranza qualificata richiesta per l’approvazione del parlamento di Tobruk della nuova lista dei ministri. Per uscire dall’impasse è emersa da parte dell’inviato speciale delle Nazioni Unite la prospettazione di una possibile ripresa del dialogo politico libico, per affidare nuovamente a un formato extraparlamentare la riconciliazione nazionale e il via libera a un nuovo esecutivo, superando i blocchi e i veti incrociati delle varie minoranze del paese. Su questo obiettivo di Kobler un portavoce del Dipartimento di Stato USA ha espresso convinto sostegno.

 

Le rivelazioni del Wall Street Journal sull’impiego della base aerea di Sigonella per operazioni di bombardamento con droni

Una polemica interna allo schieramento politico italiano si è aperta dopo le rivelazioni del 22 febbraio del Wall Street Journal, secondo le quali dal mese di gennaio decollerebbero dalla base NATO italiana di Sigonella droni armati statunitensi per operazioni di bombardamento contro l’ISIS in Libia e in altre località del Nordafrica. Il Ministero della difesa italiano ha confermato l’accordo tra Washington e Roma per l’utilizzo della base di Sigonella, negando tuttavia che siano già in corso voli finalizzati a tali missioni, e precisando che ogni singola missione dovrà essere sottoposta all’autorizzazione del Governo italiano. Inoltre l’accordo non riguarderebbe tanto la Libia, e quindi un’accelerazione della possibilità di intervento militare nel paese nordafricano, quanto profili più generali di protezione e sicurezza del personale impegnato nella lotta contro l’ISIS in tutti gli scenari in cui il “Califfato” è presente.

Le opposizioni parlamentari hanno lamentato di non essere state adeguatamente informate dal Governo su tali sviluppi, a loro dire particolarmente preoccupanti alla luce del più volte manifestato allarme degli Stati Uniti per la crescente presenza dell’ISIS in Libia, con la richiesta di una maggior cooperazione agli alleati europei.

Tutte queste questioni sono state affrontate il 25 febbraio dal Consiglio supremo di difesa presieduto dal Capo dello Stato Sergio Mattarella, dal quale è emersa la disponibilità italiana a intervenire, ma solo su richiesta di un’autorità libica ricostituita unitariamente, per una missione di supporto che vedrebbe impegnato un numero limitato di militari, con compiti di addestramento delle forze locali e sorveglianza di siti particolarmente sensibili, come ambasciate e palazzi istituzionali.

Parallelamente al crescere della pressione statunitense sulle autorità italiane - con il Segretario alla difesa USA Ashton Carter che in una conferenza stampa del 29 febbraio al Pentagono esplicitamente ha ribadito spettare all’Italia il ruolo guida per un intervento in Libia -; è emerso come anche l’Italia abbia già dispiegato una quarantina di agenti operativi del servizio segreto esterno (AISE), e si trovi nell’imminenza di inviare una cinquantina di appartenenti al reggimento d’assalto paracadutisti Col Moschin.

Questa forma di intervento è stata possibile in ragione di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 10 febbraio, oggetto di secretazione, che avrebbe avocato al Dipartimento per la sicurezza - cui fa capo il coordinamento dei due servizi italiani di intelligence - e quindi alla Presidenza del Consiglio, la responsabilità in ordine ad operazioni per gravi crisi all’estero. In base al citato DPCM, con gli agenti dell’AIE sarà possibile la collaborazione di militari di alcuni corpi speciali, in via diretta e al di fuori della normale catena di comando - che naturalmente farebbe invece capo al Ministero della difesa.

Nell’espletare queste funzioni gli appartenenti ai corpi speciali della difesa godrebbero dell’estensione delle normali garanzie funzionali a favore degli agenti dell’AISE, estensione già disposta nel decreto-legge di rinnovo della partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali della fine del 2015 (D.L. 174/2015, art. 7-bis, nel quale pure si riscontra la base legislativa del DPCM del 10 febbraio).

Va comunque segnalato che lo stesso Presidente del Consiglio Renzi, anche nel clima di costernazione destato dall’uccisione dei due tecnici italiani in Libia e prima del rientro dei due colleghi superstiti, ha espresso forte irritazione per ogni accelerazione mediatica in ordine a un possibile intervento del nostro Paese nello scenario libico, definita quale atto di irresponsabilità. Matteo Renzi ha ribadito che la priorità dell’Italia è diplomatica, e mira anzitutto alla formazione di un governo libico unitario, ed effettivamente gran parte dell’arco politico-parlamentare è sembrato convergere sulla cautela del Presidente Renzi, sulla quale appaiono altresì quasi perfettamente sintoniche fonti dell’Eliseo, in vista dell’incontro dell’8 marzo tra Matteo Renzi e il Presidente francese Hollande.

 

L’assassinio di due ostaggi italiani e la liberazione degli altri due connazionali rapiti

Il 2 marzo purtroppo si era intanto avuta notizia dell’uccisione di Salvatore Failla e Fausto Piano - due dei quattro ostaggi italiani, tecnici dell’azienda Bonatti, rapiti in Libia nel luglio 2015 - che perdevano la vita nel corso di un attacco a Sabrata delle milizie fedeli a Tripoli nei confronti di gruppi ritenuti vicini all’ISIS. Nel caos di Sabrata è stato particolarmente difficile nelle prime ore ricostruire gli eventi, anche per la delicatezza della situazione, che sembrava far immaginare la volontà delle autorità cittadine di trattenere i due ostaggi superstiti – Gino Pollicardo e Filippo Calcagno -, alla ricerca di una qualche forma di riconoscimento politico di Tripoli, cui le autorità di Sabrata risultano collegate. Fortunatamente all’alba del 6 marzo ha potuto atterrare all’aeroporto di Ciampino l’aereo che riportato a casa i due tecnici superstiti, che già in tarda mattinata sono stati ascoltati dai magistrati in una caserma del Reparto Operativo Speciale dei Carabinieri.

Nelle sei ore di colloquio sarebbe emerso come, unitamente ai due colleghi deceduti, Pollicardo e Calcagno abbiano patito durante gli otto mesi di prigionia violenze fisiche e psicologiche da parte della banda criminale che li aveva in ostaggio. Quanto alla loro liberazione, sarebbe avvenuta il 4 marzo, dopo la scomparsa dei loro carcerieri, i quali due giorni prima avevano prelevato Failla e Piano, che non avrebbero più rivisto i propri colleghi di lavoro e di prigionia.

Sulla vicenda tra l’altro il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha asserito il 6 marzo la necessità di comprendere come mai i quattro tecnici italiani siano entrati in Libia quando già era stato posto un esplicito divieto da parte delle autorità del nostro Paese: al Presidente del Consiglio ha replicato il numero uno della società Bonatti, Paolo Ghirelli, dicendo che la sua azienda aveva rispettato tutti gli obblighi di legge e i quattro tecnici si trovavano in Libia per uno scopo di lavoro ben preciso.

Per ciò che concerne il coinvolgimento dell’Italia nella questione libica, va rilevato anzitutto come nell’incontro a Washington dell’8 febbraio tra il Presidente Obama e il Capo dello Stato Sergio Mattarella l’Italia abbia avuto assicurazione dal capo della Casa Bianca che gli Stati Uniti si trovano in consonanza con il nostro Paese nel subordinare qualsiasi intervento di carattere militare in Libia alla formazione di un governo nazionale unitario e all’eventuale richiesta da parte di quest’ultimo, rimanendo comunque nell’ambito della legalità internazionale rappresentata dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.


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