Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: I prossimi appuntamenti internazionali sui cambiamenti climatici. La XXI Conferenza delle Parti (COP 21) della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Parigi 30 novembre -11 dicembre 2015)
Serie: Note di politica internazionale    Numero: 74
Data: 24/09/2015
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari


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I prossimi appuntamenti internazionali sui cambiamenti climatici. La XXI Conferenza delle Parti (COP 21) della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Parigi 30 novembre -11 dicembre 2015)

24 settembre 2015


Indice

La XXI Conferenza delle Parti (COP 21) della Convenzione-quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici|Il Protocollo di Kyoto e il percorso verso la COP21 di Parigi|La partecipazione del Parlamento alle politiche dei cambiamenti climatici|La distanza dagli obiettivi di Kyoto per l’Italia e le possibili sanzioni|Le relazioni tra cambiamenti climatici e sicurezza nei lavori del G7 di Lubecca|


La XXI Conferenza delle Parti (COP 21) della Convenzione-quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici

La XXI Conferenza delle Parti (COP 21) della Convenzione-quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) desta grandi aspettative per un accordo di lungo periodo su un nuovo regime globale in materia di cambiamenti climatici. Se i negoziati sul clima riguardano tuttora la difesa dell'ambiente e la minimizzazione delle perdite economiche conseguenti ai cambiamenti climatici, il modus operandi dei negoziati è cambiato nel corso degli anni. Ormai superati appaiono infatti gli accordi sul modello Kyoto, che cercavano di ricondurre tutte le Parti della UNFCCC al rispetto di obiettivi nazionali legalmente vincolanti. A partire dalla COP 15 di Copenhagen (2009), durante la quale gli sforzi di estendere il Protocollo di Kyoto al di là del 2012 si risolsero in un fallimento, il tono dei negoziati sul clima è profondamente cambiato.

Anche se l'accordo di Copenaghen si è dimostrato di breve durata, la COP15 è servita come trampolino di lancio per una revisione del processo UNFCCC, avviata con la COP17 a Durban (2011). A questa Conferenza, le Parti hanno convenuto su tre punti-chiave. In primo luogo, è stato deciso di lanciare una nuova serie di negoziati al fine di sviluppare un nuovo regime vincolante entro l'autunno 2015; a tale scopo, è stato costituito un gruppo di lavoro ad hoc sulla Piattaforma di azione rafforzata di Durban (ADP), con l'incarico di produrre questa nuova Convenzione. In secondo luogo, in gran parte per le insistenze dei paesi in via di sviluppo, le Parti sono state chiamate a contributi volontari nazionali, piuttosto che ad impegni vincolanti, nella lotta contro il cambiamento climatico. In terzo luogo, è stato concordato un processo in due fasi, secondo cui i vari Stati avrebbero chiarito l'entità dei loro contributi entro il 31 marzo 2015, lasciando il tempo per una valutazione scientifica sulla congruità di tali sforzi per realizzare l'obiettivo generale: mantenere l'aumento della temperatura globale al di sotto di 2°C o a 1.5°C al disopra dei livelli pre-industriali.

La 17ma riunione della ADP si è conclusa lo scorso giugno a Bonn con l'adozione di un accordo dell'ultimo minuto su una bozza di testo per la COP21. Poiché la messa a punto di un testo da parte di 195 rappresentanti nazionali si è rivelata praticamente ingestibile, i delegati hanno autorizzato i due copresidenti (Algeria e Stati Uniti) ad apportare le proprie modifiche al testo, al fine di rispettare la scadenza del 24 luglio per la presentazione al segretariato UNFCCC di un testo più asciutto del progetto di Convenzione di Parigi.

Tuttavia i problemi irrisolti abbondano: più in particolare, un disaccordo di fondo rimane tra Cina e Stati Uniti sul fatto che i paesi in via di sviluppo debbano beneficiare o meno di un trattamento differenziato. Nonostante i progressi compiuti nei negoziati, solo 34 paesi hanno presentato prima del termine del 31 marzo 2015 impegni sulla riduzione dei gas-serra. La stragrande maggioranza di questi impegni sono stati assunti da nazioni sviluppate.

Se nel corso degli anni il tono e il linguaggio dei negoziati tra le Parti della Convenzione ONU sui cambiamenti climatici sono considerevolmente cambiati, una cosa è rimasta invariata: l'importanza centrale dei blocchi negoziali. Per quanto riguarda la COP 21, il primo blocco a stabilire il proprio contributo è stato quello dell'Unione europea, vincolandosi ad un obiettivo di riduzione delle emissioni di gas-serra, entro il 2030, perlomeno del 40% al di sotto dei livelli del 1990. Un altro grande blocco negoziale è il BASICs, formatosi nel 2009 alla Conferenza di Copenhagen, che comprende Cina e India - rispettivamente primo e terzo produttore mondiale di gas-serra -, unitamente al Brasile e al Sudafrica. Nonostante i loro interessi largamente diversi, i membri del gruppo hanno prolungato con successo la loro cooperazione sul cambiamento climatico. Per quanto i loro impegni, da presentare entro l'autunno, saranno probabilmente differenti, ci si aspetta che il gruppo dei BASICs si presenti ancora come un fronte unito nel Summit di Parigi, nel tentativo di assicurare che il risultato del Summit stesso corrisponda alla visione del multilateralismo dei paesi membri del gruppo. L'unico paese del BASICs che ha assunto un impegno di riduzione del biossido di carbonio è finora la Cina, con l'obiettivo di abbassare le emissioni per unità di PIL del 60-65% rispetto al livello del 2005. Resta da vedere se i BASICs potranno convertirsi in BRICS accogliendo anche la Russia, la quale, tuttavia, ha frenato fortemente sugli impegni di riduzione delle emissioni, limitandosi ad offrire entro il 2030 un taglio del 25% rispetto ai livelli del 1990.

Gli Stati Uniti, al secondo posto tra le nazioni produttrici di emissioni di anidride carbonica nel mondo, si sono impegnati ad una riduzione del 26-28% entro il 2025 - l'obiettivo più ambizioso allo stato della vigente legislazione statunitense. Il Canada ha recentemente seguito l'esempio degli USA impegnandosi entro il 2030 a una riduzione del 30% rispetto ai livelli del 2005. Da parte loro il Giappone (il cui contributo dipenderà largamente dalla possibilità di reincludere l'energia nucleare nel suo mix energetico) e l'Australia (realtà in cui i tagli alle emissioni di anidride carbonica sono più difficili in ragione dell'abbondanza di risorse naturali) devono ancora dichiarare i propri impegni.


Il Protocollo di Kyoto e il percorso verso la COP21 di Parigi

Con il termine "Protocollo di Kyoto" si intende l'accordo internazionale adottato nel mese di dicembre 1997 nell'ambito della terza sessione della Conferenza delle Parti (COP3) della Convenzione ONU sui cambiamenti climatici (UNFCCC).

Il Protocollo di Kyoto è entrato in vigore nel febbraio 2005 e regolamenta le emissioni di gas ad effetto serra per il periodo 2008-2012. Obiettivo del Protocollo è la riduzione delle emissioni globali di sei gas-serra, primo tra tutti l'anidride carbonica (CO2).

Il Protocollo è stato ratificato dalla UE (che si è impegnata a ridurre le proprie emissioni dell'8% rispetto ai livelli del 1990) e successivamente dai suoi Stati membri. La percentuale fissata a livello europeo è stata ripartita in maniera differenziata tra gli Stati Membri. In tale contesto l'Italia (che ha provveduto alla ratifica con la L. 120/2002) si è impegnata a ridurre entro il 2012 le proprie emissioni del 6,5% rispetto al 1990.

Poiché il Protocollo regolamenta le emissioni solo per il periodo 2008-2012, a livello internazionale si è ritenuto necessario avviare il negoziato per giungere all'adozione di uno strumento vincolante per la riduzione delle emissioni di gas-serra per il periodo post-2012.

Nel corso della Conferenza delle Parti (COP 18-COP/MOP8), conclusasi a Doha (Qatar) l'8 dicembre 2012, l'impegno per la prosecuzione oltre il 2012 delle misure previste dal Protocollo è stato assunto solamente da un gruppo ristretto di Paesi, oltre alla UE.

L'impegno sottoscritto dalla UE per il periodo successivo al 2012 coincide con quello già assunto unilateralmente con l'adozione del "pacchetto clima-energia", che prevede una riduzione delle emissioni di gas-serra del 20% al 2020 rispetto ai livelli del 1990. Analogamente a quanto avvenuto nel primo periodo di impegno di Kyoto, la Commissione UE ha avviato il processo per ripartire formalmente tra gli Stati membri le percentuali nell'ambito del secondo periodo di impegno. A tal fine l'UE , a seguito della proposta della Commissione europea presentata il 6 novembre 2013, ha approvato un pacchetto per la ratifica del secondo periodo di impegno di Kyoto, composto da una decisione, relativa alla ratifica dell'emendamento di Doha al Protocollo di Kyoto all'UNFCCC, e da un regolamento relativo al meccanismo di monitoraggio, che modifica il Regolamento 525/2013/UE. E' stata recentemente pubblicata la decisione della UE 2015/1339 del Consiglio del 13 luglio 2015, concernente la conclusione, a nome dell'Unione europea, dell'emendamento di Doha del protocollo di Kyoto alla convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e l'adempimento congiunto dei relativi impegni. L'obiettivo indicato dal "pacchetto clima-energia" è stato perseguito mediante una serie di strumenti normativi. In particolare si ricordano, per il loro impatto sul sistema produttivo nonché sulla finanza pubblica, la direttiva emission trading (n. 2009/29/CE) e la decisione "effort sharing" n. 406/2009.

I 200 Paesi partecipanti hanno invece lanciato, dal 2013, un percorso volto al raggiungimento, entro il 2015, di un nuovo accordo che dovrà entrare in vigore nel 2020.

Nel corso delle successive Conferenze delle Parti sono state definite le modalità con cui i paesi devono formulare e comunicare gli obiettivi di riduzione delle emissioni (INDC - Intended Nationally Determined Contribution) in vista della COP 21 che si svolgerà a Parigi nel dicembre 2015.

Sulla strada del Summit di Parigi del dicembre 2015 va anzitutto ricordato il Vertice delle Nazioni Unite sul clima, apertosi il 22 settembre 2014 a margine dell'annuale sessione di apertura dell'Assemblea generale. Il Vertice - preceduto il giorno prima da una grande manifestazione di più di 300.000 persone a New York, volta a sensibilizzare sui pericoli del riscaldamento globale -ha visto la significativa assenza di Cina e India, mentre i numerosi leader mondiali intervenuti (tra i quali il Presidente del Consiglio Matteo Renzi) hanno attirato l'attenzione sulle problematiche collegate al cambiamento climatico globale e sulle strategie di adattamento agli effetti di esso, evidenziando anche come il contrasto al global warming possa configurare nuove opportunità anche sul piano della creazione di posti di lavoro nell'economia "verde". L'apertura del Vertice, peraltro, aveva evidenziato nel 2013 un nuovo aumento delle emissioni globali di gas-serra, nella misura del 2,3%, con la sola Unione europea a presentare una performance in netta discesa (-1,8%) delle emissioni.

Proprio l'Unione europea, poi, nel Consiglio europeo del 23-24 ottobre 2014 è finalmente giunta al varo della sua strategia in materia di clima e di energia per il 2030, i cui principali pilastri consistono nella riduzione obbligatoria di almeno il 40% delle emissioni di anidride carbonica rispetto a quelle del 1990; e, a carattere indicativo e volontaristico, nell'obiettivo del 27% di aumento dell'efficienza energetica e di non meno del 27% di consumi energetici da energie rinnovabili.

Più per i protagonisti che per i risultati va ricordato poi l'accordo del 12 novembre tra Stati Uniti e Cina, raggiunto a margine del Vertice della cooperazione economica Asia-Pacifico (APEC) tenutosi a Pechino, per una riduzione delle emissioni di anidride carbonica. In realtà i soli Stati Uniti si sono impegnati a una riduzione del 26-28% entro il 2025 rispetto ai livelli di vent'anni prima, mentre la Cina ha previsto di realizzare il picco massimo di emissioni di gas-serra entro il 2030, sforzandosi eventualmente di anticipare questa data, nonché di aumentare la produzione di energia da fonti non fossili al 20% del totale entro il 2030. L'importanza dell'accordo – sembra infatti che gli impegni cinesi non siano altro che la riproposizione di obiettivi già formulati - risiede soprattutto nell'importanza degli attori di esso (le prime due nazioni per emissioni di anidride carbonica al mondo) e nel fatto che Pechino è parsa per la prima volta accettare il concetto della necessità di porre un limite alla proliferazione delle emissioni.

In esito alla COP 20 di Lima, che si è svolta nel mese di dicembre 2014, è stato adottato un documento dal titolo Lima call for climate action, che contiene gli elementi per una bozza di testo negoziale. Rilevante il contenuto del messaggio del Papa al Summit di Lima, nel quale si attira l'attenzione sull'urgenza di trovare soluzioni globali alla questione dei cambiamenti climatici, con un improrogabile imperativo etico ad agire per una risposta collettiva responsabile che superi i particolarismi e gli interessi politici ed economici. Le preoccupazioni espresse dal Pontefice hanno poi trovato un quadro più organico nell'Enciclica "Laudato si'" del 18 giugno 2015, dedicata ad un complessivo inquadramento del rapporto tra società umana e natura, e in numerosi successivi incontri e interventi in cui ha ribadito la preoccupazione che le principali vittime dei cambiamenti climatici e dei loro effetti potenzialmente catastrofici siano le popolazioni più povere del mondo, e ha esortato ad affrontare i negoziati in corso in spirito di responsabilità collettiva.

Rilevanti i risultati in materia di cambiamenti climatici usciti dal Vertice dei Capi di Stato e di Governo del G7 di Elmau, in Germania (14-15 giugno 2015): in Germania i paesi membri del G7 hanno ribadito la propria compattezza in vista della COP 21 di Parigi, con l'impegno a contenere l'aumento della temperatura del pianeta entro i 2°C rispetto ai livelli preindustriali, e a limitare sempre più l'uso di combustibili fossili. In particolare, i membri del G7 hanno formulato impegni per una riduzione fino al 70%, entro il 2050, delle emissioni rispetto a quelle del 2010. È stato inoltre ribadito l'impegno ad assicurare la dotazione del fondo annuale di cento miliardi di dollari, a partire dal 2020, al fine di sostenere le iniziative di contrasto agli effetti dei cambiamenti climatici nei paesi più poveri, ove sarà anche necessario assicurare un una maggiore diffusione delle energie rinnovabili, particolarmente nel Continente africano.


La partecipazione del Parlamento alle politiche dei cambiamenti climatici

Il tema dei cambiamenti climatici è stato dibattuto in numerose occasioni nel corso dell'attività parlamentare.

Considerato che i cambiamenti climatici interessano trasversalmente diverse politiche, quelle ambientali ed energetiche in primis, il Parlamento ha discusso del tema dei cambiamenti climatici in occasione di provvedimenti legislativi che sono stati adottati nei vari ambiti ovvero di specifiche disposizioni contenute in provvedimenti. Tra i più recenti provvedimenti, si segnala il decreto legislativo 2 luglio 2015, n. 111, recante disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 13 marzo 2013, n. 30, di attuazione della direttiva ETS (n. 2009/29/CE), su cui le competenti Commissioni parlamentari hanno espresso il prescritto parere.

Le medesime Commissioni parlamentari hanno inoltre partecipato all'esame degli atti europei nell'ambito della cosiddetta "fase ascendente". Tra i documenti più recenti, si segnala che le Commissioni riunite VIII (ambiente) e X (attività produttive) hanno approvato, in data 8 luglio 2015, un documento finale sul Pacchetto «Unione dell'energia», e segnatamente sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti – Una strategia quadro per un'Unione dell'energia resiliente, corredata da una politica lungimirante in materia di cambiamenti climatici (COM(2015) 80 final), sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio – Il protocollo di Parigi – Piano per la lotta ai cambiamenti climatici mondiali dopo il 2020 (COM(2015) 81 final), sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio – Raggiungere l'obiettivo del 10 per cento di interconnessione elettrica – Una rete elettrica europea pronta per il 2020 (COM(2015) 82 final). Sui medesimi atti è stata approvata una risoluzione anche dalle Commissioni Industria e Territorio del Senato.

Il Parlamento, inoltre, esamina annualmente i documenti allegati al DEF (Documento di economia e finanza), sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas-serra, in coerenza con gli obblighi internazionali assunti dall'Italia in sede europea e internazionale, e sui relativi indirizzi, predisposti ai sensi dell'art. 2, comma 9, della legge 7 aprile 2011, n. 39. L'ultimo documento esaminato è il citato allegato III al DEF 2015 (c.d. allegato Kyoto) che – come ogni anno – ha sintetizzato l'evoluzione normativa internazionale ed europea in materia di cambiamenti climatici, ha riportato la situazione delle emissioni nazionali di gas serra al 2012, vale a dire con riferimento al primo periodo di impegno del Protocollo di Kyoto (2008-2012), ha valutato gli scenari delle emissioni con orizzonte temporale al 2020 idonei al raggiungimento dell'obiettivo previsto per i settori "non ETS" dalla Decisione 406/2009 ("effort sharing") e ha indicato le azioni da attuare prioritariamente per il raggiungimento degli obiettivi.

Da ultimo, si segnala che il Parlamento ha approvato, sia nella precedente sia nell'attuale legislatura, atti di indirizzo, che hanno impegnato il Governo ad adottare specifiche iniziative in materia di cambiamenti climatici. In data 28 luglio 2015, l'Assemblea della Camera ha approvato una serie di mozioni concernenti iniziative per contrastare i cambiamenti climatici, anche in vista della COP21 di Parigi.

Vanno peraltro ricordate due audizioni svoltesi nel 2014, nella prima delle quali il Commissario europeo per l'azione per il clima Connie Hedegaard ha riferito alle Commissioni riunite Ambiente e Politiche UE dei due rami del Parlamento in materia di cambiamenti climatici (10 febbraio 2014); nella seconda occasione, il 26 novembre 2014, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Gianluca Galletti è stato ascoltato dalle Commissioni riunite Esteri e Ambiente della Camera e del Senato in ordine all'accordo tra Stati Uniti e Cina sul cambiamento climatico e alle prospettive internazionali di protezione dell'ambiente.


La distanza dagli obiettivi di Kyoto per l’Italia e le possibili sanzioni

Il citato obiettivo di riduzione assunto dall'Italia (-6,5% rispetto al 1990) nel primo periodo di impegno di Kyoto equivale ad un livello di emissioni annue pari a 483,3 milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalente (MtCO2eq.) nel periodo 2008-2012. Nell'Allegato III al DEF 2015 (c.d. allegato Kyoto) viene evidenziato un gap medio annuo di 19,7 MtCO2eq. che, al netto degli assorbimenti derivanti dalle c.d. attività LULUCF (attività di uso del suolo, cambiamento di uso del suolo e silvicoltura), scende ad un valore medio annuo di 4,7 MtCO2eq.

 

TAVOLA 1 MtCO2Eq.)

2008

2009

2010

2011

2012

Media

Emissioni ETS (a)

201,7

201,7

201,7

201,7

201,7

201,7

Emissioni non-ETS (b)

320,1

305,5

308,4

297,5

282,1

302,7

Totale emissioni (c=a+b)

520,4

505,8

508,6

497,8

482,4

503,0

Obiettivo di Kyoto (d)

483,3

483,3

483,3

483,3

483,3

483,3

Distanza dagli obiettivi (e=c-d)

37,1

22,5

25,4

14,6

-0,9

19,7

"Assorbimenti forestali" (f)

-14,6

-15,3

-16,0

-14,6

-14,8

-15,1

Quote da acquistare (g=e+f)

22,5

7,2

9,4

0,0

-15,7

4,7

Fonte: elaborazione Servizio studi su dati del c.d. Allegato Kyoto.

 

 

Il c.d. allegato Kyoto ricorda altresì che la verifica degli adempimenti di Kyoto sarà svolta dal Compliance Committee (istituito nell'ambito del Protocollo) a seguito della notifica dell'Italia dell'inventario nazionale delle emissioni di gas-serra per l'anno 2012. Il documento sottolinea che il Segretariato della Convenzione, verificata la correttezza dell'inventario, ha pubblicato il rapporto di revisione in data 3 marzo 2015. A partire dal completamento dei processi di verifica per tutte le Parti l'Italia avrà 100 giorni di tempo per regolarizzare la propria situazione sulla base dei valori di emissione consolidati per il periodo 2008-2012.

In caso di mancato raggiungimento degli obiettivi previsti, il Protocollo prevede una serie di sanzioni consistenti in una riduzione (per il periodo post-2012) delle unità assegnate per un quantitativo pari all'ammontare di quote in eccesso aumentato del 30%, nonché nell'obbligo di adottare un piano nazionale "correttivo" e nella sospensione della possibilità di trasferire le unità di riduzione generate attraverso i meccanismi flessibili del Protocollo.

L'allegato Kyoto evidenzia che, poiché il contributo dei settori ETS è costante, il raggiungimento degli obiettivi di Kyoto dipende dalle misure che saranno attuate nei settori non-ETS, vale a dire i settori residenziale, civile, agricolo e dei trasporti, che risultano regolamentati dalla decisione n. 406/2009 della UE (c.d. decisione effort sharing). Tale decisione regolamenta infatti le emissioni di gas serra dei settori non ETS definendo obiettivi di riduzione annuali legalmente vincolanti per il periodo 2013-2020 differenziati per ciascuno Stato Membro. Per l'Italia l'obiettivo di riduzione è del 13% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2020.

Con ETS (acronimo di Emission Trading System) si fa riferimento al sistema europeo di scambio di quote d'emissione (più precisamente indicato con la sigla EU ETS) disciplinato dalla direttiva 2003/87/CE, modificata dalla direttiva 2009/29/CE (recepita con il d.lgs. 30/2013). In estrema sintesi, il funzionamento dell'EU ETS è il seguente: - la direttiva EU ETS regolamenta le emissioni di gas serra provenienti dalla maggior parte delle attività industriali e dal settore aereo, e prevede l'obbligo di restituire (per via informatica, attraverso il registro nazionale) annualmente un numero di "quote" di emissione pari alle emissioni di CO2 rilasciate durante l'anno precedente; - mentre nel periodo 2008-2012 tutti i settori hanno beneficiato di assegnazioni a titolo gratuito, a partire dal 2013 solo alcuni settori (prevalentemente i manifatturieri) possono beneficiare di quote assegnate a titolo gratuito. Per alcuni impianti, tra cui gli impianti di produzione di energia elettrica, l'assegnazione sarà a titolo oneroso mediante asta. Una quota rappresenta il diritto per l'operatore di rilasciare "gratuitamente" in atmosfera una tonnellata di CO2. Se l'operatore nel corso dell'anno emette in atmosfera emissioni in quantità maggiore delle quote a esso rilasciate deve acquistare quote per "coprire" le emissioni in eccesso (il prezzo della quota è determinato dal mercato sulla base dell'equilibrio tra domanda e offerta). Al contrario se nel corso dell'anno l'operatore emette in atmosfera emissioni in quantità minore rispetto alle quote a esso rilasciate può vendere sul mercato le quote non utilizzate ai fini della restituzione.

Nel c.d. allegato Kyoto il Governo ha fornito l'elenco (negli allegati 2 e 3) delle misure che dovranno essere attuate per garantire il rispetto degli obiettivi testé menzionati.

L'art. 7 della decisione 406/2009 prevede, per il mancato rispetto degli obblighi imposti ai settori "non ETS", le seguenti sanzioni (analoghe a quelle previste dal Protocollo di Kyoto) in capo allo Stato membro inadempiente: una riduzione dell'assegnazione di emissioni dell'anno successivo pari all'ammontare delle emissioni in eccesso moltiplicate per un fattore di mitigazione di 1,08; l'obbligo di predisporre un piano d'azione correttivo e la sospensione temporanea della possibilità di trasferire parte dell'assegnazione di emissioni dello Stato membro e dei diritti derivanti dai meccanismi flessibili.


Le relazioni tra cambiamenti climatici e sicurezza nei lavori del G7 di Lubecca

Il Vertice dei Capi di Stato e di Governo del G7 svoltosi in Germania all'inizio di giugno è stato preceduto come ogni anno da numerose riunioni a livello ministeriale, che hanno approfondito problematiche settoriali: in particolare, il 14-15 aprile vi è stato un incontro dei ministri degli affari esteri del G7 a Lubecca, al termine del quale è stata rilasciata, all'interno del comunicato finale, una sezione su clima e sicurezza, nella quale i ministri hanno definito il cambiamento climatico come potenziale minaccia non solo per l'ambiente, ma anche per la sicurezza globale. In mancanza di adeguati sforzi per la mitigazione degli effetti e per l'adattamento ad essi, i cambiamenti che comporteranno l'aumento delle temperature e il mutamento del carattere delle precipitazioni aumenteranno il rischio di instabilità e di conflitto, soprattutto in quegli Stati e regioni che già sperimentano situazioni di fragilità.

I ministri hanno riconosciuto che gli appuntamenti internazionali del 2015, tra i quali la Conferenza per il finanziamento dello sviluppo, la Conferenza sull'Agenda post-2015, la Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e il Vertice umanitario mondiale offrono un'opportunità unica per rendere maggiormente coerenti gli sforzi internazionali per la riduzione dei rischi posti dal cambiamento climatico, nonché per sostenere la preparazione e la resilienza nei confronti dei disastri.

Proprio perciò i ministri hanno salutato con favore lo studio commissionato da loro stessi nel 2014 ad un consorzio internazionale formato da quattro istituti di ricerca (il tedesco Adelphi, l'International Alert, lo statunitense The Wilson Center e l'EU-Institute for Security Studies), e presentato in occasione del summit di Lubecca con il titolo "Un nuovo clima per la pace: agire sui rischi di fragilità collegati al clima", nel quale si analizzano i molteplici profili di rischio che il cambiamento climatico comporta nei confronti di Stati e regioni fragili, e si raccomanda ai governi del G7 di agire concordemente allo scopo di accrescere la resilienza e ridurre la fragilità di fronte al cambiamento climatico globale.

Passando più specificamente al contenuto dello studio presentato al G7, in esso si rileva come anche sperando in una positiva azione futura di riduzione delle emissioni inquinanti, gli effetti del cambiamento climatico di origine antropica si stanno già verificando e continueranno a verificarsi ancora per decenni. I rischi più acuti degli effetti dei cambiamenti climatici riguardano il loro carattere di moltiplicatore di minaccia, soprattutto nei confronti degli Stati e delle situazioni più deboli, suscettibili come sono di contribuire a sconvolgimenti sociali e di provocare violenti conflitti. Tutto ciò sarà ancora più grave qualora dovessero fallire i tentativi di adattamento agli effetti del cambiamento climatico.

Lo studio individua sette principali profili di rischio dell'impatto dei cambiamenti climatici sulla fragilità, profili che agiscono in maniera composta sulla situazione già critica per le limitate risorse del pianeta, nei cui confronti l'allargamento del mercato globale sta esercitando sempre maggiori pressioni, con le conseguenti tensioni. Aggiungendo a tutto ciò l'impatto dei cambiamenti climatici, si presenterà un'ampia gamma di situazioni, dagli Stati maggiormente capaci di assorbire le tensioni a quelli estremamente fragili. Preoccupano particolarmente le situazioni nelle quali gli Stati non possono per vari motivi fornire servizi di base e proteggere i loro cittadini.

I sette diversi profili riguardano anzitutto la competizione per le risorse a livello locale, che nella sua crescita può condurre a instabilità e perfino a conflitti violenti in assenza di meccanismi efficaci di risoluzione delle controversie. Tra le risorse soggette a maggiore competizione si presentano quelle idriche e i terreni coltivabili, entrambe particolarmente esposte ai cambiamenti climatici. Si presentano qui specialmente rischi per le regioni già in possesso di risorse limitate, con una storia recente di conflitti o che ospitano sul proprio territorio gruppi marginali. Quando questi problemi si verificano in zone di confine, possono degenerare in conflitti anche di livello internazionale.

Il cambiamento climatico è suscettibile di accrescere il senso di precarietà in popoli strettamente legati alle risorse naturali per la propria sopravvivenza, il che potrebbe spingerli ad emigrare, ovvero alla ricerca di fonti illegali di reddito. In entrambi i casi vi saranno pericoli per la stabilità e la sicurezza, poiché anche movimenti di popolazione incontrollati possono produrre gravi conflitti.

Gli eventi climatici estremi e le catastrofi possono accrescere la vulnerabilità e le reazioni dei popoli, specialmente in situazioni già gravate da conflitti, nelle quali è se possibile ancor più difficile predisporre infrastrutture per far fronte, ad esempio, ad uragani o inondazioni, e per di più i mezzi di sussistenza e la loro distribuzione sono già messi a dura prova. Gli stessi interventi di soccorso internazionali, se mal concepiti, possono ulteriormente esacerbare le tensioni e accrescere il rischio di conflitti tra i destinatari potenziali degli aiuti.

La volatilità dei prezzi alimentari e la sporadicità della loro fornitura non possono che essere ulteriormente aggravate da eventi correlati al cambiamento climatico, capace di interrompere completamente la produzione alimentare in molte regioni, o di ridurla drasticamente in altre. A titolo di esempio vengono citati i conflitti per il cibo nel periodo 2007-2009.

Anche la gestione delle acque transfrontaliere costituisce una frequente fonte di tensioni, suscettibili di crescere in conseguenza di eventi climatici che influenzino la disponibilità e la qualità delle acque. Emerge qui la forte preoccupazione che anche se in passato non sembrano esservi stati troppi conflitti armati per le risorse idriche, nel futuro questo scenario potrebbe cambiare, e anche di molto, in presenza di una costante crescita della domanda e di possibili effetti negativi dati dal clima.

L'innalzamento del livello dei mari e il degrado costiero indotti dai cambiamenti climatici potranno minacciare le terre più basse del pianeta anche prima che queste vengano sommerse, provocando disgregazione sociale, fuga e migrazioni, e anche accrescendo i conflitti sulle frontiere marittime e sulle risorse marine.

Vi sono poi da ultimo i possibili effetti collaterali (non intenzionali) delle politiche poste in atto a livello internazionale per la mitigazione dei cambiamenti climatici e l'adattamento ad essi.

Lo studio in esame ribadisce comunque che questi diversi profili non vanno intesi isolatamente, ma nella loro complessa interazione, che rende assai problematico lo sviluppo di risposte efficaci se non in un contesto che tenga conto dell'estrema interdipendenza e del carattere sistemico dei rischi, e perciò necessariamente dei rimedi che si tenta di approntare.

Le problematiche sopra illustrate hanno avuto parziale riscontro nelle conclusioni del Vertice dei Capi di Stato e di Governo del G7 di Elmau, in Germania (14-15 giugno 2015): qui infatti, nel contesto di rinnovati impegni per il contenimento delle emissioni di gas serra, è emerso il tema della necessità di reperire fondi per la costruzione di infrastrutture per porre un argine agli effetti del cambiamento climatico sulle popolazioni e sulle economie vulnerabili, al fine di contenere il rischio di catastrofi correlate al cambiamento climatico, e soprattutto dei loro effetti. È stato inoltre enunciato l'obiettivo di accrescere entro il 2020 fino a 400 milioni di persone il numero degli abitanti dei paesi più vulnerabili dotati di copertura assicurativa indiretta contro effetti negativi dei cambiamenti climatici, contribuendo altresì alla diffusione dei sistemi di allerta precoce nelle situazioni di maggiore rischio.

Va ricordato come i molteplici profili di rischio derivanti dai processi di cambiamento climatico avessero già costituito l'oggetto di un rapporto del Dipartimento della Difesa statunitense nella seconda metà del 2014, rapporto dal quale, al di là delle specifiche preoccupazioni per la sicurezza degli USA e delle infrastrutture militari americane nel mondo, emergeva come gli effetti dei cambiamenti climatici costituissero ormai un rischio immediato ed evidente, in un futuro in cui si prevede una crescita esponenziale delle catastrofi umanitarie e il nascere di conflitti di nuovo tipo, che potrebbero svilupparsi tanto a livello regionale quanto a livello globale. In particolare, la Difesa USA si mostrava preoccupata per l'aumento globale della temperatura, per i forti cambiamenti nella localizzazione delle precipitazioni, per l'estremizzazione dei fenomeni atmosferici e per l'innalzamento del livello dei mari.