Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari esteri | ||
Titolo: | Sviluppi della crisi in Ucraina | ||
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 151 | ||
Data: | 21/01/2015 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | III-Affari esteri e comunitari | ||
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Camera dei deputati |
XVII LEGISLATURA |
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Documentazione e ricerche |
Sviluppi
della crisi in Ucraina |
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n. 151 |
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21 gennaio 2015 |
Servizio responsabile: |
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Servizio Studi – Dipartimento Affari esteri ( 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it |
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File:
es0319.docx |
INDICE
Schede di
lettura
Gli sviluppi della crisi ucraina 3
§ L'avvio
del tentativo separatista nell'Ucraina orientale 3
§ Lo
svolgimento dei referendum secessionisti e delle elezioni presidenziali 4
§ L'escalation
dei combattimenti e l'abbattimento del jet della Malaysia Airlines 7
§ Le elezioni politiche del 26 ottobre e gli ultimi avvenimenti 9
Pubblicistica
§ S.
Romano ‘Europa VS Russia: una crisi
post-sovietica’, in: Commentary ISPI, 29 settembre 2013 17
§ ‘Né vincitori né vinti: sviluppi della crisi
ucraina’, in: Osservatorio strategico, 2014, n. VII, 19
§ C.
Filippini ‘La Repubblica di Ucraina: la
reintroduzione della ‘Costituzione arancione’ e la ‘secessione’ della Crimea’,
in: Quaderni costituzionali, giugno 2014 23
§ ‘Spazi di dialogo nella crisi russo-ucraina’,
in: Osservatorio strategico, 2014, n. VIII 28
§ S.
Dominioni ‘La generosità di Mosca, una
logica di ‘More for Less’ ‘, in: Commentary ISPI, 25 agosto 2014 32
§ M.
Di Liddo ‘Una exit strategy per la crisi
ucraina’, in: Ce.S.I., settembre 2014 34
§ J.
Vercueil ‘Kiev messa con le spalle al
muro dai suoi benefattori – Le radici economiche del conflitto ucraino’, in:
Le Monde Diplomatique, settembre 2014 62
§ ‘Proseguire la rivoluzione o combattere il
‘separatismo’? Dilemma per i miliziani ucraini’, in: Le Monde Diplomatique,
settembre 2014 67
§ D.
Denti ‘Il dilemma per Kiev: congelare un
compromesso o puntare all’integrità territoriale?’, in: www.aspeninstitute.it, 8 settembre 2014 72
§ ’Background: La guerra delle sanzioni’,
in: www.ispionline.it, 29 settembre 2014 74
§ V.
Cariani ‘Crisi ucraina: le sanzioni e le
ritorsioni che danneggiano l’Europa e l’Italia’, in: www.ispionline.it, 29 settembre 2014 76
§ A.
Zotti ‘I confini orientali dell’Europa:
effetti inattesi di una storia antica’, in: Commentary ISPI, 29 settembre
2014 80
§ A.
Ferrari ‘Successi e rischi: bilancio
negativo per il cremlino’, in: Commentary ISPI, 1 ottobre 2014 83
§ G.
Dottori ‘I paesi dell’area baltica e la
crisi ucraina: protagonismo e rischi geopolitici’, in: www.aspeninstitute.it, 3 ottobre 2014 85
§ G.
Pastori ‘Back to the Roots? Dalla crisi
ucraina una nuova postura dell’alleanza’, in: Commentary ISPI, 3 ottobre
2014 89
§ D.
Shendrikova ‘I limiti della Russia
passano da energia e sanzioni’, in: Commentary ISPI, 8 ottobre 2014 91
§ A.
Sileo ‘Emergenza gas? Il ruolo dello
stoccaggio in Italia’, in: Commentary ISPI, 8 ottobre 2014 94
§ M.
Verda ‘EU: i costi della sicurezza
energetica’, in: Commentary ISPI, 8 ottobre 2014 97
§ M.
Pedrazzi ‘Falsi miti 3: la liceità delle
operazioni russe in Ucraina’, in: Commentary ISPI, 10 ottobre 2014 100
§ A.
Colombo ‘Falsi miti/1: La nuova guerra
fredda’, in: Commentary ISPI, 10 ottobre 2014 102
§ A.
Carati ‘Falsi miti/2: La guerra ibrida
russa, in: Commentary ISPI, 10 ottobre 2014 104
§ M.
Arcari ‘Osservatorio: La crisi in Crimea
- Violazione del divieto di uso della forza, aggressione o attacco armato in
relazione all’intervento militare della Russia in Crimea?, in: Diritti
umani e Diritto internazionale, 2014, n. 1 106
§ A.
Tancredi ‘Crisi in Crimea, referendum ed
autodeterminazione dei popoli’¸ in: Diritti umani e Diritto internazionale,
2014, n. 1 113
§ E.
Cimiotta ‘Le relazioni alla ‘sottrazione’
della Crimea all’Ucraina. Quali garanzie del diritto internazionale di fronte a
gravi illeciti imputati a grandi potenze?, in: Diritti umani e Diritto
internazionale, 2014, n. 1 124
§ ’Polonia: il doppio binario con il Cremlino’¸
in: www.equilibri.net/nuovo, 10 ottobre
2014 138
§ F. Bascone ‘Verso una grande Transnistria’, in: www.affarinternazionali.it, 4 novembre 2014 141
§ G.
De Maio ‘Crisi Ucraina. Sanzioni alla
Russia, boomerang sul Made in Italy’, in: www.affarinternazionali.it,
17 dicembre 2014 143
§ S.
Giusti ‘Ucraina: conflitto congelato?,
in: Commentary ISPI, 19 dicembre 2014 145
Dopo la
rapida incorporazione della Crimea nella Federazione russa successiva al referendum
svoltosi nella penisola del Mar Nero, il 1º aprile 2014 i Ministri degli
esteri della NATO riuniti a Bruxelles decidevano di sospendere ogni forma di
cooperazione civile e militare con la Russia. Il 3 aprile il colosso russo
del gas Gazprom metteva in pratica quanto già minacciato alcune settimane prima
dalle autorità di Mosca, con un aumento di 100 dollari per mille metri cubi
di gas nei confronti dell'Ucraina, giustificato dal venir dei diritti di
Kiev sulla Crimea, e quindi degli obblighi russi per l'affitto pluridecennale
della base militare della flotta del Mar Nero. A parziale ristoro del danno
arrecato a Kiev dalla fine degli sconti sulle forniture russe di gas, nelle
stesse ore il Parlamento europeo approvava a grande maggioranza
l'abolizione, a partire da maggio, di gran parte delle tariffe doganali nei
confronti dei beni industriali provenienti dall'Ucraina, aggiungendovi una
serie di riduzioni, mentre anche i quattro quinti dei dazi sui prodotti
agricoli di Kiev in ingresso in Europa venivano abbattuti, peraltro senza
richiesta di reciprocità.
Il 7
aprile si verificava l'assalto alle sedi del governo locale a Donetsk – ove gli assalitori proclamavano una
repubblica indipendente e richiedevano un referendum per unirsi alla
Russia -, nonché a Kharkiv e Luhansk. Il premier ucraino Iatseniuk
accusava Putin di avere un piano per la distruzione dell'Ucraina. Mentre gli
Stati Uniti ammonivano la Russia a non oltrepassare con proprie forze militari
i confini con Ucraina, forze speciali di Kiev riuscivano il giorno
successivo a riprendere il controllo di Kharkiv, operando una settantina di
arresti. Mosca dal canto suo ammoniva sui rischi di guerra civile in Ucraina
sudorientale, ma gli Stati Uniti denunciavano esplicitamente la presenza di
agenti russi nelle rivolte, il cui scopo sarebbe stato quello di
destabilizzare la situazione e rendere possibile un intervento russo in
analogia a quanto avvenuto per la Crimea.
Il 12
aprile l'offensiva dei filorussi nell'est dell'Ucraina conosceva una nuova
accelerazione in altre quattro città, impadronendosi di edifici chiave per la
sicurezza.Il 15 aprile il presidente ucraino Turcinov annunciava l'inizio di
quella che definiva operazione antiterrorismo contro i separatisti filorussi in azione nelle regioni orientali del
paese: le forze fedeli a Kiev conseguivano un primo successo con la riconquista
della base aerea di Kramatorsk, ma la controffensiva di Kiev veniva bloccata
quasi subito, anche per l'intervento di numerosi civili filorussi.
Il 17
aprile segnava un momento
di speranza, con il raggiungimento a Ginevra di un accordo tra Ucraina,
Russia, USA e UE per una serie di misure volte ad abbassare la tensione nel
teatro ucraino: l'accordo di Ginevra, tuttavia, si mostrava sostanzialmente
sterile.
Il 22
aprile il presidente ucraino ad interim Turcinov accusava i separatisti filorussi di aver
torturato alcuni cittadini ucraini, annunciando la ripresa dell'offensiva
nell'est del paese: intanto il vicepresidente americano Joe Biden si
recava in missione a Kiev, e minacciava nuove sanzioni nei confronti della
Russia, qualora questa persistesse nel suo atteggiamento minaccioso, che del resto
la stava conducendo secondo Biden all'isolamento. Il vicepresidente
statunitense prometteva inoltre all'Ucraina di compensare parzialmente le
forniture energetiche russe, aiutando tecnologicamente il paese sviluppare le
risorse di shale gas, di cui sarebbe ricco.
Il 24
aprile l'esercito ucraino attraccava Slovyansk, uccidendo alcuni ribelli e riprendendo il controllo del municipio
della vicina cittadina portuale di Mariupol, ma tredici osservatori militari
dell'OSCE venivano sequestrati dai separatisti.
In
conseguenza degli sviluppi sul terreno, il 26 aprile il G7 annunciava nuove
sanzioni nei confronti della Russia, e nella stessa giornata si recava a
Roma il premier ucraino Iatseniuk, che incontrava il Presidente
del Consiglio Matteo Renzi e successivamente in Vaticano il Papa: Iatseniuk
esprimeva chiaramente la propria visione della crisi ucraina, che deriverebbe
in ultima analisi dal tentativo di Putin di ricostituire qualcosa di molto
simile all'Unione sovietica.
Un'apparente
svolta si verificava il 7 maggio, quando Vladimir Putin, dopo aver ricevuto a
Mosca il presidente svizzero di turno dell'OSCE, Didier Burkhalter, annunciava
di aver richiesto ai secessionisti il rinvio del referendum separatista fissato
per l'11 maggio, e di aver disposto il ritiro delle truppe russe dal confine
con l'Ucraina: questi profili distensivi erano però ben presto, nella stessa
giornata, rimessi in discussione dai separatisti filorussi dell'Ucraina, che
rifiutavano di rinviare il referendum indipendentista. Del resto Kiev aveva già
chiarito che la propria offensiva militare nel sud-est del paese sarebbe
proseguita indipendentemente dal possibile rinvio della consultazione, e
certamente non pensava ai gruppi armati filorussi quali interlocutori, nel
lanciare l'iniziativa di una tavola rotonda di unità nazionale con le forze
politiche di tutte le regioni (9 maggio). In tal modo ciò che sicuramente
proseguiva erano le violenze, con più di venti morti provocati da ripetute
sparatorie tra opposte fazioni a Mariupol (due giorni dopo nei pressi della
città veniva rinvenuto il cadavere – impiccato - del capo locale della
polizia).
L'11
maggio si aprivano le urne per i referendum separatisti nelle regioni dell'Ucraina orientale di Donetsk
e Lugansk che segnavano il previsto plebiscito a favore
dell'indipendenza sia a Donetsk che a Lugansk. Peraltro la netta vittoria
delle istanze filorusse non riscontrava unanimità di intenti, poiché mentre a
Donetsk prevaleva un orientamento indipendentista, con l'esplicita richiesta di
annessione a Mosca, a Lugansk si preferiva puntare su un federalismo assai
accentuato, ma nel quadro della permanenza nell'Ucraina. Tuttavia i leader
di entrambe le regioni separatiste escludevano la partecipazione alle elezioni
presidenziali ucraine del 25 maggio, mentre dal canto suo il presidente ad
interim dell'Ucraina Turcinov escludeva ogni possibilità di dialogo con le
forze ribelli e separatiste, definendo i due referendum alla stregua di una
farsa.
Intanto
l'Unione europea deliberava il 12 maggio nuove sanzioni nei confronti di
esponenti russi, che portavano il numero delle persone colpite da divieto di
viaggio e congelamento dei beni detenuti in territorio europeo da 48 a 61:
inoltre, le sanzioni colpivano per la prima volta anche il livello delle
persone giuridiche, mettendo nel mirino due società situate in Crimea, la cui
proprietà, secondo le autorità europee, era stata trasferita in violazione
della legge ucraina. A parziale sostegno dell'Ucraina andavano due accordi
firmati durante la visita di Iatseniuk a Bruxelles del 13 maggio, per un totale
di 1,3 miliardi di euro, che la commissione UE esplicitamente sosteneva poter
essere utilizzati anche per il parziale rimborso dei debiti energetici
contratti con la Russia.
L'atteggiamento
russo all'approssimarsi delle elezioni presidenziali ucraine sembrava
ammorbidirsi: il 24 maggio, in occasione del Forum economico di San
Pietroburgo, Putin dichiarava che la Russia avrebbe considerato con rispetto
i risultati delle presidenziali ucraine, auspicando di poter lavorare insieme
al nuovo capo dello Stato di Kiev.Peraltro le autorità ucraine rimanevano
persuase che fosse sempre la Russia a tirare le fila della rivolta nell'est del
paese.
Nonostante
la previsione di 66.000 agenti di sicurezza impiegati dall'Ucraina, il governo
di Kiev non si trovava peraltro in grado di assicurare il regolare svolgimento
del voto nelle due regioni separatiste di Donetsk e Luhansk, dove anzi si
verificava un'ulteriore escalation militare: il 24 maggio, nel villaggio
di Andreevka, a sud di Slaviansk, il fotoreporter italiano Andrea Rocchelli
e il suo interprete, l'attivista russo per i diritti umani Andrei Mironov,
cadevano vittime del fuoco di kalashnikov e mortai.
Il 25
maggio si svolgevano le previste elezioni presidenziali ucraine, con un'affluenza al voto superiore al 60% a
livello nazionale, e con la chiara vittoria del magnate dell'industria
dolciaria Petro Poroshenko, che scongiurava il ballottaggio, ottenendo il
56% dei consensi al primo turno.
Il 29
maggio, a fronte della calma regnante a Donetsk dopo la cruenta battaglia
dell'aeroporto, combattimenti si verificavano a Slaviansk, dove i ribelli
abbattevano un elicottero di Kiev, provocando la morte di 14 soldati, tra i
quali un generale dell'esercito.
Il
presidente Poroshenko annunciava comunque che subito dopo il 7 giugno, giorno
del suo insediamento ufficiale, sarebbe stata firmata la parte economica
dell'Accordo di associazione con l'Unione europea: in tal modo Kiev
imprimeva un'accelerazione al processo di integrazione con l'Occidente, gli
ostacoli al quale avevano provocato la rivolta di Piazza Maidan e la caduta di
Ianukovich.
La
giornata del 3 giugno vedeva il rinnovato impegno del presidente degli Stati
Uniti Barack Obama, anche a nome della NATO, nella difesa dei paesi
europei precedentemente sotto l'egemonia sovietica, nel corso della Conferenza
di Varsavia tra 10 paesi, che hanno sottoscritto l'impegno per un rafforzamento
della difesa reciproca contro ritorni imperiali possibili della Russia.
Il 12
giugno l'Ucraina denunciava l'ingresso dal territorio russo di tre carri armati
accompagnati da altri mezzi militari in appoggio ai separatisti. Dall'altra parte, le truppe di Kiev
erano accusate dai miliziani di essersi servite di bombe incendiarieal fosforo in
un villaggio vicino a Slaviansk: a fronte di queste tensioni, nessun passo
avanti si registrava nel negoziato relativo alle forniture di gas russo
all'Ucraina.
Il 14
giugno le truppe di Kiev riconquistavano la città portuale di Mariupol,
uccidendo non meno di cinque separatisti e catturandone una trentina, ma all'unadi
notte del 15 giugno le truppe ucraine subivano la maggiore perdita dall'inizio
delle operazioni militari contro i separatisti, quando un aereo militare di
Kiev con 9 membri di equipaggio e 40 paracadutisti veniva abbattuto nei cieli
di Luhansk mentre si preparava all'atterraggio, e tutti gli occupanti perdevano
la vita. I miliziani hanno poi sostenuto di aver abbattuto anche un cacciabombardiere
ucraino alle prime ore dell'alba. Sull'altro fronte Kiev riferiva che in 24 ore
avevano perso la vita oltre 250 miliziani, tra i quali molti cittadini russi.
La
notizia dell'abbattimento dell'aereo militare provocava a Kiev l'assalto
all'ambasciata russa, che
veniva fatta segno del lancio di bottiglie molotov, mentre alcune auto
appartenenti al personale diplomatico erano date alle fiamme.
Il 16
giugno sembrava chiudersi anche il canale negoziale sulle forniture di gas
russo all'Ucraina, senza il raggiungimento di un accordo: la Russia adottava un
atteggiamento molto deciso, interrompendo le forniture di gas all'Ucraina,
reclamando il pagamento degli arretrati e preannunciando che eventuali future
forniture dovranno essere pagate in anticipo.
Non
serviva a far cessare i combattimenti nemmeno l'annuncio del 20 giugno del
presidente Poroshenko di un cessate il fuoco unilaterale da parte delle forze
ucraine: in tal modo dieci giorni dopo l'operazione militare delle truppe di
Kiev nella parte orientale del paese riprendeva a tutti gli effetti. Nel
frattempo tuttavia, fortunatamente, il parlamento di Mosca aveva rigettato una
proposta di risoluzione che autorizzava l'impiego di forze russe in territorio
ucraino (25 giugno).
Il 27
giugno, come già ampiamente annunciato, UE e Ucraina firmavano l'Accordo di
associazione, mentre le truppe ucraine ai primi di luglio riuscivano a
riconquistare le città di Slaviansk e Kramatorsk, continuando a denunciare
l'ingresso regolare dalla Russia in Ucraina di armamenti e mercenari a sostegno
dei separatisti di Donetsk e Lugansk.
Il 17
luglio l'escalation dei combattimenti nell'Ucraina orientale conduceva
all'abbattimento di un aereo civile della Malaysia Airlines in volo da
Amsterdam, mentre sorvolava i cieli sovrastanti il villaggio di Grabove, nella
zona controllata dai ribelli, provocando la morte di 298 persone.
Immediatamente da parte dell'Europa e degli Stati Uniti si annunciavano nuove
sanzioni economiche contro la Russia, in ragione del suo sostegno ai
separatisti. Per tutta risposta il 7 agosto, mentre infuriavano i combattimenti
nei dintorni di Donetsk e Lugansk, Mosca reagiva alle sanzioni occidentali
ponendo l'embargo sull'importazione di numerosi prodotti alimentari
provenienti dal territorio europeo e da quello americano. Il 22 agosto si
temeva un altro passo fatale nella escalation dei combattimenti, quando Kiev
denunciava un'invasione russa, a seguito dell'ingresso in territorio ucraino di
un convoglio umanitario che recava aiuti verso Lugansk, e non aveva
ottenuto il permesso dalle forze di frontiera ucraine. Subito dopo i
separatisti lanciavano una controffensiva nella regione di Donetsk, che
provocava un sensibile arretramento dell'esercito ucraino
Il 28
agosto tanto Kiev quanto i paesi occidentali si spingevano ad accusare la
Russia di aver infiltrato proprie truppe regolari nell'Ucraina orientale, che
nella stima più prudente (della NATO) raggiungevano il migliaio di unità. Alle
smentite consuete provenienti da Mosca l'Ucraina reagiva con il ribadire la
volontà di iniziare il processo di adesione all'Alleanza atlantica. Tra la fine
di agosto i primi di settembre l'atmosfera non migliorava di certo, con il presidente
russo Putin a evocare la possibilità di una completa indipendenza delle regioni
separatiste ucraine, i cui partigiani intanto il 1° settembre
riconquistavano alle forze ucraine l'aeroporto di Lugansk, sostenuti da un
pesante fuoco d'artiglieria che secondo i militari ucraini sarebbe provenuto da
cannoni russi. Nonostante questo difficilissimo contesto, il 5 settembre
si riuniva nella capitale bielorussa Minsk il Gruppo di contatto sull'Ucraina,
con i rappresentanti russi, ucraini, l'OSCE e una delegazione dei separatisti:
l'incontro sfociava nella firma di un cessate il fuoco.
Nei
giorni successivi la tregua sembrava essere sostanzialmente rispettata, e la
NATO documentava anche significativi arretramenti delle truppe russe dalla
frontiera ucraina: cionondimeno, il 12 settembre entravano in vigore nuove
sanzioni europee - che Bruxelles tuttavia si affrettava a precisare come
soggette a sospensione o revoca in caso di atteggiamento positivo della Russia
- mirate contro il settore petrolifero di Mosca, salvaguardando invece i
produttori di gas, di vitale importanza per l'Europa occidentale. Le sanzioni
americane elevate contemporaneamente, invece, colpivano pesantemente anche
Gazprom. La reazione di Putin - che nel frattempo aveva provveduto a diminuire i
flussi di gas verso la Polonia, sua volta fornitrice dell'Ucraina -richiamava
l'attenzione sul pericolo di queste nuove sanzioni per la pace, preannunciando
anche ulteriori contromisure russe.
Mentre
nuovi combattimenti nell'Ucraina orientale sembravano mettere a rischio la
tregua, il 16 settembre era una giornata cruciale a Kiev, dove il parlamento approvava in
contemporanea con il Parlamento europeo l'Accordo di associazione
dell'Ucraina alla UE, le cui clausole commerciali era stato deciso tuttavia
qualche giorno prima di differire al 2016, come gesto di considerazione delle
ragioni di preoccupazione della Russia verso l'ingresso massiccio di prodotti
europei sul mercato ucraino – e a tale proposito si prevedeva di intavolare per
tutto il 2015 colloqui anche con Mosca per l'armonizzazione dei rispettivi
mercati. Nella stessa giornata, poi, la Rada ucraina approvava una legge
sullo statuto speciale delle regioni separatiste quale parziale attuazione
del piano di pace concordato a Minsk insieme al cessate il fuoco: in tal modo
le regioni di Donetsk e Lugansk si sono viste per tre anni uno status di
autonomia, all'interno del quale è prevista la facoltà di istituire forze di
polizia e di condurre elezioni a livello locale. Un'altra legge si spingeva
concedere l'amnistia a tutti i combattenti separatisti, eccezion fatta
per i responsabili dell'abbattimento del volo malese del 17 luglio.
Il 19
settembre iniziavano a Minsk nuovi negoziati nell'ambito del Gruppo di contatto
sull'Ucraina: i colloqui si concludevano con la sigla di un Memorandum in
nove punti il cui principale risultato era quello di creare una zona
cuscinetto di 30 km con un simmetrico ritiro delle due parti in conflitto delle
armi di calibro superiore a 100 mm, vietando altresì il dispiegamento di armi
pesanti in zone abitate e il sorvolo di aerei militari e stranieri sopra la
zona cuscinetto. L'OSCE avrebbe dovuto poi monitorare il ritiro dei combattenti
mercenari e stranieri dal territorio ucraino. Il 12 ottobre il presidente
russo Putin disponeva il ritiro dalla frontiera ucraina di migliaia di soldati.
Incoraggiamento
e legittimazione alle ultime intese tra Russia e Ucraina venivano il 16 e 17
ottobre a Milano nel corso del Vertice ASEM: Putin e Poroshenko incontravano il
Capo dello Stato Napolitano e il Presidente del Consiglio Renzi, unitamente a
numerosi Capi di Stato e di governo europei.
Comunque,
nonostante le intese raggiunte con i separatisti, le elezioni politiche del
26 ottobre venivano disertate dall'elettorato delle regioni di Donetsk e
Lugansk, con il venir meno di una trentina di deputati nella Rada di
Kiev: il risultato elettorale costituiva un chiaro pronunciamento dei
votanti verso l'orientamento occidentale dell'Ucraina, ma con una certa
sorpresa il partito del premier Yatseniuk superava di un soffio quello
del presidente Poroshenko, ponendogli per l'immediato futuro un serio
problema in riferimento alla sua politica possibilista e pragmatica nei
rapporti con Mosca, rispetto alla quale invece Yatseniuk risulta assai più
intransigente.
Il 30
ottobre finalmente giungeva
l'attesa notizia di un accordo in merito alle forniture di gas russo
all'Ucraina - accordo lungamente perseguito con un ruolo assai attivo
dell'Unione europea, ed effettivamente raggiunto a Bruxelles. In base
all'intesa, diveniva possibile l'immediata ripresa delle forniture russe a Kiev
sospese in giugno, con la garanzia di un prezzo fisso fino al marzo 2015
(all'incirca 385 dollari per 1000 m³, da pagare però in anticipo) e i debiti
pregressi (3,1 miliardi) da pagare in due tranches. Rimaneva tuttavia scoperto
un punto, quello delle garanzie europee per la solvibilità ucraina, che erano
state richieste sia da Gazprom che dall'Ucraina.
Nonostante
tutte queste positive premesse, all'inizio di novembre il clima tornava
incandescente, dopo che il giorno 2 nelle regioni controllate dai separatisti
venivano indette delle consultazioni elettorali, quasi certamente con il
concorso di elementi russi - Mosca tuttavia non le riconosceva ufficialmente -
ma aspramente condannate dall'Unione europea, dagli USA e dalle Nazioni Unite.
Il presidente Poroshenko minacciava una reazione militare contro i separatisti
in caso di loro nuove iniziative armate, e sconfessava le elezioni, che a suo
dire erano andate ben al di là delle consultazioni locali previste nella
regione del Donbass dagli accordi di Minsk, ma nell'ambito dell'ordinamento
nazionale ucraino. Poroshenko proponeva altresì alla Rada di revocare lo
statuto speciale accordato al Donbass.
In breve
tempo la tregua faticosamente raggiunta veniva rimessa in discussione, e i
focolai di combattimento si moltiplicavano. Il premier ucraino Yatseniuk
annunciava che sarebbero cessati i finanziamenti pubblici alla regione del
Donbass. Il 12 novembre il comandante delle forze NATO in Europa
Breedlove denunciava nuovi sconfinamenti di mezzi militari e truppe russe in
Ucraina, che Mosca recisamente negava. Il risultato di ciò era il grave
isolamento di Putin, tre giorni dopo, nel corso del Vertice G20 di
Brisbane.
Il 27
novembre l'UE decideva l'adozione di nuove sanzioni, colpendo
altre tredici persone, separatisti ucraini, e cinque entità: ad essere colpiti
sono soggetti coinvolti nell'organizzazione nell'Ucraina orientale di elezioni
ritenute "illegali e illegittime" dall'Unione europea. Le nuove
sanzioni prevedono il congelamento degli attivi finanziari e il divieto di
viaggio in Europa. Attualmente, la lista di persone ed entità sanzionate
dall'Unione è composta da 119 personalità e 23 entità, di nazionalità ucraina e
russa. In alcuni casi, le persone colpite sono vicinissime al presidente russo
Vladimir Putin, come per esempio l'uomo d'affari Arkady Rotenberg.
Il 1°
dicembre ha preso l'avvio la missione ufficiale dell'UE (EUAM
Ukraine), istituita dal Consiglio dell'UE nel luglio scorso: la missione,
diretta dall'economista ungherese Kalman Mizsei e formata da circa 100
funzionari europei e 75 unità locali, ha un mandato biennale, un budget di
13,1 milioni e dovrebbe costituire uno dei "vettori della politica
dell'Unione in Ucraina", sostenendo i processi di riforma degli
apparati pubblici ucraini. La filosofia della missione è stata così
riassunta dal direttore operativo di EUAM, il britannico Peter Appleby: "qui
nessuno vuole calare modelli dall'alto. Gli ucraini sono i protagonisti: spetta
a loro fissare esigenze, obiettivi, e tabelle di marcia. Il nostro ruolo è
affiancarli nei ministeri con funzionari di alto livello, consigliarli,
introducendo le buone pratiche europee". Nel quadro di questa rinnovata
"strategia dell'attenzione" da parte dell'UE per il dossier ucraino,
nei prossimi giorni sono programmate le missioni del presidente della
Commissione, Jean Claude Juncker e dell'Alto rappresentante Federica
Mogherini.
Sul
fronte della politica interna ucraina,
finalmente il 2 dicembre il
parlamento di Kiev ha concesso la fiducia al nuovo esecutivo, la cui
formazione è stata ritardata dalle divisioni tra i partiti ucraini
filoccidentali, pur trionfanti nelle elezioni legislative, aggravate dal
sotterraneo contrasto tra il premier Iatseniuk e il presidente Poroshenko, capi
delle due forze parlamentari principali.
Nel nuovo governo sono stati riconfermati, oltre al primo ministro, i ministri
degli esteri e della difesa, vicini a Poroshenko, mentre appare di rilievo la
nomina di tre ministri di origine straniera
- un’americana alle finanze, un lituano all’economia e un georgiano
alla sanità ,- a quanto pare sponsorizzati soprattutto da Washington, ai quali
precipitosamente il presidente Poroshenko aveva concesso la cittadinanza
ucraina.
Frattanto
la situazione del Donbass e della più vasta regione sudorientale dell’Ucraina è
rimasta tesa, mentre da parte di Kiev non si sono registrati tentennamenti nel
puntare non solo all’ingresso nell’Unione europea, ma anche nell’Alleanza
atlantica: proprio il segretario generale di quest’ultima Stoltenberg
annunciava nelle stesse ore l’imminente entrata in funzione sul fianco
orientale della NATO della brigata di pronto intervento denominata “Punta di
lancia” - tutto ciò naturalmente suscitando reazioni negative da parte di
Mosca, culminate verso la fine dell’anno nell’approvazione da parte di Putin di
una versione rinnovata della dottrina
militare russa, all’interno della quale la NATO viene esplicitamente indicata
quale minaccia primaria per la sicurezza della Russia.
Va
comunque ricordato che le autorità ucraine avevano concordato il 4 dicembre una
tregua con i separatisti, seguita da
alcuni giorni di sostanziale calma sul fronte dei combattimenti e, altro
segnale incoraggiante, dalla ripresa
delle forniture di gas russo all’Ucraina in applicazione dell’accordo
raggiunto il 30 ottobre - peraltro continuava a slittare la data per la ripresa
di veri propri negoziati di pace sul conflitto dell’Ucraina orientale, dopo la
cancellazione dell’appuntamento di Minsk del 9 dicembre.
Sporadiche
violenze iniziavano frattanto a punteggiare la tregua tra le forze ucraine e i
separatisti, proprio in concomitanza di un
voto all’unanimità di entrambe le Camere del Congresso degli Stati Uniti -
peraltro rimasto sospeso in attesa di ulteriore esame in Senato e del parere
della Casa Bianca – che autorizzava
nuove sanzioni contro la Russia e, soprattutto, la fornitura di armi di
carattere letale all’esercito di Kiev, facendo registrare un salto di
qualità rispetto all’atteggiamento dell’Amministrazione Obama, che aveva fino a
quel punto limitato le forniture militari all’Ucraina ad equipaggiamenti non
letali. Scontata la reazione della Russia, che accusava il Congresso USA di
voler alimentare il confronto aperto con Kiev, proprio mentre il ministro della difesa ucraino annunciava
la volontà di un aumento delle spese militari nel 2015, che si sarebbero
attestate alla cifra di 2,4 miliardi di euro, con un aumento contestuale degli
effettivi dell’esercito a 250.000 unità.
La
contraddittorietà della situazione si dimostrava in tutta la sua gravità
nell’approssimarsi del Natale: proprio alla vigilia di un nuovo round negoziale
con i separatisti filorussi, che il 24 dicembre avrebbe registrato un accordo
per lo scambio reciproco di centinaia di prigionieri, il 23 dicembre il parlamento di Kiev approvava un disegno di legge per
rinunciare all’equidistanza che il paese aveva mantenuto rispetto alle alleanze
militari internazionali sin dalla propria indipendenza, impegnandosi altresì ad
operare per raggiungere i requisiti per l’adesione alla NATO. Il
pronunciamento parlamentare ha visto una schiacciante maggioranza di 303
favorevoli contro 8 contrari. Anche in questo caso appare quasi superfluo
ricordare la dura reazione russa, concretizzatasi nel duplice intervento del
primo ministro Medvedev, per il quale il voto parlamentare di Kiev avrebbe
trasformato in prospettiva l’Ucraina in un potenziale avversario militare della
Russia, mentre il ministro degli esteri Lavrov definiva il voto del parlamento
ucraino controproducente e tale da inasprire, invece di facilitare, i rapporti
di Kiev con i separatisti e con Mosca. Secondo Lavrov, invece, l’Ucraina
avrebbe dovuto riconoscere quali interlocutori legittimi i ribelli e instaurare
con questi ultimi un dialogo politico, attingendo anche il livello di una
riforma costituzionale dello Stato ucraino per la soluzione finale del
conflitto. In questo contesto, pur dando
corso al previsto scambio di prigionieri, le parti in lotta rinunciavano alla
tornata negoziale di Minsk del 26 dicembre.
Ben poco
di positivo lascia presagire l’inizio del nuovo anno: il 13 gennaio la tenuta della tregua è stata messa duramente alla prova
da intensi combattimenti nei pressi dell’aeroporto di Donetsk, e dell’uccisione
di dieci persone che si trovavano a bordo di un autobus di linea ad un check point ucraino, centrato da un
colpo di artiglieria presumibilmente sparato dai filorussi. Un riflesso
della situazione è stato l’annuncio che il presidente russo Putin non avrebbe
presenziato il 27 gennaio alla commemorazione del 70º anniversario della
liberazione del campo di sterminio nazista di Auschwitz: la decisione di Putin
è certamente collegata alla necessità di
evitare un nuovo isolamento in conseguenza del perdurare della crisi del
Donbass, per di più nel territorio di un paese come la Polonia, particolarmente
critico verso l’atteggiamento russo.
I
combattimenti attorno allo scalo di Donetsk – ormai sconvolto dai reciproci
bombardamenti - hanno assunto caratteri sempre più cruenti, ma tutto il
territorio della città e dei dintorni è stato interessato da una pioggia di
bombe, che hanno colpito diversi civili. Intanto il 19 gennaio i ministri degli
Esteri dell'Unione europea hanno escluso di poter alleggerire le sanzioni
contro la Russia.