Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: Ulteriori sviluppi della crisi politica in Ucraina
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 103
Data: 10/03/2014
Descrittori:
UCRAINA     
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari
Nota: Questo dossier contiene materiale protetto dalla legge sul diritto d'autore, pertanto la versione html è parziale. La versione integrale in formato pdf può essere consultata solo dalle postazioni della rete Intranet della Camera dei deputati (ad es. presso la Biblioteca)

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

Ulteriori sviluppi della crisi politica in Ucraina

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 103

 

 

 

10 marzo 2014

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Affari Esteri]

( 066760-4172 / 066760-4939 – * st_esteri@camera.it

 

 

 

 

La documentazione dei servizi e degli uffici della Camera è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte.

File: es0176.doc

 


INDICE

Schede di lettura

Gli sviluppi della crisi politica in Ucraina dopo la caduta di Ianukovich  7

Pubblicistica

§      N. Locatelli, A. de Sanctis, Gli scontri a Kiev e la battaglia per l’Ucraina, nel contesto, in: Limes, 1° marzo 2014  25

§      G. Cuscito, La Russia si riprende la Crimea, in: Limes, 5 marzo 2014  26

§      D. Quintavalle, Ucraina, e adesso che succede?, in: Limes, 6 marzo 2014  27

§      G. Bertinetto, Ucraina, Quo Vadis Kiev?, in: AffarInternazionali.it, 25 febbraio 2014  28

§      G. De Maio, Crisi Ucraina, Crimea, vento in poppa verso Est., in: AffarInternazionali.it, 27 febbraio 2014  29

§      N. Ronzitti, Crisi Ucraina, Russia in Crimea contro il diritto internazionale., in: AffarInternazionali.it, 4 marzo 2014  30

§      N. Sartori, Crisi Ucraina, Alla canna del gas?, in: AffarInternazionali.it, 6 marzo 2014  31

§      S. Silvestri, Il grande azzardo di Putin, in: AffarInternazionali.it, 6 marzo 2014  32

§      A. Bultrini, Europa in ritardo sui diritti umani in Ucraina, in: AffarInternazionali.it, 7 marzo 2014  33

§      R. Menotti, Il futuro della Russia e la crisi in Crimea, in: Aspenia online, 3 marzo 2014  34

§      R. Pennisi, La sfida ucraina per l’Occidente: oltre il breve termine, un possibile vantaggio strategico, in: Aspenia online, 4 marzo 2014  35

§      S. Piras, Storia e geopolitica dietro la vicenda ucraina, in: Aspenia online, 6 marzo 2014  36

§      Il destino dell’Ucraina: la sfida di Putin all’Occidente, in: Lookoutnews, 4 marzo 2014  37

§      A.C. Kuchins, J. Mankoff, Ukraine’s February Revolution: What Next? in: Csis, 24 febbraio 2014  38

§      A.C. Kuchins, U.S. credibility at stake in Ukraine, in: Csis, 3 marzo 2014  39

§      N. Mikhelidze, Second Revolution on Euromaidan: What Next for Ukraine?, in: Istituto Affari Internazionali, 25 febbraio 2014  40

§      T. Penkova, Is Ukraine going to break apart?, in: ISPI, 27 febbraio 2014  41

§      A. Scott, Ucraina: resta ai minimi la fiducia in una economia stremata, in: ISPI, 27 febbraio 2014  42

§      C. De Stefano, Ucraina: L’insidioso ritorno al passato 2004, in: ISPI, 27 febbraio 2014  43

§      A. Zotti, Ukraine: definitily a European business! in: ISPI, 27 febbraio 2014  44

§      G. Pastori, Ucraina: crisi continua, destinazione ignota, in: ISPI, 27 febbraio 2014  45

§      G. Pastori, Morire per Sebastopoli? La crisi Ucraina e i dubbi della Nato, in: ISPI, 3 marzo 2014  46

§      E. Greppi (intervista a), Ucraina cosa può fare l’ONU?, in: ISPI, 3 marzo 2014  47

§      A. Minuto Rizzo (intervista a), Ucraina; cosa può fare la NATO?, in: ISPI, 3 marzo 2014  48

§      G. Pastori, Il dilemma di Washington in Ucraina. Realpolitik o promozione della democrazia ?, in: ISPI, 5 marzo 2014  49

§      S. Pilotto, Crisi Ucraina. La colpevole faziosità di Bruxelles, in: ISPI, 7 marzo 2014  50

§      AA.VV., How can the EU impose costs on Russia?, in: European Council on foreign relations, 3 marzo 2014  51

§      M. Emerson, Ukraine – A week of testing red lines ahead, in: CEPS, 3 marzo 2014  52

§      I. Bond, Ukraine after Yanukovych: Dropping the pirate?, in: CER, 28 febbraio 2014  53

§      C.G. Gaddy, Finlandization for Ukraine: Realistic or Utopian?, in: The Brooking Institution, 6 marzo 2014  54

§      J. Dempsey, Putin Revives Old and New Europe, in: Carnegie endowment for International peace, 7 marzo 2014  55

§      A. Malashenko, Crimea’s Tatar Factor, in: Carnegie endowment for International peace, 7 marzo 2014  56

§      R. McMahon, Ukraine in Crisis, in: Concile on foreign relations, 6 marzo 2014  57

§      P. Toporowski, S. Plòciennik, Ukraine: economic reforms can’t wait for stabilisation, in: PISM, 28 febbraio 2014  58

§      P. Rogers, Ukraine’s crisis, the west’s trap, in: openDmocracy, 6 marzo 2014  59

§      F. Arteaga, Màs presencia que influencia, in: Real Instituto Elcano, 7 marzo 2014  60

§      U.S. Options are limited for sanctions on Russia, in: Stratfor, 6 marzo 2014  61

§      P. Moskowitz, What does the West want from Ukraine?, in: USIP, 6 marzo 2014  62

 

 


Schede di lettura

 


Gli sviluppi della crisi politica in Ucraina dopo la caduta di Ianukovich

 

Il 24 febbraio il primo ministro russo Medvedev metteva apertamente in dubbio la legittimità del governo di Kiev, dalla cui nascita potevano verificarsi minacce agli interessi russi; nelle stesse ore il ministero russo degli esteri denunciava metodi dittatoriali e terroristici che sarebbero stati messi in atto dal nuovo governo ucrano contro i dissenzienti. Le denunce russe sembravano colpire nel segno, almeno in riferimento all’intenzione del nuovo governo di Kiev della cancellazione del russo come seconda lingua del paese.

Le nuove autorità ucraine lanciavano inoltre un allarme, nella persona del ministro delle finanze Kolobov, sugli aiuti di cui il paese avrebbe bisogno nel biennio 2014-2015, che potrebbero raggiungere la cifra non indifferente di circa  35 miliardi di dollari. A fronte di queste richieste si registrava un atteggiamento di grande cautela della Commissione europea, in fase di esame delle effettive necessità finanziarie ucraine congiuntamente ad altri partner ed istituzioni finanziarie internazionali, quali il Fondo Monetario Internazionale, la Banca europea degli investimenti e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo.

Per quanto concerne l’ex presidente Ianukovich, veniva aperta contro di lui dalle nuove autorità di Kiev un'inchiesta per uccisioni di massa, in riferimento alla repressione dei giorni precedenti la sua caduta. Oltre a Ianukovich, le persone indagate in ordine alle attività repressive sarebbero più di 50.

Nella serata del 24 febbraio il capo della diplomazia europea Catherine Ashton incontrava il presidente ad interim ucraino Turcinov, dal quale otteneva una sollecitazione a riaprire al più presto il percorso di integrazione europea del paese, mentre la Ashton si diceva favorevole all'ipotesi di aiuti finanziari cospicui al nuovo regime di Kiev.

Tenendo presente che un collasso finanziario dell'Ucraina non converrebbe neanche alla Russia, che nel paese ha importanti investimenti, va rilevato  l'atteggiamento del governo russo di non trascurare nessuna delle leve a disposizione per influire sul vicino paese, a partire dai venti di separatismo sempre più forti in Crimea, dove, oltre a una forte maggioranza di lingua russa, il Cremlino può contare sul forte indotto della base navale di Sebastopoli - che ospita la flotta russa del Mar Nero sin dal 1783. In tal modo, la Russia dispone già attualmente in territorio ucraino di un contingente militare di circa 14.000 uomini e di decine di navi da guerra della flotta del Mar Nero. Non a caso già il 25 febbraio blindati con fanti di marina russi arrivavano nel centro di Sebastopoli, e la Russia qualificava questi movimenti di truppe quali misure antiterrorismo a protezione delle infrastrutture russe in Crimea.

Importanti movimenti per una possibile secessione apparivano intanto nella stessa Sebastopoli, dove i dimostranti eleggevano sindaco un imprenditore locale russo, il cui primo atto era l'annuncio del rifiuto di versare le tasse al nuovo regime di Kiev, nel mentre prendeva il controllo della locale polizia. A Simferopoli, capitale della Crimea, manifestanti occupavano il Parlamento locale, richiedendo l'organizzazione di un referendum per staccare la Crimea dall’Ucraina.

Il 26 febbraio le pressioni russe conoscevano una ulteriore escalation, seppure in forma indiretta: veniva infatti annunciata una grande esercitazione militare nei distretti centrali e occidentali della Russia, con la partecipazione di circa 150.000 uomini, grande spiegamento di mezzi terrestri e aerei e l’impiego di decine di navi della flotta del Nord e del Mar Baltico. Della manovra, prevista fino al 3 marzo, veniva comunque informata la NATO. Nel frattempo una delle maggiori banche statali russe, la Vtb, chiudeva le erogazioni di prestiti ai cittadini ucraini, evidente segno di ulteriore pressione sul nuovo regime, oltre che dell'incertezza economica che affligge le nuove autorità di Kiev. Peraltro rimaneva alta la tensione in Crimea, con scontri davanti al Parlamento della capitale Simferopoli tra manifestanti filorussi e appartenenti alla minoranza tatara musulmana, del tutto favorevole al nuovo corso della politica ucraina.

Frattanto il nuovo regime di Kiev proseguiva nel consolidamento istituzionale, con la presentazione il 26 febbraio del nuovo governo, significativamente prima alla piazza e solo successivamente al Parlamento per l'approvazione di rito. Il nuovo premier è Arseni Iatseniuk, già capogruppo in Parlamento del partito “Patria” di Iulia Timoshenko, con il quale il suo partito, il Fronte del cambiamento - di impostazione liberale -, si era fuso nel 2012.

Iatseniuk, espressamente appoggiato nei giorni precedenti dall'assistente del segretario di Stato USA Victoria Nuland, ha una formazione economica e giuridica, ed è considerato piuttosto moderato. Lo stesso Ianukovich, un mese  prima, lo aveva proposto per la carica di capo del governo, in un tentativo di stemperare le tensioni con l'opposizione. Iatseniuk vanta altresì una vasta esperienza istituzionale pregressa, essendo stato ministro dell'economia, ministro degli esteri e presidente del parlamento. Nel nuovo governo figurano i nomi di altri due esponenti filoamericani, il diplomatico Deshizia agli affari esteri e il ministro dell'integrazione europea Tarasiuk. L'ufficio anticorruzione è stato attribuito alla giornalista militante Tatiana Chornovol, che era stata brutalmente picchiata a Natale e perciò era assurta agli onori della cronaca, mentre Andrei Parubyi, del partito di Iulia Timoshenko, si è visto porre a capo del consiglio di sicurezza e difesa, dove la persona di uno dei suoi vice ha destato particolare imbarazzo, trattandosi del capo della formazione estremista “Settore destro”, che pure ha avuto un ruolo non indifferente negli scontri che hanno portato alla caduta di Ianukovich.

Peraltro, mentre il nuovo regime di Kiev liquidava in blocco i reparti antisommossa accusati di ogni tipo di violenza contro i manifestanti dei giorni precedenti - si tratta dei cosiddetti Berkut -, in Crimea vi erano segnali sempre più forti di consolidamento del partito filorusso, e in diverse città veniva issata la bandiera di Mosca.

Nella mattinata del 27 febbraio decine di uomini armati in tuta mimetica irrompevano nel palazzo del Parlamento e in quello del governo di Simferopoli, capitale della Crimea, occupandoli e issando la bandiera russa. Intanto l'ex presidente Ianukovich, rifugiatosi in Russia, rivendicava ancora di essere l'unico capo di Stato legittimo: a Ianukovich assicurava protezione il Cremlino, in un’evidente sfida al nuovo governo ucraino proprio nelle ore del suo insediamento.

Mentre i deputati del Parlamento di Simferopoli indicevano un referendum per ottenere maggiore autonomia della Crimea dall'Ucraina; il presidente ucraino ad interim Turcinov non esitava a dichiarare che sarebbe stato considerato alla stregua di aggressione qualsiasi movimento dei militari della flotta russa di Crimea fuori dalle zone prestabilite. Il ministro dell'interno Avakov metteva in allerta tutte le forze di polizia per fronteggiare lo sviluppo di quelle che definiva azioni estremiste - evidente riferimento a quanto in corso nella penisola di Crimea. Peraltro a stemperare queste tensioni provava il premier ucraino Iatseniuk, che invitava Mosca al dialogo e alla costruzione di un buon rapporto di vicinato.

Il 28 febbraio emergeva come Iulia Timoshenko voglia nuovamente candidarsi per le presidenziali del 25 maggio, nonostante che anche nel fronte contrario a Ianukovich vi siano molti suoi detrattori, che le imputano il torbido passato postsovietico degli Anni Novanta e le sue manovre come oligarca del gas. Altre critiche riguardano il ruolo della Timoshenko nel fallimento delle speranze della Rivoluzione Arancione del 2004, a causa dei continui dissidi con l'ex presidente Yushenko. Tuttavia il profilo della Timoshenko è stato “rinfrescato” dal figurare la pasionaria ucraina quale vittima della giustizia selettiva che è stata imputata al governo influenzato da Ianukovich. Al proposito il tribunale di Kharkiv, proprio il  28 febbraio, proscioglieva la Timoshenko da qualsiasi accusa in relazione all'inchiesta per malversazione ed evasione fiscale, inchiesta che era stata incardinata dal regime di Ianukovich.

Sempre il 28 febbraio il nuovo ministro degli esteri nel nostro paese, Federica Mogherini, riceveva il collega greco Venizelos - la Grecia ha la presidenza di turno dell'Unione europea -, e in una conferenza stampa comune i due ministri esprimevano il massimo sostegno alla dichiarazione congiunta dello stesso giorno degli omologhi francese, tedesco e polacco in merito alla crisi ucraina. Mogherini e Venizelos, in particolare, sottolineavano l'utilità della dichiarazione congiunta nel prospettare la formazione di un governo di transizione e la necessità di un approccio inclusivo per risolvere la difficile situazione.

Intanto in Crimea proseguivano sviluppi preoccupanti: nella mattinata l'aeroporto della capitale Simferopoli e quello di Belbek, nei pressi di Sebastopoli, risultavano presidiati da uomini armati e in tute mimetiche prive di segni distintivi, senza che fosse possibile sapere se si trattava di paramilitari filorussi o di truppe regolari o speciali russe. Naturalmente le autorità di Kiev protestavano, gridando alla provocazione e all'invasione, e il presidente ad interim Turcinov accusava la Russia di voler provocare un conflitto per poi annettere la Crimea.

La tensione in Crimea provocava in serata la riunione del Consiglio di sicurezza dell'ONU per consultazioni: in tale sede l'ambasciatore ucraino chiedeva aiuto per mantenere l'integrità territoriale del paese. Gli Stati Uniti richiedevano l'invio d’urgenza di una missione di mediazione internazionale indipendente in Ucraina. A questa richiesta l'ambasciatore russo Churkin replicava esprimendo la disponibilità russa, ma solo se la mediazione sarà regolarmente deliberata, al di là delle spinte di opinione.

Peraltro lo stesso Putin, dopo un silenzio di parecchi giorni, invitava alla calma e ad evitare una ulteriore escalation delle violenze, dicendosi pronto a rispettare l'integrità territoriale dell’Ucraina: queste dichiarazioni facevano seguito ad una serie di telefonate del presidente russo con il premier britannico Cameron, con la cancelliera tedesca Merkel e con il presidente del Consiglio europeo Van Rompuy.

Per quanto riguarda l'ex presidente Ianukovich, questi riappariva a Rostov sul Don, in territorio russo, e in una conferenza stampa accusava il nuovo potere di Kiev di fascismo, criticando l'irresponsabilità dell'Occidente, che avrebbe espressamente organizzato e sostenuto una rivoluzione non nata in Ucraina. Per contro, l’Unione europea e gli Stati Uniti reagivano rispettivamente asserendo la legittimità delle nuove autorità ucraine, e dichiarando la ormai completa perdita di legittimità politica da parte di Ianukovich. Nei confronti dell’ex presidente le autorità di Kiev richiedevano intanto ufficialmente l'estradizione dalla Russia, in relazione alle accuse di omicidio di massa sollevate contro lo stesso Ianukovich. Dalla Russia, tuttavia, veniva una presa di posizione opposta, volta a garantire la sicurezza di Ianukovich. Il presidente del parlamento russo si spingeva fino a proporre alla Commissione di Venezia di valutare la legittimità del nuovo governo provvisorio ucraino, mentre Mosca decideva di facilitare l'ingresso in Russia dei circa 5.000 berkut ucraini epurati dal nuovo governo di Kiev, con il rilascio a loro favore di passaporti russi.

La persistente e preoccupante situazione di difficoltà economica dell’Ucraina veniva confermata anche il 28 febbraio, quando la Banca centrale del paese limitava il massimale quotidiano di denaro prelevabile nelle banche all'equivalente di circa 1.095 euro. In un contesto nel quale la divisa nazionale in due mesi ha già perso un quarto del proprio valore, l’Ucraina rischia una grave crisi di liquidità, anche perché vi è un piano di ripianamento del debito estero che scade nel 2014, con pagamenti di circa 19 miliardi di dollari a carico dell’Ucraina. Attualmente le riserve di valuta forte del paese equivalgono a 17 miliardi di dollari, con i quali l’Ucraina non riuscirebbe a pagare neanche tre mesi di importazioni. Peraltro i conti con l'estero sono tutti deficitari - disavanzo del 7,3% del PIL nel 2013 per quanto concerne le partite correnti -, mentre nei conti pubblici si registra un deficit nello stesso anno del 4,1% rispetto al PIL. L'attività economica è stagnante in ragione della crisi economica internazionale.

Il 1º marzo, in un contesto di crescenti pressioni dalla Crimea per un intervento russo, sia la Duma che il Senato  di Mosca esortavano il presidente Putin a intraprendere ogni misura utile per stabilizzare la situazione e  proteggere la popolazione – significativamente, il Parlamento di Mosca metteva tra l'altro in cantiere per i prossimi giorni un'iniziativa legislativa per facilitare l'assorbimento di nuovi territori senza passare per la firma di trattati internazionali, ma solo attraverso un pronunciamento della popolazione locale tramite referendum. Inoltre, il nuovo governo di Simferopoli, prontamente definito illegittimo dalle autorità di Kiev, decideva di anticipare al 30 marzo il referendum inizialmente previsto per il 25 maggio per chiedere una maggiore autonomia della Crimea e in seno all’Ucraina. Intanto le forze filorusse aumentavano la propria mobilitazione anche nelle regioni sudorientali del paese, come a Donetsk e a Kharkiv - in quest'ultima località veniva addirittura occupato il palazzo dell'amministrazione regionale, con un bilancio di diversi feriti.

Il voto unanime del Senato di Mosca a favore dell'intervento di truppe russe in Ucraina provocava un immediato contraccolpo negli Stati Uniti, dove il presidente Obama ha l'esigenza di rispondere a ripetuti attacchi della destra repubblicana che lo accusano di debolezza, come già fanno da tempo in relazione alle situazioni della Siria e dei rapporti con l'Iran. Nel pomeriggio i vertici militari e dell’intelligence statunitense si riunivano alla Casa Bianca.

Sul versante dell'Unione europea si registrava la presa di posizione dell'Alto rappresentante della politica estera Ashton, che deplorava con forza la decisione russa di inviare truppe in Crimea, giudicando inaccettabile qualsiasi violazione dell'integrità territoriale e della sovranità dell’Ucraina. Nel Regno Unito veniva convocato l'ambasciatore russo, cui erano espresse le preoccupazioni britanniche per il rischio di aggressione dell’Ucraina da parte russa, un'azione che il premier Cameron definiva priva di qualunque giustificazione. Un appello meno drastico a impedire la violazione dell'integrità territoriale ucraina veniva lanciato anche da Berlino.

Il segretario generale della NATO Rasmussen sottolineava anch’egi con preoccupazione la necessità per la Russia di rispettare l'integrità e la sovranità dell’Ucraina, nonché l'urgente necessità di operare per un allentamento della tensione in Crimea.

Anche da parte del Senato di Mosca non comportava un immediato intervento in Crimea, che rimaneva a discrezione del presidente Putin; le autorità ucraine mettevano l’esercito in stato di allerta e avvertivano che l’intervento russo  avrebbe costituito una dichiarazione di guerra. Nel contempo, il ministro degli esteri di Kiev Deshizia chiedeva a Stati Uniti, Unione europea e NATO di valutare tutte le possibili opzioni per proteggere l’integrità territoriale dell’Ucraina. Non a caso nella serata il Consiglio di sicurezza dell'ONU si riuniva nuovamente d'urgenza.

A queste iniziative la Russia replicava con la richiesta della Commissione esteri del Senato di richiamare l'ambasciatore russo negli Stati Uniti, mentre Putin chiariva che l'azione militare era concepita per normalizzare la situazione in Crimea, ove la vita e la sicurezza dei cittadini russi e del contingente militare russo ivi dislocato in conformità ad accordi internazionali sarebbero in pericolo.

Prendeva intanto corpo la trama sanzionatoria che gli Stati Uniti intendono far pesare sulla Russia a fronte della compromissione crescente di questa in Crimea: così, oltre agli USA, anche in Canada, Francia e Regno Unito decidevano di sospendere la partecipazione alle riunioni preparatorie del summit G8, teoricamente previsto in giugno proprio nella città russa di Sochi. Il segretario di Stato USA John Kerry si spingeva oltre, prospettando la concreta possibilità del boicottaggio americano dello stesso vertice G8, e anzi addirittura la fine della partecipazione russa al G8. Nemmeno la leva del boicottaggio economico veniva esclusa dalle autorità americane, seppure per il momento solo in via ipotetica. Assai più prudente era peraltro la linea tedesca, che continuava a sostenere la necessità di allentare la tensione, non di alimentarla con immediate contromosse.

Per quanto concerne l'Italia, il 2 marzo si svolgeva a Palazzo Chigi una riunione tra il Presidente del Consiglio Renzi e i Ministri degli esteri e della difesa Mogherini e Pinotti, nel corso della quale il premier italiano si collegava anche con il presidente francese Hollande e con la cancelliera tedesca Merkel. La posizione dell'Italia si rivelava più vicina a quella tedesca, nell’insistere in ogni modo sulla via del dialogo evitando fughe in avanti, ma comunque a tutela della sovranità e dell'integrità territoriale dell’Ucraina, le cui autorità peraltro venivano anche esortate da Roma a sforzarsi per ottenere la stabilità e la pacificazione del paese, rispettando la tutela delle minoranze.

Di fatto comunque l'occupazione strisciante della Crimea, come ammetteva anche l'Amministrazione americana, era completata in modo sostanzialmente indolore già nella giornata del 2 marzo. Il premier ucraino Iatseniuk ribadiva che il comportamento di Mosca costituiva una dichiarazione di guerra de facto al proprio paese, dove proseguivano la messa in stato di allerta delle forze armate, il richiamo dei riservisti, la chiusura dello spazio aereo ai velivoli militari, il rafforzamento della sicurezza nei siti chiave, come quelli delle centrali nucleari. Nonostante la reazione di Kiev, non si registrava in Crimea una visibile opposizione all'intervento delle truppe russe, mentre queste occupavano man mano obiettivi sensibili e circondavano le sedi di alcune basi militari ucraine. A Sebastopoli le autorità di Kiev toccavano un altro insuccesso, quando il comandante in capo della marina Berezovski, fresco di nomina, giurava fedeltà alle autorità locali filorusse.

L'unico risultato diplomatico di rilievo veniva conseguito dalla cancelliera  tedesca Merkel, che riusciva ad ottenere in un colloquio telefonico con Putin la sua disponibilità all'istituzione di un gruppo di contatto sulla questione Ucraina e allo svolgimento di una missione congiunta di verifica dei fatti sul campo, capitanata dall'OSCE.

Per quanto concerne la NATO il 2 marzo, su iniziativa polacca, si tenevano lunghe riunioni straordinarie del Consiglio Atlantico, seguite poi dai lavori della Commissione NATO-Ucraina. Il segretario generale Rasmussen ribadiva i pericoli per la sicurezza in Europa costituiti dalle minacce russe nei confronti dell’Ucraina, qualificate alla stregua di vera e propria violazione dei principi della carta dell'ONU e del diritto internazionale. Rasmussen anticipava anche la prossima convocazione di un Consiglio straordinario NATO-Russia.

Nella nottata tra 2 e 3 marzo veniva diffusa una nota sulla riunione del G7 a Washington, nella quale il presidente statunitense Obama registrava il pieno appoggio internazionale sulla linea dura nei confronti della Russia: in particolare, la nota mostrava la compattezza anche degli alleati europei, pur nella maggiore prudenza di Roma e Berlino. Il G7 peraltro, come notava il 3 marzo il Ministro degli esteri italiano Mogherini, non parlava nella sua dichiarazione esplicitamente di boicottaggio del G8 di Sochi in giugno, ma solo di sospensione degli incontri preparatori in vista di quell’appuntamento. In ogni caso l'Italia, anche per bocca del premier Renzi, ribadiva la propria solidarietà con gli alleati euroatlantici, tanto più che la dichiarazione del G7 parlava anche di una mediazione internazionale per rassicurare Mosca sulla tutela della minoranza russa in Ucraina, pur ribadendo l'appoggio politico al governo di Kiev.

Per quanto concerne l'Unione europea, sempre il 3 marzo il Consiglio straordinario dei ministri degli esteri di Bruxelles condannava con forza la violazione della sovranità ucraina e gli atti di aggressione della Russia, ma senza spingersi a parlare di invasione e senza ipotizzare per il momento sanzioni a carico di Mosca. Le conclusioni del vertice straordinario contengono bensì un avvertimento a Mosca sulle conseguenze per le relazioni bilaterali se la Russia non dovesse compiere passi per l'allentamento della tensione in relazione ai rapporti con l’Ucraina.

Il 4 marzo, innanzi alle Commissioni esteri congiunte della Camera del Senato, il Ministro degli esteri Mogherini riferiva sulla situazione dell’Ucraina, con particolare riferimento al Consiglio straordinario dei ministri degli esteri UE del giorno precedente, nel quale erano emerse preoccupazioni per l'escalation militare, suscettibile di condurre ad una nuova guerra fredda con la Russia, e anche ad una possibile e non augurabile divisione dell’Ucraina. Il dibattito in seno al Consiglio, secondo il Ministro degli esteri, aveva riguardato più che gli obiettivi i modi per conseguirli, ovvero il mantenimento di una dimensione politica e di una rete internazionale per tenere a freno le iniziative della Russia, ma anche possibili pericolose reazioni ucraine. In quest'ottica il Ministro annunciava lo svolgimento per il giorno successivo di un Consiglio NATO-Russia. Nella panoplia delle possibilità diplomatiche veniva prospettata, soprattutto dalla Germania, l'ipotesi di un dialogo diretto tra Mosca e Kiev, come anche lo svolgimento della missione OSCE accordata da Putin alla cancelliera tedesca Merkel. Per quanto concerne il sostegno all’Ucraina, il Consiglio esteri straordinario poneva alcune condizioni, tra le quali la necessità di urgenti riforme interne, utili anche a facilitare gli aiuti finanziari di cui il l’Ucraina ha un grande bisogno, ma che trova oggettive difficoltà nella situazione economica dell'Europa. Il Ministro chiudeva il proprio intervento, in replica, richiamando l'attenzione sui rischi dell'eventuale completo isolamento della Russia, mentre, in relazione all'Unione europea, ribadiva come obiettivo necessario e qualificante del prossimo semestre italiano di Presidenza dell'Unione il rafforzamento della politica estera e della politica di sicurezza e difesa dell'Europa.

La concreta situazione sul campo non registrava tuttavia alcuna retromarcia da parte della Russia, mentre le regioni maggiormente popolate da filorussi accentuavano la propria mobilitazione contro le autorità di Kiev. A Donetsk migliaia di filorussi scendevano in piazza per contrastare la nomina a governatore dell'oligarca Serghiei Taruta appena decisa da Kiev, e centinaia di manifestanti irrompevano nella sede del governo locale. Inoltre, sempre a Donetsk, il locale parlamento assecondava la presa di posizione del premier regionale che rivendicano piena indipendenza dall’Ucraina e l'intenzione di voler convocare, come in Crimea, un referendum sullo status della provincia di Donetsk. Altre imponenti manifestazioni filorusse si svolgevano nella città d'origine di Iulia Timoshenko, nonché a Odessa, dove però avevano luogo anche contromanifestazioni e il Consiglio regionale, pur invaso da manifestanti filorussi, non li seguiva nel prevedere un referendum di tipo autonomista.

In serata il consiglio di sicurezza dell'ONU registrava un muro contro muro tra Stati Uniti e Russia, senza alcuna prospettiva di soluzione.

Un fattore di possibile freno alle iniziative della Russia potrebbe però essere quello economico, in quanto, certamente in relazione alla crisi con l’Ucraina, la borsa di Mosca registrava il 3 marzo una caduta di più del 10%, e il rublo scendeva sotto la quota minima di 50 rubli per un euro. Non a caso, di fronte alla preoccupante prospettiva di sanzioni occidentali il presidente russo Putin ammoniva sulla reciprocità dei danni che ne potrebbero derivare, quali ad esempio - come sostenuto dal consigliere economico del Cremlino Glaziev -l'abbandono russo del dollaro quale riserva di valuta straniera, la vendita dell'ingente quantità di obbligazioni statunitensi in mani russe e la mancata restituzione di prestiti concessi alla Russia da banche americane.

Il 4 marzo Iulia Timoshenko interveniva con forza nella situazione dei rapporti tra Russia e Ucraina, caldeggiando l'ingresso di Kiev nella NATO e nell'Unione europea, nonché l'imposizione di sanzioni contro Mosca: la presa di posizione della Timoshenko, sicuramente non ispirata a prudenza, risulta tuttavia interessante per lo specifico riferimento al rispetto di un trattato del 1994, firmato anche da Stati Uniti, Regno Unito e Unione europea, in base al quale effettivamente l’Ucraina si impegnava a cedere alla Russia il proprio arsenale nucleare in cambio della tutela dei propri confini.

Sempre il 4 marzo si svolgeva a Bruxelles un secondo consiglio Atlantico straordinario dal quale usciva un innalzamento del livello di allerta della NATO, il cui segretario generale rilevava come la Russia continuasse a violare la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina, con un atteggiamento suscettibile di gravi conseguenze per la sicurezza e stabilità dell'area euroatlantica, peraltro compatta in uno spirito di forte solidarietà. Del resto, la riunione era stata convocata su richiesta polacca in base all'articolo 4 del Trattato atlantico, procedura utilizzata in precedenza solo tre volte nella storia della NATO, e che prevede consultazioni qualora uno degli Stati membri dell'Alleanza atlantica si senta minacciato

Nonostante tutto ciò, in serata Mosca annunciava di avere effettuato con successo un lancio di prova di un missile balistico intercontinentale. Intanto il presidente Putin ribadiva che il nuovo potere di Kiev sarebbe privo di ogni legittimità in quanto scaturito da un colpo di Stato armato – proprio a Kiev, intanto, si trovava il segretario di Stato americano John Kerry, recando la  promessa di un miliardo di dollari di aiuti alle nuove autorità, e agitando anche la minaccia di sanzioni a breve contro la Russia. La posizione di Putin registrava una sospensione dell'invio di truppe in Crimea, ma comunque la rivendicazione di poter ricorrere a tutti i mezzi per proteggere cittadini e interessi russi nella penisola, di cui Mosca non desidererebbe l'unione, e che tuttavia potrebbe essere decisa liberamente dei suoi cittadini. Proprio in Crimea si registravano intanto limitati confronti tra forze militari russe e ucraine, e anche nel Mar Nero vi erano segnali di rafforzamento della presenza russa, mentre però anche gli Stati Uniti avvicinavano proprie forze navali alla regione.

Il 5 marzo il Ministro degli esteri Mogherini partecipava ad una riunione a sei a Parigi con gli omologhi francese, britannico, tedesco, americano e russo, sulla quale riferiva in una conferenza stampa successiva all'Ambasciata d'Italia, sostenendo come sia ancora prematuro parlare di sanzioni alla Russia e come esistano spazi per l'azione diplomatica multilaterale. Nell'occasione il Ministro Mogherini annunciava l'invio da parte dell'Italia di due osservatori nell'ambito della missione OSCE per monitorare la situazione sul terreno, mentre si continua a lavorare la creazione di un gruppo di contatto cui potrebbero partecipare ucraini e russi.

Nella stessa giornata del 5 marzo si svolgeva l'annunciato Consiglio NATO-Russia, nel quale tuttavia non si registrava alcun progresso, ma, al contrario, nuove reciproche accuse tra l'Alleanza atlantica e Mosca. In particolare, al termine della riunione, la NATO annunciava un aumento della capacità militare dell’Ucraina e la revisione dei rapporti con la Russia. Una prima conseguenza del rinnovato clima di gelo dovrebbe essere l'esclusione della presenza russa della scorta della nave americana incaricata nelle prossime settimane di completare la distruzione dell'arsenale chimico siriano - va rilevato come questa avrebbe dovuto essere la prima missione congiunta NATO-Russia.

Per quanto invece concerne l'Unione europea, il presidente della Commissione europea Barroso annunciava un ambizioso pacchetto di aiuti all’Ucraina del valore di 11 miliardi di euro in due anni: al di là del contributo medio annuale della Commissione, il grosso degli stanziamenti dovrebbe provenire dalla Banca europea degli investimenti e dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo. Inoltre, si potrebbero ottenere più di 3 miliardi moltiplicando l'effetto di 250 milioni a carico dello strumento per gli investimenti nell'ambito della Politica UE di vicinato. Altri fondi potrebbero provenire da una Conferenza dei donatori che la UE intende promuovere, mentre in caso di firma dell'Accordo di associazione UE-Ucraina si potrebbe anticipare in via provvisoria l’applicazione dell'accordo di libero commercio. La Commissione europea progetta inoltre una modernizzazione del sistema ucraino dei gasdotti che potrebbe consentire a Kiev di ottenere un flusso di ritorno del gas non più direttamente dalla Russia. Si potrebbe infine dar corso a un'accelerazione della liberalizzazione dei visti dall’Ucraina verso il territorio europeo, con benefici per i lavoratori ucraini.

Il 6 marzo si registrava un ulteriore acuirsi delle tensioni, anzi tutto per l'iniziativa del Parlamento della capitale della Crimea Simferopoli e delle autorità di Sebastopoli, che pressoché in contemporanea decidevano di trasformare i previsti referendum sull'autonomia accresciuta della regione in referendum di vera e propria adesione alla Federazione russa, anticipando altresì la data del loro svolgimento al 16 marzo. Immediata la reazione di Kiev, ove venivano spiccati mandati di arresto nei confronti del premier e del presidente del parlamento di Simferopoli, mentre il parlamento ucraino iniziava la procedura di scioglimento del parlamento secessionista della capitale della Crimea.

Altrettanto immediato era il profluvio delle reazioni internazionali negative, con il presidente Obama che definiva il referendum per l'adesione a Mosca quale violazione della legge internazionale e dava via libera a nuove sanzioni americane. Anche da parte europea, e con particolare rilievo da parte tedesca, si irrigidiva la posizione nei confronti della Russia, con una sorta di ultimatum a Mosca pena l'adozione progressiva di sanzioni sempre più severe nei suoi confronti.

A dimostrazione del clima che regna ormai in Crimea, in una località di accesso alla penisola, sita nell’Ucraina meridionale, un gruppo di circa quaranta osservatori OSCE, tra i quali due italiani, veniva bloccato dalle milizie locali prima dell'ingresso in Crimea.

Il 7 marzo la situazione non presentava miglioramenti, nonostante un colloquio telefonico piuttosto lungo tra Putin e Obama di tono abbastanza distensivo -mentre il segretario di Stato USA Kerry continuava il forcing diplomatico, incontrando nuovamente a Roma l'omologo russo Lavrov e i suoi colleghi europei, con i quali in questo momento l'Amministrazione americana tiene particolarmente a sottolineare l'unità di intenti. Gli Stati Uniti non ritengono chiusa ogni possibilità per la diplomazia, e prospettano la possibilità dell'invio di osservatori internazionali in Ucraina e Crimea al fine di assicurare il rispetto dei diritti di tutti gli abitanti del luogo, avviando nel contempo consultazioni tra i governi russo e ucraino mediate dalla Comunità internazionale.

Sul piano pratico, tuttavia, la Russia non sembra particolarmente preoccupata delle iniziative occidentali, screditate - come dichiarato dal portavoce del Cremlino Peskov - dalla sconfessione dell'accordo che ancora il 21 febbraio scorso Ianukovich aveva firmato con la mediazione occidentale per un’intesa con l'opposizione. Rispetto alla scelta della Crimea di aderire alla Federazione russa, infatti, i presidenti dei due rami del Parlamento di Mosca si sono detti pronti a riconoscere la storica scelta, ed anche in piazza decine di migliaia di persone hanno inneggiato all'unità tra la Russia e la Crimea, chiedendo al Parlamento una seduta straordinaria per avviare immediatamente le procedure di adesione.

Sul terreno in Crimea si aveva intanto notizia dell'attacco a una base della difesa antiaerea ucraina nei pressi di Simferopoli, certamente compiuto da soldati russi, che ottenevano la resa di un centinaio di militari fedeli a Kiev. Gli osservatori dell’OSCE si vedevano opporre un secondo diniego all'ingresso in Crimea, stavolta dalla parte dell'istmo orientale, mentre una nave americana faceva ingresso nel Mar Nero per compiervi esercitazioni.

Parte integrante della situazione di grave tensione è da molti giorni anche una sorta di guerra di propaganda, per la verità maggiormente utilizzata da Kiev. Tuttavia l'8 marzo è venuta dalla Ministro degli esteri russo Lavrov la clamorosa richiesta all'OSCE di indagare su quanto emerso in seguito alla pubblicazione di una intercettazione telefonica tra l'Alto rappresentante UE per la politica estera Ashton ed il ministro degli esteri estone, telefonata nella quale quest'ultimo avanzava l’ipotesi che negli scontri che avevano provocato decine di morti subito prima della caduta di Ianukovich fossero intervenuti dei cecchini incaricati di colpire sia le forze dell'ordine che i manifestanti, e la cui azione sarebbe stata appoggiata proprio dall'opposizione a Ianukovich e dai paesi occidentali.

Emergono intanto segnali sempre più forti del consolidamento di una formidabile barriera di forze filorusse e di militari di Mosca, costituita poco a sud della città ucraina di Kherson: su tale barriera la missione OSCE si infrangeva per la terza volta in tre giorni, con gli osservatori rimandati ancora una volta indietro. Intanto il ministro degli esteri polacco Sikorski annunciava l'evacuazione del consolato di Sebastopoli per i continui problemi con le forze russe in loco.

La politica di Mosca continua apparentemente ad articolarsi su un doppio binario, ovvero da un lato l'intransigenza su quanto sta avvenendo in Crimea, utilizzando addirittura la minaccia di interrompere il permesso alle ispezioni internazionali sul suo arsenale strategico nucleare; mentre nel contempo mantiene una teorica disponibilità al dialogo per risolvere la difficile situazione in atto. L'interruzione delle ispezioni internazionali all'arsenale strategico russo, tra l'altro, violerebbe il nuovo Trattato START sulla riduzione delle armi strategiche firmato con gli Stati Uniti solo nel 2010, ma anche il documento di Vienna concordato tra i paesi dell'OSCE.

Per quanto concerne l’azione diplomatica americana, sembra potersi constatare un sempre maggiore compattamento con gli alleati europei, se è vero quanto riferito dal sito on-line di Der Spiegel, ossia che la cancelliera Merkel sarebbe ormai decisa a boicottare il vertice G8 di Sochi a giugno, se effettivamente si svolgesse il referendum sull'adesione della Crimea alla Russia preannunciato per il 16 marzo prossimo.

Il 9 marzo, in colloqui telefonici con la cancelliera tedesca Merkel e con il premere britannico Cameron, il presidente Putin ha continuato a sostenere le proprie posizioni, inclusa dunque la eventualità di giungere a una soluzione diplomatica della crisi, all'interno della quale la questione della Crimea potrebbe ridimensionarsi nell'ambito di uno statuto di ampia autonomia e di garanzia per gli interessi russi, a fronte dell'obiettivo non dichiarato, ma evidentemente di grande interesse per Mosca, del mantenimento di una situazione di neutralità dell’Ucraina, scongiurandone la possibile adesione all'Alleanza atlantica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Pubblicistica