Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: Recenti sviluppi della crisi politica in Ucraina - II Edizione
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 92
Data: 24/02/2014
Descrittori:
UCRAINA     
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari
Nota: Questo dossier contiene materiale protetto dalla legge sul diritto d'autore, pertanto la versione html è parziale. La versione integrale in formato pdf può essere consultata solo dalle postazioni della rete Intranet della Camera dei deputati (ad es. presso la Biblioteca)

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

Recenti sviluppi della

crisi politica in Ucraina

II Edizione

 

 

 

 

 

 

n. 92

 

 

 

 

24 febbraio 2014

 


Servizi responsabilI:

Servizio Studi – Dipartimento Affari esteri

( 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: es0159.doc

 


INDICE

 

Scheda di lettura

I recenti sviluppi della crisi politica in Ucraina  3

§      Premessa  3

§      Le tentate aperture filo-europee dell’esecutivo ucraino e le reazioni di Mosca  4

§      L’avvio delle manifestazioni di protesta  5

§      Il Vertice europeo sul Partenariato orientale del 28-29 novembre e le ripercussioni sulla situazione ucraina  6

§      Le manifestazioni di dicembre  7

§      Le reazioni internazionali all’ondata di proteste  9

§      Verso una escalation delle violenze. Il pacchetto di provvedimenti anti-opposizione  10

§      La diffusione della contestazione nel Paese ed il fallimento dei negoziati 12

§      La ripresa degli scontri di piazza  14

§      La caduta di Ianukovich  16

Selezione di pubblicistica

§      G. Pallone ’Ucraina: ‘eurorivoluzione’, nazionalismo e fattore russo’, in: www.aspeninstitute.it/aspenia-online 3 febbraio 2014  1

§      S. Grazioli ‘Russia o Europa? Rivoluzioni, oligarchi e il futuro dell’Ucraina’, in: Limes online, 3 febbraio 2014  1

§      J. Andruchovych ‘Il popolo dell’Ucraina sta versando il sangue per i valori europei’, in: Limes online, 5 febbraio 2014  1

§      L. Colantoni ‘In Ucraina si gioca anche la partita energetica tra Russia e UE ’, in: Limes online, 19 febbraio 2014  1

§      N. Locatelli ‘Gli scontri a Kiev e la battaglia per l’Ucraina, nel contesto’, in: Limes online, 20 febbraio 2014  1

§      B.H. Lévy ‘L’Ucraina e l’Europa’, in: Affari esteri, n. 173/2014  1

§      N. Shapovalova ‘Ukraine: protests without leadership’, in: Fride Commentary, n. 2/gennaio 2014  1

§      N. Shapovalova ‘Ukraine’s new pro-democracy movement’, in: Fride Commentary, n. 3/febbraio 2014  1

§      J, Mankoff ‘Ukraine on the Brink’, in: http://csis.org, 30 gennaio 2014  1

§      M. Emerson ‘Preparing for a post-Yanukovich Ukraine’, in: CEPS Commentary, 3 febbraio 2014  1

§      M. kalb ‘Up Front’ , in: Brookings Institution, 6 febbraio 2014  1

§      S. Pifer ‘Up Front’ , in: Brookings Institution, 19 febbraio 2014  1

§      S. Pifer ‘A Ukraine in Crisis Between Russia and the West’, in: Brookings Institution, 31 gennaio 2014  1

§      R. Kahn ‘File Finalcial Questions for Ukraine’ in: Council on Foreign Relations, 10 febbraio 2014  1

§      A. Wilson ‘Can Europe protect the Euromaidan?’ in: European Council on Foreign Relations, 24 gennaio 2014  1

§      A. Wilson ‘Time for new elections to break the deadlock in Ukraine’ in: European Council on Foreign Relations, 31 gennaio 2014  1

§      A. Gardner ‘Nuland is from Mars’, in: www.europeanvoice.com, 7 febbraio 2014  1

§      A. Paul e V. Filipchuk ‘Ukraine in deadlock – What next?’, in: European Policy Center, 12 febbraio 2014  1

§      Russia and Regional Developments - Analysis e Opinion Poll, in : Russian Analytical Digest, 6 febbraio 2014 (stralci) 1

§      V. Kalnysh ‘Who is fighting whom in Ukraine – and why’, in: Open Democracy, free thinking for the world - 4 febbraio 2014  1

§      O. Andreyev ‘Power and money in Ukraine’, in: Open Democracy, free thinking for the world - 12 febbraio 2014  1

§      N. Nikolov ‘From Kiev to Kosovo: a critical juncture’, in: Open Democracy, free thinking for the world - 12 febbraio 2014  1

§      A. Wilson ‘Ukraine’s 2014: a belated 1989 or another failed 2004?’, in: Open Democracy, free thinking for the world - 18 febbraio 2014  2

§      O. Butsenko ‘Ukraine: what next?’, in: Open Democracy, free thinking for the world - 20 febbraio 2014  2

§      Analysis ‘Ukraine: the opposition Faces a New Threat from the Ukrainian Front’, in: www.stratfor.com, 12 febbraio 2014  2

§      Geopolitical Diary ‘Ukraine: the Crisis Sees Its Deadliest Day Yet’, in: www.stratfor.com, 18 febbraio 2014  2

§      Geopolitical Diary ‘Protesters in Lviv Raise the Stakes in Ukraine’s Crisis’, in: www.stratfor.com, 19 febbraio 2014  2

§      Analysis ‘Russia Urges to Delegate More Power to Its Regions’, in: www.stratfor.com, 19 febbraio 2014  2

§      Analysis ‘In Ukraine, a Military Reshuffle Raises Questions‘, in: www.stratfor.com, 19 febbraio 2014  2

§      Analysis ‘In Ukraine, Fighting Shatters a Truce‘, in: www.stratfor.com, 20 febbraio 2014  2

 


Scheda di lettura

 


I recenti sviluppi della crisi politica in Ucraina

 

Premessa

La grave crisi politica che da novembre 2013 scuote l’Ucraina si inserisce nel quadro di un paese fortemente diviso sia dal punto di vista delle opzioni internazionali che dal punto di vista culturale e linguistico: il principale problematico che condizione l’identità dell’Ucraina risiede nella contrapposizione di due gruppi di popolazione, pressoché equivalenti sotto il profilo demografico, con una prevalenza filo-russa nelle regioni orientali ed un orientamento filo-europeo in quelle occidentali.

Non mancano in ciascuna delle due aree controspinte importanti. Inoltre, anche la stessa classe dirigente economica del paese si presenta divisa, con il grande finanziatore del Partito delle Regioni del presidente Ianukovich, Akhmetov, fortemente interessato alle relazioni con l’Unione europea, laddove la maggioranza degli industriali ucraini sembrerebbe propendere per un rafforzamento dei legami con Mosca, e comunque almeno per un differimento cospicuo dell'associazione economica dell’Ucraina alla UE.

La situazione attuale va poi comunque fatta risalire al “rapporto specialedell’Ucraina dapprima con la Russia zarista e poi con l'Unione sovietica, rapporto nel quale, a fronte delle rivendicazioni nazionalistiche del paese - in passato fortemente legato anche alla Polonia - da parte russa vi è sempre stato l’atteggiamento di considerare l’Ucraina, come significato dalla sua stessa denominazione, null'altro che una propaggine della Russia verso i confini occidentali.

Su questo sfondo si rendono maggiormente comprensibili le vicende del paese all'inizio del nuovo millennio, quando la cosiddetta “rivoluzione arancione” incarnata da Yushenko sembrò spostare decisamente il paese verso istituzioni di stampo liberale e occidentale, per poi lentamente ricadere, anche sotto il peso di lotte intestine nel fronte filo-occidentale e di numerosi scandali con al centro la personalità della leader liberale Iulia Timoshenko, nell’orbita di Mosca, orientamento incarnato dall'attuale presidente Ianukovich.

Proprio dall'ascesa al potere di Ianukovich la parte politica a lui avversa veniva colpita da numerosi provvedimenti giudiziari: su tutti, la principale vittima è apparsa Iulia Timoshenko, che nell'ottobre del 2011 veniva condannata a sette anni di reclusione con l'accusa di malversazioni in merito a contratti di fornitura di gas con la Russia.

Sul capo della Timoshenko, peraltro, pendono altri processi, e se dovesse essere riconosciuta colpevole come mandante dell'omicidio del deputato Sherban, rischierebbe anche l'ergastolo.

La prospettiva dell'integrazione europea aveva in qualche modo costretto l’Ucraina ad attenuare queste misure, con alcune limitate riforme giudiziarie e la liberazione di vari ex esponenti del governo Timoshenko dalle accuse loro mosse. Anche in considerazione delle precarie condizioni di salute della Timoshenko, l'Unione europea si è fatta decisamente avanti per ottenerne il trasferimento in Germania, onde poter ottenere migliori cure.

 

Le tentate aperture filo-europee dell’esecutivo ucraino e le reazioni di Mosca

In questo quadro, all'inizio di ottobre 2013 il presidente Ianukovich sosteneva esservi le basi per una rapida soluzione del caso Timoshenko, evidentemente nella prospettiva di una firma imminente dell'Accordo di associazione e libero scambio di Kiev con l'Unione europea. Dunque nonostante l’orientamento filo-russo di Ianukovich, il peggioramento della situazione economica sembrava in quel momento consigliare un deciso riorientamento verso l'Occidente, considerato anche l'Unione europea è divenuta il primo partner commerciale del paese e che l'avvicinamento all'Europa avrebbe potuto moderare lo scontento di vaste fasce della popolazione per la crisi economica. Inoltre, anche il governo ucraino filo-russo non aveva mancato negli ultimi tempi di far notare come il prezzo pagato per il gas russo fosse da considerare spropositato.

Mosca ha reagito ventilando l’adozione di misure protezionistiche nel caso di un’adesione ucraina al progetto d’integrazione europea di Kiev: tale adesione implicherebbe infatti il definitivo tramonto del progetto di unione doganale tra Russia, Bielorussia, Ucraina e Kazakhstan. Concepito da Putin come primo passo di una strategia di recupero dell'ex repubbliche sovietiche all'influenza moscovita.

I rapporti russo-ucraini precipitavano rapidamente quando Gazprom, il gigante russo del gas, richiedeva all’Ucraina l’immediato saldo dei debiti contratti, pena il pagamento anticipato delle future forniture di gas – che assai difficilmente Kiev potrebbe permettersi. Si delineava così la minaccia di una nuova guerra del gas che, in ragione del fatto che buona parte di quello diretto all’Europa occidentale transita proprio per l'Ucraina, sarebbe suscettibile di conseguenze negative anche per il mercato europeo. Nei giorni successivi l'escalation proseguiva, e l’Ucraina interrompeva l'importazione di gas russo.

Alla metà di novembre il braccio di ferro sembrava tuttavia già risolversi a favore della Russia: infatti il Parlamento di Kiev faceva slittare il voto sull'eventuale permesso alla Timoshenko di recarsi in Europa, pur consapevole che ciò avrebbe pregiudicato i rapporti con la UE. Ianukovich, che intanto aveva riservatamente incontrato il presidente russo Putin, sembrava inizialmente temporeggiare in vista del possibile differimento della firma dell'Accordo di associazione con la UE.

Ben presto però il Presidente ucraino appariva assai più deciso, mettendo in dubbio la convenienza economica dell’integrazione europea, che avrebbe costi troppo alti per l'adeguamento agli standard imposti da Bruxelles - anche qui però poteva esservi il retropensiero della richiesta di un contributo europeo finalizzato. Immediatamente l'atteggiamento di Gazprom si ammorbidiva, ipotizzando la possibilità di uno scaglionamento nel pagamento dei debiti ucraini per il gas russo.

Il 18 novembre il compromesso russo-ucraino era cosa fatta, e sempre più lontano appariva ormai l’Accordo di associazione di Kiev con l'Unione europea. Il 21 novembre, un nuovo diniego del Parlamento ucraino alla liberazione della Timoshenko rafforzava l'impressione del tramonto della prospettiva di integrazione europea, nonostante le rassicurazioni di Ianukovich in senso contrario.

 Nel frattempo, numerosi attivisti ucraini filoeuropei iniziavano a radunarsi nella piazza Maidan, nel centro di Kiev, per protestare contro la sospensione dell'Accordo di associazione con la UE.

 

L’avvio delle manifestazioni di protesta

La presa di posizione sostanzialmente filorussa del governo ucraino provocava il 24 novembre una grande manifestazione di protesta da parte dei filo-europeisti che a decine di migliaia scendevano in piazza nel cuore della capitale: si verificavano anche dei tafferugli con la polizia quando alcuni dimostranti cercavano di fare irruzione nella sede del governo. La protesta si annunciava di lungo periodo, poiché molti manifestanti montavano delle tende nella piazza Maidan, già simbolo della rivoluzione arancione del 2004; come allora, principale bersaglio dei manifestanti era il presidente Ianukovich, stavolta accusato di aver fatto naufragare in extremis la firma dell'Accordo di associazione con l'Unione europea.

La protesta proseguiva anche il giorno successivo con presìdi nelle piazze Maidan ed Europa, e un migliaio di persone a protestare davanti alla sede del governo, dove si verificavano nuovi scontri con la polizia. I manifestanti ricevevano l'appoggio del leader del partito Udar, il campione di pugilato Vitali Klitschko – tuttora detentore del titolo dei pesi massimi WBC -, che li raggiungeva e li esortava a non abbandonare la lotta fino al raggiungimento dell'obiettivo, ovvero la firma dell'Accordo di associazione con la UE.

Tra i dimostranti  peraltro emergevano anche alcune frange ultranazionaliste del partito Svoboda, che in molti accusano di razzismo, omofobia ed antisemitismo, che adducevano a giustificazione delle proprie reazioni una provocazione delle forze dell'ordine. Nella stessa giornata Iulia Timoschenko annunciava uno sciopero della fame ad oltranza a sostegno dei manifestanti europeisti, che a migliaia tornavano ad affollare le piazze del centro della capitale ucraina.

Il governo di Kiev intanto s'impegnava in una diatriba con l'Unione europea, che aveva disapprovato l'ipoteca russa sulle scelte ucraine, criticando la pochezza degli aiuti che Bruxelles l'avrebbe offerto a Kiev a compensazione dei danni economici che deriverebbero dal peggioramento dei rapporti con Mosca. Secondo il premier ucraino Azarov l'adeguamento agli standard europei costerebbe a Kiev 160 miliardi di euro di investimenti in 10 anni.

 

Il Vertice europeo sul Partenariato orientale del 28-29 novembre e le ripercussioni sulla situazione ucraina

Il 28 e 29 novembre si svolgeva nella capitale lituana Vilnius il previsto vertice tra i 28 Stati membri della UE e i paesi del Partenariato orientale, tra i quali l’Ucraina: diveniva così palese l'impossibilità della firma dell'Accordo di associazione tra Kiev e l’Unione europea, con l’Ucraina impegnata a caldeggiare la necessità di un tavolo a tre con la Russia, nettamente rifiutato dall'Unione europea, che più volte aveva criticato l'ingerenza di Mosca nei rapporti con Kiev.

Inoltre, Bruxelles rifiutava il rilancio ucraino sugli aiuti contestuali all'eventuale firma dell'Accordo di associazione, sia perché le cifre prospettate sarebbero assolutamente esagerate, sia perché comunque sarebbe il Fondo monetario internazionale a fornire la più gran parte delle risorse finanziarie. L’unico risultato per l’Ucraina del vertice di Kiev è stata la firma dell'intesa sullo spazio aereo comune, mentre intanto i manifestanti s'affollavano a migliaia nel centro di Kiev, dando vita anche ad una catena umana in direzione, significativamente, dell'Europa.

Nella notte fra il 29 e il 30 novembre, tuttavia, la polizia procedeva allo sgombero della piazza Maidan, con un deciso uso della forza, provocando decine di feriti e non meno di 35 arresti. Gli Stati Uniti e l’Unione europea condannavano decisamente l'intervento della polizia, mentre la Timoshenko, impegnata nel sesto giorno di sciopero della fame, esortava a continuare la lotta fino all'abbattimento del regime al potere.

Il capogruppo parlamentare della formazione di Iulia Timoshenko, “Patria”, e Vitali Klitschko, dal canto loro, si spingevano a chiedere elezioni presidenziali e legislative anticipate, previe dimissioni del presidente Ianukovich e del ministro dell'interno, nel mentre preparavano uno sciopero generale nel paese. I capi dell'opposizione incontravano anche gli ambasciatori di alcuni paesi dell'Unione europea, proseguendo altresì nella raccolta di firme sulla petizione per chiedere agli Stati Uniti sanzioni personali contro Ianukovich ed i membri del suo governo.

Dal canto suo il presidente Ianukovich  manteneva un atteggiamento apparente equilibrato, richiedendo un'indagine obiettiva sull'intervento della polizia e dicendosi indignato per le violenze. La protesta, comunque, si riorganizzava subito nella capitale, poco distante da piazza Maidan.

 

Le manifestazioni di dicembre

Il 1º dicembre vasti assembramenti di persone si creavano negli spazi antistanti vari palazzi del potere di Kiev: una stima approssimativa quantificava in 400.000 il numero dei manifestanti, prevalentemente riversatisi in piazza Maidan. Il carattere essenzialmente pacifico della manifestazione non impediva violenti scontri con polizia davanti al palazzo presidenziale, con  il ferimento di decine di agenti e dimostranti. Inoltre venivano occupati il municipio di Kiev e la sede dei sindacati. La direzione delle manifestazioni prendeva peraltro le distanze dalle violenze, attribuite a provocatori.

La grande dimostrazione si è svolta a dispetto del divieto di manifestare nelle zone centrali della città imposto nella notte precedente da un tribunale amministrativo ucraino.

Il 3 dicembre il premier Azarov, scusandosi per le violenze dei giorni precedenti, si diceva disposto al dialogo con i manifestanti, ma solo dopo la fine della mobilitazione e soprattutto dell'occupazione di alcuni luoghi chiave della capitale. Peraltro il Parlamento respingeva la mozione di sfiducia al governo, nonostante molte defezioni nei banchi della maggioranza.

A fronte dell'onda montante della contestazione, la Russia concedeva frattanto un rinvio alla primavera 2014 dei pagamenti del gas importato nell'ultimo trimestre del 2013, proseguendo abilmente nel pressing sui Kiev per un prossimo auspicato ingresso nell'unione doganale capeggiata da Mosca. Su un altro versante, quello degli rapporti con l’Alleanza atlantica, l'atteggiamento russo non era meno proattivo, con accuse ai Ministri degli esteri della NATO - che il 3 dicembre avevano auspicato il dialogo tra tutte le parti in causa e condannato l'eccessivo uso della forza – di ingerenza negli affari interni dell’Ucraina.

Nelle stesse ore la stessa Ucraina sembrava peraltro voler continuare a giocare su più tavoli, inviando delegazioni sia a Mosca che a Bruxelles –  e subito dopo Ianukovich si recava in visita a Pechino, sempre in cerca di nuovi finanziamenti.

Nella piazza emergeva intanto progressivamente la figura di Vitali Klitschko come potenziale nuovo leader della contestazione a Ianukovich al posto di Iulia Timoshenko: la figura di Klitschko appariva più capace di conquistare il favore dei manifestanti rispetto al reggente del partito “Patria” Iatseniuk e anche al leader ultranazionalista Tiaghnibok.

Il 5 dicembre anche Iulia Timoschenko rivolgeva agli Stati Uniti e all'Unione europea un pressante appello per l'imposizione di sanzioni personali contro Ianukovich. Per converso, le autorità ucraine imponevano ai manifestanti un ultimatum di cinque giorni per sgomberare il municipio e la sede dei sindacati, e togliere l'assedio di fatto ad alcuni palazzi istituzionali. Ritornando dalla Cina, il presidente Ianukovic trovava Kiev ancora invasa dalle manifestazioni e con i lavori parlamentari bloccati dalle opposizioni.

L'8 dicembre si svolgeva una manifestazione ancora più vasta delle precedenti, sfiorando il mezzo milione di persone, con un massiccio riversamento di nuovo in piazza Maidan. Tra le parole d'ordine dei manifestanti emergeva tuttavia sempre più forte anche la rivendicazione della fine del potere di Ianukovich. Non contribuiva al miglioramento del clima una sorta di avvertimento lanciato dai servizi speciali ucraini, che davano conto di essere impegnati in un'inchiesta sul tentativo di presa del potere da parte di alcuni uomini politici.

Il 9 dicembre centinaia di poliziotti veniva convogliati nelle strade prospicienti la piazza Maidan, iniziando altresì a smontare una parte delle barricate erette vicino alla sede del governo. Intanto però il presidente Ianukovich si diceva favorevole al compromesso, e annunciava di aver accettato la proposta dei suoi tre predecessori Kuchma, Kravciuk e Yushenko per una tavola rotonda nazionale con i rappresentanti dell'opposizione.

Il 10 dicembre, mentre arrivava a Kiev il capo della diplomazia europea Ashton per una missione di due giorni, già al mattino si contavano una dozzina di feriti per gli scontri notturni tra polizia e manifestanti filo europei. Il pressing occidentale era completato dall'arrivo a Kiev nelle stesse ore del sottosegretario agli esteri USA, Victoria Nuland.

A fronte dell'atteggiamento più cedevole di Ianukovich, disposto anche a favorire la scarcerazione dei manifestanti arresta su cui non pesassero gravi accuse, l'opposizione rimaneva assai dura e intransigente, e infatti i suoi rappresentanti non partecipavano alla tavola rotonda organizzata dai tre ex presidenti ucraini - dalla quale peraltro usciva il consiglio di sostituire il premier Azarov e aprire in qualche modo la strada ad una compartecipazione dell'opposizione al governo (in tal senso sembrava pronunciarsi anche il capogruppo parlamentare del Partito Patria, ventilando la possibilità della formazione di un governo tecnico).

Nella nottata tra il 10 e l’11 dicembre reparti di polizia in piazza Maidan, si scontravano con i manifestanti europeisti, ma in breve tempo venivano ricacciati sulle loro posizioni dai dimostranti che si davano poi a rafforzare le barricate. Uguale insuccesso registrava un tentativo delle forze speciali di irrompere nel municipio di Kiev occupato: in questo caso per lo più le teste di cuoio non riuscivano neanche a scendere dai propri blindati, circondati da migliaia di manifestanti.

Il 12 dicembre il Parlamento europeo approvava una risoluzione con l'avallo di tutti gli schieramenti politici, di condanna delle pressioni politiche ed economiche esercitate dalla Russia sull’Ucraina al fine di allontanarla dall'Unione europea. Tra le contromisure preconizzate dall'Europarlamento figura anche la possibilità di ricorsi all’Organizzazione mondiale del commercio per violazione da parte russa delle norme sul commercio internazionali a mero fine di influenza politica.

Circa 200.000 manifestanti rinnovavano le proteste il 15 dicembre riversandosi nella piazza Maidan: alla manifestazione prendeva parte eccezionalmente l'esponente di vertice del Partito repubblicano USA John McCain, che in un discorso ribadiva l'appoggio degli Stati Uniti alla causa filoccidentale ucraina. Nella stessa giornata, nelle vicinanze della piazza Maidan si svolgeva anche una contromanifestazione di appoggio al governo, i cui partecipanti andavano oltre le posizioni dello stesso Ianukovich, dicendosi tutti francamente contrari all'integrazione europea del paese.

 

Le reazioni internazionali all’ondata di proteste

Peraltro, con mossa subito dopo criticata e giudicata inopportuna, il Commissario europeo all'allargamento Stefan Füle sosteneva di non voler prendere in considerazione le eccessive richieste economiche ucraine per firmare l'Accordo di associazione, il quale pertanto era da considerarsi sospeso.

La questione ucraina il 16 dicembre era al centro di un difficile Consiglio dei ministri degli affari esteri UE a Bruxelles, nel corso del quale i contatti con il ministro degli esteri russo Lavrov non portavano ad alcun miglioramento della situazione. Sullo sfondo dell'incontro, peraltro, vi era che la rinnovata tensione creata dall'ammissione russa di aver schierato dei missili nell'exclave russa di Kaliningrad (in territorio europeo, tra Polonia e Lituania), mossa criticata tuttavia dalla NATO, in quanto tale da non contribuire alla sicurezza euroatlantica.

Del resto la Russia rilanciava immediatamente sul piano economico, quando il 17 dicembre a Mosca, durante l'incontro con Ianukovich, Putin annunciava che Mosca avrebbe praticato un forte sconto sul prezzo del gas all’Ucraina, che sarebbe sceso da 400 a 265 dollari per 1000 metri cubi, e avrebbe investito 15 miliardi di dollari in titoli di Stato dell’Ucraina. A completare il regime di favore verso Kiev una serie di accordi in vari settori, volti alla rimozione di ostacoli commerciali che fino a quel momento avevano svantaggiato l’Ucraina.

Alludendo indirettamente ai sacrifici che il Fondo monetario internazionale avrebbe certamente imposto all'Ucraina in cambio di un sostanzioso prestito, Putin poteva affermare che le condizioni di favore accordate a Kiev rientravano nel carattere strategico che il paese riveste per la Russia, al di fuori di ogni specifica condizione. È evidente che eventuali condizioni non sarebbero state comunque rese note in un momento di grande effervescenza della piazza ucraina, poiché avrebbero potuto immediatamente provocare tumulti e disordini.

Nell’immediato la Russia si dimostrava assai più proattiva dell'Unione Europea nel rispondere alle pressanti richieste di assistenza finanziaria di Kiev: in tal senso si esprimeva esplicitamente il premier Azarov, mentre ministro degli esteri di Mosca difendeva con le unghie gli accordi del giorno precedente, criticando il nuovo tentativo occidentale di premere sull’Ucraina nonostante li avesse appena firmati.

 

Verso una escalation delle violenze. Il pacchetto di provvedimenti anti-opposizione

Dopo un periodo di apparente calma, i disordini in Ucraina si riaccendevano a partire dagli scontri della notte tra 10 e 11 gennaio nei pressi di un tribunale della capitale, con il ferimento sia di agenti che di dimostranti. Nella circostanza pativa una commozione cerebrale l'ex ministro dell'interno del gabinetto Timoshenko, Iuri Lutsenko.

Gli scontri erano stati cagionati dalla condanna a sei anni di carcere di tre nazionalisti, ma facenti parte dello schieramento di destra antigovernativo, con l'accusa di aver progettato di far saltare in aria una statua di Lenin. Il 12 gennaio 50.000 persone tornavano ad affollare la piazza Maidan e a richiedere a USA e UE sanzioni personali contro i membri del governo.

Il 16 gennaio si verificava una svolta capace di innescare un ulteriore escalation negli scontri: il Parlamento ucraino, in una forma irrituale priva di dibattito e per alzata di mano – al fine di superare l’ostruzionismo attivo delle opposizioni -, approvava prima la legge di bilancio, e poi un pacchetto di provvedimenti evidentemente rivolti a colpire le opposizioni di piazza, come ad esempio quelli contro gli attacchi a monumenti sovietici, ovvero l'inasprimento delle pene per disordini di piazza e occupazione di edifici pubblici, come anche per chi allestisce tende senza autorizzazione in un'area pubblica e per chi manifesta a volto coperto. Veniva inoltre deciso di conferire alle organizzazioni non governative finanziate dall'estero lo status di agenti stranieri.

Tra il 19 e il 20 gennaio la protesta europeista dilagava nuovamente nel centro di Kiev, e anche nel resto del paese: gli scontri nella capitale provocavano circa 150 feriti, equamente divisi tra poliziotti e manifestanti. Le violenze erano scoppiate nella serata del 19 gennaio con l'attacco da parte di alcune migliaia di dimostranti a cordoni di polizia che difendevano alcuni palazzi istituzionali.

L'opposizione al governo in carica condannava le violenze e cercava di distinguersene, ma in un tentativo invero piuttosto debole, poiché i protagonisti degli scontri con le forze dell'ordine erano parecchie migliaia. L'eterogeneità delle forze di opposizione si mostra proprio in questi imbarazzi degli elementi più moderati, che però si trovano del tutto d'accordo con i facinorosi nella condanna irrevocabile delle recenti leggi giudicate liberticide - entrate in vigore comunque alla mezzanotte del 21 gennaio.

Proprio in concomitanza dell’entrata in vigore delle leggi restrittive sulle manifestazioni di piazza si registravano i primi morti della vicenda ucraina degli ultimi mesi: infatti il 22 gennaio veniva ammessa dalle autorità il decesso di almeno due manifestanti, mentre per gli oppositori erano almeno cinque, nella prosecuzione degli scontri iniziati 19 gennaio.

Il 23 gennaio Ianukovich annunciava una seduta straordinaria del Parlamento per il 28 gennaio per esaminare le eventuali dimissioni del governo Azarov e l'abrogazione delle leggi contro le proteste approvate una settimana prima. Nulla veniva invece concesso all'opposizione per quanto riguarda l'eventuale anticipo delle elezioni presidenziali e legislative. Il negoziato apparentemente apertosi si chiudeva subito con la delusione dell'opposizione, cui veniva prospettata solo la liberazione dei 75 dimostranti arrestati dopo il 19 gennaio.

Nella piazza si riaccendeva la violenza, e sull'onda del movimento di protesta veniva formulata dal presidente Ianukovich una clamorosa proposta alle opposizioni, ovvero quella di sostituire Azarov alla guida del governo, occupando i posti di premier e di vicepremier. Per quanto concerne le leggi liberticide recentemente approvate, e l'anticipo delle elezioni presidenziali legislative, la posizione Ianukovich e delle autorità di Kiev si manteneva tuttavia contraria.

 

La diffusione della contestazione nel Paese ed il fallimento dei negoziati 

Frattanto si assisteva al dilagare della rivolta in tutto il paese, con particolare violenza nella parte occidentale, maggiormente filoeuropea e di lingua ucraina, ove nell'arco di poche ore i palazzi del potere erano nelle mani dei manifestanti in 14 delle 25 regioni, e la polizia talvolta si schierava addirittura dalla parte degli occupanti. Nella capitale venivano occupati il Ministero dell’energia e quello dell'agricoltura. Il grave problema dell'occupazione di palazzi istituzionali induceva Ianukovich a promettere un’amnistia per tutti i partecipanti alle proteste in cambio dello sgombero, ma anche una revisione costituzionale per ridurre poteri presidenziali e tornare sostanzialmente a una forma di parlamentarismo.

Il 26 gennaio, dopo il rifiuto dell'opposizione della proposta di assumere la guida del governo – che in presenza di un Parlamento favorevole a Ianukovich non avrebbe avuto alcun significato concreto -, l'Ucraina appariva davvero sull'orlo della guerra civile, mentre nelle regioni sudorientali russofone e vicine a Mosca si cominciava a prospettare la possibilità di dare vita ad uno Stato federativo legato alla Russia. Intanto l’occupazione del Ministero della giustizia nella capitale, successivamente sgomberato dalle forze di polizia, rendeva chiaro come le istituzioni fossero completamente incapaci di controllare il proliferare delle manifestazioni.

Segnali di un rientro dalla escalation di violenze che sembravano fuori controllo si avevano il 27 ed il 28 gennaio: infatti - dopo il raggiungimento di un accordo di massima tra governo e opposizione per l'abrogazione delle contestate leggi antiproteste e per un'amnistia ai dimostranti in cambio dell’abbandono definitivo delle piazze e dei presidi o occupazioni di palazzi istituzionali - il 28 gennaio si registravano le dimissioni del premier Azarov, dallo stesso presentate quale gesto volto a facilitare il raggiungimento di un compromesso per il bene del paese.

Nella stessa giornata la Rada, il Parlamento ucraino, abrogava effettivamente le leggi antiprotesta, facendo seguito agli accordi del giorno precedente.

Il clima di distensione proseguiva apparentemente nella tarda serata del 29 gennaio, quando il Parlamento approvava una legge di amnistia nei confronti dei manifestanti nei giorni precedenti, subordinando l'applicazione di essa, tuttavia, allo sgombero degli edifici pubblici e delle strade e piazze occupati. Le opposizioni in Parlamento si astenevano nel voto sull'amnistia, in quanto avrebbero desiderato che il provvedimento di clemenza fosse emanato senza alcuna condizione.

In realtà, nell'atteggiamento delle opposizioni traspariva l'intenzione di fondo di costringere all'abbandono del potere il presidente Ianukovich, aprendo la strada ad elezioni legislative presidenziali anticipate. dalla parte opposta, invece, il consigliere presidenziale di Putin Serghiei Glaziev ammoniva le autorità ucraine a far fronte con fermezza alla ribellione, pena l’affermazione del caos totale nel paese.

Sul versante internazionale, alla conferenza annuale sulla sicurezza di Monaco di Baviera il segretario di Stato USA John Kerry incontrava alcuni leader dell'opposizione ucraina, schierandosi apertamente dalla loro parte, quali attori di un futuro democratico ed europeo del paese. Del tutto contraria la presa di posizione del ministro degli esteri russo Lavrov, che invitava l'Unione europea e gli Stati Uniti a condannare piuttosto le violenze degli insorti.

Frattanto la situazione economica del paese peggiorava costantemente: va ricordato che il 28 gennaio l’agenzia Standard and Poor’s aveva ulteriormente declassato il rating finanziario dell’Ucraina, e ai primi di febbraio il debito contratto con la Russia per l'acquisto del metano aveva raggiunto 3,35 miliardi di dollari - nonostante il forte sconto concesso dai russi a dicembre.

Proprio dai russi venivano peraltro pesanti accuse verso gli Stati Uniti: il già citato consigliere Glaziev, in un'intervista ad un quotidiano russo, sosteneva il coinvolgimento americano in tentativi di colpo di Stato a Kiev, quantificando addirittura in 20 milioni di dollari a settimana i finanziamenti ai ribelli, che verrebbero anche riforniti di armi. Glaziev, inoltre, si esprimeva favore di una trasformazione federale dell’Ucraina, che parrebbe l'anticamera di un maggior controllo di Mosca sulle regioni sudorientali e prevalentemente russofone del paese.

Intanto il Parlamento europeo richiedeva sanzioni rapide e mirate contro funzionari, parlamentari e oligarchi loro sostenitori ritenuti responsabili della dura repressione delle manifestazioni in Ucraina.

Il 14 febbraio la scarcerazione di 234 manifestanti antigovernativi arrestati nelle ultime settimane in tutto il paese sembrava porre le basi di un ulteriore allentamento delle tensioni: tuttavia, le opposizioni manifestavano scontento in relazione alla trasformazione della detenzione in arresti domiciliari per molti detenuti, il cui destino giudiziario in definitiva dipende dall'applicazione dell'amnistia, che però è condizionata allo sgombero dei presidi dei manifestanti.

Nondimeno, il 16 febbraio il Procuratore generale ucraino annunciava il soddisfacimento delle condizioni per l'applicazione della legge di amnistia per i manifestanti antigovernativi: l'annuncio veniva in serata, dopo che era stato sgomberato pacificamente il municipio di Kiev e altrettanto pacificamente consentito l'abbattimento di una parte delle barricate erette nella capitale ucraina. Uguale scenario si svolgeva nei palazzi del potere regionale a Leopoli, Ternopil, e Poltava.

 

La ripresa degli scontri di piazza

A questo punto ciò che veramente sembrava ancora animare le opposizioni era la richiesta di elezioni presidenziali e legislative anticipate, parallelamente ad una riforma costituzionale per limitare i poteri del Capo dello Stato. Proprio queste aspirazioni dell'opposizione devono essere state alla base della ripresa abbastanza imprevista, il 18 febbraio, di violenti scontri con un elevato numero di vittime. Le violenze iniziavano in mattinata quando la polizia impediva a migliaia di dimostranti di avvicinarsi al Parlamento, ove era prevista la discussione dell’auspicata riforma costituzionale. Gli scontri ivi divampati si propagavano presto in altri punti della città, ma erano particolarmente violenti proprio davanti al Parlamento. Negli scontri sembra che anche gli insorti abbiano fatto uso di armi da fuoco.

La situazione si aggravava in serata, quando intorno alle 19 ora italiana le forze dell'ordine iniziavano lo sgombero della piazza Maidan. Corredavano il quadro la rioccupazione del municipio di Kiev e l'uccisione di un impiegato del Partito delle regioni di Ianukovich, morto in seguito a un attacco a colpi di bottiglie molotov alla sede del partito. Altre violenze venivano segnalate nella roccaforte occidentale dell'opposizione nazionalista, Leopoli, prossima al confine polacco.

La mattina del 19 febbraio registrava un'ulteriore aggravamento del bilancio dei morti, salito ormai ad almeno 25, mentre anche nella parte occidentale del paese si allargava la protesta – a Leopoli venivano assaltate la sede della polizia e quella dei servizi speciali, nonché un deposito militare; a Ternopil veniva attaccato a colpi di molotov un commissariato di polizia.

Nella capitale, sovrastata da colonne di fumo proveniente dalla piazza Maidan e anche dal palazzo dei sindacati (divenuto una sorta di quartiere generale dell'opposizione), le autorità procedevano a chiudere la metropolitana e le scuole. In questo contesto si levava con forza la voce della Russia, per denunciare un tentativo di colpo di Stato da parte delle forze estremiste dell'opposizione, sostenute, secondo Mosca, irresponsabilmente dai paesi occidentali. Tra le vittime degli scontri del 18 e 19 febbraio figurano 10 poliziotti, 1 giornalista due militanti del partito al governo, mentre la restante metà si presume siano manifestanti antigovernativi. L'elevato numero di vittime tra le forze di polizia sembra indirettamente dimostrare l'uso di armi da fuoco anche da parte dei manifestanti, o meglio di alcune frange più estremiste di essi.

Nella stessa giornata del 19 febbraio, reagendo a voci del ministero della difesa ucraino di un possibile intervento del forze armate nella crisi, il segretario generale della NATO Rasmussen invitava con forza il governo di Kiev ad astenersi da ulteriori violenze contro i manifestanti, e soprattutto dall'impiego delle forze armate, che comprometterebbe seriamente i rapporti con l'Alleanza atlantica. Dal canto loro gli Stati Uniti decidevano di includere 20 alti funzionari ucraini, ritenuti responsabili delle violenze degli ultimi giorni a Kiev, in un elenco di persone non gradite negli USA, negando quindi loro il visto di ingresso.

La mattina del 20 febbraio vedeva riaccendersi i combattimenti nel centro di Kiev, con le forze dell'ordine costrette nuovamente ad arretrare dalle posizioni appena riconquistate in piazza Maidan, mentre venivano evacuati i palazzi del parlamento e del governo. La giornata si rivelava poi assolutamente tragica, e in serata si contavano decine di morti e centinaia di feriti, la maggior parte per colpi di arma da fuoco. In mattinata intanto i ministri degli esteri di Germania, Polonia e Francia avevano incontrato a Kiev il presidente Ianukovich e tre leader moderati dell’opposizione di piazza, nell’attesa del Consiglio straordinario dei ministri degli esteri della UE, che poche ore dopo decideva di procedere con rapidità all'interdizione dei visti e al blocco delle attività finanziarie nel territorio europeo nei confronti di quanti in Ucraina si siano resi responsabili di violenze in relazione agli scontri in corso.

Il Consiglio straordinario stabiliva altresì l’embargo verso l’Ucraina dei prodotti in qualche modo utilizzabili per la repressione contro i manifestanti. Ianukovich veniva indicato quale primo responsabile della tragica situazione del paese, la quale non mancava di riflettersi anche sulla delegazione ucraina alle Olimpiadi invernali di Sochi, ove solo la mediazione del prestigioso presidente del comitato olimpico nazionale Serghiei Bubka scongiurava il ritorno in patria di metà degli atleti ucraini.

Il 21 febbraio, dopo negoziati-fiume tra la UE – rappresentata dai tre ministri degli esteri -, la Russia e le parti in lotta, veniva raggiunto un accordo per porre fine alle violenze, incentrato sulla convocazione di nuove elezioni presidenziali entro il 2014, precedute da una riforma costituzionale volta a ridurre i poteri del capo dello Stato e dalla formazione di un governo di unità nazionale.

Inoltre il parlamento ucraino approvava un’amnistia senza condizioni per tutti i dimostranti e procedeva a rimuovere il ministro dell’interno Zakharcenko, evidentemente responsabile della gestione dell’ordine pubblico nei giorni precedenti. Modifiche al codice penale prontamente apportate miravano di tutta evidenza a scagionare Iulia Timoschenko dalle accuse che la tenevano in carcere, rendendone possibile la liberazione. Questi atti del parlamento venivano facilitati dal progressivo assottigliarsi della rappresentanza parlamentare del Partito delle regioni del presidente Ianukovich, con numerose defezioni.

Alcuni gruppi di opposizione, come Euromaidan, non firmavano tuttavia l’accordo, e rilanciavano con la richiesta di immediate dimissioni di Ianukovich.

Significativo l’atteggiamento della Russia, che in qualche modo ha mirato a tenersi le mani libere non sottoscrivendo l’accordo, ma nel contempo sottolineando di vedere con favore il raggiungimento di un compromesso – posizione confermata da Putin in un colloquio telefonico del giorno successivo con Barack Obama. Del resto la Russia continua ad agire anche sul piano delle potenti leve economiche di cui dispone nei confronti di Kiev.  Il 21 febbraio infatti il ministro russo delle finanze Siluanov dichiarava che Mosca non avrebbe erogato la tranche di 2 miliardi di dollari – parte dei 15 miliardi promessi all’atto della rinuncia ucraina all’Accordo di associazione con la UE -, in considerazione della precaria situazione finanziaria dell’Ucraina e dell’incertezza politica a Kiev, che potrebbe far giungere gli aiuti in mani indesiderate dalla Russia.

A conferma dei timori russi va comunque ricordato l’ulteriore declassamento del rating finanziario ucraino da parte di Standard & Poor’s, appena un gradino sopra il livello di default, in conseguenza del quale la più importante banca russa, la Sberbank, sospendeva l’erogazione di prestiti personali in Ucraina. Ancor più preoccupante rimane, sullo sfondo, l’ipotesi di un intervento militare nella crisi ucraina, che fonti russe di alto livello avrebbero ventilato in caso di spaccatura del paese, anzitutto per “proteggere” la penisola di Crimea, a maggioranza russa, storicamente legata a doppio filo a Mosca e nella quale i russi mantengono tuttora la base navale di Sebastopoli.

 

La caduta di Ianukovich

Il 22 febbraio, mentre il suo fedelissimo Ribak, presidente del Parlamento, si dimetteva, Ianukovich aveva già lasciato la capitale per recarsi a Kharkiv, nella parte orientale dell’Ucraina, a lui più favorevole. Nel giro di pochi minuti l’impressione di una clamorosa caduta del presidente si spargeva a Kiev, e i dimostranti, oltre a occupare il palazzo presidenziale, facevano irruzione nella sontuosa residenza di Ianukovich nei dintorni della capitale.

Intanto Oleksandr Turcinov, ex braccio destro della Timoshenko e già capo dei servizi segreti ucraini, veniva eletto nuovo presidente del parlamento, dopo che nella stessa sede i capi delle opposizioni avevano chiesto elezioni presidenziali entro il 25 maggio. Il parlamento approvava tale richiesta, e per di più dichiarava decaduto Ianukovich per aver violato i diritti umani nel corso della repressione dei giorni precedenti.

Di fronte a questi sviluppi Ianukovich, intervistato da una televisione locale, denunciava un colpo di Stato in atto, perpetrato a suo dire da banditi e vandali: l’Ucraina sarebbe come la Germania del 1933, ma il presidente non si sarebbe dimesso né avrebbe lasciato il paese.

Nel pomeriggio si diffondeva la notizia della liberazione di Iulia Timoshenko, che lasciava in automobile l’ospedale di Kharkiv dove era ricoverata da detenuta. Giunta a Kiev, in serata veniva accolta trionfalmente nella piazza Maidan, dove, ancora su una sedia a rotelle, proclamava la “fine della dittatura” ed esortava i manifestanti a non smobilitare fino alla fine della liberazione del paese.

Il 23 gennaio il ministro dell’interno ad interim Avakov annunciava la liberazione di 64 manifestanti arrestati nei giorni precedenti, nonché l’avvio di un’inchiesta sulle violenze della polizia contro i manifestanti. Il Parlamento  nominava il proprio presidente Turcinov capo dello Stato ad interim.

Intanto il partito delle Regioni assecondava questi sviluppi indicando Ianukovich e i suoi più stretti collaboratori come responsabili delle violenze di Kiev, oltre che di malversazioni, tradendo di fatto il paese.

Le preoccupazioni in ordine a un possibile dissolvimento dell’Ucraina, con i connessi pericoli di intervento armato russo, venivano alimentate dalle voci di una mobilitazione di massa dei russofoni di Crimea che starebbero organizzando brigate popolari contro le nuove autorità di Kiev, mentre manifestazioni a Sebastopoli le accusavano apertamente di fascismo e di voler privare i russi in Ucraina dei loro diritti e della cittadinanza.

 

 


Selezione di pubblicistica

 


 

SERVIZIO STUDI

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

Recenti sviluppi della

crisi politica in Ucraina

II Edizione

 

 

 

 

 

 

n. 92

 

 

 

 

24 febbraio 2014

 


Servizi responsabilI:

Servizio Studi – Dipartimento Affari esteri

( 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: es0159.doc

 


INDICE

 

Scheda di lettura

I recenti sviluppi della crisi politica in Ucraina  3

§      Premessa  3

§      Le tentate aperture filo-europee dell’esecutivo ucraino e le reazioni di Mosca  4

§      L’avvio delle manifestazioni di protesta  5

§      Il Vertice europeo sul Partenariato orientale del 28-29 novembre e le ripercussioni sulla situazione ucraina  6

§      Le manifestazioni di dicembre  7

§      Le reazioni internazionali all’ondata di proteste  9

§      Verso una escalation delle violenze. Il pacchetto di provvedimenti anti-opposizione  10

§      La diffusione della contestazione nel Paese ed il fallimento dei negoziati 12

§      La ripresa degli scontri di piazza  14

§      La caduta di Ianukovich  16

Selezione di pubblicistica

§      G. Pallone ’Ucraina: ‘eurorivoluzione’, nazionalismo e fattore russo’, in: www.aspeninstitute.it/aspenia-online 3 febbraio 2014  1

§      S. Grazioli ‘Russia o Europa? Rivoluzioni, oligarchi e il futuro dell’Ucraina’, in: Limes online, 3 febbraio 2014  1

§      J. Andruchovych ‘Il popolo dell’Ucraina sta versando il sangue per i valori europei’, in: Limes online, 5 febbraio 2014  1

§      L. Colantoni ‘In Ucraina si gioca anche la partita energetica tra Russia e UE ’, in: Limes online, 19 febbraio 2014  1

§      N. Locatelli ‘Gli scontri a Kiev e la battaglia per l’Ucraina, nel contesto’, in: Limes online, 20 febbraio 2014  1

§      B.H. Lévy ‘L’Ucraina e l’Europa’, in: Affari esteri, n. 173/2014  1

§      N. Shapovalova ‘Ukraine: protests without leadership’, in: Fride Commentary, n. 2/gennaio 2014  1

§      N. Shapovalova ‘Ukraine’s new pro-democracy movement’, in: Fride Commentary, n. 3/febbraio 2014  1

§      J, Mankoff ‘Ukraine on the Brink’, in: http://csis.org, 30 gennaio 2014  1

§      M. Emerson ‘Preparing for a post-Yanukovich Ukraine’, in: CEPS Commentary, 3 febbraio 2014  1

§      M. kalb ‘Up Front’ , in: Brookings Institution, 6 febbraio 2014  1

§      S. Pifer ‘Up Front’ , in: Brookings Institution, 19 febbraio 2014  1

§      S. Pifer ‘A Ukraine in Crisis Between Russia and the West’, in: Brookings Institution, 31 gennaio 2014  1

§      R. Kahn ‘File Finalcial Questions for Ukraine’ in: Council on Foreign Relations, 10 febbraio 2014  1

§      A. Wilson ‘Can Europe protect the Euromaidan?’ in: European Council on Foreign Relations, 24 gennaio 2014  1

§      A. Wilson ‘Time for new elections to break the deadlock in Ukraine’ in: European Council on Foreign Relations, 31 gennaio 2014  1

§      A. Gardner ‘Nuland is from Mars’, in: www.europeanvoice.com, 7 febbraio 2014  1

§      A. Paul e V. Filipchuk ‘Ukraine in deadlock – What next?’, in: European Policy Center, 12 febbraio 2014  1

§      Russia and Regional Developments - Analysis e Opinion Poll, in : Russian Analytical Digest, 6 febbraio 2014 (stralci) 1

§      V. Kalnysh ‘Who is fighting whom in Ukraine – and why’, in: Open Democracy, free thinking for the world - 4 febbraio 2014  1

§      O. Andreyev ‘Power and money in Ukraine’, in: Open Democracy, free thinking for the world - 12 febbraio 2014  1

§      N. Nikolov ‘From Kiev to Kosovo: a critical juncture’, in: Open Democracy, free thinking for the world - 12 febbraio 2014  1

§      A. Wilson ‘Ukraine’s 2014: a belated 1989 or another failed 2004?’, in: Open Democracy, free thinking for the world - 18 febbraio 2014  2

§      O. Butsenko ‘Ukraine: what next?’, in: Open Democracy, free thinking for the world - 20 febbraio 2014  2

§      Analysis ‘Ukraine: the opposition Faces a New Threat from the Ukrainian Front’, in: www.stratfor.com, 12 febbraio 2014  2

§      Geopolitical Diary ‘Ukraine: the Crisis Sees Its Deadliest Day Yet’, in: www.stratfor.com, 18 febbraio 2014  2

§      Geopolitical Diary ‘Protesters in Lviv Raise the Stakes in Ukraine’s Crisis’, in: www.stratfor.com, 19 febbraio 2014  2

§      Analysis ‘Russia Urges to Delegate More Power to Its Regions’, in: www.stratfor.com, 19 febbraio 2014  2

§      Analysis ‘In Ukraine, a Military Reshuffle Raises Questions‘, in: www.stratfor.com, 19 febbraio 2014  2

§      Analysis ‘In Ukraine, Fighting Shatters a Truce‘, in: www.stratfor.com, 20 febbraio 2014  2

 


Scheda di lettura

 


I recenti sviluppi della crisi politica in Ucraina

 

Premessa

La grave crisi politica che da novembre 2013 scuote l’Ucraina si inserisce nel quadro di un paese fortemente diviso sia dal punto di vista delle opzioni internazionali che dal punto di vista culturale e linguistico: il principale problematico che condizione l’identità dell’Ucraina risiede nella contrapposizione di due gruppi di popolazione, pressoché equivalenti sotto il profilo demografico, con una prevalenza filo-russa nelle regioni orientali ed un orientamento filo-europeo in quelle occidentali.

Non mancano in ciascuna delle due aree controspinte importanti. Inoltre, anche la stessa classe dirigente economica del paese si presenta divisa, con il grande finanziatore del Partito delle Regioni del presidente Ianukovich, Akhmetov, fortemente interessato alle relazioni con l’Unione europea, laddove la maggioranza degli industriali ucraini sembrerebbe propendere per un rafforzamento dei legami con Mosca, e comunque almeno per un differimento cospicuo dell'associazione economica dell’Ucraina alla UE.

La situazione attuale va poi comunque fatta risalire al “rapporto specialedell’Ucraina dapprima con la Russia zarista e poi con l'Unione sovietica, rapporto nel quale, a fronte delle rivendicazioni nazionalistiche del paese - in passato fortemente legato anche alla Polonia - da parte russa vi è sempre stato l’atteggiamento di considerare l’Ucraina, come significato dalla sua stessa denominazione, null'altro che una propaggine della Russia verso i confini occidentali.

Su questo sfondo si rendono maggiormente comprensibili le vicende del paese all'inizio del nuovo millennio, quando la cosiddetta “rivoluzione arancione” incarnata da Yushenko sembrò spostare decisamente il paese verso istituzioni di stampo liberale e occidentale, per poi lentamente ricadere, anche sotto il peso di lotte intestine nel fronte filo-occidentale e di numerosi scandali con al centro la personalità della leader liberale Iulia Timoshenko, nell’orbita di Mosca, orientamento incarnato dall'attuale presidente Ianukovich.

Proprio dall'ascesa al potere di Ianukovich la parte politica a lui avversa veniva colpita da numerosi provvedimenti giudiziari: su tutti, la principale vittima è apparsa Iulia Timoshenko, che nell'ottobre del 2011 veniva condannata a sette anni di reclusione con l'accusa di malversazioni in merito a contratti di fornitura di gas con la Russia.

Sul capo della Timoshenko, peraltro, pendono altri processi, e se dovesse essere riconosciuta colpevole come mandante dell'omicidio del deputato Sherban, rischierebbe anche l'ergastolo.

La prospettiva dell'integrazione europea aveva in qualche modo costretto l’Ucraina ad attenuare queste misure, con alcune limitate riforme giudiziarie e la liberazione di vari ex esponenti del governo Timoshenko dalle accuse loro mosse. Anche in considerazione delle precarie condizioni di salute della Timoshenko, l'Unione europea si è fatta decisamente avanti per ottenerne il trasferimento in Germania, onde poter ottenere migliori cure.

 

Le tentate aperture filo-europee dell’esecutivo ucraino e le reazioni di Mosca

In questo quadro, all'inizio di ottobre 2013 il presidente Ianukovich sosteneva esservi le basi per una rapida soluzione del caso Timoshenko, evidentemente nella prospettiva di una firma imminente dell'Accordo di associazione e libero scambio di Kiev con l'Unione europea. Dunque nonostante l’orientamento filo-russo di Ianukovich, il peggioramento della situazione economica sembrava in quel momento consigliare un deciso riorientamento verso l'Occidente, considerato anche l'Unione europea è divenuta il primo partner commerciale del paese e che l'avvicinamento all'Europa avrebbe potuto moderare lo scontento di vaste fasce della popolazione per la crisi economica. Inoltre, anche il governo ucraino filo-russo non aveva mancato negli ultimi tempi di far notare come il prezzo pagato per il gas russo fosse da considerare spropositato.

Mosca ha reagito ventilando l’adozione di misure protezionistiche nel caso di un’adesione ucraina al progetto d’integrazione europea di Kiev: tale adesione implicherebbe infatti il definitivo tramonto del progetto di unione doganale tra Russia, Bielorussia, Ucraina e Kazakhstan. Concepito da Putin come primo passo di una strategia di recupero dell'ex repubbliche sovietiche all'influenza moscovita.

I rapporti russo-ucraini precipitavano rapidamente quando Gazprom, il gigante russo del gas, richiedeva all’Ucraina l’immediato saldo dei debiti contratti, pena il pagamento anticipato delle future forniture di gas – che assai difficilmente Kiev potrebbe permettersi. Si delineava così la minaccia di una nuova guerra del gas che, in ragione del fatto che buona parte di quello diretto all’Europa occidentale transita proprio per l'Ucraina, sarebbe suscettibile di conseguenze negative anche per il mercato europeo. Nei giorni successivi l'escalation proseguiva, e l’Ucraina interrompeva l'importazione di gas russo.

Alla metà di novembre il braccio di ferro sembrava tuttavia già risolversi a favore della Russia: infatti il Parlamento di Kiev faceva slittare il voto sull'eventuale permesso alla Timoshenko di recarsi in Europa, pur consapevole che ciò avrebbe pregiudicato i rapporti con la UE. Ianukovich, che intanto aveva riservatamente incontrato il presidente russo Putin, sembrava inizialmente temporeggiare in vista del possibile differimento della firma dell'Accordo di associazione con la UE.

Ben presto però il Presidente ucraino appariva assai più deciso, mettendo in dubbio la convenienza economica dell’integrazione europea, che avrebbe costi troppo alti per l'adeguamento agli standard imposti da Bruxelles - anche qui però poteva esservi il retropensiero della richiesta di un contributo europeo finalizzato. Immediatamente l'atteggiamento di Gazprom si ammorbidiva, ipotizzando la possibilità di uno scaglionamento nel pagamento dei debiti ucraini per il gas russo.

Il 18 novembre il compromesso russo-ucraino era cosa fatta, e sempre più lontano appariva ormai l’Accordo di associazione di Kiev con l'Unione europea. Il 21 novembre, un nuovo diniego del Parlamento ucraino alla liberazione della Timoshenko rafforzava l'impressione del tramonto della prospettiva di integrazione europea, nonostante le rassicurazioni di Ianukovich in senso contrario.

 Nel frattempo, numerosi attivisti ucraini filoeuropei iniziavano a radunarsi nella piazza Maidan, nel centro di Kiev, per protestare contro la sospensione dell'Accordo di associazione con la UE.

 

L’avvio delle manifestazioni di protesta

La presa di posizione sostanzialmente filorussa del governo ucraino provocava il 24 novembre una grande manifestazione di protesta da parte dei filo-europeisti che a decine di migliaia scendevano in piazza nel cuore della capitale: si verificavano anche dei tafferugli con la polizia quando alcuni dimostranti cercavano di fare irruzione nella sede del governo. La protesta si annunciava di lungo periodo, poiché molti manifestanti montavano delle tende nella piazza Maidan, già simbolo della rivoluzione arancione del 2004; come allora, principale bersaglio dei manifestanti era il presidente Ianukovich, stavolta accusato di aver fatto naufragare in extremis la firma dell'Accordo di associazione con l'Unione europea.

La protesta proseguiva anche il giorno successivo con presìdi nelle piazze Maidan ed Europa, e un migliaio di persone a protestare davanti alla sede del governo, dove si verificavano nuovi scontri con la polizia. I manifestanti ricevevano l'appoggio del leader del partito Udar, il campione di pugilato Vitali Klitschko – tuttora detentore del titolo dei pesi massimi WBC -, che li raggiungeva e li esortava a non abbandonare la lotta fino al raggiungimento dell'obiettivo, ovvero la firma dell'Accordo di associazione con la UE.

Tra i dimostranti  peraltro emergevano anche alcune frange ultranazionaliste del partito Svoboda, che in molti accusano di razzismo, omofobia ed antisemitismo, che adducevano a giustificazione delle proprie reazioni una provocazione delle forze dell'ordine. Nella stessa giornata Iulia Timoschenko annunciava uno sciopero della fame ad oltranza a sostegno dei manifestanti europeisti, che a migliaia tornavano ad affollare le piazze del centro della capitale ucraina.

Il governo di Kiev intanto s'impegnava in una diatriba con l'Unione europea, che aveva disapprovato l'ipoteca russa sulle scelte ucraine, criticando la pochezza degli aiuti che Bruxelles l'avrebbe offerto a Kiev a compensazione dei danni economici che deriverebbero dal peggioramento dei rapporti con Mosca. Secondo il premier ucraino Azarov l'adeguamento agli standard europei costerebbe a Kiev 160 miliardi di euro di investimenti in 10 anni.

 

Il Vertice europeo sul Partenariato orientale del 28-29 novembre e le ripercussioni sulla situazione ucraina

Il 28 e 29 novembre si svolgeva nella capitale lituana Vilnius il previsto vertice tra i 28 Stati membri della UE e i paesi del Partenariato orientale, tra i quali l’Ucraina: diveniva così palese l'impossibilità della firma dell'Accordo di associazione tra Kiev e l’Unione europea, con l’Ucraina impegnata a caldeggiare la necessità di un tavolo a tre con la Russia, nettamente rifiutato dall'Unione europea, che più volte aveva criticato l'ingerenza di Mosca nei rapporti con Kiev.

Inoltre, Bruxelles rifiutava il rilancio ucraino sugli aiuti contestuali all'eventuale firma dell'Accordo di associazione, sia perché le cifre prospettate sarebbero assolutamente esagerate, sia perché comunque sarebbe il Fondo monetario internazionale a fornire la più gran parte delle risorse finanziarie. L’unico risultato per l’Ucraina del vertice di Kiev è stata la firma dell'intesa sullo spazio aereo comune, mentre intanto i manifestanti s'affollavano a migliaia nel centro di Kiev, dando vita anche ad una catena umana in direzione, significativamente, dell'Europa.

Nella notte fra il 29 e il 30 novembre, tuttavia, la polizia procedeva allo sgombero della piazza Maidan, con un deciso uso della forza, provocando decine di feriti e non meno di 35 arresti. Gli Stati Uniti e l’Unione europea condannavano decisamente l'intervento della polizia, mentre la Timoshenko, impegnata nel sesto giorno di sciopero della fame, esortava a continuare la lotta fino all'abbattimento del regime al potere.

Il capogruppo parlamentare della formazione di Iulia Timoshenko, “Patria”, e Vitali Klitschko, dal canto loro, si spingevano a chiedere elezioni presidenziali e legislative anticipate, previe dimissioni del presidente Ianukovich e del ministro dell'interno, nel mentre preparavano uno sciopero generale nel paese. I capi dell'opposizione incontravano anche gli ambasciatori di alcuni paesi dell'Unione europea, proseguendo altresì nella raccolta di firme sulla petizione per chiedere agli Stati Uniti sanzioni personali contro Ianukovich ed i membri del suo governo.

Dal canto suo il presidente Ianukovich  manteneva un atteggiamento apparente equilibrato, richiedendo un'indagine obiettiva sull'intervento della polizia e dicendosi indignato per le violenze. La protesta, comunque, si riorganizzava subito nella capitale, poco distante da piazza Maidan.

 

Le manifestazioni di dicembre

Il 1º dicembre vasti assembramenti di persone si creavano negli spazi antistanti vari palazzi del potere di Kiev: una stima approssimativa quantificava in 400.000 il numero dei manifestanti, prevalentemente riversatisi in piazza Maidan. Il carattere essenzialmente pacifico della manifestazione non impediva violenti scontri con polizia davanti al palazzo presidenziale, con  il ferimento di decine di agenti e dimostranti. Inoltre venivano occupati il municipio di Kiev e la sede dei sindacati. La direzione delle manifestazioni prendeva peraltro le distanze dalle violenze, attribuite a provocatori.

La grande dimostrazione si è svolta a dispetto del divieto di manifestare nelle zone centrali della città imposto nella notte precedente da un tribunale amministrativo ucraino.

Il 3 dicembre il premier Azarov, scusandosi per le violenze dei giorni precedenti, si diceva disposto al dialogo con i manifestanti, ma solo dopo la fine della mobilitazione e soprattutto dell'occupazione di alcuni luoghi chiave della capitale. Peraltro il Parlamento respingeva la mozione di sfiducia al governo, nonostante molte defezioni nei banchi della maggioranza.

A fronte dell'onda montante della contestazione, la Russia concedeva frattanto un rinvio alla primavera 2014 dei pagamenti del gas importato nell'ultimo trimestre del 2013, proseguendo abilmente nel pressing sui Kiev per un prossimo auspicato ingresso nell'unione doganale capeggiata da Mosca. Su un altro versante, quello degli rapporti con l’Alleanza atlantica, l'atteggiamento russo non era meno proattivo, con accuse ai Ministri degli esteri della NATO - che il 3 dicembre avevano auspicato il dialogo tra tutte le parti in causa e condannato l'eccessivo uso della forza – di ingerenza negli affari interni dell’Ucraina.

Nelle stesse ore la stessa Ucraina sembrava peraltro voler continuare a giocare su più tavoli, inviando delegazioni sia a Mosca che a Bruxelles –  e subito dopo Ianukovich si recava in visita a Pechino, sempre in cerca di nuovi finanziamenti.

Nella piazza emergeva intanto progressivamente la figura di Vitali Klitschko come potenziale nuovo leader della contestazione a Ianukovich al posto di Iulia Timoshenko: la figura di Klitschko appariva più capace di conquistare il favore dei manifestanti rispetto al reggente del partito “Patria” Iatseniuk e anche al leader ultranazionalista Tiaghnibok.

Il 5 dicembre anche Iulia Timoschenko rivolgeva agli Stati Uniti e all'Unione europea un pressante appello per l'imposizione di sanzioni personali contro Ianukovich. Per converso, le autorità ucraine imponevano ai manifestanti un ultimatum di cinque giorni per sgomberare il municipio e la sede dei sindacati, e togliere l'assedio di fatto ad alcuni palazzi istituzionali. Ritornando dalla Cina, il presidente Ianukovic trovava Kiev ancora invasa dalle manifestazioni e con i lavori parlamentari bloccati dalle opposizioni.

L'8 dicembre si svolgeva una manifestazione ancora più vasta delle precedenti, sfiorando il mezzo milione di persone, con un massiccio riversamento di nuovo in piazza Maidan. Tra le parole d'ordine dei manifestanti emergeva tuttavia sempre più forte anche la rivendicazione della fine del potere di Ianukovich. Non contribuiva al miglioramento del clima una sorta di avvertimento lanciato dai servizi speciali ucraini, che davano conto di essere impegnati in un'inchiesta sul tentativo di presa del potere da parte di alcuni uomini politici.

Il 9 dicembre centinaia di poliziotti veniva convogliati nelle strade prospicienti la piazza Maidan, iniziando altresì a smontare una parte delle barricate erette vicino alla sede del governo. Intanto però il presidente Ianukovich si diceva favorevole al compromesso, e annunciava di aver accettato la proposta dei suoi tre predecessori Kuchma, Kravciuk e Yushenko per una tavola rotonda nazionale con i rappresentanti dell'opposizione.

Il 10 dicembre, mentre arrivava a Kiev il capo della diplomazia europea Ashton per una missione di due giorni, già al mattino si contavano una dozzina di feriti per gli scontri notturni tra polizia e manifestanti filo europei. Il pressing occidentale era completato dall'arrivo a Kiev nelle stesse ore del sottosegretario agli esteri USA, Victoria Nuland.

A fronte dell'atteggiamento più cedevole di Ianukovich, disposto anche a favorire la scarcerazione dei manifestanti arresta su cui non pesassero gravi accuse, l'opposizione rimaneva assai dura e intransigente, e infatti i suoi rappresentanti non partecipavano alla tavola rotonda organizzata dai tre ex presidenti ucraini - dalla quale peraltro usciva il consiglio di sostituire il premier Azarov e aprire in qualche modo la strada ad una compartecipazione dell'opposizione al governo (in tal senso sembrava pronunciarsi anche il capogruppo parlamentare del Partito Patria, ventilando la possibilità della formazione di un governo tecnico).

Nella nottata tra il 10 e l’11 dicembre reparti di polizia in piazza Maidan, si scontravano con i manifestanti europeisti, ma in breve tempo venivano ricacciati sulle loro posizioni dai dimostranti che si davano poi a rafforzare le barricate. Uguale insuccesso registrava un tentativo delle forze speciali di irrompere nel municipio di Kiev occupato: in questo caso per lo più le teste di cuoio non riuscivano neanche a scendere dai propri blindati, circondati da migliaia di manifestanti.

Il 12 dicembre il Parlamento europeo approvava una risoluzione con l'avallo di tutti gli schieramenti politici, di condanna delle pressioni politiche ed economiche esercitate dalla Russia sull’Ucraina al fine di allontanarla dall'Unione europea. Tra le contromisure preconizzate dall'Europarlamento figura anche la possibilità di ricorsi all’Organizzazione mondiale del commercio per violazione da parte russa delle norme sul commercio internazionali a mero fine di influenza politica.

Circa 200.000 manifestanti rinnovavano le proteste il 15 dicembre riversandosi nella piazza Maidan: alla manifestazione prendeva parte eccezionalmente l'esponente di vertice del Partito repubblicano USA John McCain, che in un discorso ribadiva l'appoggio degli Stati Uniti alla causa filoccidentale ucraina. Nella stessa giornata, nelle vicinanze della piazza Maidan si svolgeva anche una contromanifestazione di appoggio al governo, i cui partecipanti andavano oltre le posizioni dello stesso Ianukovich, dicendosi tutti francamente contrari all'integrazione europea del paese.

 

Le reazioni internazionali all’ondata di proteste

Peraltro, con mossa subito dopo criticata e giudicata inopportuna, il Commissario europeo all'allargamento Stefan Füle sosteneva di non voler prendere in considerazione le eccessive richieste economiche ucraine per firmare l'Accordo di associazione, il quale pertanto era da considerarsi sospeso.

La questione ucraina il 16 dicembre era al centro di un difficile Consiglio dei ministri degli affari esteri UE a Bruxelles, nel corso del quale i contatti con il ministro degli esteri russo Lavrov non portavano ad alcun miglioramento della situazione. Sullo sfondo dell'incontro, peraltro, vi era che la rinnovata tensione creata dall'ammissione russa di aver schierato dei missili nell'exclave russa di Kaliningrad (in territorio europeo, tra Polonia e Lituania), mossa criticata tuttavia dalla NATO, in quanto tale da non contribuire alla sicurezza euroatlantica.

Del resto la Russia rilanciava immediatamente sul piano economico, quando il 17 dicembre a Mosca, durante l'incontro con Ianukovich, Putin annunciava che Mosca avrebbe praticato un forte sconto sul prezzo del gas all’Ucraina, che sarebbe sceso da 400 a 265 dollari per 1000 metri cubi, e avrebbe investito 15 miliardi di dollari in titoli di Stato dell’Ucraina. A completare il regime di favore verso Kiev una serie di accordi in vari settori, volti alla rimozione di ostacoli commerciali che fino a quel momento avevano svantaggiato l’Ucraina.

Alludendo indirettamente ai sacrifici che il Fondo monetario internazionale avrebbe certamente imposto all'Ucraina in cambio di un sostanzioso prestito, Putin poteva affermare che le condizioni di favore accordate a Kiev rientravano nel carattere strategico che il paese riveste per la Russia, al di fuori di ogni specifica condizione. È evidente che eventuali condizioni non sarebbero state comunque rese note in un momento di grande effervescenza della piazza ucraina, poiché avrebbero potuto immediatamente provocare tumulti e disordini.

Nell’immediato la Russia si dimostrava assai più proattiva dell'Unione Europea nel rispondere alle pressanti richieste di assistenza finanziaria di Kiev: in tal senso si esprimeva esplicitamente il premier Azarov, mentre ministro degli esteri di Mosca difendeva con le unghie gli accordi del giorno precedente, criticando il nuovo tentativo occidentale di premere sull’Ucraina nonostante li avesse appena firmati.

 

Verso una escalation delle violenze. Il pacchetto di provvedimenti anti-opposizione

Dopo un periodo di apparente calma, i disordini in Ucraina si riaccendevano a partire dagli scontri della notte tra 10 e 11 gennaio nei pressi di un tribunale della capitale, con il ferimento sia di agenti che di dimostranti. Nella circostanza pativa una commozione cerebrale l'ex ministro dell'interno del gabinetto Timoshenko, Iuri Lutsenko.

Gli scontri erano stati cagionati dalla condanna a sei anni di carcere di tre nazionalisti, ma facenti parte dello schieramento di destra antigovernativo, con l'accusa di aver progettato di far saltare in aria una statua di Lenin. Il 12 gennaio 50.000 persone tornavano ad affollare la piazza Maidan e a richiedere a USA e UE sanzioni personali contro i membri del governo.

Il 16 gennaio si verificava una svolta capace di innescare un ulteriore escalation negli scontri: il Parlamento ucraino, in una forma irrituale priva di dibattito e per alzata di mano – al fine di superare l’ostruzionismo attivo delle opposizioni -, approvava prima la legge di bilancio, e poi un pacchetto di provvedimenti evidentemente rivolti a colpire le opposizioni di piazza, come ad esempio quelli contro gli attacchi a monumenti sovietici, ovvero l'inasprimento delle pene per disordini di piazza e occupazione di edifici pubblici, come anche per chi allestisce tende senza autorizzazione in un'area pubblica e per chi manifesta a volto coperto. Veniva inoltre deciso di conferire alle organizzazioni non governative finanziate dall'estero lo status di agenti stranieri.

Tra il 19 e il 20 gennaio la protesta europeista dilagava nuovamente nel centro di Kiev, e anche nel resto del paese: gli scontri nella capitale provocavano circa 150 feriti, equamente divisi tra poliziotti e manifestanti. Le violenze erano scoppiate nella serata del 19 gennaio con l'attacco da parte di alcune migliaia di dimostranti a cordoni di polizia che difendevano alcuni palazzi istituzionali.

L'opposizione al governo in carica condannava le violenze e cercava di distinguersene, ma in un tentativo invero piuttosto debole, poiché i protagonisti degli scontri con le forze dell'ordine erano parecchie migliaia. L'eterogeneità delle forze di opposizione si mostra proprio in questi imbarazzi degli elementi più moderati, che però si trovano del tutto d'accordo con i facinorosi nella condanna irrevocabile delle recenti leggi giudicate liberticide - entrate in vigore comunque alla mezzanotte del 21 gennaio.

Proprio in concomitanza dell’entrata in vigore delle leggi restrittive sulle manifestazioni di piazza si registravano i primi morti della vicenda ucraina degli ultimi mesi: infatti il 22 gennaio veniva ammessa dalle autorità il decesso di almeno due manifestanti, mentre per gli oppositori erano almeno cinque, nella prosecuzione degli scontri iniziati 19 gennaio.

Il 23 gennaio Ianukovich annunciava una seduta straordinaria del Parlamento per il 28 gennaio per esaminare le eventuali dimissioni del governo Azarov e l'abrogazione delle leggi contro le proteste approvate una settimana prima. Nulla veniva invece concesso all'opposizione per quanto riguarda l'eventuale anticipo delle elezioni presidenziali e legislative. Il negoziato apparentemente apertosi si chiudeva subito con la delusione dell'opposizione, cui veniva prospettata solo la liberazione dei 75 dimostranti arrestati dopo il 19 gennaio.

Nella piazza si riaccendeva la violenza, e sull'onda del movimento di protesta veniva formulata dal presidente Ianukovich una clamorosa proposta alle opposizioni, ovvero quella di sostituire Azarov alla guida del governo, occupando i posti di premier e di vicepremier. Per quanto concerne le leggi liberticide recentemente approvate, e l'anticipo delle elezioni presidenziali legislative, la posizione Ianukovich e delle autorità di Kiev si manteneva tuttavia contraria.

 

La diffusione della contestazione nel Paese ed il fallimento dei negoziati 

Frattanto si assisteva al dilagare della rivolta in tutto il paese, con particolare violenza nella parte occidentale, maggiormente filoeuropea e di lingua ucraina, ove nell'arco di poche ore i palazzi del potere erano nelle mani dei manifestanti in 14 delle 25 regioni, e la polizia talvolta si schierava addirittura dalla parte degli occupanti. Nella capitale venivano occupati il Ministero dell’energia e quello dell'agricoltura. Il grave problema dell'occupazione di palazzi istituzionali induceva Ianukovich a promettere un’amnistia per tutti i partecipanti alle proteste in cambio dello sgombero, ma anche una revisione costituzionale per ridurre poteri presidenziali e tornare sostanzialmente a una forma di parlamentarismo.

Il 26 gennaio, dopo il rifiuto dell'opposizione della proposta di assumere la guida del governo – che in presenza di un Parlamento favorevole a Ianukovich non avrebbe avuto alcun significato concreto -, l'Ucraina appariva davvero sull'orlo della guerra civile, mentre nelle regioni sudorientali russofone e vicine a Mosca si cominciava a prospettare la possibilità di dare vita ad uno Stato federativo legato alla Russia. Intanto l’occupazione del Ministero della giustizia nella capitale, successivamente sgomberato dalle forze di polizia, rendeva chiaro come le istituzioni fossero completamente incapaci di controllare il proliferare delle manifestazioni.

Segnali di un rientro dalla escalation di violenze che sembravano fuori controllo si avevano il 27 ed il 28 gennaio: infatti - dopo il raggiungimento di un accordo di massima tra governo e opposizione per l'abrogazione delle contestate leggi antiproteste e per un'amnistia ai dimostranti in cambio dell’abbandono definitivo delle piazze e dei presidi o occupazioni di palazzi istituzionali - il 28 gennaio si registravano le dimissioni del premier Azarov, dallo stesso presentate quale gesto volto a facilitare il raggiungimento di un compromesso per il bene del paese.

Nella stessa giornata la Rada, il Parlamento ucraino, abrogava effettivamente le leggi antiprotesta, facendo seguito agli accordi del giorno precedente.

Il clima di distensione proseguiva apparentemente nella tarda serata del 29 gennaio, quando il Parlamento approvava una legge di amnistia nei confronti dei manifestanti nei giorni precedenti, subordinando l'applicazione di essa, tuttavia, allo sgombero degli edifici pubblici e delle strade e piazze occupati. Le opposizioni in Parlamento si astenevano nel voto sull'amnistia, in quanto avrebbero desiderato che il provvedimento di clemenza fosse emanato senza alcuna condizione.

In realtà, nell'atteggiamento delle opposizioni traspariva l'intenzione di fondo di costringere all'abbandono del potere il presidente Ianukovich, aprendo la strada ad elezioni legislative presidenziali anticipate. dalla parte opposta, invece, il consigliere presidenziale di Putin Serghiei Glaziev ammoniva le autorità ucraine a far fronte con fermezza alla ribellione, pena l’affermazione del caos totale nel paese.

Sul versante internazionale, alla conferenza annuale sulla sicurezza di Monaco di Baviera il segretario di Stato USA John Kerry incontrava alcuni leader dell'opposizione ucraina, schierandosi apertamente dalla loro parte, quali attori di un futuro democratico ed europeo del paese. Del tutto contraria la presa di posizione del ministro degli esteri russo Lavrov, che invitava l'Unione europea e gli Stati Uniti a condannare piuttosto le violenze degli insorti.

Frattanto la situazione economica del paese peggiorava costantemente: va ricordato che il 28 gennaio l’agenzia Standard and Poor’s aveva ulteriormente declassato il rating finanziario dell’Ucraina, e ai primi di febbraio il debito contratto con la Russia per l'acquisto del metano aveva raggiunto 3,35 miliardi di dollari - nonostante il forte sconto concesso dai russi a dicembre.

Proprio dai russi venivano peraltro pesanti accuse verso gli Stati Uniti: il già citato consigliere Glaziev, in un'intervista ad un quotidiano russo, sosteneva il coinvolgimento americano in tentativi di colpo di Stato a Kiev, quantificando addirittura in 20 milioni di dollari a settimana i finanziamenti ai ribelli, che verrebbero anche riforniti di armi. Glaziev, inoltre, si esprimeva favore di una trasformazione federale dell’Ucraina, che parrebbe l'anticamera di un maggior controllo di Mosca sulle regioni sudorientali e prevalentemente russofone del paese.

Intanto il Parlamento europeo richiedeva sanzioni rapide e mirate contro funzionari, parlamentari e oligarchi loro sostenitori ritenuti responsabili della dura repressione delle manifestazioni in Ucraina.

Il 14 febbraio la scarcerazione di 234 manifestanti antigovernativi arrestati nelle ultime settimane in tutto il paese sembrava porre le basi di un ulteriore allentamento delle tensioni: tuttavia, le opposizioni manifestavano scontento in relazione alla trasformazione della detenzione in arresti domiciliari per molti detenuti, il cui destino giudiziario in definitiva dipende dall'applicazione dell'amnistia, che però è condizionata allo sgombero dei presidi dei manifestanti.

Nondimeno, il 16 febbraio il Procuratore generale ucraino annunciava il soddisfacimento delle condizioni per l'applicazione della legge di amnistia per i manifestanti antigovernativi: l'annuncio veniva in serata, dopo che era stato sgomberato pacificamente il municipio di Kiev e altrettanto pacificamente consentito l'abbattimento di una parte delle barricate erette nella capitale ucraina. Uguale scenario si svolgeva nei palazzi del potere regionale a Leopoli, Ternopil, e Poltava.

 

La ripresa degli scontri di piazza

A questo punto ciò che veramente sembrava ancora animare le opposizioni era la richiesta di elezioni presidenziali e legislative anticipate, parallelamente ad una riforma costituzionale per limitare i poteri del Capo dello Stato. Proprio queste aspirazioni dell'opposizione devono essere state alla base della ripresa abbastanza imprevista, il 18 febbraio, di violenti scontri con un elevato numero di vittime. Le violenze iniziavano in mattinata quando la polizia impediva a migliaia di dimostranti di avvicinarsi al Parlamento, ove era prevista la discussione dell’auspicata riforma costituzionale. Gli scontri ivi divampati si propagavano presto in altri punti della città, ma erano particolarmente violenti proprio davanti al Parlamento. Negli scontri sembra che anche gli insorti abbiano fatto uso di armi da fuoco.

La situazione si aggravava in serata, quando intorno alle 19 ora italiana le forze dell'ordine iniziavano lo sgombero della piazza Maidan. Corredavano il quadro la rioccupazione del municipio di Kiev e l'uccisione di un impiegato del Partito delle regioni di Ianukovich, morto in seguito a un attacco a colpi di bottiglie molotov alla sede del partito. Altre violenze venivano segnalate nella roccaforte occidentale dell'opposizione nazionalista, Leopoli, prossima al confine polacco.

La mattina del 19 febbraio registrava un'ulteriore aggravamento del bilancio dei morti, salito ormai ad almeno 25, mentre anche nella parte occidentale del paese si allargava la protesta – a Leopoli venivano assaltate la sede della polizia e quella dei servizi speciali, nonché un deposito militare; a Ternopil veniva attaccato a colpi di molotov un commissariato di polizia.

Nella capitale, sovrastata da colonne di fumo proveniente dalla piazza Maidan e anche dal palazzo dei sindacati (divenuto una sorta di quartiere generale dell'opposizione), le autorità procedevano a chiudere la metropolitana e le scuole. In questo contesto si levava con forza la voce della Russia, per denunciare un tentativo di colpo di Stato da parte delle forze estremiste dell'opposizione, sostenute, secondo Mosca, irresponsabilmente dai paesi occidentali. Tra le vittime degli scontri del 18 e 19 febbraio figurano 10 poliziotti, 1 giornalista due militanti del partito al governo, mentre la restante metà si presume siano manifestanti antigovernativi. L'elevato numero di vittime tra le forze di polizia sembra indirettamente dimostrare l'uso di armi da fuoco anche da parte dei manifestanti, o meglio di alcune frange più estremiste di essi.

Nella stessa giornata del 19 febbraio, reagendo a voci del ministero della difesa ucraino di un possibile intervento del forze armate nella crisi, il segretario generale della NATO Rasmussen invitava con forza il governo di Kiev ad astenersi da ulteriori violenze contro i manifestanti, e soprattutto dall'impiego delle forze armate, che comprometterebbe seriamente i rapporti con l'Alleanza atlantica. Dal canto loro gli Stati Uniti decidevano di includere 20 alti funzionari ucraini, ritenuti responsabili delle violenze degli ultimi giorni a Kiev, in un elenco di persone non gradite negli USA, negando quindi loro il visto di ingresso.

La mattina del 20 febbraio vedeva riaccendersi i combattimenti nel centro di Kiev, con le forze dell'ordine costrette nuovamente ad arretrare dalle posizioni appena riconquistate in piazza Maidan, mentre venivano evacuati i palazzi del parlamento e del governo. La giornata si rivelava poi assolutamente tragica, e in serata si contavano decine di morti e centinaia di feriti, la maggior parte per colpi di arma da fuoco. In mattinata intanto i ministri degli esteri di Germania, Polonia e Francia avevano incontrato a Kiev il presidente Ianukovich e tre leader moderati dell’opposizione di piazza, nell’attesa del Consiglio straordinario dei ministri degli esteri della UE, che poche ore dopo decideva di procedere con rapidità all'interdizione dei visti e al blocco delle attività finanziarie nel territorio europeo nei confronti di quanti in Ucraina si siano resi responsabili di violenze in relazione agli scontri in corso.

Il Consiglio straordinario stabiliva altresì l’embargo verso l’Ucraina dei prodotti in qualche modo utilizzabili per la repressione contro i manifestanti. Ianukovich veniva indicato quale primo responsabile della tragica situazione del paese, la quale non mancava di riflettersi anche sulla delegazione ucraina alle Olimpiadi invernali di Sochi, ove solo la mediazione del prestigioso presidente del comitato olimpico nazionale Serghiei Bubka scongiurava il ritorno in patria di metà degli atleti ucraini.

Il 21 febbraio, dopo negoziati-fiume tra la UE – rappresentata dai tre ministri degli esteri -, la Russia e le parti in lotta, veniva raggiunto un accordo per porre fine alle violenze, incentrato sulla convocazione di nuove elezioni presidenziali entro il 2014, precedute da una riforma costituzionale volta a ridurre i poteri del capo dello Stato e dalla formazione di un governo di unità nazionale.

Inoltre il parlamento ucraino approvava un’amnistia senza condizioni per tutti i dimostranti e procedeva a rimuovere il ministro dell’interno Zakharcenko, evidentemente responsabile della gestione dell’ordine pubblico nei giorni precedenti. Modifiche al codice penale prontamente apportate miravano di tutta evidenza a scagionare Iulia Timoschenko dalle accuse che la tenevano in carcere, rendendone possibile la liberazione. Questi atti del parlamento venivano facilitati dal progressivo assottigliarsi della rappresentanza parlamentare del Partito delle regioni del presidente Ianukovich, con numerose defezioni.

Alcuni gruppi di opposizione, come Euromaidan, non firmavano tuttavia l’accordo, e rilanciavano con la richiesta di immediate dimissioni di Ianukovich.

Significativo l’atteggiamento della Russia, che in qualche modo ha mirato a tenersi le mani libere non sottoscrivendo l’accordo, ma nel contempo sottolineando di vedere con favore il raggiungimento di un compromesso – posizione confermata da Putin in un colloquio telefonico del giorno successivo con Barack Obama. Del resto la Russia continua ad agire anche sul piano delle potenti leve economiche di cui dispone nei confronti di Kiev.  Il 21 febbraio infatti il ministro russo delle finanze Siluanov dichiarava che Mosca non avrebbe erogato la tranche di 2 miliardi di dollari – parte dei 15 miliardi promessi all’atto della rinuncia ucraina all’Accordo di associazione con la UE -, in considerazione della precaria situazione finanziaria dell’Ucraina e dell’incertezza politica a Kiev, che potrebbe far giungere gli aiuti in mani indesiderate dalla Russia.

A conferma dei timori russi va comunque ricordato l’ulteriore declassamento del rating finanziario ucraino da parte di Standard & Poor’s, appena un gradino sopra il livello di default, in conseguenza del quale la più importante banca russa, la Sberbank, sospendeva l’erogazione di prestiti personali in Ucraina. Ancor più preoccupante rimane, sullo sfondo, l’ipotesi di un intervento militare nella crisi ucraina, che fonti russe di alto livello avrebbero ventilato in caso di spaccatura del paese, anzitutto per “proteggere” la penisola di Crimea, a maggioranza russa, storicamente legata a doppio filo a Mosca e nella quale i russi mantengono tuttora la base navale di Sebastopoli.

 

La caduta di Ianukovich

Il 22 febbraio, mentre il suo fedelissimo Ribak, presidente del Parlamento, si dimetteva, Ianukovich aveva già lasciato la capitale per recarsi a Kharkiv, nella parte orientale dell’Ucraina, a lui più favorevole. Nel giro di pochi minuti l’impressione di una clamorosa caduta del presidente si spargeva a Kiev, e i dimostranti, oltre a occupare il palazzo presidenziale, facevano irruzione nella sontuosa residenza di Ianukovich nei dintorni della capitale.

Intanto Oleksandr Turcinov, ex braccio destro della Timoshenko e già capo dei servizi segreti ucraini, veniva eletto nuovo presidente del parlamento, dopo che nella stessa sede i capi delle opposizioni avevano chiesto elezioni presidenziali entro il 25 maggio. Il parlamento approvava tale richiesta, e per di più dichiarava decaduto Ianukovich per aver violato i diritti umani nel corso della repressione dei giorni precedenti.

Di fronte a questi sviluppi Ianukovich, intervistato da una televisione locale, denunciava un colpo di Stato in atto, perpetrato a suo dire da banditi e vandali: l’Ucraina sarebbe come la Germania del 1933, ma il presidente non si sarebbe dimesso né avrebbe lasciato il paese.

Nel pomeriggio si diffondeva la notizia della liberazione di Iulia Timoshenko, che lasciava in automobile l’ospedale di Kharkiv dove era ricoverata da detenuta. Giunta a Kiev, in serata veniva accolta trionfalmente nella piazza Maidan, dove, ancora su una sedia a rotelle, proclamava la “fine della dittatura” ed esortava i manifestanti a non smobilitare fino alla fine della liberazione del paese.

Il 23 gennaio il ministro dell’interno ad interim Avakov annunciava la liberazione di 64 manifestanti arrestati nei giorni precedenti, nonché l’avvio di un’inchiesta sulle violenze della polizia contro i manifestanti. Il Parlamento  nominava il proprio presidente Turcinov capo dello Stato ad interim.

Intanto il partito delle Regioni assecondava questi sviluppi indicando Ianukovich e i suoi più stretti collaboratori come responsabili delle violenze di Kiev, oltre che di malversazioni, tradendo di fatto il paese.

Le preoccupazioni in ordine a un possibile dissolvimento dell’Ucraina, con i connessi pericoli di intervento armato russo, venivano alimentate dalle voci di una mobilitazione di massa dei russofoni di Crimea che starebbero organizzando brigate popolari contro le nuove autorità di Kiev, mentre manifestazioni a Sebastopoli le accusavano apertamente di fascismo e di voler privare i russi in Ucraina dei loro diritti e della cittadinanza.

 

 


Selezione di pubblicistica

 


 

SERVIZIO STUDI

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

Recenti sviluppi della

crisi politica in Ucraina

II Edizione

 

 

 

 

 

 

n. 92

 

 

 

 

24 febbraio 2014

 


Servizi responsabilI:

Servizio Studi – Dipartimento Affari esteri

( 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: es0159.doc

 


INDICE

 

Scheda di lettura

I recenti sviluppi della crisi politica in Ucraina  3

§      Premessa  3

§      Le tentate aperture filo-europee dell’esecutivo ucraino e le reazioni di Mosca  4

§      L’avvio delle manifestazioni di protesta  5

§      Il Vertice europeo sul Partenariato orientale del 28-29 novembre e le ripercussioni sulla situazione ucraina  6

§      Le manifestazioni di dicembre  7

§      Le reazioni internazionali all’ondata di proteste  9

§      Verso una escalation delle violenze. Il pacchetto di provvedimenti anti-opposizione  10

§      La diffusione della contestazione nel Paese ed il fallimento dei negoziati 12

§      La ripresa degli scontri di piazza  14

§      La caduta di Ianukovich  16

Selezione di pubblicistica

§      G. Pallone ’Ucraina: ‘eurorivoluzione’, nazionalismo e fattore russo’, in: www.aspeninstitute.it/aspenia-online 3 febbraio 2014  1

§      S. Grazioli ‘Russia o Europa? Rivoluzioni, oligarchi e il futuro dell’Ucraina’, in: Limes online, 3 febbraio 2014  1

§      J. Andruchovych ‘Il popolo dell’Ucraina sta versando il sangue per i valori europei’, in: Limes online, 5 febbraio 2014  1

§      L. Colantoni ‘In Ucraina si gioca anche la partita energetica tra Russia e UE ’, in: Limes online, 19 febbraio 2014  1

§      N. Locatelli ‘Gli scontri a Kiev e la battaglia per l’Ucraina, nel contesto’, in: Limes online, 20 febbraio 2014  1

§      B.H. Lévy ‘L’Ucraina e l’Europa’, in: Affari esteri, n. 173/2014  1

§      N. Shapovalova ‘Ukraine: protests without leadership’, in: Fride Commentary, n. 2/gennaio 2014  1

§      N. Shapovalova ‘Ukraine’s new pro-democracy movement’, in: Fride Commentary, n. 3/febbraio 2014  1

§      J, Mankoff ‘Ukraine on the Brink’, in: http://csis.org, 30 gennaio 2014  1

§      M. Emerson ‘Preparing for a post-Yanukovich Ukraine’, in: CEPS Commentary, 3 febbraio 2014  1

§      M. kalb ‘Up Front’ , in: Brookings Institution, 6 febbraio 2014  1

§      S. Pifer ‘Up Front’ , in: Brookings Institution, 19 febbraio 2014  1

§      S. Pifer ‘A Ukraine in Crisis Between Russia and the West’, in: Brookings Institution, 31 gennaio 2014  1

§      R. Kahn ‘File Finalcial Questions for Ukraine’ in: Council on Foreign Relations, 10 febbraio 2014  1

§      A. Wilson ‘Can Europe protect the Euromaidan?’ in: European Council on Foreign Relations, 24 gennaio 2014  1

§      A. Wilson ‘Time for new elections to break the deadlock in Ukraine’ in: European Council on Foreign Relations, 31 gennaio 2014  1

§      A. Gardner ‘Nuland is from Mars’, in: www.europeanvoice.com, 7 febbraio 2014  1

§      A. Paul e V. Filipchuk ‘Ukraine in deadlock – What next?’, in: European Policy Center, 12 febbraio 2014  1

§      Russia and Regional Developments - Analysis e Opinion Poll, in : Russian Analytical Digest, 6 febbraio 2014 (stralci) 1

§      V. Kalnysh ‘Who is fighting whom in Ukraine – and why’, in: Open Democracy, free thinking for the world - 4 febbraio 2014  1

§      O. Andreyev ‘Power and money in Ukraine’, in: Open Democracy, free thinking for the world - 12 febbraio 2014  1

§      N. Nikolov ‘From Kiev to Kosovo: a critical juncture’, in: Open Democracy, free thinking for the world - 12 febbraio 2014  1

§      A. Wilson ‘Ukraine’s 2014: a belated 1989 or another failed 2004?’, in: Open Democracy, free thinking for the world - 18 febbraio 2014  2

§      O. Butsenko ‘Ukraine: what next?’, in: Open Democracy, free thinking for the world - 20 febbraio 2014  2

§      Analysis ‘Ukraine: the opposition Faces a New Threat from the Ukrainian Front’, in: www.stratfor.com, 12 febbraio 2014  2

§      Geopolitical Diary ‘Ukraine: the Crisis Sees Its Deadliest Day Yet’, in: www.stratfor.com, 18 febbraio 2014  2

§      Geopolitical Diary ‘Protesters in Lviv Raise the Stakes in Ukraine’s Crisis’, in: www.stratfor.com, 19 febbraio 2014  2

§      Analysis ‘Russia Urges to Delegate More Power to Its Regions’, in: www.stratfor.com, 19 febbraio 2014  2

§      Analysis ‘In Ukraine, a Military Reshuffle Raises Questions‘, in: www.stratfor.com, 19 febbraio 2014  2

§      Analysis ‘In Ukraine, Fighting Shatters a Truce‘, in: www.stratfor.com, 20 febbraio 2014  2

 


Scheda di lettura

 


I recenti sviluppi della crisi politica in Ucraina

 

Premessa

La grave crisi politica che da novembre 2013 scuote l’Ucraina si inserisce nel quadro di un paese fortemente diviso sia dal punto di vista delle opzioni internazionali che dal punto di vista culturale e linguistico: il principale problematico che condizione l’identità dell’Ucraina risiede nella contrapposizione di due gruppi di popolazione, pressoché equivalenti sotto il profilo demografico, con una prevalenza filo-russa nelle regioni orientali ed un orientamento filo-europeo in quelle occidentali.

Non mancano in ciascuna delle due aree controspinte importanti. Inoltre, anche la stessa classe dirigente economica del paese si presenta divisa, con il grande finanziatore del Partito delle Regioni del presidente Ianukovich, Akhmetov, fortemente interessato alle relazioni con l’Unione europea, laddove la maggioranza degli industriali ucraini sembrerebbe propendere per un rafforzamento dei legami con Mosca, e comunque almeno per un differimento cospicuo dell'associazione economica dell’Ucraina alla UE.

La situazione attuale va poi comunque fatta risalire al “rapporto specialedell’Ucraina dapprima con la Russia zarista e poi con l'Unione sovietica, rapporto nel quale, a fronte delle rivendicazioni nazionalistiche del paese - in passato fortemente legato anche alla Polonia - da parte russa vi è sempre stato l’atteggiamento di considerare l’Ucraina, come significato dalla sua stessa denominazione, null'altro che una propaggine della Russia verso i confini occidentali.

Su questo sfondo si rendono maggiormente comprensibili le vicende del paese all'inizio del nuovo millennio, quando la cosiddetta “rivoluzione arancione” incarnata da Yushenko sembrò spostare decisamente il paese verso istituzioni di stampo liberale e occidentale, per poi lentamente ricadere, anche sotto il peso di lotte intestine nel fronte filo-occidentale e di numerosi scandali con al centro la personalità della leader liberale Iulia Timoshenko, nell’orbita di Mosca, orientamento incarnato dall'attuale presidente Ianukovich.

Proprio dall'ascesa al potere di Ianukovich la parte politica a lui avversa veniva colpita da numerosi provvedimenti giudiziari: su tutti, la principale vittima è apparsa Iulia Timoshenko, che nell'ottobre del 2011 veniva condannata a sette anni di reclusione con l'accusa di malversazioni in merito a contratti di fornitura di gas con la Russia.

Sul capo della Timoshenko, peraltro, pendono altri processi, e se dovesse essere riconosciuta colpevole come mandante dell'omicidio del deputato Sherban, rischierebbe anche l'ergastolo.

La prospettiva dell'integrazione europea aveva in qualche modo costretto l’Ucraina ad attenuare queste misure, con alcune limitate riforme giudiziarie e la liberazione di vari ex esponenti del governo Timoshenko dalle accuse loro mosse. Anche in considerazione delle precarie condizioni di salute della Timoshenko, l'Unione europea si è fatta decisamente avanti per ottenerne il trasferimento in Germania, onde poter ottenere migliori cure.

 

Le tentate aperture filo-europee dell’esecutivo ucraino e le reazioni di Mosca

In questo quadro, all'inizio di ottobre 2013 il presidente Ianukovich sosteneva esservi le basi per una rapida soluzione del caso Timoshenko, evidentemente nella prospettiva di una firma imminente dell'Accordo di associazione e libero scambio di Kiev con l'Unione europea. Dunque nonostante l’orientamento filo-russo di Ianukovich, il peggioramento della situazione economica sembrava in quel momento consigliare un deciso riorientamento verso l'Occidente, considerato anche l'Unione europea è divenuta il primo partner commerciale del paese e che l'avvicinamento all'Europa avrebbe potuto moderare lo scontento di vaste fasce della popolazione per la crisi economica. Inoltre, anche il governo ucraino filo-russo non aveva mancato negli ultimi tempi di far notare come il prezzo pagato per il gas russo fosse da considerare spropositato.

Mosca ha reagito ventilando l’adozione di misure protezionistiche nel caso di un’adesione ucraina al progetto d’integrazione europea di Kiev: tale adesione implicherebbe infatti il definitivo tramonto del progetto di unione doganale tra Russia, Bielorussia, Ucraina e Kazakhstan. Concepito da Putin come primo passo di una strategia di recupero dell'ex repubbliche sovietiche all'influenza moscovita.

I rapporti russo-ucraini precipitavano rapidamente quando Gazprom, il gigante russo del gas, richiedeva all’Ucraina l’immediato saldo dei debiti contratti, pena il pagamento anticipato delle future forniture di gas – che assai difficilmente Kiev potrebbe permettersi. Si delineava così la minaccia di una nuova guerra del gas che, in ragione del fatto che buona parte di quello diretto all’Europa occidentale transita proprio per l'Ucraina, sarebbe suscettibile di conseguenze negative anche per il mercato europeo. Nei giorni successivi l'escalation proseguiva, e l’Ucraina interrompeva l'importazione di gas russo.

Alla metà di novembre il braccio di ferro sembrava tuttavia già risolversi a favore della Russia: infatti il Parlamento di Kiev faceva slittare il voto sull'eventuale permesso alla Timoshenko di recarsi in Europa, pur consapevole che ciò avrebbe pregiudicato i rapporti con la UE. Ianukovich, che intanto aveva riservatamente incontrato il presidente russo Putin, sembrava inizialmente temporeggiare in vista del possibile differimento della firma dell'Accordo di associazione con la UE.

Ben presto però il Presidente ucraino appariva assai più deciso, mettendo in dubbio la convenienza economica dell’integrazione europea, che avrebbe costi troppo alti per l'adeguamento agli standard imposti da Bruxelles - anche qui però poteva esservi il retropensiero della richiesta di un contributo europeo finalizzato. Immediatamente l'atteggiamento di Gazprom si ammorbidiva, ipotizzando la possibilità di uno scaglionamento nel pagamento dei debiti ucraini per il gas russo.

Il 18 novembre il compromesso russo-ucraino era cosa fatta, e sempre più lontano appariva ormai l’Accordo di associazione di Kiev con l'Unione europea. Il 21 novembre, un nuovo diniego del Parlamento ucraino alla liberazione della Timoshenko rafforzava l'impressione del tramonto della prospettiva di integrazione europea, nonostante le rassicurazioni di Ianukovich in senso contrario.

 Nel frattempo, numerosi attivisti ucraini filoeuropei iniziavano a radunarsi nella piazza Maidan, nel centro di Kiev, per protestare contro la sospensione dell'Accordo di associazione con la UE.

 

L’avvio delle manifestazioni di protesta

La presa di posizione sostanzialmente filorussa del governo ucraino provocava il 24 novembre una grande manifestazione di protesta da parte dei filo-europeisti che a decine di migliaia scendevano in piazza nel cuore della capitale: si verificavano anche dei tafferugli con la polizia quando alcuni dimostranti cercavano di fare irruzione nella sede del governo. La protesta si annunciava di lungo periodo, poiché molti manifestanti montavano delle tende nella piazza Maidan, già simbolo della rivoluzione arancione del 2004; come allora, principale bersaglio dei manifestanti era il presidente Ianukovich, stavolta accusato di aver fatto naufragare in extremis la firma dell'Accordo di associazione con l'Unione europea.

La protesta proseguiva anche il giorno successivo con presìdi nelle piazze Maidan ed Europa, e un migliaio di persone a protestare davanti alla sede del governo, dove si verificavano nuovi scontri con la polizia. I manifestanti ricevevano l'appoggio del leader del partito Udar, il campione di pugilato Vitali Klitschko – tuttora detentore del titolo dei pesi massimi WBC -, che li raggiungeva e li esortava a non abbandonare la lotta fino al raggiungimento dell'obiettivo, ovvero la firma dell'Accordo di associazione con la UE.

Tra i dimostranti  peraltro emergevano anche alcune frange ultranazionaliste del partito Svoboda, che in molti accusano di razzismo, omofobia ed antisemitismo, che adducevano a giustificazione delle proprie reazioni una provocazione delle forze dell'ordine. Nella stessa giornata Iulia Timoschenko annunciava uno sciopero della fame ad oltranza a sostegno dei manifestanti europeisti, che a migliaia tornavano ad affollare le piazze del centro della capitale ucraina.

Il governo di Kiev intanto s'impegnava in una diatriba con l'Unione europea, che aveva disapprovato l'ipoteca russa sulle scelte ucraine, criticando la pochezza degli aiuti che Bruxelles l'avrebbe offerto a Kiev a compensazione dei danni economici che deriverebbero dal peggioramento dei rapporti con Mosca. Secondo il premier ucraino Azarov l'adeguamento agli standard europei costerebbe a Kiev 160 miliardi di euro di investimenti in 10 anni.

 

Il Vertice europeo sul Partenariato orientale del 28-29 novembre e le ripercussioni sulla situazione ucraina

Il 28 e 29 novembre si svolgeva nella capitale lituana Vilnius il previsto vertice tra i 28 Stati membri della UE e i paesi del Partenariato orientale, tra i quali l’Ucraina: diveniva così palese l'impossibilità della firma dell'Accordo di associazione tra Kiev e l’Unione europea, con l’Ucraina impegnata a caldeggiare la necessità di un tavolo a tre con la Russia, nettamente rifiutato dall'Unione europea, che più volte aveva criticato l'ingerenza di Mosca nei rapporti con Kiev.

Inoltre, Bruxelles rifiutava il rilancio ucraino sugli aiuti contestuali all'eventuale firma dell'Accordo di associazione, sia perché le cifre prospettate sarebbero assolutamente esagerate, sia perché comunque sarebbe il Fondo monetario internazionale a fornire la più gran parte delle risorse finanziarie. L’unico risultato per l’Ucraina del vertice di Kiev è stata la firma dell'intesa sullo spazio aereo comune, mentre intanto i manifestanti s'affollavano a migliaia nel centro di Kiev, dando vita anche ad una catena umana in direzione, significativamente, dell'Europa.

Nella notte fra il 29 e il 30 novembre, tuttavia, la polizia procedeva allo sgombero della piazza Maidan, con un deciso uso della forza, provocando decine di feriti e non meno di 35 arresti. Gli Stati Uniti e l’Unione europea condannavano decisamente l'intervento della polizia, mentre la Timoshenko, impegnata nel sesto giorno di sciopero della fame, esortava a continuare la lotta fino all'abbattimento del regime al potere.

Il capogruppo parlamentare della formazione di Iulia Timoshenko, “Patria”, e Vitali Klitschko, dal canto loro, si spingevano a chiedere elezioni presidenziali e legislative anticipate, previe dimissioni del presidente Ianukovich e del ministro dell'interno, nel mentre preparavano uno sciopero generale nel paese. I capi dell'opposizione incontravano anche gli ambasciatori di alcuni paesi dell'Unione europea, proseguendo altresì nella raccolta di firme sulla petizione per chiedere agli Stati Uniti sanzioni personali contro Ianukovich ed i membri del suo governo.

Dal canto suo il presidente Ianukovich  manteneva un atteggiamento apparente equilibrato, richiedendo un'indagine obiettiva sull'intervento della polizia e dicendosi indignato per le violenze. La protesta, comunque, si riorganizzava subito nella capitale, poco distante da piazza Maidan.

 

Le manifestazioni di dicembre

Il 1º dicembre vasti assembramenti di persone si creavano negli spazi antistanti vari palazzi del potere di Kiev: una stima approssimativa quantificava in 400.000 il numero dei manifestanti, prevalentemente riversatisi in piazza Maidan. Il carattere essenzialmente pacifico della manifestazione non impediva violenti scontri con polizia davanti al palazzo presidenziale, con  il ferimento di decine di agenti e dimostranti. Inoltre venivano occupati il municipio di Kiev e la sede dei sindacati. La direzione delle manifestazioni prendeva peraltro le distanze dalle violenze, attribuite a provocatori.

La grande dimostrazione si è svolta a dispetto del divieto di manifestare nelle zone centrali della città imposto nella notte precedente da un tribunale amministrativo ucraino.

Il 3 dicembre il premier Azarov, scusandosi per le violenze dei giorni precedenti, si diceva disposto al dialogo con i manifestanti, ma solo dopo la fine della mobilitazione e soprattutto dell'occupazione di alcuni luoghi chiave della capitale. Peraltro il Parlamento respingeva la mozione di sfiducia al governo, nonostante molte defezioni nei banchi della maggioranza.

A fronte dell'onda montante della contestazione, la Russia concedeva frattanto un rinvio alla primavera 2014 dei pagamenti del gas importato nell'ultimo trimestre del 2013, proseguendo abilmente nel pressing sui Kiev per un prossimo auspicato ingresso nell'unione doganale capeggiata da Mosca. Su un altro versante, quello degli rapporti con l’Alleanza atlantica, l'atteggiamento russo non era meno proattivo, con accuse ai Ministri degli esteri della NATO - che il 3 dicembre avevano auspicato il dialogo tra tutte le parti in causa e condannato l'eccessivo uso della forza – di ingerenza negli affari interni dell’Ucraina.

Nelle stesse ore la stessa Ucraina sembrava peraltro voler continuare a giocare su più tavoli, inviando delegazioni sia a Mosca che a Bruxelles –  e subito dopo Ianukovich si recava in visita a Pechino, sempre in cerca di nuovi finanziamenti.

Nella piazza emergeva intanto progressivamente la figura di Vitali Klitschko come potenziale nuovo leader della contestazione a Ianukovich al posto di Iulia Timoshenko: la figura di Klitschko appariva più capace di conquistare il favore dei manifestanti rispetto al reggente del partito “Patria” Iatseniuk e anche al leader ultranazionalista Tiaghnibok.

Il 5 dicembre anche Iulia Timoschenko rivolgeva agli Stati Uniti e all'Unione europea un pressante appello per l'imposizione di sanzioni personali contro Ianukovich. Per converso, le autorità ucraine imponevano ai manifestanti un ultimatum di cinque giorni per sgomberare il municipio e la sede dei sindacati, e togliere l'assedio di fatto ad alcuni palazzi istituzionali. Ritornando dalla Cina, il presidente Ianukovic trovava Kiev ancora invasa dalle manifestazioni e con i lavori parlamentari bloccati dalle opposizioni.

L'8 dicembre si svolgeva una manifestazione ancora più vasta delle precedenti, sfiorando il mezzo milione di persone, con un massiccio riversamento di nuovo in piazza Maidan. Tra le parole d'ordine dei manifestanti emergeva tuttavia sempre più forte anche la rivendicazione della fine del potere di Ianukovich. Non contribuiva al miglioramento del clima una sorta di avvertimento lanciato dai servizi speciali ucraini, che davano conto di essere impegnati in un'inchiesta sul tentativo di presa del potere da parte di alcuni uomini politici.

Il 9 dicembre centinaia di poliziotti veniva convogliati nelle strade prospicienti la piazza Maidan, iniziando altresì a smontare una parte delle barricate erette vicino alla sede del governo. Intanto però il presidente Ianukovich si diceva favorevole al compromesso, e annunciava di aver accettato la proposta dei suoi tre predecessori Kuchma, Kravciuk e Yushenko per una tavola rotonda nazionale con i rappresentanti dell'opposizione.

Il 10 dicembre, mentre arrivava a Kiev il capo della diplomazia europea Ashton per una missione di due giorni, già al mattino si contavano una dozzina di feriti per gli scontri notturni tra polizia e manifestanti filo europei. Il pressing occidentale era completato dall'arrivo a Kiev nelle stesse ore del sottosegretario agli esteri USA, Victoria Nuland.

A fronte dell'atteggiamento più cedevole di Ianukovich, disposto anche a favorire la scarcerazione dei manifestanti arresta su cui non pesassero gravi accuse, l'opposizione rimaneva assai dura e intransigente, e infatti i suoi rappresentanti non partecipavano alla tavola rotonda organizzata dai tre ex presidenti ucraini - dalla quale peraltro usciva il consiglio di sostituire il premier Azarov e aprire in qualche modo la strada ad una compartecipazione dell'opposizione al governo (in tal senso sembrava pronunciarsi anche il capogruppo parlamentare del Partito Patria, ventilando la possibilità della formazione di un governo tecnico).

Nella nottata tra il 10 e l’11 dicembre reparti di polizia in piazza Maidan, si scontravano con i manifestanti europeisti, ma in breve tempo venivano ricacciati sulle loro posizioni dai dimostranti che si davano poi a rafforzare le barricate. Uguale insuccesso registrava un tentativo delle forze speciali di irrompere nel municipio di Kiev occupato: in questo caso per lo più le teste di cuoio non riuscivano neanche a scendere dai propri blindati, circondati da migliaia di manifestanti.

Il 12 dicembre il Parlamento europeo approvava una risoluzione con l'avallo di tutti gli schieramenti politici, di condanna delle pressioni politiche ed economiche esercitate dalla Russia sull’Ucraina al fine di allontanarla dall'Unione europea. Tra le contromisure preconizzate dall'Europarlamento figura anche la possibilità di ricorsi all’Organizzazione mondiale del commercio per violazione da parte russa delle norme sul commercio internazionali a mero fine di influenza politica.

Circa 200.000 manifestanti rinnovavano le proteste il 15 dicembre riversandosi nella piazza Maidan: alla manifestazione prendeva parte eccezionalmente l'esponente di vertice del Partito repubblicano USA John McCain, che in un discorso ribadiva l'appoggio degli Stati Uniti alla causa filoccidentale ucraina. Nella stessa giornata, nelle vicinanze della piazza Maidan si svolgeva anche una contromanifestazione di appoggio al governo, i cui partecipanti andavano oltre le posizioni dello stesso Ianukovich, dicendosi tutti francamente contrari all'integrazione europea del paese.

 

Le reazioni internazionali all’ondata di proteste

Peraltro, con mossa subito dopo criticata e giudicata inopportuna, il Commissario europeo all'allargamento Stefan Füle sosteneva di non voler prendere in considerazione le eccessive richieste economiche ucraine per firmare l'Accordo di associazione, il quale pertanto era da considerarsi sospeso.

La questione ucraina il 16 dicembre era al centro di un difficile Consiglio dei ministri degli affari esteri UE a Bruxelles, nel corso del quale i contatti con il ministro degli esteri russo Lavrov non portavano ad alcun miglioramento della situazione. Sullo sfondo dell'incontro, peraltro, vi era che la rinnovata tensione creata dall'ammissione russa di aver schierato dei missili nell'exclave russa di Kaliningrad (in territorio europeo, tra Polonia e Lituania), mossa criticata tuttavia dalla NATO, in quanto tale da non contribuire alla sicurezza euroatlantica.

Del resto la Russia rilanciava immediatamente sul piano economico, quando il 17 dicembre a Mosca, durante l'incontro con Ianukovich, Putin annunciava che Mosca avrebbe praticato un forte sconto sul prezzo del gas all’Ucraina, che sarebbe sceso da 400 a 265 dollari per 1000 metri cubi, e avrebbe investito 15 miliardi di dollari in titoli di Stato dell’Ucraina. A completare il regime di favore verso Kiev una serie di accordi in vari settori, volti alla rimozione di ostacoli commerciali che fino a quel momento avevano svantaggiato l’Ucraina.

Alludendo indirettamente ai sacrifici che il Fondo monetario internazionale avrebbe certamente imposto all'Ucraina in cambio di un sostanzioso prestito, Putin poteva affermare che le condizioni di favore accordate a Kiev rientravano nel carattere strategico che il paese riveste per la Russia, al di fuori di ogni specifica condizione. È evidente che eventuali condizioni non sarebbero state comunque rese note in un momento di grande effervescenza della piazza ucraina, poiché avrebbero potuto immediatamente provocare tumulti e disordini.

Nell’immediato la Russia si dimostrava assai più proattiva dell'Unione Europea nel rispondere alle pressanti richieste di assistenza finanziaria di Kiev: in tal senso si esprimeva esplicitamente il premier Azarov, mentre ministro degli esteri di Mosca difendeva con le unghie gli accordi del giorno precedente, criticando il nuovo tentativo occidentale di premere sull’Ucraina nonostante li avesse appena firmati.

 

Verso una escalation delle violenze. Il pacchetto di provvedimenti anti-opposizione

Dopo un periodo di apparente calma, i disordini in Ucraina si riaccendevano a partire dagli scontri della notte tra 10 e 11 gennaio nei pressi di un tribunale della capitale, con il ferimento sia di agenti che di dimostranti. Nella circostanza pativa una commozione cerebrale l'ex ministro dell'interno del gabinetto Timoshenko, Iuri Lutsenko.

Gli scontri erano stati cagionati dalla condanna a sei anni di carcere di tre nazionalisti, ma facenti parte dello schieramento di destra antigovernativo, con l'accusa di aver progettato di far saltare in aria una statua di Lenin. Il 12 gennaio 50.000 persone tornavano ad affollare la piazza Maidan e a richiedere a USA e UE sanzioni personali contro i membri del governo.

Il 16 gennaio si verificava una svolta capace di innescare un ulteriore escalation negli scontri: il Parlamento ucraino, in una forma irrituale priva di dibattito e per alzata di mano – al fine di superare l’ostruzionismo attivo delle opposizioni -, approvava prima la legge di bilancio, e poi un pacchetto di provvedimenti evidentemente rivolti a colpire le opposizioni di piazza, come ad esempio quelli contro gli attacchi a monumenti sovietici, ovvero l'inasprimento delle pene per disordini di piazza e occupazione di edifici pubblici, come anche per chi allestisce tende senza autorizzazione in un'area pubblica e per chi manifesta a volto coperto. Veniva inoltre deciso di conferire alle organizzazioni non governative finanziate dall'estero lo status di agenti stranieri.

Tra il 19 e il 20 gennaio la protesta europeista dilagava nuovamente nel centro di Kiev, e anche nel resto del paese: gli scontri nella capitale provocavano circa 150 feriti, equamente divisi tra poliziotti e manifestanti. Le violenze erano scoppiate nella serata del 19 gennaio con l'attacco da parte di alcune migliaia di dimostranti a cordoni di polizia che difendevano alcuni palazzi istituzionali.

L'opposizione al governo in carica condannava le violenze e cercava di distinguersene, ma in un tentativo invero piuttosto debole, poiché i protagonisti degli scontri con le forze dell'ordine erano parecchie migliaia. L'eterogeneità delle forze di opposizione si mostra proprio in questi imbarazzi degli elementi più moderati, che però si trovano del tutto d'accordo con i facinorosi nella condanna irrevocabile delle recenti leggi giudicate liberticide - entrate in vigore comunque alla mezzanotte del 21 gennaio.

Proprio in concomitanza dell’entrata in vigore delle leggi restrittive sulle manifestazioni di piazza si registravano i primi morti della vicenda ucraina degli ultimi mesi: infatti il 22 gennaio veniva ammessa dalle autorità il decesso di almeno due manifestanti, mentre per gli oppositori erano almeno cinque, nella prosecuzione degli scontri iniziati 19 gennaio.

Il 23 gennaio Ianukovich annunciava una seduta straordinaria del Parlamento per il 28 gennaio per esaminare le eventuali dimissioni del governo Azarov e l'abrogazione delle leggi contro le proteste approvate una settimana prima. Nulla veniva invece concesso all'opposizione per quanto riguarda l'eventuale anticipo delle elezioni presidenziali e legislative. Il negoziato apparentemente apertosi si chiudeva subito con la delusione dell'opposizione, cui veniva prospettata solo la liberazione dei 75 dimostranti arrestati dopo il 19 gennaio.

Nella piazza si riaccendeva la violenza, e sull'onda del movimento di protesta veniva formulata dal presidente Ianukovich una clamorosa proposta alle opposizioni, ovvero quella di sostituire Azarov alla guida del governo, occupando i posti di premier e di vicepremier. Per quanto concerne le leggi liberticide recentemente approvate, e l'anticipo delle elezioni presidenziali legislative, la posizione Ianukovich e delle autorità di Kiev si manteneva tuttavia contraria.

 

La diffusione della contestazione nel Paese ed il fallimento dei negoziati 

Frattanto si assisteva al dilagare della rivolta in tutto il paese, con particolare violenza nella parte occidentale, maggiormente filoeuropea e di lingua ucraina, ove nell'arco di poche ore i palazzi del potere erano nelle mani dei manifestanti in 14 delle 25 regioni, e la polizia talvolta si schierava addirittura dalla parte degli occupanti. Nella capitale venivano occupati il Ministero dell’energia e quello dell'agricoltura. Il grave problema dell'occupazione di palazzi istituzionali induceva Ianukovich a promettere un’amnistia per tutti i partecipanti alle proteste in cambio dello sgombero, ma anche una revisione costituzionale per ridurre poteri presidenziali e tornare sostanzialmente a una forma di parlamentarismo.

Il 26 gennaio, dopo il rifiuto dell'opposizione della proposta di assumere la guida del governo – che in presenza di un Parlamento favorevole a Ianukovich non avrebbe avuto alcun significato concreto -, l'Ucraina appariva davvero sull'orlo della guerra civile, mentre nelle regioni sudorientali russofone e vicine a Mosca si cominciava a prospettare la possibilità di dare vita ad uno Stato federativo legato alla Russia. Intanto l’occupazione del Ministero della giustizia nella capitale, successivamente sgomberato dalle forze di polizia, rendeva chiaro come le istituzioni fossero completamente incapaci di controllare il proliferare delle manifestazioni.

Segnali di un rientro dalla escalation di violenze che sembravano fuori controllo si avevano il 27 ed il 28 gennaio: infatti - dopo il raggiungimento di un accordo di massima tra governo e opposizione per l'abrogazione delle contestate leggi antiproteste e per un'amnistia ai dimostranti in cambio dell’abbandono definitivo delle piazze e dei presidi o occupazioni di palazzi istituzionali - il 28 gennaio si registravano le dimissioni del premier Azarov, dallo stesso presentate quale gesto volto a facilitare il raggiungimento di un compromesso per il bene del paese.

Nella stessa giornata la Rada, il Parlamento ucraino, abrogava effettivamente le leggi antiprotesta, facendo seguito agli accordi del giorno precedente.

Il clima di distensione proseguiva apparentemente nella tarda serata del 29 gennaio, quando il Parlamento approvava una legge di amnistia nei confronti dei manifestanti nei giorni precedenti, subordinando l'applicazione di essa, tuttavia, allo sgombero degli edifici pubblici e delle strade e piazze occupati. Le opposizioni in Parlamento si astenevano nel voto sull'amnistia, in quanto avrebbero desiderato che il provvedimento di clemenza fosse emanato senza alcuna condizione.

In realtà, nell'atteggiamento delle opposizioni traspariva l'intenzione di fondo di costringere all'abbandono del potere il presidente Ianukovich, aprendo la strada ad elezioni legislative presidenziali anticipate. dalla parte opposta, invece, il consigliere presidenziale di Putin Serghiei Glaziev ammoniva le autorità ucraine a far fronte con fermezza alla ribellione, pena l’affermazione del caos totale nel paese.

Sul versante internazionale, alla conferenza annuale sulla sicurezza di Monaco di Baviera il segretario di Stato USA John Kerry incontrava alcuni leader dell'opposizione ucraina, schierandosi apertamente dalla loro parte, quali attori di un futuro democratico ed europeo del paese. Del tutto contraria la presa di posizione del ministro degli esteri russo Lavrov, che invitava l'Unione europea e gli Stati Uniti a condannare piuttosto le violenze degli insorti.

Frattanto la situazione economica del paese peggiorava costantemente: va ricordato che il 28 gennaio l’agenzia Standard and Poor’s aveva ulteriormente declassato il rating finanziario dell’Ucraina, e ai primi di febbraio il debito contratto con la Russia per l'acquisto del metano aveva raggiunto 3,35 miliardi di dollari - nonostante il forte sconto concesso dai russi a dicembre.

Proprio dai russi venivano peraltro pesanti accuse verso gli Stati Uniti: il già citato consigliere Glaziev, in un'intervista ad un quotidiano russo, sosteneva il coinvolgimento americano in tentativi di colpo di Stato a Kiev, quantificando addirittura in 20 milioni di dollari a settimana i finanziamenti ai ribelli, che verrebbero anche riforniti di armi. Glaziev, inoltre, si esprimeva favore di una trasformazione federale dell’Ucraina, che parrebbe l'anticamera di un maggior controllo di Mosca sulle regioni sudorientali e prevalentemente russofone del paese.

Intanto il Parlamento europeo richiedeva sanzioni rapide e mirate contro funzionari, parlamentari e oligarchi loro sostenitori ritenuti responsabili della dura repressione delle manifestazioni in Ucraina.

Il 14 febbraio la scarcerazione di 234 manifestanti antigovernativi arrestati nelle ultime settimane in tutto il paese sembrava porre le basi di un ulteriore allentamento delle tensioni: tuttavia, le opposizioni manifestavano scontento in relazione alla trasformazione della detenzione in arresti domiciliari per molti detenuti, il cui destino giudiziario in definitiva dipende dall'applicazione dell'amnistia, che però è condizionata allo sgombero dei presidi dei manifestanti.

Nondimeno, il 16 febbraio il Procuratore generale ucraino annunciava il soddisfacimento delle condizioni per l'applicazione della legge di amnistia per i manifestanti antigovernativi: l'annuncio veniva in serata, dopo che era stato sgomberato pacificamente il municipio di Kiev e altrettanto pacificamente consentito l'abbattimento di una parte delle barricate erette nella capitale ucraina. Uguale scenario si svolgeva nei palazzi del potere regionale a Leopoli, Ternopil, e Poltava.

 

La ripresa degli scontri di piazza

A questo punto ciò che veramente sembrava ancora animare le opposizioni era la richiesta di elezioni presidenziali e legislative anticipate, parallelamente ad una riforma costituzionale per limitare i poteri del Capo dello Stato. Proprio queste aspirazioni dell'opposizione devono essere state alla base della ripresa abbastanza imprevista, il 18 febbraio, di violenti scontri con un elevato numero di vittime. Le violenze iniziavano in mattinata quando la polizia impediva a migliaia di dimostranti di avvicinarsi al Parlamento, ove era prevista la discussione dell’auspicata riforma costituzionale. Gli scontri ivi divampati si propagavano presto in altri punti della città, ma erano particolarmente violenti proprio davanti al Parlamento. Negli scontri sembra che anche gli insorti abbiano fatto uso di armi da fuoco.

La situazione si aggravava in serata, quando intorno alle 19 ora italiana le forze dell'ordine iniziavano lo sgombero della piazza Maidan. Corredavano il quadro la rioccupazione del municipio di Kiev e l'uccisione di un impiegato del Partito delle regioni di Ianukovich, morto in seguito a un attacco a colpi di bottiglie molotov alla sede del partito. Altre violenze venivano segnalate nella roccaforte occidentale dell'opposizione nazionalista, Leopoli, prossima al confine polacco.

La mattina del 19 febbraio registrava un'ulteriore aggravamento del bilancio dei morti, salito ormai ad almeno 25, mentre anche nella parte occidentale del paese si allargava la protesta – a Leopoli venivano assaltate la sede della polizia e quella dei servizi speciali, nonché un deposito militare; a Ternopil veniva attaccato a colpi di molotov un commissariato di polizia.

Nella capitale, sovrastata da colonne di fumo proveniente dalla piazza Maidan e anche dal palazzo dei sindacati (divenuto una sorta di quartiere generale dell'opposizione), le autorità procedevano a chiudere la metropolitana e le scuole. In questo contesto si levava con forza la voce della Russia, per denunciare un tentativo di colpo di Stato da parte delle forze estremiste dell'opposizione, sostenute, secondo Mosca, irresponsabilmente dai paesi occidentali. Tra le vittime degli scontri del 18 e 19 febbraio figurano 10 poliziotti, 1 giornalista due militanti del partito al governo, mentre la restante metà si presume siano manifestanti antigovernativi. L'elevato numero di vittime tra le forze di polizia sembra indirettamente dimostrare l'uso di armi da fuoco anche da parte dei manifestanti, o meglio di alcune frange più estremiste di essi.

Nella stessa giornata del 19 febbraio, reagendo a voci del ministero della difesa ucraino di un possibile intervento del forze armate nella crisi, il segretario generale della NATO Rasmussen invitava con forza il governo di Kiev ad astenersi da ulteriori violenze contro i manifestanti, e soprattutto dall'impiego delle forze armate, che comprometterebbe seriamente i rapporti con l'Alleanza atlantica. Dal canto loro gli Stati Uniti decidevano di includere 20 alti funzionari ucraini, ritenuti responsabili delle violenze degli ultimi giorni a Kiev, in un elenco di persone non gradite negli USA, negando quindi loro il visto di ingresso.

La mattina del 20 febbraio vedeva riaccendersi i combattimenti nel centro di Kiev, con le forze dell'ordine costrette nuovamente ad arretrare dalle posizioni appena riconquistate in piazza Maidan, mentre venivano evacuati i palazzi del parlamento e del governo. La giornata si rivelava poi assolutamente tragica, e in serata si contavano decine di morti e centinaia di feriti, la maggior parte per colpi di arma da fuoco. In mattinata intanto i ministri degli esteri di Germania, Polonia e Francia avevano incontrato a Kiev il presidente Ianukovich e tre leader moderati dell’opposizione di piazza, nell’attesa del Consiglio straordinario dei ministri degli esteri della UE, che poche ore dopo decideva di procedere con rapidità all'interdizione dei visti e al blocco delle attività finanziarie nel territorio europeo nei confronti di quanti in Ucraina si siano resi responsabili di violenze in relazione agli scontri in corso.

Il Consiglio straordinario stabiliva altresì l’embargo verso l’Ucraina dei prodotti in qualche modo utilizzabili per la repressione contro i manifestanti. Ianukovich veniva indicato quale primo responsabile della tragica situazione del paese, la quale non mancava di riflettersi anche sulla delegazione ucraina alle Olimpiadi invernali di Sochi, ove solo la mediazione del prestigioso presidente del comitato olimpico nazionale Serghiei Bubka scongiurava il ritorno in patria di metà degli atleti ucraini.

Il 21 febbraio, dopo negoziati-fiume tra la UE – rappresentata dai tre ministri degli esteri -, la Russia e le parti in lotta, veniva raggiunto un accordo per porre fine alle violenze, incentrato sulla convocazione di nuove elezioni presidenziali entro il 2014, precedute da una riforma costituzionale volta a ridurre i poteri del capo dello Stato e dalla formazione di un governo di unità nazionale.

Inoltre il parlamento ucraino approvava un’amnistia senza condizioni per tutti i dimostranti e procedeva a rimuovere il ministro dell’interno Zakharcenko, evidentemente responsabile della gestione dell’ordine pubblico nei giorni precedenti. Modifiche al codice penale prontamente apportate miravano di tutta evidenza a scagionare Iulia Timoschenko dalle accuse che la tenevano in carcere, rendendone possibile la liberazione. Questi atti del parlamento venivano facilitati dal progressivo assottigliarsi della rappresentanza parlamentare del Partito delle regioni del presidente Ianukovich, con numerose defezioni.

Alcuni gruppi di opposizione, come Euromaidan, non firmavano tuttavia l’accordo, e rilanciavano con la richiesta di immediate dimissioni di Ianukovich.

Significativo l’atteggiamento della Russia, che in qualche modo ha mirato a tenersi le mani libere non sottoscrivendo l’accordo, ma nel contempo sottolineando di vedere con favore il raggiungimento di un compromesso – posizione confermata da Putin in un colloquio telefonico del giorno successivo con Barack Obama. Del resto la Russia continua ad agire anche sul piano delle potenti leve economiche di cui dispone nei confronti di Kiev.  Il 21 febbraio infatti il ministro russo delle finanze Siluanov dichiarava che Mosca non avrebbe erogato la tranche di 2 miliardi di dollari – parte dei 15 miliardi promessi all’atto della rinuncia ucraina all’Accordo di associazione con la UE -, in considerazione della precaria situazione finanziaria dell’Ucraina e dell’incertezza politica a Kiev, che potrebbe far giungere gli aiuti in mani indesiderate dalla Russia.

A conferma dei timori russi va comunque ricordato l’ulteriore declassamento del rating finanziario ucraino da parte di Standard & Poor’s, appena un gradino sopra il livello di default, in conseguenza del quale la più importante banca russa, la Sberbank, sospendeva l’erogazione di prestiti personali in Ucraina. Ancor più preoccupante rimane, sullo sfondo, l’ipotesi di un intervento militare nella crisi ucraina, che fonti russe di alto livello avrebbero ventilato in caso di spaccatura del paese, anzitutto per “proteggere” la penisola di Crimea, a maggioranza russa, storicamente legata a doppio filo a Mosca e nella quale i russi mantengono tuttora la base navale di Sebastopoli.

 

La caduta di Ianukovich

Il 22 febbraio, mentre il suo fedelissimo Ribak, presidente del Parlamento, si dimetteva, Ianukovich aveva già lasciato la capitale per recarsi a Kharkiv, nella parte orientale dell’Ucraina, a lui più favorevole. Nel giro di pochi minuti l’impressione di una clamorosa caduta del presidente si spargeva a Kiev, e i dimostranti, oltre a occupare il palazzo presidenziale, facevano irruzione nella sontuosa residenza di Ianukovich nei dintorni della capitale.

Intanto Oleksandr Turcinov, ex braccio destro della Timoshenko e già capo dei servizi segreti ucraini, veniva eletto nuovo presidente del parlamento, dopo che nella stessa sede i capi delle opposizioni avevano chiesto elezioni presidenziali entro il 25 maggio. Il parlamento approvava tale richiesta, e per di più dichiarava decaduto Ianukovich per aver violato i diritti umani nel corso della repressione dei giorni precedenti.

Di fronte a questi sviluppi Ianukovich, intervistato da una televisione locale, denunciava un colpo di Stato in atto, perpetrato a suo dire da banditi e vandali: l’Ucraina sarebbe come la Germania del 1933, ma il presidente non si sarebbe dimesso né avrebbe lasciato il paese.

Nel pomeriggio si diffondeva la notizia della liberazione di Iulia Timoshenko, che lasciava in automobile l’ospedale di Kharkiv dove era ricoverata da detenuta. Giunta a Kiev, in serata veniva accolta trionfalmente nella piazza Maidan, dove, ancora su una sedia a rotelle, proclamava la “fine della dittatura” ed esortava i manifestanti a non smobilitare fino alla fine della liberazione del paese.

Il 23 gennaio il ministro dell’interno ad interim Avakov annunciava la liberazione di 64 manifestanti arrestati nei giorni precedenti, nonché l’avvio di un’inchiesta sulle violenze della polizia contro i manifestanti. Il Parlamento  nominava il proprio presidente Turcinov capo dello Stato ad interim.

Intanto il partito delle Regioni assecondava questi sviluppi indicando Ianukovich e i suoi più stretti collaboratori come responsabili delle violenze di Kiev, oltre che di malversazioni, tradendo di fatto il paese.

Le preoccupazioni in ordine a un possibile dissolvimento dell’Ucraina, con i connessi pericoli di intervento armato russo, venivano alimentate dalle voci di una mobilitazione di massa dei russofoni di Crimea che starebbero organizzando brigate popolari contro le nuove autorità di Kiev, mentre manifestazioni a Sebastopoli le accusavano apertamente di fascismo e di voler privare i russi in Ucraina dei loro diritti e della cittadinanza.

 

 


Selezione di pubblicistica