Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: La crisi politica in Egitto - Scheda di sintesi e selezione di pubblicistica
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 37
Data: 08/07/2013
Descrittori:
EGITTO     
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari
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Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

La crisi politica in Egitto

Scheda di sintesi
e selezione di pubblicistica

 

 

 

 

 

 

n. 37

 

 

 

8 luglio 2013

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipar timento Affari esteri

( 066760-4939 / 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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File: es0059.doc

 


INDICE

 

Scheda di sintesi

L’evoluzione del quadro politico egiziano: dall’elezione di Mohamed Morsi al colpo di Stato militare  3

§      L’elezione di Morsi alla Presidenza. Lo scontro tra le istituzioni elettive e quelle giurisdizionali. Il sostegno statunitense alla nuova presidenza egiziana. Il nuovo esecutivo di Hisham Kandil 3

§      Gli attacchi terroristici nel Sinai coinvolgono l’Egitto. Ricambio dei vertici militari. Attivismo diplomatico di Morsi 9

§      L’accordo con il Fondo monetario internazionale. Il nuovo progetto di Costituzione. Ripresa delle manifestazioni di piazza  13

§      L’acutizzazione dello scontro. Progressivo isolamento di Morsi 17

§      Il golpe militare del 3 luglio  20

Selezione di pubblicistica

§      AA.VV. ‘L’Egitto e i suoi fratelli’, in: Limes, 1 febbraio 2013  27

§      G. Sapelli ‘Gli stormi di primavera’, in: Equilibri, n. 1/2013  27

§      N. Abdalla ‘Egypt’s Revolutionary Youth’, in: SWP Comments, marzo 2013  27

§      M. el Fegiery ‘The ‘New Liberals’: can Egypt’s civil opposition save the revolution?’, in: Policy Brief, n. 155/aprile 2013  27

§      M. Campanini ‘Le rivolte arabe verso un nuovo modello politico?’, in: Il Mulino, n. 2/2013  27

§      A. Meringolo ‘Al-Azhar e lo scacchiere politico egiziano’, in: Il Mulino, n. 2/2013  27

§      G. Lenzi e A. Ianni ‘L’Egitto cerniera dell’Islam politico’, in: Affari esteri, n. 169/2013  27

§      L. Gambardella ‘Da Tahrir a Port Said, l’Egitto va verso la guerra civile’, in: Limes, 19 marzo 2013  27

§      A. Meringolo ‘Lotta di potere in Egitto’, in: www.affarinternazionali.it , 3 maggio 2013  27

§      L. Gambardella ‘L’immobilismo di Obama in Egitto è un mito da sfatare’, in: Limes, 11 giugno 2013  27

§      F. Zoja ‘Morsi un anno dopo: l’Egitto ancora in piazza Tahrir’, in: Commentary ISPI, 17 giugno 2013  27

§      A. Meringolo ‘Egitto alla resa dei conti’, in: www.affarinternazionali.it 27

§      J. M. Sharp ‘Egypt: Background and U.S. Relations’, in: Congressional Research Service Report for Congress, 27 giugno 2013  27

§      A. Plebani ‘L’Egitto con il fiato sospeso’, in: Commentary ISPI, 28 giugno 2013  27

§      Zaid Al-Ali ‘L’attivismo giudiziario della Corte costituzionale egiziana’, in: www.affarinternazionali.it,1 luglio 2013  27

§      S. M. Torelli ‘Militari e politica: è questo il ‘modello turco’ per l’Egitto?, in: Commentary ISPI, 2 luglio 2013  27

§      G. Cuscito e Niccolò Locatelli ‘L’Egitto, l’ultimatum a Morsi e le riolte di piazza Tahrir’, in: Limes, 3 luglio 2013  27

§      H. Ghanem ‘Where is Egypt Heading?’, in: www.brookings.edu, 3 luglio 2013  27

§      B. Momani ‘ The Myth of Political Islam has been Exposed in Egypt’, in: www.brookings.edu, 3 luglio 2013  27

§      J. Laurence ‘Turkey, Tunisia and Egypt: Dismantling the Islam State?’, in: www.brookings.edu, 3 luglio 2013  27

§      ’Egypt: Military Coup Bodes Ill for Future Stability’, in: www.stratfor.com, 3 luglio 2013  27

§      Egypt’s Atypical Military Coup’, in: www.stratfor.com, 3 luglio 2013  28

§      T. Cofman Wittes ‘Six Thoughts on Egypt’s Revolutionary Coup’, in: www.brookings.edu, 4 luglio 2013  28

§      A. Accorsi ‘Dopo il golpe, l’Egitto può ancora salvarsi’, in: Limes, 4 luglio 2013  28

§      A. Meringolo ‘L’Egitto ricomincia da tre’, in: www.affarinternazionali.it, 4 luglio 2013  28

§      U. Tramballi ‘La vera sfida rimane l’economia’, in: ISPI Commentary, 4 luglio 2013  28

§      G. Acconcia ‘La rivincita delle opposizioni: laiche, giovanili, nasseriste e ancora frammentate’, in: ISPI Commentary, 4 luglio 2013  28

§      S. Khalifa Isaac ‘In Egypt it is not a Cup: Egyptians Restore their Destiny’, in: ISPI Commentary, 4 luglio 2013  28

§      M. Campanini ‘La fratellanza ha perduto la sua occasione’, in: ISPI Commentary, 4 luglio 2013  28

§      A. Sanguini ‘Il realismo americano alla prova dell’Egitto’, in: ISPI Commentary, 4 luglio 2013  28

§      G. P. Calchi Novati ‘Modernità coloniale’, ISPI Commentary, 4 luglio 2013  28

§      ’Egypt’s Army Statement’, in: The Guardian/Al Jazeera, 4 luglio 2013  28

§      F. Paci ‘L’esercito egiziano si prende gli onori, ma non l’onere di governare’, in: ISPI Commentary, 5 luglio 2013  28

§      G. Musso ‘L’islamismo non è morto al Cairo’, in: ISPI Commentary, 5 luglio 2013  28

§      V. Talbot ‘Cheers dal Golfo per l’Egitto’, in: ISPI Commentary, 5 luglio 2013  28

§      A. Meringolo ‘Egitto: il golpe morbido’, in: www.aspeninstitute.it, 5 luglio 2013  28

§      L. Caracciolo ‘Il rebus arabo’, in: Limes, 5 luglio 2013  28

§      M. Hamam ‘Ve lochiedono gli egiziani: non chiamatelo golpe’, in: Limes, 5 luglio 2013  28

§      R. Menotti ‘Il ruolo chiave dei militari egiziani’, in: www.aspeninstitute.it, 5 luglio 2013  28

§      M. Lombardi ‘Dall’Egitto prove cruciali per democrazia e terrorismo’, in: ISPI Commentary, 8 luglio 2013  28

§      D. Billion ‘Coup d’Etat en Egypte: nouvelle séquence du processus révolutionnaire’, in: www.affaires-strategiques, 8 luglio 2013  28

§      E. Ardemagni ‘Il Sinai fuori controllo’, in: ISPI Commentary., 8 luglio 2013  28

§      A. Martines ‘Egitto: un paese diviso davanti a un bivio’, in: ISPI Commentary, 8 luglio 2013  29

§      ’Egypt after Morsi – Background’, in: ISPI dossier, luglio 2013  29

 

 

 

 

 


Scheda di sintesi

 


L’evoluzione del quadro politico egiziano: dall’elezione di Mohamed Morsi al colpo di Stato militare

L’elezione di Morsi alla Presidenza. Lo scontro tra le istituzioni elettive e quelle giurisdizionali. Il sostegno statunitense alla nuova presidenza egiziana. Il nuovo esecutivo di Hisham Kandil

Nell’imminenza delle elezioni presidenziali, un primo banco di prova per i nuovi equilibri politici era rappresentato dalla sentenza definitiva (2 giugno 2012) contro Hosni Mubarak per la morte di oltre 800 manifestanti nel corso della rivoluzione che poi aveva condotto alla sua caduta l'11 febbraio 2011: nonostante la richiesta della pena capitale da parte dell'accusa, la Corte d'assise del Cairo condannava Mubarak all'ergastolo, e la stessa sorte era riservata al suo ex ministro dell'interno el-Adly.

Violente contestazioni erano scatenate già in aula ai seguito della restante parte della pronuncia della Corte d'assise, che assolveva sei collaboratori di el-Adly per insufficienza di prove e, soprattutto, giudicava prescritti i reati di corruzione e abuso di potere che erano stati contestati ai due figli di Mubarak Gamal e Alaa.

Va peraltro rilevato che all'inizio di settembre del 2012 il ministro egiziano del Tesoro Mahsoub criticava l'atteggiamento del Regno Unito, nel cui territorio a suo dire non risultava interamente applicato il congelamento decretato dalle nuove autorità del Cairo nei confronti di beni di un valore di circa 85 milioni appartenuti a Mubarak, alla moglie, ai figli e a una quindicina di loro soci: Mahsoub lamentava in particolare l’atteggiamento dilatorio delle competenti autorità britanniche, consistente nella continua richiesta di ulteriori informazioni, laddove i beni oggetti di contesa si trovavano evidentemente fuori della portata delle autorità egiziane.

La sentenza - mentre Mubarak nel tragitto per rientrare nella prigione di Tora veniva ancora una volta colto da crisi cardiaca - scatenava l'ira di migliaia di manifestanti in Piazza Tahrir. Va però rilevato il significativo comunicato delle Forze armate, che annunciavano la propria opposizione al sabotaggio della democrazia, a qualsiasi prezzo. Mentre la mobilitazione in Piazza Tahrir  proseguiva anche il 3 giugno, la Procura generale egiziana annunciava ricorso in Cassazione contro i verdetti del 2 giugno, che le manifestazioni in corso giudicavano troppo indulgenti e profondamente segnati dall’impronta del passato regime. Nei giorni successivi la mobilitazione di piazza registrava una progressiva convergenza di tutte le anime uscite dalla rivoluzione contro la candidatura di Shafik nell’imminente ballottaggio per le presidenziali – e sottotraccia contro i militari - sempre invocando inoltre un nuovo processo per Mubarak ed il suo entourage.

Nonostante l’ultimatum posto dai militari, poi, il processo per l’elezione in Parlamento di una nuova Assemblea costituente – dopo l’annullamento della precedente per la preponderanza in essa degli islamisti – segnava a lungo il passo, riflettendo soprattutto l’opposizione irriducibile tra partiti laici e maggioranza islamista, per poi sfociare il 12 giugno nell’elezione di un’Assemblea in cui il peso dei membri parlamentari rimaneva di poco superiore al cinquanta per cento, mentre si aprivano spazi per la minoranza cristiano-copta, le donne, i giovani e vari esponenti della società civile.

Dopo soli due giorni, tuttavia, anche la nuova Assemblea costituente era messa in questione dalla clamorosa invalidazione dei risultati delle consultazioni politiche da parte della Corte costituzionale, conseguente all’accoglimento di ricorsi riguardanti la parte maggioritaria del voto legislativo - conclusosi dopo una lunga procedura in febbraio -: questa infatti, originariamente prevista per i soli candidati indipendenti, era stata poi anch’essa aperta a candidati partitici.

L’annullamento del voto nella parte maggioritaria ha poi avuto effetto, con il successivo decreto del Consiglio supremo militare, sull’intera consultazione elettorale, rendendo indispensabile una nuova sessione elettorale legislativa. Nella stessa giornata del 14 giugno la Corte costituzionale ha anche in via definitiva bocciato la legge a suo tempo approvata dal Parlamento per impedire la candidabilità agli ex esponenti del regime di Mubarak, con l’intento esplicito di sbarrare la strada della Presidenza ad Ahmed Shafik. Nonostante la rilevanza di questi verdetti, che hanno comunque fatto gridare al golpe da parte della maggioranza parlamentare islamica, le reazioni sono state piuttosto contenute.

Il 17 giugno, con le urne per il ballottaggio delle presidenziali ormai in chiusura, la televisione pubblica egiziana annunciava l’adozione di una Dichiarazione costituzionale da parte del Consiglio militare, volta ad integrare il testo approvato in marzo con referendum: la Dichiarazione, resasi necessaria per la difficoltà di redigere una nuova Costituzione a causa della tormentata vicenda dell’Assemblea costituente, definiva i poteri del Presidente nei termini della nomina del Primo ministro e dei ministri e della convocazione delle elezioni, mentre ai militari, in assenza del Parlamento, restavano i poteri legislativi e di bilancio.

L’intervento normativo dei militari riguardava altresì i criteri per la formazione di una nuova Assemblea costituente, il che significava l’affossamento anche di quella eletta il 12 giugno – che invece si riuniva il 18 giugno eleggendo al proprio vertice il presidente del Consiglio supremo della magistratura egiziana, Hossam el-Gheriyani, mentre i Fratelli musulmani accentuavano la loro opposizione al recente scioglimento del Parlamento. Nella serata del 18 giugno, poi, il maresciallo Tantawi annunciava la formazione di un Consiglio militare di difesa, destando ulteriore contrarietà nel composito fronte che temeva il ritorno, attraverso i militari, di gran parte del regime di Mubarak.

Il 19 giugno, mentre sembrava delinearsi sempre più chiaramente la vittoria nelle presidenziali di Mohamed Morsi, tutte le componenti politiche egiziane contrarie al passato regime hanno marciato nella capitale contro lo scioglimento del Parlamento e la nuova Dichiarazione costituzionale, e tra di esse anche i Fratelli musulmani e i salafiti.

Per la proclamazione ufficiale del risultato delle elezioni presidenziali si è però dovuto attendere una settimana, durante la quale, se cresceva la tensione della mobilitazione permanente di Piazza Tahrir, saliva altrettanto progressivamente l'attesa dei Fratelli musulmani per la vittoria del loro candidato Mohammed Morsi. Tutto ciò avveniva nel contesto di una grande diffidenza della piazza verso l’atteggiamento delle forze armate, sospettate di manovrare – e la prova sarebbero stati lo scioglimento del Parlamento e la conseguente avocazione al Consiglio militare dei poteri legislativi – in modo da non giungere al previsto abbandono del potere a fine giugno.

Ciò allarmava tutti i gruppi favorevoli alla prosecuzione del processo democratico avviato con la caduta di Mubarak. In tal modo i giorni precedenti la proclamazione della vittoria di Morsi hanno visto convergere ancora di più le diverse anime della rivoluzione egiziana, una mossa servita ai Fratelli musulmani anche per smentire le voci di un accordo sotterraneo con i militari che non toccasse le prerogative da essi recentemente avocate, in cambio del riconoscimento della vittoria di Morsi. Segnali di sempre maggiore tensione nelle forze armate hanno accompagnato questo compattamento delle forze rivoluzionarie, fino a che il 24 giugno si è avuta la proclamazione ufficiale della vittoria di Morsi, che ha conquistato il 51,73 per cento dei voti, contro il 48,27 di Shafik: tuttavia non si è attenuata la tensione con i militari in ordine al Parlamento disciolto e alle modifiche alla Dichiarazione costituzionale con le quali se ne erano attribuiti i poteri.

Le reazioni internazionali all'elezione di Morsi al vertice dell'Egitto sono state generalmente favorevoli, sia da parte dei paesi occidentali - che hanno posto l'accento soprattutto sugli aspetti di completamento del processo democratico - sia da parte di paesi arabi e mediorientali, incluso l'Iran, con il quale l’Egitto non aveva più relazioni diplomatiche dal 1980, cioè dalla vittoria della rivoluzione khomeinista.

La vittoria di Morsi è stata salutata con grande entusiasmo a Gaza, retta da Hamas, che deriva proprio da una componente della Fratellanza egiziana; ma anche dal Consiglio nazionale siriano in lotta contro il regime di Assad. Più sfumata è stata, comprensibilmente, la posizione di Israele, il cui premier Netanyahu esprimeva apprezzamento per il processo democratico egiziano e rispetto per l'esito di esso, non omettendo tuttavia di accennare alle aspettative israeliane di poter proseguire la cooperazione con l'Egitto sulla base degli accordi di pace fra i due paesi - che peraltro Morsi, subito dopo la proclamazione della sua vittoria, affermava di voler continuare ad onorare.

Gli Stati Uniti, in particolare, si sono congratulati con il popolo egiziano per l’importante risultato democratico raggiunto con l'elezione del nuovo presidente, richiamando però parallelamente alla necessità del rispetto dei diritti delle donne e delle minoranze religiose, prima fra tutte quella dei cristiano-copti.

Nei primi giorni successivi all’elezione di Morsi, dopo qualche tensione, la questione del giuramento veniva sciolta il 29 giugno in Piazza Tahrir, ove con un discorso di ampia portata e con diversi ammiccamenti populistici il neopresidente faceva scaturire proprio dalla piazza la propria investitura; e sul piano formale il 30 giugno, giurando innanzi alla Corte costituzionale come richiesto dai militari, il cui capo, il maresciallo Tantawi, rispettava la previsione del passaggio dei poteri al nuovo presidente – poteri al momento peraltro attenuati dall’aggiunta alla Dichiarazione costituzionale adottata poco prima della chiusura dei seggi per il ballottaggio delle presidenziali.

I giorni seguenti hanno visto una serie di colpi di scena istituzionali, a partire dal decreto dell'8 luglio con il quale il neopresidente Morsi annullava la decisione del Consiglio supremo militare del 15 giugno che - sulla base della sentenza della Corte costituzionale che aveva annullato l'elezione di un terzo dei parlamentari - si era spinto fino a decretare lo scioglimento dell'intero Parlamento.

La reviviscenza dell'Assemblea del popolo, peraltro, veniva limitata fino alle elezioni parlamentari che avrebbero dovuto tenersi entro due mesi dall'approvazione della nuova Costituzione - anche qui tuttavia veniva messa in dubbio la legittimità dell'Assemblea di 100 componenti riunitasi per la prima volta il 18 giugno, in quanto a sua volta designata dall’Assemblea del popolo sciolta subito dopo. Pur con la limitazione ricordata, la decisione di Morsi apriva una prova di forza, con la Corte costituzionale a ribadire l’inappellabilità e la definitività delle sue sentenze e i militari tornati a proclamarsi guardiani della Costituzione e della legge, che tutte le istituzioni dello Stato erano tenute a rispettare.

Va al proposito rilevato come una ventina di denunce fossero state presentate contro Morsi da avvocati di diversa provenienza, con l'accusa di violazione delle leggi costituzionali. Il 10 luglio la Corte costituzionale sospendeva il decreto dell'8 luglio del presidente Morsi: nel contempo l'Assemblea del popolo, riunitasi solo per 12 minuti, decideva di rinviare alla Corte di cassazione la sentenza della Corte costituzionale sulla parziale illegittimità della legge elettorale che aveva consentito tra il 2011 e il 2012 l’elezione della medesima Assemblea. Il presidente dell’Assemblea del popolo, Saad Katatni, ha tenuto a precisare sottilmente che il decreto dell'8 luglio del presidente Morsi non colpiva la sentenza della Corte costituzionale, ma la conseguente decisione adottata dal Consiglio militare, che aveva determinato lo scioglimento dell'intero Parlamento.

In attesa dei decisivi verdetti della Corte di cassazione, che a partire dal 17 luglio avrebbero riguardato numerosi ricorsi riguardanti lo scioglimento del Parlamento, lo scioglimento dell'Assemblea costituente e anche il Decreto presidenziale di ripristino dei poteri dell'Assemblea del popolo; il presidente Morsi stemperava i toni, affermando di voler rispettare tutte le sentenze e di voler avviare consultazioni ad ampio raggio per tentare di uscire dal difficile snodo istituzionale.

Lo stesso giorno, l’11 luglio, Morsi si recava in Arabia Saudita per la prima visita di Stato del suo mandato, assai delicata, poiché riguardava un paese che, notoriamente, aveva sempre sostenuto con forza il regime di Mubarak, e senz'altro teme una possibile estensione della Primavera Araba, come anche le ventilate ma non confermate aperture dell'Egitto all'Iran.

Di ritorno dall'Arabia Saudita, il 13 luglio Morsi riceveva il presidente tunisino Marzuki: nonostante le loro diverse impostazioni politiche, i due capi di Stato convenivano su una medesima linea sia nei confronti della crisi siriana che in ordine alla questione palestinese - e in particolare alla riconciliazione tra Fatah a Hamas, rispetto ai quali, nonostante l'oggettivo legame tra i Fratelli musulmani egiziani e Hamas, Morsi dichiarava di essere equidistante. Ben più rilevante è stato senz'altro il viaggio del Segretario di Stato USA Hillary Clinton in Egitto (14-15 luglio), dove ha incontrato sia il presidente Morsi che il vertice del Consiglio militare, il maresciallo Tantawi.

La posizione americana è stata piuttosto netta nel sostegno completo al passaggio dell'Egitto verso un governo civile, con il ritorno dei militari al ruolo loro precipuo del mantenimento e della garanzia della sicurezza. Il presidente Morsi ha assicurato che l'Egitto avrebbe continuato a rispettare gli accordi internazionali, e ciò è stato salutato con favore dagli Stati Uniti, soprattutto in riferimento agli accordi di pace del 1979 con Israele. Hillary Clinton non ha mancato di ricordare al presidente Morsi la necessità del rispetto dei diritti delle minoranze e delle donne, e ha lasciato all'Egitto un contributo di 250 milioni di dollari a sostegno delle piccole e medie imprese egiziane nel difficile momento che il paese tuttora attraversava.

La visita della Clinton è stata anche duramente contestata da diversi esponenti delle opposizioni egiziane: in particolare, mentre gli attivisti hanno criticato in radice l’ingerenza negli affari interni del paese che la visita avrebbe rappresentato, assai più preoccupante è apparso l'atteggiamento di alcuni esponenti della Chiesa copta ortodossa e della Chiesa evangelica egiziane, che hanno declinato l'invito ad incontrarsi con il Segretario di Stato USA il 15 luglio, poiché ravvisavano nell'atteggiamento americano il sostegno unilaterale ai vincitori delle elezioni politiche e presidenziali, ovvero ai Fratelli musulmani.

Il 24 luglio, sorprendendo la maggior parte degli osservatori, il presidente Morsi indicava quale nuovo premier Hisham Kandil, un tecnico a capo del ministero delle risorse idriche, e che, come lo stesso presidente, ha studiato nelle università degli Stati Uniti. Kandil smentiva di essere affiliato a movimenti religiosi, ed era stato in effetti presentato dalla presidenza come figura indipendente.

Il 26 luglio il Ministro degli esteri Giulio Terzi si recava al Cairo, ove  incontrava il neopresidente Morsi, ribadendo il sostegno italiano alla transizione democratica egiziana, a fronte di un rinnovato impegno del Cairo a garantire la sicurezza degli investimenti e delle numerose imprese italiane che operano nel paese arabo - si ricorda che l'Italia è il primo partner commerciale europeo dell'Egitto. I colloqui tra Morsi e il capo della diplomazia italiana hanno inoltre riguardato il difficile scenario di crisi della Siria, in merito al quale i due interlocutori hanno convenuto sulla necessità di avviare al più presto una soluzione mediante la formazione di un governo di transizione. Il Ministro Terzi ha tenuto a sottolineare la grande solidità dei rapporti tra Italia ed Egitto anche in riferimento alla vicenda del brevissimo sequestro di cinque motopesca siciliani intercettati da una motovedetta a 25 miglia dalla costa egiziana e dirottati nel porto di Alessandria, il cui rilascio il Ministro Terzi ha praticamente ottenuto con effetto immediato, intervenendo sulle autorità del Cairo mentre si trovava sul piede di partenza per il rientro in Italia.

Il 2 agosto nasceva ufficialmente il nuovo governo guidato da Hisham Kandil,  composto da 35 ministri, dei quali otto erano i riconfermati - come ad esempio il maresciallo Tantawi alla difesa, nonché i ministri degli esteri e delle finanze. I Fratelli musulmani si sono visti attribuire cinque dicasteri, ovvero quelli dell'edilizia, dell'istruzione superiore, dell'informazione, delle politiche giovanili e della forza lavoro. Il ruolo dei ministri tecnici risultava evidente soprattutto nei dicasteri riguardanti materie economiche e di sviluppo, mentre alla giustizia veniva posto l'ex vicepresidente della Corte di cassazione. Il difficile equilibrismo mirante a far coesistere nella nuova compagine tecnocrati, militari ed esponenti politici lasciava fuori i salafiti, pur forti di quasi un quarto dei voti in Parlamento, che avevano deciso di rimanere all'opposizione del nuovo governo, per il quale si erano visti offrire soltanto un posto di ministro.


Gli attacchi terroristici nel Sinai coinvolgono l’Egitto. Ricambio dei vertici militari. Attivismo diplomatico di Morsi

Il 5 agosto, in concomitanza di nuove gravissime tensioni tra Israele e la Striscia di Gaza, l'Egitto veniva coinvolto nelle violenze, con l'attacco a una postazione di frontiera proprio nei dintorni di Gaza, a seguito della quale gli assalitori – jihadisti o fiancheggiatori locali di al Qaida, operanti come in un’osmosi tra il Sinai e la Striscia - si impadronivano di due blindati egiziani, uccidendo ben 16 poliziotti. Uno del due blindati veniva poi distrutto dall'aviazione israeliana mentre, varcato il confine, si dirigeva verso un villaggio del Negev occidentale.

Il Presidente egiziano convocava con urgenza una riunione del Consiglio militare, disponendo l’immediata chiusura del valico di Rafah tra Gaza e l’Egitto – del quale invece nel recente incontro con Morsi il premier di Hamas Haniyeh aveva auspicato la piena e definitiva apertura. Inoltre già il 7 agosto affluivano a Rafah imponenti mezzi meccanici, in attesa di iniziare la demolizione dei circa seicento tunnel sotterranei scavati tra Gaza e il territorio egiziano, fondamentali per gli approvvigionamenti della Striscia e per il passaggio di armi e miliziani al di fuori del rigido controllo israeliano imposto ai confini di Gaza dopo l’affermazione di Hamas nel 2007.

Si poneva così nuovamente con grande drammaticità la questione della sicurezza del Sinai, territorio che in base al Trattato di pace del 1979 tra Egitto e Israele deve rimanere smilitarizzato, ma nel quale proprio perciò, soprattutto nella parte settentrionale, hanno potuto proliferare vari gruppi dell'estremismo islamico che già in luglio, con ogni probabilità, si erano resi responsabili dell'uccisione di due poliziotti egiziani.

Vanno poi ricordati gli attacchi del 18 agosto 2011, quando una serie di attentati multipli provenienti dal Sinai e accuratamente congegnati colpivano civili e militari israeliani nella regione meridionale del Neghev, provocando nove morti, mentre perdevano la vita anche cinque soldati egiziani, colpiti da un missile israeliano durante un’azione di rappresaglia. Infine, va ricordato che dall’inizio del 2011 il gasdotto che porta il gas egiziano in Israele ha subito una quindicina tra attacchi e sabotaggi.

Gli eventi del 5 agosto 2012, comprensibilmente, provocavano uno sbandamento in Egitto: lo stesso presidente Morsi nell'immediato non poteva non accusare il contraccolpo della propria appartenenza alla Fratellanza musulmana, a sua volta ritenuta assai vicina alla fazione palestinese di Hamas che governa la Striscia di Gaza, rivelatasi nella circostanza incapace di controllare le frange più estremiste - va peraltro precisato che in base a successive approfondite analisi del DNA degli attentatori poi uccisi dall’aviazione  israeliana nessuno di questi sarebbe palestinese.

Tuttavia, anche imputando ad egiziani l'azione terroristica, quasi sicuramente si trattava di elementi fuggiti dal carcere dopo la caduta di Mubarak, o addirittura di recente amnistiati dallo stesso Morsi in occasione del Ramadan. Tutto ciò sembrava preludere a una parziale riscossa dei militari – significativamente, i solenni funerali delle 16 guardie di frontiera (7 agosto) erano disertati sia dal presidente Morsi che dal premier Kandil. L’8 agosto l’Egitto lanciava l’operazione militare “Aquila” contro i terroristi basati nel Sinai settentrionale, ma, dopo poche ore, una riunione del presidente Morsi con lo stato maggiore militare si concludeva in modo sorprendente, con la rimozione in un sol colpo dei capi dell’intelligence, della Guardia repubblicana e della polizia militare, nonché del governatore e del responsabile della sicurezza del Sinai settentrionale.

Secondo gli analisti internazionali, non è agevole peraltro tentare di istituire un collegamento tra questi clamorosi provvedimenti e quanto deciso il 12 agosto dal presidente Morsi, con la rimozione del ministro della difesa maresciallo Tantawi e del capo di stato maggiore, sostituiti da due generali, e, soprattutto, con l'abrogazione del decreto del Consiglio militare che aveva a suo tempo integrato la Costituzione vigente, limitando i poteri del presidente che proprio in quelle ore si stava eleggendo in Egitto.

Dal punto di vista simbolico, anche se le forze armate hanno tenuto a minimizzare la portata dei provvedimenti, la mossa di Morsi è stata largamente percepita in Egitto come l'attestazione della fine dell'ipoteca militare sulle istituzioni del paese. Ambienti rivoluzionari giovanili hanno rilanciato, con la richiesta al presidente di non concedere le previste onorificenze a Tantawi e al capo di stato maggiore appena rimossi, richiedendo semmai di processarli per le numerose vittime che avevano caratterizzato la scena del paese anche dopo la caduta di Mubarak. In ogni modo, l'effetto più immediato dei provvedimenti del presidente Morsi è stata la sottrazione del potere legislativo ai militari, in una situazione tuttavia nella quale l'assenza di un Parlamento legittimamente costituito impediva la riattribuzione del potere legislativo alla sua sede naturale, aprendo la strada a scenari affatto imprevisti.

Analogamente, sul versante della libertà d’informazione, destava preoccupazione la mossa della nuova Amministrazione egiziana che delegava la nomina dei direttori di giornali e di altri organi di informazione alla Camera alta (il Consiglio consultivo), con l'esito di scegliere prevalentemente appartenenti alla Fratellanza musulmana, non discostandosi in ciò dalle pratiche dell'epoca Mubarak. In questo scenario si è anche inserita la vicenda del giornalista del quotidiano indipendente al Dostour Islam Afifi, di tendenza nettamente contraria al nuovo corso egiziano e, si potrebbe dire, nostalgico del vecchio regime: Afifi, accusato di oltraggio al nuovo presidente Morsi, era stato arrestato in aula all'inizio del processo nei suoi confronti, ma poche ore dopo veniva rilasciato poiché il presidente Morsi aveva nel frattempo per decreto cancellato l'istituto della detenzione preventiva per reati a mezzo stampa.

Lungo il Sinai, mentre proseguiva l'operazione militare e di polizia nella parte settentrionale della penisola, con una certa sorpresa si registrava una presa di posizione delle tribù beduine, che si dicevano disponibili a collaborare con il governo centrale nella ricerca di nascondigli di uomini e armi. In effetti, ciò potrebbe essere stato il risultato del nuovo approccio inaugurato da Morsi nei confronti del Sinai settentrionale, con l'invio in loco di una commissione composta da ex jihadisti per una mediazione con l'estremismo islamico locale - una mossa, peraltro, non priva di rischi secondari, poiché il riconoscimento dei jihadisti, implicito nel farne uno strumento della trattativa nel Sinai, potrebbe in un secondo momento rivelarsi un boomerang.

Gli sforzi egiziani non hanno comunque prodotto effetti positivi di rilievo: dopo che il 19 settembre l'aviazione israeliana aveva colpito due miliziani nella parte meridionale della Striscia di Gaza perché sospettati di accingersi a lanciare un attacco terroristico sul territorio israeliano transitando ancora una volta dal Sinai, il 21 settembre si verificava un'ennesima incursione, che prendeva inizialmente di sorpresa le guardie di frontiera israeliane, una delle quali ha perso la vita, prima che i tre aggressori fossero a loro volta uccisi dalla reazione dei commilitoni. Il commando era pesantemente armato, e si immagina che avrebbe potuto compiere attacchi devastanti.

Nonostante l'offerta israeliana all'intelligence egiziana di poter anche stavolta esaminare i cadaveri, per meglio chiarire l'identità degli assalitori, il ripetersi di questi episodi dal territorio del Sinai rischiava di aggravare pericolosamente le tensioni ancora sotto traccia, che in Israele pure esistevano sin dalla caduta di Mubarak, nei confronti del futuro comportamento delle autorità egiziane. È infatti possibile che il ripetersi dei raid terroristici dal territorio della penisola possa ad un certo punto essere attribuito indirettamente all'Egitto, almeno per un'incapacità repressiva e di controllo. Da questo punto di vista, tuttavia, le voci di una prossima richiesta egiziana di rivedere il Trattato di pace del 1979, consentendo all'Egitto di rimilitarizzare almeno parzialmente la penisola del Sinai proprio per reprimere i numerosi movimenti terroristici colà attivi,  trovavano la recisa opposizione del ministro degli esteri israeliano Lieberman. D'altra parte, nel Sinai non solo Israele era oggetto di attacchi, poiché nei giorni precedenti alcune decine di beduini e di guerriglieri vicini ad al Qaida avevano assaltato la base principale della MFO  (Forza multinazionale di osservatori) - presente nella penisola dal 1982 per monitorare l'applicazione di quella parte degli accordi di Camp David che  prevedevano appunto il ritorno del Sinai smilitarizzato sotto sovranità egiziana -, dando luogo ad aspri combattimenti.

Il 30 agosto il presidente Morsi si recava in Iran per il passaggio di consegne della presidenza triennale del Movimento dei non allineati al collega Ahmadinejad: non vi era alcun dubbio sul rilievo della visita, la prima di un presidente egiziano in Iran dopo 32 anni di rottura delle relazioni diplomatiche originata soprattutto dalla pace raggiunta nel 1979 dall'Egitto con Israele, che la Repubblica islamica iraniana aveva sempre duramente criticato. Cionondimeno, su una questione cruciale nella regione mediorientale, quella della crisi siriana, non si è ravvisato alcun avvicinamento, con l'Iran che continuava ad appoggiare strenuamente il regime di Assad, mentre il presidente egiziano, proprio dalla tribuna del Vertice dei non allineati di Teheran, affermava con nettezza la liceità della ribellione al regime siriano, definito sanguinosamente oppressivo.

Il 13 ed il 14 settembre 2012 l'attivismo diplomatico del presidente egiziano toccava le istituzioni europee di Bruxelles e il nostro Paese: nella mattinata del 13 settembre Mohammed Morsi incontrava nella capitale belga il presidente della Commissione UE Barroso e l’Alto rappresentante PESC dell’Unione europea Catherine Ashton, per poi recarsi in serata in Italia, dove  ha incontrato il Presidente del Consiglio Monti, nel quadro di un'articolata riunione di delegazioni finanziarie e imprenditoriali dei due Paesi svoltasi a Villa Madama. Morsi ha fornito rassicurazioni sulla stabilità del nuovo Egitto, e, pur difendendo l'intangibilità della figura del Profeta, ha condannato con chiarezza il gravissimo attacco al consolato americano di Bengasi – apparentemente scaturito dall’indignazione per un film contro Maometto prodotto negli USA.

Nel corso della riunione di Villa Madama è stata firmata anzitutto una dichiarazione congiunta di carattere politico sulla cooperazione bilaterale. Inoltre, i Ministri degli esteri Giulio Terzi e dello sviluppo economico Corrado Passera hanno firmato con i loro omologhi egiziani un piano di azione sulla cooperazione economica bilaterale per il quadriennio 2012-2015.

Il Ministro degli esteri italiano e il suo corrispettivo egiziano hanno siglato ulteriori dichiarazioni congiunte per lo sviluppo in vari settori, che vanno dal turismo, alla collaborazione nel campo delle piccole e medie imprese egiziane, alla creazione di panifici industriali in Egitto con i fondi scaturiti dalla conversione del debito del Cairo, alla cooperazione nella formazione tecnica e professionale. Infine, i due Ministri degli esteri hanno sottoscritto un Accordo sulla seconda fase del progetto di assistenza italiana per lo sviluppo del settore ferroviario egiziano. Il 14 settembre il presidente egiziano è stato poi ricevuto dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano.

Come accennato, negli stessi giorni anche l’Egitto è stato coinvolto dall’ondata di proteste contro le ambasciate e consolati USA in seguito alla produzione negli Stati Uniti di un film sulla vita di Maometto ritenuto offensivo per il Profeta e addirittura pornografico: senza più gravi conseguenze oltre alla violazione dell’immunità della sede diplomatica, circa tremila manifestanti salafiti hanno protestato davanti alla rappresentanza diplomatica americana del Cairo, e alcuni di loro sono riusciti a scavalcare il muro di cinta, arrampicandosi sul pennone e sostituendo la bandiera USA con il drappo nero islamico.

Sulla Siria il presidente Morsi è tornato in occasione del suo primo intervento alla sessione inaugurale annuale dell’Assemblea Generale dell’ONU, il 26 settembre 2012, dicendosi contrario ad ogni intervento militare internazionale, ed esprimendo invece il proprio pieno sostegno all’inviato dell’ONU e della Lega Araba Lakhdar Brahimi, per una soluzione negoziata della tragica crisi. Intanto nel Partito salafita, probabilmente già nella prospettiva delle elezioni parlamentari che avrebbero seguito l’approvazione della nuova Costituzione, si  apriva la lotta tra l’ala più intransigente e quella più collaborativa con il governo della Fratellanza musulmana – del quale i salafiti non erano parte -, con l’estromissione del presidente del partito Emad Ghafour, accusato di tenere un atteggiamento troppo vicino al governo. Con questa mossa i salafiti sembravano minacciare la Fratellanza musulmana di passare apertamente all’opposizione del nuovo corso politico egiziano. Preoccupava intanto l’ondata di attacchi confessionali che a Rafah induceva alla fuga diverse famiglie di cristiano-copti.

 

L’accordo con il Fondo monetario internazionale. Il nuovo progetto di Costituzione. Ripresa delle manifestazioni di piazza

Alla metà di novembre l’Egitto è stato visitato da rappresentanti della Commissione europea, del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) e della Banca europea degli investimenti (BEI). Le tre istituzioni si sono impegnate a fondo per rafforzare la già solida cornice nei rapporti dell’Unione europea con l’Egitto – paese i cui investimenti esteri diretti provengono per 4/5 dalla UE -, rispettivamente guidando una delegazione di 120 imprese europee, assicurando supporto per il rafforzamento della Pubblica amministrazione egiziana e promettendo un incremento nei prestiti europei al paese nordafricano.

Pochi giorni dopo si aveva notizia del raggiungimento di un accordo preliminare tra l’Egitto e il Fondo monetario internazionale per la concessione di un prestito da 4,8 miliardi di dollari: l'intesa è stata strettamente legata al giudizio positivo sul programma economico presentato dall'Egitto ai negoziatori del FMI, con ambiziosi obiettivi di crescita per i prossimi anni e soprattutto, nell'immediato,  con una netta riduzione del deficit annuale di bilancio, che dovrebbe avvenire soprattutto a spese dei sussidi al grano e al carburante largamente praticati in Egitto. Altri importanti finanziatori l'Egitto ha trovato nello stesso periodo nei paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo, con la prospettiva di ricevere finanziamenti per 18 miliardi di dollari, e nella Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS), dalla quale dovrebbero provenire investimenti per circa 3,5 miliardi di euro.

Intanto il profilo internazionale dell'Egitto e del suo presidente Morsi veniva nuovamente corroborato quando il 21 novembre si raggiungeva una tregua dopo più di una settimana di rinnovati combattimenti tra Israele e il territorio di Gaza, che sembravano preludere a una crisi di gravità pari a quella vissuta con l'operazione Piombo Fuso tra il 2008 e il 2009. La mediazione egiziana si rivelava ancora una volta decisiva, ricevendo pubbliche espressioni di ringraziamento dal capo di Hamas Meshaal.

Quasi sull'onda del successo internazionale da tutti riconosciuto, il giorno successivo, il 22 novembre, il presidente Morsi forniva un’ulteriore accelerazione al processo di evoluzione istituzionale dell'Egitto, licenziando anzitutto il Procuratore capo della Repubblica, pesantemente gravato per aver coperto questo ruolo anche nel regime di Mubarak e accusato di aver assolto molti militari accusati della repressione nei giorni della rivoluzione all'inizio del 2011. Per molti di questi stessi militari, ma soprattutto per Mubarak e i suoi collaboratori, veniva previsto un nuovo processo.

La decisione più importante, tuttavia, era quella con la quale si stabiliva che le decisioni del presidente sarebbero state da quel momento in avanti inappellabili - mentre anche l’Assemblea costituente impegnata nella redazione della nuova Costituzione veniva resa indipendente dalle decisioni dei diversi organi giurisdizionali -, azzerando di fatto il ruolo della magistratura nella dialettica politica del paese, che era stato più volte preponderante.

Il decreto presidenziale, pur se limitato secondo il portavoce del presidente al periodo che precede la ratifica della nuova Costituzione, provocava lo scoppio di proteste e disordini in tutto il paese, nei quali accanto alle opposizioni ricomparivano anche sostenitori del passato regime. Ad Alessandria la sede dei Fratelli musulmani veniva presa d’assalto. La magistratura, a sua volta, non tardava a ribellarsi al decreto di Morsi, nel quale vedeva un attacco alla propria autonomia, preannunciando scioperi ad oltranza. In questo difficile clima anche l’attività dell’Assemblea costituente subiva un rallentamento. Il 25 novembre si verificava al Cairo un crollo di Borsa del 10 per cento.

Il 30 novembre si svolgeva un’imponente manifestazione delle opposizioni, alla quale rispondeva il 1° dicembre un’altrettanto impressionante dimostrazione degli islamici  a favore del presidente Morsi. In un clima di tensione suscettibile di aggravare, con l’eventuale stop nei finanziamenti internazionali, la critica situazione economica egiziana, il presidente Morsi annunciava per il 15 dicembre lo svolgimento del referendum sulla bozza di nuova Costituzione, la cui redazione aveva accelerato nonostante i numerosi ricorsi presentati dalle opposizioni – dal canto loro già uscite da tempo dai lavori costituenti.

Il testo da far approvare nella consultazione popolare rappresentava un compromesso tra elementi islamici e militari: infatti la Costituzione non prevede la cessazione dell’amministrazione segreta e autonoma del bilancio militare, che tante critiche aveva destato nel movimento di piazza, né si è tolta ai militari la prerogativa di esprimere il ministro della difesa. Inoltre, mentre restano sullo sfondo i temi dei diritti civili, con grande chiarezza si riafferma il ruolo della legge islamica quale fonte del diritto, soggetta all’interpretazione “ufficiale” dell’università di al Azhar ma derivata da una molteplicità di matrici (Corano, precetti di Maometto e dei primi ulema), con la possibilità di pesanti contraddizioni.

Il 4 dicembre una nuova grande manifestazione nella capitale, nel contesto di un’ondata di scioperi della magistratura, dei lavoratori del turismo e del settore dei giornali, raggiungeva il palazzo presidenziale, ove si verificavano tafferugli con la polizia. Il 5 dicembre gli scontri si sono ripetuti e aggravati, coinvolgendo anche gruppi di sostenitori di Morsi. Mohamed el-Baradei e Amr Mussa, tornati a dare battaglia nell’arena politica, venivano denunciati come eversori. Il 6 dicembre, dopo un iniziale irrigidimento, con lo schieramento di alcuni blindati attorno al palazzo presidenziale, il presidente, pur rifiutando ogni concessione alle richieste della piazza, preannunciava la propria disponibilità ad incontrarsi con le opposizioni, alle quali offriva il varo di una nuova Assemblea costituente in caso di insuccesso della bozza di Costituzione all’imminente referendum.

La prosecuzione della mobilitazione nei giorni successivi, con il discreto ma fermo profilarsi sullo sfondo di un possibile intervento dei militari, convinceva (8 dicembre) il presidente Morsi infine a ritirare il decreto del 22 novembre, affidando nel contempo alle forze armate il compito di proteggere la sicurezza durante il cammino istituzionale attraverso il referendum e fino alle nuove elezioni legislative.

Lo svolgimento del referendum era preceduto da un passo falso di Morsi, il quale, subito dopo la pubblicazione in gazzetta ufficiale di alcuni provvedimenti economici volti a una drastica riduzione del deficit di bilancio (come richiesto dal Fondo monetario internazionale), si affrettava a congelare tali provvedimenti con evidente preoccupazione per la risposta che l'elettorato egiziano avrebbe potuto dare di lì a poco - ma d'altra parte mettendo seriamente a rischio il prestito del FMI del quale il paese aveva urgente bisogno.

 

Approvazione della nuova Costituzione. Ammonimenti delle Forze armate e dell’Università al-Azhar. Amnesty International denuncia il diffondersi delle aggressioni contro le donne impegnate nelle manifestazioni d’opposizione.

Il referendum del 15 dicembre, al quale ha preso parte solo un terzo degli aventi diritto, ha visto l’approvazione della bozza di Costituzione con il 64% dei voti: il consenso esplicito per le forze islamiste al governo non ha raggiunto dunque un quinto degli elettori, un bilancio poco entusiasmante per Morsi e la Fratellanza musulmana, che hanno visto costantemente erodere il livello del proprio seguito elettorale. L’elemento di maggiore preoccupazione è forse tuttavia quello economico: infatti, nella prospettiva di un’altra imminente consultazione elettorale – quella delle legislative – rimaneva bassa la probabilità che il governo egiziano desse mano a riforme impopolari, il che tuttavia potrebbe ulteriormente peggiorare il rating internazionale del paese e rendere molto più difficile per l’Egitto di ottenere finanziamenti più che mai necessari, incluso quello del FMI.

Il 26 gennaio 2013 un'altra tragica vicenda colpiva l'Egitto, connessa ai drammatici incidenti di Porto Said del 1° febbraio 2012: infatti, proprio in relazione a quegli incidenti, veniva pronunciata la condanna a morte per 21 tifosi della squadra locale che avevano contribuito a perpetrare il massacro del 1º febbraio.

Una folla inferocita prendeva d'assalto conseguentemente la prigione ove erano detenuti, uccidendo due poliziotti e provocando l'intervento dell'esercito, a seguito del quale si contavano almeno 30 vittime, oltre a 300 feriti. A Porto Said veniva imposto immediatamente il coprifuoco e uno stato d'emergenza di 30 giorni. La prosecuzione dei disordini in tutto il paese, ma con particolare virulenza proprio a Porto Said, provocava il 29 gennaio un esplicito intervento del ministro della difesa e comandante in capo delle forze armate al-Sisi, che metteva in guardia il paese dal rischio di un collasso totale nella miscela esplosiva di instabilità politica e difficoltà economiche.

Alla voce di al-Sisi si univa poco dopo quella dei vertici dell'Università islamica di al-Azhar, che invitavano le forze politiche a riprendere un dialogo più che mai necessario, senza peraltro incontrare il favore dell'opposizione di piazza, e neanche della Fratellanza musulmana, tra l’altro piuttosto distante dall'impostazione religiosa dell'attuale dirigenza di al-Azhar.

La situazione si manteneva assai grave anche nei giorni successivi – il 4 febbraio il numero delle vittime aveva raggiunto la cifra di 60 -, nei quali scontri rilevanti si sono verificati attorno al palazzo presidenziale. Il 28 febbraio la serietà della situazione portava esponenti di tutti i partiti a firmare una dichiarazione (Carta di al Azhar) di condanna di ogni forma di violenza, ma la successiva circolazione di un video che mostrava violenze su un manifestante, unitamente alla morte in carcere di un attivista arrestato una settimana prima alimentavano ancora lo sdegno nei confronti del governo e delle forze di sicurezza.

Amnesty International ed altre organizzazioni non governative denunciavano intanto il dilagare di aggressioni e stupri contro le donne perpetrati proprio a margine delle manifestazioni nella capitale, messo in luce il 6 febbraio da un rapporto di.

 

L’acutizzazione dello scontro. Progressivo isolamento di Morsi

Nuovamente contestato in occasione delle manifestazioni dell’11 febbraio 2013 per commemorare la rivoluzione egiziana, dieci giorni dopo il presidente Morsi firmava un decreto con il quale, sulla scorta della nuova legge elettorale approvata dal Parlamento nelle stesse ore, venivano indette nuove elezioni legislative, da svolgere in quattro fasi nel periodo aprile-giugno 2013.

La mossa di Morsi appariva motivata dalla necessità di una rilegittimazione del potere dei Fratelli musulmani, messo a dura prova dalle ripetute contestazioni delle ultime settimane. La reazione delle opposizioni non si faceva attendere: il 26 aprile gli esponenti laici e liberali riuniti nel Fronte di salvezza nazionale hanno deciso all’unanimità il boicottaggio delle nuove elezioni, per non offrire alla maggioranza islamista alcuna credibilità democratica. Il 6 marzo la giustizia amministrativa egiziana aveva frattanto annullato il decreto presidenziale sulle nuove elezioni, con la motivazione della mancata preventiva trasmissione della nuova legge elettorale alla Corte costituzionale.

Alla fine di marzo la Corte d'appello del Cairo ha inoltre annullato la decisione di sostituire il Procuratore generale adottata nel novembre 2012 dal presidente Morsi, dando ragione alle opposizioni, ed entrando in conflitto con i Fratelli Musulmani, che sostengono strenuamente colui che aveva preso il posto di Mahmoud; ovvero Talaat Abdallah.

In un Egitto agitato anche da preoccupazioni per la libertà di espressione, accentuate dall'arresto del comico televisivo Bassem Yussef per offese al presidente Morsi, tornava anche a scorrere il sangue fra copti e musulmani, stavolta nella piccola città di Khusus, nei pressi della capitale, dove per futili motivi scoppiavano gravi scontri interreligiosi con la morte di quattro cristiano-copti e di un musulmano (5 aprile): il 7 aprile nuovi scontri si verificavano, in occasione dei funerali al Cairo dei quattro cristiani, davanti alla cattedrale di San Marco, registrando una nuova vittima e un'ottantina di feriti.

Mentre l’11 maggio l’ex presidente Mubarak è tornato ad essere giudicato per un nuovo processo relativo alla repressione dell’inizio del 2011, quando oltre ottocento manifestanti persero la vita; il presidente Morsi ha dovuto far fronte al sequestro di una settimana di sette agenti della sicurezza, avvenuto nel Sinai, per ottenere il rilascio di sei islamisti detenuti con l’accusa di aver assaltato un posto di guardia egiziano uccidendo sei poliziotti.

Come sempre, il confronto con gli islamisti è per i Fratelli musulmani al tempo stesso stimolante e rischioso, così come il rapporto dell’Egitto con Gaza – che, a fronte della riapertura del valico di Rafah, si è vista distruggere quasi trecento tunnel sotterranei di collegamento con il territorio egiziano per rifornimenti di vario tipo. I sette agenti sono comunque tornati in libertà il 22 maggio.

All'inizio di giugno si è avuto un ennesimo scontro tra potere giudiziario e potere politico nell'Egitto dei Fratelli Musulmani: infatti la Corte costituzionale ha di fatto dichiarato l'illegalità del Consiglio consultivo (Shura), il ramo superstite del Parlamento dopo che un anno prima la medesima Corte aveva annullato la legge elettorale per l'Assemblea del popolo (la Camera bassa). Il Consiglio consultivo, teoricamente privo di poteri legislativi, è stato tuttavia messo in condizione di esercitarli dopo lo scioglimento dell'Assemblea del popolo: viene accusato dagli ambienti laici di essere sotto il dominio dei Fratelli Musulmani e dei movimenti salafiti.

Da ultimo, aveva destato allarme proprio negli ambienti giudiziari il progetto legislativo di un massiccio turn-over di magistrati, che potrebbe nascondere la volontà di far affluire in magistratura un gran numero di islamisti. Ma non basta: la Corte costituzionale ha anche stabilito che l'Assemblea costituente, che aveva redatto il testo costituzionale sottoposto a referendum nello scorso dicembre, era stata anch'essa formata sulla base di principi incostituzionali.

La tensione politica si è nuovamente acutizzata alla fine del mese di giugno, poiché per il 30 di questo mese le opposizioni avevano fissato grandi manifestazioni per chiedere le dimissioni di Morsi proprio a un anno di distanza dal suo insediamento: il ministro della difesa e capo delle forze armate el-Sissi ha avvertito il paese di non poter rimanere estraneo all'eventuale precipitare dell'Egitto in uno scontro totale, in quanto le forze armate si sentono investite del dovere di protezione dei cittadini - come hanno scritto sui mezzi corazzati schierati a difesa dei punti nevralgici di tutto il paese dalla mattina del 26 giugno.

Nel pomeriggio dello stesso giorno il presidente Morsi ha tenuto un discorso al Centro conferenze del Cairo, nel quale ha constatato l'estrema polarizzazione politica del paese, ammettendo anche alcuni errori, ma attribuendo il grosso delle difficoltà alle trame di esponenti del passato regime contro il suo legittimo governo. Morsi ha inoltre esortato i giudici ad astenersi da interferenze nella politica, mentre ha espresso rispetto e ammirazione per le forze armate, delle quali tuttavia il presidente è il capo – come ha tenuto a precisare. Infine, Morsi ha annunciato la creazione di un comitato con le altre forze politiche per mettere in cantiere alcuni emendamenti alla Costituzione vigente approvata in dicembre con il referendum. Il discorso del presidente non ha convinto le opposizioni, che hanno insistito nella richiesta di sue dimissioni.

Il 28 giugno lo scontro tra i due opposti schieramenti si è svolto al difuori della capitale, nel nord del paese: infatti vi sono stati tre morti ad Alessandria d'Egitto, tra i quali un giovane cittadino statunitense, mentre nella serata un'esplosione a Port Said ha provocato un morto e diversi feriti durante una manifestazione di avversari del presidente Morsi.

Nella capitale vi sono stati comunque raduni dei due schieramenti opposti, mentre il portavoce delle forze armate significativamente ha ribadito che l'esercito ha intenzione di proteggere i cittadini egiziani ed i loro beni, e ha una forte consapevolezza del proprio ruolo essenziale in questa missione. Nel complesso la giornata ha fatto registrare otto vittime e diverse centinaia di feriti. In un clima di crescente preoccupazione ci si è avvicinati alla cruciale giornata del 30 giugno, alla vigilia della quale, nel crescente trionfalismo dei suoi oppositori, il presidente Morsi ha incontrato il ministro della difesa el-Sissi e quello dell’interno Ibrahim, oltre a una delegazione di forze politiche di orientamento islamico.

Il 30 giugno si sono svolte nel paese a grandi manifestazioni contro il presidente Morsi, che anche le forze armate hanno ammesso aver radunato milioni di persone. Dalla caduta di Mubarak non si era più assistito a una mobilitazione di tale imponenza. Nella capitale, dopo alcune ore di pacifica dimostrazione, vi è stato un innalzamento della tensione con l'assalto al quartier generale dei Fratelli musulmani, che veniva dato alle fiamme, mentre l'esercito dichiarava lo stato di massima allerta.

Il presidente Morsi tuttavia non faceva concessioni ai manifestanti, pur riconoscendone il legittimo diritto al dissenso, limitandosi a prevedere la possibilità di un dialogo con la piazza, mentre sia i capi del Fronte di salvezza nazionale – in cui confluisce gran parte dell'opposizione egiziana - che delle forze salafite lanciavano appelli alla moderazione. Il capo del partito islamico Nour ha perfino esortato il presidente Morsi ad attenuare le tensioni con alcune concessioni alla piazza, vista la gravità della situazione.

Il 1º luglio si palesava un elemento chiave degli sviluppi in corso in Egitto, ovvero il radicale mutamento dell'atteggiamento dei dimostranti di piazza Tahrir nei confronti delle forze armate: queste infatti dopo la caduta di Mubarak nel 2011 erano state fatte oggetto di una grande diffidenza della piazza, quale elemento di pericolosa continuità del precedente regime.

Proprio questo atteggiamento aveva spianato la strada all'elezione alla presidenza di Morsi, che aveva sfruttato un momento di oggettiva convergenza tra le forze della rivoluzione di piazza Tahrir e le istanze islamiste, pur di contrapporsi in ogni modo alle forze armate e a quello che veniva considerato il loro candidato alla presidenza, ovvero el-shafik. Ora invece all'annuncio dei militari di un ultimatum di 48 ore alle forze politiche egiziane per mettere fine alla fase di grande pericolosità istituzionale in atto nel paese, i manifestanti hanno risposto con grande entusiasmo, evidentemente pronti ad un reingresso più o meno marcato dell'esercito sulla scena politica.

Anche cinque ministri hanno annunciato le loro dimissioni, che il presidente Morsi ha chiesto al premier Qandil di respingere. Nella giornata del 1º luglio intanto la mobilitazione al Cairo e nel resto del paese contro Morsi e il suo governo è cresciuta fino all'inverosimile, e più di un osservatore ha evidenziato come la critica situazione economica del paese stia facendo probabilmente premio su ogni altra considerazione nell'atteggiamento del popolo egiziano.

Il 2 luglio, ad ore antelucane, il presidente Morsi ha ricevuto una telefonata del presidente degli Stati Uniti Obama, che già due giorni prima aveva espresso le proprie preoccupazioni per la situazione egiziana durante la sua visita in Sudafrica. Il presidente Morsi si è poi intrattenuto a lungo con il ministro della difesa e capo delle forze armate el-Sissi e con il primo ministro Qandil, che ha rimesso alla volontà di Morsi il proprio mandato, unitamente alla lettera di dimissioni di un sesto ministro del suo governo.

D'altra parte il presidente Morsi ha chiesto alle forze armate di ritirare le loro richieste poiché egli non avrebbe accettato alcun diktat. A fare quadrato attorno a Morsi soltanto i Fratelli musulmani, a intransigente difesa della legittimità istituzionale. Intanto nella capitale, e precisamente nel quartiere di Giza, le opposte fazioni sono venute a contatto e negli scontri conseguenti vi sono stati sette morti e decine di feriti: nella nottata il bilancio si è aggravato, con l’espandersi degli scontri ad altri quartieri, mentre il presidente Morsi ribadiva in un discorso televisivo la propria intransigenza, dicendosi pronto a pagare anche con la vita pur di difendere la legittimità della propria carica, alla quale lo ha designato il popolo in libere elezioni. Altrettanto dura la replica dei militari, affidata anch’essa ai social media.

 

Il golpe militare del 3 luglio

Il 3 luglio sembra aver posto fine all'esperienza presidenziale di Mohammed Morsi: infatti, con l’accordo delle opposizioni e del loro portavoce el-Baradei, il Ministro della difesa el-Sissi, unitamente ai massimi vertici teologici islamici di al-Azhar e della Chiesa cristiano-copta egiziana, ha di fatto annunciato l'estromissione di Morsi, presentando una road map in vista di nuove elezioni presidenziali. I poteri di emanare decreti presidenziali sono state affidati al presidente della Corte costituzionale, mentre la Costituzione è stata sospesa e la sua riscrittura è stata affidata a un comitato che vedrà la partecipazione di tutte le forze politiche. Contemporaneamente nasceranno un governo di tecnici e un comitato di riconciliazione nazionale.

Il presidente Morsi, che non avrebbe raggiunto l'accordo con i militari neanche sulle garanzie per sé e per i vertici della Fratellanza musulmana, è stato posto agli arresti domiciliari già dalla metà del pomeriggio, subito dopo la scadenza dell'ultimatum militare. Piazza Tahrir ha accolto la caduta di Morsi e la formulazione della road map imposta dai militari con manifestazioni di giubilo, mentre gli ambienti della Fratellanza musulmana hanno descritto gli eventi in corso alla stregua di un vero e proprio colpo di Stato. Lo stesso Morsi ha  esortato a non accettare la svolta istituzionale e a difendere la legittimità. Gli Stati Uniti avrebbero reagito sospendendo gli aiuti militari all’Egitto e richiedendo un pronto ritorno alla normalità democratica, con la fine di tutte le violenze.

Il 4 luglio Adly Mansour, presidente della Corte costituzionale egiziana, ha giurato come Capo dello Stato ad interim, in ossequio al nuovo corso politico egiziano. Mentre la Turchia definiva inaccettabile la procedura di destituzione del presidente Morsi, Mansour riceveva congratulazioni da numerosi Stati arabi, tra i quali gli Emirati arabi uniti, il Kuwait, l'Arabia Saudita, il Qatar e il presidente palestinese Abu Mazen.

Degna di particolare rilievo è stata la reazione del presidente siriano Assad, per il quale la caduta di Morsi segnerebbe la fine dell'Islam politico, che da più di due anni l'esercito di Assad combatte sanguinosamente anche in Siria, e del quale già il padre dell'attuale presidente siriano, Hafez Assad, era stato un feroce avversario. Frattanto all'ex presidente Morsi e ad altri otto dirigenti della Fratellanza musulmana è stato vietato l'espatrio per il reato di offese alla magistratura, mentre la procura generale dell'Egitto avrebbe ordinato l'arresto della guida spirituale della Fratellanza musulmana el-Badie. D'altra parte nella sua prima dichiarazione dopo il giuramento Mansour ha esortato i Fratelli musulmani, quale parte della nazione egiziana, a divertire parte del nuovo processo istituzionale –ricevendone peraltro un secco rifiuto, con l’annuncio per il 5 luglio di una manifestazione contro la destituzione di Morsi.

Dal canto suo il segretario generale della NATO Rasmussen si è detto fortemente preoccupato della situazione in Egitto, e ha richiesto a tutte le parti il rispetto della legge e la creazione sollecita di un governo democratico in cui tutti gli egiziani possano trovare rappresentanza. Analoga impostazione nelle cancellerie dei principali Paesi occidentali e da parte dell’Unione europea, con ripetuti auspici affinché l’Egitto riprenda al più presto la via democratica – che evidentemente si giudica interrotta, pur se nessuno sembra utilizzare il termine di golpe per gli avvenimenti del Cairo.

Per quanto concerne gli Stati Uniti, è emerso con sempre maggiore chiarezza l'atteggiamento di grave imbarazzo dell'Amministrazione Obama, che ha visto deporre da un decisivo intervento delle forze armate egiziane - ovvero tuttora il maggiore pilastro dell'influenza americana del paese mediorientale - un presidente democraticamente eletto proprio in ossequio ai correnti indirizzi della politica estera statunitense, seppure appartenente alla Fratellanza musulmana che, come è noto, non incontra il favore americano.

In virtù di una legislazione federale particolarmente stringente e univoca, gli Stati Uniti potrebbero presto trovarsi nella condizione di non poter corrispondere il decisivo finanziamento di 1,3 miliardi di dollari all'anno alle forze armate egiziane – pari ad un quinto del bilancio della difesa -, proprio in ragione del loro intervento che ha posto fine a una presidenza democraticamente eletta. Le incongruenze della politica estera USA in Egitto hanno avuto il loro riflesso in pesanti contestazioni contro Anne Patterson, ambasciatore statunitesne al Cairo, venuta proprio dai manifestanti di piazza Tahrir.

Assai meno incerta sull’atteggiamento da tenere è invece apparsa l’Unione africana (UA), che il 5 luglio ha sospeso l’Egitto con un voto del Consiglio per la pace e la sicurezza, proprio in ragione dell’intervento dei militari in politica, giudicato incostituzionale. Contro la decisione aveva inutilmente argomentato l’ambasciatore egiziano presso la UA, sostenendo che nel suo paese vi era stato un vastissimo appello popolare ad un’iniziativa politica contro Morsi, che le forze armate non avrebbero fatto altro che assecondare.

Il 5 luglio ha visto la prevista manifestazione della Fratellanza musulmana nell’abituale luogo di ritrovo davanti alla moschea di Rabaa el Adaweya: durante il comizio è riapparso Mohammed el Badie, il cui stato di arresto è stato evidentemente superato, come anche, poche ore dopo, quello di due altri importanti esponenti della Fratellanza, Saad el-Katatni e Rashad el-Bayoumi.

La situazione è però degenerata nel corso della giornata, e in ripetuti scontri in tutto il paese vi sono state 37 vittime e più di seicento feriti. Intanto nel nord del Sinai, dove un soldato e quattro poliziotti sono stati vittime di un agguato, è stato imposto il coprifuoco, ma il 6 luglio è stato ucciso un sacerdote cristiano-copto nei dintorni di Arish. In nottata è trapelata la notizia dell’arresto del numero due della Fratellanza musulmana, Khairat el-Shater, già candidato alle presidenziali. Nella stessa giornata il Capo dello Stato ad interim Adly Mansour emetteva un decreto di scioglimento della Camera alta, e procedeva altresì alla rimozione del capo dell’intelligence.

Il 6 luglio emergeva come la candidatura di el-Baradei a premier fosse avversata non solo dalla Fratellanza musulmana, ma anche dai salafiti di al-Nour: pertanto il presidente el-Adly rinviava sine die la designazione del capo dell’esecutivo. A corroborare l’impressione di segnali sempre crescenti di reazione islamista agli eventi in corso in Egitto giungeva la notizia della formazione di una nuova milizia di denominazione – Ansar al-Sharia - analoga a quella accusata in Libia del tragico attentato al Consolati USA di Bengasi.

L’alba dell’8 luglio registrava una drammatica accelerazione dello scontro in atto, quando l’assalto ad una caserma della Guardia repubblicana nella capitale provocava oltre quaranta vittime: dopo il massacro il partito Libertà e Giustizia, l’espressione politica della Fratellanza musulmana, chiamava ad una sollevazione popolare contro l’asserito golpe dei militari.

Anche il partito dei salafiti reagiva prontamente alla notizia massacro, annunciando il proprio ritiro da ogni trattativa per la formazione di un nuovo esecutivo. Secondo la guida spirituale della Fratellanza musulmana, Mohamed el-Badie, l’irruzione dell’esercito sulla scena politica starebbe preparando per l’Egitto uno sbocco tragico, analogo a quello della Siria. Nella capitale, strettamente sorvegliata dai militari, vi sono stati duecento arresti per possesso di armi proprie o improprie, oltre a trecento feriti negli scontri degli islamisti con le forze armate.

 


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