Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari esteri | ||
Titolo: | Incontro informale con il Primo Ministro libico, Ali Zeidan | ||
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 34 | ||
Data: | 03/07/2013 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | III-Affari esteri e comunitari | ||
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Camera dei deputati |
XVII LEGISLATURA |
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Documentazione e ricerche |
Incontro informale con |
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n. 34 |
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3 luglio 2013 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi –
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File: es0056.doc |
INDICE
I recenti sviluppi del
quadro politico in Libia
§
Rivendicazioni separatistiche
della Cirenaica. Ripresa degli scontri interni
§
Le elezioni per
l’Assemblea costituente
§
L’assassinio
dell’Ambasciatore statunitense a Bengasi
§
L’elezione del premier Shagur
§
La designazione del
nuovo premier Ali Zeidan
§
L’appoggio italiano al
nuovo corso di Tripoli. L’attentato al console italiano a Bengasi
§
Il nodo delle milizie
armate
Rapporti parlamentari
Italia-Libia (a cura del Servizio Rapporti
Internazionali)
La visita in Italia del Primo Ministro Libico, Ali Zeidan (a cura del
Ministero degli Affari esteri)
Scheda paese (a cura del Ministero degli Affari esteri)
Profilo biografico di Ali Zeidan (a cura del Ministero degli Affari
esteri)
Pubblicistica
§
A. Varvelli ‘La
strettissima via democratica in Libia, tra rentier state e spinte islamiste’,
in: Aspenia – www.aspeninstitute.it/aspenia-online,
5 novembre 2012
§
E. Casale ‘Dagli
arsenali libici le armi dei miliziani fondamentalisti’, in: ISPI
Commentari, 17 gennaio 2013
§
A. Varvelli ‘La
Libia due anni dopo e ancora nel caos’, in: ISPI Commentary, 15 febbraio
2013
§
R. Elbreki ‘Ascesa,
caduta e rinascita dei fratelli di Libia’, in: Limes, 21 febbraio 2013
§
C. Tinazzi ‘Libia:
cercasi disperatamente monopolio della forza legittima’, in: Limes, 29
aprile 2013
§
F. Petroni ‘I
marines a Sigonella con un occhio a Bengasi’, in: Limes, 15 maggio 2013
§
B. Selwan Khoury ‘La Libia tra istituzioni deboli e milizie, nell’ombra salafita’,
in: Aspenia, www.aspeninstitute.it/aspenia-online,
20 maggio 2013
§
G. Sapelli ‘Arabia
senza primavere: mondo senza ordine’, in: Equilibri, n. 1/2013
§
M. Campanini ‘Le
rivolte arabe’, in: Il Mulino, n. 2/2013
§
A. Varvelli ‘Il
trilemma della Libia’, in: Aspenia, marzo 2013
§
G. Ieraci ‘Il
crollo dei regimi non democratici’, in: Rivista italiana di scienza
politica, n. 1, aprile 2013
Schede di lettura
Le difficoltà del
consolidamento istituzionale. La posizione del Governo italiano. Gli elementi
di continuità con il precedente regime
Dopo la sconfitta
delle forze lealiste e l’uccisione del colonnello Gheddafi, il 22 novembre
2011 vedeva finalmente la nascita del nuovo governo libico guidato
da Abdurrahim el-Keib, esperto di energia ed esponente, dalla metà degli
Anni Settanta, del movimento di opposizione al regime di Gheddafi. Nonostante
l'entusiasmo del nuovo premier in
merito alla rappresentatività ampia dell'esecutivo appena formato, la
situazione del paese registrava sempre una forte tensione tra le fazioni
armate. Da rilevare la nomina al decisivo ministero del petrolio di un ex funzionario dell’ENI, Ben Yezza.
L'inizio di dicembre 2011 evidenziava il perdurare
del problema delle milizie che, ben oltre le necessità della lotta contro
Gheddafi, continuavano a presidiare la capitale, dando vita a ripetuti scontri
a fuoco. Tale problema – il Consiglio nazionale di transizione (CNT) aveva
posto l'ultimatum del 20 dicembre per
il ritiro delle milizie da Tripoli, ma rivelandosi al contempo incapace di
procedere a una requisizione delle armi – è apparso a lungo come uno dei
principali della nuova Libia, che peraltro, nonostante la positiva disposizione
del presidente del CNT Jalil e del premier
el-Keib ad un un atteggiamento di perdono e riconciliazione verso chi aveva
combattuto contro la rivoluzione, si vedeva anche stigmatizzare da un rapporto dell’ONU di fine novembre, che
stimava in circa 7.000 il numero dei prigionieri nelle carceri libiche, tra i
quali molte donne e bambini: secondo il rapporto, infatti, nei confronti dei detenuti
sarebbero state poste in atto anche torture.
Alla metà di dicembre 2011 veniva dichiarata
la fine delle sanzioni ONU e USA contro
la Libia, mentre particolarmente rilevante per l’Italia era la visita del
capo del CNT, Jalil, a Roma (15 dicembre): nel corso degli incontri romani
– anche con il Presidente della Repubblica Napolitano – Jalil aveva un lungo
colloquio con il Presidente del Consiglio, Sen. Mario Monti, al termine del
quale veniva annunciata la rimessa in vigore del Trattato di amicizia
italo-libico sospeso durante il conflitto, e contestualmente lo sblocco di 600
milioni di euro dei fondi libici a suo tempo congelati in Italia.
Il 21 gennaio 2012 il presidente del Consiglio dei Ministri Mario Monti
si recava a Tripoli,
accompagnato dai Ministri degli esteri e della difesa: il premier sottoscriveva un documento nell’ambito del tentativo di
rafforzare il legame di amicizia e collaborazione tra i due Paesi nell’era post
gheddafiana, la “Dichiarazione
di Tripoli”, siglato anche dal premier
del Consiglio nazionale di Transizione, al-Keib.
La dichiarazione assicura il
sostegno politico del nostro Paese al processo di pacificazione nazionale.
In particolare, l’accordo intende proseguire sulla “strada degli accordi
firmati – si legge nel testo -, guardando al futuro con l'aiuto e il contributo
nelle varie attività, attraverso commissioni tecniche ad hoc nei vari settori
nei due rispettivi Paesi”. Contestualmente, veniva sottoscritta una
dichiarazione d’intenti tra i rispettivi titolari della Difesa. Rispetto al
trattato di amicizia siglato con il colonnello Gheddafi, il Governo libico
faceva sapere che sarebbe stata preservata la parte relativa al risarcimento
che il nostro Paese si è impegnato a versare per il periodo coloniale. Si
confermava anche l’accettazione delle scuse da parte italiana. Nella
delegazione governativa era presente l’amministratore delegato dell’ENI, Paolo
Scaroni, che rendeva noto come la produzione petrolifera in Libia avesse ormai
raggiunto i livelli precedenti alla rivoluzione.
Nel frattempo, tuttavia, la situazione d’instabilità della nuova Libia non accennava a migliorare:
oltre al problema delle fazioni armate che non intendevano smobilitare,
emergeva una forte contestazione verso i nuovi governanti, quasi sempre
precedentemente collaboratori di Gheddafi, e perciò malvisti da chi
effettivamente aveva partecipato alla rivoluzione combattendo: era il caso del
vicepresidente del CNT Ghoga, duramente contestato a Bengasi, dove la gravità
della situazione induceva lo stesso presidente del CNT Jalil a fare pressioni
per le sue dimissioni, annunciate il 22 gennaio 2012. Mentre si dimetteva lo
storico ambasciatore libico a Roma, Gaddur; slittava l'approvazione della
legge elettorale per l'Assemblea costituente, al centro di forti polemiche
soprattutto per la previsione, da molti contestata, di una quota del 10%
riservata alle donne.
A caratterizzare il post-Gheddafi, con il
Consiglio nazionale di transizione palesemente incapace di garantire livelli
accettabili di sicurezza, come anche di rispettare le scadenze istituzionali
previste; emergevano elementi di continuità con il precedente regime.
Infatti, seppur con toni assai morbidi, le nuove autorità di Tripoli facevano
presente di non essere in grado di controllare le potenziali ondate di
emigrazione verso l'Europa provenienti dall'Africa subsahariana e in transito
nel territorio libico: mentre Gheddafi aveva usato questo argomento con toni
palesemente ricattatori, i nuovi governanti libici hanno comunque richiesto con
urgenza finanziamenti e mezzi per assicurare il funzionamento del sistema di
sorveglianza delle frontiere e per poter ristrutturare i 19 centri di
detenzione provvisoria già in essere sotto Gheddafi.
Assai più preoccupante era quanto invece
emerso sulle torture inflitte ai prigionieri accusati di lealismo verso il
precedente regime: infatti esponenti di vertice di Médecins sans frontières rendevano noto di avere constatato torture
ripetute su prigionieri condotti nelle strutture della Organizzazione
umanitaria per essere curati, in vista di nuovi maltrattamenti. Tutto ciò
sarebbe stato facilitato dal fatto che le autorità centrali non
controllavano la miriade di centri di detenzione esistenti, per la gran
parte illegali. Amnesty International,
dal canto suo, confermava le pratiche di
tortura in atto in Libia, asserendo anche che in alcuni casi avrebbero
provocato la morte dei prigionieri. Su queste denunce le autorità
libiche si impegnavano il 31 gennaio ad aprire un’inchiesta.
Intanto il panorama politico libico veniva arricchito, il 21 febbraio 2012, da una nuova
formazione, l'Alleanza delle forze
nazionali, concepita per porre in qualche modo un argine all'ondata
islamista che ha caratterizzato tutti i paesi usciti dalla Primavera Araba, e
contrapporsi, in particolare, al Partito islamico della riforma e dello
sviluppo, nato nel gennaio 2012 a Bengasi per l'iniziativa di un gruppo di ulema, con l’intento di porre la legge
islamica quale unica fonte del diritto per la Libia. La nuova formazione
politica, facente capo all'ex premier del Consiglio nazionale di
transizione Jibril e appoggiata da molte figure di moderati libici, è
derivata dal coordinamento di una trentina di partiti e di più di 400
organizzazioni della società civile nella prospettiva delle elezioni di giugno
2012 (poi slittate a luglio) per il Congresso nazionale (assemblea
costituente), incaricato di redigere la nuova Costituzione e preparare vere e
proprie elezioni politiche.
La situazione di persistente instabilità della Libia post-Gheddafi – evidenziata nel mese di febbraio 2012 anche da
sanguinosi scontri fra tribù rivali per il controllo dei traffici illegali nel
sud del paese - conosceva all’inizio di marzo una drammatica accelerazione,
che sembrava tra l'altro dare ragione alle nere previsioni dello stesso
colonnello libico sul destino del paese dopo la fine della sua guida, visto
come inevitabile approdo alla frammentazione territoriale e istituzionale, in
modo analogo a quanto avvenuto alla Somalia dopo Siad Barre.
Il 6 marzo infatti esponenti di tribù e gruppi armati della parte
orientale del paese, la Cirenaica, davano vita a Bengasi ad un Consiglio
provvisorio per la Barqa
- nome arabo della Cirenaica - all'insegna di rivendicazioni autonomistiche e
federaliste, e in contrapposizione all'egemonia di Tripoli, accusata di essere
in mano ad esponenti del passato regime riciclatisi nella nuova situazione
della Libia. La presa di posizione di Bengasi si spiegava anche nella
prospettiva imminente dell'elezione del Congresso nazionale: in tale organismo
era infatti previsto un meccanismo di leggera prevalenza dei rappresentanti
della Tripolitania su quelli della Cirenaica.
Inoltre, non meno importante sembrava l'intenzione
della parte orientale del paese di acquisire il pieno controllo sulle ingenti
risorse petrolifere ivi situate. A capo del neonato Consiglio provvisorio
per la Barqa veniva nominato Ahmed al-Senussi, pronipote dell'ultimo re libico
Idriss, incarcerato per 31 anni da Gheddafi dopo aver tentato nel 1970 un colpo
di Stato contro di lui, e importante esponente del Consiglio nazionale di
transizione, nonché recentemente insignito dal Parlamento europeo del Premio
Sakharov.
Il leader del CNT Jalil
reagiva immediatamente, accusando alcuni paesi arabi di aver fomentato
e finanziato la costituzione del nuovo organismo di Bengasi - va ricordato che
più volte esponenti del CNT libico
avevano lanciato accuse al Qatar di intromettersi pesantemente negli affari
interni libici appoggiando alcuni gruppi contro il governo centrale di Tripoli.
Jalil bollava inoltre apertamente la nascita del Consiglio provvisorio per
la Barqa alla stregua di una cospirazione contro il nuovo corso della Libia,
minacciando di usare la forza per ristabilire il pieno controllo del CNT sul
paese.
La preoccupazione delle autorità di Tripoli si palesava altresì con la richiesta alle Nazioni
Unite di porre fine all'embargo sulle armi nei confronti della Libia, sì da
permettere al governo centrale di stabilire il proprio controllo sull'intero
paese; nonché con l'incontro al Cairo tra il maresciallo Tantawi e il capo di
Stato maggiore libico el-Mankush per colloqui sulla sicurezza delle frontiere
orientali libiche.
Il 17 marzo veniva arrestato in
Mauritania Abdallah Senussi, detto il macellaio libico, capo
dell’intelligence libica
sotto Gheddafi, ricercato dalla CPI per crimini contro l’umanità durante la
rivolta del 2011, ma implicato anche in passato in molteplici episodi di
terrorismo con centinaia di vittime. Il
26 marzo si riaccendevano gravissimi scontri tribali nella parte meridionale
del paese, con 150 morti e 400 feriti.
L’8
maggio la ricorrente
instabilità della Libia veniva confermata quando decine
di miliziani provenienti dalla città di Yafran assalivano la sede del governo
libico a Tripoli, reclamando i compensi loro dovuti in quanto combattenti
contro il regime di Gheddafi – compensi la cui corresponsione era stata in
effetti iniziata dalle nuove autorità, ma poi sospesa per presunte
irregolarità.
Alla metà di maggio 2012 Abdel Hakim Belhaj, capo del Consiglio
militare di Tripoli e uno dei principali protagonisti della rivoluzione contro
Gheddafi, si dimetteva dalla carica e annunciava il proprio ingresso a tutti gli
effetti nella vita politica. Storico oppositore armato del regime libico,
Belhaj è stato in contatto con gruppi islamici radicali sin da quando si
schierò a fianco mujaheddin afghani
contro l’invasione sovietica.
Dopo l’11 settembre 2001 è stato accusato di
rapporti con al Qaida e detenuto nel campo di Guantanamo, per essere poi
consegnato al regime libico, che lo graziò nel 2010.
L’imminenza delle elezioni per l’Assemblea costituente, che avrebbero
dovuto svolgersi il 19 giugno, scatenava in Libia violenze e rivendicazioni
senza precedenti dalla caduta di Gheddafi. Il 4 giugno una milizia di Tarhuna, con il pretesto
del rilascio di uno dei suoi leader
apparentemente scomparso la notte precedente, prendeva d’assalto l’aeroporto
internazionale di Tripoli, facendo uso anche di mezzi blindati.
La situazione tornava poi normale grazie
all’intervento della milizia di Zintan, che svolgeva una sorta di
funzione informale di polizia nella capitale. Come previsto, poi, nella stessa
giornata veniva ufficializzato il rinvio delle elezioni per l’Assemblea
costituente, fissate al 7 luglio, rinvio giustificato anche da problemi
procedurali, per l’impossibilità delle autorità di scrutinare adeguatamente le
candidature (oltre 4000) per i 200 seggi a disposizione.
Il 5 giugno esponenti della fronda di Bengasi,
che aveva nei mesi precedenti dato vita al Consiglio della Cirenaica contro
Tripoli, tornavano a richiedere di modificare a loro favore la ripartizione dei
seggi dell’Assemblea costituente, richiedendone 60, e intanto mettevano in atto
un blocco delle merci in provenienza dalla capitale, minacciando anche
di estendere l’embargo alla circolazione di mezzi privati. Gli esponenti della
Cirenaica rivendicavano inoltre nuovamente il diritto di decidere sugli
impieghi dei proventi collegati all’export di petrolio, abbondante nella Libia
orientale.
Il terzo fronte di preoccupazione si apriva
nella stessa giornata del 5 giugno, con l’esplosione di un ordigno lungo il
muro di cinta dell’ufficio di rappresentanza americano a Bengasi: a
rivendicare era un gruppo ispirato alla prigionia dello sceicco cieco Omar
Abdel-Rahman, che sta scontando l’ergastolo negli Stati Uniti per aver ideato
una serie di attacchi terroristici - è considerato tra l’altro la mente
dell’attentato del 1993 contro il World
Trade Center -, nonché il tentato assassinio di Mubarak. L’attentato è
stato ricollegato più in generale all’azione di al-Qaida nel Maghreb islamico
(AQMI), che molti esperti prevedevano avrebbe potuto dispiegarsi liberamente
proprio dopo la rimozione di Gheddafi e il successivo caos nella situazione di
sicurezza.
Va peraltro ricordato che Bengasi si
confermava anche successivamente centro di particolare pericolosità soprattutto
nei riguardi di esponenti occidentali, con quattro agguati contro missioni internazionali, due
dei quali il 6 giugno contro la rappresentanza USA nella città e l’11 giugno
contro un convoglio diplomatico britannico che aveva a bordo l’ambasciatore
Asquith, rimasto illeso, mentre due guardie del corpo riportavano ferite.
Il 7 giugno si verificava il secondo sequestro di motopesca italiani da parte delle nuove autorità libiche, dopo quello
del novembre 2011: infatti tre imbarcazioni della flotta di Mazara del Vallo
venivano dirottate nel porto di Bengasi mentre si trovavano nel braccio di mare
antistante alla città libica. Il fronte dei rapporti tra l'Italia e la nuova
Libia veniva agitato nel mese di giugno anche in relazione alla questione
dell'accordo sull'immigrazione che il Ministro dell’interno Annamaria
Cancellieri aveva firmato il 3 aprile nella sua visita a Tripoli, e che
continuerebbe ad includere la clausola del respingimento in mare già applicata
dal precedente governo, suscitando numerose polemiche e la condanna, nel
febbraio 2012, da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo. In
particolare, la disposizione sui respingimenti è stata criticata in quanto non
permetterebbe di distinguere tra immigrati clandestini con motivazioni di tipo
economico e immigrati da zone del mondo che danno diritto a chi ne proviene al
riconoscimento dello status di
rifugiato.
La rinnovata polemica era iniziata a seguito
di un rapporto di Amnesty International
del 15 giugno che denunciava l'accordo del nuovo governo italiano con le autorità
libiche per la riammissione in quel paese di immigrati irregolari intercettati
in mare. Il 20 giugno, in occasione della Giornata mondiale del rifugiato, il
delegato dell'Alto commissariato ONU per i rifugiati nell'Europa meridionale, Laurens
Jolles, nuovamente criticava l'Italia per non aver tenuto conto,
negli accordi con la nuova Libia, della necessità di clausole di salvaguardia a
protezione dei potenziali rifugiati.
In entrambi i casi la reazione del Governo
italiano era decisa, nel senso di negare ogni continuità con la pratica
precedente dei respingimenti in mare, e di affermare la piena conformità di
quanto stipulato con Tripoli alle convenzioni internazionali e al rispetto dei
diritti umani: ciò è stato fatto tanto dal Ministro per la cooperazione
internazionale Andrea Riccardi, quanto dal Ministro degli Affari esteri Giulio
Terzi.
Il 24 giugno le autorità libiche ottenevano
il rimpatrio di Baghdadi el-Mahmudi,
ex premier sotto Gheddafi, che era
fuggito in Tunisia: la decisione di estradare Mahmudi apriva un grave conflitto
istituzionale proprio a Tunisi tra il premier Djebali – islamico moderato – e
il Presidente laico Moncef Marzouki, fortemente contrario per le scarse
garanzia di equità giudiziaria e di incolumità che la Libia avrebbe offerto a
Mahmudi. Il 5 settembre La
Libia registrava poi un altro successo nelle relazioni giudiziarie
internazionali, ottenendo il rientro dell'ex capo dei servizi segreti di
Gheddafi Abdullah al Senussi, estradato dalla Mauritania (nei cui confronti
pendeva anche un ordine di cattura della Corte penale internazionale).
Il 7 luglio si potevano
finalmente svolgere le elezioni per l'Assemblea costituente,
precedute da grande preoccupazione per la situazione di caos e di mancanza di
sicurezza nel paese. Ciò nonostante, malgrado sporadici problemi soprattutto
nella parte orientale della Libia - nella serata del 7 luglio vi è stata una
vittima della città di Ajdabiya - il
voto si è svolto complessivamente in un clima di condivisione da parte della
popolazione, e si è potuto votare nel 98% dei seggi, registrando una buona
affluenza, pari al 62% degli aventi diritto. I primi dati evidenziavano un vantaggio della coalizione moderata di 40
formazioni politiche di liberali ed indipendenti guidata dall'ex premier del Consiglio nazionale di
transizione Mahmud Jibril, che nei risultati preliminari diramati il 18
luglio si confermava, con l’attribuzione alla coalizione di Jibril di 39 seggi
sugli 80 destinati ai partiti – 120 seggi erano invece da attribuire a
candidati indipendenti -, mentre il partito Giustizia e Ricostruzione, vicino
ai Fratelli musulmani, ne conquistava 17. Il carattere non tradizionale del
voto libico veniva rafforzato dal sorprendente numero di donne elette nel primo
gruppo, ben 33, ovvero più del 15% del totale dei componenti l’Assemblea
Costituente.
Nella tarda serata dell'8 agosto 2012, con una cerimonia di alto valore simbolico alla
quale hanno presenziato rappresentanti delle missioni diplomatiche straniere in
Libia, oltre ai componenti del Cnt (Consiglio nazionale di transizione), del
governo e di diversi partiti politici, si è consumato il passaggio di poteri
dal Consiglio nazionale di transizione al Congresso nazionale libico uscito
dalle elezioni del 7 luglio.
Al Congresso il compito nell'immediato di
scegliere un nuovo governo, e successivamente redigere la nuova Costituzione
sulla base della quale si terranno poi elezioni legislative vere e proprie. Il
presidente del Cnt Mustafa Jalil ha sottolineato – come ha fatto anche il
nostro Ministro degli Esteri Giulio Terzi – il carattere storico del momento
istituzionale vissuto dalla Libia, ma non ha nascosto il ritardo con cui sotto
la sua presidenza il paese ha affrontato nodi tuttora difficili, come quello della
sicurezza o quello del disarmo, in considerazione dell’imponente arsenale
ereditato dal regime di Gheddafi.
Il 10 agosto si è proceduto alla nomina del
presidente del Congresso nazionale libico, nella persona di Mohammed Magarief,
di tendenza islamica moderata, il quale, dopo aver rivestito cariche di
rilievo nel regime di Gheddafi, già nel 1980 se ne distaccava, dimettendosi
dalla carica di ambasciatore in India e dando vita a una formazione politica di
fuoriusciti libici denominata Fronte di salvezza nazionale libico.
Nonostante questi positivi sviluppi
istituzionali, la situazione della sicurezza in Libia si manteneva piuttosto
critica: dopo la bomba che il 3 agosto aveva causato un ferito nel centro
di Tripoli, il 16 agosto vi è stata un’esplosione in prossimità del quartiere
generale dei servizi segreti militari di Bengasi. Il 19 agosto l'ultimo giorno
del Ramadan nella capitale è stato funestato dall'esplosione dapprima di
un'autobomba vicino agli uffici del ministero dell'interno, che non ha provocato
vittime, e subito dopo dallo scoppio di altre due auto imbottire di esplosivo
nei pressi dell'ex quartier generale dell'accademia di polizia femminile, con
la morte di due giovani automobilisti in transito al momento dell'attentato, e
il ferimento di diverse persone. Quest'ultimo attentato veniva attribuito dal
responsabile della sicurezza libico all'opera di sostenitori del passato
regime. Il 20 agosto a Bengasi saltava in aria – per fortuna senza vittime -
l’auto di un diplomatico egiziano: nelle stesse ore a Tripoli venivano
arrestate 32 persone, ritenute legate al passato regime, in relazione agli
attentati del giorno precedente. Il 2 settembre a Bengasi una bomba a bordo di
un’auto, fatta esplodere a distanza, uccideva un colonnello dell’intelligence libica già in vista al
tempo di Gheddafi, ferendo un altro militare che si trovava anch’egli a bordo
dell’automobile.
La criticità della piazza di
Bengasi balzava di nuovo clamorosamente all’attenzione internazionale
quando l’11 settembre la rappresentanza USA nella città era oggetto di un
attacco, a quanto pare messo in atto dalla milizia islamica Ansar al Sharia
- diffusa in più vaste regioni del Maghreb e nello Yemen, e legata ai rami
nordafricano e saudita-yemenita di al Qaida -, i cui appartenenti hanno dato
alle fiamme l’edificio consolare: nell’incendio sono morti asfissiati
l’Ambasciatore USA in Libia Chris Stevens – che si trovava a Bengasi - un
funzionario diplomatico e due marines. L’attacco sarebbe avvenuto nel quadro
delle proteste verificatesi in diversi paesi arabi contro le ambasciate e
consolati USA in seguito alla produzione negli Stati Uniti, per opera di alcuni
cristiano-copti egiziani, di un film sulla vita di Maometto, ritenuto offensivo
per il Profeta. Secondo gli Stati Uniti e le autorità libiche, tuttavia, i
tumulti sarebbero stati solo occasione e copertura per un disegno
precedentemente architettato, non a caso, forse, nella ricorrenza dell’11
settembre.
Inoltre gli americani hanno sostenuto che gli
assalitori del Consolato sapessero della presenza all’interno di esso dell’ambasciatore
Stevens, normalmente residente a Tripoli, e avrebbero impiegato armi
pesanti inconcepibili nelle mani di semplici manifestanti, ancorché infuriati
per l’oltraggio a Maometto. Nelle ore
successive emergeva come il piano degli assalitori avesse anche previsto che
l'Ambasciatore e altre persone si sarebbero rifugiati in un edificio
maggiormente sicuro nel comprensorio del Consolato, e una cinquantina di uomini
pesantemente armati anche con mortai avrebbero allora scatenato l'attacco
proprio contro questo obiettivo.
Gli USA hanno preannunciato, per bocca del
Presidente Obama, che sarebbe stata fatta giustizia, ma senza pregiudicare i
legami con la nuova Libia, oltretutto l’unico Stato coinvolto dalla Primavera
Araba a non aver scelto fino a quel momento una guida politica islamica.
In effetti, nei giorni successivi
all'attacco di Bengasi una cinquantina di persone sono finite in carcere, tra
le quali alcune provenienti dal Mali e dall'Algeria, a dimostrazione, a detta
dei libici, di legami con elementi terroristici di “Al-Qaida nel Maghreb
islamico”. Il presidente del Congresso nazionale Magarief, dando conto di
questi sviluppi, ha tenuto a rivendicare l'esclusività dell'azione di polizia
dei libici, almeno in una prima fase, rispetto alla quale, del resto, il
segretario di Stato Hillary Clinton ha espresso fiducia.
La stessa Clinton, peraltro, ha assunto ogni
responsabilità in ordine alle polemiche che l’attentato di Bengasi ha provocato
nella fase più calda della campagna elettorale per le Presidenziali USA del
2012, con lo sfidante Mitt Romney che addebitava all’Amministrazione Obama il
tentativo di nascondere in un primo tempo il carattere terroristico
dell’attentato e le manchevolezze nel sistema di sicurezza della rappresentanza
statunitense di Bengasi. All’inizio di dicembre 2012 le autorità egiziane
hanno proceduto all’arresto di Muhammad Jamal Abu Ahmad, già appartenente
alla Jihad islamica egiziana e
ritenuto l’architetto del tragico attacco al Consolato USA di Bengasi dell’11
settembre. In particolare, appartenenti alla rete terroristica egiziana
attualmente capitanata da Abu Ahmad – che risulta collegata a gruppi a loro
volta inseriti in al-Qaida nel Maghreb islamico – avrebbero partecipato
direttamente all’attentato di Bengasi.
Nonostante tali drammatici sviluppi, il
Congresso nazionale libico ha tenuto fermo il calendario dei propri lavori, che
prevedeva anzitutto l'elezione del
nuovo premier: il 12 settembre ha
prevalso Mustafa Abu Shagur, con soli due voti in più di Mahmud Jibril, leader dell'Alleanza liberale che aveva
vinto le elezioni di luglio, ma che nel complesso gioco politico interno al
Congresso nazionale - dove determinante è la posizione dei numerosi candidati
“indipendenti” -, ha dovuto soccombere all'appoggio dato dal Partito Giustizia
e Ricostruzione, vicino ai Fratelli Musulmani, ad Abu Shagur.
Anche l'inattesa ondata “liberale” libica sembrava aver avuto così il
suo contemperamento con le esigenze dei partiti d'ispirazione religiosa, anche se il sessantunenne tecnocrate Abu Shagur,
esiliato nel 1980 da Gheddafi, vantava assai solidi legami con gli Stati Uniti,
dove si è laureato in ingegneria elettronica, ha insegnato in diverse
Università e ha anche partecipato al programma spaziale della NASA,
collaborando altresì con il Pentagono.
Che la sicurezza fosse di gran lunga il più
grave problema del nuovo esecutivo libico emergeva con ulteriore chiarezza
il 22 settembre, quando si
assisteva nella città di Bengasi a un attacco di grande determinazione,
che, se è stato posto in atto da milizie filogovernative, ha visto la massiccia
mobilitazione della popolazione di Bengasi, decisa a quanto pare a liberarsi
della pesante ipoteca che miliziani a vario titolo ispirantisi alla legge
islamica avevano posto da molto tempo sulla direzione politico-militare della
città.
La gravità dei fatti che aveva portato
all'uccisione dell'Ambasciatore americano ha probabilmente messo in moto una
preoccupazione ben fondata nella popolazione di Bengasi, che infatti ha
attaccato caserme di milizie islamiche tanto antigovernative - come Ansar al
Sharia - quanto filogovernative, come la
milizia di Raf Alllah al Sahati.
In entrambi i casi vi sono stati diverse
vittime tra i miliziani islamici, e le loro sedi sono state saccheggiate e
devastate. Il 23 settembre le autorità di Tripoli hanno preso atto di quanto
accaduto il giorno precedente a Bengasi, e hanno deciso d'imperio la cancellazione
di tutte le formazioni armate non legittimate dallo Stato: per gestire il
provvedimento è stato istituito un Centro operativo proprio nella città di
Bengasi, nel quale dovranno cooperare forze armate, forze di polizia e
investigative e le brigate dei protagonisti della ribellione contro Gheddafi,
che si tenta in tal modo di imbrigliare.
Nel centro-sud del paese, peraltro, non
sembrava del tutto sopita la resistenza dei partigiani di Gheddafi, che a Brak
attaccavano le forze di sicurezza governative, provocando nove vittime, mentre la roccaforte dei
gheddafiani di Bani Walid veniva posta sotto assedio sin dal 5 ottobre da un
migliaio di miliziani riconosciuti dalle autorità libiche, intenzionati a vendicare nel sangue la morte di
un ragazzo, salito alla ribalta per aver individuato Gheddafi quando si trovava
a Sirte – sua città natale -, e successivamente catturato e torturato da suoi
miliziani irriducibili.
La situazione è stata complicata
dall’evidente appoggio che l’importante gruppo tribale dei Warfalla ha fornito
ai lealisti assediati, creando anche notevoli problemi nell’ordine pubblico a
Sirte. L’assedio terminava il 24
ottobre, con l’ingresso a Bani Walid delle milizie filogovernative – tra le
quali in posizione dominante quella della città di Misurata, messa a dura prova
nel 2011 dalla repressione di Gheddafi. A parte le denunce rivolte negli ultimi
giorni agli assedianti per violenze di ogni tipo che avrebbero perpetrato anche
contro i civili, emergeva ancora una
volta come le autorità centrali di Tripoli debbano servirsi dell’opera di
milizie non regolari per ogni intervento armato, rimanendo così in una
posizione di dipendenza non coerente con la sovranità di un paese normale, e
risentendo direttamente degli abusi che spesso le milizie mettono in atto, non
foss’altro che per la loro caratterizzazione tribale e localistica.
Mentre anche a Bengasi si registravano
numerose manifestazioni, stavolta prevalentemente favorevoli agli integralisti
solo da pochi giorni cacciati dalla città, e mentre vi era il 7 ottobre
l’ennesimo sequestro ai danni di pescherecci siciliani[1] – i militari libici hanno prima aperto il fuoco, e
poi scortato i due motopesca nel porto di Bengasi -; l’evento politicamente più
importante è stato senza dubbio il doppio rifiuto, rispettivamente il 4 e il
7 ottobre, che il Congresso nazionale ha opposto a due diverse liste dei
ministri presentate dal premier designato Abu Shagur, che perciò ha
rassegnato le proprie dimissioni.
L’oggetto del contendere sarebbe stata la
scarsa rappresentatività delle compagini messe insieme da Shagur, nella prima
delle quali, soprattutto, non avrebbe trovato alcuna rappresentanza la vasta
coalizione liberale che pure aveva vinto il 7 luglio, riportando il maggior
numero di consensi in relazione ai candidati partitici.
Il 14 ottobre il Congresso nazionale libico ha designato quale nuovo premier Ali Zeidan, eletto il 7 luglio tra i candidati indipendenti, ma di tendenza liberale: Zeidan ha prevalso per 93 voti contro 85 sul candidato espressione ancora una volta del braccio politico dei Fratelli musulmani in Libia. A Zeidan viene tra l’altro attribuito un ruolo speciale nella preparazione dell’intervento aereo francese che segnò nel marzo 2011 l’inizio della fine di Gheddafi, che invece si preparava a una dura repressione della rivolta, con le truppe lealiste ormai in vista di Bengasi.
Il 31 ottobre la compagine assemblata da Zeidan – un governo di
coalizione di trenta ministri riferentisi per lo più ai due maggiori partiti – ha ottenuto una risicata maggioranza (105
voti) dal Congresso nazionale, ponendo comunque fine alla fase transitoria
incarnata dal novembre 2011 dal governo di el-Keib, e aprendo la prospettiva di
elezioni politiche che dovranno seguire la redazione della nuova Costituzione
da parte del Congresso nazionale. Non sono mancate manifestazioni il giorno
prima e quello della seduta: tra l’altro alcuni salafiti hanno contestato il
neoministro agli Affari religiosi Abusaad, secondo loro legato al sufismo e al
laico Jibril. Nel complesso, come hanno dimostrato gravi scontri tra diverse
milizie nel centro della capitale il 4 novembre, la situazione della sicurezza è rimasta assai precaria, e forse il
maggior problema da risolvere per il nuovo esecutivo.
Il 6 novembre il Ministro degli
Affari esteri pro-tempore Giulio
Terzi – recatosi in visita a Tripoli unitamente a una delegazione
imprenditoriale italiana – ha avuto modo di reiterare l’appoggio italiano al consolidamento del nuovo corso della Libia.
Da parte libica vi è stato l’impegno a una prossima firma del contratto (circa
800 milioni di euro) con il Consorzio italiano guidato da SAIPEM per la
realizzazione di un tratto costiero dell’autostrada prevista dal Trattato di
amicizia italo-libico; inoltre, i libici hanno parlato di onorare i debiti
contratti dal regime di Gheddafi con le imprese italiane, pari a circa 600
milioni di euro, pur ponendo la questione in una prospettiva non immediata. Il
Ministro Terzi ha anche inaugurato l’Ambasciata italiana a Tripoli, restaurata
dopo i danni subiti durante i mesi della rivolta e della guerra.
Il 16 dicembre l’Amministratore delegato dell’ENI Scaroni ha presentato a Tripoli un piano di investimento nel settore petrolifero libico – sia negli impianti già operativi che per nuove prospezioni – pari a circa 8 miliardi di dollari nel prossimo decennio.
I persistenti problemi di sicurezza nella nuova Libia non sono stati
assenti il 10 gennaio 2013 a Roma in occasione del Forum economico Italia-Libia
svoltosi alla Farnesina, cui ha preso parte il presidente del Congresso
nazionale e capo dello Stato libico Magarief, unitamente all’allora Ministro
degli Esteri Giulio Terzi e a rappresentanti di una settantina di imprese
italiane, che contribuiscono a fare tuttora dell'Italia il primo partner
commerciale della Libia. L'incontro romano del 10 gennaio - che ha fatto
seguito al Business Forum di Milano
del 29 novembre 2012 - avrebbe registrato un ulteriore progresso sulla
questione dei crediti delle imprese italiane verso la Libia, con la
presentazione di una proposta libica da discutere a livello tecnico.
Il 12 gennaio la
questione della sicurezza in Libia tornava drammaticamente attuale con l'agguato contro la vettura blindata del
console italiano a Bengasi Guido de Sanctis, che veniva raggiunta da
numerosi proiettili fortunatamente infrantisi sulla corazza del veicolo.
L'evento, forse nelle modalità il più grave dopo l'uccisione l'11 settembre
2012 dell'Ambasciatore americano Chris Stevens mentre si trovava a Bengasi,
provocava un sussulto nelle autorità libiche, tale da spingerle a progettare
una forza speciale per la protezione di diplomatici e in generale di cittadini
stranieri in Libia, alle dipendenze del Ministero della Difesa e formata da
poliziotti e militari addestrati all'estero.
Nonostante queste positive reazioni e un'ampia solidarietà della
popolazione della Cirenaica, il ripetersi di nuovi attentati contro le stesse
forze di sicurezza a Bengasi consigliava
il 15 gennaio alle autorità italiane di porre fine temporaneamente all'attività
del Consolato italiano in loco.
E’ dunque evidente che le preoccupazioni per la sicurezza in Libia si
mantenevano molto forti, a partire dall'imputazione
ad una pista libica perfino dell'attacco contro il sito estrattivo algerino di
In Amenas, collegato all'intervento francese nel Mali, e costato la vita a
una quarantina di ostaggi stranieri che le forze di sicurezza algerine
tentavano di liberare. In effetti, sia le armi utilizzate nell'attacco
terroristico che buona parte di coloro che lo hanno perpetrato sarebbero venuti
dalla Libia, e sarebbero stati quasi tutti mercenari assoldati nel paese –
probabile eredità del periodo di Gheddafi. Conseguentemente, nell'ultima
settimana di gennaio il crescere della preoccupazione spingeva Gran Bretagna,
Germania e Olanda ad esortare i propri cittadini a lasciare Bengasi e la
Cirenaica, in tal modo suscitando la reazione di disappunto delle autorità
libiche, che hanno ritenuto esagerato l'allarme dei paesi europei.
L’allarme sul flusso di armi
che dalla Libia starebbe alimentando conflitti come quello del Mali o della
Siria, nonché rifornendo elementi del terrorismo
internazionale, è tornato nuovamente sulla ribalta il 10 aprile, con un
rapporto dei cinque esperti incaricati del monitoraggio sull’embargo imposto
alla Libia nel 2011 in ordine agli armamenti: oltre ai rischi per la stabilità
di più di dieci paesi, anche la
situazione interna della Libia permarrebbe critica per l’enorme e incontrollata
circolazione di armi in mano alle milizie e a singoli cittadini.
Proprio in relazione al clima di tensione che si registrava nel paese
africano il Ministro della Difesa
Giampaolo Di Paola si è recato il 6 febbraio a Tripoli, dove ha ribadito
l'appoggio dell'Italia agli sforzi della nuova Libia, appoggio dimostrato dalla
consegna di venti blindati Puma all'esercito libico, ma che si potrà concretare
anche in corsi di addestramento delle forze di sicurezza e in un complesso
sistema per il controllo delle frontiere meridionali del paese messo a punto da
Finmeccanica. Tale progetto, che avrebbe un valore vicino ai 2 miliardi di
euro, sarebbe volto non solo contro le attività illegali di tipo terroristico,
ma anche contro la forte pressione migratoria che investe la Libia dai paesi
dell'Africa subsahariana, e che in seconda battuta non può non riguardare anche
l'Italia.
Il 2 marzo è drammaticamente
riesploso il problema delle milizie, quando appartenenti alle
brigate di Zintan e di Zuara si sono scontrati per assicurarsi il controllo
della gestione della sicurezza dell'impianto ENI di Mellitah, dal quale il gas
libico viene convogliato verso la Sicilia. Gli scontri tra le due milizie sono
cessati il 3 marzo solo per la mediazione del governo, ponendo le premesse per
la riapertura dell'erogazione attraverso il gasdotto Greenstream. Nonostante le ripetute critiche del premier libico Zeidan, soprattutto la milizia di Zintan sembra
spadroneggiare nel paese, ove si affacciano anche preoccupanti episodi di prevaricazione nei confronti di
cristiano-copti, messi in atto dalle milizie nonostante gli avvertimenti
del governo.
La milizia islamica Ansar al Sharia – la stessa accusata
dell’attentato di Bengasi dell’11 settembre 2012 – nella giornata del 3 marzo
procedeva ad una clamorosa manifestazione, circondando la sede della Scuola
europea di Bengasi con farneticanti accuse di pornografia in relazione ad un
testo di educazione sessuale distribuito agli studenti. Ben più grave, proprio
perché verificatosi in Tripolitania, è stato il tentato omicidio di un prete
cattolico di origine egiziana, che il 4 marzo un uomo pesantemente armato
ha posto in atto nella chiesa tripolina di San Francesco.
Il 6 marzo la pressione delle milizie è giunta
al culmine, quando addirittura la sede del Parlamento è stata circondata da
centinaia di miliziani, e il presidente Magarief a stento riusciva a
sottrarsi al loro attacco. Il governo libico, in questa situazione, ha lanciato
alla metà di marzo un’operazione volta a liberare il paese dall’ipoteca delle
milizie illegali, consapevole della difficoltà di questo obiettivo, che
comporterà inevitabilmente scontri armati. Nel frattempo rivendicazioni
salariali bloccavano la produzione petrolifera del sud e nell'est del paese,
mentre in Egitto il Papa copto Tawadros II convocava l'ambasciatore libico
per richiedere spiegazioni in ordine all'arresto a Misurata di quattro cristiano-copti
accusati di proselitismo, dopo che già la morte di un loro correligionario in
carcere aveva provocato al Cairo l'assalto dei copti all'ambasciata libica,
costretta a chiudere precipitosamente i battenti.
Il 23 aprile un’autobomba
danneggiava seriamente l’Ambasciata francese a Tripoli,
proseguendo nello stillicidio di attacchi a sedi e personale diplomatico
occidentali, da imputare quasi certamente ad elementi di al-Qaida, o comunque
ad essa collegati. Cinque giorni dopo il Ministero degli esteri veniva
circondato da numerosi veicoli armati di miliziani che chiedevano
l’allontanamento di numerosi funzionari e diplomatici compromessi con il
passato regime.
Nei giorni successivi la pressione dei miliziani si estendeva anche al
Ministero della giustizia, fino a che il
5 maggio il Parlamento approvava un
disegno di legge, lungamente contrastato, per l’estromissione degli esponenti
gheddafiani da qualsiasi incarico pubblico o carica elettiva.
Conseguentemente, anticipando la scadenza del 5 giugno, il 28 maggio lo stesso presidente del Congresso nazionale
libico Magarief si dimetteva: infatti la nuova normativa - approvata,
occorre ricordare, sotto la pressione di gruppi armati dispiegati nella
capitale - non tiene in alcun conto il fatto che ad esempio Magarief era già
dal 1980 oppositore del regime di Gheddafi, e lo colpisce in quanto aveva
rivestito alcune importanti cariche nel
primo decennio di potere del colonnello. Il carattere estremistico di tale
normativa rischia in effetti di privare la Libia di qualsiasi elemento
dirigente credibile a livello politico, militare ed economico, vista la lunga
durata e la solo recente caduta del regime di Gheddafi.
Il 13 maggio trapelavano
informazioni sullo spostamento di un
contingente di marines dalla Spagna
alla base siciliana di Sigonella, in relazione a nuovi possibili attacchi
contro il personale diplomatico USA in Libia: il governo statunitense ha
inquadrato l’operazione all’interno di accordi già operanti con l’Italia, ma
diversi partiti hanno chiesto al Governo italiano chiarimenti al proposito.
L’8 giugno l'avversione della popolazione di Bengasi verso la presenza
di milizie armate, sia pure rappresentanti dello Stato libico, sembrava
conoscere un nuovo gravissimo episodio, con un massiccio assalto al quartier generale della milizia denominata “Scudo
della Libia”: negli scontri, durante i quali tuttavia molti aggressori
risultavano assai bene armati, smentendo il carattere di sollevazione spontanea
dell'accaduto, si sono avuti una
trentina di morti e non meno di cento feriti. La gravità dell'accaduto ha
spinto il capo di stato maggiore dell'esercito al-Mangoush a dimettersi dopo
una riunione a porte chiuse in parlamento.
L’11 giugno un'automobile in
uso all'Ambasciata italiana a Tripoli è esplosa poco
dopo che gli occupanti se ne erano precipitosamente allontanati, per un ordigno
piazzato sotto la parte posteriore.
Il 15 giugno Bengasi è stata colpita da una nuova ondata di attacchi
contro installazioni militari controllate da miliziani, con l’utilizzazione
anche di armi pesanti, che hanno provocato non meno di sei morti tra gli agenti
di sicurezza.
La difficile situazione libica
ha senz'altro contribuito all'invito del premier
Ali Zeidan ai lavori del Vertice dei Capi di Stato e di governo del G8 in
Irlanda del Nord (17-18 giugno): qui l'Italia ha avuto una sorta di investitura
informale dagli altri partner per un
interessamento concreto alla situazione della Libia, con un
ruolo attivo di Roma soprattutto nell'accompagnare la transizione democratica,
lo sviluppo dell'economia, e un processo politico pacifico e inclusivo di
riconciliazione nazionale e riforma costituzionale. L'Italia ha precisato in
particolare di essere interessata a contribuire alla formazione delle strutture
militari libiche, alla costruzione di istituzioni funzionanti e a fronteggiare
il grave problema della raccolta delle armi, che ancora in gran numero sono
nelle mani della popolazione e soprattutto di alcuni gruppi organizzati di
essa, quali le milizie e gli jihadisti.
L'Italia significativamente si è detta molto interessata anche ad aiutare la
Libia alla costruzione di una Guardia costiera efficiente, impegno che potrà
dispiegarsi già dal 4 luglio, con la visita a roma del premier libico accompagnato da alcuni suoi ministri.
Rappresentanze
diplomatiche |
Ambasciatore d’Italia a Tripoli,
Giuseppe BUCCINO GRIMALDI (dal 15 settembre
2011)
Ambasciatore della Libia a Roma, HAGI A.S. DHAN, Incaricato d’affari
XVII
LEGISLATURA
Il 2 luglio 2013, la Camera dei deputati,
in collaborazione con l’Iniziativa Ara Pacis, e con il patrocinio del Ministero
degli Affari esteri, ha ospitato un Convegno dal titolo La verità necessaria,
dedicato alla giustizia transazionale e ai processi di riconciliazione nei
Paesi della primavera araba. Ai lavori, aperti dalla Presidente della Camera,
on. Laura Boldrini, è intervenuto il Vice Presidente del Congresso generale
nazionale della Libia, Giuma Ahmed
Atigha. Durante i lavori due vittime della violenza in Libia hanno
apportato la loro drammatica testimonianza.
*******************
XVI LEGISLATURA
Si ricorda che l’on. Gennaio Malgieri (PDL) era stato designato del Presidente della
Camera, on. Gianfranco Fini, a coordinare
i rapporti parlamentari con i Parlamenti dei Paesi arabi del Mediterraneo. In
tale veste ha incontrato l’allora Ambasciatore della Libia a Roma, S.E.
Abdulhafed Gaddur, il 20 dicembre 2011.
Incontri
del Presidente |
L'11 gennaio 2013, il Presidente della
Camera, Gianfranco Fini, ha ricevuto la visita
del Presidente del Congresso Nazionale libico e Capo provvisorio dello Stato,
Mohamed Mgarief. Il Presidente libico era accompagnato da una delegazione
costituita dal Primo Vice Presidente del Governo, Awad Al Barasi, dal Ministro
dell'Economia, Mustafa Abufanas, dal Ministro della Pianificazione, Madi Taher
Ghania, dal Ministro dell'Industria, Suliman Atia Fituri e dal Vice Ministro
dell'Energia, Omar Shakman.
Il 15 dicembre 2011 il Presidente della
Camera, Gianfranco Fini ha incontrato il Presidente del Consiglio Nazionale di
Transizione libico, Mustafa Abdel Jalil.
Nel corso del
colloquio, il Presidente Fini ha espresso apprezzamento per l’impegno preso,
con il Primo Ministro Monti, ai fini della riattivazione del Trattato di
amicizia, ed ha ricordato come l’Italia giochi un ruolo attivo ai fini dello
scongelamento dei fondi libici. Ha poi offerto la piena disponibilità della
Camera dei deputati a collaborare con il nuovo Parlamento libico.
Jalil ha indicato
l’Italia come alleato della Libia e espresso apprezzamento per il supporto
economico ed umanitario italiano a favore del popolo libico. Ha poi
sottolineato come le aziende italiane non correranno rischi. Ha quindi
osservato come l’attuale governo di transizione cerchi di garantire stabilità e
sicurezza e di far ripartire il paese. Jailil ha ribadito l’importanza che
l’Italia offra la possibilità di cura nei suoi ospedali ai libici. Il
Presidente Fini, a conclusione del colloquio, ha confermato il pieno sostegno
dell’Italia alla Libia e al processo di riconciliazione nazionale.
Il 12 dicembre 2011, il Presidente della
Camera, Gianfranco Fini, ha ricevuto alla Camera una delegazione degli Ambasciatori dei Paesi delle Lega Araba, guidata
dall’Ambasciatore della Libia,
Abdulhafed Gaddur, Vice Decano del
Corpo Diplomatico Arabo in Italia. Gli altri Ambasciatori sono: Sabri Ateyeh, Delegato Generale Palestinese; Naceur Mestiri, Ambasciatore della Tunisia; Nur Hassan Hussein, Ambasciatore della
Somalia; Said Nasser Al-Harthy, Ambasciatore dell'Oman; Saywan Mustafa Barzani, Ambasciatore dell'Iraq; Sherif
Fouad Sadek,
Incaricato d'Affari della Lega degli Stati Arabi.
L’incontro è stato
richiesto dagli Ambasciatori per discutere, in particolare, la questione palestinese in riferimento
alle varie istanze di riconoscimento presentate presso gli Organismi
Internazionali ed agli sviluppi del processo di pace con Israele. Gli
Ambasciatori hanno richiesto il sostegno dell’Italia in occasione della
decisione dell’ONU in ordine al riconoscimento dello Stato Palestinese. Tale
richiesta non è stata avanzata per isolare Israele, bensì perché si è constato
lo stallo del negoziato. Il Presidente Fini, dopo aver ricordare il
tradizionale sostegno dell’Italia alla causa palestinese, ha evidenziato che
l’azione di un singolo Stato non otterrebbe nessun risultato: determinante
sarebbe riuscire ad avere una posizione unitaria in sede UE. In tal caso
sarebbe possibile esercitare un’effettiva pressione sugli USA, su Israele e su
Hamas per ottenere un risultato soddisfacente. L’Italia si sta quindi
impegnando affinchè la politica estera europea riesca finalmente a parlare con
una sola voce. Inoltre, ha invitato gli Ambasciatori a non affrettare i tempi,
ma aspettare un possibile cambio di scenario, riconducibile a: le elezioni
negli USA e in Israele, la possibilità che si riesca ad individuare una data
per le elezioni legislative palestinesi, la possibilità che – per quelle date –
l’UE abbia individuato una linea comune.
Il 20 maggio 2009, il Presidente della
Camera, on. Gianfranco Fini, ha
ricevuto la visita del Presidente della Commissione Infrastrutture del
Congresso generale del Popolo di Libia, Tayeb
Safi Tayeb.
Nell’ambito del
colloquio è stata evidenziata la nuova fase delle relazioni tra i due Paesi –
avviata a seguito della firma del Trattato di amicizia – che appare
caratterizzata da sentimenti di amicizia e collaborazione. In particolare, per
quanto riguarda la questione dei rimpatri, il Presidente Tayeb ha evidenziato
come le autorità libiche si stiano occupando anche dell’individuazione di
coloro che hanno chiesto asilo politico, attività per la quale hanno chiesto la
collaborazione dei funzionari dell’Ambasciata italiana. Il Presidente Fini ha
apprezzato la collaborazione tra i due Paesi, evidenziando la necessità che
l’Unione europea guardi non solo ad est, ma soprattutto a sud. In particolare,
in merito alle politiche migratorie dell’UE, esse devono svilupparsi lungo due
direttrici: favorire lo sviluppo economico in tutta l’Africa; controllare le
frontiere comuni per impedire l’ingresso dei clandestini. Al tempo stesso è
necessario che l’UE e l’ONU contribuiscano impiegando uomini e risorse, anche
al fine di creare centri internazionali per il controllo degli immigrati
irregolari. Il Presidente Tayeb ha altresì sottolineato la necessità di
intervenire per far cessare l’instabilità in alcune regioni africane,
aiutandole ad uscire dalla situazione di assoluta povertà.
Incontri
delle Commissioni |
Il 30 novembre 2011, nel corso dell’audizione sulle linee programmatiche
del suo dicastero, svolta presso le Commissioni Affari Esteri della Camera e
del Senato, il Ministro degli Affari Esteri, Giulio Terzi, ha affermato, in
riferimento alla Libia, che l’allora
Primo Ministro libico, Al Kiib, riscuoteva la fiducia del governo italiano, le
cui priorità riguardo alla Libia si incentrano sulla ricostruzione del Paese,
sul ripristino della sicurezza e dei controlli alle frontiere, nonché sulla
riattivazione del Trattato di Amicizia.
Il 26 e 27 maggio 2010 una delegazione del
Comitato Schengen, guidata dal Presidente Boniver, ha
effettuato una visita in Libia.
In particolare, la delegazione del Comitato ha incontrato
il Vice Segretario del Comitato Popolare per le Relazioni Estere e la
Cooperazione Internazionale Abdelati Al-Obeidi (viceministro degli esteri),
Sulaiman Al-Shuhumi, Segretario per gli affari esteri del Congresso Generale
del Popolo, e Mohamed Belgasem Al-Zwei, Segretario del Congresso Generale del
Popolo (Presidente del Parlamento). La delegazione ha inoltre visitato, senza
stampa al seguito, il centro di raccolta di immigrati di Twesha, alla periferia
di Tripoli.
Iniziative
di collaborazione parlamentare |
La Camera dei
deputati ha partecipato, con una delegazione formata dai deputati onn. Margherita Boniver e Lapo Pistelli, ad un progetto di sostegno, promosso
dall’Unione europea, alle nascenti organizzazioni parlamentari libiche, al fine
di fornire ai membri del Congresso Nazionale libico la formazione necessaria
per il corretto svolgimento della funzione parlamentare.
In particolare, il
contributo italiano si è focalizzato sui settori Bilancio, Legislazione e
Costituzione. In tale ambito i deputati italiani sono intervenuti in due
sessioni: dal 19 al 21 novembre 2012
sul tema del controllo parlamentare e dal 3
al 5 dicembre su quello della legislazione. Ai lavori hanno preso parte
anche funzionari della Camera.
La partecipazione
a tale progetto ha consentito di rafforzare i legami esistenti tra le
istituzioni parlamentari e creare una rete di contatti utili a favorire
ulteriori forme di collaborazione
Cooperazione
multilaterale |
Si segnala che nell’ambito della Conferenza
Internazionale, dedicata a "Le
donne come agenti di cambiamento nel sud del Mediterraneo",
organizzata organizzata presso la Camera,
il 23 e 24 ottobre 2011, dall’on. Deborah Bergamini (PdL), Presidente del Centro Nord-Sud del Consiglio d'Europa, sono intervenuti
nel corso della prima sessione (“Il ruolo
delle donne come agenti di cambiamento politico”), Abdulhafed Gaddur, Ambasciatore libico in Italia, e Huda el Abdelaziz Muhamed, una delle
protagoniste della rivoluzione libica.
Partenariato
euromediterraneo
Il Congresso Generale del Popolo libico, pur regolarmente invitato in
qualità di osservatore nelle sedi
della cooperazione parlamentare inerente il Processo di Barcellona, non vi ha
mai partecipato.
La Libia, infatti, non ha aderito al Processo di Barcellona.
Pur avendo presentato la richiesta di adesione al Partenariato nel
gennaio 2000, la Libia l’aveva ritirata dopo che l’Unione europea aveva chiesto
a Tripoli una conferma dell’accettazione piena e incondizionata dell’acquis di Barcellona. Da parte sua, la
Libia sosteneva ufficialmente che la presenza di Israele e dell’Autorità
Nazionale Palestinese, prima che fosse risolto il problema palestinese, avrebbe
influito negativamente nei meccanismi del Partenariato.
Il Dialogo 5 + 5
La Libia partecipa
alle riunioni Presidenti dei Parlamenti
dei Paesi del Mediterraneo Occidentale (Dialogo 5 + 5), che unisce, in un
foro informale di dialogo, 5 Paesi dell’Unione europea e 5 Paesi arabi che si
affacciano sul Mediterraneo occidentale (Italia, Francia, Spagna, Portogallo,
Malta e Algeria, Tunisia, Marocco, Libia e Mauritania)[2].
La III riunione dei Presidenti dei Parlamenti
del Mediterraneo Occidentale (Dialogo 5+5) si è svolta a Rabat (Marocco), il 23 e 24 novembre 2006, ed è stata dedicata
al tema “Le sfide del Mediterraneo”. Alla
riunione, a cui per l’Italia ha partecipato il Vice Presidente della Camera,
Pierluigi Castagnetti, sono stati esaminati i problemi principali che investono l’area e in particolare le questioni legate
alla sicurezza, all’emigrazione, al rafforzamento dei processi di
democratizzazione e di crescita economica, e al dialogo tra le civiltà. La
riunione si è conclusa con un sostanziale accordo nell’identificare le sfide
del Mediterraneo e le possibili proposte di soluzione.
Si ricorda infine che la I
Riunione dei Presidenti dei Parlamenti del Paesi del Dialogo 5 + 5, si è
tenuta a Tripoli dal 24 al 25 febbraio
2003. La Camera è stata allora rappresentata dal Vice Presidente, Clemente Mastella.
OSCE
La Libia non è membro dell’OSCE, né rientra tra i Partner mediterranei
dell’OSCE. Tuttavia, la delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare
dell’OSCE, in occasione della Sessione autunnale dell’OSCE che l’Italia ha
ospitato a Palermo dall’8 all’11 ottobre 2010, aveva stabilito di invitare a
partecipare ai lavori la Libia, insieme a Libano, Autorità nazionale
palestinese e Siria, con lo spirito di dare avvio ad un dialogo più stretto con
i Paesi della sponda sud del Mediterraneo al fine di coinvolgerli in una
cooperazione più stretta con l’Organizzazione. A tale scopo, l’on. Riccardo
Migliori, Presidente della delegazione italiana all’Assemblea parlamentare
dell’OSCE, ha incontrato l’Amb. Abdulhafed Gaddur l’8 giugno 2010 per invitare
personalmente la Libia e consegnargli la lettera di invito diretta all’allora
Segretario del Congresso generale del Popolo, Mohamed Belgasem Al-Zway. In
quell’occasione tuttavia i parlamentari libici non furono presenti ai lavori.
L’on. Migliori ha nuovamente incontrato l’Amb. Gaddur il14 settembre
2011 per invitare la Libia a partecipare al Forum mediterraneo dell’OSCE
nell’ambito della Sessione autunnale dell’OSCE in programma a Dubrovnik
(Croazia) dal 7 al 10 ottobre 2011. All’incontro ha fatto seguito una lettera
dell’on. Migliori in cui trasmetteva l’invito a Mustafa Abdel Jalil, Presidente
del Consiglio nazionale di transizione. La delegazione libica non ha però preso
parte ai lavori.
Unione
interparlamentare |
Nell’Unione interparlamentare opera la sezione di amicizia Italia-Libia ed Algeria;
la parte italiana del Gruppo è presieduta dall’on. On. Enzo Carra (UDC); ne
fanno altresì parte gli onn. Emerenzio Barbieri (PDL), Angelo Capodicasa (PD), Renzo Carella (PD), e i senn. Barbara Contini
(FLI), Gianpiero D’Alia (UDC), Maria Alessandra Gallone (PDL), Antonio Razzi
(PT).
La sezione di amicizia Italia-Libia ed Algeria ha
effettuato una visita in Libia dal 23 al 25 maggio 2010.
Atti
di indirizzo e sindacato ispettivo |
Fra l’ingente
numero di atti di indirizzo e sindacato ispettivo presentati sulla questione
libica, si ricordano le mozioni
Leoluca Orlando ed altri n. 1-00805, Cicchitto ed altri n. 1-00806, Pezzotta ed
altri n. 1-00810 e Amici ed altri n. 1-00811 Mecacci ed altri n. 1-00820,
approvate il 18 gennaio 2012 sulla cooperazione
con il Governo libico per la gestione dei flussi migratori originati dalla
Libia durante il recente conflitto.
Da segnalare, inoltre, l’interpellanza urgente 2-01336
presentata dal sen. Isidoro Gottardo il 31 gennaio 2012, concernente iniziative
volte a garantire la liquidazione dei
crediti maturati dalle società operanti in Libia allo scoppio della crisi e
la sospensione del pagamento delle imposte. Ad essa il governo ha risposto
il 2 febbraio 2012 evidenziando, tra l’altro, che si tratta di centoventi
aziende, alcune delle quali molto piccole e quindi con necessità di aiuto, tali
da non poter gestire la situazione da sole. Ha osservato che vi è l'impegno, da
parte italiana e da parte libica, a risolvere favorevolmente le questioni
pendenti che riguardano sia le società libiche sia chiaramente le imprese
italiane. Da parte libica è stata espressa la necessità di verificare
l’opportunità, la quantità, i dettagli degli accordi siglati dal precedente
governo. Si evidenzia l’opportunità di far rappresentare tutte le centoventi
aziende da un ente esterno, una banca o un avvocato, ma che la parte libica ha
controproposto di voler che ciascuna azienda fosse totalmente disponibile (così
anche da parte loro) ad un confronto ad hoc, persona per persona.
Interrogazione a risposta scritta 4-15187
presentata dall’on. Sbai il 5 marzo 2012
sul rispetto dei diritti umani in Libia,
a cui il governo ha risposto il 14 maggio 2012.
Nella risposta è
stato evidenziato, tra l’altro che, si sono registrate preoccupazioni del
Segretario generale delle Nazioni unite, Ban Ki Moon, per quanto evidenziato
dal Rapporto della Commissione d'Inchiesta della stessa organizzazione sui
crimini commessi in Libia, che ha rilevato come abusi e violazioni dei diritti umani siano stati commessi nelle diverse
fasi della crisi libica non solo da esponenti del passato regime ma anche da
sostenitori della rivoluzione. L'alto commissario ONU per i diritti umani, Navi Pillay, ha sottolineato il permanere
di una situazione preoccupante dal punto di vista del rispetto di tali diritti
con particolare riferimento alle denunce di torture e maltrattamenti perpetrati
in alcuni centri illegali di detenzione libici, pur sottolineando come le
autorità transitorie abbiano intrapreso incoraggianti passi in direzione del
rispetto dei diritti umani e della creazione di uno Stato di diritto.
L'alto commissario
ha in particolare citato gli impegni assunti dal primo Ministro libico, Al
Kiib, fin dai primi giorni dal suo insediamento: l'avvenuta costituzione, nel dicembre scorso, del
Consiglio nazionale libico per le libertà fondamentali ed i diritti umani;
il significativo, complesso processo di riforma
del sistema normativo nazionale, condotto grazie anche alla fattiva
assistenza della missione delle Nazioni unite in Libia (UNSMIL), e la prevista
approvazione a breve di una normativa che regoli le attività del sistema
giudiziario libico nella fase transitoria. I recenti episodi di abusi e
violazioni sono stati riconosciuti e fermamente condannati dal Primo ministro,
Al Kiib, che di fronte al Consiglio per i diritti umani (il 28 febbraio 2012)
ed al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite (il 7 marzo 2012) ha reiterato
il fermo impegno del Governo di Tripoli al rispetto dei diritti umani e delle
libertà fondamentali sottolineando come, in collaborazione con le Nazioni
unite, siano già state avviate indagini sui fatti denunciati. Le dichiarazioni
del primo Ministro Al Kiib sono state giudicate in maniera positiva da tutti i
partner internazionali. In collaborazione con le Nazione unite, il governo di
Tripoli si sta adoperando per ricondurre sotto il controllo delle autorità
centrali tutti i centri di detenzione del paese, elemento cruciale per ridurre
i rischi di ulteriori violazioni dei diritti umani. È altresì all'esame un progetto di legge per la
riconciliazione nazionale che, nel sancire l'esigenza di assicurare alla
giustizia quanti, da una parte e dall'altra, si siano macchiati di crimini e di
violazioni dei diritti umani, dovrà identificare un percorso volto a mettere
fine alle tensioni ancora esistenti nella società libica, ricucendo lo strappo
esistente tra le diverse fazioni. Sul tema delle ispezioni alle carceri ed ai
luoghi di detenzione libici si è soffermato in particolare il rappresentante
del segretario generale delle Nazioni unite per la Libia, Ian Martin, che ha
confermato al Consiglio di Sicurezza (il 29 febbraio 2012) che i rappresentanti
della missione Onu in Libia (UNSMIL), in raccordo con i Ministeri della difesa
e dell'interno, hanno avuto la possibilità di visitare numerose strutture di
detenzione (a Tripoli, Misurata e Zawia), indicando alle locali autorità le
lacune presenti e gli interventi da apportare per migliorare la situazione. Ci
attendiamo adesso che le autorità libiche facciano piena chiarezza sugli
episodi oggetto di denuncia e che i responsabili di eventuali abusi siano
condotti di fronte alla giustizia.
Il Governo
italiano ha registrato ripetute conferme, in ogni occasione di incontro, della volontà delle autorità transitorie libiche
di costruire un nuovo Paese democratico, fondato sui principi
irrinunciabili del rispetto della legalità internazionale, delle libertà
fondamentali e dei diritti dell'uomo. La determinazione di Tripoli nel
rispettare tali principi, che hanno rappresentato la base stessa della lotta
del popolo libico per la libertà, è stata
suggellata nella dichiarazione di Tripoli, firmata il 21 gennaio scorso in
occasione della visita del Presidente del Consiglio, base di partenza per
la costruzione di un rinnovato rapporto bilaterale. Non si può che condividere
sotto tale profilo i giudizi positivi formulati in ambito Onu e proseguire
nella nostra azione a sostegno delle autorità transitorie nell'arduo compito di
guidare il Paese verso la democrazia. Principale elemento di criticità è rappresentato dalla situazione
dell'ordine pubblico: il Governo non
controlla ancora la totalità del territorio e alcuni gruppi armati
gestiscono in modo del tutto autonomo alcuni centri di detenzione. Si tratta di
un elemento che pone in serio rischio la possibilità delle autorità di
garantire il pieno rispetto dei diritti umani nel paese. In tale quadro si
inseriscono gli impegni assunti dal
Governo italiano a sostegno delle autorità di Tripoli, attraverso un'ampia
ed articolata offerta di assistenza
tecnica, sostegno alle istituzioni
per la stabilizzazione democratica e formazione nel settore della sicurezza e
del diritto; con iniziative formative e di «vocational training» volte a
facilitare il reinserimento dei miliziani nella società civile; attraverso
progetti di institution building in favore della nuova amministrazione
pubblica, inclusi i settori delle forze di polizia e della magistratura. Si
tratta di interventi concreti, già in fase di realizzazione o in procinto di
essere avviati, che potranno favorire il rafforzamento delle autorità centrali
e la progressiva estensione del loro controllo sul paese. L'Italia è altresì
disponibile a prendere parte ad ogni attività condotta da parte delle
organizzazioni internazionali o realizzata nel quadro dell'Unione europea a
sostegno delle autorità transitorie nel loro sforzo in vista del pieno rispetto
dei diritti umani e dello stato di diritto in Libia.
Interrogazione a risposta scritta 4-14450 dell’on.
Girlanda presentata il 12 gennaio 2012 sulla ripresa dei rapporti economici e
commerciali con Libia, a cui il governo ha risposto il 6 agosto 2012.
L'Italia era,
prima del conflitto, il principale partner economico della Libia, al primo
posto sia tra i paesi clienti (con una quota pari al 27,2 per cento) che tra i
fornitori (con una quota pari al 16,3 per cento), seguita nella graduatoria dei
paesi clienti da Francia, Cina, Spagna, Germania e Stati Uniti e, per quanto
riguarda i fornitori, da Cina, Turchia, Francia e Germania. Nel periodo
gennaio-dicembre 2011, il volume di
scambi tra Italia e Libia è stato pari ad euro 4.584.961.528 quasi il 70 per
cento in meno rispetto al 2010. In particolare le esportazioni (pari ad
euro 612.998.355) hanno subìto una flessione del 77,31 per cento rispetto al
2010, mentre le importazioni (pari ad euro 3.971.963.173) sono scese del 67,65
per cento. Tutti i rami di attività hanno pesantemente risentito del conflitto
nel Paese. Spiccano i dati relativi al
settore oil & gas, con una contrazione del 74,5 per cento rispetto al 2010
nelle esportazioni dei prodotti derivati dalla raffinazione del petrolio,
contro una riduzione delle importazioni, sempre rispetto al 2010, del 67,26 per
cento per quanto concerne il petrolio greggio e il gas naturale e del 71,3 per
cento relativamente ai prodotti raffinati. Ancora più consistente il divario
rispetto al 2010 delle esportazioni nel settore non-oil, con una flessione del
78,97 per cento. Nello stesso settore le importazioni sono invece scese del
61,11 per cento. I dati sopra citati sono fortemente condizionati dal calo
verticale dell'interscambio nel periodo del conflitto (marzo-agosto 2011).
Nei mesi immediatamente successivi al termine del
conflitto, si ravvisa un inizio di ripresa delle esportazioni con incrementi, rispetto al mese
di agosto, del 70 per cento nel mese di settembre (per un valore pari ad euro
11.742.414), del 380 per cento nel mese di ottobre (per un valore pari ad euro
31.893.569) e del 654 per cento nel mese di novembre (per un valore pari ad
euro 50.127.902) grazie soprattutto ai prodotti alimentari che in quest'ultimo
mese incidono del 50 per cento sul totale delle esportazioni. Bisogna invece
aspettare il mese di dicembre per rilevare una ripresa nel settore dei prodotti
derivati dalla raffinazione del petrolio, che in tale mese registra un
ammontare pari ad euro 32.343.939 (circa un terzo delle esportazioni
complessive). Per quanto concerne le importazioni, si rilevano i primi
progressi solo a partire dal mese di novembre, di pari passo con il riavvio
della produzione di idrocarburi nel Paese, con un'impennata del settore oil
& gas che raggiunge la cifra di euro 431.844.454 (rispetto alla quasi
totale assenza di importazioni dal mese di aprile al mese di settembre).
Analogo ammontare si registra anche nel mese di dicembre. Progressi significativi si registrano nel primo bimestre del 2012,
soprattutto nel settore oil & gas: se rispetto allo stesso periodo del 2011
si ravvisa una flessione del 9 per cento nelle esportazioni (per un valore pari
ad euro 203.092.367) e del 38 per cento nelle importazioni (per un valore pari
ad euro 1.538.448.147), rispetto al primo bimestre 2010 le esportazioni
registrano un aumento del 67 per cento mentre i valori relativi alle
importazioni sono pressoché identici, a
dimostrazione della rapidità ed efficacia delle operazioni di ripristino delle
attività estrattive, in particolare da parte dell'Eni. Riguardo al settore
non oil, se prevedibilmente non si registrano progressi nelle importazioni (a
causa dell'inevitabile lenta ripresa della produzione nel Paese), si rilevano
positivi sviluppi nelle esportazioni (per un valore pari ad euro 112.973.397,
il 31 per cento in meno rispetto al 2011): si conferma il trend positivo dei
prodotti alimentari (+43 per cento), bene i prodotti chimici (-4 per cento), in
netta crescita autoveicoli, rimorchi e semirimorchi (+94 per cento), in ripresa
i prodotti della metallurgia (+4,3 per cento), più lenti i progressi dei
prodotti in metallo (-45,6 per cento), delle apparecchiature elettriche (-55
per cento), dei macchinari (-39 per cento), dei mobili (-48 per cento) e degli
altri prodotti manifatturieri (-58 per cento). Le autorità libiche ribadiscono nei contatti ad ogni livello, da
ultimo in occasione dell'incontro a Roma del 12 maggio scorso del Ministro
Terzi con il Ministro degli esteri libico, il
loro auspicio di continuare ad avere l'Italia quale primo partner economico
della nuova Libia e la loro piena disponibilità a riconoscere gli accordi e i
contratti legittimamente conclusi dalle aziende italiane prima del 17 febbraio
2011, nonché i relativi crediti, dopo aver effettuato le necessarie verifiche.
In occasione della visita del Presidente
Monti a Tripoli il 21 gennaio scorso - il quale era accompagnato dal
Ministro Terzi - sono state poste le basi, con la firma della «Tripoli
Declaration» e del «Meeting Summary», per il rilancio dei rapporti bilaterali
in un clima di rinnovata fiducia e le premesse per sciogliere i nodi ancora
esistenti sulla via della ripresa dei rapporti tra i sistemi produttivi dei due
paesi. È quindi seguita nel mese di febbraio una missione del Vice Ministro delle infrastrutture e dei
trasporti, dottor Ciaccia, che ha toccato oltre alla città di Tripoli anche
quelle di Bengasi e Misurata, dove ha incontrato, tra gli altri, i Vice
Ministri dell'economia e del commercio, delle finanze, delle infrastrutture,
dell'elettricità e delle energie rinnovabili, dei trasporti, il Ministro
dell'industria, il presidente del consiglio locale della città di Bengasi ed
alcuni imprenditori italiani. Durante la tappa di Tripoli sono stati firmati dalle due Parti tre verbali di incontro concernenti
uno scambio di prospettive per la ripresa della collaborazione nei settori
delle infrastrutture, energia e collaborazione industriale.
Anche la questione dei crediti delle aziende
italiane in Libia continua ad essere seguita con la massima attenzione dal
Governo che è perfettamente consapevole delle serie difficoltà causate a
molte delle imprese coinvolte, in particolare piccole e medie. Il Governo è
pertanto impegnato in stretto raccordo con le associazioni rappresentative
delle imprese nella ricerca di una soluzione soddisfacente, per il cui
raggiungimento si stanno registrando significativi progressi, importanti anche
al fine di favorire la piena partecipazione del sistema imprenditoriale
italiano allo sforzo di ricostruzione dell'economia libica e alla sua
progressiva diversificazione. A marzo
2012 si è riunito a Roma il comitato tecnico sui crediti istituito nel «Meeting
Summary» firmato a gennaio, cui farà seguito una seconda riunione a Tripoli
nelle prossime settimane, dopo la formazione del nuovo Governo libico. Sul fronte dei crediti derivanti da
contratti in essere le autorità libiche, dopo le indicazioni date in tale
occasione, hanno confermato da ultimo nel corso dell'incontro del Ministro
Terzi con il suo omologo libico del 12 maggio scorso che l'apposita commissione
incaricata di verificarne la legittimità dovrebbe concludere i lavori nelle
prossime settimane, alla luce peraltro degli sviluppi relativi alla formazione
del nuovo Governo dopo le elezioni. Le
aziende interessate dovrebbero quindi essere contattate entro la fine del 2012
per concordare prospetti di liquidazione
e la riattivazione dei contratti ritenuti ancora di prioritario interesse
libico. Tale tempistica è naturalmente soggetta ai sopracitati sviluppi
politico-istituzionali del Paese. La riattivazione dei contratti di diverse
imprese italiane, la ripresa della loro attività e la liquidazione di parte
dei relativi crediti rappresentano ulteriori segnali positivi, unitamente alla
sospensione de facto da parte libica, a seguito della richiesta avanzata da
parte italiana nel corso della riunione del comitato tecnico sui crediti, delle
escussioni di garanzie nei confronti di aziende che avevano interrotto i lavori
in attesa della liquidazione di crediti maturati a causa della crisi o per
ragioni di sicurezza. Anche sulla annosa questione
dei crediti cosiddetti «storici» (quelli derivanti da contratti che vanno
dagli anni '70 agli anni '90) si sono registrati significativi progressi a seguito della accettazione da parte della
nuova dirigenza libica a riaprire tale questione nel corso della prima riunione
del comitato tecnico. Nelle settimane successive Tripoli ha rinnovato una
ipotesi transattiva finalizzata a chiudere il contenzioso ritenuta interessante
e ad un primo esame soddisfacente da parte delle associazioni di categoria
rappresentative delle imprese. Restano da risolvere alcuni nodi di carattere
tecnico in corso di approfondimento da parte delle associazioni e con le
autorità libiche in preparazione della prossima riunione a Tripoli del comitato
tecnico sui crediti dopo la formazione del nuovo Governo. In tale occasione
andranno verificate anche le modalità con cui saranno effettuati i pagamenti,
che potrebbero essere convogliati dalle autorità libiche su un conto unico
aperto presso un istituto di credito da parte delle associazioni di categoria
coinvolte, le quali provvederebbero alla ripartizione degli importi e alla loro
liquidazione alle aziende che dovrebbero rilasciare contestualmente quietanza
liberatoria. Sulla questione dei danni
subiti dalle imprese italiane riconducibili agli eventi bellici in Libia, è
stata reiterata la richiesta di una puntuale applicazione da parte libica
delle previsioni dell'accordo per la promozione e protezione degli investimenti
per i danni subìti da imprese italiane a seguito di eventi bellici. Il
Ministero dell'economia e delle finanze ha indicato una sua disponibilità nel
corso di riunioni di coordinamento promosse dal Ministero degli affari esteri a
concordare con le associazioni rappresentative il contenuto di un provvedimento
per una dilazione fiscale a favore delle imprese in sofferenza.
Interrogazione a risposta scritta 4-07400
presentata dal sen. Perduca l’8 maggio
2012 sulle condizioni di detenzione di
Saif Al Islam e la tutela dei diritti umani. Il governo ha risposto il 14
giugno 2012 evidenziando che:
Dalle informazioni
in possesso al governo italiano, Saif Al
Islam Gheddafi è sottoposto a regime di detenzione da parte delle autorità
libiche nella città di Zintane. Per quanto concerne le attuali condizioni di
detenzione, il Procuratore generale della Corte Penale Internazionale, Ocampo,
ha in diverse occasioni, l'ultima lo scorso 16 maggio di fronte al Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite, riferito che Saif Al-Islam gode di buone
condizioni di salute e di un trattamento accettabile.
Quanto ai rapporti
tra le autorità giudiziarie libiche e la
Corte Penale Internazionale, occorre ricordare le disposizioni dello
Statuto di detta Corte che si ispirano al principio di complementarietà
rispetto alle giurisdizioni nazionali. Gli articoli 17 e 19 dello Statuto
sanciscono infatti l'inammissibilità di un caso davanti alla CPI qualora uno
Stato stia indagando o procedendo in modo genuino e non viziato dall'intento di
proteggere l'accusato (art 17). Esse prevedono inoltre procedure secondo cui
uno Stato che abbia giurisdizione sul caso, come accade per la Libia riguardo alle imputazioni a
carico di S.AI Islam, possa contestare la giurisdizione della CPI e chiedere
una pronuncia che trasferisca la competenza alle Corti nazionali. E' infatti
quest'ultima la via che il governo libico sta perseguendo avendo presentato,
nei termini prescritti alla Corte, un ricorso contro l'ammissibilità della
giurisdizione della stessa Corte ai sensi dello Statuto di Roma, al fine di
sottoporre legittimamente a processo S.Al Islam in Libia. La decisione finale sulla
competenza spetterà alla stessa CPI, che dovrà valutare se la Libia è in grado di dar vita a un
processo con tutte le garanzie di indipendenza, imparzialità e rispetto dei
diritti dell'accusato.
Al riguardo l'Italia, non si oppone, in linea di
principio, all'ipotesi che Saif Al Islam venga giudicato dalle Autorità di
Tripoli. L'instaurazione di un giudizio imparziale e
"genuino" nei confronti degli esponenti del regime di Gheddafi è,
infatti, condizione indispensabile per giungere ad una definitiva pacificazione
della Libia. Nel
corso di una recente visita a Tripoli, anche il Procuratore della CPI, Moreno
Ocampo, si è mostrato generalmente favorevole ad un eventuale processo davanti
alle corti libiche: l'ordinamento giudiziario libico sarebbe infatti
sufficientemente garantista, basandosi sul codice Rocco. L'Italia non ha
mancato di sottolineare in tutte le sedi opportune, sia bilaterali che
multilaterali, la necessità che qualsiasi iniziativa intrapresa in merito alla
vicenda Saif Al Islam rispetti i principi di diritto internazionale in materia
di diritti umani.
L'ultima in
occasione della visita a Roma del Ministro degli esteri libico Ashur Ben Khaial
da parte italiana è stata ribadita la condizione di un giudizio equo ed
imparziale come indispensabile per lo svolgimento del processo in Libia. Al riguardo è stata offerta
tra l'altro l'assistenza dell'Italia per il ripristino di condizioni adeguate
per lo svolgimento di un processo giusto ed in linea con gli standard
internazionali.
Affinché si possa
percorrere la via del processo interno, è dunque necessario che vengano
preventivamente affrontate le criticità derivanti dall'applicabilità della pena
capitale, contemplata dal diritto libico per i crimini di particolare gravità,
quali quelli che potrebbero essere imputati a Saif Al islam. Inoltre, è di
cruciale importanza sciogliere i nodi relativi alla tutela dell'incolumità dei
soggetti a vario titolo coinvolti nel procedimento penale.
Il rispetto dei diritti umani è considerato dal
nostro Paese un requisito irrinunciabile per garantire stabili relazioni con il
Governo della Libia. Nella
dichiarazione resa a margine dell'incontro tra il Presidente del Consiglio
Monti ed il primo ministro libico El Kiib svoltosi il 21 gennaio scorso,
entrambi i Paesi, nell'adottare la cosiddetta Tripoli Declaration, hanno
manifestato il desiderio di voler collaborare per far nascere sul territorio
libico uno stato ispirato ai valori della democrazia ed al rispetto dei diritti
umani universalmente accettati.
L'Italia ritiene,
dunque, quale obiettivo prioritario l'accettazione e la condivisione da parte
della autorità libiche dei principali strumenti predisposti dall'ordinamento
internazionale tesi a garantire la tutela della dignità umana e il rispetto dei
principi universali in materia di diritti umani.
Interrogazione, presentata in
Commissione dall’on. Fabio Evangelisti
(5-07196), nella quale in seguito ai
gravissimi incidenti avvenuti nel mese di settembre 2012 che hanno portato alla
tragica morte dell’Ambasciatore statunitense, chiede quali siano gli
intendimenti del Governo in relazione agli impegni che il nostro Paese ha
sottoscritto con le autorità libiche per sostenere quelle istituzioni nel
rafforzamento della sicurezza del Paese nella sua fase di ricostruzione
democratica.
Il Governo ha risposto in data 26 settembre 2012.
Scenario
politico e di sicurezza
La transizione libica vive una fase difficile: deterioramento
della sicurezza; involuzione politica; ritardo di un processo di
riconciliazione coerente e condiviso. Si rischia un salto nel buio propizio a
forze antisistema e una destabilizzazione del Governo Zeidan potrebbe portare
ad un collasso dell’intero processo politico. La nomina, lo scorso 25 giugno,
del berbero moderato Nuri Ali Abu Sahmain alla Presidenza del Consiglio
Nazionale Generale pare un segnale confortante della capacità del Congresso di
continuare ad affrontare i passaggi del processo di transizione, e costituisce
un riconoscimento per le minoranze, anche in vista della redazione della
Costituzione. Nella comunità internazionale vi è diffusa aspirazione a
contribuire alla stabilizzazione del Paese e al consolidamento di Zeidan.
Peraltro, per quanto anche attori esterni alimentino l’instabilità, in questa
fase è essenziale per la Libia anzitutto comporre dinamiche politiche, e di
potere sul territorio, a carattere essenzialmente interno.
In Libia si è combattuta una guerra multipolare,
partita da Bengasi ed estesasi ad altri centri nevralgici. Il risultato è che
ciascuna delle forze contribuirono alla caduta del regime si sente oggi
depositaria dei principi rivoluzionari. E frequentemente li declina secondo
interessi localistici o in identitari. La Libia di oggi ha certamente bisogno
del sostegno della Comunità internazionale e degli aiuti in termini di
formazione, institutional e capacity building, ripresa economica. Questi sforzi
rischiano tuttavia di essere poco incisivi se la società libica, le diverse
forze sul terreno e le Autorità centrali non riusciranno ad individuare
elementi di aggregazione condivisi.
Il premier libico mira a far decantare le tensioni
per dialogare con le milizie e con gli attori chiave sul terreno. Insiste sulla
creazione di una Guardia Nazionale composta di uomini provenienti soprattutto
dalle milizie ancora schierate nel Paese e i cui vertici sarebbero misti
militari/miliziani: è una mossa che rischia di rafforzare ulteriormente le
milizie ponendole sullo stesso livello delle istituzioni statali senza
necessariamente impedire le connotazioni regionali; tuttavia Zeidan non ha
alternative perché tentare di formare un esercito nazionale sarebbe allo stato
velleitario. I ripetuti scontri che si registrano a Bengasi tra miliziani del
Libia Shield (una delle numerose milizie indipendenti “fedeli” al Governo
centrale) da una parte e forze dell’ordine e manifestanti dall’altro confermano
la fragilità della situazione nonché la crescente insofferenza della
popolazione verso le milizie. Intanto recuperano vigore i movimenti federalisti
cirenaici che affermano di sostenere Zeidan e di ritenere l’ipotesi di
secessione solo l’“ultima ratio”. Forse anche nel tentativo di depotenziare gli
argomenti dei federalisti relativi alla storica marginalizzazione della
Cirenaica, il Governo ha disposto il trasferimento a Bengasi, tra le altre,
della sede principale della società petrolifera nazionale (NOC) e della Libyan
Airlines.
Visita in Italia del Primo Ministro Zeidan: quadro
di sintesi
Nel corso della
sua permanenza a Roma il Primo Ministro Zeidan, accompagnato dai Ministri degli
Esteri, dell’Interno e delle Finanze nonché da un alto rappresentante del
Ministero della Difesa (il Ministro ha recentemente lasciato l’incarico e non è
ancora stato sostituito), sarà ricevuto oltre che dall’E.V., dal Signor
Presidente del Senato della Repubblica ed avrà colloqui con il Signor
Presidente del Consiglio, allargati ai Ministri degli Esteri, della Difesa e
dell’Interno. Inoltre, come da lui stesso fortemente auspicato, Zeidan
interverrà di fronte alle Commissioni Esteri riunite di Camera e Senato.
Il Primo Ministro
libico Ali Zeidan ha più volte reiterato l’interesse a svolgere la visita a
Roma, inizialmente prevista il 30 gennaio e rinviata causa la crisi di governo
italiana. Si tratta infatti di un’occasione assai utile al premier libico anche
in un’ottica di rafforzamento della propria autorevolezza sul versante interno.
E’ quindi comune interesse rafforzare il già eccellente rapporto bilaterale facendo avanzare dossier fondamentali per
entrambi i Paesi, massimizzando l’impatto del nostro sforzo a sostegno della Libia.
Dal nostro punto di vista, la visita ci consentirà di rafforzare la nostra
posizione privilegiata sullo scenario libico, possibilmente occupando posizioni
di rilievo nel Paese in settori di particolare rilevanza.
Da un punto di
vista multilaterale, la visita di Zeidan
si inserisce nel quadro del ruolo che l’Italia è chiamata ad assumere
nell’assistenza internazionale alla transizione libica. Zeidan ha indirizzato
nelle ultime settimane ai principali partner occidentali, nuove richieste di
sostegno politico e in termini di formazione, assistenza tecnica e forniture di
materiali. Sotto il profilo del sostegno politico, il Vertice del G8, cui Zeidan ha preso parte su invito britannico, ha
fornito un consistente supporto, anche attraverso l’inserimento, su richiesta
italiana, di un paragrafo dedicato alla Libia nella dichiarazione finale. A
margine del Vertice, i Paesi L5 (ITA, USA, UK, FRA e GER) hanno presentato al
Premier libico un consistente pacchetto
di assistenza nel campo della sicurezza che comprende formazione,
institution building ed un programma,
proposto dall’Italia, di recupero delle armi in mano alle milizie. Come
concordato a Lough Earn, al suo rientro a Tripoli Zeidan ha tempestivamente
incontrato gli Ambasciatori in Libia dei Paesi L5 per dare seguito immediato a
quanto deciso durante il Summit G8.
La visita di Zeidan
a Roma rappresenta quindi una fondamentale occasione per confermare quanto
emerso durante la Conferenza di Parigi sulla Libia del febbraio scorso e lo
stesso Vertice G8, con l’avallo del Presidente Obama, in merito al ruolo di riferimento dell’Italia sullo
scenario libico. Siamo il primo donatore della Libia, con oltre 56 Meuro in
interventi di assistenza; abbiamo un’indubbia superiorità in termini di
conoscenza del territorio e degli interlocutori libici; la presenza italiana
nel Paese, anche del settore privato, è di gran lunga la più rilevante; la
linea di azione italiana, che prevede l’attenta salvaguardia del principio della ownership e il rispetto
del ruolo di coordinamento di UNSMIL,
con cui manteniamo una stretta collaborazione, è stata sposata da tutti i
principali partner internazionali.
Durante la visita
potrà essere concordato il processo preparatorio della seconda Conferenza Internazionale sull’assistenza alla Libia, che
si svolgerà a Roma entro fine anno sotto co-presidenza italiana e libica. Si
tratta di una tappa fondamentale, dal cui esito dipenderà gran parte del futuro
del processo di transizione libica. E’ per noi fondamentale che tale evento non si trasformi in una mera
photo-opportunity o in un’ennesima pledging conference, ma dovrà tirare le fila
dei concreti progressi compiuti sul terreno e dell’efficacia del coordinamento
internazionale condotto da UNSMIL, cui sarebbe nostro auspicio associare
anche i Paesi limitrofi della Libia, con cui Tripoli parrebbe intenzionata a
rilanciare la collaborazione in ambito securitario.
L’Italia è inoltre
determinata a continuare a sostenere il pieno
reinserimento della nuova Libia nella Comunità Internazionale e il suo
ingresso in tutti i rilevanti fori di dialogo e di cooperazione internazionali
e regionali. In tale quadro si inseriscono, tra gli altri, il nostro appoggio
alla richiesta presentata da Tripoli di aderire alla partnership mediterranea
dell'OSCE; l’azione di sensibilizzazione in ambito comunitario in vista della
ripresa del negoziato sull’Accordo Quadro; la possibile assistenza anche tecnica
per giungere alla revoca del regime sanzionatorio internazionale; il possibile
contributo italiano al supporto strategico offerto dalla NATO alla Libia.
Tra le tematiche
di carattere bilaterale, attenzione
prioritaria verrà dedicata alla fondamentale tematica della sicurezza. Accanto al consistente pacchetto di
assistenza già in fase di realizzazione, l’Italia ha offerto di addestrare e di
fornire assistenza tecnica a un ulteriore ingente ammontare di unità libiche,
in Libia ed in Italia, appartenenti alle Forze Armate, alla polizia ed alle
forze speciali (complessivamente 6.000 unità tra Difesa e Interno). Abbiamo
anche intenzione di sottoporre al premier libico un concept per la
realizzazione di un progetto pilota nel
settore del disarmo e reintegrazione delle milizie, come preannunciato
durante il Vertice G8. Tuttavia per realizzare il complesso di tali attività è
necessario che da parte libica vengano fornite chiare garanzie in termini di assunzione degli oneri
dell’addestramento; indicazione di affidabili interlocutori di riferimento;
selezione adeguata dei partecipanti; individuazione di strutture adatte;
precise assicurazioni circa la sicurezza degli operatori italiani.
La collaborazione
con Tripoli in campo migratorio
riveste per l’Italia una valenza strategica prioritaria, anche alla luce della
recente ripresa degli sbarchi dalla Libia. E’ fondamentale per noi che l’azione
bilaterale si ispiri ai principi della salvaguardia della vita umana e della
tutela dei diritti dei migranti e dei rifugiati. Da qui l’impegno italiano a
ricostruire la capacità libica di gestire il fenomeno migratorio anche nel
settore dell’accoglienza, attraverso iniziative di assistenza e capacity
building che si affiancano al consistente impegno in termini di fornitura di
mezzi e materiali per la lotta al traffico di migranti. A più riprese l’Italia
ha sottolineato l’auspicio che la Libia aderisca alla Convenzione di Ginevra
sui rifugiati, permettendo così all’UNHCR di operare in maniera ufficiale nel
Paese.
A complemento
delle attività di sostegno alla Libia nel campo della sicurezza e migratorio,
appare fondamentale anche assistere Tripoli nello sviluppo della capacità di
assorbimento del complesso dell’Amministrazione
Pubblica, che dovrà altresì essere rimessa in grado di operare in maniera
efficace. In tale quadro abbiamo già avviato alcuni rilevanti progetti di
assistenza (Dogane, Vigili del Fuoco, Giustizia transitoria), che è intenzione
comune ampliare a nuovi settori di intervento. Sono allo studio possibili
collaborazioni in ambito funzione pubblica; amministrazione penitenziaria;
stato civile e anagrafe; catasto. La tipologia delle iniziative, nonché la loro
modalità attuativa dovrà peraltro essere analizzata caso per caso con i
competenti interlocutori libici. A tal fine verrà proposto alla controparte lo
svolgimento di tavoli tecnici ad hoc a partire già dalle prossime settimane.
Pur in un quadro
assai complesso dal punto di vista securitario e della certezza del diritto, permane
un fortissimo interesse delle imprese
italiane per il mercato libico. Da parte libica vi è la volontà di favorire
il rientro dei nostri operatori economici anche per favorire la creazione di
opportunità occupazionali per i giovani. Intenderemmo pertanto proporre al
premier libico di fissare incontri tra i Ministri economici dei due Paesi al
fine di individuare iniziative congiunte in grado di rilanciare il partenariato
bilaterale attraverso un piano di azione
congiunto.
Alcune aziende
italiane (Impregilo-Salini, Sirti, Iveco, ConICos, Finmeccanica) sono riuscite
a riprendere i contratti pre-crisi e
a ricevere parziale pagamento per i lavori realizzati prima del conflitto.
Interesse condiviso è allargare tale positivi sviluppi a tutte le aziende
italiane interessate ad operare in Libia. Al contempo intenderemmo concordare
le procedure operative necessarie alla definitiva soluzione dell’annoso contenzioso dei crediti risalenti agli
anni ’80 e ’90 dovuti alle aziende italiane, su cui vi è già un’intesa
politica, nonché compiere sostanziali passi in avanti in direzione dell’avvio
dei lavori dell’autostrada costiera
finanziata con fondi a valere sul Trattato di Amicizia del 2008. Tale ultimo
progetto riveste particolare rilevanza anche in termini di creazione di posti
di lavoro per i giovani libici (circa 3.000 immediatamente e 15.000 a regime),
elemento questo di fondamentale rilevanza nel contesto dello sforzo per il
riassorbimento nella società civile degli ex-miliziani.
Intervento in
Parlamento e possibile capacity building
a favore del Congresso libico
La richiesta di Zeidan
di poter intervenire di fronte al Parlamento italiano risponde all’auspicio del
Primo Ministro libico di poter presentare personalmente al popolo italiano, per
il tramite dei suoi rappresentanti eletti, le sfide e le opportunità della
transizione politica in corso in Libia. Si tratta di un’opportunità di grande
rilevanza anche nell’ottica della creazione di una più intensa collaborazione tra Italia e Libia in ambito
parlamentare.
Da parte libica è
stato infatti più volte espresso l’auspicio di poter stabilire più stretti
rapporti con le nostre istituzioni parlamentari anche ai fini di possibili
scambi di esperienze e attività di sostegno alla neonata istituzione
parlamentare libica, il Congresso Nazionale Generale, creato dal nulla dopo 42
anni di dittatura. In tale contesto potrebbero essere anche immaginate attività formative rivolte non solo ai
membri del Parlamento, ma anche ai funzionari parlamentari libici, spesso
alle prese con problemi legati alla mancanza di esperienza e alla scarsa
conoscenza delle procedure amministrative di base.
·
Nasce
nel 1950 nella città di Waddan (650 km
sud-est di Tripoli).
·
Si
laurea in scienze Politiche e Relazioni Internazionali e entra nella carriera
diplomatica.
·
Nel
1980, dopo aver trascorso due anni presso l'Ambasciata libica in India, decide
di aderire al Fronte per la Salvezza della Libia. In un secondo momento si
dimette, per dedicarsi all'Associazione libica per i diritti umani, con sede a
Ginevra.
·
E’
conosciuto come una radicale oppositore del regime di Gheddafi.
·
Era il
Rappresentante del Presidente del CNT in Francia e in Europa; ha svolto un ruolo fondamentale nel
riconoscimento dai paesi europei del CNT.
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Ora
invita alla riconciliazione nazionale e all'assorbimento graduale di tutti i
libici attraverso procedure legittime.
·
Ha
aderito al comitato istitutivo del Partito Al-Watan per lo sviluppo e il
benessere, che propugna uno Stato libico democratico unito con un sistema
decentrato, sulla base dei principi dell’Islam
ma moderato ed aperto alle altre
culture.
·
Alle
elezioni si e’ presentato come indipendente, ottenendo un buon riscontro. Ha
poi rinunciato al seggio parlamentare per concorrere alla posizione di Primo
Ministro.
·
Il 14
ottobre 2012 il Congresso Nazionale Generale gli ha conferito l’incarico di
Primo Ministro.
[1] Dopo la scarcerazione degli equipaggi, il 26 novembre 12 dei 14 marinai hanno potuto lasciare la Libia a bordo di uno dei due motopesca, mentre due di essi sono rimasti in attesa del processo riguardante l’altra imbarcazione, che era stata già sequestrata il 1° dicembre 2010.
[2] La cooperazione tra
i Paesi delle due sponde del Mediterraneo occidentale nasce a livello
governativo a Roma nell’ottobre 1990 e si è inizialmente definita ad Algeri
nella forma del Dialogo 5+5 (ottobre 1991), con la partecipazione da un lato di
Italia, Francia, Spagna, Portogallo e Malta e dall’altro di Algeria, Tunisia,
Marocco, Libia e Mauritania (i cinque Paesi appartenenti all’Unione del Maghreb
Arabo – UMA). Dopo il congelamento quasi decennale dovuto alle sanzioni imposte
dall’ONU alla Libia, l’esercizio si è riattivato nel gennaio 2001 con la
Conferenza Ministeriale di Lisbona, cui ha fatto seguito quella di Tripoli del
maggio 2002. La Tunisia ha quindi ospitato il primo Vertice dei Capi di Stato e
di Governo il 5 dicembre 2003. La dimensione parlamentare si è attivata su
iniziativa della Libia dal 24 al 25 febbraio 2003.