Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Altri Autori: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città - D.L. 14/2017 ' A.C. 4310 Schede di lettura
Riferimenti:
DL N. 14 DEL 20-FEB-17   AC N. 4310/XVII
Serie: Progetti di legge    Numero: 541
Data: 28/02/2017
Descrittori:
CENTRI URBANI   DECRETO LEGGE 2017 0014
PUBBLICA SICUREZZA     
Organi della Camera: II-Giustizia

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città

D.L. 14/2017 – A.C. 4310

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 541

 

 

 

28 febbraio 2017

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi:

Dipartimento Istituzioni

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Avvocatura dello Stato

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File: d17014.docx

 


INDICE

Schede di lettura

§  Premessa  5

§  Articoli 1-3 (Sicurezza integrata) 9

§  Articoli 4-6 (Sicurezza urbana) 13

§  Articolo 7 (Ulteriori strumenti e obiettivi per l’attuazione di iniziative congiunte) 18

§  Articolo 8 (Modifiche al testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267) 20

§  Articoli 9 e 10 (Misure a tutela del decoro di particolari luoghi - Divieto di accesso) 27

§  Articolo 11 (Disposizioni in materia di occupazioni arbitrarie di immobili) 34

§  Articolo 12 (Disposizioni in materia di pubblici esercizi) 36

§  Articolo 14 (Numero unico europeo 112) 42

§  Art. 15 (Integrazione della disciplina sulle misure di prevenzione personali) 44

§  Articolo 16 (Modifiche all'articolo 639 del codice penale) 46

§  Articoli 17 e 18  (Neutralità finanziaria ed entrata in vigore) 48

§  Collegamento con i lavori parlamentari in corso  49

§  Compatibilità con il diritto della  Convenzione europea dei diritti dell’uomo (a cura dell’Avvocatura della Camera dei deputati) 50

 


SIWEB

Schede di lettura

 


 

 

 


 

 

 

Premessa

 

Il decreto–legge 20 febbraio 2017, n. 14, introduce disposizioni urgenti a tutela della sicurezza delle città.

Il provvedimento, che definisce la sicurezza urbana quale bene pubblico afferente alla vivibilità e al decoro delle città, in primo luogo, provvede a realizzare un modello di governance trasversale e integrato tra i diversi livelli di governo, attraverso la sottoscrizione di appositi accordi tra Stato e Regioni e l’introduzione di patti con gli enti locali.

In secondo luogo, interviene, prevalentemente sull’apparato sanzionatorio ammnistrativo, al fine di prevenire fenomeni che incidono negativamente sulla sicurezza e il decoro delle città, anche in relazione all’esigenza di garantire la libera accessibilità degli spazi pubblici, prevedendo, tra l’altro, la possibilità di imporre il divieto di frequentazione di determinati pubblici esercizi e aree urbane a soggetti condannati per reati di particolare allarme sociale.

Il provvedimento introduce, inoltre, misure incentivanti nei confronti delle regioni per l’implementazione del numero unico europeo 112.

Sicurezza integrata e sicurezza urbana

Il decreto-legge reca, in primo luogo, disposizioni in materia di sicurezza integrata e di sicurezza urbana, intendendo, per sicurezza integrata, l'insieme degli interventi assicurati dallo Stato, regioni ed enti locali, nonchè da altri soggetti istituzionali, al fine di concorrere, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze e responsabilità, alla promozione e all'attuazione di un sistema unitario e integrato di sicurezza con la finalità del benessere delle comunita' territoriali (art. 1) e, per sicurezza urbana, il bene pubblico che afferisce alla vivibilità e al decoro delle città, da perseguire anche attraverso una serie di interventi, quali quelli di riqualificazione delle aree degradate, l'eliminazione dei fattori di esclusione sociale, la prevenzione della criminalità, la promozione del rispetto della legalità e l'affermazione di più elevati livelli di coesione sociale e convivenza civile, cui concorrono prioritariamente, anche con interventi integrati, lo Stato e gli enti territoriali, nel rispetto delle rispettive competenze e funzioni (art. 4).

Nell’ambito della programmazione e determinazione delle competenze, il provvedimento prevede l’adozione di linee generali delle politiche pubbliche per la promozione della sicurezza integrata, adottate, su proposta del Ministro dell'interno, con accordo sancito in sede di Conferenza Unificata (art. 2). In attuazione di tali linee guida, ai sensi dell’art. 3, lo Stato e le regioni possono concludere specifici accordi anche per disciplinare interventi a sostegno della formazione del personale della polizia locale e, ai sensi dell’art. 5, possono essere sottoscritti patti per l’attuazione della sicurezza urbana tra il prefetto ed il sindaco, nel rispetto di linee guida adottate con accordo in sede di Conferenza Stato-città su proposta del Ministro dell’interno.

Per la tutela della sicurezza nelle grandi aree urbane il provvedimento in esame istituisce uno specifico organismo: il Comitato metropolitano dedicato all’analisi, la valutazione e il confronto sulle tematiche di sicurezza urbana relative al territorio della città metropolitana (art. 6).

Nell’ambito delle linee guida sulle politiche di sicurezza e dei patti locali per la sicurezza urbana possono essere individuati obiettivi specifici, destinati all’incremento dei servizi di controllo del territorio e alla valorizzazione del territorio. Per garantire il necessario sostegno logistico e strumentale alla realizzazione di tali obiettivi possono essere utilizzati gli accordi territoriali di sicurezza integrata per lo sviluppo, che prevedono il coinvolgimento di enti pubblici (economici e non) e soggetti privati (art. 7).

Il decreto inoltre modifica il testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267), in relazione al potere del sindaco di adottare ordinanze in materia di sicurezza, di natura contingibile o non contingibile, con particolare riferimento agli orari di vendita e di somministrazione di bevande alcoliche (art. 8).

Disposizioni in materia di sicurezza e decoro urbano

Il capo II del decreto-legge interviene in materia di sicurezza e decoro urbano delle città prevalentemente attraverso l’introduzione di misure di sanzione amministrativa.

L’articolo 9 prevede l’adozione, da parte del sindaco, di misure volte a sanzionare le condotte che limitano la libera accessibilità e fruizione di infrastrutture (fisse e mobili), ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico e delle relative pertinenze, in violazione dei divieti di stazionamento o di occupazione di spazi ivi previsti. Si prevede a tal fine la contestuale irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria e l’adozione di un ordine di allontanamento dai luoghi indicati. I proventi delle sanzioni sono destinate ad interventi di recupero del degrado urbano. L’allontanamento viene disposto anche nei confronti di chi – negli spazi indicati - viene trovato in stato di ubriachezza, compie atti contrari alla pubblica decenza, o esercita il commercio abusivo. Tramite regolamenti di polizia urbana si può disporre l’ampliamento dell’ambito di applicazione delle misure indicate ad aree urbane dove si trovino musei, ad aree monumentali e archeologiche o ad altri luoghi di cultura interessati da consistenti flussi turistici.

L’articolo 10 del decreto detta le modalità esecutive della misura dell’allontanamento dalle aree indicate dall’articolo 9. La recidiva nelle condotte illecite comporta la possibile adozione da parte del questore di un divieto di accesso ad una o più delle aree espressamente indicate per un massimo di sei mesi, misura quest’ultima, modellata sul Daspo nelle manifestazioni sportive di cui alla legge 401/1989. Sono dettate, poi, ipotesi di durata maggiore del divieto di accesso (da sei mesi a due anni) e l’applicazione, in questi casi, di alcune disposizioni della citata disciplina del Daspo, con particolare riferimento alla necessaria convalida della misura da parte del giudice. Un DM Interno dovrà definire criteri per rafforzare la cooperazione tra le forze di polizia e i corpi di polizia municipale.

L’articolo 11 interviene in materia di occupazione arbitrarie di immobili.

Per meglio definire i casi in cui il prefetto può mettere a disposizione la forza pubblica per procedere allo sgombero in esecuzione di provvedimenti dell’autorità giudiziaria, sono stabilite le seguenti priorità:

-      situazione dell’ordine e della sicurezza pubblica nei territori interessati;

-      rischi per l’incolumità e la salute pubblica;

-      diritti dei proprietari degli immobili;

-      i livelli assistenziali che regioni ed enti locali possono assicurare agli aventi diritto.

Il provvedimento attribuisce al questore, in caso di inosservanza delle ordinanze in materia di orari di vendita e di somministrazione di bevande alcoliche, del potere di sospendere l'attività per un massimo di quindici giorni (art. 12). Per limitare il fenomeno dell'abuso di sostanze alcoliche, si estende la sanzione sulla vendita di alcolici ai minori anche alla somministrazione.

L’articolo 13 prevede misure inibitorie temporanee di competenza del questore finalizzate alla prevenzione dello spaccio di stupefacenti in locali pubblici o aperti al pubblico. Vengono, infatti, enucleate le ipotesi in cui il questore potrà disporre per motivi di sicurezza il divieto di accesso nei locali pubblici (o aperti al pubblico) o nei pubblici esercizi a persone condannate per illeciti in materia di stupefacenti commessi in tali locali. Tale divieto – di durata tra uno e cinque anni - può riguardare anche lo stazionamento nelle immediate vicinanze degli stessi locali. Rinviando all’applicazione della disciplina del Daspo, ulteriori misure, di durata massima biennale, mutuate citata dalla stessa disciplina – ed incidenti sulla libertà personale e sul diritto di circolazione - potranno essere adottate nei confronti dei condannati con sentenza definitiva negli ultimi tre anni per i reati previsti dal citato TU stupefacenti. La violazione delle misure, adottabili anche nei confronti di minori ultraquattordicenni, è punito con sanzione pecuniaria.

L’articolo 15 modifica la disciplina sulle misure di prevenzione personali contenuta nel Codice antimafia (D.Lgs. 159 del 2011).

La prima modifica riguarda l’art. 1, lett. c), relativo ai destinatari delle indicate misure e prevede che motivano i provvedimenti del questore anche le reiterate violazioni del foglio di via obbligatorio e dei divieti di frequentazione di determinati luoghi previsti dalla normativa vigente. L’altra modifica prevede che per la tutela della sicurezza pubblica, ai sorvegliati speciali (la relativa misura è di competenza del giudice), con il loro consenso, possano essere applicati i cd. braccialetti elettronici.

Nell’ambito degli interventi contro il decoro urbano, l’articolo 16 prevede che ove il reato di deturpazione o imbrattamento (art. 639 c.p.) sia commesso su beni immobili, su mezzi di trasporto pubblici o privati o su cose di interesse storico o artistico il giudice può subordinare l’applicazione della sospensione condizionale della pena all’obbligo di ripristino e ripulitura dei luoghi oggetto dell’illecito. Analoga misura è adottata nei confronti dei recidivi. Ove tali operazioni non siano possibili, per la concessione del beneficio può essere disposto dal giudice l’obbligo di pagamento o refusione delle spese nonché, col consenso dell’interessato) la prestazione di attività non retribuita a favore della collettività.

Numero unico 112

Il decreto introduce alcune disposizioni per favorire l'attivazione del numero unico europeo 112 nelle regioni, consentendo la possibilità di assumere personale in deroga alle disposizioni generali sulle limitazioni al turn over (art. 14).

 


 

Articoli 1-3
(
Sicurezza integrata)

 

Il decreto-legge reca, in primo luogo, disposizioni in materia di sicurezza integrata e di sicurezza urbana, intendendo, per sicurezza integrata, l'insieme degli interventi assicurati dallo Stato e dagli enti territoriali nonche' da altri soggetti istituzionali, al fine di concorrere, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze e responsabilita', alla promozione e all'attuazione di un sistema unitario e integrato con la finalità del benessere delle comunita' territoriali (art. 1) e, per sicurezza urbana, il bene pubblico che afferisce alla vivibilita' e al decoro delle citta', da perseguire anche attraverso una serie di interventi, quali quelli di riqualificazione delle aree piu' degradate, l'eliminazione dei fattori di esclusione sociale, la prevenzione della criminalita', la promozione del rispetto della legalita' e l'affermazione di piu' elevati livelli di coesione sociale e convivenza civile, cui concorrono prioritariamente, anche con interventi integrati, lo Stato e gli enti territoriali, nel rispetto delle rispettive competenze e funzioni (art. 4).

Nell’ambito della programmazione e determinazione delle competenze, il provvedimento prevede l’adozione di “linee generali delle politiche pubbliche per la promozione della sicurezza integrata”, adottate, su proposta del Ministro dell'interno, con accordo sancito in sede di Conferenza unificata (art. 2). In attuazione di tali linee guida, ai sensi dell’art. 3, lo Stato e le regioni possono concludere specifici accordi anche per disciplinare interventi a sostegno della formazione del personale della polizia locale e, ai sensi dell’art. 5, possono essere sottoscritti patti per l’attuazione della sicurezza urbana tra il prefetto ed il sindaco, nel rispetto di linee guida adottate con accordo in sede di Conferenza Stato.città su proposta del Ministro dell’interno.

 

Oggetto e definizione di “sicurezza integrata”

Nel dettaglio, gli articoli da 1 a 3 aprono la sezione I del capo I (dedicato alla Collaborazione interistituzionale per la promozione della sicurezza integrata e della sicurezza urbana) e riguardano la sicurezza integrata”.

Come già ricordato, la sicurezza integrata è definita (art. 1, comma 2) come l'insieme degli interventi assicurati dallo Stato, dalle regioni, dalle province autonome di Trento e Bolzano e dagli enti locali, nonche' da altri soggetti istituzionali, al fine di concorrere, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze e responsabilita', alla promozione e all'attuazione di un sistema unitario e integrato di sicurezza per il benessere delle comunita' territoriali.

L’ambito di applicazione della sezione I – riguardante, come si è detto, la sicurezza integrata - è individuato (art. 1, comma 1) nella disciplina delle modalita' e degli strumenti di coordinamento tra Stato, regioni e province autonome di Trento e Bolzano ed enti locali in materia di politiche pubbliche per la promozione della sicurezza integrata.

Il testo richiama a tal fine, l'articolo 118, terzo comma, della Costituzione, che demanda alla legge statale la disciplina di forme di coordinamento fra Stato e Regione nelle materie dell’immigrazione e dell’ordine pubblico e sicurezza (materie di cui all’art. 117, secondo comma, lettere b) e h), Cost.).

 

Nella relazione illustrativa si evidenzia che “il modello sviluppato, anche in attuazione del principio del coordinamento legislativo tra lo Stato e le regioni di cui all'articolo 118, terzo comma, della Costituzione, ammette l'esistenza di uno spazio giuridico orizzontale nel quale interagiscono soggetti giuridici diversi, con strumenti e legittimazioni distinte, nella consapevolezza che la cooperazione tra i diversi livelli di governo possa garantire – in un'ottica multifattoriale e poliedrica – maggiori e più adeguati livelli di sicurezza, laddove quest'ultima non è più soltanto da identificarsi con la sfera della prevenzione e della repressione dei reati (e, quindi, con la sfera della sicurezza «primaria»), ma è intesa anche come attività volta al perseguimento di fattori di equilibrio e di coesione sociale, di vivibilità e di prevenzione situazionale connessi ai processi di affievolimento della socialità nei territori delle aree metropolitane e di conurbazione.

 

Linee guida per la promozione della sicurezza integrata

Restano ferme in ogni caso (art. 2) le competenze che rientrano negli ambiti di legislazione esclusiva dello Stato “ordine pubblico e sicurezza”  (materie che, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. h), Cost. sono espressamente attribuite allo Stato, “ad eccezione della polizia amministrativa locale”).

Il citato ambito materiale, per consolidata giurisprudenza costituzionale, è in particolare individuato nella prevenzione dei reati e nel mantenimento dell’ordine pubblico, inteso questo quale «complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge la civile convivenza nella comunità nazionale» (ex plurimis, sentenza n. 35 del 2011).

A sua volta, la nozione di «sicurezza urbana» è stata identificata dalla Corte costituzionale quale «bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa, nell’ambito delle comunità locali, del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale» (ex plurimis, sentenze n. 129 del 2009; n. 237 e n. 222 del 2006; n. 383 e n. 95 del 2005; n. 428 del 2004). Spetta dunque allo Stato (ex multis sentenza 196/2009) definire le nozioni di “incolumità pubblica” e di “sicurezza urbana”. La Corte ha, in tale quadro, rilevato che i poteri esercitabili dai sindaci, ai sensi dei commi 1 e 4 dell’art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000, non possono che essere quelli finalizzati alla attività di prevenzione e repressione dei reati, e non i poteri concernenti lo svolgimento delle funzioni di polizia amministrativa nelle materie di competenza regionale (sul potere di ordinanza dei sindaci e sulle modifiche del decreto-legge si veda infra art. 8).

 

L’art. 2 individua quindi il “primo livello” di programmazione e determinazione delle competenze, costituito dalle “linee generali delle politiche pubbliche per la promozione della sicurezza integrata”.

Tali linee generali sono adottate, su proposta del Ministro dell'interno, con accordo sancito in sede di Conferenza Unificata e sono rivolte, prioritariamente, a coordinare, per lo svolgimento di attivita' di interesse comune, l'esercizio delle competenze dei soggetti istituzionali coinvolti, anche con riferimento alla collaborazione tra le forze di polizia e la polizia locale.

 

Si ricorda che, nell’ambito delle funzioni di coordinamento e di raccordo tra lo Stato e le regioni, la Conferenza unificata (ai sensi del decreto legislativo n. 281 del 1997) promuove e sancisce:

-        intese tra Governo, regioni, province, comuni e comunità montane;

-        accordi tra Governo, regioni ed enti locali, al fine di coordinare l'esercizio delle rispettive competenze e svolgere in collaborazione attività di interesse comune.

La Conferenza assicura inoltre, in tale ambito, lo scambio di dati e informazioni tra Governo, regioni ed enti locali nei casi di sua competenza, anche attraverso l'approvazione di protocolli di intesa.

 

Accordi per la promozione della sicurezza integrata

In attuazione delle Linee generali delle politiche pubbliche per la promozione della sicurezza integrata (definite con accordo in sede di Conferenza) si prevede che lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano possano concludere specifici accordi per la promozione della sicurezza integrata, “anche” diretti a disciplinare gli interventi a sostegno della formazione e dell'aggiornamento professionale del personale della polizia locale (art. 3, comma 1).

La formulazione della norma sembra dunque fare riferimento ad accordi tra lo Stato e una o più regioni (senza escludere che uno o più accordi possano, in ogni caso, essere raggiunti in sede di Conferenza Stato-regioni), fermo restando l’accordo di carattere generale per finalità di coordinamento, definito in sede di Conferenza unificata, ai fini dell’adozione delle Linee generali.

 

In coerenza con le Linee generali l’art. 5 (v. infra) consente altresì la sottoscrizione di patti per l’attuazione della sicurezza urbana, tra il prefetto ed il sindaco, su proposta del Ministro dell’interno, con accordo sancito in sede di Conferenza Stato-città.

 

Si prevede inoltre (art. 3, comma 2) che, anche sulla base di tali accordi, le regioni e le province autonome possano sostenere, nell'ambito delle proprie competenze e funzioni, iniziative e progetti volti ad attuare interventi di promozione della sicurezza integrata nel territorio di riferimento, ivi inclusa l'adozione di misure di sostegno finanziario a favore dei comuni maggiormente interessati da fenomeni di criminalita' diffusa.

Nella relazione tecnica si precisa che si tratta in ogni caso di una mera facoltà che tali soggetti potranno svolgere con le risorse destinate dagli stessi a tali fini, nei limiti dei rispettivi stanziamenti di bilancio.

 

Al contempo, lo Stato, nelle attivita' di programmazione e predisposizione degli interventi di rimodulazione dei presidi di sicurezza territoriale, tiene conto delle eventuali criticita' segnalate in sede di applicazione dei predetti accordi (art. 3, comma 3).

Infine, si prevede che gli strumenti e le modalita' di monitoraggio dell'attuazione dei predetti accordi siano individuati dallo Stato e dalle regioni e province autonome, anche in sede di Conferenza unificata (art. 3, comma 4).

 


 

Articoli 4-6
(Sicurezza urbana)

 

Definizione di sicurezza urbana

La sezione II del capo I (articoli 4, 5 e 6) interviene in materia di sicurezza urbana che viene definita quale bene pubblico afferente “alla vivibilità e al decoro delle città” (articolo 4).

Il medesimo articolo provvede ad individuare altresì alcune aree di intervento volte a promuovere la sicurezza urbana, quali:

·        la riqualificazione e il recupero delle aree degradate;

·        l'eliminazione dei fattori di marginalità e di esclusione sociale;

·        la prevenzione della criminalità ed in particolare di tipo predatorio (c.d. “street crime”, relativa a reati ad alto tasso di allarme sociale quali furti e rapine);

·        promozione del rispetto della legalità;

·        affermazione di più elevati livelli di coesione sociale e convivenza civile.

 

La definizione di sicurezza urbana introdotta dal provvedimento in esame, riprende quella recata dal D.M. 5 agosto 2008, secondo cui per sicurezza urbana si intende “un bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa, nell'ambito delle comunità locali, del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale”. Tale decreto è stato adottato in attuazione dell’articolo 6 del D.L. 92/2008 che ha apportato alcune modifiche sostanziali all’art. 54 del testo unico sull’ordinamento degli enti locali (D.Lgs. 267/2000), tra cui l’ampliamento dei poteri di ordinanza del sindaco, al fine di consentirgli l’adozione di provvedimenti, sia in via ordinaria, sia con procedura di urgenza, qualora si renda necessario prevenire ed eliminare gravi pericoli non solo per l’incolumità pubblica, come già previsto, ma anche per la sicurezza urbana, la cui definizione, appunto, veniva demandata alla adozione di un apposito decreto ministeriale.

 

Tutte le istituzioni repubblicane, Stato, regioni e enti locali, ciascuno nell’ambito delle rispettive competenze e funzioni, concorrono, anche con azioni integrate, alla realizzazione della sicurezza urbana.

 

Alla criminalità nelle grandi aree urbane è dedicato uno specifico approfondimento dell’ultima relazione al Parlamento (relativa al 2015) del Ministro dell’interno sull'attività delle Forze di Polizia, sullo stato dell'ordine e della sicurezza pubblica e sulla criminalità organizzata.

Nel 2015, evidenza la relazione, sono stati commessi quasi 2,7 milioni di delitti, con un decremento del - 4,47% rispetto al 2014. Per quanto riguarda i reati predatori più diffusi (furti e rapine) disaggregati per macro aree ed esaminando, nello specifico, le realtà metropolitane di Torino, Milano e Genova al Nord; Ancona, Firenze e Roma al Centro; Napoli, Bari e Palermo al Sud, si rileva che nelle citate 9 città campione è stato consumato il 26,68% dei furti registrati in ambito nazionale nel 2015 (nelle aree di Torino, Milano e Genova è stato commesso il 22,02% dei furti consumati nel Nord; nelle aree di Ancona, Firenze e Roma è stato commesso il 43,65% degli specifici delitti del Centro Italia; nelle aree di Napoli, Bari e Palermo è stato commesso il 19,28% dei furti del Sud).

Tra le città prese in esame: Milano ha un’incidenza del 32,88% sui furti consumati in Lombardia e del 12,83% su tutti quelli commessi nel Nord Italia; Roma ha un’incidenza pari al 72,06% del totale regionale e al 37,17% di quello del Centro Italia; per Napoli l’incidenza è pari al 29,85% del totale regionale ed al 9,42% di quello del Sud.

Complessivamente nelle 9 città campione è stato commesso il 37,40% delle rapine consumate in ambito nazionale: nella macro area di Torino, Milano e Genova è stato commesso il 35,46% del totale delle rapine che hanno interessato il Nord del Paese; nella macroarea di Ancona, Firenze e Roma è stato consumato il 53,18% del totale delle rapine commesse al Centro; nella macro area di Napoli, Bari e Palermo è stato consumato il 32,13% del totale delle rapine commesse al Sud.

Tra le città prese in esame: per la città di Milano si registra un’incidenza del 45,20% sul totale regionale e del 20,36% nella relativa macro area;o per la città di Roma l’incidenza specifica è del 77,77% in ambito regionale e del 46,94% nella relativa macro area; o per la città di Napoli l’incidenza regionale è del 38,44% e del 20,19%nella relativa macro area.

 

Patti per l’attuazione della sicurezza urbana

Tra i principali strumenti per la promozione della sicurezza nelle città il provvedimento in esame indica i patti per l’attuazione della sicurezza urbana sottoscritti dal prefetto e il sindaco, che, incidendo su specifici contesti territoriali, individuano concretamente gli interventi da mettere in campo per la sicurezza urbana (articolo 5).

I patti hanno come base fondante, oltre alle linee generali per la promozione della sicurezza integrata (adottate in sede di Conferenza unificata), come definite dall’articolo 2 del presente provvedimento, specifiche linee guida adottate con accordo sancito in sede di conferenza Stato-città e autonomie locali, su proposta del Ministro dell’interno (comma 1).

I patti non hanno come unico riferimento la sicurezza del centro abitato, ma devono tener conto anche delle esigenze delle aree rurali limitrofe.

 

I patti per la sicurezza, stipulati fin dal 1997, hanno trovato una base normativa con la legge finanziaria 2007 che ha autorizzato i prefetti a stipulare convenzioni con le regioni e gli enti locali per realizzare programmi straordinari per incrementare i servizi di polizia, di soccorso tecnico urgente e per la tutela della sicurezza dei cittadini, accedendo alle risorse logistiche, strumentali o finanziarie che le regioni e gli enti locali intendono destinare nel loro territorio per questi scopi (L. 296/2006, art. 1, comma 439).

Sulla base delle previsione della legge finanziaria per il 2007, è stato stipulato, il 20 marzo 2007, un Patto per la sicurezza tra il Ministero dell’Interno e l’ANCI, che coinvolge tutti i comuni italiani e, nell’ambito di questo accordo cornice, un’intesa per la sicurezza delle aree urbane con i sindaci delle città sedi di aree metropolitane.

Il Patto con l’ANCI costituisce l’accordo quadro di riferimento per sviluppare con i comuni accordi locali, nel quadro di un rapporto di sussidiarietà tra gli organismi statali e gli enti locali e territoriali, e pone preliminarmente alcuni principi di carattere generale: la sicurezza è un diritto primario dei cittadini, da garantire in via prioritaria, e tale diritto deve essere assicurato non soltanto in relazione ai fenomeni di criminalità organizzata, ma anche in rapporto a quelli di criminalità diffusa, microcriminalità e illegalità, ovvero di degrado e disordine urbano, incidenti sul territorio.

Il Patto ha fissato alcune linee di indirizzo per sviluppare gli accordi e le iniziative congiunte da realizzarsi in collaborazione tra gli enti locali e il Ministero dell’interno; tra le quali rilevano:

-       la promozione di un rapporto di collaborazione tra i prefetti e i sindaci per un più intenso ed integrato processo conoscitivo delle problematiche emergenti sul territorio;

-       l’attivazione di iniziative di prevenzione sociale mirate alla riqualificazione del tessuto urbano, al recupero del degrado ambientale e delle situazioni di disagio sociale;

-       iniziative per il reclutamento, la formazione e l’aggiornamento professionale del personale dei Corpi di polizia municipale e di altri operatori della sicurezza, nell’ottica di un innalzamento dei livelli di professionalità, creando così le condizioni per una integrazione tra gli operatori nel quadro delle iniziative in tema di “sicurezza diffusa”, con possibile organizzazione di “pattuglie miste”;

-       la realizzazione di forme di interoperabilità tra le sale operative delle Forze di Polizia e quelle delle polizie municipali e promozione della collaborazione dei rispettivi sistemi informativi;

-       la promozione e il potenziamento degli apparati di videosorveglianza.

L'art. 7 del DL 92/2008, convertito, con modificazioni, dalla L. 125/2008 (c.d. decreto sicurezza) ha esteso la predisposizione di piani coordinati di controllo del territorio, per specifiche esigenze, anche ai comuni minori e alle forme associative sovracomunali, per potenziare la capacità di intervento della polizia locale nelle attività ordinarie

 

Tra le aree di intervento in materia di sicurezza urbana di cui all’articolo 4, il provvedimento in esame ne individua tre, quali obiettivi prioritari da perseguire con i patti per la sicurezza urbana (comma 2).

 

Si tratta dei seguenti obiettivi:

·        la prevenzione della criminalità diffusa e predatoria, attraverso “servizi e interventi di prossimità”, in particolare a vantaggio delle zone maggiormente interessate da fenomeni di degrado;

 

I servizi e interventi di prossimità richiamati dalla disposizione in esame rinviano al concetto di “polizia di prossimità”, dizione analoga a quella utilizzata in Francia (police de proximité) ed in altri paesi francofoni. Si tratta di un modello di prevenzione e sicurezza che presenta quali punti caratterizzanti l’avvicinamento tra polizia e cittadini, l’adattamento dell’organizzazione della sicurezza alle realtà locali, l’attenzione alle aspettative dei cittadini in tema di sicurezza e la collaborazione tra amministrazioni.

Uno degli strumenti della polizia di prossimità è il “poliziotto di quartiere”, innovativa figura professionale di operatore di polizia, in grado di stabilire col cittadino un rapporto fiduciario e capace di sviluppare un’azione di controllo del territorio prevalentemente orientata verso la prevenzione. In Italia un progetto “Poliziotto e carabiniere di quartiere” è stato avviato in via sperimentale alla fine del 2002, mentre nello stesso anno è stato dato un impulso al modello di polizia di prossimità con la legge finanziaria 2003 (L. 289/2002, art. 31, co. 7) che ha destinato 5 milioni di euro alle unioni di comuni per investimenti volti all’esercizio in forma congiunta dei servizi di polizia locale; ha consentito agli enti locali, nell’ambito dei propri poteri di pianificazione del territorio, di inserire tra le opere di urbanizzazione secondaria le sedi di servizio e le caserme occorrenti per la realizzazione di nuovi presìdi di polizia; ha prescritto l’adeguamento e il ricollocamento dei presìdi di polizia allora esistenti.

 

·        la promozione del rispetto della legalità, da perseguire anche attraverso iniziative di dissuasione delle condotte illecite (quali l'occupazione arbitraria di immobili e lo smercio di beni contraffatti o falsificati) e dei fenomeni che turbano e limitano il libero utilizzo degli spazi pubblici;

 

Come si legge nella citata relazione 2015 sullo stato della sicurezza, con le direttive 8 agosto 2014, 15 novembre 2014 e 6 luglio 2015 (quest’ultima recante le Linee guida in materia di prevenzione e contrasto al fenomeno della contraffazione) “il Ministro dell’Interno ha ribadito che la prevenzione ed il contrasto dei fenomeni illeciti della contraffazione, della pirateria e dell’abusivismo costituiscono obiettivi prioritari da perseguire per accrescere il senso di sicurezza delle comunità ed il decoro dei centri urbani nonché ha confermato la necessità di una sistematica azione di contenimento e repressione, che coinvolga, in primo luogo, le Autorità prefettizie con compiti di coordinamento e impulso”.

 

·        la promozione del rispetto del decoro urbano, anche valorizzando forme di collaborazione interistituzionale tra le amministrazioni competenti, al fine di coadiuvare l'ente locale nell'individuazione di aree urbane (su cui insistono musei, aree e parchi archeologici, complessi monumentali o altri istituti e luoghi della cultura interessati da consistenti flussi turistici, ovvero adibite a verde pubblico) da sottoporre a particolare tutela ai sensi dell'articolo 9, comma 3. Tale ultima previsione affida ai regolamenti di polizia urbana l’individuazione delle aree alle quali applicare le misure a tutela del decoro previste dal medesimo articolo 9, ai commi 1 e 2, che prevedono una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 100 a euro 300 e l’ordine di allontanamento dal luogo in cui è stato commesso il fatto nel caso di condotte limitative della libera accessibilità e fruizione delle infrastrutture per il trasporto, delle relative pertinenze e aree interne.

Comitato metropolitano per la sicurezza urbana

Per la tutela della sicurezza nelle grandi aree urbane il provvedimento in esame istituisce uno specifico organismo: il Comitato metropolitano dedicato all’analisi, la valutazione e il confronto sulle tematiche di sicurezza urbana relative al territorio della città metropolitana (articolo 6).

 

Le città metropolitane sono enti territoriali di area vasta. La legge 56/2014 ha individuato nove città metropolitane nelle regioni a statuto ordinario: Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria; ad esse si aggiunge la città metropolitana di Roma capitale.

Per le regioni a statuto speciale, i princìpi della legge valgono come princìpi di grande riforma economica e sociale, conformemente ai rispettivi statuti, per la disciplina di città e aree metropolitane nelle regioni Sardegna, Sicilia e Friuli-Venezia Giulia, che adeguano i propri ordinamenti interni entro dodici mesi dall'entrata in vigore della legge.

 

Ciascun comitato metropolitano è “copresieduto” dal prefetto e dal sindaco metropolitano, e vi fanno parte, oltre al sindaco del comune capoluogo, qualora non coincida con il sindaco metropolitano, i sindaci dei comuni interessati.

 

In base alla legge 56/2014 il sindaco metropolitano è di diritto il sindaco del comune capoluogo; lo statuto della città metropolitana può in ogni caso prevedere l’elezione diretta a suffragio universale del sindaco, previa approvazione della legge statale sul sistema elettorale (art. 1, commi 19 e 22).

 

Possono inoltre essere invitati a partecipare alle riunioni del comitato i soggetti pubblici o privati dell'ambito territoriale interessato.

La disposizione fa esplicitamente salve le competenze del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, organismo che insiste sullo stesso ambito territoriale del comitato metropolitano coadiuvando il prefetto in materia di pubblica sicurezza.

 

Ai sensi dell'articolo 20 della legge 1° aprile 1981, n. 121, il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, istituito presso ciascuna prefettura, ha compiti consultivi nei confronti del prefetto per l'esercizio delle sue funzioni di autorità provinciale di pubblica sicurezza.

Il comitato, presieduto dal prefetto, è composto dal questore, dal sindaco del comune capoluogo e dal presidente della provincia, dai comandanti provinciali dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza. Vi partecipano inoltre i sindaci degli altri comuni interessati, quando devono trattarsi questioni riferibili ai rispettivi ambiti territoriali, e le autorità locali di pubblica sicurezza e i responsabili delle amministrazioni dello Stato interessate ai problemi da trattare (quali ad esempio i responsabili dell'Amministrazione penitenziaria, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, del Corpo delle capitanerie di porto).

 

Infine, si prescrive che la partecipazione alle riunioni del comitato metropolitano è dovuta a titolo completamente gratuito (comma 2).


Articolo 7
(Ulteriori strumenti e obiettivi per l’attuazione di iniziative congiunte)

 

L’articolo 7 prevede che, nell’ambito delle linee guida sulle politiche di sicurezza (art. 2) e dei patti locali per la sicurezza urbana (art. 5), possono essere individuati obiettivi specifici, destinati all’incremento dei servizi di controllo del territorio e alla valorizzazione del territorio.

Per garantire il necessario sostegno logistico e strumentale alla realizzazione di tali obiettivi possono essere coinvolti enti pubblici (economici e non) e soggetti privati, secondo le disposizioni contenute nell’art. 6-bis del decreto-legge n. 93/2013 (L. 119/2013) in materia di accordi territoriali di sicurezza integrata per lo sviluppo (comma 1).

 

Lo strumento degli accordi territoriali di sicurezza integrata per lo sviluppo è stato introdotto dal legislatore nel 2013 al fine di rafforzare i presidi di legalità nel quadro di un rapporto di collaborazione fra istituzioni in attuazione di politiche integrate e di governo della sicurezza, anche attraverso gli strumenti pattizi.

Pertanto, all’inizio della legislatura l'art. 6-bis del citato D.L. 93/2013 ha stabilito per le aree interessate da iniziative di sviluppo territoriale che gli accordi tra il Ministero dell’interno e regioni ed enti locali, previsti dall’articolo 1, comma 439, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, possono avere la contribuzione anche di altri soggetti pubblici, sia pur non economici, e di soggetti privati, finalizzata al sostegno strumentale, finanziario e logistico delle attività di promozione della sicurezza dei cittadini, del controllo del territorio e del soccorso pubblico.

Tale contribuzione può essere prevista per le aree interessate da insediamenti produttivi o infrastrutture logistiche ovvero da progetti di riqualificazione e riconversione di siti industriali o commerciali dismessi o da progetti di valorizzazione dei beni di proprietà pubblica o da altre iniziative di sviluppo territoriale.

In base alla disciplina stabilita dal DL 93/2013, gli accordi territoriali possono prevedere, ai fini del contenimento della spesa, forme di ottimizzazione delle modalità di impiego dei mezzi strumentali delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, per le quali è consentito in deroga alle disposizioni vigenti in materia contabile e comunque nel rispetto della disciplina sul controllo, l'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento, di cui alla legge n. 185/1990, il ricorso alla permuta di materiali o prestazioni. In tal caso, l’accordo è soggetto ad una specifica autorizzazione del Ministero dell’interno, rilasciata d’intesa con il Ministero dell’economia e finanze. In caso di accordi tra soggetti pubblici, anche non economici la permuta può prevedere anche la cessione diretta di beni di proprietà pubblica in cambio di prestazioni o finanziamenti volti alla ristrutturazione di altri beni di proprietà pubblica destinati ai presidi di polizia.

 

Il comma 2 richiama l’applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 1, comma 439, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, che attribuisce la facoltà al Ministro dell'interno e, per sua delega, ai prefetti, di stipulare convenzioni con le regioni e gli enti locali che prevedano la contribuzione logistica, strumentale o finanziaria delle stesse regioni e degli enti locali per la realizzazione di programmi straordinari di incremento dei servizi di polizia, di soccorso tecnico urgente e per la sicurezza dei cittadini. Si tratta dei c.d. patti per la sicurezza, su cui interviene anche l’articolo 5 dettando disposizioni per la sottoscrizione di patti per l’attuazione della sicurezza urbana.

 

 


 

Articolo 8
(Modifiche al testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267)

 

 

L’articolo 8 introduce alcune modifiche al Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267), in relazione al potere del sindaco di adottare ordinanze in materia di sicurezza, di natura contingibile o non contingibile, con particolare riferimento agli orari di vendita e di somministrazione di bevande alcoliche.

Le ordinanze sindacali come rappresentante della comunità locale

Un primo gruppo di disposizioni interviene sul potere di ordinanza del sindaco in qualità di rappresentante della comunità locale, modificando a tal fine l’articolo 50 del TUEL, ai commi 5 e 7 (art. 8, co. 1, lett. a)).

In particolare, sono ampliate le ipotesi in cui il sindaco può adottare ordinanze contingibili ed urgenti quale rappresentante della comunità locale, finora limitate dal TUEL al caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale (art. 50, co. 5).

 

Tale disposizione prevede ulteriormente che nei casi non a carattere esclusivamente locale, l'adozione dei provvedimenti d'urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell'emergenza e dell'eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali.

 

Aggiungendo un periodo alla disposizione citata, si prevede che il sindaco possa adottare ordinanze extra ordinem qualora vi sia urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio o pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti.

In particolare, la disposizione specifica che con tali ordinanze si può anche intervenire in materia di orari di vendita, anche per asporto, e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche.

 

In proposito, si ricorda che, ai sensi del DM 5 agosto 2008, già oggi il sindaco può intervenire, tra l’altro, per prevenire e contrastare l’incuria, il degrado e l’occupazione abusiva di immobili ovvero le situazioni che alterano il decoro urbano, in particolare quelle di abusivismo commerciale e di illecita occupazione di suolo pubblico (art. 2, lett. c) e d)). Tali interventi possono consistere anche in ordinanze extra ordinem ex art. 54, co. 4, che il sindaco adotta nell’esercizio di funzioni di ordine e sicurezza pubblica di competenza statale.

Pertanto, la disposizione introdotta al nuovo articolo 50, co. 5, TUEL, ha l’effetto di ritagliare, rispetto al quadro normativo vigente, fattispecie in cui il sindaco può intervenire nell’esercizio di funzioni proprie del comune e dunque, di legittimare una nuova potestà di intervento autonomo del sindaco quale rappresentante della comunità locale.

 

In merito all’introduzione di nuove fattispecie attributive del potere di adottare ordinanze contingibili e urgenti, si ricorda che da giurisprudenza costante e consolidata della Corte costituzionale deroghe alla normativa primaria, da parte delle autorità amministrative munite di potere di ordinanza, sono consentite solo se «temporalmente delimitate» (ex plurimis, sentenze n. 127 del 1995, n. 418 del 1992, n. 32 del 1991, n. 617 del 1987, n. 8 del 1956) e, comunque, nei limiti della «concreta situazione di fatto che si tratta di fronteggiare» (sentenza n. 4 del 1977).

 

In relazione alle materie menzionate nella disposizione introdotta, il successivo comma 2 dell’articolo in commento, stabilisce che i comuni possono adottare regolamenti ai sensi delle norme del TUEL medesimo.

 

Ai sensi dell’art. 117, sesto comma, della Costituzione, i Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.

A sua volta, l'art. 4 della legge n. 131/2003 dispone che l'organizzazione degli enti locali è disciplinata dai regolamenti nel rispetto delle norme statutarie; la disciplina dell'organizzazione, dello svolgimento e della gestione delle funzioni dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane è riservata alla potestà regolamentare dell'ente locale, nell'ambito della legislazione dello Stato e della Regione, che ne assicura i requisiti minimi di uniformità, secondo le rispettive competenze, conformemente a quanto previsto dagli artt. 114, 117, sesto comma, e 118 della Costituzione.

Al contempo, l'art. 7 del TUEL (d. lg. 267/2000) prevede che, nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dallo statuto, il comune e la provincia adottano regolamenti nelle materie di propria competenza ed in particolare per l'organizzazione e il funzionamento delle istituzioni e degli organismi di partecipazione, per il funzionamento degli organi di partecipazione, per il funzionamento degli organi e degli uffici e per l'esercizio delle funzioni.

 

In secondo luogo, la novella aggiunge una nuova disposizione al comma 7 del citato art. 50 TUEL, che attualmente attribuisce al sindaco il compito di coordinare e riorganizzare, sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale e nell'ambito dei criteri eventualmente indicati dalla regione, gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, nonché, d'intesa con i responsabili territorialmente competenti delle amministrazioni interessate, gli orari di apertura al pubblico degli uffici pubblici localizzati nel territorio, al fine di armonizzare l'espletamento dei servizi con le esigenze complessive e generali degli utenti.

 

La disciplina degli orari di vendita e di somministrazione di bevande alcoliche

Fino al 2011 l'apertura degli esercizi commerciali è stata soggetta, in base alle norme legislative e alle disposizioni regionali e comunali, a limitazioni concernenti, in particolare, l'obbligo di chiusura domenicale e festiva e l'obbligo di rispettare determinati orari di apertura e chiusura. In tal senso, criteri generali erano stabiliti dall'art. 11 del D.Lgs. 114/1998 recante la disciplina generale per il settore del commercio.

In particolare il comma 1 dell'art. 11 del D.Lgs. n. 114/1998 attribuisce ai titolari di esercizi di vendita al dettaglio la libertà di determinare gli orari di apertura e di chiusura al pubblico, nel rispetto tuttavia delle disposizioni dettate in via generale dal medesimo Decreto e dei criteri emanati dai comuni, in ossequio a quanto ora disposto dall'art. 50, comma 7, TUEL. L'art. 12 conferma la specialità del regime degli orari nei comuni ad economia prevalentemente turistica, nonché nelle città d'arte e nei loro territori, già affermata dalla previgente legislazione. Per essi viene infatti prevista la libertà degli esercenti di determinare gli orari dei propri negozi anche in deroga agli obblighi di chiusura nei giorni festivi e di riposo infrasettimanale di cui al comma 4 del precedente art. 11.

Tale impianto normativo è stato (implicitamente) confermato dal primo dei c.d. Decreti Bersani (D.L. 4 luglio 2006, n. 223 conv. in legge 4 agosto 2006, n. 248.), il cui articolo 3, nel dettare molteplici disposizioni pro-concorrenza, non ha modificato la disciplina sugli orari.

Nel corso del 2011, nel quadro delle riforme sistemiche anticrisi, l'art. 35, comma 6, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98 ha introdotto la lettera d-bis) al comma 1 dell'art. 3 D.L. n. 223/2006, intesa a liberalizzare, «in via sperimentale», gli orari di apertura e chiusura degli esercizi di vendita al dettaglio situati in località turistiche o città d'arte.

La piena liberalizzazione dei giorni e orari di apertura degli esercizi commerciali, è stata quindi realizzata con il D.L. 201/2011 (Decreto salva-Italia) che, con l'articolo 31 elimina qualsiasi vincolo su questo specifico aspetto: la limitazione dell'estensione del nastro orario giornaliero di apertura (precedentemente di tredici ore); l'obbligo di mezza giornata di chiusura infrasettimanale; l'obbligo di chiusura nei giorni festivi per i quali non sia prevista una specifica deroga.

Si ricorda inoltra che il citato articolo 31 del DL 201/2011 prevede, al comma 2, che “costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali”.

Secondo la Corte costituzionale (sentenza 299/2012) una volta riconosciuta la legittimità della norma che liberalizza gli orari e le giornate di apertura degli esercizi commerciali non restano funzioni amministrative da svolgere in questo specifico settore sotto il profilo della «tutela della concorrenza», mentre resta inalterata l’allocazione ai Comuni, da parte del legislatore regionale, di tutte le altre funzioni amministrative in materia di commercio.

In particolare, il potere dei sindaci di stabilire con lo strumento dell'ordinanza di cui all'articolo 50, comma 7, Tuel (D.Lgs 267/2000) orari minimi e massimi per l'attività, prima generalmente ammesso, appare in contrasto con quanto previsto dall'articolo 31 del D.L. 201/2011 che ha di fatto esautorato i Comuni dalla possibilità di continuare a stabilire orari specifici per le attività commerciali, di somministrazione di alimenti e bevande ed in genere per le attività produttive.

Al riguardo però secondo la Corte, la liberalizzazione dell’orario degli esercizi commerciali così come delle giornate di apertura non determina alcuna deroga rispetto agli obblighi e alle prescrizioni cui tali esercizi sono tenuti in base alla legislazione posta a tutela di altri interessi costituzionalmente rilevanti quali l’ambiente, l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza, la salute e la quiete pubblica.

Con specifico riferimento al potere del sindaco di limitare l’orario di apertura degli esercizi commerciali, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 220/2014 ha evidenziato l'evoluzione della giurisprudenza amministrativa, sia di merito che di legittimità (Consiglio di Stato, sentenza nn. 3271 e 3845 del 2014; ordinanze n. 2133, n. 996/2014 e n. 2712/2013; TAR Lombardia, Brescia, sentenza n. 1484/2012; TAR Campania, sentenza n. 2976 del 2011; TAR Lazio, sentenza n. 5619/2010), secondo cui l'art. 50, comma 7, del TUEL è una statuizione di carattere generale, nel cui ambito non vi sono ragioni preclusive a ritenere che vi possano rientrare anche il potere del sindaco di determinazione, nella fattispecie, degli orari delle sale da gioco o di accensione e spegnimento degli apparecchi durante l’orario di apertura degli esercizi, in cui i medesimi sono installati, per esigenze di tutela della salute, della quiete pubblica, ovvero della circolazione stradale. Nelle richiamate sentenze il Consiglio di Stato ha evidenziato come non sia preclusa al sindaco la possibilità di esercitare, ai sensi dell’art. 50, co. 7, del TUEL, il proprio potere di inibizione delle attività per comprovate esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, oltre che del diritto dei terzi al rispetto della quiete pubblica, in caso di accertata lesione di interessi pubblici quali quelli in tema di sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute.

 

In virtù della nuova disposizione introdotta, si riconosce esplicitamente in capo al sindaco il potere di adottare anche ordinanze di ordinaria amministrazione, non contingibili ed urgenti, per disporre limitazioni in materia di orari di vendita, anche per asporto, e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche.

Il ricorso a tale strumento è ammesso solo al fine di assicurare le esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti in determinate aree delle città interessate da afflusso di persone di particolare rilevanza, anche in relazione allo svolgimento di specifici eventi.

Tali ordinanze devono disporre per un tempo predefinito, comunque non superiore a sessanta giorni.

 

Quanto all’attribuzione ai sindaci del potere di emanare ordinanze di ordinaria amministrazione (che non possono derogare a norme legislative o regolamentari vigenti) nella giurisprudenza costituzionale è stata sottolineata l’imprescindibile necessità che in ogni conferimento di poteri amministrativi venga osservato il principio di legalità sostanziale, posto a base dello Stato di diritto. Tale principio non consente «l’assoluta indeterminatezza» del potere conferito dalla legge ad una autorità amministrativa, che produce l’effetto di attribuire, in pratica, una «totale libertà» al soggetto od organo investito della funzione (sentenza n. 307 del 2003; in senso conforme, ex plurimis, sentenze n. 32 del 2009 e n. 150 del 1982). Non è dunque sufficiente che il potere sia finalizzato dalla legge alla tutela di un bene o di un valore, ma è indispensabile che il suo esercizio sia determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell’azione amministrativa.

Nella sentenza 115/2011 (con cui è stata dichiarata la parziale illegittimità costituzionale del citato art. 54, comma 4, del TUEL) la Corte, a proposito della configurabilità del potere del sindaco di emanare ordinanze di ordinaria amministrazione, deve rispettare il principio di riserva di legge relativa, di cui all’art. 23 Cost., il principio di imparzialità dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost., ed il principio di eguaglianza dell’art. 3, primo comma, Cost.

La Corte costituzionale ha evidenziato come le ordinanze sindacali che incidono per la natura delle loro finalità e per i loro destinatari (le persone presenti in un dato territorio), sulla sfera generale di libertà dei singoli e delle comunità amministrate, ponendo prescrizioni di comportamento, divieti, obblighi di fare e di non fare, che, pur indirizzati alla tutela di beni pubblici importanti, impongono comunque, in maggiore o minore misura, restrizioni ai soggetti considerati. Viene quindi in rilievo, ai sensi dell’art. 23 Cost., il principio di riserva di legge a carattere relativo: la riserva de qua non relega tuttavia la legge sullo sfondo, né può costituire giustificazione sufficiente per un rapporto con gli atti amministrativi concreti ridotto al mero richiamo formale ad un prescrizione normativa “in bianco”, genericamente orientata ad un principio-valore, senza una precisazione, anche non dettagliata, dei contenuti e modi dell’azione amministrativa limitativa della sfera generale di libertà dei cittadini.

Sulla scorta di tale ragionamento, con la sentenza 115/2011 la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del citato art. 54, comma 4, del TUEL, come sostituito dall’art. 6 del DL 92/2008, nella parte in cui comprende la locuzione «, anche» prima delle parole «contingibili e urgenti». La Corte ha in particolare ritenuto che tale norma, nel prevedere un potere di ordinanza dei sindaci, quali ufficiali del Governo, non limitato ai casi contingibili e urgenti – pur non attribuendo agli stessi il potere di derogare, in via ordinaria e temporalmente non definita, a norme primarie e secondarie vigenti – viola la riserva di legge relativa, di cui all’art. 23 Cost., in quanto non prevede una qualunque delimitazione della discrezionalità amministrativa in un ambito, quello della imposizione di comportamenti, che rientra nella generale sfera di libertà dei consociati. Questi ultimi sono tenuti, secondo un principio supremo dello Stato di diritto, a sottostare soltanto agli obblighi di fare, di non fare o di dare previsti in via generale dalla legge.

La Corte ha sottolineato che la natura amministrativa del decreto del Ministro, se assolve alla funzione di regolare i rapporti tra autorità centrale e periferiche nella materia, non può soddisfare la riserva di legge, in quanto si tratta di atto non idoneo a circoscrivere la discrezionalità amministrativa nei rapporti con i cittadini. Solo se le limitazioni e gli indirizzi contenuti nel citato decreto ministeriale fossero stati inclusi in un atto di valore legislativo, la Corte avrebbe potuto valutare la loro idoneità a circoscrivere la discrezionalità amministrativa dei sindaci. Nel caso di specie, al contrario, le determinazioni definitorie, gli indirizzi e i campi di intervento - ad avviso della Corte - non potrebbero essere ritenuti limiti validi alla suddetta discrezionalità, senza incorrere in un vizio logico di autoreferenzialità.

Il contrasto della citata disposizione con l’art. 97, primo comma, Cost. è dovuto, a sua volta, sul fatto che l’imparzialità dell’amministrazione non è garantita ab initio da una legge posta a fondamento, formale e contenutistico, del potere sindacale di ordinanza; l’assenza di limiti, che non siano genericamente finalistici, non consente pertanto – ad avviso della Corte - che l’imparzialità dell’agire amministrativo trovi, in via generale e preventiva, fondamento effettivo, ancorché non dettagliato, nella legge. La Corte costituzionale ha infine riscontrato una violazione dell’art. 3, primo comma, Cost., in quanto la citata disposizione consente all’autorità amministrativa – nella specie rappresentata dai sindaci – restrizioni diverse e variegate, frutto di valutazioni molteplici, non riconducibili ad una matrice legislativa unitaria.

Le ordinanze sindacali in qualità di ufficiale del Governo

Infine l’articolo 8 interviene sul potere di ordinanza del sindaco in qualità di ufficiale del Governo, modificando a tal fine l’art. 54 TUEL.

In particolare è integralmente sostituita la previsione dell’articolo 54, comma 4-bis, del TUEL, che nella versione (pre)vigente rinviava ad un decreto del Ministro dell'interno la disciplina dell'ambito di applicazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 4 anche con riferimento alle definizioni relative alla incolumità pubblica e alla sicurezza urbana. (art. 8, co. 1, lett. b)).

 

Si ricorda che in attuazione della disposizione modificata è stato emanato il citato DM 5 agosto 2008.

 

La nuova formulazione circoscrive, dunque, anche alla luce della richiamata giurispridenza costituzionale, a livello di norma primaria, le ipotesi in cui il sindaco può adottare ordinanze contingibili ed urgenti in materia di incolumità pubblica e sicurezza urbana, in qualità di ufficiale del Governo, ai sensi dell’art. 54, co. 4, TUEL, stabilendo che tali provvedimenti devono essere diretti a prevenire e contrastare le situazioni che:

·        favoriscono l'insorgere di fenomeni criminosi o di illegalità, quali lo spaccio di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, l'accattonaggio con impiego di minori e disabili;

·        ovvero riguardano fenomeni di abusivismo, quale l'illecita occupazione di spazi pubblici, o di violenza, anche legati all'abuso di alcool o all'uso di sostanze stupefacenti.

 

Come già detto, tali previsioni riprendono – con atto normativo primario - il testo del citato DM 5 agosto 2008, con il quale fino ad oggi in capo al sindaco era riconosciuto il potere di intervenire, tra l’altro, per prevenire e contrastare le situazioni urbane di degrado o di isolamento che favoriscono l'insorgere di fenomeni criminosi, quali lo spaccio di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, l'accattonaggio con impiego di minori e disabili e i fenomeni di violenza legati anche all'abuso di alcool, nonché le situazioni che alterano il decoro urbano, in particolare quelle di abusivismo commerciale e di illecita occupazione di suolo pubblico (art. 2, lett. a) e d)).

 

In tale contesto, secondo la relazione illustrativa, la nuova formulazione del comma 4-bis servirebbe a ricondurre il potere di ordinanza extra ordinem del sindaco in qualità di ufficiale del Governo “a situazioni che, per la loro natura o il loro contesto, sono considerate più contigue all’esigenza di tutela della sicurezza primaria”.

 

I poteri di ordinanza del sindaco in materia di sicurezza

In materia di sicurezza, l’articolo 54, co. 4, TUEL (come modificato dall’art. 6 del  decreto legge 92/2008, che ha rafforzato i poteri del sindaco in materia) attribuisce ai sindaci il potere di adottare con atto motivato ordinanze contingibili e urgenti nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana. Tali attribuzioni sono esercitate dal sindaco in qualità di ufficiale di governo, ossia di organo del decentramento statale che ha nei confronti del prefetto un vero e proprio obbligo di informazione preventiva in ordine all’attivazione dei poteri di sovrintendenza alla vigilanza su tutto quanto possa interessare la sicurezza e l’ordine pubblico e del Ministro dell’interno. In particolare, ai sensi dei commi 9 e 11 dello stesso articolo, il prefetto dispone anche di poteri di vigilanza e sostitutivi nei confronti del sindaco, per verificare il regolare svolgimento dei compiti a quest’ultimo affidati e per rimediare alla sua eventuale inerzia.

Nella versione introdotta dal DL 92/2008, l’art. 54, co. 4, prevedeva che il sindaco potesse adottare per i fini prima indicati sia ordinanze normali o ordinarie, sia ordinanze extra ordinem. Successivamente, la Corte costituzionale ha ritenuto incostituzionale la previsione, accanto al potere di adottare ordinanze contingibili ed urgenti, di un potere "ordinario" di intervento in materia di incolumità pubblica e sicurezza urbana sottoposto al solo rispetto dei principi generali dell'ordinamento, per contrasto con gli articoli 3, 23 e 97, primo comma, Cost. (su cui, si v. infra).

L’art. 54, co. 4-bis del TUEL rinvia ad un decreto ministeriale l’ambito di applicazione del potere di ordinanza previsto dal comma 4, ivi incluse le definizioni di incolumità pubblica e sicurezza urbana. In attuazione di tale disposizione, il decreto del Ministro dell’interno del 5 agosto 2008 ha specificato che l’incolumità pubblica riguarda l’integrità fisica della popolazione mentre la sicurezza urbana costituisce “un bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa, nell'ambito delle comunità locali, del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale”. Il medesimo decreto ha altresì individuato l’ambito di applicazione oggettivo dei poteri di ordinanza, individuando in  concreto i gravi pericoli per l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana che legittimano l’intervento del sindaco (art. 2), ossia:

a) le situazioni urbane di degrado o di isolamento che favoriscono l'insorgere di fenomeni criminosi, quali lo spaccio di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, l'accattonaggio con impiego di minori e disabili e i fenomeni di violenza legati anche all'abuso di alcool;

b) le situazioni in cui si verificano comportamenti quali il danneggiamento al patrimonio pubblico e privato o che ne impediscono la fruibilità e determinano lo scadimento della qualità urbana;

c) l'incuria, il degrado e l'occupazione abusiva di immobili tali da favorire le situazioni indicate ai punti a) e b);

d) le situazioni che costituiscono intralcio alla pubblica viabilità o che alterano il decoro urbano, in particolare quelle di abusivismo commerciale e di illecita occupazione di suolo pubblico;

e) i comportamenti che, come la prostituzione su strada o l'accattonaggio molesto, possono offendere la pubblica decenza anche per le modalità con cui si manifestano, ovvero turbano gravemente il libero utilizzo degli spazi pubblici o la fruizione cui sono destinati o che rendono difficoltoso o pericoloso l'accesso ad essi.


 

Articoli 9 e 10
(Misure a tutela del decoro di particolari luoghi - Divieto di accesso)

 

Il capo II del decreto-legge (artt. 9-18) interviene in materia di sicurezza e decoro urbano delle città.

 

L’articolo 9 prevede la contestuale irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 300 euro e di un ordine di allontanamento (dal luogo della condotta illecita) nei confronti di chiunque, in violazione dei divieti di stazionamento o di occupazione di spazi “ivi previsti”, limita la libera accessibilità e fruizione di infrastrutture (fisse e mobili) ferroviarie, aeroportuali marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano, e delle relative pertinenze (comma 1).

Nella relazione illustrativa si evidenzia che i suddetti comportamenti, pur non integrando necessariamente violazioni di legge, compromettono la fruibilità di particolari luoghi, rendendone difficoltoso il libero utilizzo e la normale e sicura fruizione degli spazi pubblici, con profili di rischio anche per la sicurezza relativamente ad alcuni ambiti a vario titolo legati ad una rilevante mobilità.

 

La norma non specifica il fondamento delle previsioni recanti i divieti di stazionamento o di occupazione di spazi nelle richiamate infrastrutture, facendo genericamente riferimento a divieti “ivi previsti”.

 

La competenza all’adozione dei provvedimenti è del sindaco del comune interessato e i proventi delle sanzioni sono destinate ad interventi di recupero del degrado urbano (comma 4).

 

Sostanzialmente, l’ordine di allontanamento imposto dal sindaco, quale autorità locale di pubblica sicurezza, sembra configurare una forma di mini-Daspo.

 Si ricorda che il Daspo di cui alla legge 401/1989 per le manifestazioni sportive è adottato dal questore (l’autorità provinciale di PS) e, solo nel caso di obbligo di firma, vi è un controllo del giudice (vedi ultra, art. 10).

 

L’art. 9 fa salve le eventuali previsioni vigenti a tutela delle aree interne delle citate infrastrutture.

La relazione illustrativa del disegno di legge di conversione precisa che per infrastrutture fisse e mobili “si intende il complesso di opere secondarie e complementari alla struttura di base, necessarie affinché quest’ultima possa funzionare (ad esempio, del servizio metropolitano è considerata infrastruttura non solo la rete dei binari ma anche i vagoni dei convogli, mentre la stazione e le vie di accesso rientrano nel concetto di pertinenza)”.

Nell’ambito applicativo dell’art. 9 e sulla base dello stesso fondamento normativo, rientrano – come afferma la citata relazione -  anche condotte come la “prostituzione con modalità ostentate” o “l’accattonaggio con modalità vessatorie o simulando deformità o malattie o attraverso il ricorso a mezzi fraudolenti” che, in senso più ampio, limitano o comunque recano disturbo alla libera fruizione di tali spazi da parte dei cittadini.

Per quanto riguarda la prostituzione in luoghi pubblici le modalità di esercizio possono avere eventuale rilievo penale in caso di atti osceni (art. 527 c.p.). Va ricordato come numerose ordinanze adottate ex art. 54 TUEL da diversi sindaci sul territorio ne hanno impedito l’esercizio in determinate zone delle città e per periodi limitati sia per la compressione della libertà di movimento che della legittima aspettativa di tranquillità delle persone.

Il DM 5 agosto 2008, adottato per l’esplicita previsione dell’articolo 4-bis della legge sopracitata, all’art. 2 prevede che il Sindaco interviene per prevenire e contrastare, tra gli altri, (lett.e) “comportamenti che, come la prostituzione su strada, possono offendere la pubblica decenza anche per le modalità con cui si manifestano, ovvero turbano gravemente il libero utilizzo degli spazi pubblici o la fruizione cui sono destinati o che rendono difficoltoso o pericoloso l’accesso ad essi”. Si tratta di ordinanze che fanno spesso riferimento all’assunzione di atteggiamenti di richiamo, di invito, di saluto allusivo ovvero nel mantenere abbigliamento indecoroso o indecente in relazione al luogo ovvero nel mostrare nudità, ingenerando la convinzione di esercitare la prostituzione.

Per quanto riguarda l’accattonaggio, non avendo più rilievo penale autonomo, a configurare il reato possono essere le modalità con le quali ciò avviene. Ad esempio, sfruttare anziani o disabili per far loro chiedere l'elemosina può configurare il reato di riduzione o mantenimento in schiavitù (articolo 600 c.p.) come è reato l’uso di minori nell’accattonaggio (art. 600-octies c.p.). Analogamente, chiedere in maniera insistente e invasiva dei soldi può integrare il reato di violenza privata (articolo 610 c.p.) mentre utilizzare animali può costituire in talune circostanze una forma di maltrattamento (articolo 544-ter c.p.).

 

 

Il comma 2 sanziona con la misura dell’allontanamento anche chi – negli spazi indicati dall’articolo 1.

-        viene trovato in stato di ubriachezza;

-        compie atti contrari alla pubblica decenza;

-        esercita il commercio abusivo.

La misura si aggiunge quindi alle sanzioni amministrative già previste dall’ordinamento (art. 688 e 726 c.p.; art. 29, D.Lgs. 114/1998).

L’art. 688 c.p. punisce con la sanzione amministrativa pecuniaria da 51 a 309 euro chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, è colto in stato di manifesta ubriachezza. La pena è dell'arresto da tre a sei mesi se il fatto è commesso da chi ha già riportato una condanna per delitto non colposo contro la vita o l'incolumità individuale. La pena è aumentata (fino a un terzo) se l'ubriachezza è abituale.

Gli atti contrari alla pubblica decenza (art. 726 c.p) compiuti in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 10.000 euro.

L’art. 29 del D.Lgs. 114/1998 punisce con il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 2.582 a 15.493 euro e con la confisca delle attrezzature e della merce chiunque eserciti il commercio sulle aree pubbliche senza la prescritta autorizzazione o fuori dal territorio previsto dalla autorizzazione stessa, nonché senza l'autorizzazione o il permesso di cui all’art. 28, commi 9 e 10 (per il commercio nelle aree demaniali marittime, sulle aree pubbliche negli aeroporti, nelle stazioni e nelle autostrade).

 

Si ricorda che l’art. 10 consente al questore di individuare le modalità applicative del divieto compatibili con le esigenze di mobilità, salute e lavoro del destinatario dell'atto. Andrebbe valutata l’opportunità di prevedere un’analoga previsione anche rispetto all’ordine di allontanamento previsto dall’art. 9, commi 1 e 2.

 

Il comma 3 prevede - tramite lo strumento dei regolamenti di polizia urbana - l’ampliamento dell’ambito di applicazione delle misure previste dall’art. 1 ad aree urbane dove si trovino musei, ad aree monumentali e archeologiche o ad altri luoghi di cultura interessati da consistenti flussi turistici ovvero adibito a verde pubblico.

Anche in tal caso, viene precisato che restano ferme le disposizioni vigenti in materia - contenute nei decreti legislativi nn. 42/2004 e 222/2016 - volte a regolamentare le attività commerciali in tali aree.

L’art. 52, comma 1-ter, del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 42/2004) prevede che il Ministero dei beni culturali, d'intesa con la regione e i Comuni - per assicurare il decoro dei complessi monumentali e degli altri immobili del demanio culturale interessati da flussi turistici particolarmente rilevanti, nonché delle aree a essi contermini - adottano apposite determinazioni volte a vietare gli usi da ritenere non compatibili con le specifiche esigenze di tutela e di valorizzazione, comprese le forme di uso pubblico non soggette a concessione di uso individuale, quali le attività ambulanti senza posteggio, nonché, ove se ne riscontri la necessità, l'uso individuale delle aree pubbliche di pregio a seguito del rilascio di concessioni di posteggio o di occupazione di suolo pubblico. Per le stesse finalità, l’art. 1, comma 4, del D.Lgs. 222/2016 stabilisce che il comune, d'intesa con la regione, sentito il competente soprintendente del Ministero dei beni culturali, può adottare deliberazioni volte a delimitare, sentite le associazioni di categoria, zone o aree aventi particolare valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico in cui è vietato o subordinato ad autorizzazione l'esercizio di una o più attività commerciali, in quanto non compatibile con le esigenze di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale.

 

L’ordine di allontanamento, che ha una durata di quarantotto ore, sembra configurarsi come una misura di prevenzione.

 

Si ricorda che nell’ordinamento il riferimento alle misure di sicurezza in senso stretto è, di norma, riconducibile ai provvedimenti disposti dal giudice post delictum mentre le misure di prevenzione sono quelle disposte ante o praeter delictum: la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 177 del 1980) le ha qualificate, in talune occasioni, come due species di un unico genus aventi come presupposto comune, per la loro irrogazione, quello della pericolosità sociale (sentenza n. 27 del 1957); in altre occasioni, la Corte ha evidenziato la non comparabilità delle rispettive discipline (n. 321 del 2004).

Riguardo alle misure di prevenzione la Corte ne ha in particolare individuato il fondamento nell’esigenza di prevenzione e sicurezza sociale al fine di garantire l’ordinato e pacifico svolgimento dei rapporti tra i cittadini (ex multis sentenze n. 11 del 1956, n. 309 del 2003).

 

Con la sentenza n. 13 del 1972 la Corte costituzionale, nel dichiarare non fondata, in riferimento all'art. 13 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 15 del TULPS (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) sulla misura dell’accompagnamento coattivo, ha evidenziato come “nessun rilievo nel caso di specie può essere attribuito alla circostanza che per l'ordine di accompagnamento la norma non abbia previsto la procedura di convalida […]. É evidente che tale procedura é necessaria solo quando si tratti di provvedimenti che danno luogo a restrizione duratura della libertà. In ogni caso l'interessato, sia pure a posteriori, potrà sempre provocare, coi normali rimedi giurisdizionali, una verifica, da parte dell'autorità giudiziaria, della legittimità del provvedimento adottato dall'autorità di p.s.: ed in ciò risiede la garanzia contro ogni abuso del potere a questa conferito”.

 

Rispetto a quanto stabilito dall’art. 16 Cost. – che consente alla legge di stabilire in via generale per motivi di sanità o di sicurezza limitazioni alla libertà di circolazione e soggiorno nel territorio nazionale - la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto, nel tempo, tale riserva di legge relativa (ammettendo la possibilità per una norma secondaria di specificarne il contenuto), ritenendo altresì ammissibili previsioni legislative che contemplino poteri di ordinanza per fronteggiare situazioni generali di pericolo. I provvedimenti restrittivi devono comunque essere motivati e non basati su ragioni generiche (sentenze n. 2 del 1956 e n, 23 del 1964).

 

Viene dunque riconosciuto al sindaco il potere di adottare una misura di prevenzione, sia pure temporalmente molto limitata. Attualmente, le misure di prevenzione sono adottate dall’autorità giudiziaria o dal questore.

Nel silenzio della norma, il potere sembrerebbe esercitato dal sindaco in qualità di ufficiale del Governo nello svolgimento delle funzioni di pubblica sicurezza.

 

L’applicazione della misura consegue dunque automaticamente alla commissione di illeciti amministrativi.

La Corte costituzionale ha più volte dichiarato l’illegittimità costituzionale di presunzioni assolute di pericolosità sociale: così con riferimento alle misure di sicurezza (sentenze n. 1/1971, n. 139/1982, n. 249/1983, n. 1102/1988), in materia di preclusione all’accesso a misure alternative alla detenzione (sentenza n. 78/2007) e di effetti penali della condanna (n. 78/2007).

 

L’articolo 10 del decreto detta le modalità esecutive della misura dell’allontanamento dalle aree relative alle infrastrutture di trasporto e dalle loro pertinenze, come indicate dall’articolo 9.

Nello specifico si stabilisce (comma 1):

-        che l’ordine di allontanamento, in forma scritta, è rivolto al trasgressore dall’organo che accerta la le condotte illecite;

-        la validità temporale della misura inibitoria (48 ore dall’accertamento del fatto);

-        che la violazione dell’ordine comporta il raddoppio della sanzione amministrativa pecuniaria originaria (cioè quella prevista dall’art. 9, comma 1);

-        la trasmissione del provvedimento al questore competente nonché, ove necessario, alle competenti autorità sociosanitarie locali.

Si osserva che, diversamente da come riportato nella relazione illustrativa, non si prevede un obbligo di motivazione del provvedimento. Potrebbe, inoltre, essere opportuno prevederne espressamente la materiale consegna al trasgressore.

Analogie con l’allontanamento possono essere rinvenute con la misura del foglio di via, disciplinato dal Codice antimafia (art. 2), secondo il quale persone ritenute pericolose per la sicurezza pubblica, che si trovino fuori dei luoghi di residenza, possono esservi rimandate inibendo loro, senza preventiva autorizzazione ovvero per un periodo non superiore a tre anni, di ritornare nel comune dal quale sono allontanate.

 

La recidiva nelle condotte illecite di cui all’art. 9 (limitazione della libera accessibilità delle infrastrutture di trasporto, ubriachezza, commercio abusivo) - ove ne derivi un pericolo per la sicurezza – comporta la possibile adozione di un divieto di accesso ad una o più delle aree espressamente indicate per un massimo di sei mesi; il provvedimento, adeguatamente motivato, è adottato dal questore e ne individua le più opportune modalità esecutive compatibili con le esigenze di mobilità, salute e lavoro del trasgressore (comma 2).

Tale ultima misura è modellata sul citato DASPO nelle manifestazioni sportive di cui all’art. 6 della legge 401 del 1989 (come evidenziato nella stessa relazione illustrativa del Governo).

Va osservato che la fattispecie prevista dall’art. 10, comma 2, non presuppone tuttavia alcuna condanna penale né la presentazione di una denuncia (per i casi di ubriachezza, commercio abusivo, atti contrari alla pubblica decenza) .

 

Il DASPO (acronimo che significa divieto di accesso alle manifestazioni sportive) è considerato una misura amministrativa e non penale, anche se fondata quasi sempre su un’informativa di reato all’autorità giudiziaria da parte delle forze dell’ordine.

La misura può essere emessa:

a) nei confronti delle persone che risultano denunciate o condannate, anche con sentenza non definitiva, nel corso degli ultimi 5 anni per uno dei seguenti reati: porto d’armi od oggetti atti ad offendere; uso di caschi protettivi od altro mezzo idoneo a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona; esposizione o introduzione di simboli o emblemi discriminatori o razzisti; lancio di oggetti idonei a recare offesa alla persona, indebito superamento di recinzioni o separazioni dell’impianto sportivo, invasione di terreno di gioco e possesso di artifizi pirotecnici).

b) nei confronti di chi abbia preso parte attiva ad episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive o che abbia, nelle medesime circostanze, incitato, inneggiato, o indotto alla violenza.

Il Daspo viene emesso dal questore o dall’AG (con la sentenza di condanna per i reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, come sopra specificati) e la sua durata può variare da uno a cinque anni, nel primo caso, o da due a otto anni, se emesso dall’AG. Il provvedimento può prevedere come prescrizione ulteriore l’obbligo di presentazione in un ufficio o comando di polizia durante lo svolgimento di manifestazioni specificatamente indicate. Tale prescrizione, comportando una limitazione della libertà personale dell’interessato, è sottoposta alla procedura di convalida del provvedimento stesso davanti al GIP competente, sulla base del luogo dove ha sede l’ufficio del questore che ha emesso il provvedimento.

 

Una durata maggiore del divieto di accesso (da sei mesi a due anni) è prevista dal comma 3 quando le condotte vietate sono commesse da un condannato negli ultimi cinque anni, con conferma della sentenza almeno in secondo grado, per reati contro la persona e il patrimonio.

Viene quindi previsto - direttamente dalla legge - un aumento della durata del divieto nei confronti dei soggetti già condannati.

 

Se l’interessato è un minore va data notizia della misura alla procura presso il tribunale dei minorenni.

Il comma 4 prevede l’applicazione, ove compatibile, della disciplina del DASPO di cui all’art. 6 della legge 401/1989 in materia di notifica del provvedimento (comma 2-bis), obbligo di presentazione agli uffici di polizia (comma 3) e ricorribilità in cassazione (comma 4). Ne consegue, in particolare, anche per la maggiore invasività della misura inibitoria, il controllo dell’autorità giudiziaria ai fini della convalida

Il comma 2-bis prevede che la notifica deve contenere l'avviso che l'interessato ha facoltà di presentare, personalmente o a mezzo di difensore, memorie o deduzioni al giudice competente per la convalida del provvedimento. Il comma 3 stabilisce che l’obbligo di presentazione alla polizia ha effetto a decorrere dalla prima manifestazione successiva alla notifica all'interessato ed è immediatamente comunicata al procuratore della Repubblica presso il tribunale (o al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, se l'interessato è persona minore di età), competenti con riferimento al luogo in cui ha sede l'ufficio di questura. Il pubblico ministero, se ritiene che sussistano i presupposti, entro quarantotto ore dalla notifica del provvedimento ne chiede la convalida al GIP. Le prescrizioni imposte cessano di avere efficacia se il PM con decreto motivato non avanza la richiesta di convalida entro il termine predetto e se il giudice non dispone la convalida nelle quarantotto ore successive. Nel giudizio di convalida, il giudice per le indagini preliminari può modificare le prescrizioni inerenti l’obbligo di presentazione.

Il comma 4 prevede che contro l'ordinanza di convalida del GIP è proponibile il ricorso per Cassazione. Il ricorso non sospende l'esecuzione dell'ordinanza.

 

L’art. 10 prevede, inoltre, la possibilità che la concessione della sospensione condizionale della pena - in caso di condanna per reati contro la persona o il patrimonio commessi nelle aree ferroviarie, aeroportuali, marittime e del trasporto pubblico locale - sia subordinata all’imposizione del divieto di accedere nei luoghi e aree pubbliche specificamente individuate (comma 5).

Si valuti sul punto, per ragioni sistematiche, la necessità di un coordinamento con il contenuto dell’art. 165 del codice penale.

Art. 165 c.p.(Obblighi del condannato)

La sospensione condizionale della pena può essere subordinata all'adempimento dell'obbligo delle restituzioni, al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno o provvisoriamente assegnata sull'ammontare di esso e alla pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno; può altresì essere subordinata, salvo che la legge disponga altrimenti, all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero, se il condannato non si oppone, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna.

La sospensione condizionale della pena, quando è concessa a persona che ne ha già usufruito, deve essere subordinata all'adempimento di uno degli obblighi previsti nel comma precedente.

La disposizione del secondo comma non si applica qualora la sospensione condizionale della pena sia stata concessa ai sensi del quarto comma dell'articolo 163.

Nei casi di condanna per i reati previsti dagli articoli 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320 e 322-bis, la sospensione condizionale della pena è comunque subordinata al pagamento di una somma equivalente al profitto del reato ovvero all'ammontare di quanto indebitamente percepito dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di un pubblico servizio, a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell'amministrazione lesa dalla condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio, ovvero, nel caso di cui all'articolo 319-ter, in favore dell'amministrazione della giustizia, fermo restando il diritto all'ulteriore eventuale risarcimento del danno.

Il giudice nella sentenza stabilisce il termine entro il quale gli obblighi devono essere adempiuti.

 

Infine, viene demandata ad un DM Interno la determinazione, a risorse immutate, dei criteri generali per il rafforzamento della cooperazione tra le forze dell’ordine (Polizia, carabinieri e guardia di finanza) e i corpi di polizia municipale (comma 6).

 


 

Articolo 11
(Disposizioni in materia di occupazioni arbitrarie di immobili)

 

L’articolo 11 interviene in materia di occupazione arbitrarie di immobili.

Il fenomeno, fonte di forti tensioni sociali e di situazioni di illegalità, è particolarmente esteso nelle grandi città. La relazione al disegno di legge di conversione riporta che solo nel territorio di Roma Capitale vi sono i più di 100 immobili abusivamente occupati.

 

La tutela giudiziale in favore del proprietario di un immobile occupato abusivamente può essere sia penale che civile. In sede penale, a seguito della denuncia alla competente Procura della Repubblica, sono ipotizzabili diverse fattispecie di reato con particolare riferimento alla invasione di terreni od edifici (articolo 633 c.p.), punita con la reclusione fino a due anni o con la multa da 103 a 1.032 euro. Ulteriori fattispecie contestabili sono funzionalmente collegate all’occupazione abusiva: la violazione di domicilio (articolo 614 c.p.), il danneggiamento (articolo 635 c.p.) e il furto (articoli 624 e 625 c.p.).

In sede civile, il proprietario dell’immobile potrà avvalersi delle cosiddette azioni petitorie. In particolare, con l'azione di rivendicazione (articolo 948 c.c.), il proprietario può rivendicare la cosa da chiunque la possiede o detiene e può proseguire l'esercizio dell'azione anche se costui, dopo la domanda, ha cessato, per fatto proprio, di possedere o detenere la cosa. In tal caso il convenuto è obbligato a recuperarla per l'attore a proprie spese, o, in mancanza, a corrispondergliene il valore, oltre a risarcirgli il danno. L'azione di rivendicazione non si prescrive, salvi gli effetti dell'acquisto della proprietà da parte di altri per usucapione. E' anche possibile tutelarsi in via d’urgenza ricorrendo al giudice per ottenere la reintegra nel possesso (articolo 1168 c.c.). Quest'azione spetta oltre che al proprietario, anche all'usufruttuario o al conduttore in locazione dell'immobile e potrà esser esercitata entro un anno dalla data dell’occupazione abusiva o, nel caso il proprietario non ne abbia avuto notizia, da quando questi ne sia venuto a conoscenza.

 

Nello specifico, l’art. 11 intende meglio definire i percorsi attraverso i quali l’autorità di PS, sentito il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, può mettere a disposizione la forza pubblica per procedere allo sgombero in esecuzione di provvedimenti dell’autorità giudiziaria.

Si dispone, così, che il prefetto debba impartire modalità esecutive dei provvedimenti del giudice sulle occupazioni abusive di immobili: sia per prevenire, in relazione al numero di immobili da sgomberare, possibili turbative all’ordine e alla sicurezza pubblica, sia per assicurare il concorso della forza pubblica alle operazioni di sgombero.

Il comma 2 prevede che l’impiego della forza pubblica per lo sgombero deve tenere conto delle seguenti priorità:

-      situazione dell’ordine e della sicurezza pubblica nei territori interessati;

-      rischi per l’incolumità e la salute pubblica;

-      diritti dei proprietari degli immobili;

-      i livelli assistenziali che regioni ed enti locali possono assicurare agli aventi diritto.

Viene precisato dal comma 4 che l’eventuale annullamento del provvedimento del prefetto da parte del giudice amministrativo può comportare - escluso il caso di dolo o colpa grave – soltanto il risarcimento in forma specifica che, nel caso di specie, consiste nell’obbligo dell’amministrazione di attivarsi per far cessare l’occupazione abusiva.

 


Articolo 12
(Disposizioni in materia di pubblici esercizi)

 

 

L’articolo 12, al comma 1, stabilisce che nelle ipotesi di reiterata inosservanza delle ordinanze emanate ai sensi dell'articolo 50, commi 5 e 7, del TUEL, come modificati dal decreto[1], in materia di orari di vendita e di somministrazione di bevande alcoliche, il questore può disporre la sospensione dell’attività per un massimo di quindici giorni.

 

La disposizione richiama al riguardo l'articolo 100 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, recante il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, che affida in generale al questore il potere di sospendere la licenza di un esercizio nel quale siano avvenuti tumulti o gravi disordini, o che sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o che, comunque, costituisca un pericolo per l'ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini. Qualora si ripetano i fatti che hanno determinata la sospensione, la licenza può essere revocata. L’art. 9 della L. n. 287/1991 ha ribadito tale prerogativa, prevedendo che la sospensione del titolo autorizzatorio prevista dall'art. 100 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 citato non può avere durata superiore a quindici giorni e facendo salva la facoltà di disporre la sospensione per una durata maggiore, quando ciò sia necessario per particolari esigenze di ordine e sicurezza pubblica specificamente motivate.

 

Il comma 2, con una novella all'articolo 14-ter, comma 2, della legge 30 marzo 2001, n. 125, estende la sanzione amministrativa pecuniaria prevista dalla disposizione citata in caso di vendita di bevande alcoliche ai minori di anni diciotto anche alle ipotesi di loro somministrazione.

In base alla disciplina vigente, salvo che il fatto non costituisca reato, si applica una sanzione da 250 a 1.000 euro. Se il fatto è commesso più di una volta si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 2.000 euro con la sospensione dell'attività per tre mesi.

 

La relazione illustrativa del provvedimento sottolinea come le misure che s’intende introdurre siano tese “a limitare il fenomeno dell’abuso delle sostanze alcoliche, soprattutto da parte dei giovani, che può determinare, in aree della città interessate da aggregazione notturna, episodi ricorrenti connotati da condotte violente contro il patrimonio o la persona o di particolare gravità per la sicurezza urbana”.

 

L'attività di somministrazione di alimenti e bevande è disciplinata dalla legge n. 287/1991, così come modificata dal D. Lgs. n. 59/2010 e successive modificazioni, che all’art. 1, comma 1, dispone che per somministrazione si intende la vendita per il consumo sul posto che si esplicita in tutti i casi in cui gli acquirenti consumano i prodotti nei locali dell'esercizio o in una superficie aperta al pubblico, all'uopo attrezzati.

Ciò che caratterizza la somministrazione è, quindi, l’esistenza di strutture logistiche atte a consentire l’assunzione e il consumo in loco di alimenti e bevande, caratteristica questa assente nel caso di esercizi deputati alla mera vendita dei suddetti prodotti. In tali esercizi, infatti, l’attività caratterizzante è quella di vendita/acquisto di alimenti e bevande, mentre è del tutto indifferente che l'acquirente, di sua iniziativa, consumi i prodotti acquistati immediatamente o in prossimità dei locali di vendita o produzione.

 

L'art. 71, co. 6,del D.Lgs n. 59/2010, come modificato dall'art. 8 del D.Lgs n. 147/2012, prevede che l'esercizio, in qualsiasi forma e limitatamente all'alimentazione umana, di un'attività di commercio al dettaglio relativa al settore merceologico alimentare o di un'attività di somministrazione di alimenti e bevande è consentito a chi è in possesso di uno dei requisiti professionali e dei titoli descritti nella norma medesima.

Si ricorda inoltre che l'articolo 64, del D.Lgs. n. 59/2010, come modificato dall'articolo 2, comma 2, del D.Lgs. n. 147/2012, prevede che l'apertura o il trasferimento di sede degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande al pubblico, sono soggetti ad autorizzazione rilasciata dal comune competente per territorio solo nelle zone soggette a tutela. In tutti gli altri casi è prevista la segnalazione certificata di inizio di attività da presentare allo sportello unico per le attività produttive del comune competente per territorio, ai sensi dell'art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.

Il medesimo art. 64, al comma 2, subordina alla segnalazione certificata di inizio di attività ai sensi dell'art. 19 della L. n. 241/1990 anche l'attività di somministrazione di alimenti e bevande riservata a particolari soggetti, di cui all’art. 3, co. 6, della L. n. 287/1991. Si tratta delle attività svolte, tra l’altro: al domicilio del consumatore; negli esercizi annessi ad alberghi, pensioni, locande o ad altri complessi ricettivi, limitatamente alle prestazioni rese agli alloggiati; negli esercizi posti nelle aree di servizio delle autostrade e nell'interno di stazioni ferroviarie, aeroportuali e marittime; nelle mense aziendali e negli spacci annessi ai circoli cooperativi e degli enti a carattere nazionale le cui finalità assistenziali sono riconosciute dal Ministero dell'interno; nelle scuole; negli ospedali; nelle comunità religiose; in stabilimenti militari delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco; nei mezzi di trasporto pubblico.

Il citato art. 64, al comma 3, prevede infine che, con riguardo alle zone soggette a tutela, i comuni adottano provvedimenti di programmazione delle aperture degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande al pubblico. Tale programmazione può prevedere, sulla base di parametri oggettivi e indici di qualità del servizio, divieti o limitazioni all'apertura di nuove strutture limitatamente ai casi in cui ragioni non altrimenti risolvibili di sostenibilità ambientale, sociale e di viabilità rendano impossibile consentire ulteriori flussi di pubblico nella zona senza incidere in modo gravemente negativo sui meccanismi di controllo in particolare per il consumo di alcolici, e senza ledere il diritto dei residenti alla vivibilità del territorio e alla normale mobilità.

 


Articolo 13

(Ulteriori misure di contrasto dello spaccio di sostanze stupefacenti all'interno o in prossimita' di locali pubblici, aperti al pubblico e di pubblici esercizi)

 

 

L’articolo 13 prevede ulteriori misure inibitorie temporanee di competenza del questore finalizzate alla prevenzione dello spaccio di stupefacenti in locali pubblici o aperti al pubblico.

Il questore potrà, infatti, disporre per motivi di sicurezza - nei confronti di soggetti condannati definitivamente o con sentenza confermata in appello nell’ultimo triennio per reati di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 73, DPR 309/1990) - il divieto di accesso nei locali pubblici (o aperti al pubblico) o nei pubblici esercizi in cui sono stati commessi gli illeciti. Tale divieto – di durata tra uno e cinque anni - può riguardare anche lo stazionamento nelle immediate vicinanze degli stessi locali (commi 1 e 2).

 

Si ricorda come, in relazione alla disciplina del Daspo, che può essere emesso non necessariamente dopo una condanna penale, la Corte costituzionale (sentenza n. 512/2002) ha inquadrato la misura del Daspo tra quelle di prevenzione, che possono quindi essere inflitte indipendentemente dalla commissione di un reato accertato definitivamente.

 

Ulteriori misure, di durata massima di due anni – mutuate dalla disciplina del Daspo - saranno adottabili nei confronti dei condannati con sentenza definitiva negli ultimi tre anni per i reati previsti dal citato TU stupefacenti:

-        obbligo di presentazione presso gli uffici di polizia o dei carabinieri;

-        obbligo di rientro nella propria abitazione entro una determinata ora e di non uscirne prima di altra ora prefissata;

-        divieto di allontanarsi dal comune di residenza (misura analoga all’obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale, previsto dall’art. 6, comma 3, del Codice antimafia che, tuttavia, è di competenza dell’autorità giudiziaria);

-        obbligo di presentazione alla polizia negli orari di entrata ed uscita degli istituti scolastici.

 

Tali ulteriori misure potranno essere irrogate da questore, singolarmente o cumulativamente.

Anche tali misure si fa rinvio alla possibile applicazione di alcune delle disposizioni sul Daspo, di cui all’art. 6, commi 2-bis, 3 e 4, della legge 401/1989 (vedi ante, art. 10, comma 4).

Si osserva che mentre, in forza del citato rinvio sarà necessaria la conferma delle misure di cui al comma 3 da parte del GIP (misure di durata massima biennale), analoga conferma giudiziale non è prevista dal comma 1 per il divieto di accesso ai locali pubblici o aperti al pubblico, teoricamente anche di durata quinquennale.

I divieti e le misure dettate dall’art. 13 sono adottabili anche nei confronti di minori ultraquattordicenni (comma 5) con notifica del provvedimento ai genitori o a chi esercita la relativa potestà.

La disposizione riprende quella, identica, in vigore per il Daspo nelle manifestazioni sportive, dettata dalla legge 401/1989 (art. 6, comma 1-bis; il divieto di allontanamento dal comune di residenza ha effetti analoghi a quelli del citato foglio di via obbligatorio, applicabile anche ai minorenni).

 

Il comma 6 punisce con la sanzione pecuniaria amministrativa da 10.000 a 40.000 euro e la sospensione della patente (da sei mesi a un anno) la violazione delle misure adottate dal questore previste dai commi 1 e 3. Spetta al prefetto adottare i relativi provvedimenti.

Secondo quanto indicato dalla relazione illustrativa, la clausola di salvezza introdotta al comma 6 (“salvo che il fatto costituisca reato”) sarebbe diretta a evitare il ne bis in idem e a consentire l’applicazione del principio di specialità, dato che l’illecito potrebbe ricadere nell’ambito di applicazione dell’art. 650 c.p. che sanziona con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a euro 206 l’inosservanza di un provvedimento dell’autorità dato per ragioni di giustizia o sicurezza pubblica.

Si valuti se la clausola di salvaguardia, attribuendo priorità al reato previsto dall’art. 650 c.p. rispetto all’illecito amministrativo introdotto dall’articolo 13 del decreto-legge, determini l’inapplicabilità sostanziale di quest’ultimo.

 

Il comma 7, infine, reca una disposizione analoga a quella del comma 5 dell’art. 9 ovvero la possibilità che la concessione della sospensione condizionale della pena per i reati in materia di stupefacenti di cui al comma 1 sia subordinata alla imposizione del divieto di accesso a locali pubblici o aperti al pubblico specificamente individuati.

 

La Costituzione nulla dispone in materia di misure di prevenzione personali. Ne deriva la difficoltà di individuare norme o principi atti a conferire a tali misure, limitative della libertà personale di cui all’art. 13, una piena legittimazione costituzionale. L’orientamento dottrinario prevalente afferma tuttavia la compatibilità delle misure di prevenzione con la Costituzione. Secondo tale orientamento, la prevenzione dei reati è compito imprescindibile dello Stato, sicché deve essere riconosciuta la doverosità costituzionale di tali misure. Si richiama in proposito l’art. 2 Cost. che, riconoscendo e garantendo i diritti inviolabili dell’uomo, impegnerebbe lo Stato a tutelarli prima che siano offesi. A tale orientamento ha aderito anche la Corte costituzionale, la quale in alcune decisioni ha affermato che il principio di prevenzione e di sicurezza sociale affianca la repressione in ogni ordinamento (Corte cost. sent. 64/1968).

Argomentando in materia di obbligo di soggiorno, la Consulta ha ritenuto tale misura finalizzata alla prevenzione dell’attività criminosa (Corte cost., sent. 309/2003) prevenzione la quale, insieme con la repressione dei reati, costituisce indubbiamente, secondo la Costituzione, un compito primario della pubblica autorità, come riconosciuto da questa Corte già con la sentenza n. 27 del 1959. Secondo la Corte “le misure che la legge, nel rispetto dell’art. 13 della Costituzione, autorizza a prendere per lo svolgimento di questo compito, possono comportare limitazioni direttamente sulla libertà personale e, come nel caso in esame, anche sulla libertà di circolazione e soggiorno del soggetto considerato socialmente pericoloso, ripercuotendosi inevitabilmente su altri diritti del cui esercizio esse costituiscono il presupposto”.

 


 

Articolo 14
(Numero unico europeo 112)

L’articolo 14 detta disposizioni per favorire l’istituzione del numero unico europeo 112 nelle regioni.

A tal fine, consente alle regioni che hanno rispettato gli obiettivi del pareggio di bilancio di bandire, nell’anno successivo, procedure concorsuali finalizzate all’assunzione di personale con contratti di lavoro a tempo indeterminato da utilizzare per le attività connesse al numero unico europeo 112 e alle relative centrali operative realizzate in ambito regionale in base ai protocolli d’intesa siglati ai sensi dell’art. 75-bis del Codice delle comunicazioni elettroniche.

 

Si ricorda, in proposito, che il Numero Unico di Emergenza Europeo 112 è stato introdotto nel 1991 (direttiva 91/396/CEE) per mettere a disposizione un numero di emergenza unico per tutti gli Stati membri, in aggiunta ai numeri di emergenza nazionali, e rendere così più accessibili i servizi di emergenza, soprattutto per i viaggiatori. Dal 1998 la normativa dell'UE impone agli Stati membri di garantire che tutti gli utenti di telefonia fissa e mobile possano chiamare gratuitamente il 112. Dal 2003 gli operatori di telecomunicazioni devono fornire ai servizi di emergenza informazioni sulla localizzazione del chiamante per consentire loro di reperire rapidamente le vittime di incidenti. Gli Stati membri hanno inoltre il compito di sensibilizzare i cittadini sull'uso del 112.

Sul numero unico europeo era stata avviata dalla Commissione europea, in data 10 aprile 2006, una procedura di infrazione verso l'Italia (2006/2114), che si è conclusa con la condanna della settima Sezione della Corte di Giustizia Europea per non aver ottemperato alla Direttiva del Codice della Comunicazioni che istituisce il 112 come numero di Emergenza europeo. La condanna giunge nonostante, nel frattempo, il decreto del ministro delle comunicazioni 22 gennaio 2008 avesse stabilito prime misure relative al "Numero unico di emergenza europeo 112". Sulla base di tale decreto, sono stati avviati i primi progetti e la regione Lombardia è riuscita ad attivare i primi call center per il numero 112 su tutto il territorio regionale a partire dal 2011. Sueccessivamente, il Numero Unico Europeo 112 per le emergenze europee con localizzazione è stato attivato nel Lazio (solo per le zone coperte dalla numerazione 06), in Friuli Venezia Giulia, Liguria e nelle Province di Aosta, Cuneo e Torino (fonte: lineamica.gov.it).

Le altre Regioni stanno provvedendo ad infrastrutturare i sistemi telefonici ed informatici delle Centrali 118, dei Carabinieri, della Polizia e dei Vigili del Fuoco, rendendoli tra di loro interoperativi.

Sotto il profilo normativo, per favorire la piena attuazione del numero di emergenza unico europeo, il D.Lgs. n. 70/2012 ha introdotto una disposizione nel Codice delle comunicazioni elettroniche (articolo 75-bis, D.lgs. 259/2003), con la quale ha attribuito al Ministero dell'interno, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, poteri di indirizzo e coordinamento per l'individuazione e l'attuazione delle iniziative volte alla piena realizzazione del numero di emergenza unico europeo, anche attraverso il ricorso ai centri unici di risposta. Per l'esercizio di tali poteri, il Ministro dell'interno si avvale di una commissione consultiva costituita presso il medesimo Ministero e composta dai rappresentanti del Ministero dell'interno, della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le politiche europee, dei Ministeri dell'economia e delle finanze, dello sviluppo economico, della salute e della difesa nonché dai rappresentanti designati dalla Conferenza Stato-Regioni. Per la realizzazione del numero unico possono essere stipulati protocolli d'intesa con le regioni interessate, anche per l'utilizzo di strutture già esistenti.

Da ultimo, la legge 124 del 2015 (art. 8, co. 1, lettera a)) ha previsto l’istituzione del numero unico europeo 112 su tutto il territorio nazionale, con centrali operative da realizzare in ambito regionale secondo modalità stabilite dai protocolli di intesa previsti dal Codice delle comunicazioni elettroniche. E al contempo ha autorizzato la spesa di 10 milioni di euro per il 2015, 20 milioni per il 2016 e 28 milioni annui a decorrere dal 2017 e fino al 2024 (art. 8, co. 3).

 

Per le finalità indicate può essere assunto un contingente massimo commisurato alla popolazione residente in ciascuna regione, determinato in misura pari ad un’unità per trentamila residenti.

A tal fine le regioni possono utilizzare integralmente i risparmi derivanti dalla cessazioni di servizio previste per le annualità 2016, 2017, 2018 e 2019, in deroga alla disciplina delle facoltà assunzionali delle pubbliche amministrazioni di di cui all’art. 1, co. 228, primo periodo, della L. 208/2015 (legge stabilità 2016), in base al quale le regioni e gli enti locali sottoposti al patto di stabilità interno possono, per il triennio 2016-2018, assumere a tempo indeterminato personale di qualifica non dirigenziale nel limite di un contingente di personale corrispondente, per ciascuno dei predetti anni, ad una spesa pari al 25% di quella relativa al medesimo personale cessato nell’anno precedente (percentuale elevata al 75%, dal 2018, per i comuni che rispettano il saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali[2]).


 

Art. 15
(Integrazione della disciplina sulle misure di prevenzione personali)

 

L’articolo 15 modifica la disciplina sulle misure di prevenzione contenuta nel Codice antimafia (D.Lgs. 159 del 2011) coordinandola con le modifiche introdotte dal decreto-legge.

La prima modifica riguarda l’art. 1, lett. c), relativo ai destinatari delle misure di prevenzione personali adottate dal questore

 

Le misure di prevenzione personali nella competenza del questore sono: l’avviso orale e il foglio di via obbligatorio. La lett. c) dell’art. 1 del Codice prevede la possibile adozione delle misure nei confronti delle persone che, per il loro comportamento, debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.

 

Alla lett. c) sono aggiunte agli elementi di fatto sulla cui base sono adottate le misure, le reiterate violazioni del foglio di via obbligatorio e dei divieti di frequentazione di determinati luoghi previsti dalla normativa vigente (comprese, quindi, le ipotesi introdotte dal DL in esame).

 

Una seconda modifica riguarda l’art. 6 del Codice antimafia relativo alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, una delle misure di prevenzione personali adottate dall’autorità giudiziaria (tribunale).

 

Oltre alla sorveglianza speciale, cui può essere in determinati casi aggiunto il divieto di soggiorno (in uno o più comuni, diversi da quelli di residenza o di dimora abituale o in una o più Province), il tribunale può ordinare l’obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale.

 

E’ aggiunto all’art. 6 un comma 3-bis che prevede che, per la tutela della sicurezza pubblica, ai sorvegliati speciali, con il loro consenso e accertata la disponibilità dei dispositivi, possano essere applicati i cd. braccialetti elettronici (o altri strumenti tecnici).

 

Particolari misure di controllo sono previste dall’art. 275-bis c.p.p. Tale disposizione stabilisce che, nel disporre la misura degli arresti domiciliari anche in sostituzione della custodia cautelare in carcere, il giudice, salvo che le ritenga non necessarie in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto, prescrive procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, quando ne abbia accertato la disponibilità da parte della polizia giudiziaria. Con lo stesso provvedimento il giudice prevede l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere qualora l'imputato neghi il consenso all'adozione dei mezzi e strumenti anzidetti

L'imputato accetta i mezzi e gli strumenti di controllo ovvero nega il consenso all'applicazione di essi, con dichiarazione espressa resa all'ufficiale o all'agente incaricato di eseguire l'ordinanza che ha disposto la misura. La dichiarazione è trasmessa al giudice che ha emesso l'ordinanza ed al pubblico ministero, insieme con il verbale previsto dall'articolo 293, comma 1 (il verbale che l’ufficiale o agente di PG deve notificare all’interessato al momento dell’esecuzione della misura e che lo informa dei suoi diritti).

L'imputato che ha accettato l'applicazione su di sé dei citati strumenti di controllo è tenuto ad agevolare le procedure di installazione e ad osservare le altre prescrizioni impostegli.


Articolo 16
(Modifiche all'articolo 639 del codice penale)

 

 

Nell’ambito degli interventi per il decoro urbano, l’articolo 16 integra la formulazione dell’art. 639 del codice penale (Deturpamento e imbrattamento di cose altrui) per combattere, in particolare, il fenomeno dei c.d. writers.

Viene stabilito che, se il reato è commesso su beni immobili, su mezzi di trasporto pubblici o privati o su cose di interesse storico o artistico il giudice (il giudice di pace se l’illecito riguarda beni mobili; il tribunale negli altri casi) può subordinare l’applicazione della sospensione condizionale della pena all’obbligo di ripristino e ripulitura dei luoghi oggetto dell’illecito. Analoga misura è adottata nei confronti dei recidivi per il medesimo reato.

Ove tali operazioni non siano possibili, per la concessione del beneficio può essere disposto dal giudice:

-        l’obbligo di corresponsione delle spese di ripristino e ripulitura o di rimborso di quelle già sostenute; ovvero

-        la prestazione di attività non retribuita a favore della collettività (con il consenso dell’interessato), sulla base delle modalità indicate nella sentenza di condanna, per un periodo determinato comunque non superiore a quello della durata della pena sospesa ex art. 165 del codice penale.

 

L’ambito di applicazione del lavoro di pubblica utilità ha inizialmente riguardato la giurisdizione di pace. Il D.Lgs 274/2000 (art. 33) ha previsto che con la sentenza, in luogo della permanenza domiciliare e su richiesta dell'imputato o dal difensore munito di procura speciale, il giudice può applicare la pena del lavoro di pubblica utilità; la sentenza indica il tipo e la durata del lavoro.

L’esecuzione del lavoro di pubblica utilità è dettata dall’art. 54 del citato D.Lgs. 274; le specifiche modalità di svolgimento sono state determinate dal DM Giustizia 26 marzo 2001.

Il campo di applicazione della sanzione è stato successivamente allargato a numerose e diverse fattispecie penali, che hanno configurato il lavoro di pubblica utilità come una modalità di riparazione del danno collegata all’esecuzione di diverse sanzioni e misure penali, che vengono eseguite nella comunità.

Attualmente trova applicazione anche:

-      nei casi di violazione del Codice della strada, previsti all’art. 186 comma 9-bis e art. 187 comma 8-bis del d.lgs.285/1992;

-      nei casi di violazione della legge sugli stupefacenti, ai sensi dell’art. 73 comma 5 bis del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309;

-      come obbligo dell’imputato in stato di sospensione del processo e messa alla prova, ai sensi dell’art. 168 - bis  del codice penale, introdotto dalla legge 28 aprile 2014 n, 67;

-      congiuntamente alla pena dell’arresto o della reclusione domiciliare, ai sensi  dell’art. 1, comma 1, lett. i) della legge 28 aprile 2014 n, 67,  ancora in attesa della regolamentazione prevista dai decreti legislativi in corso di emanazione;

-      come obbligo del condannato ammesso alla sospensione condizionale della pena, ai sensi dell’art. 165 codice penale e art. 18 - bis delle Disposizioni di coordinamento e transitorie del codice penale


 

Articoli 17 e 18
(Neutralità finanziaria ed entrata in vigore)

L’articolo 17 reca la clausola di neutralità finanziaria del provvedimento e l’articolo 18 dispone in ordine alla entrata in vigore del provvedimento fissata al giorno successivo (21 febbraio 2017) a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 


 

Collegamento con i lavori parlamentari in corso

 

Sono in corso di esame presso la I Commissione della Camera una serie di proposte di legge in materia di sicurezza urbana e polizia locale (A.C. 1529 ed abbinate).

La maggior parte delle proposte ha per oggetto il coordinamento tra Stato e regioni in materia di ordine pubblico e sicurezza e il riordino complessivo della disciplina della polizia locale.

Una delle finalità dell'intervento legislativo consiste nella realizzazione di una politica integrata per la sicurezza, in cui tutti i soggetti istituzionali, comuni, province, città metropolitane, regioni e lo Stato concorrono alla realizzazione di tale politica, ciascuno nell'ambito delle rispettive competenze e sulla base di specifici accordi regolati dalla legge.

Altro obiettivo delle proposte di legge, la riforma della polizia locale, attualmente disciplinata ancora dalla legge quadro del 1986 (L. 65/1986).

 

Sempre alla Camera, è stata costituita una Commissione monocamerale di inchiesta con il compito di verificare lo stato del degrado e il disagio delle città e delle loro periferie, con particolare riguardo alle implicazioni socio-economiche e di sicurezza. La Commissione ha avviato i propri lavori a partire dal mese di novembre 2016.

 


 

Compatibilità con il diritto della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo
(a cura dell’Avvocatura della Camera dei deputati)

Il provvedimento – come si è constatato nei paragrafi precedenti - reca una serie di misure volte a dotare la pubblica autorità, compresa la polizia locale, di poteri funzionali al mantenimento della sicurezza nelle città e del decoro urbano.

Rivestono rilevanza, alla luce del diritto vivente della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), le disposizioni del Capo II.

In particolare, l’articolo 9 prevede una sanzione amministrativa da 100 a 300 euro per “chiunque ponga in essere condotte che limitano la libera accessibilità e fruizione alle infrastrutture, in violazione dei divieti di stazionamento o di occupazione di spazi, ivi previsti”.

L’ultimo periodo dell’articolo 9, comma 1, prevede altresì che in tali casi è ordinato l’allontanamento dal luogo in cui è stato commesso il fatto.

Ai sensi dell’articolo 10, l’ordine di allontanamento è rivolto per iscritto. È poi previsto un meccanismo di progressivo inasprimento delle sanzioni in caso di violazione dell’ordine di allontanamento (tale ordine si configura come una misura di prevenzione, anche alla luce del richiamo contenuto nell’articolo 10, comma 4, alla legge 13 dicembre 1989, n. 401).

Il comma 5 dell’articolo 10 prevede, altresì, che il divieto di accesso a taluni luoghi possa costituire la condizione che il giudice pone per concedere la sospensione condizionale della pena nei casi di condanna per reati contro la persona o contro il patrimonio.

 

Le disposizioni che vengono in rilievo sono gli articoli 5 e 7 della CEDU, nonché l’articolo 2 del Protocollo n. 4.

L’articolo 5 prevede il diritto alla libertà e alla sicurezza delle persone.

La giurisprudenza della Corte europea dei diritti ha più volte stabilito che questo diritto impone agli Stati sottoscrittori obblighi negativi (vale a dire di astenersi dal conculcare il diritto alla libertà e alla sicurezza delle persone). La Corte, invece, è restia a intendere l’articolo 5 come fonte di obblighi positivi, in virtù dei quali lo Stato si dovrebbe adoperare per rendere effettivo il diritto dei cittadini alla libertà e alla sicurezza (vedi Hajduova c. Slovacchia del 2010, nn. 55-56 della sentenza). La Corte ha anche ritenuto che gli Stati sottoscrittori godono di un margine di apprezzamento discrezionale nel perseguire politiche di salute e sicurezza pubblica (Georgel e Georgeta Stoicescu c. Romania del 2011, n. 59 della sentenza).

L’articolo 7 della CEDU prevede il principio di stretta legalità in diritto penale (nullum crimen sine lege). Sotto questa profilo, la condotta ritenuta illecita all’articolo 9 potrebbe non essere considerata compiutamente descritta.

Al riguardo, si rammenta che nel diritto vivente della Corte di Strasburgo il principio del nullum crimen si applica a tutto il diritto lato sensu sanzionatorio e non solo al campo del diritto penale in senso stretto (vedi, indirettamente, Grande Stevens c. Italia, del 2014, nn. 219-222). Pertanto, le condotte ritenute a vario titolo violazioni, infrazioni o reati devono essere ben descritte dal precetto legislativo (vedi, per esempio, Sud Fondi c. Italia, del 2009, nn. 106 e seguenti).

Quanto all’ordine di allontanamento, quale misura di prevenzione, vengono in rilievo sia l’articolo 5, sia l’articolo 2 del Protocollo n. 4, relativo alla libertà di circolazione.

In occasione dell’esame di simili fattispecie, la Corte si è trovata più volte ad affrontare la questione della loro configurabilità come misure privative o limitative della libertà personale.

Secondo la sua giurisprudenza consolidata, l’art. 5, comma 1, non riguarda le semplici restrizioni della libertà personale, che soggiacciono invece all’art. 2 del Prot. n. 4. Per accertare se si sia in presenza di una privazione di libertà occorre esaminare la situazione concreta e prendere in considerazione un insieme di elementi, come il genere, la durata, gli effetti e le modalità di esecuzione della misura impugnata. Tra privazione e limitazione della libertà vi è, infatti, una differenza di grado o di intensità, non di natura o di contenuto (vedi Guzzardi c. Italia, del 1980; Rantsev c. Cipro e Russia, del 2010, Stanev c. Bulgaria [GC], del 2012).

Pertanto, non solo una misura coercitiva, ma anche una misura che limiti fortemente la libertà di circolazione o che sottoponga l’individuo ad un penetrante controllo da parte delle forze dell’ordine può configurarsi come privativa della libertà.

Qualora si riconosca alla misura di volta in volta considerata carattere privativo e non meramente restrittivo della libertà personale, essa dovrà essere conforme all’art. 5 CEDU in ogni sua parte, comprese quindi la necessità di una base legale e di effettivi rimedi giurisdizionali.

 A sua volta, l’art. 2 Prot. n. 4 CEDU ammette misure limitative della libertà di movimento, a condizione che esse siano previste dalla legge e necessarie ad assicurare la tutela degli interessi individuati dalla stessa disposizione al par. 3 (ovvero sicurezza nazionale, pubblica sicurezza, ordine pubblico, prevenzione dei reati, protezione della salute e della morale o protezione dei diritti e libertà altrui).

Nel citato caso Guzzardi c. Italia, la Corte ha riconosciuto carattere privativo alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, alla luce delle reali condizioni di vita cui il ricorrente era stato sottoposto (soggiorno all’Asinara).

Nella causa Raimondo c. Italia del 22 febbraio 1994 – in cui il ricorrente era stato sottoposto alla misura della sorveglianza speciale, con l’obbligo in particolare di non uscire dalla propria abitazione prima delle 7 del mattino e di rincasare entro le ore 21 nonché di presentarsi alla polizia in determinati giorni – la Corte europea ha invece ritenuto che la misura in questione non fosse assimilabile ad una privazione della libertà personale ai sensi dell’art. 5, par. 1 CEDU, ma si risolvesse in una restrizione della libertà di circolazione ai sensi dell’art. 2 del Prot. n. 4.

In materia di misure di prevenzione, vedi anche i casi Labita c. Italia (Grande Camera, 6 aprile 2000), relativa ai presupposti di applicazione; più recentemente, Ostendorf c. Germania (sentenza 7 marzo 2013), relativa all’arresto di un tifoso di calcio, già schedato dalle forze dell’ordine.

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] L’art. 8 del decreto-legge in commento amplia in particolare le ipotesi in cui il sindaco può adottare ordinanze contingibili ed urgenti quale rappresentante della comunità locale, finora limitate dal TUEL al caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale (art. 50, co. 5). Si introduce dunque il potere del sindaco di adottare ordinanze extra ordinem qualora vi sia urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di: grave incuria; degrado del territorio; pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti. La disposizione specifica che con tali ordinanze si può anche intervenire in materia di orari di vendita, anche per asporto, e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche.

[2]     Qualora il rapporto dipendenti-popolazione dell’anno precedente sia inferiore al rapporto medio dipendenti-popolazione per classe demografica degli enti deficitari o dissestati.