Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Introduzione dell'art. 293-bis del codice penale, concernente il reato di propaganda del regime fascista e nazifascista - A.C. 3343 - Elementi per la valutazione degli aspetti di legittimità costituzionale
Riferimenti:
AC N. 3343/XVII     
Serie: Note per la I Commissione affari costituzionali    Numero: 288
Data: 27/06/2017
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni


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Introduzione dell'art. 293-bis del codice penale, concernente il reato di propaganda del regime fascista e nazifascista

27 giugno 2017
Elementi per la valutazione degli aspetti di legittimità costituzionale


Indice

Contenuto|Relazioni allegate o richieste|Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite|Rispetto degli altri princìpi costituzionali|


Contenuto

L'articolo unico del nuovo testo della proposta di legge C. 3343 introduce nel codice penale una nuova disposizione che punisce la propaganda del regime fascista e nazifascista. 

Il quadro normativoI reati sintomo dell'adesione alle idee proprie del  fascismo sono, in particolare, puniti ai sensi della cd. legge Scelba (L. 645 del 1952) di attuazione della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, che vieta (art. 1) la "riorganizzazione del disciolto partito fascista". In base all'art. 1 della legge, si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando "una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista".
La legge Scelba, che punisce tale riorganizzazione con la reclusione da cinque a dodici anni e la multa da  1.032 a 10.329 euro (per i promotori e organizzatori), detta poi la disciplina dei reati di apologia e manifestazioni fasciste.
Costituisce in particolare apologia del fascismo (art. 4) la propaganda per la costituzione di una associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità proprie del partito fascista; la pena prevista è la reclusione da sei mesi a due anni e  la multa da euro 206 a euro 516. La stessa pena è inflitta a chi pubblicamente esalta esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche (comma 1). Aggravanti sono previste: dal comma 2, se l'apologia riguarda idee o metodi razzisti (reclusione da uno a tre anni e  multa da euro 516 a euro 1.032) e dal comma 3, se alcuno dei fatti che costituiscono apologia sono commessi col mezzo della stampa (reclusione da due a cinque anni e multa da euro 516 a euro 2.065).
Analogamente, la legge 645 punisce le manifestazioni fasciste (art. 5) cioè il reato di chi, partecipando a pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste; la pena è quella della reclusione fino a tre anni e  la multa da euro 206 a euro 516. Sia per l'apologia che per le manifestazioni fasciste è prevista, in sede di condanna, la pena accessoria dell'interdizione per 5 anni dai pubblici uffici, dall'elettorato attivo e passivo e da ogni altro diritto politico; tuttavia, mentre per l'apologia l'interdizione è obbligatoria, per le manifestazioni fasciste è rimessa alla discrezionalità del giudice.
Successivamente, la legge 205 del 1993, di conversione del DL 122 del 1993 (nota come legge Mancino) - sostituendo l'art. 3 della legge 654/1975, di ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale di New York del 1966 sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale - punisce chiunque (art. 1): a) propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (reclusione fino ad un anno e sei mesi o multa fino a 6.000 euro);
b) istiga, con qualunque modalità, a commettere o commette atti di violenza o di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (reclusione da sei mesi a quattro anni). E' vietata, poi, ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; la semplice partecipazione o assistenza a dette organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi è punita, con la reclusione da sei mesi a quattro anni (pene maggiori colpiscono i promotori e gli organizzatori: reclusione da uno a sei anni). L'art. 2 della legge Mancino punisce con la pena della reclusione fino a tre anni e con la multa da 103 a  258 euro chiunque, in pubbliche riunioni, compia manifestazioni esteriori od ostenti emblemi o simboli propri o usuali delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui all'articolo 3 della legge n. 654/1975  (gruppi aventi tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi).
In relazione al rapporto tra le disposizioni della legge Scelba e quelle della legge Mancino e, quindi, all'applicazione dell'una o dell'altra disciplina sanzionatoria a fattispecie analoghe, la Cassazione (sent. n. 1475/1999) ha ritenuto le disposizioni della legge Mancino aventi carattere di sussidiarietà rispetto a quelle della precedente legge Scelba (v. ultra, par. Rispetto degli altri principi costituzionali).

Il contenuto della proposta di leggeIl nuovo art. 293-bis del codice penale, aggiunto dall'articolo unico della p.d.l. ai delitti contro la personalità interna dello Stato, punisce - salvo che il fatto costituisca più grave reato - la propaganda del regime fascista e nazifascista. 

La clausola di riserva "Salvo che il fatto costituisca più grave reato" costituisce l'unico emendamento approvato dalla Commissione Giustizia nel corso dell'esame in quanto la fattispecie descritta dal nuovo art. 293-bis c.p. appare parzialmente coincidente con quella di cui al citato art. 4 della legge Scelba (che punisce l'apologia del fascismo). Il Sottosegretario alla Giustizia Ferri  (seduta del 21 giugno 2017) ha rilevato che - poichè  "il reato introdotto dalla proposta di legge contempla tra le condotte punibili la propaganda dei contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero delle relative ideologie - in questa prospettiva, ove i fatti riguardino contenuti razzisti dell'ideologia fascista, deve trovare applicazione il più grave reato di cui all'articolo 4 della legge Scelba".

La motivazione alla base dell'intervento, secondo i promotori del provvedimento, consiste nella insufficienza degli strumenti apprestati dal legislatore per la repressione di tali comportamenti individuali di propaganda. La proposta di legge  - si legge, infatti, nella relazione illustrativa - ha l'obiettivo "di delineare una nuova fattispecie che consenta di colpire solo alcune condotte che individualmente considerate sfuggono alle normative vigenti".

Nell'art. 293-bis, la fattispecie penale - punita con la reclusione da sei mesi a due anni - è individuata:

  1. nella propaganda di immagini o contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco ovvero delle relative ideologie, anche solo mediante la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni che raffigurino persone, immagini o simboli chiaramente riferiti a tali partiti o ideologie; 
  2. nel richiamare pubblicamente la simbologia o la gestualità del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco ovvero delle relative ideologie.

In particolare, appare essenziale per la realizzazione della fattispecie di cui alla lett. a), l'inequivocabilità  ("chiaramente riferiti") del nesso tra i beni e i partiti o le ideologie fascisti o nazionalsocialisti.

L'articolo 293-bis c.p. punisce, dunque, come delitto perseguibile d'ufficio:

  • da un lato, la propaganda attiva e quella che si manifesta anche solo nei diversi passaggi della filiera produttiva (dalla produzione, alla distribuzione, alla diffusione, alla vendita) di immagini, oggettistica, gadgets di ogni tipo che comunque siano chiaramente riferiti all'ideologia fascista o nazifascista o ai relativi partiti (lett. a);
  • dall'altro - mediante il richiamo alla gestualità, oltre che alla ideologia - comportamenti quali il saluto romano (o nazifascista) fatto in pubblico e l'ostentazione pubblica di simboli (come fasci littori, svastiche ecc.) che a tali partiti o ideologie si riferiscano.

In ragione dell'entità della pena prevista, per il reato di cui all'art. 293-bis non è possibile procedere all'arresto in flagranza.

Costituisce aggravante del delitto di cui all'art. 293-bis (aumento di un terzo della pena) la propaganda del regime fascista e nazifascista commessa attraverso strumenti telematici o informatici. L'aggravante riguarda quindi sia i siti Internet con contenuti di propaganda delle ideologie fasciste e nazifasciste sia il merchandising online dei gadgets e degli altri beni chiaramente riferiti al partito e all'ideologia fascista o nazifascista.

Si valuti se occorra coordinare la nuova fattispecie di reato prevista dalla proposta di legge in esame con i reati già previsti dalla cd. legge Scelba e dalla cd. legge Mancino, in quanto alcune condotte potrebbero risultare riconducibili a più fattispecie di reato, per le quasi sono stabilite pene in parte diverse e aggravanti differenziate.


Relazioni allegate o richieste

Alla proposta di legge è allegata la sola relazione illustrativa.


Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

ll provvedimento introduce un nuovo delitto, modificando il codice penale. L'intervento legislativo è dunque ascrivibile alla materia "ordinamento penale", di competenza legislativa statale esclusiva in base all'art. 117, secondo comma, lett. l), della Costituzione.


Rispetto degli altri princìpi costituzionali

La Corte costituzionale, sulla legge ScelbaLa Corte costituzionale si è pronunciata in merito alla costituzionalità della legge 645/1952 (legge Scelba) che,  in attuazione della XII disposizione transitoria della Costituzione, prevede come reato sia l'apologia del fascismo (art.4) che le manifestazioni fasciste (art. 5).

In particolare, la sanzionabilità dell'apologia del fascismo (art. 4 della legge Scelba)ha da tempo sollevato discussioni in relazione ai limiti posti alla libertà di manifestazione del pensiero tutelata dall'art. 21 della Costituzione.

La Corte costituzionale si espresse sulla questione con la nota sentenza n. 1 del 1957, originata da più di un ricorso in cui si sollevava il dubbio di legittimità costituzionale dell'apologia proprio con riferimento alla asserita violazione dell'art. 21 Cost.

La sentenza – dichiarando la manifesta infondatezza e non ravvisando alcuna violazione delle disposizioni contenute nell'art. 21 della Costituzione - ha, tuttavia, precisato che l'apologia del fascismo, per assumere carattere di reato, deve consistere non in una semplice difesa elogiativa, ma in una esaltazione tale da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista cioè in una «istigazione indiretta a commettere un fatto rivolto alla detta riorganizzazione e a tal fine idoneo ed efficiente». Dunque, soltanto il collegamento con il tentativo di riorganizzare l'abolito partito fascista può realizzare il reato di "apologia del fascismo". Secondo la Corte: "Ciò significa che (l'apologia, n.d.r.) deve essere considerata non già in sé e per sé, ma in rapporto a quella riorganizzazione, che è vietata dalla XII disposizione. Trattasi non di una istigazione diretta, perché questa è configurata nell'art. 2 della legge 1952, bensì di una istigazione indiretta a commettere un fatto rivolto alla detta riorganizzazione e a tal fine idoneo ed efficiente".

Successivamente, la Corte costituzionale,sentenza n. 74 del 1958,  confermando la legittimità dell'art. 5 della legge Scelba che vieta le manifestazioni fasciste (nel caso specifico, si valutava la legittimità del saluto romano), ha chiarito i presupposti per la sanzionabilità dell'illecito, chiarendone il perimetro di applicazione. In particolare, ha affermato che "la denominazione di "manifestazioni fasciste" adottata dalla legge del 1952 e l'uso dell'avverbio "pubblicamente" fanno chiaramente intendere che, seppure il fatto può essere commesso da una sola persona, esso deve trovare nel momento e nell'ambiente in cui é compiuto circostanze tali, da renderlo idoneo a provocare adesioni e consensi ed a concorrere alla diffusione di concezioni favorevoli alla ricostituzione di organizzazioni fasciste. La ratio della norma non é concepibile altrimenti, nel sistema di una legge dichiaratamente diretta ad attuare la disposizione XII della Costituzione. Il legislatore ha compreso che la riorganizzazione del partito fascista può anche essere stimolata da manifestazioni pubbliche capaci di impressionare le folle; ed ha voluto colpire le manifestazioni stesse, precisamente in quanto idonee a costituire il pericolo di tale ricostituzione. Con questa interpretazione...  la norma denunziata si inquadra perfettamente nel sistema delle sanzioni dirette a garantire il divieto posto dalla XII disposizione transitoria, né contravviene al principio dell'art. 21, primo comma, della Costituzione. In tal senso la norma dell'art. 5 é stata interpretata anche dalla Corte di cassazione, che in una recente decisione (Sez. III, sent. 16 gennaio 1958), in applicazione del principio fissato dalla Corte costituzionale, ha testualmente detto: "... Non crede questo Supremo Collegio che il criterio interpretativo di così ampia portata adottato dalla Corte costituzionale sia suscettibile di modificazioni e che esso non conservi la sua validità anche quando non trattasi di atti che integrino vera e propria apologia del fascismo ma si esauriscono in manifestazioni come il canto degli inni fascisti, poiché si ha ragione di ritenere anche che queste manifestazioni di carattere apologetico debbano essere sostenute, per ciò che concerne il rapporto di causalità fisica e psichica, dai due elementi della idoneità ed efficacia dei mezzi rispetto al pericolo della ricostituzione del partito fascistae che, quando questi requisiti sussistono, l'ipotesi di cui all'art. 5 legge citata é costituzionalmente legittima. Questo principio é fondato sulla stessa ratio legis, che è quella di evitare, attraverso l'apologia e le manifestazioni proprie del disciolto partito, il ritorno a qualsiasi forma di regime in contrasto con i principi e l'assetto dello Stato: esso non può non investire ogni singola disposizione di cui si compone la legge 20 giugno 1952".

Mentre la legge Scelba  concerne la disciplina sanzionatoria per la ricostituzione del partito fascista, per l'apologia del fascismo e per le manifestazioni esteriori di tale ideologia, la legge 654 del 1975, (ratifica della convenzione di New York del 7 marzo 1966 contro la discriminazione razziale) e la legge 205 del 1993, cosiddetta legge "Mancino" che ha convertito il DL 122 del 1993)  punisce chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale ed etnico, istiga a commettere discriminazioni ovvero organizza movimenti che hanno tra i loro scopi quelli indicati o partecipa ad essi. Mentre ha avuto modo di pronunciarsi sulla legittimità costituzionale della legge Scelba, la Consulta non si è mai espressa sulla costituzionalità della legge Mancino perché le relative questioni sono state sempre ritenute manifestamente infondate dai giudici di merito e di legittimità che le hanno esaminate.

La giurisprudenza della CassazioneLa giurisprudenza di legittimità si è più volte pronunciata sulle leggi Scelba e Mancino. In relazione al rapporto tra le disposizioni della legge Scelba (L. 645/1952) e quelle della legge Mancino (L. 205/1993) - che sanzionano fattispecie sostanzialmente sovrapponibili - la Cassazione (sentenza n. 1475 del 1999) ha affermato che la norma di cui all'art. 1 della legge Mancino ha carattere di sussidiarietà rispetto a quella dell'art. 1 della legge Scelba (che punisce la ricostituzione del partito fascista), per cui la prima trova applicazione solo ove la legge Scelba non sia applicabile per insussistenza nella fattispecie concreta di elementi specializzanti rispetto a quelli contemplati nella norma sussidiaria. Ne deriva - prosegue la Cassazione - che "se si ritiene di non poter riconoscere, attraverso la propaganda razzista, la ricostituzione del disciolto partito fascista, la propaganda può acquistare rilevanza, sul piano penale, solo come forma di incitamento punibile ai sensi della legge n. 205 del 1993".
Il tema della manifestazione di adesione alle ideologie fasciste è stata oggetto di diverse sentenza di legittimità. Precisando i confini del reato di apologia del fascismo, in linea con la giurisprudenza costituzionale, Cassazione, sent. 6 giugno 1977 ha precisato che la libertà di manifestare il proprio pensiero non trova limiti "ideologici" nella Costituzione, neppure quando la manifestazione abbia per oggetto il fascismo: ne consegue la conferma che, per configurare il reato di apologia del fascismo previsto dalla legge Scelba bisogna essere in presenza di in un'esaltazione tale da poter portare alla riorganizzazione del partito fascista.
Anche dopo la legge di riforma dei reati d'opinione (legge n. 85 del 2006), la Cassazione (sentenze nn. 31655 del 2001 e  37581 del 32008) ha ritenuto manifestamente infondata la questione di costituzionalità della disciplina della legge 654/1975 (art. 3)  - come modificata dalla legge Mancino e dalla citata legge 85/2006 - laddove vieta la diffusione in qualsiasi modo di idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale, per asserito contrasto con l'art. 21 Cost., in quanto la libertà di manifestazione del pensiero e quella di ricerca storica cessano quando travalicano in istigazione alla discriminazione ed alla violenza di tipo razzista, opportunamente rimarcando, tra l'altro, come l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, ha un contenuto fattivo di istigazione ad una condotta che realizza un "quid pluris" rispetto alla mera manifestazione di opinioni personali.
Per quanto concerne, in particolare, il saluto romano - detto della posizione della Consulta nella sentenza del 1958 -  la giurisprudenza di legittimità lo ha prevalentemente considerato come reato (vedi, tra le altre, Cass. sentenze n. 11943 del 1982, n. 24184 del  2009, n. 35549 del 2012 e n. 37577 del 2014), sanzionato a volte ai sensi della legge Scelba, a volte della legge Mancino. Solo più recente giurisprudenza della Cassazione, in presenza di specifiche situazioni, non lo ha riconosciuto come reato.
Nella sentenza n. 37577 del 2014, la Cassazione ha ritenuto che il saluto romano è, come manifestazione fascista, punibile ai sensi dell'art. 5 della legge Scelba in quanto " reato di pericolo correlato al fatto che le manifestazioni usuali, evocative del disciolto partito fascista, vengono in rilievo in quanto realizzate durante pubbliche riunioni e pertanto possiedono idoneità lesiva per la tenuta dell'ordinamento democratico e dei valori allo stesso sottesi". Nella fattispecie - secondo la Corte - deve ritenersi pienamente configurato il fatto tipico e punibile da parte dei ricorrenti, posto che il "saluto romano" di certo rientra in tali manifestazioni esteriori considerate idonee a determinare il pericolo di riorganizzazione del partito fascista ed è stato posto in essere durante una pubblica manifestazione.
Cassazione penale, sentenza  n. 20450 del 2016, pur annullando senza rinvio la sentenza impugnata per prescrizione del reato, ha avallato le motivazioni dei giudici di appello che avevano condannato sette persone che, durante una partita della nazionale di calcio, avevano fatto il "saluto fascista", anche noto come "saluto romano", per tutta la durata dell'inno nazionale italiano. I giudici di seconda istanza hanno ritenuto che esso costituisca una manifestazione che rimanda all'ideologia fascista e a valori politici di discriminazione razziale e di intolleranza, senza che sia necessario che tale manifestazione sia caratterizzata da elementi di violenza, svolgendo la fattispecie una funzione di tutela preventiva, secondo quanto previsto dalla legge Mancino.
In precedenza anche Cassazione, sentenza n. 25184 del 2009 aveva ritenuto che il saluto romano (fatto all'esterno di uno stadio) costituisse violazione della legge Mancino; la Suprema Corte aveva affermato che  tale nota espressione gestuale non è espressione della possibilità di manifestare liberamente il proprio pensiero, ma un'istigazione all'odio razziale.... in quanto costituisce una manifestazione esteriore, che rimanda, per comune nozione storica, all'ideologia fascista, e quindi ad una ideologia politica "sicuramente non portatrice dei valori paritari e di non violenza, ma, al contrario, fortemente discriminante ed intollerante", ad un regime totalitario che ha emanato, tra l'altro, leggi di discriminazione dei cittadini per motivi razziali.
Altre sentenze della Cassazione si sono occupate dell'inquadramento giuridico delle manifestazioni di natura fascista confermando le sentenze di condanna intervenute. Si ricordano, tra le altre, la sentenza  n. 37390 del 2007 (relativa al caso di una bandiera raffigurante un fascio littorio esposta durante una partita di calcio) che ha ritenuto integrato il reato previsto dall'art. 2, comma 1, della legge Mancino; la sentenza n. 37577 del 2014,  (relativa al saluto romano e all'uso della parola "presente" urlata in coro nel corso di una manifestazione di CasaPound). In questo caso era stata contestata l'ipotesi prevista dall'art. 5 della legge Scelba (manifestazioni fasciste) e la Corte ha confermato la condanna degli imputati precisando che «non è la manifestazione esteriore in quanto tale ad essere oggetto di incriminazione, bensì il suo venire in essere in condizioni di "pubblicità" tali da rappresentare un concreto tentativo di raccogliere adesioni ad un progetto di ricostituzione, il che esclude ogni contrasto con gli invocati parametri costituzionali».
Il tema della manifestazione di adesione alle ideologie fasciste è stata oggetto della sentenza n. 39860 del2013, con cui la Cassazione ha confermato la decisione della Corte d'appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, che aveva condannato a 2.280 euro di ammenda  un tifoso di hockey per avere fatto uso di simboli delle organizzazioni nazionaliste; il tifoso aveva indossato in occasione di una partita una maglietta con l'immagine di Benito Mussolini, riproducente scritte proprie dell'ideologia fascista. La Cassazione, rigettando il ricorso, affermava che l'essersi presentato esibendo la maglietta con le scritte ed i simboli inneggianti al regime fascista ed ai valori dell'ideologia fascista integra la condotta di uso di simboli propri delle organizzazioni nazionaliste ed i comportamenti vietati e sanzionati dall'art. 1 della legge Mancino
Come accennato, vanno ricordate anche recenti decisioni giurisprudenziali, sia di legittimità che di merito, che non hanno ritenuto reato il saluto romano. In particolare si tratta di casi in cui tale manifestazione esteriore del fascismo è avvenuta in occasione di commemorazioni di vittime della violenza politica. Cassazione, sentenza 3 marzo 2016 ha confermato la sentenza assolutoria di primo grado emessa dal G.U.P. di Milano nel giugno 2015, dichiarando inammissibile il ricorso del Procuratore Generale, ritenendo che condotte come "la chiamata del presente" e il cosiddetto "saluto romano", costituissero reato ai sensi della Legge Scelba. Si legge, invece, in sentenza che "le manifestazioni, certamente di carattere fascista e con una indubbia simbologia fascista, erano rivolte ai defunti in segno di omaggio e di umana pietà e non avevano alcuna finalità di restaurazione"; mancava, in definitiva, la finalità diffusiva e di propaganda nonchè la finalità di ricostituzione del partito fascista.
Nello stesso senso. più recentemente, va segnalata la  sentenza della Corte d'Appello di Milano 21 settembre2016,che ha assolto dall'accusa di apologia del fascismo alcuni esponenti di Casapound che, durante analoga  manifestazione commemorativa, avevano richiamato l'ideologia nazifascista con uso di bandiere con croci celtiche e saluti romani. La Corte, osservando che "appaiono dubbie la volontà e la capacità diffusiva della manifestazione stessa", ha ricordato la giurisprudenza  costituzionale secondo la quale penalmente rilevanti sono quelle manifestazioni in cui i "gesti di richiamo all'ideologia fascista siano svolti in occasione di una riunione pubblica" e che siano connotate dal "dolo, anche generico, di volere diffondere ideologia", con atteggiamenti "tali da porre in pericolo l'ordine democratico". Inoltre la loro condotta, che "non implica di per sé l'intenzione di sollecitare l'adesione all'ideologia da parte di un numero indeterminato di persone estranee alla manifestazione", secondo la Corte d'Appello, va valutata anche in relazione "all'evoluzione storico sociale che impone di valutare in maniera più rigorosa la sussistenza o meno del pericolo di diffusione dell'ideologia". La stessa relazione alla proposta di legge ricorda, in senso analogo, una sentenza del  tribunale di Livorno del marzo 2015 che ha assolto quattro tifosi veronesi ripresi dalle telecamere nell'atto di compiere il saluto romano durante la partita di calcio Livorno-Hellas Verona del 3 dicembre 2011. Il tribunale..." ha ritenuto che il fatto non costituisca reato in quanto ai fini della sussistenza dello stesso è imprescindibile che il comportamento censurato determini un pericolo concreto e attuale di riproposizione di quei movimenti in tutte le sue forme e che il saluto romano non costituisce reato poiché non è punibile il gesto in sé"; la non illiceità del comportamento in questione deriva poi dal fatto, secondo i giudici livornesi, di essere " collocato all'interno di una manifestazione sportiva che non è il luogo deputato a fare opera di proselitismo e propaganda politica». La sentenza non è stata impugnata dalla procura della Repubblica di Livorno ed è passata in giudicato.