Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Il sistema di elezione del Parlamento nazionale. L'evoluzione normativa e la disciplina vigente - III edizione
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 272
Data: 01/02/2017
Descrittori:
SISTEMI ELETTORALI     
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni

 

Senato della Repubblica

 

Camera dei deputati

 

Il sistema di elezione del Parlamento nazionale.

L'evoluzione normativa e la disciplina vigente.

 

Dossier n. 272

III edizione

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

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Documentazione e ricerche n. 272

 

 

 

 

 

 

 

 

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I N D I C E

 

Parte I: La disciplina vigente

Premessa.............................................................................................. 1

Il sistema elettorale della Camera di deputati: la legge 52/2015 (c.d. Italicum) dopo la sentenza della Corte costituzionale del 25 gennaio 2017................................................................................................ 3

Il decreto legislativo n. 122 del 2015 per la determinazione dei collegi elettorali per la Camera dei deputati................................................. 11

Il sistema elettorale per il Senato della Repubblica dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014 (c.d. Consultellum).............. 17

Il voto degli italiani all’estero.......................................................... 26

Parte II: Il dibattito parlamentare nella XVII legislatura e le sentenze della Corte costituzionale

L’avvio dell’esame parlamentare al Senato...................................... 31

La sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014......................... 35

L’approvazione della legge n. 52 del 2015....................................... 41

La sentenza della Corte costituzionale del 25 gennaio 2017.............. 43

Parte III: L’evoluzione normativa dei sistemi elettorali................................................................................. 44

Dal sistema proporzionale al maggioritario misto (la c.d. legge Mattarella)

Il sistema proporzionale................................................................. 44

La legge elettorale del 1953............................................................ 45

Dai referendum alla legge Mattarella.............................................. 46

Dai tentativi di correzione del sistema maggioritario misto all'approvazione della legge 270/2005........................................................................... 53

Il dibattito parlamentare e i referendum del 1999 e 2000.................. 53

Le elezioni del 2001, i seggi vacanti e la revisione dei collegi uninominali.................................................................................... 57

I tentativi di “correzione” della legge Mattarella e la legge n. 270 del 2005.............................................................................................. 63

Le iniziative di riforma elettorale nella XV e XVI legislatura................ 68

Allegato:

Elementi di raffronto tra i sistemi elettorali della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica............................................................ 79

 


Parte I: La disciplina vigente

Premessa

L’elezione della Camera dei deputati, a seguito dell’approvazione della legge n. 52/2015, è disciplinata dal sistema risultante dalle modifiche apportate da questa legge al DPR n. 361/1957, Testo unico per l’elezione della Camera dei deputati, e dalla decisione della Corte costituzionale del 25 gennaio 2017.

In tale data, infatti, la Corte costituzionale si è pronunciata sulle questioni di legittimità costituzionale della legge elettorale n. 52 del 2015 (c.d. Italicum), sollevate da cinque diversi Tribunali ordinari.

Nel comunicato della Corte costituzionale viene evidenziato che “la Corte ha rigettato la questione di costituzionalità relativa alla previsione del premio di maggioranza al primo turno, sollevata dal Tribunale di Genova, e ha invece accolto le questioni, sollevate dai Tribunali di Torino, Perugia, Trieste e Genova, relative al turno di ballottaggio, dichiarando l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che lo prevedono.

Ha inoltre accolto la questione, sollevata dagli stessi Tribunali, relativa alla disposizione che consentiva al capolista eletto in più collegi di scegliere a sua discrezione il proprio collegio d’elezione. A seguito di questa dichiarazione di incostituzionalità, sopravvive comunque, allo stato, il criterio residuale del sorteggio previsto dall’ultimo periodo, non censurato nelle ordinanze di rimessione, dell’art. 85 del d.p.r n. 361 del 1957.

Ha dichiarato inammissibili o non fondate tutte le altre questioni.

All’esito della sentenza, la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione”.

 

Si ricorda che la legge n. 52/2015 non interviene sul sistema elettorale del Senato a seguito della decisione assunta nel corso dell’esame parlamentare di stralciare le disposizioni relative all’elezione del Senato in correlazione al testo di riforma costituzionale (sul quale il referendum del 4 dicembre 2016 non ha dato esito favorevole) che disponeva il superamento del sistema bicamerale paritario e la trasformazione del Senato in organo elettivo di secondo grado.

 

Per l’elezione del Senato della Repubblica trovano, dunque, applicazione le norme contenute nel D.Lgs. n. 533/1993, Testo unico per l’elezione del Senato della Repubblica, come risultanti dalla legge n. 270 del 2005, a loro volta incise dalla sentenza n. 1 del 2014, con la quale la Corte costituzionale ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale nella parte in cui attribuisce un premio di maggioranza (su base regionale) alla lista o alla coalizione di liste più votata e nella parte in cui non consente all’elettore l’espressione di un voto di preferenza (su cui si veda infra).

 

Per entrambe le Camere, rimane invariato il sistema di voto degli italiani all’estero. Nella circoscrizione Estero, suddivisa in 4 ripartizioni, sono eletti 12 deputati e 6 senatori, con il sistema disciplinato dalla legge n. 459/2001.

La legge n. 52/2015 ha esteso anche ai cittadini temporaneamente all'estero per motivi di studio, lavoro o cure mediche e agli elettori appartenenti alle Forze armate ed alle Forze di polizia, impegnati nelle missioni internazionali, la facoltà di votare per corrispondenza nella circoscrizione Estero.

 


 

Il sistema elettorale della Camera di deputati: la legge 52/2015 (c.d. Italicum) dopo la sentenza della Corte costituzionale del 25 gennaio 2017

La legge 6 maggio 2015, n. 52, ha definito il nuovo sistema di elezione della Camera dei deputati. La legge modifica in più parti il decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione della Camera. Il 25 gennaio 2017 la Corte costituzionale si è pronunciata sulle questioni di legittimità costituzionale della legge elettorale n. 52 del 2015, sollevate da cinque diversi Tribunali ordinari.

Nel comunicato della Corte costituzionale si rileva in particolare che la Corte ha accolto le questioni, sollevate dai Tribunali di Torino, Perugia, Trieste e Genova, relative al turno di ballottaggio, dichiarando l'illegittimità costituzionale delle disposizioni che lo prevedono.

Ha inoltre accolto la questione, sollevata dagli stessi Tribunali, relativa alla disposizione che consentiva al capolista eletto in più collegi di scegliere a sua discrezione il proprio collegio d'elezione. A seguito di questa dichiarazione di incostituzionalità, sopravvive comunque, allo stato, il criterio residuale del sorteggio previsto dall'ultimo periodo, non censurato nelle ordinanze di rimessione, dell'art. 85 del DPR n. 361 del 1957.

La Corte ha precisato che, all'esito della sentenza, la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione.

 

Il nuovo sistema elettorale della Camera dei deputati, dunque, che si applica a decorrere dal 1° luglio 2016, si basa sui seguenti principali elementi:

§  la suddivisione del territorio nazionale in 20 circoscrizioni elettorali, corrispondenti alle regioni, divise a loro volta (ad esclusione di Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige) in complessivi 100 collegi plurinominali;

§  l’assegnazione a ciascun collegio di un numero di seggi compreso tra 3 e 9;

§  la previsione di disposizioni speciali per le circoscrizioni Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige, nelle quali sono costituiti collegi uninominali; per il Trentino-Alto Adige, inoltre, tre seggi sono assegnati con sistema proporzionale;

§  l’attribuzione dei seggi alle liste su base nazionale;

§  la definizione di una soglia del 3 per cento dei voti validi, su base nazionale, quale requisito di accesso alla ripartizione dei seggi (previsioni specifiche sono definite per le liste rappresentative di minoranze linguistiche); non è possibile per le liste collegarsi in coalizione;

§  l’attribuzione di 340 seggi alla lista che ottiene almeno il 40 per cento dei voti validi su base nazionale;

§  la ripartizione dei seggi avviene successivamente nelle circoscrizioni, in misura proporzionale al numero di voti che ciascuna lista ha ottenuto; segue quindi la ripartizione dei seggi nei collegi plurinominali in cui si articolano le circoscrizioni, anche in tal caso in misura proporzionale al numero di voti ottenuto da ciascuna lista;

§  la previsione, ai fini della presentazione delle liste nei collegi plurinominali per i partiti o i gruppi politici organizzati, del deposito presso il Ministero dell’interno dello statuto;

§  l’articolazione delle liste elettorali con un candidato capolista e un elenco di candidati; all’elettore è consentito esprimere fino a due preferenze, per candidati di sesso diverso (cd. “doppia preferenza di genere”), tra quelli che non sono capolista: sono quindi proclamati eletti dapprima i capolista, successivamente, i candidati che hanno ottenuto il maggior numero di preferenze;

§  la previsione del divieto di candidature in più collegi, neppure di altra circoscrizione, ad eccezione dei capolista, che possono essere candidati, al massimo, in 10 collegi; la Corte costituzionale ha in proposito accolto, con la sentenza del 25 gennaio 2017, la questione di legittimità costituzionale relativa alla disposizione che consentiva al capolista eletto in più collegi di scegliere a sua discrezione il proprio collegio d'elezione. A seguito di questa dichiarazione di incostituzionalità, "sopravvive comunque, allo stato, il criterio residuale del sorteggio previsto dall'ultimo periodo, non censurato nelle ordinanze di rimessione, dell'art. 85 del D.P.R. n. 361 del 1957";

§  l’introduzione di previsioni volte a promuovere le pari opportunità tra donne e uomini nell’accesso alle cariche elettive: in particolare, i candidati devono essere presentati - in ciascuna lista - in ordine alternato per sesso; al contempo, i capolista dello stesso sesso non possono essere più del 60 per cento del totale in ogni circoscrizione; nel complesso delle candidature circoscrizionali di ciascuna lista, inoltre, nessun sesso può essere rappresentato in misura superiore al 50 per cento;

§  la previsione di disposizioni per consentire ai cittadini temporaneamente all’estero per motivi di studio, lavoro o cure mediche di votare per corrispondenza nella circoscrizione Estero nonché agli elettori appartenenti alle Forze armate ed alle Forze di polizia, impegnati nelle missioni internazionali, di votare secondo le modalità che saranno definite di intesa tra i ministri competenti.

La suddivisione del territorio nazionale

Il primo elemento che caratterizza il nuovo sistema elettorale è la suddivisione del territorio nazionale in 20 circoscrizioni elettorali ripartite nell’insieme in 100 collegi plurinominali, ad eccezione di Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige, per cui sono previste disposizioni particolari (art. 1 del TU). Le 20 circoscrizioni corrispondono al territorio delle Regioni (Tabella A legge 52/2015).

Si ricorda che il sistema di ripartizione dei seggi nelle circoscrizioni è espressamente indicato dall’art. 56, quarto comma, della Costituzione: fatti salvi i 12 seggi da attribuire nella circoscrizione Estero, si divide per 618 il numero degli abitanti della Repubblica, come risultante dall’ultimo censimento generale della popolazione, e si distribuiscono i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.

L’assegnazione del numero di seggi spettante a ciascuna circoscrizione è effettuata con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno, da emanare contemporaneamente al decreto di convocazione dei comizi elettorali. Con il medesimo decreto del Presidente della Repubblica che dispone l’assegnazione dei seggi alle circoscrizioni è determinato, per ciascuna circoscrizione, il numero di seggi da attribuire nei collegi plurinominali sulla base dei risultati dell’ultimo censimento generale della popolazione; salvo quanto disposto per le circoscrizioni Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige, i seggi spettanti a ciascuna circoscrizione vengono assegnati in collegi plurinominali nei quali è attribuito un numero di seggi non inferiore a tre e non superiore a nove (art. 3 TU).

La determinazione dei collegi plurinominali è stata definita dal decreto legislativo 7 agosto 2015, n. 122, sulla base della delega contenuta nell’art. 4 della legge 52/2015. Il decreto legislativo individua l’articolazione dei collegi nella Tabella A allegata al medesimo decreto (v. infra).

Presentazione delle candidature nei collegi

La legge 52/2015 modifica anche la disciplina relativa alla presentazione delle candidature per le parti riguardanti, in particolare, la sottoscrizione delle firme, la compilazione delle liste, l’introduzione di disposizioni a tutela della parità di genere, nonché i limiti alla possibilità di candidature plurime.

La nuova disciplina (art. 18-bis TU) prescrive, ai fini della presentazione delle liste, la sottoscrizione da parte di almeno 1.500 e non più di 2.000 elettori.

È confermata la norma che prevede - in caso di scioglimento della Camera che anticipi la scadenza di oltre centoventi giorni - la riduzione alla metà del numero di sottoscrizioni necessarie. Resta fermo, inoltre, che nessuna sottoscrizione è richiesta (art. 18-bis, comma 2, TU):

a)     per i partiti o gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare in entrambe le Camere all’inizio della legislatura in corso al momento della convocazione dei comizi elettorali;

b)    per i partiti o gruppi politici rappresentativi di minoranze linguistiche riconosciute che abbiano conseguito almeno un seggio in occasione delle ultime elezioni per la Camera o per il Senato.

Un diverso regime delle sottoscrizioni è previsto per la presentazione delle candidature nella circoscrizione Estero e nelle regioni Valle d’Aosta e Trentino–Alto Adige.

È altresì prevista una disposizione speciale in materia di esonero dalla raccolta delle sottoscrizioni, limitata alle prime elezioni successive alla data di entrata in vigore della legge (art. 2, comma 36, legge 52/2015): per queste, infatti, l’esonero dalla raccolta delle sottoscrizioni si applica anche ai partiti o ai gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare in almeno una delle Camere al 1° gennaio 2014.

Per quanto riguarda la compilazione delle liste, la legge prescrive, in particolare, che la lista deve essere composta da un candidato capolista e da un elenco di candidati presentati in ordine numerico.

L’art. 19 TU, come novellato, conferma che nessun candidato può essere incluso in liste con diversi contrassegni (nello stesso o in altro collegio), mentre consente ai soli candidati capolista di essere inclusi in liste con il medesimo contrassegno, in una o più circoscrizioni, fino ad un massimo di dieci collegi.

Il mancato rispetto dei vincoli posti è sanzionato, in ogni caso, con la nullità dell’elezione.

Il numero di candidati di ogni lista non può essere inferiore alla metà e non superiore al totale dei seggi assegnati al collegio plurinominale.

Inoltre, sono introdotte tre prescrizioni finalizzate a garantire l’equilibrio nella rappresentanza di genere (art. 18-bis, comma 3, TU).

Tali prescrizioni stabiliscono che:

§  nel complesso delle candidature circoscrizionali di ciascuna lista, nessun sesso può essere rappresentato in misura superiore al cinquanta per cento, con arrotondamento all’unità superiore;

§  nella successione interna delle liste nei collegi, i candidati sono collocati in lista secondo un ordine alternato di genere;

§  nel numero complessivo di candidati capolista nei collegi di ciascuna circoscrizione, non può esservi più del 60 per cento dei candidati dello stesso sesso, con arrotondamento aritmetico.

Il mancato rispetto di ciascuno dei vincoli introdotti a tutela della parità di genere comporta la sanzione della inammissibilità della lista.

È di conseguenza previsto (art. 18, comma 3-bis, TU) che sia allegato alla lista un elenco di quattro candidati supplenti, due di sesso maschile e due di sesso femminile.

Riguardo alla verifica della regolarità delle candidature, la legge 52/2015 ha introdotto ulteriori meccanismi di controllo sulle nuove disposizioni in materia di rappresentanza di genere (art. 18-bis TU) e di limiti alle candidature plurime (art. 19, comma 1, TU e art. 22 comma 1, numero 6-bis, TU).

Espressione del voto

Ogni lista è composta da un candidato capolista e da un elenco di candidati, presentati secondo un ordine numerico (art. 18, comma 3, TU).

Ogni elettore dispone di un voto per la scelta della lista, da esprimere su un’unica scheda recante il contrassegno di ciascuna lista e il nominativo del candidato capo- lista. Può altresì esprimere uno o due voti di preferenza; in caso di espressione della seconda preferenza, l’elettore deve scegliere un candidato di sesso diverso rispetto al primo, a pena di nullità della seconda preferenza (art. 4, comma 2, TU).

Per quanto riguarda le modalità di espressione del voto, la legge prevede che ogni elettore dispone di un unico voto, che si esprime tracciando un segno, comunque apposto, nel rettangolo contenente il contrassegno della lista prescelta. Sono vietati altri segni o indicazioni (art. 58, comma 2, TU).

Attribuzione dei seggi

Possono accedere alla ripartizione dei seggi le liste che ottengono, su base nazionale, almeno il 3 per cento dei voti validi, salve le disposizioni particolari per la Valle d’Aosta ed il Trentino-Alto Adige (art. 1, comma 1, lettera e) legge 52/2015).

I seggi alle liste sono attribuiti su base nazionale con il metodo dei quozienti interi e dei più alti resti. Sono comunque attribuiti 340 seggi alla lista che ottiene, su base nazionale, almeno il 40 per cento dei voti validi.

Il meccanismo di trasformazione dei voti in seggi, la c.d. formula elettorale, è disciplinato dagli articoli 83 e 83-bis del TU.

L’art. 83 contiene le norme relative alle operazioni a carico dell’Ufficio centrale nazionale per l’assegnazione dei seggi alle liste a livello nazionale e nelle circoscrizioni, mentre l’art. 83-bis disciplina le operazioni a carico dell’Ufficio centrale circoscrizionale per l’assegnazione dei seggi nei collegi plurinominali.

In base alle previsioni del TU, una volta individuate le liste ammesse al riparto dei voti, l’Ufficio centrale nazionale procede ad una prima ripartizione provvisoria e temporanea di assegnazione dei seggi alle liste sulla base dei voti ottenuti (art. 83, comma 1, n. 4), TU) al fine di verificare il conseguimento di 340 seggi da parte della lista maggioritaria. Per effettuare questa prima ripartizione proporzionale il metodo previsto è quello dei quozienti interi e dei più alti resti.

 

Il quoziente di ripartizione si ottiene dividendo il totale delle cifre elettorali delle liste ammesse per il numero di seggi da attribuire: la parte intera del risultato di tale divisione costituisce il quoziente elettorale nazionale. A ciascuna lista sono assegnati tanti seggi quante volte il quoziente così individuato è contenuto nella rispettiva cifra elettorale nazionale. I seggi eventualmente non attribuiti con i quozienti interi sono assegnati alle liste per le quali queste ultime divisioni abbiano dato i maggiori resti. In caso di parità di resti i seggi sono assegnati alle liste con la maggior cifra elettorale nazionale e in caso di ulteriore parità, a sorteggio.

 

Successivamente, l’Ufficio centrale nazionale valuta l’eventuale assegnazione del premio di maggioranza verificando, in primo luogo, se la cifra elettorale nazionale della lista maggioritaria corrisponde ad almeno il 40 per cento del totale dei voti validi espressi. Nel caso in cui la lista maggioritaria abbia effettivamente ottenuto il 40 per cento dei voti, l’Ufficio verifica se tale lista, in base alla ripartizione provvisoria effettuata, abbia conseguito almeno 340 seggi:

§  qualora li abbia conseguiti, è confermata l’assegnazione dei seggi risultante dalla suddetta ripartizione;

§  qualora non li abbia conseguiti, alla lista maggioritaria viene attribuito il numero aggiuntivo di seggi necessario per raggiungere il totale di 340 seggi; i restanti seggi sono ripartiti tra le altre liste con il metodo dei quozienti interi e dei più alti resti.

Ove, infine, nessuna lista abbia ottenuto il 40 per cento dei voti, si conferma la ripartizione dei seggi provvisoria sopra illustrata.

Completata l’assegnazione dei seggi alle liste a livello nazionale, l’Ufficio procede alla ripartizione dei seggi nelle circoscrizioni (come previsto dall’art. 83, comma 1, n. 8). La ripartizione è effettuata in misura proporzionale al numero di voti che ciascuna lista ha ottenuto in una determinata circoscrizione, con l’obiettivo di far sì che ciascuna circoscrizione ottenga al termine, come somma di tutti i seggi in essa assegnati a tutte le liste, il totale dei seggi ad essa spettanti ai sensi dell’art. 56 della Costituzione. Il sistema di ripartizione fra le circoscrizioni richiama in gran parte quello introdotto dalla legge n. 270 del 2005.

Successivamente, gli uffici centrali circoscrizionali procedono all’ulteriori ripartizione dei seggi nei collegi plurinominali (art. 83-bis TU).

Proclamazione degli eletti

Sono quindi proclamati eletti, fino a concorrenza dei seggi che spettano a ciascuna lista in ogni circoscrizione, dapprima, i capolista nei collegi, quindi i candidati che hanno ottenuto il maggior numero di preferenze.

Qualora in un collegio non sia possibile assegnare tutti i seggi ad una lista perché la lista stessa ha esaurito il numero di candidati, l’Ufficio centrale circoscrizionale assegna i seggi alla lista in un altro collegio della medesima circoscrizione in cui la lista stessa abbia la maggior parte decimale del quoziente inutilizzata, a partire dal capolista e, successivamente, in base alla graduatoria delle preferenze ottenute dagli altri candidati. Qualora residuino ancora seggi da assegnare alla lista, l’Ufficio lo assegna in un altro collegio della medesima circoscrizione in cui la lista stessa abbia la maggior parte decimale del quoziente già utilizzata; anche in tal caso si segue lo stesso criterio: prima il capolista e poi i candidati in ordine di preferenze ottenute (art. 84, co. 2, TU).

Qualora anche dopo tali operazioni residuino ancora seggi da assegnare alla lista, l’Ufficio centrale circoscrizionale ne dà comunicazione all’Ufficio centrale nazionale, il quale individua la circoscrizione in cui la lista stessa abbia la maggior parte decimale del quoziente inutilizzata e ne dà comunicazione a sua volta all’Ufficio centrale circoscrizionale competente. Quest’ultimo provvede all’assegnazione del seggio, sempre nell’ordine descritto (art. 84, comma 3, TU).

In tutte le operazioni in caso di parità della parte decimale, si procede mediante sorteggio (art. 84, comma 4, TU).

L’articolo 85 prevedeva che il deputato eletto in più collegi plurinominali dichiarasse alla Presidenza della Camera, entro otto giorni dalla data dell’ultima proclamazione, il collegio prescelto, procedendosi - in mancanza di opzione - mediante sorteggio: al riguardo, la Corte costituzionale ha accolto (con la sentenza del 25 gennaio 2017) la questione di legittimità costituzionale relativa a tale disposizione nella parte in cui consente al capolista eletto in più collegi di scegliere a sua discrezione il proprio collegio d'elezione. A seguito di questa dichiarazione di incostituzionalità, "sopravvive comunque, allo stato, il criterio residuale del sorteggio previsto dall'ultimo periodo, non censurato nelle ordinanze di rimessione, dell'art. 85 del D.P.R n. 361 del 1957”.

L’articolo 86 disciplina l’attribuzione dei seggi rimasti vacanti per qualsiasi causa, anche sopravvenuta: tali seggi sono attribuiti nel medesimo collegio plurinominale al primo dei candidati non eletti secondo la graduatoria delle preferenze della medesima lista. Qualora la lista abbia esaurito i candidati si procede con le modalità previste dall’art. 84 in caso di incapienza delle liste (commi 1 e 2).

È altresì disciplinata l’attribuzione dei seggi vacanti nelle circoscrizioni Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige: nel caso si tratti di collegi uninominali si procede ad elezioni suppletive; nel caso in cui si tratti di uno dei seggi attribuiti con metodo proporzionale in Trentino-Alto Adige, il seggio è assegnato al primo dei candidati non eletti nell’ordine progressivo di lista (commi 3 e 3-bis).

Il voto nelle regioni Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige

La nuova disciplina per l’elezione della Camera dei deputati contiene disposizioni speciali per le circoscrizioni Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige.

Il principio della specialità è enunciato all’articolo 2 del TU: la circoscrizione Valle d’Aosta è costituita in un unico collegio uninominale (comma 1), mentre nella regione Trentino-Alto Adige sono costituiti otto collegi uninominali (comma 1-bis). Nelle due circoscrizioni il sistema di elezione è uninominale maggioritario, con una quota proporzionale in Trentino-Alto Adige, in base alla quale sono attribuiti tre seggi.

I candidati nei collegi uninominali sono collegati a liste presentate a livello nazionale. Il collegamento candidato-lista determina la connessione tra le due circoscrizioni ‘speciali’ e il restante territorio nazionale.

I voti espressi nei collegi uninominali, infatti - oltre a determinare l’elezione del candidato uninominale - sono computati in sede nazionale per la determinazione della lista maggioritaria e per la determinazione delle soglie di accesso alla ripartizione dei seggi. Quei medesimi voti - dal momento che hanno già dato luogo alla elezione di un candidato nella circoscrizione - non sono peraltro considerati ai fini della ripartizione dei seggi assegnati nella restante parte del territorio nazionale.

L’assegnazione dei seggi della quota proporzionale in Trentino-Alto Adige (articolo 93-quater, commi 4-7) avviene in modo differente in relazione all’attribuzione o meno del premio di maggioranza; in conformità alle determinazioni dell’Ufficio centrale nazionale:

§  se il premio di maggioranza non è attribuito - in quanto la lista maggioritaria con l’assegnazione proporzionale ha già ottenuto almeno 340 seggi - i seggi sono attribuiti proporzionalmente, con il metodo d’Hondt;

§  se il premio di maggioranza è attribuito alla lista maggioritaria – a seguito di verifica positiva del raggiungimento del 40 per cento dei voti validi - i seggi sono assegnati per due terzi alla lista maggioritaria e il restante terzo è ripartito tra le liste di minoranza.

L’assegnazione avviene comunque sulla base dei voti ottenuti dalle liste, previo scorporo parziale dei voti ottenuti dai candidati uninominali collegati.

La disciplina del voto nelle due circoscrizioni Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta è contenuta nel Titolo VI del TU, agli articoli da 92 a 93-quater.

Altre disposizioni sono inserite nel testo di legge laddove è stata ritenuta necessaria un’esplicitazione delle modalità di computo dei voti e dei seggi.

Il voto nella circoscrizione estero

La legge 52/2015 ha introdotto specifiche disposizioni relative al voto dei cittadini all’estero. In particolare, è estesa la possibilità di esercitare il voto per corrispondenza - previsto per i cittadini residenti all’Estero - anche ai cittadini non residenti all’Estero ma che vi si trovano temporaneamente per un periodo di almeno tre mesi (nel quale ricade la data di svolgimento della consultazione elettorale) per motivi di lavoro, studio o cure mediche (art. 2, commi 37 e 38, legge 52/2015).

I cittadini temporaneamente fuori dall’Italia – ed i familiari conviventi – che intendono votare all’estero devono esercitare un’opzione (art. 4-bis, comma 2, legge 459/2001), mediante l’invio di una richiesta, redatta in carta libera e sottoscritta dall’elettore, corredata da alcuni documenti e valida per la singola consultazione, che dovrà pervenire al comune di iscrizione elettorale entro 10 giorni dalla data di pubblicazione del decreto di convocazione dei comizi elettorali.

Il voto viene espresso per corrispondenza e gli elettori votano i candidati della circoscrizione Estero. Le procedure elettorali sono in gran parte analoghe a quelle vigenti per i cittadini residenti all’Estero.

Per gli elettori appartenenti alle forze armate ed alle forze di polizia temporaneamente all’estero nello svolgimento di missioni internazionali (art. 2, comma 5) le modalità di formazione dei plichi, del recapito agli elettori e della raccolta dei plichi, a cura del ministero della difesa, sono definite di intesa tra i ministeri degli affari esteri, della difesa e dell’interno.

Il decreto legislativo n. 122 del 2015 per la determinazione dei collegi elettorali per la Camera dei deputati

Per la definizione dei collegi plurinominali la legge 52/2015 reca un’apposita disposizione di delega contenente i princìpi e criteri direttivi (art. 4, comma 1, lettere a)g) con riguardo in particolare al numero e all’ampiezza dei collegi e alla determinazione del territorio. Tale delega è stata esercitata con il decreto legislativo n. 122 del 2015.

Il primo criterio è relativo al numero complessivo dei collegi: escludendo le circoscrizioni Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige, per cui sono previste disposizioni particolari, nel resto del territorio nazionale si prevede la costituzione di 100 collegi plurinominali; la norma precisa inoltre che la circoscrizione Molise è costituita in un unico collegio plurinominale.

I numero dei collegi plurinominali da costituire è determinato con il metodo dei quozienti interi e dei più alti resti in proporzione al numero di seggi assegnati alla circoscrizione, secondo la ripartizione effettuata ai sensi dell’art. 56 della Costituzione; la popolazione di ciascun collegio non può scostarsi dalla media della popolazione dei collegi della circoscrizione di più del 20 per cento in eccesso o in difetto. Riguardo ai princìpi e criteri per la determinazione del territorio destinato a costituire il collegio plurinominale, la legge di delega richiama la coerenza e la continuità del territorio: in particolare, devono essere garantite la coerenza del bacino territoriale di ciascun collegio e, di norma, la sua omogeneità economico-sociale e delle caratteristiche storico-culturali, nonché la continuità, salvo il caso in cui il territorio stesso comprenda porzioni insulari.

I collegi, di norma, non possono dividere il territorio di un comune, salvo il caso di comuni di dimensioni demografiche tali da ricomprendere al loro interno più collegi. In questo caso, ove possibile, il comune deve essere suddiviso in collegi formati mediante l’accorpamento dei territori dei collegi uninominali stabiliti dal D.Lgs. n. 536 del 1993 (di attuazione della cd. legge Mattarella) per l’elezione della Camera dei deputati.

Una specifica disposizione è prevista per le zone in cui siano presenti minoranze linguistiche riconosciute: in tali zone la delimitazione dei collegi deve tenere conto dell’esigenza di agevolare la loro inclusione nel minor numero possibile di collegi, anche in deroga ai princìpi e criteri indicati alla lettera stessa.

È poi individuato nel territorio provinciale il riferimento di base: ciascun collegio plurinominale corrisponde, di norma, al territorio di una provincia - come delimitata alla data di entrata in vigore della legge - o al territorio di più province fra loro contigue. In caso di province di dimensione estesa i collegi, analogamente a quanto previsto per i comuni maggiori, sono definiti mediante l’accorpamento dei territori dei collegi uninominali stabiliti dal citato D.Lgs. n. 536 del 1993 per l’elezione della Camera dei deputati, escludendo, ove presenti, i comuni compresi in un’altra provincia.

La legge indica poi un ordine di priorità nell’applicazione dei princìpi per la determinazione del territorio dei collegi: qualora non sia altrimenti possibile rispettare il criterio della continuità territoriale, si può derogare al principio dell’accorpamento dei territori dei collegi uninominali stabiliti dal D.Lgs. n. 536 del 1993 e, in subordine, al criterio dell’integrità del territorio provinciale.

Quello della continuità territoriale si delinea dunque come un criterio prevalente, per il rispetto del quale i restanti criteri territoriali sono derogabili.

Il comma 2 dell’articolo 4 della legge prevede inoltre che, ai fini della predisposizione dello schema di decreto legislativo per la determinazione dei collegi, il Governo si avvalga di una Commissione composta dal Presidente dell’Istat, che la presiede, e da 10 esperti in materia attinente ai compiti che la commissione è chiamata a svolgere, senza oneri aggiuntivi.

I commi 3 e 4 del medesimo articolo 4 definiscono i termini e le modalità di adozione del decreto legislativo: entro 45 giorni dalla data di entrata in vigore della legge il Governo invia lo schema di decreto alle Camere; entro i 25 giorni successivi alla ricezione dello schema di decreto le Commissioni permanenti competenti per materia esprimono il loro parere; se il parere parlamentare non è reso entro il pre- visto termine di 25 giorni il Governo può prescindere dal parere stesso; qualora il Governo ritenga di non conformarsi al parere parlamentare, contemporaneamente alla pubblicazione del decreto è tenuto ad inviare al Parlamento una relazione con- tenente adeguata motivazione.

 

La determinazione dei collegi plurinominali, come si è detto, è stata definita dal decreto legislativo 7 agosto 2015, n. 122.

 

La Commissione di esperti prevista dall’articolo 4, comma 2, della legge è stata istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 5 giugno 2015 e ha presentato la sua proposta il 27 giugno 2015.

 

Il metodo di lavoro della Commissione è stato illustrato dal Presidente dell’Istat, Prof. Giorgio Alleva, nel corso delle audizioni svolte, rispettivamente, presso la 1a Commissione Affari costituzionali del Senato il 15 luglio 2016 e presso la I Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati nella seduta del 23 luglio 2015. La Commissione ha distinto, fra i princìpi e criteri stabiliti dall’articolo 4 della legge n. 52 del 2015, i criteri obbligatori (rispetto del numero di collegi plurinominali da costituire in ciascuna circoscrizione, rispetto delle soglie demografiche prescritte, continuità territoriale, inclusione delle minoranze linguistiche riconosciute nel minor numero possibile di collegi) e i criteri da osservare “di norma”  (corrispondenza dei collegi plurinominali con il territorio di  una provincia o di più province purché contermini, definizione dei collegi plurinominali mediante accorpamento dei territori dei collegi uninominali stabiliti dal D. Lgs. 536/1993 nel caso di province di dimensione estesa, mantenimento dell’integrità del territorio comunale salvo che per i comuni  di dimensioni demografiche superiori alla soglia prescritta, omogeneità economico-sociale e delle caratteristiche storico-culturali dei territori). La Commissione ha quindi definito, con il supporto tecnico del gruppo di lavoro dell’Istat costituito ad hoc, l’insieme delle soluzioni che consentivano il rispetto dei princìpi e criteri obbligatori, individuando poi fra le possibili alternative la soluzione ottimale, tenuto conto dei princìpi e criteri da osservare di norma.

 

Sulla base della proposta della Commissione il Governo ha predisposto lo schema di decreto (A.G. 189) e lo ha presentato alle Camere il 7 luglio 2015, entro il previsto termine di 45 giorni dalla data di entrata in vigore della legge.

 

Lo schema di decreto legislativo presentato dal Governo alle Camere riproduceva la determinazione dei collegi plurinominali contenuta nella proposta della Commissione per tutte le circoscrizioni; per il Veneto e la Toscana il Governo ha formulato una diversa proposta.

 

Le Commissioni competenti per materia di Camera e Senato hanno espresso il parere il 30 luglio 2015, entro il previsto termine di 25 giorni successivi alla ricezione dello schema di decreto.

A seguito delle osservazioni formulate dalle Commissioni parlamentari nei pareri del 30 luglio la ripartizione del territorio di sette circoscrizioni è stata modificata rispetto a quella inizialmente prevista nello schema di decreto presentato dal Governo. Si tratta delle seguenti circoscrizioni: Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Campania, Puglia, Sicilia.

 

La Commissione Affari costituzionali della Camera ha espresso parere favorevole con condizioni e osservazioni: le condizioni riguardavano la corretta indicazione di determinati territori nella composizione dei collegi plurinominali Veneto 01, Veneto 02, Sicilia 01 e Sicilia 03 riportata nello schema di decreto, mentre le osservazioni invitavano il Governo a valutare l’opportunità di definire in maniera diversa alcuni territori delle circoscrizioni Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Campania e Sicilia. Tutte le condizioni e osservazioni, a parte l’osservazione relativa alla circoscrizione Sicilia, sono state accolte dal Governo nel testo del decreto legislativo.

 

La Commissione Affari costituzionali del Senato ha espresso parere favorevole con osservazioni, segnalando l’opportunità di definire in maniera diversa alcuni territori delle circoscrizioni Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Marche, Lazio, Puglia e Sicilia. Nel testo definitivo sono state accolte le osservazioni relative alle circoscrizioni Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Lazio (in gran parte coincidenti con le osservazioni formulate nel parere della Camera), una delle due osservazioni relative alla circoscrizione Puglia e una delle due  osservazioni relative alla circoscrizione Sicilia; non sono state accolte le osservazioni relative alle circoscrizioni Emilia-Romagna e Marche.

 

Tenuto conto dei princìpi e criteri previsti dalla delega legislativa il decreto legislativo 122/2015:

§  ha previsto la costituzione di 100 collegi plurinominali, escludendo le circoscrizioni Valle d’Aosta (cui spetta un solo deputato) e Trentino-Alto Adige; in Molise è costituito un unico collegio plurinominale (come previsto dall’art. 4, comma 1, lett. a) legge 52/2015). Anche le circoscrizioni Umbria e Basilicata risultano costituite in un unico collegio plurinominale (in applicazione dei princìpi e criteri direttivi stabiliti dall’art. 4, comma 1, lett. a) e b)); a livello nazionale la popola- zione dei collegi si attesta in media intorno ai 582 mila abitanti;

§  il numero dei collegi plurinominali da costituire è determinato con il metodo dei quozienti interi e dei più alti resti in proporzione al numero di seggi assegnati alla circoscrizione (come previsto dall’art. 56 Cost. e dall’art. 4, comma 1, lett. b);

§  la popolazione di ciascun collegio non si scosta dalla media della popolazione dei collegi della circoscrizione di più del 20 per cento in eccesso o in difetto (art. 4, comma 1, lett. b);

§  è assicurata la continuità del territorio di ciascun collegio, salvo il caso in cui il territorio stesso comprenda porzioni insulari (art. 4, comma 1, lett. c) e tenuto conto dell’ordine di priorità nell’applicazione dei princìpi per la determinazione del territorio dei collegi indicato dall’art. 4, comma 1, lett. e);

§  con riferimento al Trentino-Alto Adige, sono previsti otto collegi uninominali (determinati in base all’art. 7 della legge 277/1993 e la previsione di cui all’art. 4, comma 1, lett. f), tali da assicurare che il territorio di nessun collegio sia compreso in più di una circoscrizione provinciale;

§  nei collegi plurinominali individuati nel decreto legislativo è rispettato il criterio dell’integrità comunale, salvo i comuni di dimensioni demografiche tali da dover essere divisi (Torino, Milano, Roma e Napoli).

 

Il decreto legislativo 122/2015 reca altresì una previsione relativa alle sezioni elettorali che concerne i casi in cui – alla luce della nuova delimitazione territoriale dei collegi – le sezioni interessino ora due o più collegi plurinominali: in tale caso il testo stabilisce che si intendono assegnate al collegio plurinominale nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio elettorale di sezione.


 

Il sistema elettorale per il Senato della Repubblica dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014 (c.d. Consultellum)

 

 

Il 'Consultellum' (come il lessico giornalistico ha denominato il sistema elettorale risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014) è attualmente in vigore per il solo Senato (giacché per la Camera dei deputati è intervenuta la legge n. 52 del 2015, sulla quale ha peraltro inciso la Consulta con la sentenza del 25 gennaio 2017 – v. supra).

 

La declaratoria di incostituzionalità resa dalla sentenza n. 1 del 2014 della Corte costituzionale ha travolto solo alcune delle disposizioni della legge n. 270 del 2005: quelle relative all’attribuzione di un premio di maggioranza senza la previsione di una soglia ed alle liste (lunghe) 'bloccate'.

Per la restante parte, la legge del 2005 'sopravvive' al giudizio della Corte.

 

Il cd. "Consultellum" è dunque la legge n. 270 del 2005, cui è stato tolto qualcosa - il premio di maggioranza; la configurazione delle liste come 'bloccate' - ed è stato aggiunto qualcosa - l'espressione di un voto di preferenza.

La normativa residua è idonea - la Corte ha ritenuto in tale sentenza - a garantire il rinnovo, in ogni momento, dell'organo costituzionalmente elettivo, conformemente alla connotazione delle leggi elettorali quali leggi costituzionalmente necessarie, ossia indispensabili per assicurare il funzionamento e la continuità degli organi costituzionali. La normativa residua stabilisce un meccanismo di trasformazione dei voti in seggi, che consente l’attribuzione di tutti i seggi, in relazione a circoscrizioni elettorali che rimangono immutate.

 

In questo paragrafo non ci si sofferma su due profili che quella medesima sentenza della Corte costituzionale (n. 1 del 2014) pur ribadiva.

Ossia che "la determinazione delle formule e dei sistemi elettorali costituisce un ambito nel quale si esprime con un massimo di evidenza la politicità della scelta legislativa".

Ed insieme: un sistema elettorale per il Senato (che la Costituzione prevede eletto "su base regionale"), che sia strutturato in modo da produrre come effetto di "rovesciare il risultato ottenuto dalle liste o coalizioni di liste su base nazionale, favorendo la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti nei due rami del Parlamento, pur in presenza di una distribuzione del voto nell'insieme sostanzialmente omogenea", risulterebbe costituzionalmente illegittimo, lesivo dei princìpi di proporzionalità e ragionevolezza (compromettendo sia il funzionamento della forma di governo parlamentare, nella quale il Governo deve avere la fiducia delle due Camere - art. 94, primo comma, Cost. - sia l’esercizio della funzione legislativa, che l’art. 70 Cost. attribuisce alla Camera ed al Senato).

Questo secondo ordine di annotazioni fu svolto dalla Corte costituzionale con riferimento al premio di maggioranza su base regionale previsto dalla legge n. 270 del 2005, conseguendone "un meccanismo intrinsecamente irrazionale, in contrasto con lo scopo di assicurare la governabilità", mediante "una somma casuale dei premi regionali, che potrebbero finire per rovesciare il risultato ottenuto dalle liste o coalizioni di liste su base nazionale".

Il ‘Consultellum’

Per intendere il "Consultellum" - vigente per il solo Senato, giacché per la Camera dei deputati è poi intervenuta la legge n. 52 del 2015 (oggetto di vaglio da parte del giudice di costituzionalità – v. infra) - occorre dunque risalire alla disciplina posta per il Senato dalla legge n. 270 del 2005, o, più precisamente, risalire al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 ("Testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione del Senato della Repubblica"), nel testo risultante dalle modifiche ad esso apportate dalla legge n. 270 del 2005, espunte quelle oggetto della pronuncia di illegittimità costituzionale a seguito della sentenza della Corte costituzionale (ossia quel premio di maggioranza[1] e quelle 'liste bloccate'[2]), con l'aggiunta al contempo della (singola) preferenza.

 

La legge n. 270 del 2005 pose un sistema elettorale di tipo proporzionale, caratterizzato però dalla presenza di soglie di sbarramento, sia per le singole liste, sia per le coalizioni di liste.

Le circoscrizioni elettorali

Fatti salvi i sei seggi spettanti alla circoscrizione Estero, i seggi elettivi del Senato sono ripartiti tra liste di candidati concorrenti in ragione proporzionale mediante riparto nelle singole circoscrizioni regionali.

Vale rammentare che, per ciò che concerne le regioni Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige, sono previsti due sistemi elettorali ad hoc: la prima regione è costituita in unico collegio elettorale uninominale; la seconda regione è costituita in sei collegi uninominali, e per l’attribuzione della restante quota di seggi ad essa spettante si ricorre al recupero proporzionale.

L’attribuzione dei seggi è effettuata non in sede nazionale ma nell’ambito di ciascuna circoscrizione - coincidente con il territorio regionale - dal rispettivo ufficio elettorale regionale.

Le soglie di sbarramento

Nella legge 270/2005 trova applicazione un articolato sistema di soglie di sbarramento, che si applica su base regionale.

Sono previste soglie di sbarramento ad hoc per: le coalizioni e le singole liste collegate; le liste non coalizzate; le liste collegate in coalizioni complessivamente 'sotto soglia'.

In particolare sono ammesse al riparto:

1.        le coalizioni che abbiano ottenuto a livello regionale almeno il 20 per cento dei voti validi espressi, avendo al loro interno almeno una lista collegata che abbia conseguito almeno il 3 per cento dei voti validi espressi a livello regionale;

2.        le singole liste non coalizzate che abbiano ottenuto a livello regionale almeno l’8 per cento dei voti validi espressi;

3.        le liste facenti parte di coalizioni complessivamente 'sotto soglia', ma che abbiano ottenuto uti singulae sul piano regionale almeno l’8 per cento dei voti validi espressi.

 

È prevista una soglia anche a livello infra-coalizionale.

All’interno delle coalizioni 'sovra-soglia', infatti, sono ammesse al riparto le singole liste collegate che abbiano conseguito a livello regionale almeno il 3 per cento dei voti validi espressi.

Invero sorsero dubbi interpretativi circa l’operatività della soglia di sbarramento infra-coalizionale. La Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato sgombrò il campo da controversia, esplicitando (il 21 gennaio 2008) come la soglia operi anche all'interno della coalizione.

I voti delle singole liste che non superano la soglia infra-coalizionale contribuiscono comunque all’attribuzione di seggi alle liste collegate nella coalizione che abbia superato lo sbarramento del 20 per cento, con ciò alimentando una dotazione di seggi di liste non direttamente votate dall’elettore, delle quali quest’ultimo conosce tuttavia in anticipo il collegamento con la lista votata.

 

Le coalizioni e liste singole individuate dall’ufficio elettorale regionale come attributarie di seggi, in quanto 'sovra-soglia', concorrono tra loro al riparto.

In altri termini: ai fini del riparto, in una prima fase si prendono in considerazione le coalizioni nel loro complesso, al pari delle singole liste non coalizzate.

Indi i seggi sono ripartiti proporzionalmente, in sede regionale, fra le coalizioni e le liste singole che superino lo sbarramento.

Il riparto è effettuato con il sistema dei quozienti naturali (interi) e dei più alti resti.

 

 

 

Nel riquadro la descrizione delle operazioni elettorali.

 

Le relative operazioni elettorali possono così descriversi:

ü l’ufficio elettorale regionale divide la somma delle cifre elettorali circoscrizionali sia delle coalizioni sia delle liste singole ammesse al riparto per il numero complessivo dei seggi da attribuire nella Regione, ottenendo così il quoziente elettorale circoscrizionale. Nell’effettuare tale divisione non tiene conto dell’eventuale parte frazionaria del quoziente;

ü divide poi la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna coalizione o singola lista per tale quoziente. La parte intera del quoziente così ottenuto rappresenta il numero dei seggi da assegnare a ciascuna coalizione o lista;

ü i seggi che rimangono ancora da attribuire sono rispettivamente assegnati alle coalizioni o liste per le quali queste ultime divisioni abbiano dato i maggiori resti e, in caso di parità di resti, a quelle liste che abbiano conseguito la maggiore cifra elettorale nazionale; a parità di quest’ultima si procede a sorteggio.

Al riparto dei seggi assegnati a ciascuna coalizione tra le liste che ne fanno parte si provvede prendendo in considerazione – come si è detto – solo le liste che abbiano raggiunto la soglia del 3 per cento dei voti validi espressi.

A tal fine, l’ufficio elettorale regionale calcola il quoziente elettorale della coalizione dividendo il totale dei voti validi delle liste ammesse per i seggi spettanti alla coalizione. Quindi, attribuisce alle liste della coalizione i seggi sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.

 

 


 

 

Può essere utile, conclusivamente, un quadro riepilogativo delle diverse formule elettorali quali disegnate dalla legge del 2005 per il Senato della Repubblica:

 

1.            formula valevole per tutte le Regioni per cui non sia prevista una disciplina ad hoc: sistema proporzionale basato sui quozienti naturali ed i più alti resti;

2.            formula per la Valle d’Aosta: maggioritario uninominale nell’ambito del collegio unico;

3.            formula per il Trentino Alto Adige: sistema maggioritario (sei collegi uninominali[3]) + sistema proporzionale con metodo d’Hondt e scorporo (per il, o i, restanti seggi della Regione)[4];

4.            formula per la circoscrizione Estero (sei seggi)[5]: riparto proporzionale dei seggi fra liste concorrenti “non bloccate” - si possono esprimere uno o due voti di preferenza a seconda del numero di seggi assegnati alla ripartizione - sulla base del metodo dei quozienti naturali e dei più alti resti.

Il voto di preferenza

Vale aggiungere alcuni elementi circa la preferenza, istituto 'inedito' nello storia elettorale del Senato della Repubblica (ad eccezione, come si è detto, dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero).

Fino alla legge n. 270 del 2005, il Senato era eletto con sistema uninominale di collegio.

Quella legge ha segnato una cesura, introducendo anche per il Senato uno scrutinio di lista.

Sulla scorta di questa nuova configurazione, la Corte costituzionale ha potuto accompagnare alla declaratoria di incostituzionalità delle liste (lunghe) 'bloccate', la introduzione della preferenza (unica) nel sistema elettorale senatoriale.

Riguardo i risvolti applicativi - non marginali posta la innovazione costituita dalla preferenza unica nell'elezione del Senato - la Corte costituzionale ha affermato quanto segue.

"Per quanto riguarda la possibilità per l’elettore di esprimere un voto di preferenza, eventuali apparenti inconvenienti, che comunque «non incidono sull’operatività del sistema elettorale, né paralizzano la funzionalità dell’organo» (sentenza n. 32 del 1993), possono essere risolti mediante l’impiego degli ordinari criteri d’interpretazione, alla luce di una rilettura delle norme già vigenti coerente con la pronuncia di questa Corte: come, ad esempio, con riferimento alle previsioni, di cui [... all'art.] 17, comma 7, del d.lgs. n. 533 del 1993, che, nella parte in cui stabiliscono che sono proclamati eletti, nei limiti dei seggi ai quali ciascuna lista ha diritto, i candidati compresi nella lista medesima «secondo l’ordine di presentazione», non appaiono incompatibili con l’introduzione del voto di preferenza, dovendosi ritenere l’ordine di lista operante solo in assenza di espressione della preferenza; o, ancora, con riguardo alle modalità di redazione delle schede elettorali di cui [... all'art.] 11, comma 3, del d.lgs n. 533 del 1993, che, nello stabilire che nella scheda devono essere riprodotti i contrassegni di tutte le liste regolarmente presentate nella circoscrizione, secondo il fac-simile di cui agli allegati, non escludono che quegli schemi siano integrati da uno spazio per l’espressione della preferenza; o, quanto alla possibilità di intendere l’espressione della preferenza come preferenza unica, in linea con quanto risultante dal referendum del 1991, ammesso con sentenza n. 47 del 1991, in relazione alle formule elettorali proporzionali. Simili eventuali inconvenienti potranno, d’altro canto, essere rimossi anche mediante interventi normativi secondari, meramente tecnici ed applicativi della presente pronuncia e delle soluzioni interpretative sopra indicate. Resta fermo ovviamente, che lo stesso legislatore ordinario, ove lo ritenga, «potrà correggere, modificare o integrare la disciplina residua» (sentenza n. 32 del 1993)".

A detta della Corte dunque, "interventi normativi secondari, meramente tecnici ed applicativi" sono strumenti bastevoli per innestare la preferenza nella scheda elettorale per il Senato.

La scheda elettorale è riprodotta in fac-simile in allegato al decreto legislativo n. 533 del 1993 (come sostituita dalla legge n. 270 del 2005), ossia una fonte di rango primario.

Sembrerebbe dunque conseguire che la 'additività' della sentenza della Corte possa investire anche la configurazione grafica della scheda elettorale, rendendola suscettibile di integrazione in via meramente applicativa della medesima sentenza (quindi con un atto normativo secondario).

 

Si ricorda, in ogni caso, che il D. Lgs. n. 533/1993 (TU delle leggi recanti norme per l'elezione del Senato della Repubblica) non reca la disciplina relativa, in particolare, allo scrutinio ed alle modalità di attribuzione dei seggi conseguenti al voto con l’espressione delle preferenze.

A sua volta, giova ricordare che la norma di chiusura recata dall’art. 27 del citato TU per l’elezione del Senato prevede che “per l'esercizio del diritto di voto e per tutto ciò che non è disciplinato dal presente decreto si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del testo unico delle leggi per l'elezione della Camera dei deputati (DPR 361/1957)” che, a seguito delle modifiche apportate dalla legge 52/2015, prevede peraltro la possibilità per l’elettore di esprimere non una sola preferenza ma uno o due voti di preferenza (in caso di espressione della seconda preferenza, a pena di nullità della medesima, l’elettore deve scegliere un candidato di sesso diverso rispetto al primo).

Presentazione delle candidature

Con riferimento agli adempimenti cui sono chiamate le forze politiche che intendono presentare candidature per l’elezione del Senato, la disciplina posta dal Testo Unico riguardante il Senato (decreto legislativo n. 533 del 1993) rinvia alle norme dettate dal Testo Unico riguardante la Camera dei deputati (D.P.R. n. 361 del 1957) in tema di presentazione dei contrassegni e delle candidature, nonché di indicazione del leader e del programma.

I partiti o gruppi politici organizzati che presentano proprie liste possono, all’atto del deposito del contrassegno, collegarsi tra loro in coalizioni. Tale collegamento ha rilevanza ai fini delle soglie di sbarramento (v. supra).

Va peraltro tenuto presente che il TU (D.Lgs. 533 del 1993) rinvia, per la presentazione delle candidature, agli articoli 14, 14-bis, 15, 16 e 17 del DPR 361/1957 in cui, con le modifiche apportate dalla legge n. 52/2015, non è più prevista la possibilità per i partiti e gruppi politici di effettuare il collegamento in una coalizione di liste (si veda anche il paragrafo relativo agli Elementi di raffronto).

L’art. 8 del TU Senato prevede, in particolare, che i partiti o i gruppi politici che intendono presentare candidature per l’elezione del Senato devono depositare il contrassegno con cui intendono distinguere le candidature “con l’osservanza delle norme” di cui agli articoli 14, 14-bis, 15, 16 e 17 del DPR 361/1957.

 

È fatto obbligo a tutti i partiti o gruppi politici organizzati che intendano candidarsi "a governare" (a prescindere dall’eventuale collegamento in coalizioni) di depositare contestualmente al contrassegno il proprio programma elettorale, nel cui ambito deve essere dichiarato il nome e il cognome della persona indicata come “capo della forza politica”.

I partiti o gruppi politici organizzati collegati in coalizione devono dichiarare nella medesima occasione il nome della persona da loro indicata quale "unico capo della coalizione" (previsione, come si è detto, abrogata dalla legge n. 52/2015).

L’indicazione del leader è prevista beninteso senza pregiudizio delle prerogative del Capo dello Stato di cui all’art. 92, secondo comma, della Costituzione (potere presidenziale di nomina dei membri del Governo).

Ancora, la normativa vigente prevede che, a pena di nullità dell'elezione, nessun candidato possa accettare la candidatura contestuale alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica.

 

Parrebbe permanere la norma in base alla quale nessun candidato può essere incluso in liste con diversi contrassegni nella stessa o in altra circoscrizione, pena la nullità dell’elezione, anche se il TU Camera, cui l’art. 9, comma 5, del TU Senato rinvia, fa riferimento ai “collegi plurinominali”. Si pone dunque la questione della sua applicabilità alla disciplina per l’elezione del Senato.

Analogamente, circa l’inclusione del candidato in liste recanti lo stesso contrassegno in circoscrizioni diverse (cd. candidature multiple), essa è esclusa espressamente nei collegi uninominali, i quali permangono nel Trentino-Alto Adige (articolo 20-bis del decreto legislativo n. 533 del 1993). Per le altre Regioni, parrebbe suscettibile di approfondimento l’applicabilità del rinvio del decreto legislativo n. 533 del 1993 (cfr. suo articolo 9, comma 5) al d.P.R. n. 361 del 1957 (cfr. suo articolo 19) – alla luce delle modifiche apportate dalla legge n. 52 del 2015 - il quale prevede che "un candidato può essere incluso in liste con il medesimo contrassegno, in una o più circoscrizioni, solo se capolista e fino ad un massimo di dieci collegi plurinominali".

L’art. 9, comma 5, del TU Senato prevede, in particolare, che le liste dei candidati e la relativa documentazione sono presentate per ciascuna regione presso la cancelleria della corte d’appello o del tribunale sede dell’ufficio elettorale regionale, “con l’osservanza delle norme” di cui agli articoli 18-bis, 19, 20 e 21 del DPR 361/1957.

 

Invero, sulle candidature multiple la sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014 si era soffermata (peraltro con riferimento ad una normativa che non prevedeva espressione alcuna di un voto di preferenza), là dove essa lamentava che dalla legge n. 270 del 2005 la libertà di voto dell'elettore risultasse "compromessa, posto che il cittadino è chiamato a determinare l’elezione di tutti i deputati e di tutti senatori, votando un elenco spesso assai lungo (nelle circoscrizioni più popolose) di candidati, che difficilmente conosce. Questi, invero, sono individuati sulla base di scelte operate dai partiti, che si riflettono nell’ordine di presentazione, sì che anche l’aspettativa relativa all’elezione in riferimento allo stesso ordine di lista può essere delusa, tenuto conto della possibilità di candidature multiple e della facoltà dell’eletto di optare per altre circoscrizioni sulla base delle indicazioni del partito".

 

Il richiamo del TU Senato all’articolo 18-bis del TU Camera pone altresì la questione dell’applicabilità al Senato delle disposizioni per la parità di genere introdotte dalla legge n. 52/2015 (al citato art. 18-bis, comma 3). Occorre in ogni caso tener presente che la disposizione sul limite massimo del 60 per cento di candidati capolista dello stesso sesso, non risulterebbe in concreto applicabile, in quanto tale limite è riferito ai “collegi di ciascuna circoscrizione”, e che la disposizione sull’ordine alternato di genere nelle liste fa riferimento alle “liste nei collegi plurinominali”. Risulterebbe invece in concreto estensibile al sistema elettorale del Senato è la disposizione che prescrive il 50% di candidature per ciascun sesso sessi nel complesso delle candidature circoscrizionali di ciascuna lista.

 

La dichiarazione di presentazione delle liste deve essere sottoscritta:

a) da almeno 1.000 e da non più di 1.500 elettori iscritti nelle liste elettorali di Comuni compresi nelle Regioni fino a 500.000 abitanti;

b) da almeno 1.750 e da non più di 2.500 elettori iscritti nelle liste elettorali di Comuni compresi nelle Regioni con più di 500.000 abitanti e fino a 1.000.000 di abitanti;

c) da almeno 3.500 e da non più di 5.000 elettori iscritti nelle liste elettorali di Comuni compresi nelle Regioni con più di 1.000.000 di abitanti.

In caso di scioglimento del Senato della Repubblica che ne anticipi la scadenza di oltre centoventi giorni, il numero delle sottoscrizioni sopra ricordate è ridotto alla metà.

Nessuna sottoscrizione è altresì richiesta per i partiti o gruppi politici che abbiano effettuato le dichiarazioni di collegamento[6] con almeno due partiti o gruppi politici costituiti in Gruppo parlamentare in entrambe le Camere all'inizio della legislatura in corso e abbiano conseguito almeno un seggio in occasione delle ultime elezioni per il Parlamento europeo, con contrassegno identico a quello depositato.

Nessuna sottoscrizione è altresì richiesta per i partiti o gruppi politici rappresentativi di minoranze linguistiche che abbiano conseguito almeno un seggio in occasione delle ultime elezioni per la Camera dei deputati o per il Senato della Repubblica.

Ogni lista, all'atto della presentazione, è composta da un elenco di candidati, presentati secondo un determinato ordine. La lista è formata complessivamente da un numero di candidati non inferiore a un terzo e non superiore ai seggi assegnati alla circoscrizione.


 

Il voto degli italiani all’estero

 

 

Due leggi di revisione costituzionale[7] hanno previsto l’elezione da parte dei cittadini italiani residenti all’estero di sei senatori e di dodici deputati nell’ambito di una “circoscrizione Estero”.

La nuova disciplina costituzionale lascia invariato il numero complessivo di componenti delle due Camere. Il numero dei seggi da distribuire nelle circoscrizioni nazionali - detratti i seggi da assegnare nella circoscrizione Estero - risulta quindi ridotto e pari, rispettivamente, a 618 per la Camera e 309 al Senato.

L’art. 3 della L. cost. n. 1 del 2001 demanda alla legge ordinaria il compito di stabilire contestualmente le modalità per l’attribuzione dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero e le modificazioni delle norme per l’elezione delle Camere conseguenti alla variazione del numero dei seggi assegnati nel territorio nazionale. La legge 459/2001[8] (seguita, nel 2003, dal regolamento di attuazione[9]) ha attuato questa previsione costituzionale.

Elettorato attivo

Votano per l’elezione dei senatori e dei deputati da eleggere nella circoscrizione Estero i cittadini italiani iscritti nelle liste elettorali dei cittadini italiani residenti all’estero. La legge (L. 459/2001, art. 5, comma 1) prevede che le liste siano predisposte sulla base dell’elenco dei cittadini italiani residenti all’estero che il Governo deve realizzare unificando i dati dell’anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE, tenuti dai comuni) e quelli degli schedari consolari (anch’essi contenenti i nominativi dei cittadini residenti all’estero). Ai sensi dell’art. 5, co. 8, D.P.R. 104/2003, entro il 60° giorno antecedente la data delle votazioni in Italia, il Ministero dell’interno comunica in via informatica al Ministero degli affari esteri l’elenco provvisorio dei residenti all’estero aventi diritto al voto, ai fini della successiva distribuzione in via informatica agli uffici consolari per gli adempimenti previsti dalla legge.

La legge consente tuttavia che gli elettori residenti all’estero possano anche esercitare, in occasione di ogni consultazione per l’elezione della Camera e del Senato, l’opzione per il voto in Italia (L. 459/2001, art. 1, comma 3). In questo caso i cittadini votano nel comune presso il quale sono iscritti come cittadini italiani all’estero.

La legge 52/2015 ha esteso anche ai cittadini temporaneamente all'estero per motivi di studio, lavoro o cure mediche e agli elettori appartenenti alle Forze armate ed alle Forze di polizia, impegnati nelle missioni internazionali, la facoltà di votare per corrispondenza nella circoscrizione Estero.

Distribuzione dei seggi tra le ripartizioni

Per l'elezione sia dei senatori, sia dei deputati, la legge individua nell’ambito della circoscrizione Estero quattro ripartizioni, comprendenti gli Stati e i territori afferenti a:

a) Europa, compresi i territori asiatici della Federazione russa e della Turchia;

b) America meridionale;

c) America settentrionale e centrale;

d) Africa, Asia, Oceania e Antartide.

 

In ciascuna di tali ripartizioni è eletto almeno un senatore e un deputato, mentre gli altri due seggi per il Senato e gli altri otto per la Camera sono distribuiti tra le stesse ripartizioni in proporzione al numero dei cittadini italiani che vi risiedono, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti (L. 459/2001, art. 6).

Elettorato passivo e presentazione delle candidature

Possono candidarsi per l’elezione dei senatori e dei deputati da eleggere all’estero esclusivamente i cittadini italiani che siano residenti ed elettori in una delle ripartizioni in cui è suddivisa la circoscrizione Estero (L. 459/2001, art. 8, comma 1, lett. b).

La presentazione delle candidature sia per i senatori, sia per i deputati, avviene per liste. Le liste devono essere presentate per ciascuna delle ripartizioni della circoscrizione e devono essere sottoscritte da almeno 500 e da non più di 1000 elettori residenti nella relativa ripartizione (L. 459/2001, art. 8, comma 1, lett. a) e c).

Si applicano inoltre le disposizioni che prevedono l’esenzione dalla presentazione delle sottoscrizioni o la loro riduzione previste in generale per l’elezione della Camera.

Le liste devono essere formate da un numero di candidati almeno pari al numero di seggi da assegnare alla ripartizione e non superiore al doppio di esso. Nessun candidato può essere incluso in più liste, anche se con il medesimo contrassegno (L. 459/2001, art. 8, comma 3).

Più partiti o gruppi possono presentare liste comuni, contrassegnate da un simbolo composito (L. 459/2001, art. 8, comma 2).

Modalità di espressione del voto

Il voto per i senatori e per i deputati da eleggere all’estero si esercita per corrispondenza (L. 459/2001, art. 1, comma 2).

Non oltre il 18° giorno antecedente la data delle votazioni in Italia, gli uffici consolari inviano agli elettori ammessi al voto per corrispondenza, un plico contenente il certificato elettorale, la scheda elettorale e la relativa busta e una busta affrancata recante l’indirizzo dell’ufficio consolare competente. Il plico contiene anche un foglio con le indicazioni delle modalità per l'espressione del voto e le liste dei candidati nella ripartizione di appartenenza (L. 459/2001, art. 12, comma 3).

L’elettore vota tracciando un segno sul contrassegno corrispondente alla lista prescelta o comunque sul rettangolo che lo contiene. Ciascun elettore può esprimere due voti di preferenza nelle ripartizioni alle quali sono assegnati due o più deputati o senatori e un voto di preferenza nelle altre (L. 459/2001, art. 11, comma 3).

Una volta espresso il proprio voto sulla scheda elettorale, l'elettore introduce nell'apposita busta la scheda o le schede elettorali, sigilla la busta, la introduce nella busta affrancata unitamente al tagliando staccato dal certificato elettorale comprovante l'esercizio del diritto di voto e la spedisce all’ufficio consolare non oltre il decimo giorno precedente la data stabilita per le votazioni in Italia (L. 459/2001, art. 12, comma 6).

Attribuzione dei seggi

L’attribuzione dei seggi ha luogo con criterio proporzionale e nell'ambito di ciascuna delle quattro ripartizioni in cui è suddivisa la circoscrizione Estero. Essa segue il medesimo procedimento per l'elezione sia dei senatori, sia dei deputati (L. 459/2001, art. 15).

L’Ufficio centrale per la circoscrizione Estero determina per ognuna delle ripartizioni la cifra elettorale di ciascuna lista. Tale cifra è data dalla somma dei voti validi ottenuti nell’ambito della ripartizione. In secondo luogo l’Ufficio determina la cifra elettorale individuale di ciascun candidato, che risulta dalla somma dei voti di preferenza conseguiti dal candidato nella ripartizione.

L’Ufficio divide quindi la somma delle cifre elettorali di tutte le liste presentate nella ripartizione per il numero di seggi da assegnare in tale ambito; la cifra elettorale di ciascuna lista viene poi divisa per il quoziente ottenuto dall’operazione precedente. La parte intera del risultato di tale divisione rappresenta il numero di seggi da assegnare a ciascuna lista. I seggi che rimangono eventualmente ancora da attribuire sono assegnati alle liste per le quali le divisioni abbiano dato i maggiori resti e, in caso di parità di resti, alla lista con la più alta cifra elettorale.

L’Ufficio elettorale proclama quindi eletti in corrispondenza dei seggi attribuiti a ciascuna lista, i candidati della lista stessa secondo l'ordine dei voti di preferenza conseguiti. A parità di voti sono proclamati eletti coloro che precedono nell'ordine della lista.

Vacanza dei seggi

Nel caso in cui un seggio rimanga vacante, per qualsiasi causa, anche sopravvenuta, esso è attribuito, nell'àmbito della medesima ripartizione, al candidato che nella lista segue immediatamente l'ultimo degli eletti nella graduatoria dei voti di preferenza o, in assenza di questi, nell'ordine della lista (L. 459/2001, art. 16).


 


Parte II: Il dibattito parlamentare nella XVII legislatura e le sentenze della Corte costituzionale

L’avvio dell’esame parlamentare al Senato

Nella seduta dell'8 agosto 2013, l'Assemblea del Senato ha approvato all'unanimità la deliberazione con la quale si chiedeva la dichiarazione d'urgenza, ai sensi dell'articolo 77 del Regolamento, in ordine ai disegni di legge in materia elettorale[10].

Nello stesso giorno la 1a Commissione del Senato ha avviato la discussione generale e la relatrice sen. Finocchiaro ha esposto il contenuto dei suddetti disegni di legge. La discussione è proseguita nelle sedute successive con l'illustrazione delle posizioni delle diverse forze politiche intorno alle principali questioni: la necessità di una riforma della legge elettorale 'provvisoria' in attesa delle riforme costituzionali; l'individuazione degli aspetti problematici dell'attuale sistema elettorale (premio di maggioranza e, quindi, costituzione di maggioranze omogenee alla Camera e al Senato; rapporto tra elettori ed eletti); la validità e fattibilità di un ritorno al sistema elettorale previgente, la cosiddetta legge Mattarella.

Nella seduta della 1a Commissione del 17 settembre 2013 è intervenuto il sottosegretario per l'interno Bocci in merito alla richiesta avanzata dalla Commissione di riferire sugli aspetti tecnici di una possibile nuova delimitazione delle circoscrizioni ed, eventualmente, di una revisione dei collegi elettorali. Il Sottosegretario ha differenziato le problematiche connesse con l'eventuale necessità di riformare le circoscrizioni elettorali di dimensioni medio grandi (nell'ambito di un sistema elettorale proporzionale, anche se con premio di maggioranza) da quella, invece, di dover ridisegnare circoscrizioni elettorali di piccole dimensioni per un sistema in tutto, o in parte, uninominale come era il precedente sistema. Nel primo caso, infatti, la delimitazione non porrebbe particolari problemi, la legge stessa potrebbe individuare ambiti territoriali non molto ridotti, delimitati – ad esempio - dai confini provinciali o di più province. Nel secondo caso, invece, si deve tenere conto della circostanza che (anche mantenendo fermo il numero di collegi allora previsti) la delimitazione dei collegi uninominali predisposti nel 1993 risulta del tutto inutilizzabile, considerati i rilevantissimi mutamenti demografici registrati con i censimenti. Nel caso si presentasse la necessità di ridisegnare collegi uninominali, perciò, oltre a prevedere un congruo periodo di tempo, sarebbe auspicabile riproporre una procedura simile a quella seguita nel 1993, che – oltre a prevedere la formulazione delle proposte da parte di una Commissione di esperti - ha consentito la partecipazione delle Camere all’iter di approvazione dei provvedimenti, coinvolgendo opportunamente anche i consigli regionali e quelli delle province autonome.

Successivamente, il 25 settembre, si sono svolte audizioni informali, quindi nella seduta del 26 settembre è intervenuto l’allora Ministro per le riforme costituzionali Gaetano Quagliarello che ha evidenziato i punti di convergenza emersi dal dibattito. Tra questi – oltre l'esigenza di un riequilibrio nella rappresentanza di genere – il Ministro ha ricordato la necessità di fissare una soglia minima per l'attribuzione del premio di maggioranza, di ridurre al massimo le disomogeneità nella composizione politica della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica e di consentire l'identificabilità degli eletti con un meccanismo alternativo a quello della lista bloccata e lunga. A tale proposito ha fatto presente che quello delle preferenze non è l'unico metodo per assicurare un maggiore collegamento tra elettori ed eletti e ha citato i sistemi elettorali in cui la scelta dell'elettore è rivolta a uno ovvero a pochi candidati, in modo tale che l'elettore possa verificare le scelte compiute dai partiti. Il Ministro è intervenuto infine sulla ipotesi di un turno di ballottaggio tra le coalizioni maggiori quando nessuna di esse raggiunga la soglia fissata o la maggioranza assoluta dei voti validi espressi (ipotesi contenuta in un progetto di legge che sarebbe stato presentato alla Camera da deputati del Gruppo di Scelta Civica per l'Italia), affermando che tale ipotesi possa essere considerata, a suo avviso, solo nel quadro di un mutato assetto costituzionale, poiché altrimenti configgerebbe con la composizione diversa del corpo elettorale attivo prevista dalla Costituzione per l'elezione delle due Camere.

L'8 ottobre è stato congiunto l'A.S. 1029 (Susta e altri, SCpI); i lavori della Commissione sono quindi proseguiti con audizioni informali.

 

Nella seduta del 24 ottobre 2013 i nuovi relatori, senatore Bruno e senatrice Lo Moro, hanno esposto l'ipotesi di lavoro concordata.

Questa vedeva per la Camera dei deputati, l'attribuzione del 20 per cento dei seggi con metodo proporzionale, senza voto di preferenza, su liste circoscrizionali di candidati nelle 26 circoscrizioni attuali e dell'80 per cento dei seggi con metodo proporzionale in ambito circoscrizionale, su liste di candidati in collegi plurinominali collegate reciprocamente con le liste circoscrizionali. I collegi plurinominali sarebbero stati tendenzialmente di ambito provinciale o sub-provinciale. Sulla modalità di elezione dei candidati nei collegi plurinominali, mentre il relatore Bruno propendeva per l'ordine di lista, la relatrice Lo Moro, sarebbe stata comunque favorevole all'introduzione della doppia preferenza. Anche al Senato, ogni regione, salvo la Valle d'Aosta, il Molise e il Trentino-Alto Adige, era suddivisa in collegi plurinominali.

In entrambe le Camere il premio di maggioranza (340 seggi alla Camera e 170 al Senato) era attribuito a livello nazionale alla lista o coalizione di liste circoscrizionali con il medesimo contrassegno che otteneva almeno il 40 per cento dei voti a livello nazionale. Al Senato, i seggi "incrementali" erano poi distribuiti tra le regioni e, in ambito regionale, tra i collegi plurinominali, in base alle cifre elettorali in ordine decrescente.

Lo schema di lavoro prevedeva inoltre norme sulla rappresentanza di genere e la definizione delle soglie di sbarramento, in entrambi i rami del Parlamento, a livello nazionale e differenziate in relazione all'appartenenza o meno ad una coalizione (per ciascuna lista almeno il 4 o 5 per cento dei voti ovvero il 2 o 3 per cento se in coalizione con altre) ma anche - ferme restando le norme sulle minoranze linguistiche - soglie di rappresenta 'regionale' (il 10 % in almeno in 5 circoscrizioni alla Camera, l'8 % in almeno cinque regioni al Senato o anche il 15 per cento in una sola regione).

Di seguito le questioni rimaste ancora aperte secondo quanto evidenziato  nell’illustrazione dei relatori:

§  il metodo di calcolo per l'attribuzione dei seggi, per il quale le opzioni sono il metodo dei quozienti interi e dei più alti resti (quoziente naturale) ovvero il metodo dei divisori d'Hondt;

§  in caso di mancata attribuzione del premio di maggioranza, sono state previste due opzioni: un secondo turno di votazioni tra le due liste o coalizioni che hanno ottenuto il maggior numero di voti (opzione proposta dalla relatrice Lo Moro) oppure un incremento di seggi alla lista o coalizione che ottiene, con la maggioranza dei voti, almeno il 35 per cento dei suffragi (opzione del relatore Bruno);

§  sempre con riferimento al premio di maggioranza, in relazione all'eventualità di esiti difformi tra Camera e Senato, veniva avanzata l'ipotesi che il premio non fosse attribuito né alla Camera né al Senato, sia nel caso in cui ne avessero diritto liste o coalizioni con diversi contrassegni; sia nel caso in cui una lista o coalizione ne avesse diritto in un solo ramo del Parlamento.

 

Nella seduta del 7 novembre sono stati presentati ordini del giorno: il primo, dei gruppi Partito democratico, Sel e Scelta civica, prevedeva un secondo turno di votazioni per l'attribuzione del premio di maggioranza tra le due coalizioni con maggiori consensi, qualora nessuna di esse raggiungesse, al primo turno, la maggioranza assoluta o almeno il 40 o 45 per cento dei voti o dei seggi (odg n. 1). Il secondo, della Lega Nord (odg n. 2), proponeva il ritorno al sistema elettorale precedente al 2005 (legge Mattarella).

Un terzo ordine del giorno (n. 3) è stato presentato dal gruppo Movimento 5 stelle nella seduta successiva (12 novembre): esso prevedeva che l'assegnazione dei seggi della Camera dei deputati avvenisse sulla base di circoscrizioni piccole, corrispondenti alle province e con la formula dei divisori (d'Hondt), senza recupero di resti a livello sovra circoscrizionale; poiché le formazioni di minori dimensioni sarebbero in tal modo sfavorite, il sistema avrebbe favorito le aggregazioni politiche. Quanto al Senato, si proponeva che le candidature avvenissero sulla base di circoscrizioni subregionali corrispondenti alle province, con assegnazione di seggi in ambito regionale e una formula ispirata a quella della legge elettorale belga, fondata sul metodo dei divisori, ma opportunamente corretto.

 

Nella seduta del 12 novembre è stato messo in votazione, e non approvato, l'ordine del giorno n. 1. Hanno votato a favore Pd, Misto-SEL e SCpI, mentre hanno votato contro Pdl, Lega e Gal con l’astensione del gruppo M5S e del gruppo Autonomie. La votazione sugli altri ordini del giorno è stata rinviata e la Commissione ha convenuto con la proposta del presidente di fissare una riunione dell'Ufficio di Presidenza il 20 novembre per stabilire la data in cui mettere in votazione gli ordini del giorno n. 2 e n. 3.

Nel corso della seduta è intervenuto il ministro Quagliariello che ha ricordato che il Governo si era pronunciato sull'ipotesi di un decreto-legge in materia elettorale, chiarendo che si tratta di un ambito che rientra strettamente nelle prerogative del Parlamento. Un'eventuale deroga, a suo avviso, determinerebbe conseguenze sistemiche nel rapporto tra Governo e Parlamento e incontrerebbe il limite della straordinarietà degli atti legislativi emanati dal Governo solo in presenza dei presupposti costituzionali di necessità e urgenza. Il Ministro ha inoltre rammentato che il Presidente del Consiglio ha precisato che l'ipotesi potrebbe essere presa in considerazione solo a fronte di uno specifico atto di indirizzo del Parlamento. Inoltre, ha precisato che analoghe obiezioni non sussisterebbero contro l'ipotesi di una proposta di legge di iniziativa governativa che, comunque, fino ad allora non era stata presa in considerazione.

 

Nella seduta del 20 novembre, non essendo stato raggiunto l’accordo in Ufficio di Presidenza sulla votazione dei restanti ordini del giorno, il seguito dell’esame fu rinviato.

Nella seduta del 28 novembre i relatori proposero di rinviare la votazione degli ordini del giorno, anche in attesa della pronuncia della Corte costituzionale.

 

Nella seduta del 4 dicembre è stato costituito un comitato ristretto, con il compito di riferire alla Commissione, entro il mese di gennaio, sulla possibilità di conseguire un consenso ampio su una proposta di riforma, con la conseguente predisposizione di un testo unificato. Sono stati quindi accantonati gli ordini del giorno n. 2 e n. 3.

 

Successivamente, l’esame della riforma del sistema elettorale si è svolto alla Camera, dopo il raggiungimento dell’intesa dei Presidenti dei due rami del Parlamento.

La sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014

Il 4 dicembre 2013, a seguito della rimessione di questione di costituzionalità da parte della I sezione civile della Corte di Cassazione (ordinanza 12060/2013), la Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità della legge elettorale n. 270 del 2005. La pronuncia è contenuta nella sentenza n. 1 del 2014, depositata il 13 gennaio.

 

Di seguito il testo del comunicato dell’Ufficio stampa della Corte costituzionale pubblicato il 4 dicembre 2013: “Incostituzionalità della Legge elettorale n. 270/2005.

La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme della legge n. 270/2005 che prevedono l’assegnazione di un premio di maggioranza – sia per la Camera dei Deputati che per il Senato della Repubblica – alla lista o alla coalizione di liste che abbiano ottenuto il maggior numero di voti e che non abbiano conseguito, almeno, alla Camera, 340 seggi e, al Senato, il 55% dei seggi assegnati a ciascuna Regione.

La Corte ha altresì dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme che stabiliscono la presentazione di liste elettorali “bloccate”, nella parte in cui non consentono all’elettore di esprimere una preferenza.

Le motivazioni saranno rese note con la pubblicazione della sentenza, che avrà luogo nelle prossime settimane e dalla quale dipende la decorrenza dei relativi effetti giuridici.

Resta fermo che il Parlamento può sempre approvare nuove leggi elettorali, secondo le proprie scelte politiche, nel rispetto dei principi costituzionali”.

 

L'ordinanza[11] con quale la Corte Suprema di Cassazione ha sollevato la questione di legittimità costituzionale di alcune disposizioni della allora vigente legge elettorale, ha riproposto all'attenzione del legislatore alcuni dei punti problematici del sistema elettorale già emersi nel dibattito politico e parlamentare e già rilevati anche in passato dalla Corte costituzionale.

Il giudizio ha origine nell’atto di citazione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero dell’Interno, presentato dall’avv. Aldo Bozzi in qualità di cittadino elettore al Tribunale civile di Milano nel novembre 2009, adducendo che le disposizioni della vigente legge elettorale gli avrebbero impedito l’esercizio libero e diretto del diritto di voto nelle elezioni del 2006 e del 2008, in contrasto con gli articoli 48, 56 e 58 della Costituzione.

Nell’atto di citazione, le previsioni della legge elettorale, che non consentono la scelta del singolo candidato da parte dell’elettore, che attribuiscono premi di maggioranza e che prevedono l’indicazione del capo di ciascuna lista o coalizione condizionando l’autonomia del Capo dello Stato, sono fatte oggetto di questioni incidentali di costituzionalità delle quali si chiede la rimessione alla Corte Costituzionale, motivando sul punto della rilevanza e non manifesta infondatezza.

Il Tribunale di Milano, con sentenza del 18 aprile 2011, ritenute manifestamente infondate le proposte eccezioni di illegittimità costituzionale, ha rigettato le domande dell’attore e dei cittadini successivamente intervenuti ad adiuvandum in giudizio.

L’appello successivamente proposto è stato rigettato dalla Corte di appello di Milano con la sentenza 24 aprile 2012 ed è stato conseguentemente presentato ricorso per Cassazione.

Nell’ordinanza depositata il 17 maggio 2013, la Corte di cassazione, preliminarmente dichiara la sussistenza dell’interesse ad agire dei ricorrenti, in quanto l’espressione del voto costituisce oggetto di un diritto inviolabile e permanente dei cittadini, “i quali possono essere chiamati ad esercitarlo in qualsiasi momento e devono poterlo esercitare in modo conforme alla Costituzione. Lo stato di incertezza al riguardo è fonte di un pregiudizio concreto e ciò è sufficiente per giustificare la meritevolezza dell’interesse ad agire in capo ai ricorrenti”.

Venendo alle questioni di legittimità costituzionale, la Corte ritiene non manifestamente infondate quelle concernenti l’attribuzione del premio di maggioranza e l’esclusione del voto di preferenza, mentre dichiara essere manifestamente infondata quella riguardante la menomazione dei poteri del Presidente della Repubblica.

 

In ordine all’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale, la Corte ha riconosciuto la plausibilità delle argomentazioni della Cassazione in ordine sia alla pregiudizialità delle questioni di legittimità costituzionale rispetto alla definizione del giudizio principale, sia alla rilevanza delle medesime.

 

Nell’affrontare il merito delle questioni sollevate dal giudice a quo, le censure della Corte si sono appuntate su due aspetti del sistema elettorale: il premio di maggioranza e le liste bloccate. Va precisato però che la sentenza specificamente esclude qualsiasi valutazione sui sistemi elettorali, maggioritari o proporzionali, in quanto non vi è "un modello di sistema elettorale imposto dalla Carta costituzionale" e vi è, pertanto, piena discrezionalità del legislatore nella scelta di singoli sistemi.

 

Nel vigente sistema elettorale proporzionale, il premio di maggioranza, come disciplinato per la Camera, secondo la Corte, “è foriero di una eccessiva sovra-rappresentazione della lista di maggioranza relativa, in quanto consente ad una lista che abbia ottenuto un numero di voti anche relativamente esiguo di acquisire la maggioranza assoluta dei seggi. In tal modo si può verificare in concreto una distorsione fra voti espressi ed attribuzione di seggi che, pur essendo presente in qualsiasi sistema elettorale, nella specie assume una misura tale da comprometterne la compatibilità con il principio di eguaglianza del voto”.

Questo meccanismo, che si aggiunge alle previsioni in materia di soglie per l’accesso al sistema proporzionale di attribuzione dei seggi, pur finalizzato al “legittimo obiettivo di favorire la formazione di stabili maggioranze parlamentari e quindi di stabili governi” non solo compromette, ma addirittura, secondo la Corte, rovescia “la ratio della formula elettorale prescelta dallo stesso legislatore del 2005, che è quella di assicurare la rappresentatività dell’assemblea parlamentare”. L’effetto che ne deriva è quello di “una eccessiva divaricazione tra la composizione dell’organo della rappresentanza politica, che è al centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di governo parlamentare prefigurati dalla Costituzione, e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto, che costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare, secondo l’art. 1, secondo comma, Cost.”. Questo effetto è incompatibile non solo con l’art. 1 Cost., ma anche con l’art. 67 Cost. che configura le Camere come “sedi esclusive della rappresentanza parlamentare” titolari di funzioni esclusivamente proprie, tra cui quella di revisione costituzionale.

In queste valutazioni la Corte inserisce la dirimente constatazione dell’assenza nella vigente legge elettorale di “una ragionevole soglia di voti minima per competere all’assegnazione del premio”: questa mancanza determina “un’alterazione del circuito democratico definito dalla Costituzione, basato sul principio fondamentale di eguaglianza del voto” stabilito dall’art. 48, secondo comma, Cost. Infatti, nei sistemi proporzionali, gli elettori hanno “la legittima aspettativa che non si determini uno squilibrio sugli effetti del voto, e cioè una diseguale valutazione del “peso” del voto “in uscita”, ai fini dell’attribuzione dei seggi, che non sia necessaria ad evitare un pregiudizio per la funzionalità dell’organo parlamentare”. A questo proposito, la sentenza richiama la recente pronuncia del Tribunale costituzionale tedesco del 25 luglio 2012, che ha dichiarato per la seconda volta di illegittimità della disciplina elettorale, ricordando che il sistema vigente in Germania ha il «carattere fondamentale di un sistema elettorale proporzionale», mentre l’attribuzione dei ‘mandati in eccedenza’ senza compensazioni può snaturare tale carattere del sistema, in contrasto con il principio di uguaglianza del voto e di pari opportunità per i partiti politici.

In definitiva, secondo la Corte costituzionale, il legislatore nel perseguire discrezionalmente l’obiettivo di rilievo costituzionale della stabilità del governo del Paese e dell’efficienza dei processi decisionali in ambito parlamentare deve rispettare il vincolo del minor sacrificio possibile degli altri interessi e valori costituzionalmente protetti, quali la sovranità popolare, l’uguaglianza anche del voto, la rappresentanza politica nazionale.

 

Per il Senato, l’attribuzione del premio è irragionevole per mancanza di una soglia minima di voti per conquistarlo “incidendo anche sull’eguaglianza del voto, in violazione degli artt. 1,secondo comma, 3, 48, secondo comma, e 67 Cost, già richiamati per le disposizioni relative alla Camera; inoltre, l’attribuzione su base regionale realizza “l’effetto che la maggioranza in seno all’assemblea del Senato sia il risultato casuale di una somma di premi regionali, che può finire per rovesciare il risultato ottenuto dalle liste o coalizioni di liste su base nazionale, favorendo la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti nei due rami del Parlamento, pur in presenza di una distribuzione del voto nell’insieme sostanzialmente omogenea”. Questo effetto, che rischia di compromettere il funzionamento della forma di governo parlamentare e l’esercizio della funzione legislativa delle Camere, risulta secondo la Corte lesivo degli stessi articoli della Costituzione sopra richiamati.

Quanto al meccanismo delle liste bloccate, la pronuncia evidenzia che, sia per la Camera che per il Senato, il voto dell’elettore ha ad oggetto una lista nella quale l’ordine dei candidati “è sostanzialmente deciso dai partiti”; inoltre, l'ampio numero dei candidati, in alcuni casi, è tale da renderli “difficilmente conoscibili dall’elettore stesso”. Se poi si tiene conto della possibilità di candidature multiple e della facoltà dell’eletto di optare per altre circoscrizioni sulla base delle indicazioni del partito, anche l’aspettativa dell’elettore che conti su un certo ordine di lista “può essere delusa”.

Queste caratteristiche della disciplina elettorale hanno l’effetto di escludere che l’elettore abbia margini di scelta, che invece “è totalmente rimessa ai partiti “, pur non essendo desumibili nel nostro ordinamento attribuzioni costituzionali ai medesimi partiti, i quali con la “presentazione di alternative elettorali” e con la “selezione dei candidati alle cariche elettive pubbliche” consentono di “raccordare il diritto, costituzionalmente riconosciuto ai cittadini, di associarsi in una pluralità di partiti con la rappresentanza politica”.

Secondo la Corte, questo sistema “ferisce la logica della rappresentanza” perché “alla totalità dei parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno della indicazione personale dei cittadini” e il rapporto di rappresentanza fra elettori ed eletti non si costituisce correttamente e direttamente: la coartazione della libertà di scelta degli elettori contraddice “il principio democratico, incidendo sulla stessa libertà del voto di cui all’art. 48 Cost.”.

La sentenza precisa che queste caratteristiche “rendono la disciplina in esame non comparabile né con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate solo per una parte dei seggi, né con altri caratterizzati da circoscrizioni elettorali di dimensioni territorialmente ridotte, nelle quali il numero dei candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire l’effettiva conoscibilità degli stessi e con essa l’effettività della scelta e la libertà del voto (al pari di quanto accade nel caso dei collegi uninominali)”.

 

La sentenza si sofferma sul carattere autoapplicativo della disciplina elettorale che risulta all’esito delle declaratorie di illegittimità: resta infatti un sistema proporzionale “depurato dell’attribuzione del premio di maggioranza; e le norme censurate riguardanti l’espressione del voto risultano integrate in modo da consentire un voto di preferenza” che assicura il rinnovo degli organi e del quale è impregiudicata la valutazione dell’opportunità e/o dell’efficacia.

La Corte non ha tuttavia scelto di indicare puntualmente le singole disposizioni di legge conseguentemente incostituzionali, ma si è limitata ad affrontare tre aspetti della disciplina di risulta. Il primo riguarda la disposizione che stabilisce che sono proclamati eletti, nei limiti dei seggi ai quali ciascuna lista ha diritto, i candidati compresi nella lista medesima «secondo l’ordine di presentazione»: essa non appare alla Corte incompatibile con l’introduzione del voto di preferenza, “dovendosi ritenere l’ordine di lista operante solo in assenza di espressione della preferenza”. Il secondo riguarda le disposizioni sulla redazione delle schede elettorali su cui devono essere riprodotti i contrassegni di tutte le liste regolarmente presentate nella circoscrizione: esse, secondo la Corte, non escludono che le schede siano integrate da uno spazio per l’espressione della preferenza. Il terzo aspetto riguarda il carattere unico della preferenza: tale carattere secondo la Corte risulta “in linea con quanto risultante dal referendum del 1991, ammesso con sentenza n. 47 del 1991, in relazione alle formule elettorali proporzionali”.

Comunque, il legislatore non solo potrà compiere “interventi normativi secondari, meramente tecnici ed applicativi” della sentenza per risolvere altri “simili eventuali inconvenienti” ma, “ove lo ritenga, potrà correggere, modificare o integrare la disciplina residua”.

 

La pronuncia infine chiarisce la questione degli effetti della declaratoria di illegittimità sugli organi parlamentari in funzione, specificando che, sia in conseguenza della speciale retroattività delle dichiarazioni di illegittimità che colpiscono solo i rapporti pendenti e non quelli già chiusi, sia per il principio della continuità dello Stato, in particolare dei suoi organi costituzionali, essi si produrranno solo “in occasione di una nuova consultazione elettorale” e non toccheranno “gli atti posti in essere in conseguenza di quanto stabilito durante il vigore delle norme annullate, compresi gli esiti delle elezioni svoltesi e gli atti adottati dal Parlamento eletto”.

 

I precedenti moniti della Corte costituzionale sul premio senza soglia. L'assenza di una soglia minima per l'assegnazione del premio di maggioranza era stata oggetto di tre sentenze della Corte costituzionale, in cui la Corte ha segnalato «al Parlamento l'esigenza di considerare con attenzione gli aspetti problematici di una legislazione che non subordina l'attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e/o di seggi» (sentenza n. 15/2008, sulla legge elettorale della Camera, sentenza n. 16/2008, sulla legge elettorale del Senato; sentenza n. 13/2012, su entrambi i rami del Parlamento, che richiama le precedenti sentenze).

Le sentenze sono state tutte emesse a conclusione di giudizi di ammissibilità dei referendum in materia elettorale, in cui erano state sollevate questioni relative alla costituzionalità della legge elettorale con riferimento all'assenza della soglia per conseguire il premio di maggioranza.

Dopo aver richiamato la propria costante giurisprudenza che esclude che in sede di controllo di ammissibilità dei referendum possano venire in rilievo profili di incostituzionalità sia della legge oggetto di referendum sia della normativa di risulta, la Corte ha sentito il «dovere di segnalare al Parlamento» gli aspetti problematici della normativa elettorale.

 

Il 27 febbraio 2014, il Presidente della Corte costituzionale, nel corso della relazione sulla giurisprudenza del 2013 e con riferimento alla sentenza n.1 del 2014, ha rilevato che "la legge elettorale deve prevedere un meccanismo di trasformazione dei voti in seggi che, pur assicurando la necessaria rappresentanza alle diverse articolazioni della società civile, miri a rendere possibile la formazione di governi stabili, fondati su maggioranze non fluttuanti".

Ne consegue che, "in materia elettorale, pertanto, l'arco delle scelte del legislatore è molto ampio, a condizione che non venga irragionevolmente alterato il rapporto di proporzionalità, e quindi l'equilibrio tra rappresentanza e governabilità, realizzabile con plurimi strumenti, tutti costituzionalmente compatibili, a condizione che l'una o l'altra non subiscano riduzioni così drastiche da mettere in pericolo le condizioni minime di democraticità del sistema o della sua possibilità di funzionamento".

Il Presidente della Consulta avverte che "si tratta –in questo e in tutti gli altri casi prospettabili – di un equilibrio dinamico, giacché la Costituzione non si limita a preservare l'essenza della proiezione rappresentativa, in una visione statica di mero rispecchiamento delle proporzioni tra i vari gruppi politici esistenti nella società civile, ma è protesa a rendere efficace ed attuabile l'indirizzo politico del Governo e della maggioranza parlamentare, vero motore del sistema, come emerge dagli artt. 92 ss. della stessa Costituzione".

L’approvazione della legge n. 52 del 2015

Il 5 dicembre 2013, a seguito della pronuncia della Consulta (sentenza 1/2014), la Conferenza dei presidenti di gruppo della Camera dei deputati ha convenuto, sulla base della dichiarazione di urgenza deliberata presso la stessa Camera, all'unanimità, il 31 luglio 2013, di richiedere l'iscrizione all'ordine del giorno della I Commissione dei progetti di legge in tema di modifica della legge elettorale. Questa delibera era basata sull'obiettivo di attivare possibili intese con il Senato circa la priorità dell'esame dei provvedimenti tra le due Camere.

 

Quindi, il 10 dicembre, la I Commissione della Camera ha iniziato l'esame di diverse proposte di legge e di tre petizioni popolari in materia elettorale (A.C. 3 ed abb.), con riserva di proseguirlo una volta definita la procedura delle intese con l'altro ramo del Parlamento[12].

 

Il 12 dicembre, con un comunicato stampa congiunto, i Presidenti dei due rami del Parlamento hanno comunicato la raggiunta intesa sul passaggio della materia elettorale alla Camera e, allo stesso tempo, hanno convenuto sull'esigenza, "anche ai fini di un'equilibrata condivisione dell'impegno riformatore, che il Senato abbia la priorità nell'esame dei progetti di legge di riforma costituzionale già presentati e preannunciati, in particolare quelli concernenti il superamento del bicameralismo paritario e per l'avvio di un più moderno ed efficiente bicameralismo differenziato".

 

Il 9 gennaio 2014, l'Ufficio di Presidenza della I Commissione della Camera ha quindi concordato di svolgere un ciclo di audizioni di esperti da concludere entro il 17 gennaio. Il 22 gennaio 2014 il relatore e Presidente della I Commissione ha presentato una proposta di testo unificato e il 24 gennaio la Commissione ha adottato come testo base per il seguito dell'esame la nuova proposta di testo unificato del relatore. Il 28 gennaio la Commissione ha quindi iniziato la discussione sul complesso degli emendamenti presentati il giorno precedente. Il 30 gennaio la Commissione ha dato mandato al relatore di riferire favorevolmente all'Assemblea che ha iniziato l'esame il giorno stesso.

 

Nella seduta dell'11 marzo l'Assemblea ha deliberato lo stralcio dell'articolo 2 relativo al sistema di elezione del Senato della Repubblica e ha approvato gli emendamenti della Commissione relativi alla formula elettorale. Il giorno seguente l'Assemblea ha approvato il testo.

 

Il 18 novembre la 1a Commissione del Senato ha iniziato l’esame in sede referente del testo trasmesso dalla Camera (A.S. 1385) per interromperlo il 17 dicembre senza pervenire al conferimento del mandato al relatore, stante l’alto numero di emendamenti presentati.

L’esame dell’Assemblea del Senato ha preso avvio il 19 dicembre 2014 e si è concluso il 27 gennaio 2015 con l’approvazione di un testo modificato (A.C. 3 e abb. bis-B)[13].

Il 28 aprile 2015 il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento Boschi ha posto la questione di fiducia sull'approvazione degli articoli 1, 2 e 4 della proposta di legge nel testo della Commissione identico a quello modificato dal Senato. Con distinte votazioni sono state approvate le questioni di fiducia sugli articoli 1 (il 29 aprile 2015), 2 e 3 (30 aprile 2015).

Infine, il 4 maggio 2015 la Camera ha approvato definitivamente il provvedimento.

La legge 6 maggio 2015, n. 52, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 105 del 8 maggio 2015.

Successivamente, con il decreto legislativo 7 agosto 2015, n. 122, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, sono stati determinati i collegi plurinominali.

La sentenza della Corte costituzionale del 25 gennaio 2017

Il 25 gennaio 2017 la Corte costituzionale si è pronunciata sulle questioni di legittimità costituzionale della legge elettorale n. 52 del 2015, sollevate da cinque diversi Tribunali ordinari. Nel comunicato della Corte costituzionale si rileva che "la Corte ha rigettato la questione di costituzionalità relativa alla previsione del premio di maggioranza al primo turno, sollevata dal Tribunale di Genova, e ha invece accolto le questioni, sollevate dai Tribunali di Torino, Perugia, Trieste e Genova, relative al turno di ballottaggio, dichiarando l'illegittimità costituzionale delle disposizioni che lo prevedono.

Ha inoltre accolto la questione, sollevata dagli stessi Tribunali, relativa alla disposizione che consentiva al capolista eletto in più collegi di scegliere a sua discrezione il proprio collegio d'elezione. A seguito di questa dichiarazione di incostituzionalità, sopravvive comunque, allo stato, il criterio residuale del sorteggio previsto dall'ultimo periodo, non censurato nelle ordinanze di rimessione, dell'art. 85 del d.p.r n. 361 del 1957.

Ha dichiarato inammissibili o non fondate tutte le altre questioni.

All'esito della sentenza, la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione".

 


Parte III: L’evoluzione normativa dei sistemi elettorali

Dal sistema proporzionale al maggioritario misto (la c.d. legge Mattarella)

Il sistema proporzionale

Dal 1948, per oltre quaranta anni, il Parlamento nazionale è stato eletto con sistema proporzionale.

Per la Camera dei deputati, il sistema prevedeva l'attribuzione dei seggi a liste di candidati concorrenti nelle 32 circoscrizioni in cui era, allora, suddiviso il territorio nazionale. Come avviene attualmente, a norma del DPR 361/1957, a ciascuna circoscrizione era attribuito un numero di seggi variabile sulla base della popolazione registrata nell’ultimo censimento generale.

I partiti e i gruppi politici organizzati presentavano nelle circoscrizioni, liste di candidati distinguendole medianti appositi contrassegni da depositare presso il Ministero dell’interno.

Una prima assegnazione dei seggi alle liste veniva fatta in ambito circoscrizionale, con il metodo del quoziente corretto (dato dal totale dei voti validi nella circoscrizione diviso i seggi da assegnare più due) attribuendo a ciascuna lista tanti seggi quanti quozienti interi fossero contenuti nella cifra elettorale della lista. I seggi non assegnati nella circoscrizione confluivano nel collegio unico nazionale e venivano ripartiti tra le liste - con il metodo del quoziente intero e dei maggiori resti – tra le liste che avessero ottenuto nella circoscrizione almeno un quoziente.

L'elettore esprimeva il voto per una lista e poteva indicare tre o quattro voti di preferenza per singoli candidati, secondo che i deputati da eleggere nella circoscrizione fossero più o meno di 15.

Si ricorda che le 32 circoscrizioni, di grandezza disomogenea, erano composte prevalentemente da più province della medesima regione, ad eccezione della provincia di Trieste, che costituiva da sola la circoscrizione (o collegio) XXXII, della provincia di Belluno, inclusa nella circoscrizione XI (Friuli) con Udine e Gorizia, e della provincia di Rieti, inclusa nella circoscrizione XVIII (Umbria) con Perugia e Terni.

 

Il sistema per l'elezione del Senato era formalmente diverso, ma di fatto ugualmente proporzionale. In ciascuna regione erano costituiti tanti collegi uninominali quanti dovevano essere i senatori da eleggere[14], il collegio era attribuito al candidato che otteneva più del 65 % dei voti validi del collegio. I seggi non attribuiti nei collegi perché nessun candidato aveva raggiunto il quorum erano attribuiti, nell'ambito della regione, ai gruppi di candidati che si fossero presentati con il medesimo contrassegno, con il metodo dei divisori d'Hondt.

Solo nella elezione del 1948 i seggi ottenuti con il quorum superano la decina (14 la DC e 1 il PPTS_SVP), si dimezzano già nel 1953 e nelle elezioni del 1968, 1972 e 1976 sono solo 2, di cui 1 sempre ottenuto dall'SVP e l'altro dalla DC (ad eccezione del '72 dove entrambi sono ottenuti dalla DC) fino alle ultime quattro elezioni in cui è solo l'SVP ad ottenere un seggio (o 2 nel 1992) con il quorum.

La quasi totalità dei seggi è stata perciò sempre assegnata con il metodo proporzionale in ambito regionale. Proprio per tale ragione, peraltro, già a partire dal 1948 (e su tale prassi è stata data conferma legislativa dalla L. 64/1958) non si è più proceduto alla ridefinizione dei collegi uninominali di ciascuna regione in modo da rendere il loro numero pari a quello dei senatori di volta in volta assegnati alla regione medesima in relazione alle variazioni di popolazione di questa. Il numero dei collegi uninominali in cui risultavano divise le regioni è pertanto rimasto fermo alla cifra stabilita nel 1948 (238 collegi), mentre il numero dei senatori da eleggere (a partire dal 1963, quando viene introdotto il numero fisso di 315) è superiore di 77 unità a tale cifra. Per tale motivo, a ciascuna regione erano assegnati un numero di senatori maggiore rispetto a quello dei collegi uninominali in cui risultava suddivisa (c.d. seggi "fuori quota").

La legge elettorale del 1953

Al sistema elettorale della Camera, sopra descritto, fu apportata una notevole modifica con la legge 31 marzo 1953, n. 148, che attribuiva un premio di maggioranza alle liste collegate tra loro che, in tutto il territorio nazionale, avessero raccolto la metà più uno del totale dei voti validi attribuiti a tutte le liste. Il premio di maggioranza consisteva nell’attribuzione di 380 seggi alla coalizione vincente. Nel caso in cui nessuna coalizione superasse la metà dei voti validi, si prevedeva il riparto in maniera proporzionale con il sistema previgente.

Le elezioni politiche del 7 giugno 1953 si svolsero per il Senato con il sistema delle elezioni precedenti e per la Camera con la nuova normativa. Le forze politiche della coalizione vincente ottennero poco meno del 50 per cento dei voti validi non usufruendo così del premio di maggioranza ed annullando gli effetti della legge. Questa successivamente venne abrogata con la legge 31 luglio 1954, n. 615, ripristinando in ogni sua parte il sistema elettorale precedente.

Dai referendum alla legge Mattarella

Con l'evoluzione del sistema politico, sul finire degli anni ottanta, emergono i due principali aspetti problematici del sistema.

La difficoltà di formare una maggioranza politica stabile e la tendenza del sistema politico verso un sistema elettorale maggioritario, troverà espressione prima nella legislazione elettorale degli enti locali con l'elezione diretta del Sindaco e del Presidente della Provincia, poi nel referendum popolare sulla legge del Senato, cui seguirà l'approvazione delle leggi 276 e 277 del 1993 con le quali viene modificato il sistema di elezione del Senato e della Camera in senso maggioritario.

L'altra questione concerne il rapporto tra eletti e territorio. Il sistema delle preferenze plurime alla Camera, inizialmente pensato come ampia possibilità di scelta da parte dell'elettore, nell'ambito di liste di candidati composte anche da 54 candidati (la XIX circoscrizione: Roma, Viterbo, Latina, Frosinone), è accusato da molti di essere un sistema di controllo del voto. La richiesta di referendum abrogativo delle disposizioni che consentono all'elettore di esprimere tre o quattro voti di preferenza è l'unico quesito, nel 1991, ad essere ammesso dalla Corte costituzionale.

Il referendum del 1991 sulle preferenze

Tra febbraio e marzo del 1990 vennero presentate, presso la cancelleria della Corte di Cassazione, tre richieste di referendum abrogativo in materia elettorale per le quali vennero raccolte e depositate (il 2 agosto 1990) le sottoscrizioni prescritte.

Le tre richieste riguardavano:

§  l'abrogazione di alcune disposizioni della L. 6 febbraio 1948, n. 29, Norme per la elezione del Senato della Repubblica (abolizione del quorum del 65% dei votanti per risultare eletti nel collegio uninominale);

§  l'abrogazione parziale degli del D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, Approvazione del Testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati (riduzione del numero delle preferenze);

§  l'abrogazione di alcune disposizioni del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali (estensione a tutti i comuni del sistema maggioritario allora vigente per l’elezione dei consigli comunali con meno di 5.000 abitanti).

 

Delle tre richieste referendarie solamente la seconda passava al vaglio della Corte costituzionale che dichiarava inammissibile le altre (sentenza 17 gennaio 1991, n. 47).

In particolare, la richiesta dichiarata ammissibile interessava le norme della legge elettorale della Camera che prevedevano la possibilità degli elettori di esprime più di un voto di preferenza (DPR 361/1957, artt. 4, 58, 59, 60, 61, 68 e 76).

 

La consultazione referendaria si svolse il 9 e 10 giugno 1991 ed ebbe un consenso molto ampio. Parteciparono al voto 29.609.635 elettori, pari 62,5 % degli aventi diritto e i voti favorevoli all'abrogazione furono 26.896.979, pari al 95,5 % dei voti validi.

 

Il 5 aprile 1992 si svolsero le elezioni politiche, le prime (ed uniche) con la possibilità di esprimere una sola preferenza alla Camera.

La nuova legislazione elettorale per gli enti locali

Il 25 marzo 1993 viene approvata la legge (n. 81/1993) che modifica il sistema elettorale di comuni e province in senso maggioritario e dispone l'elezione diretta del sindaco e del presidente della provincia. I rispettivi consigli sono eletti contestualmente e, qualora il sindaco o il presidente della provincia cessi dalla carica per qualsiasi motivo, il consiglio è sciolto e si torna alle urne.

 

L’elezione del sindaco e del consiglio comunale avviene con sistema integralmente maggioritario e votazione in un unico turno se si tratta di organi di un comune con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti; con sistema proporzionale, correzione maggioritaria e doppio turno di votazione se la popolazione del comune è pari o superiore a 15.000 abitanti. Nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, l'attribuzione del premio di maggioranza, segue regole diverse a seconda che la proclamazione del sindaco avvenga dopo la prima votazione o a seguito di ballottaggio. Qualora il sindaco venga eletto al primo turno, alle liste ad esso collegate sono attribuiti il 60% dei seggi del consiglio, a due condizioni:

§  che le liste collegate abbiano ottenuto almeno il 40% dei voti validi;

§  che nessuna altra lista o coalizione abbia ottenuto più del 50% dei voti validi.

Nel caso in cui il sindaco venga eletto a seguito di ballottaggio, per l'attribuzione del premio di maggioranza, è sufficiente la seconda condizione.

 

Il presidente della provincia e il consiglio provinciale, nel sistema elettorale delineato dalla legge 81/1993 in vigore fino al 2014[15], sono eletti contestualmente, con votazione a doppio turno, ripartizione proporzionale dei seggi fra liste concorrenti (gruppi di candidati presentati nei collegi uninominali in cui è ripartito il territorio provinciale) ed esito maggioritario in favore del gruppo di liste collegate al sindaco eletto. A queste liste, infatti, sono attribuiti il 60% dei seggi del consiglio provinciale. Nel caso del consiglio provinciale, non sono previste condizioni per l'attribuzione del premio di maggioranza.

Il referendum del 1993 sulla legge del Senato e i principi della Commissione parlamentare per le riforme istituzionali

Il 16 settembre 1991 venne depositata presso la cancelleria della Corte di Cassazione la richiesta di referendum abrogativo concernente la legge per l'elezione del Senato della Repubblica ed il 14 gennaio 1992 vennero depositate le firme raccolte in osservanza del disposto dell'art. 75 della Costituzione. Questa volta la Corte costituzionale accoglie il quesito e il referendum si svolge il 18 aprile 1993.

Anche questa consultazione, come quella sulle preferenze, ebbe un largo consenso: votarono 36.922.390 elettori, pari 77 % degli aventi diritto e i voti favorevoli all'abrogazione furono 28.936.747 pari all'82,7 % dei voti validi.

L'abrogazione con referendum delle norme della L. 29/48 che prevedevano il quorum per l'elezione nel collegio uninominale determina la trasformazione del sistema elettorale per il Senato da sistema a carattere quasi totalmente proporzionale in sistema misto a prevalenza maggioritario. L'elezione dei senatori nei 238 collegi uninominali (come già ricordato, i collegi erano rimasti quelli definiti nel 1948) avviene con la maggioranza semplice dei voti, mentre i restanti 77 sono eletti con sistema proporzionale nell'ambito di circoscrizioni coincidenti con le regioni.

Benché il sistema risultante dall'abrogazione fosse ritenuto dalla Corte costituzionale immediatamente applicabile, la Corte stessa nella medesima sentenza di ammissibilità del referendum (sentenza n. 32/1993) individuava alcuni correttivi da apportare in sede parlamentare. Il principale riguardava proprio la quota di seggi da assegnare con metodo proporzionale attribuita a ciascuna regione, che non risultava rapportata alla dimensione demografica della regione medesima.

 

Nel frattempo proseguivano i lavori della Commissione parlamentare per le riforme istituzionali (istituita nell'agosto 1992). Ancor prima dello svolgimento del referendum, nella seduta del 10 febbraio 1993, al termine di una complessa attività istruttoria svolta sia dal Comitato "legge elettorale" sia dalla stessa Commissione plenaria, la Commissione approva due schemi contenenti i principi direttivi per la riforma del sistema elettorale della Camera e del Senato.

Per entrambi i rami del Parlamento, i principi sono i seguenti:

attribuzione nell'ambito di ciascuna circoscrizione, di una quota di seggi pari a tre quinti con sistema maggioritario e dei rimanenti due quinti con sistema proporzionale; per il Senato questo principio non si applica a Valle d'Aosta e Molise dove sono costituiti solo collegi uninominali; per la Camera dei deputati le nuove circoscrizioni non devono superare i confini regionali e ciascuna non può eleggere complessivamente più di 30 deputati;

attribuzione del seggio in ciascun collegio uninominale al candidato che consegue il maggior numero di voti validi espressi;

la delimitazione dei collegi uninominali deve essere effettuata sulla base di principi e di criteri direttivi che devono riguardare i seguenti aspetti: la definizione dei limiti di scostamento della popolazione di ciascun collegio dalla media nazionale; il rispetto dei confini comunali e provinciali; la coerenza del bacino territoriale di ciascun collegio;

devono essere definiti dei meccanismi che consentano la rappresentatività delle minoranze linguistiche riconosciute.

 

Per l'assegnazione dei seggi da attribuire con metodo proporzionale, vengono prospettate due ipotesi alternative.

Per il Senato è previsto l'espressione da parte dell'elettore di un unico voto a favore di uno dei candidati nel collegio uninominale e calcolo, ai fini dell'attribuzione dei seggi da assegnare con metodo proporzionale, unicamente dei voti non utilizzati per eleggere i candidati proclamati eletti nei collegi; la seconda ipotesi prevede invece l'espressione da parte dell'elettore di un secondo voto a favore di uno dei gruppi di candidati presentatisi nella circoscrizione regionale.

Per la Camera, la prima ipotesi è l'attribuzione dei due quinti dei seggi in ambito circoscrizionale, con metodo proporzionale (del quoziente, ma con attribuzione dei soli seggi a quoziente intero) sulla base di un secondo voto espresso dall'elettore per gruppi di candidati. Anche in questa ipotesi, nonostante il secondo voto, dovrebbe essere applicato lo scorporo dei voti utilizzati per la elezione del candidato nel collegio uninominale; la seconda ipotesi, invece, non prevede lo scorporo dei voti. Per la Camera dei deputati una ulteriore indicazione riguarda l'utilizzo dei resti e la ripartizione nazionale dei seggi non assegnati nelle circoscrizioni, cui accedono le sole liste che abbiano ottenuto più del 3 % dei voti validi a livello nazionale o almeno un seggio – proporzionale – nella circoscrizione.

Il sistema elettorale che uscirà dai lavori delle Commissioni affari costituzionali della Camera e del Senato, tranne che per l'assegnazione della quota proporzionale alla Camera, rispecchia i principi sopra esposti.

Le leggi 276 e 277 del 1993 (cd. “Leggi Mattarella”)

Per il Senato della Repubblica, il sistema delineato dalla legge 4 agosto 1993, n. 276, è caratterizzato dai seguenti elementi:

§  attribuzione in ogni regione di tre quarti dei seggi con sistema maggioritario a turno unico nell'ambito di altrettanti collegi uninominali; fanno eccezione la regione Valle d'Aosta, che è costituita in un unico collegio uninominale e la regione Molise, il cui territorio è ripartito in due collegi uninominali;

§  ripartizione dei restanti seggi spettanti alla Regione con sistema pro-porzionale nell'ambito della circoscrizione regionale tra gruppi di candidati concorrenti nei collegi uninominali;

§  ciascun elettore dispone di un solo voto, da esprimere a favore di uno dei candidati presentati nel collegio uninominale;

§  sottrazione totale dalla cifra elettorale di ciascun gruppo dei voti conseguiti dai candidati eletti nei collegi uninominali (c.d. “scorporo totale”).

 

La presentazione delle candidature nei singoli collegi è fatta per gruppi ai quali i candidati aderiscono con l'accettazione della candidatura; è possibile, tuttavia, la presentazione di candidature individuali. Nessun candidato può accettare la candidatura in più di un collegio uninominale. E’ inoltre vietata la candidatura contestuale al Senato ed alla Camera.

I seggi della quota proporzionale sono attribuiti ai gruppi in proporzione alla cifra elettorale di ciascun gruppo di candidati, secondo il metodo d'Hondt; la cifra elettorale è data dalla somma dei voti conseguiti dai candidati presentatisi nei collegi della regione con il medesimo contrassegno, detratti i voti ottenuti dai candidati già proclamati eletti nei collegi stessi. In corrispondenza ai seggi attribuiti a ciascun gruppo, sono quindi proclamati eletti i candidati non eletti in sede di collegio uninominale compresi nel gruppo medesimo, secondo la graduatoria delle rispettive cifre elettorali individuali.

 

La legge 4 agosto 1993, n. 277 per l'elezione della Camera dei deputati ha un impianto analogo a quella del Senato, da cui differisce però sensibilmente soprattutto per la maggiore complessità dei raccordi fra parte maggioritaria e proporzionale del sistema misto che si è adottato. In sintesi gli elementi che caratterizzano tale sistema, sono i seguenti:

§  suddivisione del territorio nazionale in 26 circoscrizioni di dimensione regionale o infraregionale;

§  attribuzione, in ogni circoscrizione, del 75% dei seggi con la formula maggioritaria nell'ambito di altrettanti collegi uninominali;

§  ripartizione in ambito nazionale dei restanti seggi con la formula proporzionale dei quozienti interi e di più alti resti e con il sistema delle liste concorrenti; è prevista una soglia di sbarramento del 4%;

§  attribuzione a ciascun elettore di due voti su schede distinte: uno per l'elezione del candidato nel collegio uninominale, uno per la scelta di una delle liste circoscrizionali concorrenti al riparto dei seggi in ragione proporzionale;

§  scorporo parziale dai voti conseguiti dalle liste dei voti necessari per eleggere, nei collegi uninominali, i candidati collegati a ciascuna lista;

§  determinazione delle circoscrizioni in cui le singole liste si vedono attribuire i seggi conquistati in ambito nazionale e conseguente proclamazione, su base circoscrizionale, dei candidati di lista risultati eletti con il metodo proporzionale.

 

La presentazione delle candidature nei collegi uninominali è fatta per singoli candidati che, all'atto della accettazione della candidatura, devono dichiarare a quale (o a quali) delle liste circoscrizionali che concorrono alla ripartizione dei seggi proporzionali intendano collegarsi. La legge ammette, infatti, la possibilità di un collegamento con più liste, senza limitazione di numero. Nel caso di collegamenti plurimi però, questi devono essere i medesimi in tutti i collegi uninominali della circoscrizione. Non è ammessa la candidatura di una stessa persona in più collegi uninominali della medesima o di altre circoscrizioni, essendo nulle le candidature ulteriori. E’ invece ammessa la contemporanea candidatura in un collegio uninominale della Camera e in liste circoscrizionali fino ad un massimo di tre. Se eletto nel collegio uninominale, il candidato incluso nella lista non sarà preso in considerazione ai fini dell'attribuzione dei seggi proporzionali.

 

A differenza di quanto stabilito per il Senato, il legislatore ha optato per il sistema della doppia scheda e della separazione delle candidature nei collegi uninominali e nelle liste circoscrizionali che concorrono al riparto proporzionale. Al tempo stesso, però, le due parti del sistema sono rese interdipendenti perché:

i candidati nei collegi sono obbligati a collegarsi ad una lista;

il meccanismo dello scorporo impone un costo alle liste per l'appoggio dato ai candidati cui si collegano formalmente, costituito dai voti che ad esse vengono sottratti ai fini dei calcoli proporzionali, in caso di vittoria dei candidati stessi nei collegi uninominali;

i candidati, anche se non vincitori nei collegi uninominali, possono acquisire un seggio alla Camera perché entrano automaticamente a far parte, come si dirà, di una graduatoria cui si fa ricorso in caso di esaurimento delle liste circoscrizionali di candidati per l'assegnazione dei seggi proporzionali.

 

Alla Camera, come detto, lo scorporo è parziale. Fra le liste che hanno superato la soglia di sbarramento, la ripartizione proporzionale dei seggi è effettuata previa detrazione di una parte dei voti risultati necessari per eleggere i candidati nei collegi uninominali collegati alla lista (c. d. "scorporo parziale"): alle liste collegate a ciascun candidato eletto in un collegio uninominale è sottratta quella parte dei voti che, in ogni collegio, ha consentito al candidato collegato di vincere, e cioè i voti ottenuti dal candidato giunto al secondo posto, più uno. La legge stabilisce tuttavia una soglia minima di scorporo: per ogni candidato eletto in un collegio uninominale collegato ad una lista non può essere sottratto un numero di voti inferiori al 25% dei voti validi espressi in quel collegio. Qualora il candidato secondo classificato nel collegio abbia conseguito un risultato inferiore a tale percentuale, lo “scorporo” sarà pertanto pari al 25% dei voti validi del collegio. In caso di collegamento del candidato eletto con più liste, gli effetti dello scorporo sono distribuiti fra tutte le liste collegate in proporzione al numero di voti da ciascuna di esse ottenuti nel collegio.

 

Sulla base della delega – e dei relativi criteri e principi direttivi – contenuta all'articolo 7, di entrambe le leggi, sono stati, infine, adottati i Decreti legislativi 20 dicembre 1993, n. 535 e n. 536 recanti la determinazione dei collegi uninominali per l'elezione, rispettivamente del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati.

Ancora gli stessi articoli 7 istituiscono anche la «Commissione per la verifica e la revisione dei collegi elettorali» ed indicano le circostanze per le quali quelle stesse leggi prevedono che si debba procedere alla revisione dei collegi.


Dai tentativi di correzione del sistema maggioritario misto all'approvazione della legge 270/2005

Il dibattito parlamentare e i referendum del 1999 e 2000

Dopo la seconda “sperimentazione” del nuovo sistema elettorale, all'inizio della XIII legislatura, riprende il dibattito politico e parlamentare sulla legge elettorale.

 

Le elezioni politiche del 27 e 28 marzo 1994 sono la prima prova del sistema maggioritario misto. I partiti seguono le nuove regole: i candidati nei collegi uninominali si collegano ad una o più liste; i collegamenti sono uguali in tutti i collegi della circoscrizione, ma non necessariamente in tutte le circoscrizioni. L'offerta politica è modulata territorialmente: nelle circoscrizioni del Nord (fino dove è presente la Lega Nord, allora la XIII circoscrizione, Toscana), Forza Italia e Lega Nord sono collegate insieme con candidati comuni, mentre Alleanza Nazionale sostiene suoi candidati; nelle altre circoscrizioni, invece, i candidati del centro destra sono collegati con Forza Italia e Alleanza Nazionale. Le liste del centro sinistra sono collegate a candidati comuni con il contrassegno 'Progressisti' in quasi tutte le circoscrizioni: Partito democratico della sinistra, Rifondazione comunista, Federazione dei Verdi, Partito Socialista Italiano, La Rete, Alleanza democratica (ma le liste non sono presenti in tutte le circoscrizioni).

Il centro destra ottiene la maggioranza alla Camera ma non al Senato. Il Governo si forma, ma dura, com'è noto, solo due anni.

Per le elezioni del 21 aprile 1996 i partiti cambiano strategia: i candidati nei collegi uninominali sono collegati ad una sola lista; tra le liste del centro destra non c'è nessun accordo; nel centro sinistra si fa l'accordo di desistenza: in alcuni collegi Rifondazione rinuncia a presentare il simbolo a favore di candidati del PDS, in altri collegi è il PDS a rinunciare al simbolo in favore del candidato di Rifondazione. La maggioranza, anche questa volta di misura, è conquistata dal centro sinistra.

 

La costituzione di una solida maggioranza di governo continua ad essere un aspetto problematico molto presente, insieme all'equilibrio tra governabilità e rappresentatività.

In sede parlamentare, la discussione si svolge inizialmente presso la Commissione bicamerale per le riforme costituzionali, ove il tema della riforma elettorale era strettamente congiunto a quello della revisione della seconda parte della Costituzione e, segnatamente, della forma di governo e del sistema bicamerale. Tuttavia, non avendo la Commissione poteri referenti in materia elettorale, essendo tale disciplina dettata con legge ordinaria, si è lungamente discusso sull’opportunità di “costituzionalizzare” alcuni principi in materia elettorale. Nel giugno del 1997, tuttavia, si è proceduto alla presentazione di due ordini del giorno in materia, senza procedere alla votazione degli stessi, in cui si prospettava un sistema basato sul doppio turno.

Dopo l'arresto dell’esame in Aula alla Camera del testo elaborato dalla Commissione bicamerale (giugno 1998), i lavori in materia di legislazione elettorale sono ripresi presso l’altro ramo del Parlamento.

 

Nel febbraio del 1999, riprendendo le linee guida in materia elettorale definite dalla Commissione bicamerale il Governo (D’Alema I) ha presentato due disegni di legge l’uno relativo all’elezione della Camera (A.S. 3812) e l’altro al Senato (A.S. 3811). Il sistema proposto per la Camera, era basato sul doppio turno di collegio (il doppio turno era previsto qualora il candidato non avesse ottenuto il 50% dei voti validi) per eleggere il 90 % dei deputati. I candidati nei collegi avrebbero potuto presentarsi, oltre che con un contrassegno di lista anche con un contrassegno di coalizione. Il restante 10 % dei seggi veniva diviso in tre quote: non più di 23 seggi sarebbero stati attribuiti come “diritto di tribuna” per le liste che non si presentavano nei collegi uninominali; una seconda parte, invece, era destinata alla coalizione vincente come premio di maggioranza; i restanti seggi venivano attribuiti ai migliori perdenti nei collegi uninominali.

Il 18 aprile 1999 si svolgeva il referendum popolare relativo all’abolizione del meccanismo di attribuzione della quota proporzionale dei seggi della Camera attraverso liste (previsto dalla cd “legge Mattarella”). Il referendum, tuttavia, non otteneva il necessario quorum di validità richiesto dall’articolo 75 della Costituzione; votarono infatti 24,4 milioni di elettori pari al 49,6 % degli aventi diritto.

 

L’esame parlamentare è ripreso nel marzo del 2000 dopo la dichiarazione, da parte della Corte costituzionale della ammissibilità del quesito referendario che – anche questa volta - aveva ad oggetto le disposizioni e gli altri riferimenti che definiscono il sistema per la attribuzione dei seggi da assegnare con metodo proporzionale.

Alla ripresa dell’esame, il Governo ed i gruppi di maggioranza si sono fatti sostenitori di una proposta per l’elezione della Camera (A.S. n. 4505, d’iniziativa del sen. Elia ed altri) che scontava un previsto risultato positivo del referendum ed era, perciò, diversa da quella che aveva costituito sino ad allora il testo di riferimento. In particolare tale proposta era volta ad introdurre un premio di governabilità (o di maggioranza) e l’indicazione del candidato alla carica di Primo ministro nella scheda elettorale. Contestualmente, alcuni gruppi di opposizione (CCD, Forza Italia, RC) annunciavano la presentazione di proposte “neoproporzionali” che si ispirano al sistema di elezione del Bundestag.

Il 21 maggio 2000 si è svolto il referendum popolare e, per la seconda volta, non è stato raggiunto il quorum di validità, la percentuale di votanti si è abbassata ulteriormente rispetto al 1999: i votanti furono infatti meno di 16 milioni, corrispondenti al 32,4 % degli elettori.

Successivamente, dunque, i senatori dei gruppi della maggioranza hanno presentato un emendamento contenente una complessiva proposta di revisione del sistema per la elezione della Camera dei deputati. In tale emendamento si prospettava l'assegnazione del 50 % dei seggi con un meccanismo maggioritario e, della restante parte, con sistema proporzionale (con voto su “liste bloccate”) con una clausola di sbarramento fissata al 5 %. Si prevedeva, inoltre, la possibilità, per le coalizioni in competizione nei singoli collegi, di indicare il nome della persona indicata per la carica di Presidente del Consiglio dei Ministri.

Il testo è stato successivamente integrato con l'introduzione di un premio di governabilità, in grado di portare al 55 % dei seggi la coalizione che avesse vinto ottenendo più voti ed avendo superato la soglia minima del 40 %. Nel testo sono state introdotte anche disposizioni per dare attuazione al nuovo dettato costituzionale sul voto e la rappresentanza degli italiani residenti all'estero.

La I Commissione, tuttavia, non ha ultimato l’esame e in Aula la maggioranza ha approvato un ordine del giorno favorevole all’introduzione di un sistema elettorale misto, da cui discenda anche l'indicazione del Presidente del Consiglio, in modo da incorporare la scelta del leader nella scelta della maggioranza nonché di meccanismi atti ad evitare crisi ministeriali (es. sfiducia costruttiva, attribuzione al Presidente del Consiglio del potere di proporre al Capo dello Stato anche la revoca dei ministri).

Lo scorporo di coalizione (cd. “Liste civetta”)

A ridosso dello scioglimento delle Camere è iniziato, presso la Commissione Affari costituzionali della Camera, l’esame in sede referente di una proposta di legge C. 7618 (Mussi ed altri), in materia di "scorporo di coalizione", meglio nota come proposta contro le “liste-civetta”. La proposta di legge interveniva su alcuni aspetti del procedimento per la presentazione delle candidature per le elezioni della Camera dei deputati, allo scopo di scoraggiare le pratiche elusive dell'obbligo di collegamento tra le liste e le candidature nei collegi uninominali e formalizzando a livello nazionale l’istituto della coalizione tra formazioni politiche.

La riforma della forma di governo regionale del 1999 e 2001

Tra il novembre 1999 e il gennaio 2001 intanto, si concludono le due riforme costituzionali che portano alla modifica del sistema di governo delle regioni.

La legge costituzionale 1/1999 per le regioni a statuto ordinario e la legge costituzionale 2/2001 per le regioni a statuto speciale, conferiscono a ciascuna regione la competenza legislativa sul proprio sistema di elezione dei consiglieri, del Presidente e degli altri componenti la Giunta, nonché la disciplina dei casi di ineleggibilità e di incompatibilità degli stessi.

Per le regioni a statuto ordinario, il percorso di riforma era iniziato con l'approvazione della legge n. 43 del 1995, che modificava il sistema elettorale in senso maggioritario. Secondo quanto stabilito dalla legge - ancora alla base del sistema elettorale in quelle regioni che non hanno adottato una propria disciplina[16] - i 4/5 dei consiglieri (80%) sono eletti sulla base di liste circoscrizionali (provinciali) concorrenti, mentre il restante quinto dei consiglieri (20%) è eletto con sistema maggioritario sulla base di liste regionali concorrenti (il cd. listino); ciascuna lista regionale deve collegarsi con una o più liste provinciali e il nome del capolista compare nella scheda elettorale. La legge del 1995, tuttavia, non poteva disporre l'elezione diretta del Presidente della Giunta per il vincolo costituzionale recato dall'art. 122 Cost. della elezione del Presidente e della Giunta regionale da parte del Consiglio tra i propri componenti (ex comma 5).

La riforma elimina tale vincolo e l'ultimo comma dell’articolo 122 introduce direttamente nella forma di governo delle regioni a statuto ordinario l’elezione diretta del Presidente della Giunta. Lo statuto regionale potrà decidere per altra forma di governo, o modificare parzialmente taluni aspetti di questa; sino ad allora il Presidente della Giunta regionale è eletto a suffragio universale diretto e gli sono attribuiti i poteri previsti dalle disposizioni transitorie recate dall’articolo 5 della legge costituzionale n. 1/1999. Gli altri vincoli costituzionali, com'è noto, sono la nomina e la revoca dei componenti la Giunta regionale da parte  Presidente eletto (art. 122, ultimo comma), la disciplina delle cause di scioglimento (autoritativo) del Consiglio regionale, nonché le cause di cessazione dalle funzioni del Presidente eletto che, in ogni caso, comportano le dimissioni della Giunta, lo scioglimento del Consiglio regionale e nuove elezioni (art. 126 Cost.).

A seguito della riforma costituzionale, dunque, il capolista della lista regionale diventa il candidato alla carica di Presidente della Giunta regionale. Rimane nella disciplina 'nazionale'16 l'attribuzione dei seggi del listino come premio di maggioranza così come era stato disegnato dalla legge del 1995[17]: alla lista (o alle liste) collegata alla lista regionale vincente sono attribuiti comunque il 60 o il 55 per cento dei seggi del consiglio a seconda che essa abbia ottenuto nella regione più o meno del 40 per cento dei voti espressi per le liste regionali.

Le elezioni del 2001, i seggi vacanti e la revisione dei collegi uninominali

La questione dei seggi vacanti

Le votazioni del 13 maggio 2001 hanno consegnato alla Camera della XIV legislatura 11 componenti in meno rispetto ai 630 deputati che la Costituzione le assegna. Seggi che sarebbero spettati alla lista Forza Italia alla quale tuttavia, tra liste circoscrizionali e collegamenti nei collegi uninominali, sono mancati 13 candidati per completare l’assegnazione dei 62 seggi della quota proporzionale ai quali avrebbe avuto diritto in base ai risultati elettorali.

La causa di tale situazione risiede nel fenomeno delle cosiddette “liste civetta” alla Camera - dove, a differenza del Senato, era prevista la doppia scheda elettorale, sull'uninominale e sulla proporzionale – per attenuare la penalizzazione dovuta al meccanismo dello scorporo.

 

Con il sistema del 'Mattarellum', sulla quota uninominale si eleggevano circa il 75 per cento dei deputati e dei senatori.

Per quanto riguarda la Camera, il 25 per cento ricadente nella ripartizione proporzionale - ossia 155 deputati – erano eletti tra i partiti che avessero superato la soglia di sbarramento del 4 per cento.

I candidati in quota proporzionale erano 'bloccati', secondo l'ordine di lista, e distribuiti in 26 circoscrizioni plurinominali sul territorio nazionale.

Era però prevista una sorta di compensazione per non sfavorire troppo i 'piccoli' partiti, per i quali è più difficile riuscire a far eleggere un deputato in collegio uninominale.

Tale meccanismo 'compensativo' risiedeva nello scorporo. Per la Camera, un candidato nel collegio uninominale doveva collegarsi ad una lista presente nella ripartizione proporzionale. A tale lista andavano sottratti i voti dello 'scorporo' (i voti ottenuti dal candidato giunto al secondo posto, più uno). Dallo 'scorporo' rimaneva esclusa solo la differenza di voti (meno una unità) tra il primo candidato risultato vincente nel collegio uninominale ed il secondo 'arrivato'. In ogni caso i voti oggetto di scorporo non potevano essere inferiori al 25 % dei voti validi espressi nel collegio.

 

In ipotesi dunque, se il candidato della coalizione A vincente nel collegio X, collegato alla lista ALFA, otteneva 1.000 voti in più del suo diretto rivale della coalizione BETA, 999 voti non erano sottratti alla cifra nazionale della lista ALFA, nel computo per l'assegnazione dei seggi della quota proporzionale tra le diverse liste; gli altri voti conseguiti erano sottratti.

 

Nella sua ratio, il meccanismo di 'scorporo' mirava ad agevolare (nella ripartizione proporzionale) le liste che avessero eletto pochi deputati nella quota maggioritaria (o che non avessero presentato candidati collegati in quella quota). Di solito, liste di piccoli partiti.

Per ovviare a questa penalizzazione, i grandi partiti e le coalizioni evitavano di collegare i loro candidati nei collegi uninominali alle liste dei loro partiti di appartenenza (cui diversamente, in caso di successo nell'uninominale, sarebbero stati sottratti voti nella quota proporzionale), e collegare invece i candidati a liste fittizie (liste 'civetta'), che mai avrebbero varcato la soglia del 4 per cento (la soglia di sbarramento prevista per la quota proporzionale, al di sotto della quale non si ottenevano seggi).

 

Quindi, il candidato della coalizione ALFA si collegava invece alla lista civetta OMEGA, ed a questa veniva sottratto il quantitativo di voti dello 'scorporo'. Questa sottrazione però rimaneva senza effetto, perché la lista OMEGA comunque non superava la soglia di sbarramento; e d'altro canto, ALFA manteneva intatto il suo 'peso' ai fini della ripartizione a valere sulla quota proporzionale.

 

La strategia del ricorso alle “liste civetta”, già collaudata in abbozzo nelle elezioni del 1994 e un po’ più estesamente nelle elezioni del 1996, ha trovato grande applicazione nelle candidature per l’elezione del 2001; l’intento di evitare la penalizzazione dovuta al meccanismo dello scorporo ha suggerito a varie forze politiche di ridurre al minimo il numero dei candidati uninominali che dichiaravano il collegamento alle liste del partito di appartenenza.

 

Le liste 'civetta' furono utilizzate sia dall'Ulivo (con la lista "Paese nuovo": oltre 200 candidati uninominali le furono collegati, dei quali 103 eletti; ottenne in totale 33.313 voti, pari allo 0,1 per cento) sia dalla Casa della Libertà (lista "Abolizione scorporo").

Ne risultò penalizzata Rifondazione Comunista - l'unico partito non coalizzato ad aver superato la soglia di sbarramento. Essa cedette 7 seggi a vantaggio delle due coalizioni.

Nel caso della Casa della Libertà, tuttavia, il ricorso a liste 'civetta' ben più che esteso, pressoché totale anzi, ad esclusione di soli 17 candidati (laddove il collegamento sarebbe servito per l'eventuale 'ripescaggio' dei migliori secondi, necessario per 'coprire' i seggi vinti nel proporzionale, una volta esauriti i listini bloccati) fece sì che Forza Italia non potesse ottenere alcuni seggi ad essa spettanti, in quanto la lista, avente diritto a 62 seggi (poi diminuiti a 60 in sede di proclamazione degli eletti da parte della Cassazione), aveva disponibili solo 55 candidati (gli altri erano collegati, appunto, ad "Abolizione Scorporo").

Per garantire il plenum di 630 deputati della Camera, il 29 maggio 2001 l'Ufficio centrale nazionale della Corte di Cassazione decise in base all'art. 84 del Testo unico e all'articolo 11 del D.P.R. n. 14 del 1994 di assegnare 5 di questi 7 seggi a candidati di Forza Italia sconfitti nell'uninominale, 1 ai DS ed 1 alla Margherita.

Tuttavia, questa determinazione non teneva conto del fatto che dei deputati di Forza Italia eletti, 11 fossero 'plurieletti', cioè risultati vincenti in più circoscrizioni, quindi avevano liberato altrettanti posti parlamentari, non assegnabili in quanto non vi erano più esponenti collegati a Forza Italia.

 

La Camera dei deputati cominciò quindi i suoi lavori con soli 619 deputati, senza plenum.

Secondo l’art. 11 del regolamento di attuazione della legge elettorale[18] i seggi vacanti avrebbero dovuto essere ripartiti, proporzionalmente, fra le altre liste ammesse. La Camera però ritenne di dover disattendere quella disposizione in quanto norma regolamentare incidente su materia coperta da riserva di legge.

Inoltre, tale procedimento avrebbe portato all’attribuzione dei seggi, per lo più, ad esponenti del centrosinistra, con il paradosso di avere dei candidati di uno schieramento entrati in Parlamento grazie ai voti degli elettori dello schieramento opposto.

Altre soluzioni prevedevano: l’assegnazione alla Casa della Libertà; alla Circoscrizione Estero; alle liste che avessero preso meno del 4 per cento dei voti per poco margine, come Lega Nord e Italia dei Valori assestatesi al 3.9 per cento.

 

Infine, il 15 luglio 2002 la Camera dei deputati approvò un ordine del giorno, secondo cui "non sussistono le condizioni per assegnare i seggi corrispondenti ai deputati plurieletti della lista Forza Italia non attribuiti per insufficienza di candidature della medesima lista in tutte le circoscrizioni", e, pertanto, i seggi vacanti, sono rimasti tali per l’intera legislatura.

Successivamente, il Parlamento approvò la legge 4 aprile 2005 n. 47, secondo la quale i seggi conquistati da un partito ma non assegnabili ad esso, sarebbero andati a candidati non proclamati nei collegi uninominali appartenenti al gruppo politico organizzato di cui facesse parte la lista (entro dunque una coalizione di liste, individuabile tramite le candidature uninominali caratterizzate dal medesimo contrassegno). A loro volta, le liste proporzionali appartenenti a quel gruppo politico sarebbero state identificate dal collegamento dichiarato con quella lista da almeno uno dei candidati uninominali presentatisi con il contrassegno comune.

Questa definizione di “coalizione” ha definito un criterio in base al quale sono stati assegnati i seggi che si sono resi vacanti nel prosieguo della legislatura.

Tale disposizione, che avrebbe dovuto trovare applicazione alle elezioni successive, fu abrogata pochi mesi dopo, insieme con il 'Mattarellum', allorché il legislatore introdusse il nuovo sistema elettorale previsto dalla legge n. 270 del 2005.

Il voto degli italiani all’estero

A conclusione di un percorso intrapreso nella XI legislatura, due leggi di revisione costituzionale approvate nello scorcio finale della XIII legislatura (la L.Cost. 17 gennaio 2000, n. 1[19], di modifica dell’art. 48 Cost., e la L.Cost. 23 gennaio 2001, n. 1[20], di modifica degli articoli 56 e 57 Cost.), hanno attribuito ai cittadini italiani residenti all’estero il diritto di eleggere, nell’ambito di una circoscrizione Estero, sei senatori e dodici deputati.

La nuova disciplina costituzionale ha lasciato invariato il numero complessivo di componenti delle due Camere. Il numero dei seggi da distribuire nelle circoscrizioni nazionali – detratti i seggi da assegnare nella circoscrizione Estero – ne è risultato quindi ridotto e pari, rispettivamente, a 618 per la Camera e 309 al Senato. L’art. 3 della L.Cost. n. 1 del 2001 ha demandato alla legge ordinaria il compito di stabilire contestualmente le modalità per l’attribuzione dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero e le modificazioni delle norme per l’elezione delle Camere conseguenti alla variazione del numero dei seggi assegnati nel territorio nazionale.

Nella XIV legislatura, con l’approvazione della L. 459/2001[21], cui è seguito il D.P.R. 104/2003[22], è stata attuata questa previsione costituzionale. La L. 459/2001 ha stabilito inoltre che, con le medesime modalità previste per le elezioni politiche, i cittadini italiani all’estero possano esprimere il proprio voto anche nei referendum abrogativi e per quelli costituzionali indetti rispettivamente sulla base dell’art. 75 e dell’art. 138 della Costituzione.

La revisione dei collegi uninominali

All’inizio della XIV legislatura una seconda questione metteva il Parlamento innanzi all’esigenza di dover intervenire legislativamente sul sistema elettorale: la revisione del numero e il ridisegno dei collegi uninominali.

La revisione era richiesta dalle stesse leggi istitutive (nn. 276 e 277/1993) per via della nuova determinazione della popolazione fatta dal censimento generale del 2001[23]; era ancor più necessaria per ripristinare il rapporto fra seggi maggioritari e quota proporzionale alterato dalla introduzione della disciplina sul voto degli italiani all’estero che aveva sottratto 12 deputati e 6 senatori alla rappresentanza eletta nelle circoscrizioni del territorio nazionale.

Entrambe queste cause concorrevano a modificare il numero dei seggi spettanti a ciascuna circoscrizione e, all’interno di queste, la ripartizione tra seggi da attribuire con metodo uninominale e seggi da attribuire con metodo proporzionale. Bisognava cioè determinare quali fossero le circoscrizioni alle quali i seggi venivano sottratti e come si sarebbe modificato di conseguenza il numero dei collegi uninominali.

Inoltre, la riduzione del numero dei seggi/collegi in talune circoscrizioni e lo spostamento della popolazione rilevato dal censimento 2001 richiedevano che le circoscrizioni dei collegi uninominali fossero ridisegnate per rispondere al parametro (indicato dalla legge) dello scostamento massimo del 10 % in più o in meno rispetto al valore medio della popolazione nei collegi della circoscrizione.

Le leggi elettorali prevedevano che all’inizio di ciascuna legislatura i Presidenti delle Camere procedessero al rinnovo della Commissione tecnica per la revisione dei collegi uninominali e che questa presentasse poi ai Presidenti la sua proposta di revisione. Secondo la normativa allora vigente, sia per dare seguito ad una proposta formulata dalla Commissione tecnica, sia per procedere su diversa iniziativa, il numero e le circoscrizioni territoriali dei collegi uninominali avrebbero potuto essere modificati soltanto con atto avente forza di legge.

Sin dall’inizio dei propri lavori la Commissione tecnica aveva richiesto alle Camere di indicare i criteri secondo i quali essa avrebbe dovuto procedere alla definizione della nuova proposta di assetto dei collegi uninominali. Erano possibili infatti più criteri nella determinazione dei collegi uninominali da assegnare a ciascuna circoscrizione e si sarebbe potuto procedere alla determinazione delle nuove circoscrizioni secondo più criteri, pervenendo a soluzioni molto diverse fra loro, tutte formalmente rispettose dei parametri indicati dalla legge.

La Commissione tecnica ne riferì alla Commissione affari costituzionali della Camera[24]. A sua volta la Commissione chiese in proposito l’avviso del Ministro dell’interno[25].

Nello stesso tempo aveva preso corpo anche il procedimento di revisione delle due leggi elettorali e per molto tempo i due procedimenti (revisione dei collegi e riforma elettorale) percorsero strade parallele.

Nel frattempo, per garantire che si potesse procedere alla elezione delle Camere in caso di scioglimento anticipato, il Governo emanò un decreto-legge con il quale determinava un nuovo assetto dei collegi uninominali nella regione Molise la quale, per via della assegnazione dei seggi alla circoscrizione Estero, aveva perso il seggio proporzionale e avrebbe votato soltanto per l’elezione dei candidati nei collegi uninominali (D.L. 26 aprile 2005, n. 64).

La disciplina introdotta dal decreto-legge non fu rinnovata alla sua scadenza (settembre 2005) perché nel frattempo la Commissione affari costituzionali della Camera aveva intrapreso la parte finale del procedimento che avrebbe portato alla modifica delle due leggi elettorali tramite l’approvazione della L. 270/2005.

I tentativi di “correzione” della legge Mattarella e la legge n. 270 del 2005

La vicenda dei seggi non assegnati, le critiche rivolte da molte parti alla disciplina dello “scorporo” e al ricorso alle “liste civetta”, l’osservazione che molti elettori avevano utilizzato il voto disgiunto fra proporzionale e maggioritario, a danno di quest’ultimo perché, probabilmente, non avevano trovato nella scheda del voto uninominale il contrassegno della propria lista ed, infine, le aspirazioni di taluni gruppi ad aumentare il numero dei seggi assegnati con il metodo proporzionale, hanno fatto si che, sin dall’inizio della XIV legislatura, si manifestasse l’esigenza di “correggere” la legge elettorale vigente.

Sulle due principali questioni sono state avanzate molte proposte emendative con riguardo:

§  alla disciplina dello scorporo, per rendere inefficace il ricorso alle “liste civetta”; alcune proposte erano intese a rendere obbligatorio (non evitabile) lo scorporo, introducendo il cosiddetto “scorporo di coalizione” (A.C. 2620, 3304, 5613, 5908). Una articolata disciplina della presentazione delle liste e delle dichiarazioni di collegamento avrebbe consentito agli uffici elettorali di dichiarare il collegamento d’ufficio ed operare lo scorporo dei voti anche quando i presentatori di liste e candidature avessero reso dichiarazioni elusive; altre proposte, invece, tendevano a cancellare lo scorporo e consentire che in sede proporzionale (sia alla Camera, sia al Senato) le liste (o i raggruppamenti di candidati) potessero concorrere con tutti i voti ottenuti (A.C. 2712, 3560);

§  alla scheda ed alle modalità di espressione del voto; le proposte erano intese a consentire che nella scheda per la votazione uninominale alla Camera e nella scheda per il voto al Senato, potessero comparire i contrassegni delle liste proporzionali in numero tale da consentire la “presenza” visibile di tutte le liste partecipanti alla coalizione (delle principali, almeno) (A.C. n. 5651, n. 5652). In queste, una proposta era intesa a unificare, per la Camera, in un’unica scheda, voto uninominale e proporzionale per consentire all’elettore di votare in ogni caso “la propria lista” rendendo questo voto efficace anche ai fini della scelta del candidato della coalizione nel collegio uninominale.

La terza linea di intervento – quella intesa a modificare il rapporto del voto tra maggioritario e proporzionale in favore di quest’ultimo – pur presente nel dibattito politico che accompagnava le proposte di revisione, non era stata tradotta in una proposta di legge da abbinare nell’esame in Commissione.

 

Le prime proposte di intervento sulle leggi elettorali – intese ad impedire che in futuro si potesse ricorrere nuovamente alle liste civetta – furono presentate nell’aprile del 2002 ma la Commissione ne avviò concretamente l’esame – di queste e delle altre sopravvenute – nel marzo 2005, ad un anno dalla scadenza della legislatura. Il testo unificato presentato dal relatore come testo base per la Commissione[26] il 6 giugno 2005, propone infine l'abolizione dello scorporo (e poche altre modifiche). Questo testo verrà successivamente abbandonato.

La legge n. 270 del 2005

L’intervento legislativo definitivo e di più ampia portata è stato inserito in forma emendativa in un testo unificato (A.C. 2620 e abb.), all’esame della I Commissione della Camera, che recava in origine limitate modifiche al sistema vigente. La legge 270/2005, novellando in più parti i testi unici per l’elezione di Camera e Senato, ha introdotto un nuovo sistema elettorale, con premio di maggioranza e articolate soglie di sbarramento per liste e coalizioni, con l’applicazione del metodo di calcolo proporzionale della ripartizione dei seggi.

 

Ai fini dell’elezione della Camera la legge prevede, in estrema sintesi, che:

§  i partiti politici che intendono presentare liste di candidati possono collegarsi tra loro in coalizioni; i partiti che si candidano a governare presentano il loro programma e indicano il nome del loro leader. I partiti collegati in coalizione depositano lo stesso programma e indicano il nome del capo della coalizione;

§  l’elettore esprime un solo voto per la lista di candidati prescelta; non è prevista l’espressione di preferenze;

§  i seggi sono ripartiti proporzionalmente in ambito nazionale - con il “metodo del quoziente intero e dei maggiori resti” - tra le coalizioni di liste e le liste che abbiano superato le soglie di sbarramento previste dalla legge. Sono previste soglie di sbarramento per le coalizioni nel loro complesso (10% del totale dei voti validi[27]), per le liste che non facciano parte di una coalizione ammessa alla ripartizione (4%), e per le liste che ne facciano parte, ai fini della ripartizione dei seggi già assegnati alla coalizione (2%[28]);

§  alla coalizione di liste (o alla lista non coalizzata) più votata, qualora non abbia già conseguito almeno 340 seggi, è attribuito un premio di maggioranza tale da farle raggiungere tale numero di seggi;

§  l’assegnazione dei seggi spettanti in ogni circoscrizione alle coalizioni e alle liste ha luogo secondo un complesso meccanismo ispirato anch’esso a criteri di proporzionalità e accompagnato da procedure di correzione.

 

La disciplina proposta per l’elezione del Senato è analoga a quella già descritta con riguardo alla Camera, ma presenta alcune differenze legate alla natura dell’organo, che è eletto “su base regionale” (art. 57, co. 1°, Cost.). Queste le principali:

§  i seggi sono ripartiti e assegnati in ambito regionale, e le soglie di sbarramento (più elevate[29]) sono anch’esse riferite al totale dei voti conseguiti nella Regione;

§  è assegnato Regione per Regione anche il premio alla coalizione o lista singola più votata, con l’attribuzione del 55% dei seggi spettanti alla Regione, qualora essa non abbia già conseguito tale risultato.

§  Mentre resta ferma la disciplina elettorale per gli italiani all’estero, sono previste specifiche disposizioni per talune Regioni (Molise, Valle D’Aosta e Trentino-Alto Adige) caratterizzate da bassa popolazione o dalla presenza di consistenti minoranze linguistiche.

Assegnazione dei seggi nelle circoscrizioni e spostamento dei seggi

La formula elettorale adottata per l'elezione della Camera dei deputati dalla legge 270/2005, comporta che i seggi assegnati alle liste in sede nazionale siamo poi ripartiti nelle 26 circoscrizioni elettorali. I seggi così attribuiti a ciascuna lista sono quindi assegnati ai candidati della circoscrizione stessa secondo l'ordine della graduatoria di lista.

 

La formula di ripartizione dei seggi nelle circoscrizioni dovrebbe garantire, insieme, due risultati:

§  che a ciascuna lista siano assegnati tanti seggi nelle circoscrizioni, quanti sono quelli assegnati in sede nazionale;

§  che in ogni circoscrizione siano proclamati eletti tanti deputati quanti sono i seggi ad essa spettanti in proporzione alla popolazione e stabiliti nel Decreto del Presidente della Repubblica[30], in osservanza di quanto stabilito dalla dall'art. 56 della Costituzione.

La formula adottata dalla legge 270/2005 mira a soddisfare entrambe le condizioni o, comunque, a minimizzare lo scostamento dei seggi assegnati nella circoscrizione da quelli ad essa spettanti in base al decreto del Presidente della Repubblica.

 

La legge prevede infatti una prima ripartizione dei seggi di ciascuna circoscrizione alle liste (e coalizioni), quindi la verifica che alle liste (e coalizioni) siano stati attribuiti – sommando i seggi assegnati nelle circoscrizioni - tutti i seggi assegnati in sede nazionale e – ove la verifica dia esito negativo - una procedura di correzione.

Al termine della correzione – tuttavia - può risultare che in alcune circoscrizioni i seggi assegnati siano minori o maggiori di quelli ad esse spettanti sulla base della popolazione e stabiliti, come detto, con decreto del Presidente della Repubblica.

 

Nelle elezioni 2006, la circoscrizione Molise 'perde' uno dei suoi 3 tre seggi in favore della circoscrizione Trentino-Alto Adige.

Nelle elezioni 2008 si sono spostati due seggi: le circoscrizioni Trentino-Alto Adige e Sicilia 1, 'perdono' ciascuna un seggio in favore delle circoscrizioni Veneto 1 e Piemonte 2.

Nelle elezioni 2013 i seggi che migrano da una circoscrizione ad un'altra sono ancora due. Questa volta le circoscrizioni 'perdenti' sono Friuli-Venezia Giulia  e Molise, in favore di Trentino-Alto Adige e Sardegna.

 

In riferimento alla assegnazione dei seggi alle circoscrizioni avvenuta a seguito delle elezioni della Camera dei deputati del 24 e 25 febbraio 2013, si segnala la pronuncia della Corte costituzionale (sen. 41/2014) che ha dichiarato inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato presentato dalla la regione Friuli-Venezia Giulia. In particolare la regione denunciava la violazione del principio di ripartizione territoriale della rappresentanza politica, in relazione all'assegnazione alla regione di 12 seggi, anziché i 13 ad essa spettanti sulla base del citato D.P.R. 22 dicembre 2012. La regione chiedeva alla Corte che venisse sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 83, primo comma n. 8 nella parte in cui prevede che le compensazioni possano essere effettuate in altra circoscrizione, anziché nella stessa circoscrizione; norma che violerebbe l'art. 56, quarto comma, della Costituzione, in quanto non garantirebbe che vengano assegnati nelle circoscrizioni tutti i seggi ad esse spettanti in proporzione alla popolazione.

La Corte ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per l’insussistenza delle condizioni per l'instaurazione di un conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni per due motivi: in primo luogo perché la censura non riguarda una lesione della sfera di competenza costituzionale regionale (in quanto la competenza legislativa in materia di elezioni del Parlamento nazionale appartiene allo Stato in via esclusiva) e, inoltre, perché, la censura è riconducibile non all'atto impugnato (il verbale di assegnazione dei seggi redatto dall’Ufficio elettorale centrale nazionale presso la Corte di cassazione), ma alla norma di legge di cui esso è attuazione.

 

 


Le iniziative di riforma elettorale nella XV e XVI legislatura

Sin dai primi passi della XV legislatura il dibattito politico, la pubblicistica che lo sostiene ed i lavori parlamentari sono percorsi da proposte e propositi di ‘ripensamento’ dei sistemi elettorali di Camera e Senato appena ridisegnati dalla legge 270 del 2005.

 

All’indomani del primo risultato di quella legge (l’elezione del 9 e 10 aprile 2006), nell’esposizione degli indirizzi programmatici del nuovo Governo (PRODI II), il Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali dichiarava che la maggioranza riteneva necessaria una modifica alla legge elettorale vigente sia perché essa era stata approvata sul finire della precedente legislatura senza il concorso dell’allora opposizione, sia perché le scelte operate da quella legge erano foriere di “disfunzione e di contraddizione nel rapporto tra eletti e territorio”.

 

Di fatto su quel primo risultato elettorale gravava il peso di una maggioranza parlamentare debole ed incerta al Senato, per la sfavorevole combinazione dei premi di maggioranza regionali, contro una maggioranza solida di 63 seggi alla Camera ottenuta però con un premio di 62 seggi e contestata per via delle poche decine di migliaia di voti che, invece, avevano separato la coalizione ‘vincente’ da quella ‘perdente’.

 

Le legislature XV e XVI sono state percorse perciò ininterrottamente dal dibattito politico-dottrinale sulla ‘revisione della legge elettorale’, dai lavori della Commissione Affari costituzionali del Senato che ha discusso lungo le due legislature modifiche che fossero condivise e da due tentativi referendari (2009 e 2011). Senza dimenticare le petizioni popolari, esauritesi anch’esse nel dibattito parlamentare. Nel mezzo, le elezioni del 2008 dove, con quella stessa legge, la maggioranza ‘vincente’ (questa volta di centro-destra) con oltre 3 milioni di voti su quella ‘perdente’ ha conquistato alla Camera i 63 seggi di differenza con (soli) 40 di premio e, soprattutto, una favorevole combinazione dei premi regionali al Senato ottenendone 34 seggi di vantaggio.

Le proposte di modifica della legge 270 del 2005

Proposte di modifica e proposte alternative al sistema della legge n. 270/2005 si sono dunque sovrapposte e combinate sin dall’inizio dei lavori della Commissione Affari costituzionali del Senato nella XV legislatura.

 

Nel tempo, le questioni connesse a quella legge sono andate crescendo di numero e ne hanno investito sia l’impianto fondamentale sia  singolarmente molte delle modalità operative in cui quello si traduce.

In particolare, le proposte di “correzioni” alla legge 270/05 hanno riguardato tutti, o quasi tutti, i seguenti aspetti:

§  la formazione di coalizioni elettorali, sovente formate da liste eterogenee e politicamente distanti, motivate soltanto dall’obiettivo di aggregare i numeri che possano vincere la posta maggioritaria;

§  la ‘forzatura’ costituzionale (e politica) della indicazione del ‘capo’ come futuro Presidente del Consiglio dei ministri;

§  il sistema delle soglie, di fatto inconsistente e che favorisce la frammentazione non solo per l’accesso ai seggi ma per la determinazione della cifra elettorale della coalizione vincente;

§  il sistema delle candidature, che presenta liste corpose sino a 43 candidati tutti vincolati nella elezione all’ordine stabilito dal partito proponente (e, per converso, l’assenza del voto di preferenza, o di altro sistema di scelta diretta da parte dell’elettore);

§  la multicandidabilità senza limiti ed il ‘balletto’ delle opzioni che ne segue;

§  il premio di maggioranza alla Camera ed al Senato, assegnati senza un limite minimo di voti o di seggi già conquistati in termini proporzionali dalla lista o coalizione che lo vince;

§  i premi assegnati entrambi senza un limite massimo in numero di seggi;

§  il premio assegnato per regione al Senato, cosa questa che rende aleatorio il suo risultato nazionale e che lascia aperta l’eventualità che fatte le due somme nazionali (di voti e di seggi), il premio abbia favorito la lista o coalizione che ha ottenuto il minor numero di voti;

§  la ‘sconnessione’ fra premio elettorale e formazione della maggioranza parlamentare: può avvenire infatti – ed è accaduto ripetutamente nelle scorse legislature – che le liste che hanno ottenuto il premio perdano componenti in favore delle liste di opposizione, o che – come è avvenuto per la legislatura in corso – il premio (o una sua parte) sia assegnato ad una lista che si colloca direttamente all’opposizione.

Le proposte alternative hanno attinto ai principali modelli elettorali di sistemi proporzionali, maggioritari e misti tentando, il più delle volte, di adattare quei sistemi e quei metodi alle particolarità del quadro politico.

 

 

Si ricorda inoltre che alcune proposte di riforma del sistema elettorale – più nella XVI che non nella XV legislatura – prevedevano che, in parallelo, il Parlamento procedesse alle modifiche costituzionali che le avrebbero rese praticabili sia sotto il profilo della legittimità che dell’efficacia; così sicuramente quelle in cui il sistema elettorale scontava la riduzione del numero dei parlamentari, o l’adozione di una forma di governo presidenziale o semi-presidenziale, o ancora soltanto il rafforzamento dell’esecutivo tramite la cosiddetta “sfiducia costruttiva”.

 

I lavori della Commissione Affari costituzionali del Senato sono approdati a tre ipotesi in successione: due nella XV legislatura, entrambe significativamente diverse dal sistema della legge n. 270/2005 ed una, ma con numerose varianti in successione, nella XVI legislatura. Quest’ultima – nel testo unificato proposto dal relatore di maggioranza – aveva dichiaratamente l’intento di preservare l’impianto maggioritario e coalizionale della legge vigente e correggerne le ‘distorsioni’ determinate – principalmente - dalla disciplina del premio di maggioranza e – per usare la formula più corrente e sintetica – dalla assenza del voto di preferenza.

 

Tra le proposte alternative ha avuto senza dubbio il più largo consenso quella del «ritorno al Mattarellum». Avanzata da esponenti di quasi tutte le formazioni politiche, da studiosi ed, infine, dal comitato che si è formato intorno alla richiesta del referendum del 2011, questa proposta aveva l’intento di pervenire attraverso l’abrogazione – tout court – della legge n. 270/2005 e alla contestuale reviviscenza (automatica, o per novazione) della disciplina previgente. I due quesiti abrogativi sono stati dichiarati inammissibili dalla Corte costituzionale (Sent. 24 gennaio 2011, n. 13).

Senza ricordarle singolarmente, la gran parte di quelle proposte – nella XV come nella XVI legislatura – hanno adottato la formula sintetica della abrogazione della legge n. 270/2005 e della nuova efficacia delle disposizioni precedenti (XV legislatura, Casson, S. n. 904, Peterlini, S.n. 1604, XVI legislatura Ceccanti, S.n.1549, Parisi, C.n.2421, e molti altri). Talune di esse però, non poche, accompagnano quella formula con modifiche più o meno ampie del ‘Mattarellum’, mirando ad apportarvi le correzioni già definite nel corso dell’iter (XIV legislatura) che portò alla approvazione della legge n. 270/2005: la disciplina dello scorporo ed il problema delle ‘liste civetta’, la disciplina delle candidature e la pluricandidabilità, l’introduzione – alla Camera - del voto unico, o l’applicazione anche alla Camera del sistema Senato (XVI legislatura, Cabras, S.n. 1550, Ceccanti S.n. 2327, Martella, C. n. 1852), l’abolizione della quota proporzionale, la revisione dei collegi uninominali ed altro ancora.

 

Una diversa iniziativa di riforma della legge elettorale è quella promossa attraverso i quesiti referendari del 2009. L'intento dichiarato dai promotori era quello di spingere i soggetti politici rappresentati nel Parlamento a perseguire, sin dalla fase pre-elettorale, la costruzione di un raggruppamento unitario, favorendo in tal modo l'apertura di una prospettiva tendenzialmente bipartitica o, comunque,  la riduzione della frammentazione del quadro partitico. I primi due quesiti del referendum del giugno 2009, incidevano su varie disposizioni dei testi unici per l'elezione di Camera e Senato, al fine di sopprimere la disciplina che permetteva il collegamento di più liste in coalizioni. In caso di esito positivo dei referendum, si avrebbe avuto, quale principale conseguenza, l’attribuzione del premio di maggioranza alla lista singola – e non più alla coalizione di liste – che ottenesse il maggior numero di voti. Inoltre, l’abrogazione delle norme sulle coalizioni avrebbe comportato indirettamente anche un innalzamento delle soglie di sbarramento per l’accesso alle Camere. Con il terzo quesito, veniva proposto l’eliminazione della possibilità per un candidato di presentarsi in più circoscrizioni; in tal modo si voleva rafforzare il rapporto tra elettori ed eletti, recuperando una maggiore corrispondenza tra le liste presentate nelle diverse circoscrizioni ed i candidati effettivamente eletti.

I “SI” ebbero successo – circa l’80% dei partecipanti al voto – ma il numero dei partecipanti restò ampiamente sotto la soglia di validità del referendum (fermandosi a circa il 24 % degli elettori).

 

Se si eccettuano alcune proposte singolarmente nuove per il contesto elettorale italiano – come alcune intese ad introdurre il voto alternativo (talvolta impropriamente indicato nella cronaca come «sistema australiano»), o una proposta mutuata dalla tripartizione del voto in una precedente versione del «sistema ungherese» - le proposte di iniziativa parlamentare presentate nella XV e nella XVI legislatura si raccolgono di fatto come variazioni e adattamenti sotto le due grandi partizioni dei sistemi elettorali: quelli di ispirazione proporzionale e quelli maggioritari, o ‘tendenti’ a quel risultato. Nel mezzo le numerose combinazioni dei sistemi misti, quale è quello della legge n. 270 del 2005 e quali sono molte delle proposte di modifica avanzate, a partire dalla cosiddetta “Prima Bozza Bianco”, relatore alla I Commissione nella XV legislatura (4 luglio 2007), e dal Testo unificato Malan, relatore di maggioranza alla stessa Commissione Affari costituzionali del Senato nella XVI legislatura (11 ottobre 2012).

 

Intorno alle modifiche, o correzioni di sistema, si innestano poi le molte questioni che in ciascuna proposta ne qualificano aspetti importanti: circoscrizioni e collegi, soglie, candidature, coalizioni, numero di schede e numero di voti, voto di preferenza, voto unico e ballottaggi.

 

Il ritorno ad un sistema proporzionale è proposto il più delle volte nelle modalità del cd. «sistema tedesco», limitato generalmente al sistema Camera e con le correzioni necessarie alla impossibilità di prevedere i seggi in “sovrannumero”. Per il Senato quelle proposte ricorrono, generalmente, al sistema pre-1993. Nella XV legislatura le proposte Salvi (A.S. 1391), Russo Spena (A.S. 1553), Baccini (A.S. 1746), Cutrufo (A.S. 1455), Saro (A.S. 1917). Tra le diverse varianti proposte si ricordano quelle che semplificano il doppio voto in voto unico; quelle che conservano la soglia al 5% o che la esclude del tutto. Nella XVI legislatura quelle proposte sono state generalmente presentate senza ulteriori modifiche: Rutelli (S.n. 2293), Tomassini (S.n. 3035), Tabacci (A.C. 3634), Ria (A.C. n. 3659).

 

Al «sistema tedesco» era anche ispirata la proposta di testo unificato avanzata dal relatore e presidente della Commissione affari costituzionali del Senato, sen. Bianco, sul finire della XV legislatura (15 gennaio 2008, proposta poi ri-presentata come disegno di legge nella XVI legislatura, A.S. 2650). Quel testo, non esaminato per la conclusione anticipata della legislatura, prevedeva per la Camera la doppia ripartizione dei seggi circoscrizionali (le circoscrizioni pre-Mattarellum) in collegi uninominali e liste proporzionali, il doppio voto su scheda unica, l’elezione a maggioranza semplice nei collegi uninominali, la soglia nazionale pari al 5% del totale dei secondi voti, la ripartizione nazionale dei seggi con il metodo dei quozienti interi e maggiori resti, l’assorbimento dei seggi già ottenuti nei collegi uninominali, la riassegnazione nelle circoscrizioni dei seggi attribuiti alle liste in sede nazionale. Per l’elezione del Senato la proposta prevedeva un sistema dei collegi uninominali simile a quello in uso per l’elezione dei consiglieri provinciali: in ciascuna regione un numero di collegi uninominali uguale al numero dei senatori spettanti, la soglia del 5% regionale, la ripartizione proporzionale ai gruppi di candidati per quozienti interi e maggiori resti, la proclamazione secondo la graduatoria delle cifre individuali (così nella XVI legislatura anche la proposta Del Pennino, A.S. 3076).

 

Altre proposte di legge proponevano il ritorno al proporzionale post-Costituente, con poche variazioni di adattamento.

 

Sul versante opposto si segnalano le proposte intese ad introdurre sistemi marcatamente maggioritari ispirati, alternativamente, ai modelli inglese, francese e spagnolo; i primi, optando per l’attribuzione della totalità dei seggi in collegi uninominali a turno unico e maggioranza semplice; i secondi, per collegi uninominali a doppio turno per la totalità, o per una consistente quota di seggi, i terzi per ripartizioni e assegnazioni in circoscrizioni relativamente piccole (5/9 seggi) in cui la selezione maggioritaria fosse operata dalla soglia implicita e, per un ulteriore piccolo effetto, dalla ripartizione circoscrizionale con il metodo d’Hondt. A parte vi sono poi le altre proposte in cui l’effetto maggioritario è determinato da varie configurazioni del premio di maggioranza, di coalizione o di governabilità che combinano, sulla scia della legge n. 270/2005, competizione proporzionale ed esito maggioritario.

Altre proposte di legge si muovono con analoga ispirazione sul modello della legge elettorale per le regioni a statuto ordinario (il così detto «Tatarellum»), che viene adattata, per la Camera, attraverso la previsione dell’impossibilità di eleggere direttamente il Presidente del Consiglio.

 

Proposte per l’assegnazione di tutti i seggi Camera e Senato con sistema maggioritario a turno unico («Modello inglese») sono state avanzate nella XVI legislatura: disegni di legge Ceccanti (A.S. 2312) e Musso (A.S. 2357). Esse prevedono la possibilità di concorrere soltanto per candidati nei collegi uninominali senza alcun collegamento fra essi, né di lista, né di coalizione. Prevedono un solo turno di votazione ed il ricorso al voto singolo trasferibile. In una variante della formula uninominale del voto alternativo l’elettore vota il suo ordine preferenziale di tutti i candidati (A.S. 3212); in un’altra variante l’espressione del voto può avvenire per due (soli) candidati in ordine di prima e seconda preferenza (A.S. 2357). E’ eletto il candidato che con le prime preferenze, o con la somma delle successive preferenze, raggiunge la maggioranza assoluta + 1.

 

Il maggioritario con doppio turno di collegio (sul «Modello francese») è proposto, con la sola variante sul numero dei candidati ammessi al secondo turno, dalle proposte di legge presentate nella XV (Finocchiaro, A.S. 1673) e XVI legislatura (Perduca, A.S. 1105 e Ceccanti, A.S. 2098). Anche in questo caso, in ciascuna circoscrizione Camera e regione Senato sono costituiti tanti collegi uninominali quanti sono i seggi assegnati. Le candidature sono singole, ma possono essere “appoggiate” da uno o più partiti e gruppi politici. Sulla scheda però non potranno essere presenti più di quattro contrassegni a contraddistinguere il nome del candidato. Al primo turno è eletto il candidato che ottiene la maggioranza assoluta dei seggi, all’eventuale ballottaggio partecipano i due candidati che al primo turno hanno ottenuto il maggior numero di voti. Una delle proposte (A.S. 2098) allarga la partecipazione al ballottaggio ai candidati che al primo turno hanno ottenuto un numero di voti validi superiore al 12,5% del totale dei voti validi nel collegio.

 

Al «Modello spagnolo» è direttamente ispirata una proposta di legge della XV legislatura (Tonini, A.S. 1450). Di quel sistema coglie principalmente l’effetto ‘soglia’ implicita costituito dalla ridotta dimensione delle circoscrizioni e dalla adozione della ripartizione circoscrizionale proporzionale ma con il metodo d’Hondt. Le circoscrizioni assumono numero e territorio delle province con l’adozione del metodo maggioritario nelle circoscrizioni cui sia assegnato un solo seggio e l’accorpamento ad una circoscrizione limitrofa delle province cui – in base alla popolazione residente - non spetterebbe alcun seggio. Nelle circoscrizioni più grandi, ove la soglia implicita potrebbe divenire troppo bassa, trova applicazione la soglia esplicita del 3% circoscrizionale. Il sistema si struttura ed agisce nello stesso modo per Camera e Senato.

 

Nella prima metà del 2007, intorno alle intese che si andavano cercando fra i partiti sulla definizione di un primo testo comune da adottare per il prosieguo del lavori della Commissione Affari costituzionali del Senato, prese forma la così detta proposta «Ispano-tedesca» come ipotesi di un sistema che poteva conciliare una competizione proporzionale e personalizzata con gli effetti aggregativi e – sperabilmente – bipolari della ‘correzione’ maggioritaria che consegue alla ridotta dimensione delle circoscrizioni e alla adozione in quelle del metodo di ripartizione d’Hondt.

Del sistema tedesco assume la bipartizione dei seggi al 50% fra collegi uninominali e liste circoscrizionali, la ripartizione dei seggi con metodo proporzionale e il “riassorbimento” nella quota proporzionale dei seggi ottenuti nei collegi uninominali. Ispirandosi però al sistema spagnolo le circoscrizioni sono formate da complessi di 6, 7 o 8 collegi uninominali ed assegnano complessivamente 12, 14, 16 seggi ; questi sono ripartiti con il metodo d’Hondt in ciascuna circoscrizione, senza alcun recupero nazionale. Alla soglia espressa del 3% circoscrizionale si aggiunge quindi quella implicita determinata dal metodo di ripartizione. L’elettore dispone di un solo voto, espresso per il candidato uninominale; quel voto è computato nella cifra elettorale della lista collegata a quel candidato. La personalizzazione del voto (in luogo del voto di preferenza) non tocca soltanto il candidato nel collegio uninominale, ma si estende ai candidati della breve lista circoscrizionale, anch’essi elencati nella scheda di votazione; le liste circoscrizionali non esauriscono le candidature possibili e lasciano spazio alla elezione dei ‘migliori perdenti’ come nel sistema introdotto dalla ‘legge Mattarella’ per l’elezione del Senato.

 

Echi del sistema spagnolo ricorrono per altro in molte delle modifiche proposte alla legge n. 270/2005 nell’adozione di circoscrizioni di piccole dimensioni in grado di sostituire il complesso sistema di soglie multilivello della legge vigente, sia per l’adozione di liste di candidati quanto possibili brevi e ‘conoscibili’ dagli elettori, come alternativa all’adozione del voto di preferenza.

 

Sono infine numerose le proposte intese a modificare la legge n. 270/2005 senza travolgerne però interamente il sistema.

Alcune introducono modifiche ad aspetti determinanti come l’introduzione del voto di preferenza (XV legislatura, Cutrufo, A.S. 124, Peterlini, A.S.1572, Iniziativa popolare, A.S. 1936, XVI legislatura, Romano, A.S. 1886, Zinzi, A.C. 1095 e molti altri), la soppressione o la riduzione della possibilità di candidature multiple (XVI legislatura, Molinari, A.S. 748, Benedetti-Valentini, A.S. n. 3001 e ancora molti altri), qualche variazione al sistema delle soglie o alla misura e alle regole di attribuzione del premio di maggioranza.

 

Altre invece conservano l’impianto della legge vigente per un sistema a ripartizione proporzionale con esito maggioritario all’attribuzione affidato alla attribuzione di un premio in seggi, ma ne modificano la disciplina mirando ad evitare le censure attualmente rivolte alla misura e alla operatività del premio di maggioranza e al permanere delle “liste bloccate”.

Questa impostazione è accolta dalle proposte di testo unificato avanzate dai due relatori nella Commissione Affari costituzionali del Senato nella XVI legislatura. Nella seduta dell’11 ottobre 2012 i due relatori, i senatori Malan e Bianco, presentano ciascuno una propria proposta di testo unificato, ispirate entrambe al sistema prospettato dalla proposta Quagliariello A.S. 3428, ma differenti tra loro per la scelta del criterio di assegnazione dei seggi che sostituisce le “liste bloccate”: la combinazione del voto di preferenza alternato a candidature “bloccate”, il primo, e un articolato sistema di 309 collegi uninominali che si combinano con candidature anch’esse in liste circoscrizionali bloccate, il secondo.

 

Il sistema proposto dai testi Malan e Bianco è ancora quello della competizione proporzionale tra liste e, per il premio di maggioranza, tra coalizioni di liste con assegnazione dei seggi in sede nazionale. L’esito maggioritario è affidato ad un premio di maggioranza di 76 seggi (in misura fissa e senza ulteriori condizioni nelle proposte iniziali) da assegnare alla lista, o alla coalizione di liste che ottiene il maggior numero di voti validi in sede nazionale. Il territorio nazionale è ripartito in circoscrizioni che, nella proposta Malan, avrebbero dovuto essere più numerose e meno estese di quelle esistenti (tendenzialmente le 32 circoscrizioni del sistema elettorale pre-1993) e, nella proposta Bianco, sono ulteriormente divise in 309 collegi uninominali.

 

Diverso invece il sistema delle candidature: il testo Malan prevede che l’elettore possa esprimere tre voti di preferenza. Le liste circoscrizionali sono per questo divise in due elenchi: un primo elenco, pari ai 2/3 dei seggi assegnati alla circoscrizione, è composto di candidati la cui elezione è connessa alla graduatoria dei rispettivi voti di preferenza; un secondo elenco, pari al restante terzo dei seggi assegnati, è composto di candidati la cui elezione segue l’ordine nella lista. L’elettore dispone di un solo voto che esprime per la lista prescelta; a questo può aggiungere sino a tre voti di preferenza scegliendo candidati che fanno parte del primo elenco. Nella espressione della preferenza plurima è disciplinato il voto di genere.

 

Permane un articolato sistema di soglie per l’accesso alla ripartizione dei seggi: una soglia nazionale del 5% del totale dei voti validi che si applica, di fatto, alle sole liste non coalizzate; una soglia nazionale del 4% per le liste che fanno parte di una coalizione, senza che vi sia congiunta – come nella legge attuale – una corrispondente soglia di coalizione; una soglia rivolta alle formazioni politiche insediate prevalentemente in parti del territorio nazionale: 7% dei voti validi in un territorio che comprenda almeno un sesto della popolazione nazionale; una soglia per le liste rappresentative di minoranze linguistiche, il 15% dei voti validi espressi nella circoscrizione.

 

I seggi (541 alla Camera, giacché 76 sono riservati al premio di maggioranza e 1 al collegio uninominale di Aosta e 271 al Senato, ove il premio di maggioranza è fissato in 37 seggi) sono ripartiti tra le liste ammesse – liste e non coalizioni – in sede nazionale alla Camera con il metodo d’Hondt e in sede regionale al Senato con il medesimo metodo.

 

Per l’assegnazione del premio di maggioranza alla Camera l’Ufficio elettorale nazionale individua la coalizione di liste, o eventualmente, la lista che ha ottenuto il maggior numero di voti  e assegna a questa i seggi premio. Nella proposta iniziale il premio è determinato in misura fissa e la sua assegnazione non è condizionata da altri parametri. Se il premio è assegnato ad una coalizione di liste, i 76 seggi sono ripartiti con il metodo d’Hondt fra le liste partecipanti ammesse alla ripartizione dei seggi. Successivamente l’Ufficio procede alla assegnazione nelle circoscrizioni dei seggi ottenuti da ciascuna lista. Il metodo ricalca sostanzialmente quello della legge in vigore.

 

L’Ufficio elettorale circoscrizionale, ricevute le indicazioni sul numero dei seggi spettanti a ciascuna lista proclama eletti per ciascuna di esse – sino a concorrenza dei seggi cui la lista ha diritto – per due terzi di quel numero, con arrotondamento all’unità superiore, candidati appartenenti al primo elenco (quello dei voti di preferenza) seguendo la graduatoria delle rispettive cifre individuali e per il terzo residuo candidati del secondo elenco (la lista bloccata) seguendo l’ordine di lista. Più complessa – per via della ripartizione fra le regioni dei 37 seggi del premio di maggioranza – ma sostanzialmente ispirata ai medesimi principi e criteri l’assegnazione dei seggi e le proclamazioni al Senato.

 

Della bozza di testo unificato presentata dal senatore Bianco si è detto che essa differisce da quella del senatore Malan principalmente perché sostituisce il voto di preferenza con l’articolazione dei seggi – in ciascuna circoscrizione Camera e Senato – in due blocchi: il 50% nei quali concorrono e sono eletti candidati uninominali con il metodo maggioritario semplice ed il 50% di candidature circoscrizionali recate da una lista bloccata. L’assegnazione dei seggi alle liste ed il premio alle coalizioni è il medesimo del testo Malan, ma è più complessa ed articolata la disciplina diretta ad “assorbire” i seggi uninominali nella quota proporzionale spettante a ciascuna lista.

 

La questione conflittuale sulla quale la Commissione ha a lungo discusso riguarda la disciplina del premio di maggioranza e fu posta in modo dirimente dalla approvazione dell’emendamento [1.90. (testo 3), 20 novembre 2012] che per l’assegnazione del premio alla Camera poneva la condizione che la lista o la coalizione maggioritaria avesse ottenuto almeno il 42,5% del totale dei voti validi in sede nazionale. In caso contrario, la ripartizione dei seggi sarebbe stata meramente proporzionale, salvo l’applicazione delle soglie.

 

Furono avanzate ed esaminate molte proposte alternative, non tutte formalizzate in altrettanti emendamenti:

§  dove fissare la soglia di accesso al premio, (40% o quote inferiori);

§  come dimensionare il premio riducendolo in misura fissa (50 seggi) in ragione del numero di voti ottenuti dalla coalizione o lista cui sarebbe assegnato, o proporzionandolo in misura variabile al numero di voti, o al numero di seggi ottenuti dalla lista vincente nella ripartizione proporzionale (si parlò dell’ «ascensore»);

§  fissare comunque una soglia di seggi oltre la quale non sarebbero stati assegnati ulteriori seggi (340 seggi);

§  sdoppiare il premio prevedendo insieme al premio di maggioranza un premio alla seconda lista o coalizione (la maggiore delle minoranze), immaginando un premio di governabilità concesso comunque alla prima lista quale che fosse il risultato raggiunto nella ripartizione proporzionale.

 

Su tutte queste proposte non vi furono votazioni formali ed i lavori si esaurirono senza una decisione in merito.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

ALLEGATO

 

Raffronto tra i sistemi elettorali
della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica

 

 

 

 

 

Casella di testo: Gennaio 2017
II edizione

 

 


 

 

Sono di seguito messi a confronto i sistemi attualmente vigenti per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

Per la Camera dei deputati il sistema è quello risultante dalle modifiche apportate al D.P.R. n. 361 del 1957, Testo unico per l’elezione della Camera dei deputati, dalla legge n. 52 del 2015 in vigore dal 1° luglio 2016 (di seguito T.U. Camera), tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale del 25 gennaio 2017 (sulla base del comunicato stampa della Corte medesima).

 

“Oggi, 25 gennaio 2017, la Corte costituzionale si è pronunciata sulle questioni di legittimità costituzionale della legge elettorale n. 52 del 2015 (c.d. Italicum), sollevate da cinque diversi Tribunali ordinari.

La Corte ha respinto le eccezioni di inammissibilità proposte dall’Avvocatura generale dello Stato. Ha inoltre ritenuto inammissibile la richiesta delle parti di sollevare di fronte a se stessa la questione sulla costituzionalità del procedimento di formazione della legge elettorale, ed è quindi passata all’esame delle singole questioni sollevate dai giudici.

Nel merito, ha rigettato la questione di costituzionalità relativa alla previsione del premio di maggioranza al primo turno, sollevata dal Tribunale di Genova, e ha invece accolto le questioni, sollevate dai Tribunali di Torino, Perugia, Trieste e Genova, relative al turno di ballottaggio, dichiarando l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che lo prevedono.

Ha inoltre accolto la questione, sollevata dagli stessi Tribunali, relativa alla disposizione che consentiva al capolista eletto in più collegi di scegliere a sua discrezione il proprio collegio d’elezione. A seguito di questa dichiarazione di incostituzionalità, sopravvive comunque, allo stato, il criterio residuale del sorteggio previsto dall’ultimo periodo, non censurato nelle ordinanze di rimessione, dell’art. 85 del d.p.r n. 361 del 1957.

Ha dichiarato inammissibili o non fondate tutte le altre questioni.

All’esito della sentenza, la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione”.

 

Per l’elezione del Senato della Repubblica si applicano le norme contenute nel D. Lgs. n. 533 del 1993, Testo unico per l’elezione del Senato della Repubblica (di seguito T.U. Senato) come risultante a seguito della sentenza n. 1 del 2014.

Per entrambi i sistemi elettorali, rimane invariato il voto degli italiani all’estero. Nella circoscrizione Estero, suddivisa in 4 ripartizioni, sono eletti 12 deputati e 6 senatori, con il sistema disciplinato dalla legge n. 459/2001

 


 

Caratteristiche del sistema

Camera dei deputati
(DPR n. 361/1957, L. 52/2015 e sentenza 25 gennaio 2017)

Senato della Repubblica
(D. Lgs. n. 533/1993 e sentenza n. 1/2014)

Elezione con sistema proporzionale e soglie di sbarramento sulla base ed eventuale attribuzione di un premio di maggioranza nazionale:

Elezione su base regionale con sistema proporzionale e soglie di sbarramento, senza attribuzione del premio di maggioranza[31]:

-            attribuzione di 340 seggi (“premio di maggioranza”) alla lista che ottiene almeno il 40 per cento dei voti validi su base nazionale;

 

-            non è prevista la possibilità per le liste di collegarsi in coalizione;

-            è prevista la possibilità per le liste di collegarsi in coalizione;

-            nel caso in cui nessuna lista abbia raggiunto il 40 per cento, resta ferma l’attribuzione proporzionale dei seggi;

-            attribuzione dei seggi, in ogni Regione, con sistema proporzionale alle coalizioni di liste e alle liste;

-            attribuzione dei seggi su base nazionale alle liste che hanno superato la soglia del 3 per cento dei voti validi su base nazionale;

-            attribuzione dei seggi, su base regionale, alle coalizioni di liste e alle liste che abbiano superato, in ambito regionale, le soglie di sbarramento previste dalla legge: 20 % per le coalizioni, che abbiano almeno una lista con il 3%; 8% per le liste singole (e 3% per le liste all’interno della coalizione che abbia conseguito almeno il 20%);

-            ripartizione dei seggi attribuiti a livello nazionale alle liste prima a livello circoscrizionale e successivamente in 100 collegi plurinominali (con l’eccezione di Trentino-Alto Adige e della Valle D’Aosta);

 

-            sulla base dei seggi spettanti alla lista nel collegio plurinominale è eletto prioritariamente il capolista; sono eletti, quindi, gli altri candidati della lista sulla base dei voti di preferenza degli elettori (con doppia preferenza di genere).

-            attribuzione dei seggi spettanti a ciascuna lista nella circoscrizione regionale, sulla base dei voti di preferenza degli elettori (con preferenza unica a seguito della sent. 1/2014)

 

 


Circoscrizioni elettorali

Camera dei deputati
(DPR n. 361/1957, L. 52/2015 e sentenza 25 gennaio 2017)

Senato della Repubblica
(D. Lgs. n. 533/1993 e sentenza n. 1/2014)

618 deputati sono eletti nel territorio nazionale e 12 nella circoscrizione estero.

309 senatori sono eletti nel territorio nazionale e 6 nella circoscrizione estero.

Il territorio nazionale è suddiviso in 20 circoscrizioni corrispondenti alle regioni, divise a loro volta (ad esclusione di Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige) in complessivi 100 collegi plurinominali (art. 1, co. 2, Tabella A, TU Camera).

Il territorio nazionale è suddiviso in 20 circoscrizioni corrispondenti alle regioni.

 

La ripartizione dei 618 seggi nelle circoscrizioni è effettuata, ai sensi dell’art. 56, comma quarto, della Costituzione, in proporzione alla popolazione residente risultante dall’ultimo censimento (art. 3, co. 1, TU Camera).

La ripartizione dei 309 seggi nelle regioni è effettuata, ai sensi dell’art. 57, commi terzo e quarto, della Costituzione, in proporzione alla popolazione residente risultante dall’ultimo censimento; nessuna regione può comunque avere un numero di senatori inferiori a sette, tranne la Valle d’Aosta che ne ha uno e il Molise che ne ha due (art. 1, co. 1, TU Senato).

I seggi spettanti a ciascuna circoscrizione vengono assegnati in collegi plurinominali nei quali è attribuito un numero di seggi non inferiore a tre e non superiore a nove (ad esclusione di Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige) (art. 3, co. 2-3, TU Camera).

La determinazione dei collegi plurinominali è stata definita dal D. Lgs. 122/2015, sulla base della delega contenuta nell’art. 4 della legge 52/2015.

 

La regione Valle d’Aosta è costituita in un unico collegio uninominale (art. 2, co. 1, TU Camera).

La regione Valle d’Aosta è costituita in un unico collegio uninominale (art. 1, co. 3, TU Senato).

Nella circoscrizione Trentino-Alto Adige sono costituiti otto collegi uninominali; i restanti seggi (tre) sono attribuiti con il metodo del recupero proporzionale (art. 2, co. 1-bis, TU Camera).

Gli otto collegi uninominali sono determinati anch’essi con il D. Lgs. 122/2015 (Tabella B), in base all’art. 7 della legge 277/1993 e la previsione di cui all’art. 4, comma 1, lett. f) della legge 52/2015.

Nella regione Trentino-Alto Adige sono costituiti sei collegi uninominali; i restanti seggi (attualmente uno) sono attribuiti con il metodo del recupero proporzionale (art. 1, co. 4, TU Senato).

I sei collegi uninominali sono quelli definiti dalla legge n. 422 del 1991, Elezioni del Senato della Repubblica per l'attuazione della misura 111 a favore della popolazione alto-atesina.

 

Presentazione delle liste

Camera dei deputati
(DPR n. 361/1957, L. 52/2015 e sentenza 25 gennaio 2017)

Senato della Repubblica
(D. Lgs. n. 533/1993 e sentenza n. 1/2014)

Per la Camera la dichiarazione di presentazione delle liste di candidati per l’attribuzione dei seggi nei collegi plurinominali, deve essere sottoscritta da parte di almeno 1.500 e non più di 2.000 elettori iscritti nelle liste elettorali dei Comuni compresi nei medesimi collegi (art. 18-bis TU Camera).

Per il Senato la dichiarazione di presentazione delle liste deve essere sottoscritta (art. 9, comma 2, TU Senato):

a) da almeno 1.000 e da non più di 1.500 elettori iscritti nelle liste elettorali di Comuni compresi nelle Regioni fino a 500.000 abitanti;

 

b) da almeno 1.750 e da non più di 2.500 elettori iscritti nelle liste elettorali di Comuni compresi nelle Regioni con più di 500.000 abitanti e fino a 1.000.000 di abitanti;

 

c) da almeno 3.500 e da non più di 5.000 elettori iscritti nelle liste elettorali di Comuni compresi nelle Regioni con più di 1.000.000 di abitanti.

In caso di scioglimento della Camera che ne anticipi la scadenza di oltre centoventi giorni, il numero delle sottoscrizioni è ridotto alla metà.

In caso di scioglimento del Senato della Repubblica che ne anticipi la scadenza di oltre centoventi giorni, il numero delle sottoscrizioni è ridotto alla metà.

Nessuna sottoscrizione è richiesta (art. 18-bis, comma 2, TU Camera):

Nessuna sottoscrizione è altresì richiesta (art. 9, comma 3, TU Senato):

a)  per i partiti o gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare in entrambe le Camere all’inizio della legislatura in corso al momento della convocazione dei comizi elettorali;

a)  per i partiti o gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare in entrambe le Camere all’inizio della legislatura in corso al momento della convocazione dei comizi elettorali;

 

b) per i partiti o gruppi politici che abbiano effettuato le dichiarazioni di collegamento ai sensi dell’art. 14-bis del TU Camera (che tuttavia, come già ricordato, non fa più riferimento, a seguito delle modifiche della legge n. 52/2015, al collegamento in coalizione di liste) con almeno due partiti o gruppi politici costituiti in Gruppo parlamentare in entrambe le Camere all'inizio della legislatura in corso al momento della convocazione dei comizi e abbiano conseguito almeno un seggio in occasione delle ultime elezioni per il Parlamento europeo, con contrassegno identico a quello depositato.

b) per i partiti o gruppi politici rappresentativi di minoranze linguistiche riconosciute che abbiano conseguito almeno un seggio in occasione delle ultime elezioni per la Camera o per il Senato.

c) per i partiti o gruppi politici rappresentativi di minoranze linguistiche riconosciute che abbiano conseguito almeno un seggio in occasione delle ultime elezioni per la Camera o per il Senato.

Un diverso regime delle sottoscrizioni è previsto per la presentazione delle candidature nella circoscrizione Estero e nelle regioni Valle d’Aosta e Trentino–Alto Adige (artt. 92 e 93-bis TU Camera).

Un diverso regime delle sottoscrizioni è previsto per la presentazione delle candidature nella circoscrizione Estero e nelle regioni Valle d’Aosta e Trentino–Alto Adige (art. 20 TU Senato).

È altresì prevista una disposizione speciale in materia di esonero dalla raccolta delle sottoscrizioni, limitata alle prime elezioni successive alla data di entrata in vigore della legge (art. 2, comma 36, legge 52/2015): per queste, infatti, l’esonero dalla raccolta delle sottoscrizioni si applica anche ai partiti o ai gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare in almeno una delle Camere al 1° gennaio 2014.

 

 

 


 

Presentazione delle candidature

Camera dei deputati
(DPR n. 361/1957, L. 52/2015 e sentenza 25 gennaio 2017)

Senato della Repubblica
(D. Lgs. n. 533/1993 e sentenza n. 1/2014)

La presentazione delle candidature è effettuata dai partiti o gruppi politici con il deposito del contrassegno e del proprio statuto presso il Ministero dell’Interno (art. 14 TU Camera) e, successivamente, con la presentazione di liste di candidati nei collegi plurinominali (art. 20 TU Camera).

La presentazione delle candidature è effettuata dai partiti o gruppi politici con il deposito del contrassegno presso il Ministero dell’Interno e, per ciascuna circoscrizione regionale, con la presentazione di liste di candidati (artt. 8-11 TU Senato).

I partiti o gruppi politici, inoltre, sono tenuti a depositare il programma elettorale nel quale dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come “capo della forza politica” (art. 14-bis TU Camera). Il deposito del contrassegno è disciplinato dagli articoli 15, 16 e 17 TU Camera.

L’art. 8 TU Senato, per la presentazione delle candidature, fa rinvio agli articoli 14 (che prevede anche il deposito dello statuto), 14-bis (che prevede il deposito del programma elettorale, in cui è indicato il “capo della forza politica”) 15, 16 e 17 del TU Camera.

Alcune delle norme citate parrebbero non più coerenti con il sistema, a seguito delle modifiche apportate dalla legge n. 52/2015, in particolare

- nell’art. 14 (deposito del contrassegno) e nell’art. 17 (designazione dei delegati di lista) si fa riferimento ai collegi plurinominali;

- nell’art. 14-bis è stata soppressa la possibilità per i partiti e gruppi politici di effettuare il collegamento in una coalizione di liste, mentre la legge elettorale del Senato continua a prevedere le coalizioni.

Ciascuna lista deve essere composta da un candidato capolista e da un elenco di candidati presentati in ordine numerico. Il numero dei candidati deve essere non inferiore alla metà e non superiore al seggi assegnati al collegio plurinominale (art. 18-bis, co. 3, TU Camera).

Ciascuna lista è composta da un elenco di candidati, presentati, secondo un determinato ordine, in numero non inferiore a un terzo e non superiore al numero di seggi da assegnare nella circoscrizione regionale (art. 9 TU Senato).

La legge 52/2015 ha inoltre introdotto tre prescrizioni finalizzate a garantire l’equilibrio nella rappresentanza di genere (art. 18-bis, comma 3, TU), che stabiliscono che:

 

Le liste dei candidati e la relativa documentazione sono presentate per ciascuna regione alla cancelleria della corte d'appello o del tribunale sede dell'ufficio elettorale regionale, con l'osservanza delle norme di cui agli articoli 18-bis, 19, 20 e 21 del TU Camera (art. 9, comma 5, TU Senato).

Il richiamo del TU Senato all’articolo 18-bis del TU Camera pone la questione dell’applicabilità al Senato delle disposizioni per la parità di genere introdotte dalla legge n. 52/2015. Occorre in ogni caso tener presente che la disposizione sul limite massimo del 60 per cento di candidati capolista dello stesso sesso, non risulterebbe in concreto applicabile, in quanto tale limite è riferito ai “collegi di ciascuna circoscrizione”, e che la disposizione sull’ordine alternato di genere nelle liste fa riferimento alle “liste nei collegi plurinominali”. Risulterebbe invece in concreto estensibile al sistema elettorale del Senato è la disposizione che prescrive il 50% di candidature per ciascun sesso sessi nel complesso delle candidature circoscrizionali di ciascuna lista.

-            nel complesso delle candidature circoscrizionali di ciascuna lista, nessun sesso può essere rappresentato in misura superiore al 50 per cento, con arrotondamento all’unità superiore;

-            nella successione interna delle liste nei collegi plurinominali, i candidati sono collocati in lista secondo un ordine alternato di genere;

-            nel numero complessivo dei candidati capolista nei collegi di ciascuna circoscrizione, non può esservi più del 60 per cento dei candidati dello stesso sesso, con arrotondamento aritmetico.

Nessun candidato può accettare la candidatura contestuale alla Camera e al Senato, a pena di nullità dell’elezione (art. 19 TU Camera).

Nessun candidato può essere incluso in liste con diversi contrassegni nello stesso o in altro collegio plurinominale a pena di nullità dell’elezione (art. 19 TU Camera).

Un candidato può essere incluso in liste con il medesimo contrassegno, in una o più circoscrizioni, solo se capolista e fino ad un massimo di dieci collegi plurinominali, a pena di nullità dell’elezione (art. 19 TU Camera).

 

 

Il richiamo all’articolo 19 TU Camera pone altresì la questione dell’applicabilità al Senato della disposizione che prevede il divieto di presentazione con diversi contrassegni in più collegi plurinominali; analoga questione si pone in relazione alla disposizione sulle pluricandidature, ammesse nel TU Camera, in una o più circoscrizioni, solo per il capolista e fino ad un massimo di dieci collegi plurinominali.

La legge n. 52/2015 ha modificato il TU Camera (art. 22), introducendo i controlli e gli interventi sulle liste da parte degli uffici elettorali al fine di garantire il rispetto delle disposizioni sulla parità di genere e sulle pluricandidature nelle liste. Nel caso in cui, all’esito dei controlli, le predette disposizioni non risultino rispettate, la sanzione è la ricusazione della lista.

 

 

 

Modalità di votazione

Camera dei deputati
(DPR n. 361/1957, L. 52/2015 e sentenza 25 gennaio 2017)

Senato della Repubblica
(D. Lgs. n. 533/1993 e sentenza n. 1/2014)

Ogni elettore dispone di un voto per la scelta della lista, da esprimere su un’unica scheda recante il contrassegno di ciascuna lista e il nominativo del candidato capolista. Può altresì esprimere uno o due voti di preferenza; in caso di espressione della seconda preferenza, l’elettore deve scegliere un candidato di sesso diverso rispetto al primo, a pena di nullità della seconda preferenza (art. 4, co. 2, TU Camera).

Il voto si esprime tracciando un solo segno, comunque apposto, sul rettangolo contenente il contrassegno della lista prescelta. (art. 14, co.1, TU Senato).

La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma sull’espressione del voto nella parte in cui non consente all’elettore di esprimere una preferenza per i candidati.

La norma sull’espressione del voto (art. 58, co. 2, TU Camera) conferma quanto disposto all’art. 4: l’elettore esprime il voto tracciando “un segno, comunque apposto, sul rettangolo contenente il contrassegno della lista prescelta. Può anche esprimere uno o due voti di preferenza, scrivendo il nominativo del candidato prescelto, o quelli dei candidati prescelti, sulle apposite linee orizzontali. Sono vietati altri segni o indicazioni.”

 

Le norme sulla validità del voto sono contenute negli articoli 59 e 59-bis TU Camera. La scheda per la votazione è descritta all’articolo 31 TU Camera e nella Tabella A-bis allegata al DPR 361/1956.

 

 

 

 

La disciplina per la stampa dei manifesti è contenuta nell’articolo 24 TU Camera.

A seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma sull’espressione del voto nella parte in cui non consente all’elettore di esprimere una preferenza, la norma parrebbe suscettibile di integrazione con la previsione delle modalità di espressione delle preferenze.Analoga considerazione potrebbe svolgersi circa le norme conseguenti alla possibilità di espressione delle preferenze:

- nella descrizione della scheda elettorale (art. 11, comma 3 e allegata Tabella A,TU Senato);

- nelle norme sulla stampa dei manifesti elettorali (art. 11, comma 1, TU Senato).

  La Corte Costituzionale, peraltro, come già detto, nella sentenza n. 1 del 2014, ha evidenziato che “Per quanto riguarda la possibilità per l’elettore di esprimere un voto di preferenza, eventuali apparenti inconvenienti, che comunque «non incidono sull’operatività del sistema elettorale, né paralizzano la funzionalità dell’organo» (sentenza n. 32 del 1993), possono essere risolti mediante l’impiego degli ordinari criteri d’interpretazione, alla luce di una rilettura delle norme già vigenti coerente con la pronuncia della Corte. “Come, ad esempio, con riferimento alle previsioni, di cui agli artt. 84, comma 1, del d.P.R. n. 361 del 1957, e 17, comma 7, del d.lgs. n. 533 del 1993, che, nella parte in cui stabiliscono che sono proclamati eletti, nei limiti dei seggi ai quali ciascuna lista ha diritto, i candidati compresi nella lista medesima «secondo l’ordine di presentazione», non appaiono incompatibili con l’introduzione del voto di preferenza, dovendosi ritenere l’ordine di lista operante solo in assenza di espressione della preferenza; o, ancora, con riguardo alle modalità di redazione delle schede elettorali di cui all’art. 31 del d.P.R. n. 361 del 1957 ed all’art. 11, comma 3, del d.lgs n. 533 del 1993, che, nello stabilire che nella scheda devono essere riprodotti i contrassegni di tutte le liste regolarmente presentate nella circoscrizione, secondo il fac-simile di cui agli allegati, non escludono che quegli schemi siano integrati da uno spazio per l’espressione della preferenza; o, quanto alla possibilità di intendere l’espressione della preferenza come preferenza unica, in linea con quanto risultante dal referendum del 1991, ammesso con sentenza n. 47 del 1991, in relazione alle formule elettorali proporzionali”. Simili eventuali inconvenienti potranno, d’altro canto, essere rimossi – ha evidenziato la Corte - anche mediante interventi normativi secondari, meramente tecnici ed applicativi della presente pronuncia e delle soluzioni interpretative sopra indicate. Resta fermo ovviamente, che lo stesso legislatore ordinario, ove lo ritenga, «potrà correggere, modificare o integrare la disciplina residua» (sentenza n. 32 del 1993)”.

   Si ricorda, in ogni caso, che il D. Lgs. n. 533/1993 (TU delle leggi recanti norme per l'elezione del Senato della Repubblica) non reca la disciplina relativa, in particolare, allo scrutinio ed alle modalità di attribuzione dei seggi conseguenti al voto con l’espressione delle preferenze. A sua volta, giova ricordare che la norma di chiusura recata dall’art. 27 del citato TU per l’elezione del Senato prevede che “per l'esercizio del diritto di voto e per tutto ciò che non è disciplinato dal presente decreto si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del testo unico delle leggi per l'elezione della Camera dei deputati (DPR 361/1957)” che, a seguito delle modifiche apportate dalla legge 52/2015, prevede peraltro la possibilità per l’elettore di esprimere non una sola preferenza ma uno o due voti di preferenza (in caso di espressione della seconda preferenza, a pena di nullità della medesima, l’elettore deve scegliere un candidato di sesso diverso rispetto al primo).

 

 

Soglie di accesso

Camera dei deputati
(DPR n. 361/1957, L. 52/2015 e sentenza 25 gennaio 2017)

Senato della Repubblica
(D. Lgs. n. 533/1993 e sentenza n. 1/2014)

Accedono alla ripartizione dei seggi:

- le liste che ottengono, su base nazionale, almeno il 3 per cento dei voti validi;

 

Accedono alla ripartizione dei seggi, a livello regionale (art. 16, co. 1, lett. b) TU Senato):

-          le coalizioni di liste che abbiano conseguito sul piano regionale almeno il 20 per cento dei voti validi espressi e che contengano almeno una lista collegata che abbia conseguito sul piano regionale almeno il 3 per cento dei voti validi espressi;

-          le singole liste non collegate che abbiano conseguito sul piano regionale almeno l’8 per cento dei voti validi espressi;

-          le singole liste che, pur appartenendo a coalizioni che non abbiano conseguito la percentuale del 20 per cento, abbiano conseguito sul piano regionale almeno l’8 per cento dei voti validi espressi;

-          le singole liste che, appartenendo a coalizioni che abbiano conseguito la percentuale del 20 per cento, abbiano conseguito sul piano regionale almeno il 3 per cento dei voti validi espressi (art. 17, co. 3, TU Senato);

 

 

 

- le liste rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute, presentate esclusivamente in una regione ad autonomia speciale il cui statuto preveda una particolare tutela di tali minoranze linguistiche, che abbiano conseguito almeno il 20 per cento dei voti validi espressi nella regione medesima (art. 83, co.1, n. 3), TU Camera).

 

 


 

Attribuzione dei seggi

Camera dei deputati
(DPR n. 361/1957, L. 52/2015 e sentenza 25 gennaio 2017)

Senato della Repubblica
(D. Lgs. n. 533/1993 e sentenza n. 1/2014)

I seggi alle liste sono attribuiti su base nazionale con il metodo proporzionale dei quozienti interi e dei più alti resti.

In ciascuna regione, i seggi alle coalizioni e alle liste sono attribuiti in base alla cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna di esse, secondo il metodo dei quozienti interi e dei più alti resti (art. 17 TU Senato).

Sono attribuiti 340 seggi alla lista che ottenga, su base nazionale, almeno il 40 per cento dei voti validi (“premio di maggioranza”). Nel caso in cui nessuna lista abbia raggiunto il 40 per cento, resta ferma l’attribuzione proporzionale dei seggi.

La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che prevedono il ballottaggio (accesso delle due liste con il maggior numero di voti ad un turno di ballottaggio ed attribuzione di 340 seggi alla lista vincitrice del ballottaggio).

 

La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma che prevedeva l’attribuzione, nell’ambito di ciascuna Regione, di un “premio di coalizione regionale” alla coalizione di liste o alla lista più votata, qualora tale coalizione o lista non avesse già conseguito almeno il 55 per cento dei seggi assegnati alla Regione.

A seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma sul premio di maggioranza regionale risultano non più applicabili tutte le disposizioni che fanno riferimento al premio di maggioranza regionale o che sono comunque funzionali all’attribuzione del premio. In particolare, oltre all’espunzione dei commi 2 e 4 dell’articolo 17 TU Senato (espressamente dichiarati incostituzionali) si fa riferimento ai commi 5 e 6 e a parte del comma 3, nonché al comma 1.

 

I seggi attribuiti a ciascuna lista a livello nazionale sono successivamente ripartiti nelle circoscrizioni regionali, in misura proporzionale al numero di voti che ciascuna lista ha ottenuto; segue quindi la ripartizione dei seggi nei collegi plurinominali in cui si articolano le circoscrizioni, anche in tal caso in misura proporzionale al numero di voti ottenuto da ciascuna lista (articoli 83 e 83-bis TU Camera).


 

Proclamazione degli eletti e vacanza dei seggi

Camera dei deputati
(DPR n. 361/1957, L. 52/2015 e sentenza 25 gennaio 2017)

Senato della Repubblica
(D. Lgs. n. 533/1993 e sentenza n. 1/2014)

I seggi spettanti alla lista nel collegio plurinominale sono attribuiti prioritariamente al capolista, quindi ai candidati sulla base del numero di preferenze ottenute (art. 84 TU Camera).

I seggi spettanti alla lista nella regione sono attribuiti ai candidati secondo l’ordine di presentazione della lista (art. 17, co. 7, TU Senato). Tale norma non è stata esplicitamente dichiarata illegittima dalla Corte che ha evidenziato come “i candidati compresi nella lista secondo l’ordine di presentazione non appaiono incompatibili con l’introduzione del voto di preferenza, dovendosi ritenere l’ordine di lista operante solo in assenza di espressione della preferenza”.

Ai sensi dell’art. 85 TU Camera, il deputato eletto in più collegi plurinominali deve dichiarare alla Presidenza della Camera dei deputati, entro otto giorni dalla data dell'ultima proclamazione, quale collegio plurinominale prescelga. Mancando l'opzione, si procede al sorteggio.

La Corte costituzionale, nella sentenza del 25 gennaio 2017, ha accolto la questione di legittimità relativa alla disposizione che consentiva al capolista eletto in più collegi di scegliere a sua discrezione il proprio collegio d’elezione, affermando che “a seguito di questa dichiarazione di incostituzionalità, sopravvive comunque, allo stato, il criterio residuale del sorteggio previsto dall’ultimo periodo, non censurato nelle ordinanze di rimessione, dell’art. 85 del d.p.r n. 361 del 1957.”

Il generale rinvio dell’art. 27 TU Senato TU Camera pone altresì la questione dell’applicazione dell’art. 85 TU Camera (ferma restando la questione relativa all’applicabilità al Senato della disposizione sulle pluricandidature, ammesse nel TU Camera all’art. 19, in una o più circoscrizioni, solo per il capolista e fino ad un massimo di dieci collegi plurinominali – v. supra).

L’articolo 85 è stato infatti dapprima modificato dalla legge n. 52/2015, che ha sostituito il riferimento alle circoscrizioni con quello ai collegi plurinominali, e successivamente dichiarato incostituzionale nella parte in cui prevede la facoltà di opzione di plurieletto.

I seggi rimasti vacanti per qualsiasi causa, anche sopravvenuta, sono attribuiti nel medesimo collegio plurinominale al primo dei candidati non eletti secondo la graduatoria delle preferenze (art. 86 TU Camera).

Il seggio rimasto vacante per qualsiasi causa, anche sopravvenuta, è attribuito nella medesima circoscrizione, al candidato che segue l’ultimo degli eletti nell’ordine progressivo di lista (art. 19, co. 1, TU Senato, norma non esplicitamente dichiarata illegittima dalla Corte).

 

A seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma sull’espressione del voto nella parte in cui non consente all’elettore di esprimere una preferenza, parrebbero suscettibili di modifica nel dettato testuale le disposizioni residue, prevedendo la proclamazione degli eletti non sulla base dell’ordine di presentazione delle lista ma secondo i voti di preferenza ricevuti.

 

 

 



[1]    Sono stati così caducati: per la Camera dei deputati, l'articolo 83, comma 1, n. 5 e comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957; per il Senato, l'articolo 17, commi 2 e 4 del decreto legislativo n. 533 del 1993.

[2]    Sono stati così caducati: per la Camera dei deputati, l'articolo 4, comma 2 e l'articolo 59 del d.P.R. n. 361 del 1957; per il Senato, l'articolo 14, comma 1 del decreto legislativo n. 533 del 1993.

[3] I sei collegi uninominali sono quelli definiti dalla legge n. 422 del 1991 (Elezioni del Senato della Repubblica per l'attuazione della misura 111 a favore della popolazione alto-atesina).

[4] I seggi attribuiti con criterio proporzionale sono calcolati con il metodo d’Hont, in base alle cifre elettorali conseguite da ciascun gruppo di candidati. La cifra elettorale è data dalla somma dei voti ottenuti dai candidati del gruppo nei collegi uninominali, detratti quelli conseguiti dai candidati già proclamati eletti (c.d. scorporo totale).

[5]     Prevista dalla legge 459/2001 (Norme per l'esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all'estero).

[6]     Il rinvio, peraltro, è – come si è detto - all’art. 14-bis del DPR 361/1957 che non fa più riferimento al collegamento delle liste a seguito delle modifiche apportate dalla legge 52/2015.

[7]     L. cost. 17 gennaio 2000, n. 1, di modifica dell’art. 48 Cost.; L. cost. 23 gennaio 2001, n. 1, di modifica degli articoli 56 e 57 Cost.

[8]     L. 27 dicembre 2001, n. 459, Norme per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero.

[9]     D.P.R. 2 aprile 2003, n. 104, Regolamento di attuazione della legge 27 dicembre 2001, n. 459, recante disciplina per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero.

[10] Per una panoramica delle proposte di legge di riforma elettorale presentate alla Camera e al Senato all’inizio della XVII legislatura si veda il dossier del Servizio Studi della Camera, Modifiche alle norme per l’elezione della Camera e del Senato. A.C. 3 e abb., del 10 dicembre 2013.

[11]   Ordinanza n. 12060/2013 depositata il 17 maggio 2013 dalla Corte suprema di Cassazione, I sezione civile; la Corte ha dichiarato rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale e ha trasmesso gli atti alla Corte costituzionale.

[12]Per i contenuti di tali proposte di legge si veda il citato dossier del Servizio studi Modifiche alle norme per l'elezione della Camera e del Senato - A.C. 3 e abb.

[13]   Pei i contenuti di tali modifiche si veda il dossier del Servizio studi Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati - A.C. 3 e abb. bis-B.

[14]   Il testo originario dell'art. 57 della Costituzione, così disponeva: «Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale. A ciascuna Regione è attribuito un senatore per duecentomila abitanti o per frazione superiore a centomila. Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sei. La Valle d'Aosta ha un solo senatore.» Con la legge costituzionale n. 2/1963 è stato stabilito il numero fisso di 315 senatori ed elevato a 7 il numero minimo di senatori per regione.

[15]   La legge 56/2014 (la c.d. legge Delrio) ha definito le province quali enti di area vasta e ne ha stabilito l'elezione di secondo grado.

[16]   Nelle regioni che non hanno adottato una propria legge elettorale, il sistema elettorale è disciplinato dalla normativa nazionale, costituita da un complesso di norme il cui nucleo fondamentale sono la legge 108/1968, la legge 43/1995, l’articolo 5 della legge costituzionale 1/1999 ed infine la legge 165/2004, che stabilisce i principi cui sottostà la potestà legislativa della regione in materia elettorale. Quanto alle leggi elettorali delle regioni, nessuna di esse ha modificato sostanzialmente il sistema di elezione stabilito dalle leggi nazionali; tutte conservano l’impianto proporzionale in circoscrizioni corrispondenti al territorio delle province e l’esito maggioritario in sede regionale. Le regioni Campania, Marche, Toscana, Umbria e Veneto (quest'ultima regione ha adottato la legge regionale nel gennaio 2012, perciò non è stata ancora applicata) hanno emanato proprie leggi elettorali che sostituiscono quasi integralmente la disciplina statale. Le regioni Calabria, Lazio, Puglia e Lombardia hanno approvato leggi elettorali che in varia misura e per aspetti diversi sostituiscono, integrano e modificano la legislazione nazionale. La regione Piemonte ha modificato parzialmente soltanto le disposizioni che disciplinano la presentazione delle liste circoscrizionali e regionali. Nelle regioni Liguria, Emilia-Romagna, Basilicata, Molise e, salvo quanto detto sopra, Piemonte si applica la disciplina nazionale.

[17]   L. 108/1965 art. 15 come modificato dall'art. 3 della L. 43/1995.

[18]   D.P.R. 5 gennaio 1994, n. 14, Regolamento di attuazione della legge 4 agosto 1993, n. 277, per l’elezione della Camera dei deputati.

[19]   L. cost. 17 gennaio 2000, n. 1, Modifica all’articolo 48 della Costituzione concernente l’istituzione della circoscrizione Estero per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero.

[20]   L. cost. 23 gennaio 2001, n. 1, Modifiche agli articoli 56 e 57 della Costituzione concernenti il numero di deputati e senatori in rappresentanza degli italiani all’estero.

[21]   L. 27 dicembre 2001, n. 459, Norme per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero.

[22]   D.P.R. 2 aprile 2003, n. 104, Regolamento di attuazione della legge 27 dicembre 2001, n. 459, recante disciplina per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero.

[23]   Nella Gazzetta ufficiale del 7 aprile 2003, supplemento ordinario n. 54, è stato pubblicato il D.P.C.M. 2 aprile 2003, Popolazione legale della Repubblica in base al censimento del 21 ottobre 2001.

[24]   Camera dei deputati, Commissione Affari Costituzionali. Seduta del 26 febbraio 2004 Audizione del presidente dell'Istat, professor Luigi Biggeri, presidente della Commissione per la verifica e la revisione dei collegi  elettorali.

[25]   Camera dei deputati, Commissione Affari Costituzionali, Sedute del 4 e 18 maggio 2005, Audizione del Ministro dell'interno Giuseppe Pisanu, per la verifica e la revisione dei collegi elettorali, a seguito dello svolgimento del censimento generale della popolazione del 2001 e all'entrata in vigore della normativa sul voto dei cittadini italiani all'estero.

[26]   Seduta del 16 giugno 2005 - Allegato (Testo unificato predisposto dal Relatore adottato come testo base dalla Commissione).

[27]   La coalizione deve inoltre comprendere almeno una lista che abbia raggiunto almeno il 2% del totale dei voti validi o, a determinate condizioni, una lista rappresentativa di minoranze linguistiche riconosciute.

[28]   È’ inoltre ammessa alla ripartizione la lista che ha ottenuto il risultato migliore tra quelle che non hanno raggiunto la soglia del 2%.

[29]   20% per le coalizioni; 8% per le liste non coalizzate; 3% per le liste facenti parte di una coalizione ammessa alla ripartizione.

[30]   Com'è noto prima di ciascuna tornata elettorale, insieme al D.P.R. con cui vengono convocati i comizi elettorali, viene emanato il D.P.R. che reca l'assegnazione dei seggi alle circoscrizioni  in attuazione dell'art. 56, comma 4 della Costituzione. Per le elezioni 2013, D.P.R. 22 dicembre 2012.

[31] L’attribuzione di un premio di maggioranza su base regionale è stato dichiarato incostituzionale (sent. 1/2014).