Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Norme per la semplificazione e l'accelerazione dei procedimenti amministrativi - Schede di lettura - Atto del Governo n. 309
Riferimenti:
SCH.DEC 309/XVII     
Serie: Atti del Governo    Numero: 307
Data: 22/06/2016
Descrittori:
L 2015 0124   PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni
Altri riferimenti:
L N. 124 DEL 07-AGO-15     

Norme per la semplificazione e l'accelerazione dei procedimenti amministrativi
(Atto del Governo n. 309)

 

 

Dossier n. 307

22 giugno 2016


 

 

 

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Dossier n. 342

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Atti del Governo n. 307

 

 

 

 

 

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INDICE

 

PREMESSA.. 1

Schede di lettura

La disposizione di autorizzazione alla delegificazione. 5

Il contenuto dello schema di regolamento. 7

§  Oggetto e ambito di applicazione. 7

§  Individuazione degli interventi 13

§  Riduzione dei termini dei procedimenti 16

§  Potere sostitutivo. 18

§  Disposizioni sulle risorse umane e finanziarie. 21

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite. 23

 

 


PREMESSA

Lo schema di regolamento di delegificazione in esame è stato predisposto in attuazione di una norma di autorizzazione recata dalla legge delega in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche (L. 124/2015, art. 4)

 

Lo schema di regolamento reca norme per la semplificazione e l’accelerazione di procedimenti amministrativi riguardanti rilevanti insediamenti produttivi, opere di rilevante impatto sul territorio o l’avvio di attività imprenditoriali suscettibili di avere positivi effetti sull’economia o sull’occupazione.

La semplificazione ed accelerazione è attuata attraverso due strumenti: la riduzione dei termini dei procedimenti e l’esercizio di un potere sostitutivo da parte del Presidente del Consiglio in caso di mancato rispetto dei termini.

 

I procedimenti interessati sono quelli che hanno ad oggetto autorizzazioni, licenze, concessioni non costitutive, permessi o nulla osta comunque denominati necessari per la localizzazione, la progettazione e la realizzazione delle opere, lo stabilimento degli impianti produttivi e l’esercizio delle attività compresi quelli di competenza delle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico, alla tutela della salute e della pubblica incolumità.

 

Per l’individuazione dei progetti cui applicare le disposizioni di accelerazione, si procede in una prima fase alla segnalazione di una serie di progetti, che spetta agli enti territoriali entro il 31 gennaio di ciascun anno. La Presidenza del consiglio può comunque, entro il 28 febbraio, segnalare ulteriori progetti.

In una seconda fase, entro il 31 marzo, si procede, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa delibera del Consiglio dei ministri, all’individuazione “in concreto” dei singoli progetti cui si applicano le disposizioni di semplificazione ed accelerazione.

Con i medesimi decreti del Presidente del consiglio possono essere ridotti i termini di conclusione dei procedimenti necessari per la localizzazione, la progettazione e la realizzazione dell’opera, lo stabilimento dell’impianto produttivo e l’esercizio dell’attività, in misura non superiore al 50 per cento rispetto ai termini ordinari.

In caso di inutile decorso del termine, eventualmente ridotto, il Presidente del Consiglio può sostituirsi direttamente all’amministrazione inadempiente, adottando i relativi atti, oppure, previa delibera del Consiglio dei ministri, può delegare il potere sostitutivo ad un diverso soggetto, fissando un nuovo termine per la conclusione del procedimento.

 

Viene poi disciplinato l’esercizio del potere sostitutivo nei casi in cui l’intervento coinvolga le competenze delle regioni e degli enti locali.

Il coinvolgimento degli enti territoriali è comunque escluso nel caso in cui “sussista un preminente interesse nazionale alla realizzazione dell’opera”.

Quando non sussiste un preminente interesse nazionale e l’intervento coinvolge esclusivamente o in misura prevalente il territorio di una regione o di un comune o città metropolitana, il Presidente del Consiglio di regola delega all’esercizio del potere sostitutivo il Presidente della regione o il sindaco.

Negli altri casi, quando l’intervento coinvolge le competenze delle regioni e degli enti locali la determinazione delle modalità di esercizio del potere sostitutivo è rimessa a una previa intesa in sede di Conferenza unificata (ferma restando l’esclusione nei casi di sussistenza di un preminente interesse nazionale).

 

È infine prevista una clausola di invarianza finanziaria, ai sensi della quale all’attuazione delle disposizioni contenute nel regolamento si provvede nell’ambito delle risorse già disponibili.

 

 

 

 

 


Schede di lettura

 


La disposizione di autorizzazione alla delegificazione

L’articolo 4 della legge 7 agosto 2015, n. 124, autorizza il Governo ad emanare un regolamento di delegificazione per la semplificazione e accelerazione dei procedimenti amministrativi concernenti le seguenti tre attività economiche:

§  rilevanti insediamenti produttivi;

§  opere di interesse generale;

§  avvio di attività imprenditoriali.

 

Per un inquadramento generale della legge di delega si veda il dossier del Servizio studi, Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche. Legge 7 agosto 2015, n. 124, 15 ottobre 2015.

 

Il regolamento deve basarsi, in base a quanto previsto dal predetto articolo 4, sulle seguenti norme generali regolatrici della materia:

 

a) individuazione dei tipi di procedimento amministrativo, relativi a rilevanti insediamenti produttivi, a opere di interesse generale o all'avvio di attività imprenditoriali, ai quali possono essere applicate le misure di cui alle lettere c) e seguenti (riduzione dei termini e esercizio di poteri sostitutivi);

b) individuazione in concreto da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, nell'ambito dei tipi di procedimento indicati alla lettera a), dei singoli interventi con positivi effetti sull'economia o sull'occupazione per i quali adottare le misure di cui alle lettere c) e seguenti (riduzione dei termini e esercizio di poteri sostitutivi);

c) previsione, per ciascun procedimento, dei relativi termini, ridotti in misura non superiore al 50 per cento rispetto a quelli applicabili ai sensi della legge generale sul procedimento amministrativo (art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241);

d) per i procedimenti individuati in concreto dal Presidente del Consiglio ai sensi della lettera b), attribuzione, previa delibera del Consiglio dei ministri, di poteri sostitutivi al Presidente del Consiglio dei ministri o a un suo delegato;

e) previsione, per i procedimenti in cui siano coinvolte amministrazioni delle regioni e degli enti locali, di idonee forme di raccordo per la definizione dei poteri sostitutivi previsti dalla lettera d);

f) definizione dei criteri di individuazione di personale in servizio presso le amministrazioni pubbliche, in possesso di specifiche competenze tecniche e amministrative, di cui possono avvalersi i titolari dei poteri sostitutivi previsti dalla lettera d), senza riconoscimento di trattamenti retributivi ulteriori rispetto a quelli in godimento e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

Il termine previsto per l’emanazione del regolamento è di 180 giorni dalla entrata in vigore della legge, previa intesa in sede di Conferenza unificata.

Il termine risulta dunque fissato al 24 febbraio 2016. Trattandosi peraltro di attribuzione di potere regolamentare (e non di delega legislativa), il termine risulta di carattere meramente ordinatorio.

 

Quanto alla procedura per l’emanazione del regolamento, viene richiamata la disposizione generale sui regolamenti di delegificazione, di cui all’articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, la quale stabilisce che con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia, che si pronunciano entro trenta giorni dalla richiesta, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l’esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l’abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall’entrata in vigore delle norme regolamentari.

 


Il contenuto dello schema di regolamento

Oggetto e ambito di applicazione

L’articolo 1 individua l’oggetto e l’ambito di applicazione del regolamento.

 

Quanto al primo aspetto, in attuazione dell’art. 4 della L. 124/2015, lo schema contiene norme “per la semplificazione e l’accelerazione di procedimenti amministrativi riguardanti rilevanti insediamenti produttivi, opere di rilevante impatto sul territorio o l’avvio di attività imprenditoriali suscettibili di avere positivi effetti sull’economia o sull’occupazione” (comma 1).

Come evidenziato nell’analisi tecnico-normativo allegata allo schema, l’obiettivo specifico di tali disposizioni è consentire la conclusione in tempi certi dei procedimenti amministrativi afferenti alle tipologie indicate.

 

A parziale differenza rispetto alla norma di autorizzazione alla delegificazione, l’espressione “opere di interesse generale” (art. 4, co. 1, lett. a), L. 124/2015) viene sostituita nello schema di regolamento con quella di “opere di rilevante impatto sul territorio”.

In luogo dell’espressione “con effetti positivi” sull’economia o sull’occupazione, viene inoltre usata l’espressione “suscettibili di avere positivi effetti”.

 

Per quanto concerne l’ambito di applicazione, il comma 2 prevede che le norme del regolamento riguardano i procedimenti che hanno ad oggetto autorizzazioni, licenze, concessioni non costitutive, permessi o nulla osta comunque denominati necessari per la localizzazione, la progettazione e la realizzazione delle opere, lo stabilimento degli impianti produttivi e l’esercizio delle attività.

 

In relazione alla formulazione del testo, lo schema in esame usa un’espressione in parte difforme e più ampia rispetto a quella prevista nella fonte primaria di autorizzazione; in particolare, il comma 2 fa riferimento a “l’esercizio dell’attività” mentre la legge indica “l’avvio delle attività”.

 

Si valuti l’opportunità di un chiarimento circa l’utilizzo dell’espressione “concessioni non costitutive” (peraltro già utilizzata dall’articolo 19 della legge generale sul procedimento amministrativo per il diverso istituto della segnalazione certificata di inizio attività-SCIA). Essa, fondandosi su una distinzione di carattere dottrinale, potrebbe infatti dar luogo ad incertezze interpretative.

 

In dottrina, i procedimenti concessori sono tradizionalmente articolati in traslativi e costitutivi. La concessione si dice "traslativa" quando si verifica il trasferimento temporaneo al privato concessionario della situazione giuridica di cui la pubblica amministrazione è titolare. Si parla invece di concessione "costitutiva" allorché la pubblica amministrazione non è titolare della situazione giuridica, ma è autorizzata in virtù di specifiche disposizioni legislative ad abilitare il privato concessionario all'esercizio di un diritto creato ad hoc ed ex novo, in virtù del provvedimento di concessione.

 

Viene inoltre specificato che nei procedimenti sono compresi quelli di competenza delle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico, alla tutela della salute e della pubblica incolumità.

 

Tale richiamo sembrerebbe essere riferibile, senza pretesa di esaustività, almeno ai seguenti procedimenti:

§  i procedimenti connessi al rilascio dei titoli abilitativi all’attività edilizia previsti dal T.U. edilizia (D.P.R. 380/2001), a titolo di esempio si ricordano quelli per il rilascio del permesso di costruire, la SCIA e la super-DIA (artt. 20-23);

§  i procedimenti per l’autorizzazione degli scarichi idrici (artt. 124 e seguenti) e in atmosfera (artt. 269 e seguenti), contemplati dal cd. Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006);

§  i procedimenti per l’autorizzazione degli impianti di gestione dei rifiuti, anch’essi previsti dal predetto decreto legislativo n. 152 del 2006 (artt. 208 e seguenti), e per gli impianti di incenerimento e coincenerimento (art. 237-quinquies e ss.);

§  i procedimenti integrati di autorizzazione: vale a dire l’autorizzazione integrata ambientale (AIA, disciplinata dal titolo III-bis della parte seconda del cd. Codice dell’ambiente (artt. 29-bis e ss.) e l’autorizzazione unica ambientale (AUA, disciplinata dal D.P.R. 59/2013) per le micro, piccole e medie imprese (MPMI), che hanno sostituito, integrandole in un unico provvedimento, una serie di autorizzazioni (alcune delle quali citate in precedenza);

§  i procedimenti di valutazione ambientale strategica (VAS) e di valutazione di impatto ambientale (VIA), disciplinati dalla parte seconda del D.Lgs. 152/2006;

§  i procedimenti per la bonifica dei siti inquinati previsti dalla parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006 (artt. 239 e seguenti);

§  i procedimenti autorizzatori contemplati dal Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al D.Lgs. 42/2004 (in particolare, per la rilevanza che assume, si ricorda in questa sede l’autorizzazione paesaggistica, disciplinata dagli artt. 146 e seguenti);

§  i procedimenti per l’utilizzo delle terre e rocce da scavo, per i quali è in attesa di pubblicazione sulla G.U. il nuovo regolamento (v. schema di decreto n. 279);

§  le procedure previste dall’art. 5-bis della legge n. 84/1994 per l’effettuazione dei dragaggi.

Il campo di applicazione sembra altresì includere anche le procedure espropriative disciplinate dal D.P.R. 327/2001, oltre, naturalmente, alle procedure generali per la programmazione, la progettazione e la realizzazione delle opere pubbliche previste dal nuovo Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016).

 

 

L’elencazione contenuta nel comma 2 è operata per categorie procedimentali generali e non individua i singoli procedimenti ascrivibili a ciascuna categoria.

Sotto tale profilo, appare rilevante richiamare il criterio contenuto nell’articolo 4, comma 1, lettera a),  della legge n. 124/2015, il quale invece prevede che il regolamento proceda all’“individuazione dei tipi di procedimento amministrativo, relativi a rilevanti insediamenti produttivi, a opere di interesse generale o all'avvio di attività imprenditoriali”.

L’individuazione dei “tipi di procedimento amministrativo” è infatti funzionale a delineare in qualche modo l’ambito di degli interventi previsti dagli articoli successivi, ai fini dell’individuazione specifica delle opere ed insediamenti produttivi cui si applicherà la cd. “fast track procedure”, con le relative riduzione dei termini e la possibilità di esercizio di poteri sostitutivi (ai sensi della lettera b), comma 1, articolo 4, della legge n. 124/2015).

 

Appare opportuno al riguardo richiamare le osservazioni espresse dal Consiglio di Stato nel parere sullo schema in esame, nella parte in cui rileva che l’accelerazione/semplificazione dell’azione amministrativa è stata spesso oggetto di interventi settoriali da parte di fonti primarie o regolamenti autorizzati, come quello in esame, ex art. 17, comma 2 della legge n. 400/1988. Senza alcuna pretesa di esaustività, il Consiglio cita:

§  il regolamento sulla disciplina dei procedimenti di localizzazione delle opere di interesse statale (D.P.R. 383/1994);

§  la legge obiettivo (legge n. 443/2001) in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive (ora peraltro superata dal nuovo codice degli appalti pubblici, v. infra);

§  i meccanismi procedimentali extra ordinem in materia di protezione civile (ad esempio, l’abbreviazione di termini prevista nell’articolo 2 dell’ordinanza del capo del Dipartimento della protezione civile 30 maggio 2015, n. 257);

§  l’articolo 33 del D.L. n. 133/2014 sugli interventi di bonifica e di rigenerazione urbana delle aree di rilevante interesse nazionale - comprensorio Bagnoli – Coroglio che ha previsto un dimezzamento di tutti i termini, eccetto quelli processuali, previsti per l’espletamento di tutte le procedure ad evidenza pubblica dal D.lgs. n. 163/2006.

 

Interventi con finalità analoghe a quelle dello schema in esame, operati prima dell’emanazione del nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 50/2016), sono inseriti nell’ambito del c.d. decreto-legge sblocca Italia (D.L. 133/2014). Oltre all’articolo 33, comma 6, già richiamato, si ricordano in particolare i commi 1-6 dell'art. 34, che perseguono finalità di semplificazione e accelerazione delle procedure di affidamento ed esecuzione dei contratti pubblici relativi alla bonifica e alla messa in sicurezza di siti inquinati, operata mediante una serie di modifiche al D.Lgs. 163/2006. Tali disposizioni sono state abrogate dal D.Lgs. 50/2016. L’articolo 9 del medesimo decreto-legge - dopo aver qualificato (al comma 1) come interventi di "estrema urgenza" gli interventi, anche su impianti, arredi e dotazioni, funzionali alla messa in sicurezza degli edifici scolastici, alla mitigazione dei rischi idraulici e geomorfologici del territorio, all'adeguamento alla normativa antisismica e alla tutela ambientale e del patrimonio culturale – ha introdotto (al comma 2), per consentire il rapido avvio di questi interventi, disposizioni che, in deroga al Codice, modificano le procedure di scelta del contraente e le fasi delle procedure di affidamento dei contratti previste dal Codice. L’articolo 35, rubricato “misure urgenti per la realizzazione su scala nazionale di un sistema adeguato e integrato di gestione dei rifiuti urbani e per conseguire gli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio”, al comma 8, prevede una riduzione della metà dei termini per le procedure di espropriazione per pubblica utilità degli impianti cui al comma 1 di tale articolo, che costituiscono, secondo quanto prevede la norma, infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale (in cui sono inclusi gli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati); nel caso tali procedimenti siano in corso alla data di entrata in vigore del decreto legge n. 133, sono ridotti di un quarto i termini residui. La norma prevede, inoltre, che i termini previsti dalla legislazione vigente per le procedure di valutazione di impatto ambientale e di autorizzazione integrata ambientale dei predetti impianti di cui al comma 1 dell’articolo 35 si considerano perentori.

 

Si ritiene inoltre opportuno rammentare – senza pretesa di esaustività – che anche per le infrastrutture energetiche sono state introdotte discipline procedimentali specifiche semplificate inerenti la realizzazione e la messa in esercizio delle relative opere.

Nel settore del gas, ad esempio, come rilevato dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza n. 110/2016 sull’articolo 37 del D.L. n. 133, le discipline procedimentali sono rinvenibili in più norme, che prevedono, in diverse forme, la partecipazione degli enti territoriali. Ciò accade per i terminali di rigassificazione di gas naturale liquefatto (art. 46, comma 1, del D.L. n. 159/2007); per gli stoccaggi di gas naturale (art. 11 del D.Lgs. n. 164/2000, e, in particolare, il D.M. MISE 21 gennaio 2011, recante «Modalità di conferimento della concessione di stoccaggio di gas naturale in sotterraneo e relativo disciplinare tipo», che, in ordine a tali modalità di conferimento delle concessioni, prevede la necessità dell’intesa con la Regione interessata); per le infrastrutture della rete nazionale di trasporto del gas naturale, per le quali vige il già ricordato art. 52-quinquies, comma 5, del D.P.R. n. 327/2001 e l’articolo 37 del D.L. n. 133/2014.

Si rammenta inoltre anche l’articolo 38 del D.L. sulle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale.

Si ricorda poi, che il D.L. 5/2012, agli articoli 57 e 57 bis, ha individuato una serie di infrastrutture ed insediamenti petroliferi definendoli strategici, ai sensi dell'articolo 1, comma 7, lettera i), della legge n. 239/2009, per i quali, fatte salve le competenze delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano e le normative in materia ambientale, le autorizzazioni sono rilasciate dal Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per gli impianti definiti costieri, d'intesa con le Regioni interessate, tramite lo svolgimento di un procedimento unico.

Si ricorda, infine, per l’energia elettrica, l'articolo 1-sexies del D.L. n. 239/2003, rubricato “semplificazione dei procedimenti di autorizzazione per le reti nazionali di trasporto dell'energia e per gli impianti di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici”, il quale dispone che la costruzione e l'esercizio degli elettrodotti facenti parte della Rete Nazionale di Trasporto (RTN) dell'energia elettrica, nonché delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili all'esercizio degli stessi, siano soggetti ad un'autorizzazione unica comprendente tutte le opere connesse e le infrastrutture indispensabili all’esercizio degli stessi, rilasciata dal MISE di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e previa intesa con la Regione o le Regioni interessate, la quale sostituisce autorizzazioni, concessioni, nulla osta e atti di assenso comunque denominati previsti dalle norme vigenti e comprende ogni opera o intervento necessari alla risoluzione delle interferenze con altre infrastrutture esistenti, costituendo titolo a costruire e ad esercire tali infrastrutture, opere o interventi e ad attraversare i beni demaniali, in conformità al progetto approvato. L’autorizzazione unica è rilasciata a seguito di un procedimento unico nel rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità stabilite dalla legge n. 241/1990 e dal D.P.R. n. 327/2001.

 

 

Infine, il comma 3 specifica che le disposizioni del regolamento sono applicabili anche ai procedimenti amministrativi relativi alle “infrastrutture strategiche” e agli “insediamenti produttivi di preminente interesse nazionale”.

 

L’analisi tecnico normativa dello schema di decreto afferma che norme speciali riferibili a procedimenti amministrativi relativi a infrastrutture strategiche e insediamenti produttivi di rilevante interesse nazionale sono anche quelle dettate nella parte II, Titolo III, capo IV del D.Lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture).

 

Si segnala che la disciplina speciale relativa a “infrastrutture strategiche e insediamenti produttivi di preminente interesse nazionale”, ai cui procedimenti amministrativi fa riferimento il comma in esame, è stata abrogata dal nuovo Codice dei contratti pubblici, che ha nel contempo introdotto una nuova normativa per la programmazione e il finanziamento delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari per lo sviluppo del Paese. Andrebbe, pertanto, valutata l’opportunità di coordinare il disposto del comma 3 con il nuovo quadro normativo di riferimento tenendo conto, per un verso, dei procedimenti in corso e del periodo transitorio, nonché dei tempi di adozione dei nuovi strumenti di programmazione delle infrastrutture prioritarie, e, per l’altro, del fatto che la nuova disciplina non sembra prevedere, a differenza della precedente, specifici procedimenti amministrativi riservati a tali opere.

 

Si ricorda che il criterio di delega contenuto nella lettera sss) della legge n. 11/2016 ha infatti previsto l’«espresso superamento delle disposizioni di cui alla legge 21 dicembre 2001, n. 443» (c.d. legge obiettivo). In attuazione di tale criterio di delega, il nuovo Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016) ha disposto l’abrogazione dei commi da 1 a 5 della citata legge nonché della disciplina speciale che ha regolato la progettazione, l'approvazione dei progetti e la realizzazione delle infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale e che era contenuta nel capo IV del titolo III della parte II del precedente codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 163/2006) ora abrogato (dall’art. 217, comma 1, lettera e) del D.Lgs. 50/2016). Il nuovo Codice dei contratti pubblici, pertanto, riconduce alla disciplina ordinaria la realizzazione di tutte le opere pubbliche, incluse quelle che saranno individuate nella nuova programmazione delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari per lo sviluppo del Paese a cui lo stesso Codice dedica gli articoli da 200 a 203 della Parte V. Tali norme disciplinano la programmazione e il finanziamento delle infrastrutture prioritarie, nonché la ricognizione di tutti gli interventi già compresi negli strumenti di pianificazione e programmazione, comunque denominati, vigenti alla data di entrata in vigore del nuovo codice, che deve essere svolta dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

I due strumenti per la pianificazione e la programmazione, disciplinati dalla nuova normativa sulle infrastrutture prioritarie contenuta nel decreto legislativo n. 50 del 2016, sono: il piano generale dei trasporti e della logistica e i documenti pluriennali di pianificazione (art. 201). Il piano generale dei trasporti e della logistica (PGTL), che contiene le linee strategiche delle politiche della mobilità delle persone e delle merci nonché dello sviluppo infrastrutturale del Paese, è adottato ogni tre anni, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del CIPE, acquisito il parere della Conferenza unificata e sentite le Commissioni parlamentari competenti. Il documento pluriennale di pianificazione, di competenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, oltre a includere e rendere coerenti tutti i piani e i programmi d'investimento per opere pubbliche di propria competenza (come prevede l’articolo 2 del decreto legislativo n. 228 del 2011 in materia di valutazione degli investimenti relativi ad opere pubbliche), contiene l'elenco degli interventi relativi al settore dei trasporti e della logistica la cui progettazione di fattibilità è valutata meritevole di finanziamento, da realizzarsi in coerenza con il PGTL, e tiene conto dei piani operativi per ciascuna area tematica nazionale a cui sono destinate le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione. L’adozione del primo DPP è prevista entro un anno dall’entrata in vigore del nuovo Codice.

Si segnala, inoltre, quanto disposto dai citati articoli 35 e 37 del decreto legge n. 133 del 2014 relativamente alla qualificazione e al carattere strategico degli impianti riguardanti i rifiuti e delle infrastrutture energetiche individuati sulla base delle procedure disciplinate nei predetti articoli (v. supra).

 

Si ricorda inoltre, che in settori specifici, come quello energetico, in taluni casi il legislatore ha provveduto a definire direttamente specificamente talune opere come di interesse strategico.

 

L’articolo 37, comma 1 del D.L. n. 133/2014, sulla cui legittimità costituzionale la Corte si è di recente pronunciata (sentenza n. 110 del 25 maggio 2016, v. infra), afferma infatti “al fine di aumentare la sicurezza delle forniture di gas al sistema italiano ed europeo del gas naturale, anche in considerazione delle situazioni di crisi internazionali esistenti, i gasdotti di importazione di gas dall'estero, i terminali di rigassificazione di GNL, gli stoccaggi di gas naturale e le infrastrutture della rete nazionale di trasporto del gas naturale, incluse le operazioni preparatorie necessarie alla redazione dei progetti e le relative opere connesse rivestono carattere di interesse strategico e costituiscono una priorità a carattere nazionale e sono di pubblica utilità, nonché indifferibili e urgenti ai sensi del D.P.R. n. 327/2001.

Individuazione degli interventi

L’articolo 2 stabilisce le modalità per l’individuazione degli interventi da accelerare, in attuazione del criterio di cui all’art. 4, comma 1, lett. b), della legge 124/2015.

 

Il procedimento necessario a tal fine segue una scansione temporale annuale e si articola in due fasi.

 

In una prima fase, si procede alla segnalazione di una serie di progetti cui possono applicarsi le successive disposizioni di semplificazione e accelerazione (riduzione dei termini e potere sostitutivo).

 

Tale segnalazione spetta innanzitutto agli enti territoriali (dunque, regioni, città metropolitane, province o comuni).

In particolare, ciascun ente territoriale, entro il 31 gennaio di ogni anno, può individuare un elenco di progetti riguardanti rilevanti insediamenti produttivi, opere di rilevante impatto per il territorio o l’avvio di attività imprenditoriali suscettibili di produrre positivi effetti sull’economia o sull’occupazione, chiedendo alla Presidenza del Consiglio che ai relativi procedimenti siano applicate le disposizioni sulla riduzione dei termini di cui all’articolo 3 e sul potere sostitutivo di cui all’articolo 4 (comma 1).

I progetti che possono essere sottoposti alla Presidenza devono essere già inseriti nella programmazione triennale dei lavori pubblici di cui all’art. 128 del d.lgs. n. 163/2006 oppure “in altri atti di programmazione”.

 

Si osserva che la disposizione fa riferimento all’articolo 128 del decreto legislativo n. 163/2006, che è stato abrogato dal nuovo codice dei contratti pubblici, di cui al D.lgs. 50/2016, il cui articolo 21 disciplina ora il programma triennale dei lavori pubblici.

 

La normativa in materia di programmazione dei lavori pubblici è infatti ora contenuta nell’art. 21 del nuovo Codice, che prevede, tra l’altro, che il programma triennale dei lavori pubblici e i relativi aggiornamenti annuali contengono i lavori il cui valore stimato sia pari o superiore a 100.000 euro e indicano, previa attribuzione del codice unico di progetto di cui all'articolo 11, della legge 16 gennaio 2003, n. 3, i lavori da avviare nella prima annualità, per i quali deve essere riportata l'indicazione dei mezzi finanziari stanziati sullo stato di previsione o sul proprio bilancio, ovvero disponibili in base a contributi o risorse dello Stato, delle regioni a statuto ordinario o di altri enti pubblici. Per i lavori di importo pari o superiore a 1.000.000 euro, ai fini dell'inserimento nell'elenco annuale, le amministrazioni aggiudicatrici approvano preventivamente il progetto di fattibilità tecnica ed economica (art. 21, comma 3).

 

 

Andrebbe altresì valutata l’opportunità di specificare il riferimento agli “altri atti di programmazione”, contenuto nel comma 1 in esame.

Si tratta infatti di un’espressione molto ampia, atta a ricomprendere indistintamente qualsiasi atto di programmazione nazionale o territoriale.

 

Ciascun progetto deve essere corredato di specifica analisi di valutazione dell’impatto economico e sociale, nonché, ove disponibile, del Codice unico di progetto di cui all’articolo 11 della legge n. 3 del 2003.

 

Il citato articolo 11 della legge n. 3 del 2003 prevede che per le finalità di cui all'articolo 1, commi 5 e 6, della legge 17 maggio 1999, n. 144 (che riguardano in particolare il «Sistema di monitoraggio degli investimenti pubblici» -MIP), e in particolare per la funzionalità della rete di monitoraggio degli investimenti pubblici, ogni nuovo progetto di investimento pubblico, nonché ogni progetto in corso di attuazione alla predetta data, è dotato di un «Codice unico di progetto», che le competenti amministrazioni o i soggetti aggiudicatori richiedono in via telematica secondo la procedura definita dal CIPE.

 

In assenza di una segnalazione da parte degli enti territoriali, può provvedere direttamente la Presidenza del Consiglio.

In particolare, entro il successivo 28 febbraio, la Presidenza del Consiglio può individuare anche altri progetti, non inseriti nell’elenco (rectius: negli elenchi) di cui al comma 1 o in altro atto di programmazione, anche su segnalazione del soggetto proponente – e dunque anche da parte di soggetti privati - a condizione che la sua realizzazione sia suscettibile di produrre positivi effetti sull’economia o sull’occupazione (comma 2). La disposizione specifica che tale attitudine deve essere dimostrata dalla documentazione allegata al progetto, di cui al comma 1.

 

Si osserva che la disposizione sembra escludere dall’individuazione della Presidenza del Consiglio tutti i progetti inseriti in atti di programmazione.

 

In una seconda fase si procede, tra tutti gli interventi proposti, all’individuazione “in concreto” dei singoli progetti cui si applicano le successive disposizioni di semplificazione ed accelerazione.

In particolare, entro il successivo 31 marzo, tra tutti gli interventi segnalati ai sensi dei commi 1 e 2, sono individuati in concreto con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, i singoli progetti a cui si applicano, anche in ragione della loro rilevanza economica o occupazionale rilevata anche tenendo conto dell’analisi di valutazione dell’impatto economico e sociale, le disposizioni sulla riduzione dei termini di cui all’articolo 3 e sul potere sostitutivo di cui all’articolo 4 (comma 3). Il decreto deve essere specificamente motivato con riferimento ai singoli progetti individuati.

 

 

Sul punto occorre ricordare che, in sede di Conferenza unificata, nella seduta del 12 maggio 2016 è stata raggiunta l’intesa tra Governo, Regioni ed enti locali affinché:

§  sia inserita una disposizione, dopo il comma 2, che preveda che entro sessanta giorni dalla pubblicazione del decreto, siano stabiliti con intesa in sede di Conferenza unificata i criteri per la selezione dei progetti a cui si possono applicare le misure di accelerazione procedimentale previste dal decreto medesimo;

§  sia previsto, al comma 3, che i progetti sono individuati “sentiti i Presidenti delle regioni interessate che partecipano ciascuno per la rispettiva competenza alla seduta del Consiglio dei ministri”.

 

Infine, viene previsto che l’applicazione delle disposizioni acceleratorie di cui ai successivi articoli 3 (riduzione dei termini) e 4 (potere sostitutivo) può essere prevista sia nei confronti degli interi procedimenti e atti necessari per la localizzazione, la progettazione e la realizzazione dell’opera, lo stabilimento dell’impianto produttivo e l’esercizio dell’attività, sia con riferimento a singoli procedimenti e atti a tali fini preordinati (comma 4).

 

Riduzione dei termini dei procedimenti

L’articolo 3 dello schema di regolamento prevede la riduzione dei termini dei procedimenti come una delle due modalità di intervento finalizzate alla semplificazione/accelerazione dei procedimenti, dando così attuazione al criterio di cui all’art. 4, comma 1, lett. c), della legge 124/2015.

 

In particolare, la disposizione prevede che con i decreti del Presidente del consiglio, che individuano “in concreto” i procedimenti per i quali si ravvisa un interesse pubblico ad accelerare l’iter,  possono essere ridotti i termini di conclusione dei procedimenti necessari per la localizzazione, la progettazione e la realizzazione dell’opera, lo stabilimento dell’impianto produttivo e l’esercizio dell’attività.

 

Per quanto concerne la formulazione del testo, anche in questo caso, lo schema usa l’espressione “l’esercizio dell’attività” in luogo di quella prevista dalla L. 124/2015, che fa riferimento a “l’avvio delle attività”. Peraltro, si sottolinea che l’articolo 2, ai cui procedimenti l’articolo fa riferimento, testualmente si riferisce ai progetti riguardanti “l’avvio di attività imprenditoriali”.

 

La riduzione è consentita in misura non superiore al 50 per cento rispetto ai termini previsti in generale dall’art. 2 della L. 241/1990.

 

In proposito, occorre ricordare che la legge generale sul procedimento amministrativo (L. 241/1990, art. 2) stabilisce un principio di carattere generale in base al quale tutti i procedimenti che conseguono obbligatoriamente ad una istanza e quelli attivati d’ufficio devono necessariamente concludersi con un provvedimento espresso (anche in caso irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda) adottato in termini definiti.

Ciascuna amministrazione statale fissa i termini di conclusione dei procedimenti di propria competenza con singoli regolamenti adottati nella forma di decreto del Presidente della Consiglio su proposta del Ministro competente. In ogni caso, il termine non può eccedere i 90 giorni. Anche gli enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini di conclusione dei procedimenti di propria competenza, sempre nel limite dei 90 giorni.

In mancanza di determinazione di termini, il procedimento deve concludersi entro 30 giorni, a meno che un diverso termine sia stabilito per legge.

La legge ammette, inoltre, anche la possibilità di prevedere termini superiori ai 90 giorni in considerazione della «sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento». In questi casi, tuttavia, il termine massimo di durata non può oltrepassare comunque i 180 giorni (ad esclusione dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli riguardanti l'immigrazione).e per l’adozione del relativo regolamento è necessaria sia la proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa, sia la previa deliberazione del Consiglio dei Ministri.

I termini per la conclusione del procedimento decorrono dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte.

 

Oltre alla disciplina generale dei termini procedimentali per le amministrazioni statali e gli enti pubblici nazionali prevista dalla L. 241 del 1990, occorre considerare che esistono norme speciali previste da leggi di settore negli ambiti interessati dallo schema in esame.

 

Appare meritevole di approfondimento la questione se i termini oggetto di riduzione siano esclusivamente termini fissati da leggi o normative di carattere nazionale o anche da leggi o regolamenti regionali. Nel secondo caso deve essere valutata l’idoneità di un regolamento di delegificazione ad incidere su discipline regionali (si veda in proposito anche la giurisprudenza costituzionale richiamata nell’ultimo paragrafo del presente dossier).

 

Nell’ipotesi in cui venga disposta la riduzione dei termini, essa può riguardare sia i singoli procedimenti sia tutti i procedimenti necessari per la realizzazione del progetto, anche successivi all’eventuale svolgimento della conferenza di servizi.

L’articolo 3 specifica, infine, che ove il termine sia parzialmente decorso, la riduzione opera limitatamente al periodo residuo. Tale disposizione sembrerebbe doversi interpretare nel senso che il limite massimo del 50 per cento debba essere riferito al periodo residuo.

 

Si ricorda in proposito che il parere del Consiglio di Stato sottolinea come sia opportuno che la riduzione dei termini “venga graduata tenendo in considerazione la concreta ‘sostenibilità’ della riduzione dei termini per gli interessi pubblici coinvolti, per gli uffici amministrativi incaricati del procedimento e per i privati interessati”.

Il parere del Consiglio di Stato  suggerisce in proposito di introdurre un riferimento alla “sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell'organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento”, riprendendo un’espressione già utilizzata dalla legge generale sul procedimento amministrativo (art. 2, comma 4, l. 241/1990).

Potere sostitutivo

L’articolo 4 dello schema di regolamento  - in attuazione di quanto previsto dall’art. 4, comma 1, lett. d), della L. 124/2015 - disciplina l’esercizio del potere sostitutivo in capo al Presidente del Consiglio dei ministri in caso di inutile decorso del termine di conclusione del procedimento, eventualmente ridotto ai sensi dell’articolo 3.

 

Si tratta del secondo strumento di accelerazione previsto dal regolamento per i progetti selezionati dai decreti di cui all’articolo 2.

Il potere sostitutivo in capo al Presidente del Consiglio è riconosciuto in via generale dall’articolo 4, che ne disciplina altresì le modalità di svolgimento (comma 1).

 

Si ricorda, in proposito, che la legge generale sul procedimento amministrativo prevede già una forma di potere sostitutivo, interno alle amministrazioni, da attivarsi in caso di mancata conclusione dei procedimenti entro i termini prestabiliti. Ai sensi degli art. 2, co.9-bis e seguenti, L. 241/1990, infatti, qualora il termine per la conclusione del procedimento sia inutilmente decorso, l’interessato può rivolgersi ad una figura interna all’amministrazione, titolare del potere sostitutivo, che appunto si sostituisce al dirigente o al funzionario inadempiente e concluda il procedimento medesimo o attraverso le strutture competenti o ricorrendo alla nomina di un commissario. In ogni caso, il provvedimento finale dovrà essere adottato entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto[1].

 

Ferma restando la diversa ratio delle disposizioni citate, nonché il diverso funzionamento che consente l’attivazione di entrambi i meccanismi sostitutivi, per coordinare le disposizioni ed evitare incertezze applicative, andrebbe valutata l’opportunità di prevedere un raccordo esplicito tra le due discipline, necessario anche al fine di chiarire se l’intervento sostitutivo interno all’amministrazione previsto dalla legge n. 241/1990 possa essere attivato dal privato in caso di decorso termine di conclusione del procedimento come ridotto ai sensi dell’articolo 3.

 

Ai sensi del comma 2, in caso di inutile decorso del termine, il Presidente del Consiglio può sostituirsi direttamente all’amministrazione inadempiente, adottando i relativi atti, oppure può delegare il potere sostitutivo ad un diverso soggetto, fissando un nuovo termine per la conclusione del procedimento, comunque di durata non superiore a quello “originario” (la disposizione non chiarisce se si tratti del termine ordinario di conclusione del procedimento o di quello ridotto ai sensi dell’art 3 dello schema in esame).

In caso di delega del potere sostitutivo, è richiesta la previa delibera in Consiglio dei ministri.

 

Si rileva in proposito che la norma autorizzatoria richiede la previa delibera del Consiglio dei ministri anche per l’attribuzione di poteri sostitutivi al Presidente del Consiglio (art. 4, co. 1, lett. d, L. 124/2015).

 

Infine, il comma 3 prevede che, per l’esercizio del potere sostitutivo, il Presidente del Consiglio dei ministri o il suo delegato si avvalgono di personale individuato ai sensi dell’articolo 6, nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente della Presidenza del Consiglio dei ministri

Su tale disposizione si rinvia, per il commento, al paragrafo successivo.

 

L’articolo 5 dello schema disciplina l’esercizio del potere sostitutivo nei casi in cui l’intervento coinvolga le competenze delle regioni e degli enti locali.

Il coinvolgimento degli enti territoriali è comunque escluso nel caso in cui “sussista un preminente interesse nazionale alla realizzazione dell’opera”.

 

Si rileva in proposito che la norma autorizzatoria, che richiede la previsione, per i procedimenti in cui siano coinvolte amministrazioni delle regioni e degli enti locali, di idonee forme di raccordo per la definizione dei poteri sostitutivi, non contempla casi di esclusione (art. 4, co. 1, lett. e, L. 124/2015).

 

La disposizione deve essere inoltre valutata alla luce dell’articolo 120 della Costituzione, che contempla la “tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica della Repubblica” quale presupposto per l’esercizio del potere sostitutivo del Governo nei confronti degli enti territoriali (si rinvia in proposito alla giurisprudenza costituzionale richiamata nell’ultimo paragrafo del presente dossier).

 

Secondo l’analisi di impatto della regolamentazione allegata allo schema di regolamento, “in mancanza della definitiva approvazione della riforma costituzionale […], l’attuale riparto delle competenze lascia spazio alle Regioni per eventuali ricorsi contro l’esercizio di poteri sostitutivi da parte del Presidente del Consiglio dei ministri”.

 

Nei casi in cui non sussista un preminente interesse nazionale alla realizzazione dell’opera, sono distinte due ipotesi.

La prima – prevista dal comma 1 - riguarda i casi in cui l’intervento coinvolge esclusivamente o in misura prevalente il territorio di una regione o di un comune o città metropolitana. Per tale ipotesi il regolamento prevede che il Presidente del Consiglio di regola delega all’esercizio del potere sostitutivo il Presidente della regione o il sindaco (comma 1).

La seconda ipotesi disciplinata attiene ai casi, esclusi quelli di cui al comma 1, in cui l’intervento coinvolge le competenze delle regioni e degli enti locali. In tale ipotesi, il comma 2 demanda la determinazione delle modalità di esercizio del potere sostitutivo a una previa intesa in sede di Conferenza unificata ai sensi dell’art. 8, d.lgs. 281/1997.

 

Disposizioni sulle risorse umane e finanziarie

In attuazione del criterio di cui all’art. 4, comma 1, lett. f), della legge 124/2015, l’articolo 6 dello schema di regolamento disciplina il supporto tecnico-amministrativo necessario per l’esercizio del potere sostituivo, disciplinato negli articoli precedenti.

 

Si ricorda che la predetta lettera f) prevede la “definizione dei criteri di individuazione di personale in servizio presso le amministrazioni pubbliche, in possesso di specifiche competenze tecniche e amministrative, di cui possono avvalersi i titolari dei poteri sostitutivi previsti dalla lettera d), senza riconoscimento di trattamenti retributivi ulteriori rispetto a quelli in godimento e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.”

 

 

In particolare, la norma prevede che i decreti che selezionano i progetti da sottoporre ad accelerazione provvedono altresì ad individuare, di volta in volta e per ciascun intervento, il personale di cui può avvalersi il titolare del potere sostitutivo (comma 1).

 

Tale personale può essere scelto tra dipendenti pubblici in possesso di elevate competenze tecniche o amministrative, maturate presso uffici competenti per lo svolgimento di procedimenti analoghi. Nella designazione deve essere garantita la presenza di personale posto in posizione di elevata responsabilità in strutture amministrative competenti per gli interventi e procedimenti oggetto del potere sostitutivo (comma 2).

Tale ultima disposizione deve essere letta in relazione a quanto disposto dal comma 3 dell’articolo 4 dello schema in esame (si v., supra), ai sensi del quale il Presidente del Consiglio o il suo delegato si avvalgono di “personale individuato ai sensi dell’articolo 6 nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente della Presidenza del Consiglio”.

Il combinato disposto potrebbe determinare incertezze applicative, in quanto tra i criteri per la selezione del personale si fa riferimento a professionalità che potrebbero non essere rinvenibili presso la Presidenza del Consiglio, mentre l’art. 4, co. 3, sembrerebbe limitare il personale di supporto alle risorse disponibili presso la sola Presidenza del Consiglio.

 

Andrebbe inoltre chiarito se la disposizione sull’individuazione del personale da parte dei decreti del Presidente del Consiglio, nell’ambito delle risorse disponibili presso la Presidenza, sia limitata ai casi in cui il potere sostitutivo è esercitato dal Presidente stesso o, come sembrerebbe in base ad un’interpretazione letterale, anche ai casi in cui il potere sia delegato al Presidente della regione o al sindaco.

Secondo l’allegato all’intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata il 12 maggio 2016 (che costituisce parte integrante dell’intesa), l’individuazione, per ciascun intervento, del personale di cui si può avvalere il titolare del potere sostitutivo, costituisce una lesione dell’autonomia organizzativa di regioni ed enti locali.

 

La disposizione specifica inoltre che al personale chiamato a supportare il titolare del potere sostitutivo non è riconosciuto alcun trattamento retributivo ulteriore rispetto a quello in godimento. Al medesimo personale non spetta altresì “alcuna riduzione del carico di lavoro nell’amministrazione di appartenenza” (comma 3).

Secondo il parere del Consiglio di Stato, appare del tutto irrealistico che funzioni così impegnative e delicate possano essere svolte totalmente in aggiunta agli ordinari carichi di lavoro.

 

Sul punto occorre  ricordare che, in sede di Conferenza unificata, nella seduta del 12 maggio 2016 è stata raggiunta l’intesa tra Governo, Regioni ed enti locali affinché sia eliminato l’ultimo periodo del comma 3 relativo alla mancata riduzione del carico di lavoro.

 

L’intesa prevede altresì che sia inserito un articolo aggiuntivo che disciplini l’applicazione del provvedimento alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome in conformità alle loro particolari competenze costituzionali.

 

L’articolo 7 dello schema reca la clausola di invarianza finanziaria, ai sensi della quale all’attuazione delle disposizioni contenute nel regolamento si provvede nell’ambito delle risorse già disponibili.

 

Si ricorda infine che il parere del Consiglio di Stato evidenzia l’assenza di una disciplina specifica sul monitoraggio ex post e suggerisce l’introduzione di un articolo ad hoc che stabilisca modalità e tempi del monitoraggio, con l’eventuale previsione di una relazione annuale al Parlamento.

 

 

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

Circa la possibilità per il legislatore nazionale di intervenire su procedimenti che travalicano la competenza statale, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 179 del 2012 relativa all’istituto della conferenza di servizi, ha riconosciuto che “risulta agevole desumere come esista un'esigenza unitaria che legittima l'intervento del legislatore statale anche in ordine alla disciplina di procedimenti complessi estranei alle sfere di competenza esclusiva statale […], in vista dell'obiettivo della accelerazione e semplificazione dell'azione amministrativa”. La medesima sentenza peraltro, in considerazione della “varietà dei settori coinvolti, molti dei quali sono innegabilmente relativi anche a competenze regionali (es.: governo del territorio, tutela della salute, valorizzazione dei beni culturali ed ambientali)”, ha riconosciuto che il “soddisfacimento di una simile esigenza unitaria giustifica, pertanto, l'attrazione allo Stato, per ragioni di sussidiarietà, sia dell'esercizio concreto della funzione amministrativa che della relativa regolamentazione nelle materie di competenza regionale, ma deve obbedire alle condizioni stabilite dalla giurisprudenza costituzionale, fra le quali questa Corte ha sempre annoverato la presenza di adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni.

In tali casi dunque, la legislazione statale “può aspirare a superare il vaglio di legittimità costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealtà” (sentenza n. 7 del 2016; nello stesso senso, ex plurimis, sentenza n. 261/2015, n. 278/2010, n. 383/2005, n. 6/2004, n. 303 del 2003).

Nel caso di adozione di atti regolamentari o di atti a contenuto generale o programmatorio in ambiti che incidono sulle competenze regionali, la giurisprudenza costituzionale richiede l’intesa in sede di Conferenza Stato-regioni o di Conferenza unificata, al fine di garantire un contemperamento tra potestà statali e prerogative regionali (ex plurimis, sentenze n. 21/2016, n. 7/2016, n. 261/2015, n. 88/2014, n. 179/2012, n. 232/2011). Il ‘sistema delle conferenze’ costituisce infatti il “luogo di espressione e insieme di sintesi degli interessi regionali e statali coinvolti” (sentenza n. 21/2016), ove “si sviluppa il confronto tra i due grandi sistemi ordinamentali della Repubblica, in esito al quale si individuano soluzioni concordate” (sentenza n. 31/2006, nello stesso senso, ex multis, sentenza n. 114/2009).

Nel caso di adozione di atti che investono le competenze di una singola Regione, la Corte ha in diversi casi richiesto l’intesa con la Regione interessata (sentenze n. 21/2016, n. 163/2012, n. 79/2011, n. 6/2004).

La Corte non ha inoltre ritenuto sufficiente la previsione che il Consiglio dei ministri deliberi con la partecipazione dei Presidenti delle Regioni o delle Province autonome interessate, che non «può essere considerata valida sostituzione dell'intesa, giacché trasferisce nell'ambito interno di un organo costituzionale dello Stato un confronto tra Stato e Regione, che deve necessariamente avvenire all'esterno, in sede di trattative ed accordi, rispetto ai quali le parti siano poste su un piano di parità» (sentenze n. 179/2012 e n. 165/2011).

 

 

Con specifico riferimento all’esercizio del potere sostitutivo, ai sensi dell’art. 120 Cost., con la sentenza n. 165 del 2011, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di una disposizione (art. 4, comma 2, terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2009) in cui si prevedeva il potere sostitutivo del commissario del Governo, in caso di inerzia delle amministrazioni pubbliche – Regioni ed enti locali – che non avessero rispettato i termini previsti dalla legge o quelli più brevi, comunque non inferiori alla metà, eventualmente fissati in deroga dallo stesso commissario, occorrenti all'autorizzazione e all'effettiva realizzazione degli interventi (si trattava di interventi straordinari di carattere strategico nel settore dell’energia, da realizzare in regime di cooperazione funzionale ed organizzativa tra commissari straordinari del Governo, nominati ad hoc, e le regioni e province autonome).

La Corte ha rilevato, in tale pronuncia, che la norma in esame introduce una forma di potere sostitutivo, che non risponde ai requisiti richiesti dall'art. 120 Cost. e dall'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3).

La Corte ha ricordato, infatti, che l'art. 120 Cost. stabilisce che il potere sostitutivo spetti al Governo, nei confronti delle Regioni e degli enti locali, nel caso di: mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. Inoltre l'esercizio del potere sostitutivo deve compiersi – sempre secondo l'art. 120 Cost. – in base alle procedure stabilite dalla legge a garanzia dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione. In attuazione dell'art. 120 Cost., inoltre, l'art. 8 della legge n. 131 del 2003 prevede che il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, assegni all'ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari e che, solo decorso inutilmente detto termine, il Consiglio dei ministri, sentito l'organo interessato, assuma i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomini un apposito commissario. Nei casi di assoluta urgenza, il Consiglio dei ministri adotta i provvedimenti necessari, i quali sono immediatamente comunicati alla Conferenza Stato-Regioni o alla Conferenza unificata, che possono chiederne il riesame.

Con la sentenza 165/2011 la Corte ha ritenuto che la norma censurata non contemplasse né i presupposti sostanziali richiesti dall'art. 120 Cost., né le procedure previste – sulla base del rinvio contenuto nella norma costituzionale – dall'art. 8 della legge n. 131 del 2003.

La Corte ha rilevato nel caso de quo il potere sostitutivo era esercitabile per la semplice inerzia degli enti competenti, senza che ricorrano le gravi ed eccezionali ipotesi di cui al secondo comma dell'art. 120 Cost. e senza alcuna limitazione procedurale, che consenta all'ente inadempiente di compiere l'atto o gli atti – per la cui mancanza viene prevista l'attivazione, da parte del commissario, del suddetto potere – ed evitare così di essere sostituito.

La norma censurata dalla Corte costituzionale prevede, inoltre, che il commissario possa ridurre, fino alla metà, i termini previsti dalla legge. Tale potere di riduzione è da ritenersi, ad avviso della Corte, "del tutto in contrasto sia con la norma costituzionale citata, sia con l'art. 8 della legge n. 131 del 2003, poiché restringe ancor di più, in modo indebito e discrezionale, l'autonomia degli enti, la quale deve essere invece tutelata dalla certezza dei termini, che non possono che essere quelli fissati dalla legge".

Nella sentenza n. 39 del 2013, la Corte ha inoltre affermato che “il semplice decorso del tempo […] per sua natura prescinde completamente dall'osservanza, da parte di Stato e Regioni, di comportamenti ispirati al principio di leale collaborazione.”

 

Nella sentenza n. 171 del 2015 la Corte ha ribadito che, nella disciplina del potere sostitutivo, “il legislatore statale è tenuto a rispettare i principi desumibili dall’art. 120 Cost., al quale l’art. 8 della l. n. 131 del 2003 ha inteso dare attuazione, pur rimanendo libero di articolarli in forme diverse (sentenze n. 44 del 2014, n. 209 del 2009).”

Richiamando la propria costante giurisprudenza la Corte ha rilevato che i poteri sostitutivi: a) devono essere previsti e disciplinati dalla legge, che ne deve definire i presupposti sostanziali e procedurali, in ossequio al principio di legalità; b) devono essere attivati solo in caso di accertata inerzia della Regione o dell’ente locale sostituito; c) devono riguardare solo atti o attività privi di discrezionalità nell’an; d) devono essere affidati ad organi di Governo; e) devono rispettare il principio di leale collaborazione all’interno di un procedimento nel quale l’ente sostituito possa far valere le proprie ragioni (ex plurimis, sentenze n. 227, n. 173, n. 172 e n. 43 del 2004); f) devono conformarsi al principio di sussidiarietà.

La Corte ha conseguentemente dichiarato l’illegittimità costituzionale di una disposizione che non garantiva alle Regioni e gli enti locali direttamente interessati dall’esercizio del potere sostitutivo di essere specificamente e individualmente coinvolti in modo da poter far valere le proprie ragioni (nel caso di specie è stato ritenuto insufficiente, l’attribuzione del potere sostitutivo ad un comitato interministeriale composto anche da tre presidenti di Regione designati dalla Conferenza Stato-regioni, in quanto non era comunque assicurata la partecipazione delle Regioni e degli enti locali direttamente interessati alle delibere).

 

Merita infine di essere richiamata la recente sentenza n. 110 del 2016, con cui la Corte ha deciso circa le doglianze di una regione avverso l’attribuzione da parte della legge della qualifica di opere di interesse strategico ad una serie di infrastrutture energetiche, senza la preventiva intesa con le Regioni interessate.

Secondo la Corte, “la disposizione impugnata attribuisce direttamente il «carattere di interesse strategico» a tutte le categorie di infrastrutture indicate al suo primo comma. Non è, infatti, prevista una procedura per l’individuazione, nell’ambito della categoria di riferimento, delle specifiche strutture da definirsi strategiche. Né, ed è ciò che più conta, l’attribuzione del carattere di interesse strategico risulta strumentale ad una attività di programmazione e progettazione, in funzione della realizzazione di specifiche infrastrutture rientranti in ciascuna delle categorie. […]. La disposizione impugnata non modifica – né espressamente, né implicitamente – le singole discipline di settore, dettate per la localizzazione, la realizzazione ovvero l’autorizzazione all’esercizio di ciascuna delle categorie di infrastrutture in essa elencate. […] Ciascuna di tali discipline, in forme diverse, prevede la partecipazione degli enti territoriali, e, ciò che è qui decisivo, richiede espressamente l’intesa con la singola Regione interessata. Alla luce di tale ricostruzione del quadro normativo, l’attribuzione del «carattere di interesse strategico» alle infrastrutture in questione, effettuata in via generale dalla disposizione normativa impugnata, non determina, di per sé, alcuna modifica alle normative di settore prima richiamate, né, di conseguenza – prevedendo queste ultime sempre la necessaria intesa con la Regione interessata – alcuna deroga ai principi, elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di chiamata in sussidiarietà e di necessaria partecipazione delle Regioni.”

 

 


 



[1] In tal modo, viene attribuito al privato in attesa del provvedimento, prima di ricorrere all’azione giudiziale, un ulteriore strumento esperibile a garanzia dell’effettività dell’azione amministrativa.

A tal fine ciascuna amministrazione individua, tra le figure apicali, il soggetto a cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia. Ove l’organo di governo non provveda all’individuazione, il potere sostitutivo si intende attribuito al dirigente generale. In mancanza di questi, al dirigente preposto all’ufficio o in mancanza al funzionario di più elevato livello presente nell’amministrazione.

Tra gli oneri incombenti in capo al titolare del potere sostitutivo vi è quello di comunicare all’organo di governo, i procedimenti, suddivisi per tipologia e strutture amministrative competenti, nei quali non è stato rispettato il termine di conclusione previsti dalla legge e o dai regolamenti.

Inoltre, l’amministrazione deve “riconoscere” l’eventuale ritardo nell’adempimento, indicando in tutti i provvedimenti rilasciati su istanza di parte, sia il termine previsto per disposizione di legge o regolamentare, sia quello effettivamente impiegato.