Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Segnalazione certificata di inizio attività - Schema di D.lgs. 291 - Schede di lettura
Riferimenti:
SCH.DEC 291/XVII     
Serie: Atti del Governo    Numero: 287
Data: 20/04/2016
Descrittori:
ATTIVITA' EDILIZIE E CANTIERI   L 2015 0124
SCIA (SEGNALAZIONE CERTIFICATA INIZIO ATTIVITA')     
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni

Segnalazione certificata di inizio attività

Segnalazione certificata di inizio attività

Atto del Governo n. 291

Atto del Governo n. 29art. 5, L. 7 agosto 2015, n. 124

 

 

 

 

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Dossier n. 317

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Atti del Governo 287

 

 

 

 

 

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INDICE

Schede di lettura

Introduzione. 3

La disposizione di delega. 5

Il quadro normativo. 9

§  Le autorizzazioni amministrative. 9

§  Dalla DIA alla SCIA.. 12

§  Il silenzio assenso. 19

Il contenuto dello schema di decreto legislativo. 21

§  Principi generali e ambito di applicazione. 21

§  La predisposizione di moduli unificati 23

§  La concentrazione dei regimi amministrativi (cd. SCIA unica) 30

 

 


 

 

Schede di lettura

 


 

Introduzione

Lo schema di decreto legislativo in esame (Atto del Governo n. 291) reca disposizioni per l’attuazione della delega contenuta nell’articolo 5, comma 1, della legge 124/2015, recante riforma della pubblica amministrazione (si veda infra).

 

Come chiarisce il secondo comma dell’articolo 1, il legislatore delegato ha scelto di attuare la delega prevista dall’articolo 5 con l’adozione di più decreti legislativi.

Lo schema di decreto in esame detta alcune disposizioni generali applicabili ai procedimenti relativi alle attività non assoggettate ad autorizzazione espressa e delimita gli ambiti dei relativi regimi amministrativi.

Viene rinviata, invece, a successivi decreti legislativi la individuazione dei procedimenti da ricondurre ai quattro regimi amministrativi definiti nella norma di delega, ossia:

§  segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) di cui all’art. 19 della legge 241/1990;

§  silenzio assenso di cui all’art. 20 della legge 241/1990;

§  comunicazione preventiva;

§  autorizzazione espressa.

 

Nel parere reso nella seduta del 15 marzo 2016 il Consiglio di Stato, a proposito dell’oggetto dello schema, fa due osservazioni. In primo luogo, rileva come, “nonostante sarebbe stato auspicabile che l’attuazione della delega, preferibilmente con un unico decreto legislativo, non prescindesse dalla pur non facile opera di ricognizione e classificazione dei procedimenti”, tuttavia il decreto possiede “caratteristiche di autonoma utilità e di indipendente operatività” idoneo a risolvere alcune delle criticità applicative della disciplina in questione. In secondo luogo, invita il Governo ad introdurre nello schema di decreto in esame l’obbligo di comunicazione ai soggetti interessati dei termini entro i quali l’amministrazione è tenuta a rispondere ovvero entro i quali il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, che rientra negli oggetti della delega previsti esplicitamente dall’articolo 5, co. 1, della L. 124/2015.

 

Il provvedimento in esame consta di 4 articoli.

L’articolo 1 individua l’oggetto del decreto trasmesso alle Camere per il parere e dei successivi decreti da emanare per l’attuazione della disposizione di delega. L’articolo 2 disciplina la predisposizione dei moduli unificati e standardizzati per la presentazione di istanze, segnalazioni e comunicazioni alle pubbliche amministrazioni, ne regola le modalità di pubblicazione sui siti delle amministrazioni e prevede sanzioni per la mancata pubblicazione.

L’articolo 3 introduce una disciplina per la concentrazione dei regimi amministrativi (cd. SCIA unica).

L’articolo 4 delimita l’ambito di applicazione soggettivo delle disposizioni del decreto.

 

Si ricorda che la norma di delega prevede la possibilità di emanare eventuali disposizioni integrative e correttive entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo.

 


La disposizione di delega

L'articolo 5, comma 1, della legge 7 agosto 2015, n. 124, reca una delega al Governo avente un duplice oggetto:

·       la precisa individuazione dei procedimenti oggetto di segnalazione certificata di inizio attività o di silenzio assenso, nonché quelli per i quali è necessaria l’autorizzazione espressa e di quelli per quali è sufficiente una comunicazione preventiva;

·       l’introduzione di una disciplina generale delle attività non assoggettate ad autorizzazione preventiva espressa.

Per un inquadramento generale della legge di delega si veda il dossier del Servizio studi, Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche. Legge 7 agosto 2015, n. 124, 15 ottobre 2015.

 

Il termine per l’esercizio della delega è di un anno dalla data di entrata in vigore della legge (28 agosto 2016).

 

La disposizione di delega richiama, innanzitutto, i principi e i criteri direttivi desumibili dagli articoli 19 e 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241, che disciplinano la segnalazione certificata di inizio attività e il silenzio assenso della amministrazione (su cui si rinvia, infra, alla sintesi del quadro normativo vigente).

 

Gli altri principi e criteri direttivi indicati al comma 1 dell’articolo 5 sono i principi del diritto dell’Unione europea relativi all’accesso alle attività di servizi, nonché i principi di ragionevolezza e proporzionalità.

 

Per quanto concerne i principi di diritto UE relativi all’accesso ai servizi, viene in rilievo la direttiva “servizi” 2006/123/CE, che mira a consentire la creazione e lo sviluppo di un mercato interno dei servizi, garantendo ai prestatori di servizi ed ai destinatari di beneficiare delle libertà fondamentali previste agli articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) ovvero la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi all’interno dell’Unione.

Al fine di raggiungere tale obiettivo, le disposizioni della direttiva mirano a semplificare le procedure amministrative, a eliminare gli ostacoli relativi alle attività di servizi e ad accrescere sia la fiducia reciproca tra gli Stati membri che la fiducia dei prestatori e dei consumatori nel mercato interno dei servizi.

Si tratta di uno strumento orizzontale che copre una vasta gamma di servizi diversi ed incide su un numero consistente di norme e regolamenti nazionali, obbligando gli Stati membri, in sede di recepimento, ad adottare un insieme di misure legislative e di misure non legislative, ovvero misure organizzative o pratiche, quali gli sportelli unici per i prestatori di servizi, le procedure elettroniche e la cooperazione amministrativa.

Per quanto concerne l’ambito di applicazione, la direttiva si applica a tutti i servizi non esplicitamente esclusi dalla stessa, intendendosi per “servizio” le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, come stabilito all’articolo 57 TFUE.

In Italia, la direttiva è stata recepita con il D.Lgs. 59/2010, che all’articolo 14 stabilisce il principio in base al quale “regimi autorizzatori possono essere istituiti o mantenuti solo se giustificati da motivi imperativi di interesse generale, nel rispetto dei principi di non discriminazione, di proporzionalità”.

 

Nell’oggetto della delega è compresa altresì l’introduzione della disciplina generale delle “attività non assoggettate ad autorizzazione preventiva espressa”.

La formulazione ha un contenuto piuttosto ampio e innovativo, in quanto nelle “attività non assoggettate ad autorizzazione preventiva espressa” sembrano rientrare le attività soggette a SCIA, a silenzio assenso o a mera comunicazione preventiva. L’intento del legislatore è di introdurre nell’ordinamento delle norme generali comuni a diversi regimi di semplificazione previsti dalla L. 241/1990 per i procedimenti a istanza di parte, accomunati dal fatto di consentire un’attività senza necessità di un provvedimento espresso dell’amministrazione.

Tra i contenuti di tale disciplina generale certamente rientrano, per espressa previsione del comma 1 dell’articolo 5, la definizione:

§  delle modalità di presentazione e dei contenuti standard degli atti degli interessati e di svolgimento della procedura, anche telematica;

§  degli strumenti per documentare o attestare gli effetti prodotti dai predetti atti;

§  dell’obbligo di comunicare ai soggetti interessati, all’atto della presentazione di un’istanza, i termini entro i quali l’amministrazione è tenuta a rispondere ovvero entro i quali il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento della domanda.

 

Il comma 2 dell’articolo 5 reca la procedura di adozione dei decreti legislativi di cui al comma 1, che prevede le seguenti fasi:

§  proposta del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione;

§  acquisizione dell’intesa in sede di Conferenza unificata (entro 30 giorni dalla prima seduta in cui l'oggetto è posto all'ordine del giorno, decorsi i quali il governo può comunque procedere);

§  parere del Consiglio di Stato (entro 30 giorni dalla data di trasmissione di ciascuno schema di decreto legislativo, decorsi i quali il governo può comunque procedere);

§  pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari e della Commissione parlamentare per la semplificazione entro 60 giorni dalla trasmissione, decorsi i quali il decreto può essere comunque adottato.

 

Viene prevista la consueta formula dello “slittamento” del termine della delega nel caso di trasmissione tardiva dello schema: qualora il termine del parere parlamentare scada nei 30 giorni che precedono la scadenza della delega o successivamente, il termine della delega stessa (6 mesi) è prorogata di 90 giorni.

Nel caso in cui il Governo non intenda uniformarsi al parere parlamentare, deve trasmettere nuovamente lo schema alle Camere corredato con le motivazioni delle proprie decisioni. In tal caso le Commissioni competenti per materia (non la Commissione competente per i profili finanziari e la Commissione per la semplificazione) hanno 10 giorni ulteriori per esprimersi, decorsi i quali il decreti possono essere comunque adottati.

 

Il comma 3 prevede la possibilità di emanare eventuali disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi di cui al comma 1, entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno di essi.

 


Il quadro normativo

Le autorizzazioni amministrative

L’autorizzazione si definisce come l’atto con cui la pubblica amministrazione, su istanza dell’interessato, rimuove un limite legale posto all’esercizio di un’attività inerente un diritto soggettivo o una potestà pubblica preesistenti in capo al destinatario.

Il tradizionale sistema di autorizzazione è basato sull’emanazione di provvedimenti espressi.

Le ipotesi tradizionalmente assoggettate a regime autorizzatorio hanno come campo di applicazione principale le iniziative economiche dei privati.

Pertanto, le autorizzazioni sono state oggetto di numerosi tentativi di riforma, legati alle politiche di liberalizzazione dei mercati che, anche sotto l’influenza determinante del diritto comunitario, hanno caratterizzato la storia amministrativa più recente.

La liberalizzazione delle attività private e la semplificazione procedimentale sono state perseguite utilizzando strumenti quali la dichiarazione di inizio attività e il silenzio assenso, disciplinati in generale nel capo IV della legge 7 agosto 1990, n. 241 intitolato alla “semplificazione dell’attività amministrativa”, nonché previste da numerose altre disposizioni afferenti a discipline settoriali.

I due strumenti presentano caratteristiche profondamente diverse.

La denuncia di inizio attività (ora segnalazione certificata di inizio attività) rappresenta una misura di liberalizzazione dell’attività del privato, in quanto sostituisce al potere autorizzatorio della pubblica amministrazione, finalizzato all’emanazione di un atto di consenso all’esercizio dell’attività, il diritto ex lege del privato di svolgere un’attività avviandone l’esercizio previa dichiarazione (ora segnalazione). Resta in capo all’amministrazione un potere di controllo, privo di discrezionalità, della corrispondenza di quanto dichiarato dal privato con i presupposti e i requisiti previsti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale.

Al pari della denuncia di inizio attività, anche il silenzio assenso è ispirato ad una logica di semplificazione dei rapporti tra privati e pubblica amministrazione, ma con caratteristiche strutturali diverse[1].

Si tratta, infatti, di una particolare qualificazione giuridica dell’inerzia dell’amministrazione nei procedimenti ad istanza di parte, in base alla quale, decorso il termine per provvedere senza che l’amministrazione si sia pronunciata, l’istanza presentata dal privato si considera accolta. Pertanto, il silenzio assenso non elimina il regime autorizzatorio, ossia il fatto che sia necessario un provvedimento amministrativo di autorizzazione, bensì semplifica il procedimento per ottenere tale autorizzazione.

Inoltre, è diverso il campo di applicazione dei due istituti: mentre, infatti, la denuncia di inizio attività (ora SCIA) riguarda settori dove sono previste autorizzazioni aventi carattere vincolato, il silenzio assenso opera in procedimenti in cui sono previste autorizzazioni a carattere discrezionale.

Nella versione originaria contenuta negli articoli 19 e 20 della L. 241/1990, entrambi i regimi della denuncia di inizio attività e del silenzio assenso erano individuati mediante rinvio a regolamenti del Governo. Pertanto il campo di applicazione veniva delimitato dalla ricognizione effettuata per ciascuna fattispecie, che si applicava solo ai procedimenti ricompresi nei due regolamenti.

Le riforme succedutesi negli anni seguenti sono andate nella direzione di ampliare il campo di applicazione degli istituti, modificando radicalmente la logica originaria: gli istituti divengono una regola generale, salvo assegnare alla normativa regolamentare il ruolo di stabilire le eccezioni in cui l’istituto non trova applicazione.

Con tale finalità, le disposizioni generali contenute nella legge 241/1990 sono state oggetto di ripetuti interventi di riforma, che saranno ripercorsi nei paragrafi seguenti. Al contempo, non sono mancati interventi volti a promuovere una sostanziale liberalizzazione delle attività economiche attraverso l’introduzione di norme generali tese a delimitare l’ambito di applicazione delle autorizzazioni, configurandolo come ipotesi residuale.

 

Il capovolgimento di prospettiva è innanzitutto prospettato nella già citata (v. supra) direttiva europea 2006/123/CE (Direttiva Bolkestein[2]) recepita con il D.Lgs. 59/2010, che all’articolo 14 stabilisce il principio in base al quale “regimi autorizzatori possono essere istituiti o mantenuti solo se giustificati da motivi imperativi di interesse generale, nel rispetto dei principi di non discriminazione, di proporzionalità”.

In via analoga, l’articolo 34 del D.L. 201/2011 (conv. L. 214/2011), riferendosi a tutte le tipologie di attività economica, ammette l’introduzione di autorizzazioni solo per “esigenze imperative di interesse generale, costituzionalmente rilevanti e compatibili con l’ordinamento comunitario”, nonché “nel rispetto del principio di proporzionalità” (co. 4).

Sempre in tema di regolazione delle attività economiche, l’articolo 3 del D.L. 138/2011 (conv. L. 148/2011) stabilisce il «principio secondo cui l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge», imponendo allo Stato e all’intero sistema delle autonomie di adeguarvisi entro un termine prestabilito, nonché elenca una serie di principi, beni e ambiti che possono giustificare eccezioni al principio stesso.

Per garantire l’attuazione del principio enunciato il legislatore statale aveva altresì individuato un meccanismo che prevedeva, alla scadenza del termine per l’adeguamento, la soppressione automatica delle disposizioni normative statali incompatibili, con conseguente diretta applicazione degli istituti della segnalazione di inizio di attività e dell’autocertificazione con controlli successivi. Tale previsione, tuttavia, è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte con sentenza n. 200 del 2012 in quanto la soppressione generalizzata delle normative statali incompatibili appare “indeterminata e potenzialmente invasiva delle competenze legislative regionali”. Viceversa l’enunciazione del principio non rivela elementi di incoerenza con il quadro costituzionale, in quanto, secondo la Corte, il principio della liberalizzazione prelude a una razionalizzazione della regolazione, che elimini, da un lato, gli ostacoli al libero esercizio dell’attività economica che si rivelino inutili o sproporzionati e, dall’altro, mantenga le normative necessarie a garantire che le dinamiche economiche non si svolgano in contrasto con l’utilità sociale.

 

Tuttavia, l’efficacia dei due strumenti della SCIA e del silenzio assenso è stata nella prassi ridimensionata per il numero e la rilevanza delle eccezioni al regime disciplinato dagli articoli 19 e 20, che sono stati talmente significativi da attenuare l’impatto della disciplina generale.

Viene altresì in rilievo il fatto che l’applicazione concreta delle due fattispecie, al di fuori dei casi oggetto di norme speciali, è stata di fatto rimessa al prudenziale apprezzamento delle amministrazioni, determinando numerose incertezze interpretative[3].

In tale contesto è pertanto nata l’esigenza di operare una ricognizione specifica dei regimi applicabili alle attività private, come richiesto dalle disposizioni della delega contenuta nell’articolo 5 della legge di riforma n. 124/2015.

Già in passato erano state assunte iniziative di tal genere, ma senza esito.

Si ricorda, infatti, che il decreto-legge n. 1/2012 (art. 1, co. 3) autorizzava il Governo ad adottare uno o più regolamenti di delegificazione per individuare le attività per le quali permane l’atto preventivo di assenso dell’amministrazione, nonché per disciplinare i requisiti per l’esercizio delle attività economiche, nonché i termini e le modalità per l’esercizio dei poteri di controllo dell’amministrazione, individuando le disposizioni di legge e regolamentari dello Stato che vengono abrogate a decorrere dalla data di entrata in vigore dei regolamenti stessi. Il decreto-legge n. 5/2012 (art. 12, co. 4) stabiliva che con i medesimi regolamenti fossero altresì individuate le attività sottoposte ad autorizzazione, a segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) con asseverazioni, a SCIA senza asseverazioni, a mera comunicazione e quelle del tutto libere.

Tali disposizioni non hanno avuto seguito e, una volta entrate in vigore le nuove disposizioni dell’articolo 5 della legge di riforma della p.a., sono state abrogate dal D.Lgs. n. 10/2016.

 

Per quanto concerne la necessità di una ricognizione dei vincoli amministrativi alle attività economiche, si consideri, peraltro, che in virtù delle disposizioni introdotte con il Codice della trasparenza delle pubbliche amministrazioni, adottato con D.Lgs. 33/2013 (art. 25), le amministrazioni, in modo dettagliato e facilmente comprensibile, devono pubblicare sul proprio sito istituzionale e sul sito www.impresainungiorno.gov.it l’elenco delle tipologie di controllo a cui sono assoggettate le imprese in ragione della dimensione e del settore di attività, indicando per ciascuna di esse i criteri e le relative modalità di svolgimento. In base allo schema di decreto legislativo di revisione del Codice, adottato in base alla delega contenuta nell’art. 7 della L. 124/2015, gli obblighi di pubblicazione in capo alle amministrazioni sono rideterminati e l’articolo 25 risulta abrogato.

 

Di seguito, i due istituti sono descritti sinteticamente mettendone in rilievo l’evoluzione normativa.

Dalla DIA alla SCIA

L’articolo 19 della legge 241/1990 prevede la sostituzione del regime delle autorizzazioni amministrative concernenti l’esercizio delle attività economiche private con dichiarazioni sostitutive da parte dei soggetti privati interessati. Tale istituto è stato oggetto di numerosi interventi legislativi volti a migliorare l’efficacia e ad ampliare l’impatto della disciplina.

Nella sua originaria configurazione, la denuncia di inizio attività, introdotta nell’ordinamento dalla L. 241/1990 (articolo 19), era un istituto volto a semplificare il complesso regime delle autorizzazioni (intese in senso lato) concernenti l’esercizio di attività economiche private, attraverso la sostituzione degli atti amministrativi lato sensu ampliativi (autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla osta, permesso o altro atto di consenso comunque denominato) con dichiarazioni da parte dei privati interessati, nei soli settori tassativamente indicati a livello regolamentare, alle condizioni e con i limiti previsti dal medesimo art. 19.

 

La disposizione originaria demandava infatti ad un regolamento (ex art. 17, co. 2, L. 400/1988) la determinazione dei casi di applicazione della denuncia di inizio attività. E stabiliva che fosse la stessa fonte regolamentare ad indicare i casi in cui all’attività poteva darsi inizio immediatamente dopo la presentazione della denuncia, ovvero dopo il decorso di un termine fissato per categorie di atti, in relazione alla complessità degli accertamenti richiesti.

Nella prima formulazione dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990, l’istituto della denuncia di inizio attività si presentava con i seguenti caratteri:

·     esso poteva surrogare il provvedimento amministrativo di autorizzazione nei soli casi di attività amministrativa vincolata (nei quali cioè la p.a. è chiamata solo a verificare la sussistenza dei presupposti di legge, senza bisogno di procedere discrezionalmente ad una ponderazione degli interessi pubblici e privati coinvolti);

·     esso non poteva trovare applicazione nei casi in cui il rilascio della autorizzazione richiedesse l’esperimento di prove;

·     esso non poteva avere applicazione nel caso in cui fosse previsto un limite o un contingente complessivo per il rilascio dell’atto ampliativo;

·     esso non poteva trovare applicazione ove lo svolgimento dell’attività fosse potenzialmente pregiudizievole alla tutela dei valori storico-artistici, ambientali, nonché alla tutela dei lavoratori sul luogo di lavoro.

 

Un primo significativo intervento di riforma è stato realizzato con la L. 537/1993[4], che, novellando l’art. 19, ha in sostanza trasformato la DIA da istituto eccezionale a istituto generale, ammesso in tutti i casi in cui il provvedimento ampliativo è configurabile come atto vincolato[5], con le sole eccezioni stabilite a livello regolamentare (art. 2, co. 10 e 11, L. 257/1993).

A seguito della presentazione della denuncia del privato l’amministrazione competente aveva, entro e non oltre 60 giorni, il potere-dovere di verificare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge e disporre, se del caso, con provvedimento motivato, il divieto di prosecuzione dell’attività e la rimozione dei suoi effetti (salva l’eventuale possibilità per l’interessato di conformare alla normativa vigente l’attività ed i suoi effetti entro un termine prefissatogli dall’amministrazione). Il privato doveva attendere il decorso del termine per poter avviare l’attività denunciata.

 

Il testo dell’art. 19, come risultante dalla modifica suddetta, delineava una DIA dai seguenti tratti caratterizzanti:

·     essa poteva surrogare tutti i provvedimenti ampliativi a carattere vincolato, con deroghe solo in ambito di tutela storico-artistica e ambientale (non più di tutela dei lavoratori) o puntualmente previste a livello regolamentare;

·     essa non poteva trovare applicazione nei casi in cui il rilascio della autorizzazione richiedesse l’esperimento di prove comportanti valutazioni tecnico-discrezionali;

·     essa non poteva avere applicazione nel caso in cui fosse previsto un limite o un contingente complessivo per il rilascio dell’atto ampliativo.

 

Successivamente, al fine di ampliare ulteriormente le ipotesi nelle quali può essere svolta una attività senza richiedere alle pubbliche amministrazioni provvedimenti di licenza, autorizzazione, permesso ovvero l’iscrizione in albi o ruoli, l’articolo 19 della L. 241/1990 è stato interamente riscritto dal D.L. 35/2005 (cd. decreto competitività, conv. L. 80/2005), che ha introdotto una nuova disciplina dell’istituto della denuncia di inizio attività, ridenominata dichiarazione di inizio attività (DIA).

La nuova DIA poteva surrogare una serie di atti amministrativi ampliativi (autorizzazioni, licenze, concessioni “non costitutive”, permessi o nulla-osta comunque denominati), fra i quali la nuova formulazione ricomprendeva espressamente le “domande” per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale (fino ad allora non incluse).

Il campo di applicazione dell’istituto incontrava alcune eccezioni per una serie di atti rilasciati dalle amministrazioni preposte ad interessi particolarmente sensibili[6], e per gli atti amministrativi imposti dalla normativa comunitaria.

Tra le novità procedurali introdotte, oltre a una generale riduzione dei termini (in particolare, la riduzione da 60 a 30 giorni dalla presentazione della DIA del termine per poter iniziare l’attività con contestuale comunicazione all’amministrazione)[7], vi era il divieto alla pubblica amministrazione competente di richiedere informazioni o certificazioni relative a fatti, stati o qualità le quali siano attestate in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa o siano direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni.

L’ampliamento del campo di applicazione della DIA era comunque ridimensionato:

§  in primo luogo, dalla salvaguardia delle discipline speciali, per cui erano salve le disposizioni di legge vigenti che prevedevano termini diversi per l’inizio dell’attività e per l’adozione da parte dell’amministrazione competente di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti[8];

§  in secondo luogo, dal contestuale riconoscimento del potere dell’amministrazione competente di assumere “comunque” determinazioni in via di “autotutela”, in particolare: la revoca e l’annullamento d’ufficio del provvedimento[9].

 

A distanza di qualche anno, l’articolo 9, co. 3, 4 e 5, della L. 69/2009, insieme con l’art. 85, co. 1, del D.Lgs. 59/2010, hanno apportato alcune parziali modifiche alla disciplina della DIA.

 

Nello specifico, le novità sono intervenute:

-        sul campo di applicazione dell’istituto, allo scopo di sottrarre alla disciplina della dichiarazione di inizio attività gli atti e i procedimenti amministrativi riguardanti la cittadinanza e l’asilo (fino ad allora non previsti tra le eccezioni);

-        sulla disciplina procedurale, al fine di consentire una deroga all’allora vigente regola in base alla quale l’interessato poteva iniziare l’attività oggetto della dichiarazione (dandone contestuale comunicazione all’amministrazione competente) decorsi 30 giorni dalla data di presentazione della dichiarazione all’amministrazione medesima. La novella, infatti, consentiva di dare inizio all’attività già a decorrere dalla data della presentazione della dichiarazione (c.d. DIA immediata), qualora la DIA avesse ad oggetto l’esercizio di attività di cui al decreto legislativo di attuazione della direttiva 2006/123/CE (c.d. direttiva servizi).

 

Un intervento riformatore più ampio è invece attuato con l’articolo 49, co. 4-bis, del D.L. 78/2010 (conv. L. 122/2010), che ha interamente riscritto l’articolo 19 della L. 241/1990 prevedendo la trasformazione della dichiarazione di inizio attività (DIA) in segnalazione certificata di inizio attività (SCIA).

Tale riforma risponde all’esigenza di liberalizzare l’attività d’impresa, consentendo di iniziare immediatamente l’attività stessa.

Il principale aspetto di novità della nuova disciplina è dato dal fatto che la SCIA consente l’immediato inizio dell’attività segnalata, senza necessità di attendere la scadenza di alcun termine, ciò traducendosi in una sostanziale accelerazione e semplificazione rispetto alla precedente disciplina.

Con la presentazione di tale segnalazione, il soggetto può dare inizio all’attività, mentre l’amministrazione, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti legittimanti, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salva la possibilità che l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall’amministrazione.

Al soggetto interessato, dunque, si riconosce la possibilità di dare immediato inizio all’attività, fermo restando l’esercizio dei poteri di controllo e inibitori da parte della pubblica amministrazione, ricorrendone gli estremi.

 

Rispetto alla disciplina precedente la riforma prevede:

-        un generale ricorso alle autocertificazioni, che sposta sul segnalante tutta una serie di obblighi e responsabilità relativi all’accertamento della sussistenza dei presupposti e requisiti. Infatti, la segnalazione deve essere corredata sia con le dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell'atto di notorietà per quanto riguarda tutti gli stati, le qualità personali, ma anche con le attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati corredate dagli elaborati tecnici, o con le dichiarazioni di conformità da parte dell’Agenzia delle imprese. Tali attestazioni e asseverazioni sono funzionali alle verifiche di competenza dell'amministrazione, che a tal fine si avvale anche degli elaborati tecnici necessari a corredo della segnalazione. Le autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni sostituiscono anche l'acquisizione di atti o pareri di organi o enti appositi, stabiliti dalla normativa vigente, ovvero l'esecuzione di verifiche preventive. La disposizione tuttavia precisa che sono sempre salve le verifiche successive degli organi e delle amministrazioni competenti;

-        una maggiore complessità dei poteri di controllo e vigilanza dei requisiti e dei presupposti da parte dell’amministrazione: si prevede, infatti, che in caso di dichiarazioni sostitutive false o mendaci, l’amministrazione può sempre e in ogni tempo adottare i provvedimenti inibitori. Una disposizione ulteriore stabilisce inoltre che decorsi i 60 giorni previsti per il controllo da parte della amministrazione, quest’ultima può intervenire solo in presenza di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, perla salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente;

-        un inasprimento del regime sanzionatorio, stabilendo che chiunque nelle dichiarazioni, attestazione e asseverazioni dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei requisiti e presupposti , ove il fatto non costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da uno a tre anni;

-        la non applicabilità della SCIA alle attività economiche a prevalente carattere finanziario, ivi comprese quelle regolate dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385), e dal testo unico in materia di intermediazione finanziaria (D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58).

Come già previsto per la DIA con la riforma del 2005, invece, nella prima versione della SCIA resta salvo il potere della stessa pubblica amministrazione di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990.

 

Dopo l’introduzione della SCIA con la integrale riscrittura dell’articolo 19, la nuova disciplina è stata oggetto di ulteriori affinamenti e interventi correttivi, che si sono concentrati su alcuni aspetti della disciplina. All’esito di tali interventi:

§  è espressamente sancita l’applicabilità della SCIA a tutte le tipologie di intervento edilizio soggette in precedenza al regime della DIA, la quale è rimasta solo per determinate ipotesi. Inoltre sono dimezzati i tempi per i controlli delle amministrazioni sugli interventi realizzati con la SCIA in edilizia, passando, per le verifiche ex post, da 60 a 30 giorni[10] (art. 5, D.L. 70/2011, conv. L. 106/2011, come mod. da D.L. 138/2011[11]);

§  è stato esplicitato che la SCIA, così come la dichiarazione e la denuncia di inizio attività, non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare le amministrazioni competenti ad effettuare gli adempimenti previsti e, in caso di inerzia, possono esperire esclusivamente l'azione avverso il silenzio[12] (art. 6, D.L. 138/2011, conv. L. 148/2011);

§  si chiarisce che la segnalazione deve essere accompagnata da attestazioni ed asseverazioni da parte dei tecnici soltanto nei casi previsti dalla normativa vigente (art. 2, D.L. 5/2012, conv. L. 35/2012);

§  è stata eliminata la possibilità per l’amministrazione di esercitare i poteri di autotutela di cui agli artt. 21-quinquies e 21-nonies della L. 241/1990 e, al contempo, sono stati ridefiniti i limiti entro i quali l’amministrazione può intervenire (con poteri inibitori, repressivi e conformativi) sulle attività avviate in base a SCIA (art. 25, D.L. 133/2014, conv. L. 164/2013; art. 6, L. 124/2015).

 

Le modifiche introdotte su questo punto cercano, in particolare, di contemperare l’esigenza di tutelare l’affidamento del privato sul titolo abilitativo formato sulla base della propria segnalazione con la tutela del terzo controinteressato eventualmente pregiudicato da un’attività intrapresa illegittimamente.

A tal fine, si conferma che l’amministrazione entro 60 giorni dalla segnalazione (30 per la SCIA edilizia), ove accerti la carenza di requisiti o presupposti per l’esercizio dell’attività, ne inibisce la prosecuzione e ne rimuove gli eventuali effetti dannosi. Qualora vi sia la possibilità di regolarizzazione, l’amministrazione competente invita il privato a conformare l’attività intrapresa alla normativa vigente, qualora sia possibile, mediante un atto motivato, con il quale sono prescritte le misure necessarie e si dispone la sospensione dell’attività intrapresa. Rispetto al testo previgente dell’articolo 19, co. 3, la fattispecie è più chiaramente definita, esplicitando: l’obbligo di motivare l’invito a sanare e di indicare al privato le misure da adottare, nonché l’effetto sospensivo sull’attività soggetta a SCIA. Resta confermato che il termine per provvedere alla regolarizzazione dell’attività non può essere inferiore a 30 giorni. Si specifica, però, che, decorso il termine senza che le misure siano state adottate, l’attività s’intende vietata.

Inoltre, decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti di inibitoria, l’amministrazione può comunque vietare la prosecuzione dell’attività, rimuovendone gli effetti, ovvero chiedere al privato di conformarsi alla normativa vigente. La possibilità di agire in tal senso è tuttavia condizionata dalla ricorrenza dei presupposti per l’annullamento d’ufficio ai sensi dell’art. 21-nonies della legge, a sua riformato dall’art. 6 della L. 124/2015.

 

§  è stato attenuato il regime sanzionatorio, con l’abrogazione della disposizione che equiparava, sotto il profilo sanzionatorio, la posizione del privato che ha agito contra legem, ossia in assenza originaria del titolo richiesto dalla legge, a quella del privato che ha avviato l’attività avvalendosi di un procedimento semplificato (SCIA o silenzio assenso) in contrasto con la normativa vigente. (art. 21, co. 2, L. 241/1990, abrogato da art. 6, L. 124/2015).

Il silenzio assenso

L’articolo 20 della legge 241/1990 include il silenzio assenso tra gli istituti di semplificazione amministrativa.

Come per la denuncia di inizio attività, l’originaria formulazione dell’art. 20, L. 241/1990 prevedeva la determinazione con regolamento governativo dei casi in cui la domanda da parte dei privati di rilascio di autorizzazioni, licenze, nulla osta o altri atti di consenso necessari per lo svolgimento di una loro attività si considerava accolta qualora non venga comunicato agli interessati, entro i termini stabiliti in relazione ai vari tipi di atto, il provvedimento di diniego, fermo restando il potere di annullamento dell’atto di assenso illegittimamente formato[13].

 

La disciplina è stata riformata nel 2005 che ha generalizzato il ricorso all’istituto (art. 21, L. 15/2005 e art. 3, D.L. 35/2005, conv. L. 80/2005), stabilendo, in particolare, che:

§  in tutti i procedimenti a istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi, esclusi quelli disciplinati dall’articolo 19, L. 241/1990 (segnalazione certificata di inizio attività), «il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda», se la stessa amministrazione non comunica all’interessato, nel termine indicato dalla legge o dai regolamenti (ai sensi dell’art. 2, L. 241/1990), il provvedimento di diniego;

§  il silenzio assenso non opera qualora l’amministrazione competente indica, nel termine di trenta giorni dalla presentazione dell’istanza, una conferenza di servizi, anche tenendo conto delle situazioni giuridiche soggettive dei controinteressati;

§  nei casi in cui il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, dopo la scadenza del termine l’amministrazione competente può in ogni caso assumere determinazioni in via di autotutela, ossia annullare o revocare l’atto implicito di assenso (art. 21-quinquies e 21-nonies, L. 241/1990).

 

La norma, peraltro, contempla un rilevante numero di eccezioni[14]. Il silenzio assenso, infatti, non opera:

§  per gli atti e i procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l’immigrazione, l’asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità;

§  nei casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali;

§  nei casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza;

§  agli atti e procedimenti individuati con appositi D.P.C.M. adottati su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti.

 

Occorre comunque sottolineare che l’evoluzione normativa più recente ha significativamente ampliato il campo di applicazione dell’istituto.

In particolare, per quanto concerne le attività previste nella c.d. “direttiva servizi” e disciplinate dal D.Lgs. 59/2010, come modificata dal decreto legislativo n. 147/2012, si stabilisce che ai fini del rilascio del titolo autorizzatorio riguardante l’accesso e l’esercizio delle attività di servizi si segue, ove non diversamente previsto, il procedimento di cui all’articolo 20 della legge n. 241/1990 (art. 17).

Altresì in ambito edilizio, si ricorda che l’art. 5 del decreto legge n. 70/2011, che ha completamente ridisegnato l’iter procedimentale per il rilascio del permesso di costruire, ha previsto, tra le maggiori novità, l’introduzione del silenzio assenso in luogo del precedente regime basato sul silenzio rifiuto.

 


Il contenuto dello schema di decreto legislativo

Principi generali e ambito di applicazione

L’articolo 1, sotto la rubrica “Libertà di iniziativa privata”, individua l’oggetto dello schema di decreto, costituito dalla disciplina generale applicabile ai procedimenti relativi alle attività private non soggette ad autorizzazione espressa e dalla delimitazione dei relativi regimi amministrativi (comma 1).

Con riferimento a tale individuazione, occorre tuttavia precisare che le uniche disposizioni generali applicabili sono quelle dell’articolo 2, ossia la disciplina per la predisposizione dei moduli unificati e standardizzati per la presentazione da parte dei privati di istanze, segnalazioni, comunicazioni. L’articolo 3, che completa la disciplina positiva dello schema, si riferisce infatti alla disciplina della SCIA.

Si ricorda, inoltre, che nell’ambito della disciplina generale, la disposizione di delega (art. 5, co. 1, L. 124/2015) include la definizione:

§  delle modalità di presentazione e dei contenuti standard degli atti degli interessati e di svolgimento della procedura, anche telematica;

§  degli strumenti per documentare o attestare gli effetti prodotti dai predetti atti;

§  dell’obbligo di comunicare ai soggetti interessati, all’atto della presentazione di un’istanza, i termini entro i quali l’amministrazione è tenuta a rispondere ovvero entro i quali il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento della domanda.

A tale riguardo, si fa presente che lo schema di decreto trasmesso non prevede l’obbligo da ultimo richiamato.

 

Nonostante l’enunciazione del comma 1, peraltro, si segnala che gli ambiti dei relativi regimi amministrativi non appaiono delimitati da disposizioni dello schema di decreto.

 

In merito, il Consiglio di Stato ha segnalato l’opportunità di espungere dal testo il periodo “e delimita gli ambiti dei relativi regimi amministrativi”, intendendolo riferito alla ricognizione delle singole attività che viene demandata a successivi decreti legislativi.

 

Al comma 2, l’articolo 1 indica l’oggetto dei decreti legislativi successivi con cui si procederà ad individuare, a completamento della delega dell’art. 5:

§  le attività oggetto di procedimento di mera comunicazione;

§  le attività oggetto di SCIA ai sensi dell’art. 19, legge 241/1990;

§  le attività oggetto di silenzio assenso;

§  le attività per le quali è necessaria l’autorizzazione espressa.

 

Con riguardo alla formulazione letterale del secondo comma, il Consiglio di Stato ha segnalato l’opportunità di inserire l’avverbio “invece” prima dell’indicazione delle attività per le quali è necessaria l’autorizzazione espressa, in quanto questi ultimi rappresentano una fattispecie diversa dalle precedenti tre. Inoltre, sottolinea l’opportunità di sostituire l’espressione “l’autorizzazione espressa” con “il titolo espresso”, al fine di ricomprendervi esplicitamente le attività soggetto a licenza, nulla osta, permesso, o altri atti di assenso comunque denominati.

 

La disposizione prosegue stabilendo che le attività private non espressamente individuate ai sensi dei medesimi decreti o non specificamente oggetto di disciplina da parte della normativa europea, statale e regionale, non sono soggette a disciplina procedimentale.

Lo scopo di tale precisazione, secondo il legislatore delegato, è quello di “garantire certezza sui regimi applicabili alle attività private e di salvaguardare la libertà di iniziativa economica”.

Tale enunciazione, che appare priva di portata normativa innovativa, riferisce un principio (la non assoggettabilità a disciplina procedimentale) ad attività che in parte saranno individuate con futuri atti legislativi.

 

In relazione all’ambito di applicazione, l’articolo 4 dello schema prevede che le disposizioni del decreto si applicano a tutte le pubbliche amministrazioni. E precisa che nel disciplinare i procedimenti amministrativi di loro competenza, le regioni e gli enti locali possono stabilire livelli ulteriori di trasparenza e semplificazione.

 

In relazione all’applicabilità delle disposizioni ai procedimenti di competenza delle regioni e de gli enti locali, si ricorda che l’articolo 29, comma 2-ter, della legge 241/1990 ascrive ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione le disposizioni della legge concernenti la dichiarazione di inizio attività (ora SCIA) e il silenzio assenso (nonché la conferenza di servizi), salva la possibilità di individuare, con intese in sede di Conferenza unificata, casi ulteriori in cui tali disposizioni non si applicano. Nel disciplinare i procedimenti amministrativi di loro competenza, le regioni e gli enti locali, non possono stabilire garanzie inferiori a quelle assicurate ai privati dalle disposizioni attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter, ma possono prevedere livelli ulteriori di tutela (comma 2-quater).

Mentre per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano vige l’obbligo di adeguare la propria legislazione alle disposizioni concernenti la dichiarazione di inizio attività (ora SCIA) e il silenzio assenso (nonché la conferenza di servizi), secondo i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione (comma 2-quinquies).

 

In proposito, si ricorda che l’intesa sancita da parte della Conferenza unificata prevede la necessità di introdurre la clausola in base alla quale le Regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano adeguano i propri ordinamenti alle disposizioni di principio desumibili dal decreto, ferme restando le competenze previste dai rispettivi statuti speciali e relative norme di attuazione. Inoltre, propone di introdurre il termine del 1° gennaio 2017 per consentire alle amministrazioni regionali e comunali di adeguarsi alle disposizioni del decreto.

 

L’opportunità di un termine per l’adeguamento è motivata dal significativo impegno in termini organizzativi, tecnologici e di predisposizione della modulistica, che sarà richiesto alle amministrazioni per realizzare le novità normative introdotte dallo schema di decreto.

La predisposizione di moduli unificati

L’articolo 2 dello schema di decreto disciplina la predisposizione di moduli unificati e standardizzati che definiscono, per tipologia di procedimento, i contenuti tipici delle istanze, delle segnalazioni e delle comunicazioni oggetto dei regimi amministrativi definiti dai decreti di attuazione dell’art. 5, nonché i contenuti della documentazione da allegare (comma 1).

 

Per le modalità relative alla predisposizione dei moduli, la disposizione rinvia a quanto previsto dall’art. 24, co. 2 e 3, del D.L. 90/2014 (conv. L. 114/2014).

 

L’articolo 24 del D.L. 90/2014 dispone che le singole amministrazioni statali, ove non abbiano ancora provveduto, adottano moduli unificati e standardizzati su tutto il territorio nazionale per la presentazione di istanze, dichiarazioni e segnalazioni da parte di cittadini e imprese (comma 2). A tal fine, è adottato un decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, previo parere della Conferenza unificata.

L’adozione della modulistica comune per la presentazione alle amministrazioni regionali e locali di istanze, dichiarazioni e segnalazioni per il settore dell’edilizia e in riferimento all’avvio delle attività produttive è oggetto di accordo o intesa conclusa in sede di Conferenza unificata (comma 3).

In tale modo, la disposizione amplia l’utilizzo del modulo unificato e standardizzato che è già previsto da singole normative di settore e, in altri casi, è in fase di sperimentazione.

In attuazione di tale disposizione nel settore dell’edilizia, nella G.U. del 19 febbraio 2015 è stato pubblicato l'accordo 18 dicembre 2014 tra il Governo, le regioni e gli enti locali, concernente l'adozione di moduli unificati e standardizzati per la presentazione della comunicazione di inizio lavori (CIL) e della comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA) per gli interventi di edilizia libera. Tale accordo fissa un termine di 60 giorni per l’adeguamento da parte di regioni e comuni, vale a dire entro il 16 febbraio 2015.

Nella Conferenza unificata del 16 luglio 2015 è stato siglato l’accordo per l'adozione di moduli unificati e standardizzati per la presentazione della denuncia di inizio attività alternativa al permesso di costruire (c.d. superDIA).

Si segnala che in precedenza era stato pubblicato (nella Gazzetta ufficiale n. 161 del 14 luglio 2014, supplemento ordinario n. 56) l’accordo siglato in data 12 giugno 2014, tra Governo, regioni ed enti locali, concernente l'adozione di moduli unificati e semplificati per la presentazione dell’istanza del permesso di costruire e della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) in edilizia.

Per quanto concerne la modulistica standardizzata per l’avvio di attività produttive, il decreto di semplificazione e riordino della disciplina sullo sportello unico (D.P.R. 160/2010, articolo 12, commi 3 e 4) ha già previsto che:

·       il Governo, le Regioni e gli Enti locali, promuovano intese in sede di Conferenza Stato regioni al fine di coordinare l'esercizio delle rispettive competenze o concludano accordi per favorire l'armonizzazione della gestione del sistema degli sportelli unici. Le intese e gli accordi sono, altresì, finalizzati ad assicurare la standardizzazione dei procedimenti e l'unificazione, quantomeno in ambito regionale, della modulistica delle amministrazioni responsabili dei sub-procedimenti, nonché la definizione di criteri minimi di omogeneità della modulistica a livello nazionale;

Allo stato, solo alcune regioni hanno provveduto ad uniformare i moduli nel proprio ambito regionale (come la Lombardia e anche il Veneto), senza il raggiungimento di accordi o intese in sede di Conferenza stato regioni.

·       fino alla definizione dei criteri minimi di omogeneità della modulistica, i soggetti interessati utilizzano gli strumenti messi a disposizione dal portale www.impresainungiorno.gov.it, che si potrà avvalere di quanto predisposto dagli sportelli unici delle attività produttive (SUAP) già operativi.

Attualmente, dunque, in mancanza della modulistica uniforme dei SUAP e delle amministrazioni comunque coinvolte nel procedimento, il soggetto interessato utilizza gli strumenti messi a disposizione dal portale per il territorio di competenza regionale, previa validazione adottata con provvedimento del Ministero dello sviluppo economico, sentite le amministrazioni statali e regionali per i procedimenti di rispettiva competenza (Decreto Interministeriale del 10 novembre 2011, recante Misure per l'attuazione dello sportello unico per le attività produttive).

Per le attività imprenditoriali, la SCIA può essere presentata allo Sportello unico per le attività produttive (SUAP) per il tramite della Camera di Commercio territorialmente competente (D.P.R. 160/2010, art. 5, comma 1), allegandola alla pratica di Comunicazione Unica, nei casi in cui sia contestuale alla stessa.

 

Dal richiamo ai commi 2 e 3 sembra, pertanto, derivare che i moduli sono adottati con decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, previo parere della Conferenza unificata. Mentre sono necessari accordi o intese in sede di Conferenza unificata, per adottare una modulistica unificata e standardizzata su tutto il territorio nazionale per la presentazione alle pubbliche amministrazioni regionali e agli enti locali di istanze, dichiarazioni e segnalazioni con riferimento all’edilizia e all’avvio di attività produttive.

 

Il comma 2 introduce per le amministrazioni destinatarie delle istanze, segnalazioni e comunicazioni l’obbligo di pubblicare sul proprio sito istituzionale i moduli e, per ciascuna tipologia di procedimento, l’elenco degli stati, qualità personali e fatti oggetto di dichiarazione sostitutiva, di certificazione o di atto di notorietà, nonché delle attestazioni e asseverazioni dei tecnici abilitati o delle dichiarazioni di conformità dell’Agenzia delle imprese, necessari a corredo della segnalazione, indicando le norme che ne prevedono la produzione.

Si consideri che ai sensi del successivo comma 5 costituisce illecito disciplinare sia la richiesta da parte dell’amministrazione di integrazioni documentali non corrispondenti alle informazioni pubblicati, sia la mancata pubblicazione delle stesse (si v., infra).

Il regime di pubblicità che la disposizione introduce si affianca ad altri obblighi di trasparenza dei procedimenti amministrativi disciplinati in generale dal cd. Codice della trasparenza delle pubbliche amministrazioni, adottato con il D.Lgs. n. 33/2013.

 

Sugli obblighi di trasparenza relativi ai procedimenti amministrativi, si ricorda che il Codice della trasparenza delle pubbliche amministrazioni, adottato con D.Lgs. 33/2013, prevede che per ciascuna tipologia di procedimento l’amministrazione competente deve pubblicare una serie di informazioni (art. 35, co. 1), tra cui:

a) una breve descrizione del procedimento con indicazione di tutti i riferimenti normativi utili;

b) l’unità organizzativa responsabile dell’istruttoria;

c) il nome del responsabile del procedimento, nonché, ove diverso, l’ufficio competente all’adozione del provvedimento finale;

d) per i procedimenti ad istanza di parte, gli atti e i documenti da allegare all'istanza e la modulistica necessaria, compresi i fac-simile per le autocertificazioni, anche se la produzione a corredo dell'istanza è prevista da norme di legge, regolamenti o atti pubblicati nella Gazzetta Ufficiale, nonché gli uffici ai quali rivolgersi per informazioni, gli orari e le modalità di accesso con indicazione degli indirizzi, dei recapiti telefonici e delle caselle di posta elettronica istituzionale, a cui presentare le istanze;

e) le modalità con le quali gli interessati possono ottenere le informazioni relative ai procedimenti in corso che li riguardino;

f) il termine fissato in sede di disciplina normativa del procedimento per la conclusione con l’adozione di un provvedimento espresso e ogni altro termine procedimentale rilevante;

g) i procedimenti per i quali il provvedimento dell'amministrazione può essere sostituito da una dichiarazione dell’interessato, ovvero il procedimento può concludersi con il silenzio assenso dell'amministrazione;

h) gli strumenti di tutela, amministrativa e giurisdizionale;

i) il link di accesso al servizio on line, ove sia già disponibile in rete, o i tempi previsti per la sua attivazione;

l) le modalità per l'effettuazione dei pagamenti eventualmente necessari;

m) il nome del soggetto a cui è attribuito, in caso di inerzia, il potere sostitutivo, nonché le modalità per attivare tale potere, con indicazione dei recapiti telefonici e delle caselle di posta elettronica istituzionale.

Inoltre, è stabilito il principio generale per cui le amministrazioni non possono richiedere l’uso di moduli e formulari che non siano stati pubblicati; in caso di omessa pubblicazione, i relativi procedimenti possono essere avviati anche in assenza dei suddetti moduli o formulari. L’amministrazione non può respingere l’istanza adducendo il mancato utilizzo dei moduli o formulari o la mancata produzione di tali atti o documenti, e deve invitare l’istante a integrare la documentazione in un termine congruo (art. 35, co. 2).

 

La disposizione di cui al comma 2 pare aggiungere e specificare alcuni obblighi in relazione ai moduli unificati e standardizzati che sono già stabiliti in generale nel D.Lgs. 33/2013. Pertanto, andrebbe valutata l’opportunità di inserire il contenuto della citata disposizione come novella al Codice della trasparenza delle pubbliche amministrazioni. Si consideri, inoltre, l’opportunità di introdurre termini per l’adempimento degli obblighi di pubblicazioni, anche alla luce delle sanzioni previste al successivo comma 5.

 

Sui siti istituzionali delle amministrazioni deve essere altresì indicato lo sportello unico al quale i soggetti interessati possono presentare le istanze, segnalazioni e comunicazioni, anche in caso di procedimenti connessi di competenza di altre amministrazioni ovvero di diverse articolazioni interne dell’amministrazione ricevente (comma 3). Sono ammesse più sedi dello sportello solo in quanto funzionali a garantire più punti di accesso sul territorio.

 

In merito, il Consiglio di Stato ha osservato che andrebbe precisato, in linea con l’evoluzione ordinamentale, che lo sportello unico deve essere, almeno di regola, “telematico”, nonché l’opportunità di precisare nel testo che la data di protocollazione dell’istanza, comunicazione o segnalazione non deve essere diversa dalla data di effettiva presentazione della segnalazione o comunicazione.

L’intesa sancita in sede di Conferenza unificata prevede lo spostamento di questa disposizione in capo all’articolo 3, su cui, si rinvia, infra.

 

La disposizione prescrive inoltre che l’amministrazione rilascia una ricevuta dell’avvenuta presentazione dell’istanza, comunicazione o segnalazione. In relazione a tale obbligo, viene specificato che la ricevuta:

§  costituisce comunicazione di avvio del procedimento ai sensi degli art. 7 e 8 della L. 241/1990;

Si ricorda, in proposito, che l’art. 7 della legge n. 241 del 1990 prevede, riguardo alla partecipazione al procedimento amministrativo, l’obbligo dell’amministrazione procedente di comunicare l’avvio del procedimento ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi e anche ai soggetti ai quali possa derivare un pregiudizio al procedimento stesso. Si prevede espressamente che ciò possa non avvenire quando vi siano particolari esigenze di celerità del procedimento. L’art. 8 attiene a modalità e contenuti della comunicazione di avvio del procedimento. Essa deve infatti contenere: l’amministrazione procedente; l’oggetto del procedimento promosso; l’ufficio e la persona responsabile del procedimento; l’ufficio in cui si può prendere visione degli atti; la data entro la quale deve concludersi il procedimento e i rimedi esperibili in caso di inerzia dell’amministrazione; nei procedimenti ad iniziativa di parte, la data di presentazione della relativa istanza. Inoltre, l’art. 41, co. 2, d.lg. 7 marzo 2005, n. 82 («codice dell’amministrazione digitale») prevede che la comunicazione di avvio dei procedimenti con fascicolo informatico contenga le informazioni relative alle modalità per partecipare in via telematica.

Nonostante il contrario avviso in giurisprudenza, dal tenore letterale delle disposizioni citate e secondo l’opinione prevalente in dottrina, la comunicazione di avvio del procedimento è necessaria anche per i procedimenti iniziati su istanza di parte, dove l’utilità per l’istante è di avere informazioni che non può conoscere quali l’indicazione dell’ufficio e della persona responsabile del procedimento, nonché dell’ufficio in cui è possibile prendere visione degli atti.

 

Il tenore letterale della disposizione non chiarisce se la ricevuta debba indicare gli elementi richiesti dall’art. 8, co. 2, della l. 241/1990 per la comunicazione di avvio del procedimento, né rinvia la determinazione di un contenuto minimo ad altra fonte.

Inoltre, la corrispondenza tra rilascio della ricevuta e comunicazione di avvio del procedimento sembra riguardare il soggetto istante, ma non gli eventuali controinteressati ai sensi dell’art. 7, L. 241/1990.

 

In relazione alla normativa vigente, si ricorda che l’articolo 17 del D.Lgs. n. 50/2010, per quanto concerne l’accesso e l’esercizio delle attività di servizi di cui alla cd. direttiva Bolkestein, prevede che per ogni domanda di autorizzazione le autorità competenti assicurano il rilascio di una ricevuta, la quale deve contenere le informazioni seguenti:

a) il termine previsto per la conclusione del procedimento e i casi in cui la sua decorrenza subisca un differimento o una sospensione;

b) i mezzi di ricorso previsti;

c) fatti salvi i casi in cui il procedimento si conclude con l'adozione di un provvedimento espresso, la menzione che, in mancanza di risposta entro il termine previsto, l'autorizzazione è considerata come rilasciata.

La medesima disciplina stabilisce che ove la domanda è presentata per via telematica la ricevuta è inviata tramite posta elettronica.

 

§  non è condizione di efficacia della SCIA. Pertanto, ove la ricevuta non venga rilasciata e ferme restando le responsabilità dei dipendenti, la segnalazione è destinata comunque a produrre i suoi effetti.

 

Sul rilascio della ricevuta, il parere del Consiglio di Stato sottolinea l’opportunità di precisare che la ricevuta deve essere rilasciata immediatamente. Inoltre, sarebbe incongruo il riferimento alla comunicazione di avvio del procedimento in quanto l’ambito di applicazione della norma attiene a procedimenti ad istanza di parte, nonché in quanto mancante dell’indicazione di un contenuto minimo obbligatorio della comunicazione.

In proposito, nell’intesa sancita da parte della Conferenza unificata si fa riferimento alla opportunità di modificare la disposizione sulla ricevuta, facendo riferimento alla modalità telematica e stabilendone un contenuto minimo, per cui dovrebbe indicare “i termini entro i quali l’amministrazione è tenuta, ove previsto, a rispondere, ovvero entro i quali il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento dell’istanza”.

 

Il comma 4 dell’articolo 2 disciplina i poteri sostitutivi tra diversi livelli amministrativi in caso di omessa pubblicazione dei moduli e della relativa documentazione ai sensi dei commi precedenti. Ed, in particolare, stabilisce che:

§  in caso di omessa pubblicazione dei documenti da parte degli enti locali, le regioni adottano le misure sostitutive, anche su segnalazione del cittadino. Per le modalità si fa rinvio, senza ulteriori specificazioni, alla disciplina statale e regionale applicabile nella relativa materia;

§  in caso di omessa pubblicazione da parte delle regioni, si provvede in via sostitutiva ai sensi (ossia con le modalità) dell’art. 8 della L. 131/2003, che ha disciplinato il potere sostitutivo da parte del governo in attuazione dell’art. 120 Cost.

Tale disposizione prevede che il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, assegna all’ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari; decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei ministri, sentito l’organo interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei ministri, adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito commissario.

Si ricorda, inoltre, che i presupposti sostanziali per l’esercizio del potere sostitutivo ex. art. 120 Cost. sono: mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.

Infine, la giurisprudenza costituzionale ha chiarito che perché possa ritenersi legittima la previsione del potere di sostituzione dello Stato alle Regioni è necessario che l’esercizio dei poteri sostitutivi sia previsto e disciplinato dalla legge, la quale deve altresì definirne i presupposti sostanziali e procedurali; che la sostituzione riguardi il compimento di atti o attività prive di discrezionalità nell’an; che il potere sostitutivo sia esercitato da un organo di Governo o sulla base di una decisione di questo; che la legge predisponga congrue garanzie procedimentali, in conformità al principio di leale collaborazione (sent. n. 240/2004).

 

Sul punto, nel parere del Consiglio di Stato si segnala l’opportunità della previsione di un termine decorso il quale può attivarsi il potere sostitutivo.

 

Infine, il comma 5 regola le sanzioni per la mancata pubblicazione delle informazioni e dei documenti indicati, nonché per la richiesta di integrazioni documentali non corrispondenti alle informazioni e ai documenti pubblicati, stabilendo che tali fattispecie “costituiscono illecito disciplinare punibile con la sospensione da tre giorni a sei mesi”.

 

Si ricorda che la responsabilità disciplinare si concretizza in una violazione del codice disciplinare rinvenibile nel contratto collettivo richiamato dal contratto individuale o nella violazione dei precetti fissati dagli artt. 55 e seguenti del D.Lgs. n. 165 del 2001 o dal codice di comportamento. La titolarità ad accertare la responsabilità disciplinare risiede in capo al dirigente di struttura o all’Ufficio per i procedimenti disciplinari.

 

In relazione alla individuazione di questa nuova violazione come fonte di responsabilità disciplinare, il parere del Consiglio di Stato sottolinea l’opportunità di evitare automatismi e pertanto, di sostituire le parole “costituiscono illecito disciplinare” con “sono valutabili ai fini dell’illecito disciplinare”.

 

La disposizione fa salve le sanzioni previste dal D.Lgs. n. 33 del 2013 che, in generale, stabilisce che l’inadempimento degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente costituiscono elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale, eventuale causa di responsabilità per danno all’immagine dell'amministrazione e sono valutati ai fini della retribuzione di risultato e del trattamento economico accessorio collegato alle performance dei dirigenti. Il responsabile non risponde dell’inadempimento se prova che tale inadempimento è dipeso da causa a lui non imputabile (art. 46).

 

In proposito, si ricorda che lo schema di decreto legislativo di revisione del Codice della trasparenza (A.G. 267) introduce l’illecito disciplinare come sanzione per il mancato rispetto degli obblighi di pubblicazione ivi previsti.

La concentrazione dei regimi amministrativi (cd. SCIA unica)

L’articolo 3 dello schema di decreto regolamenta, al comma 1, per la prima volta l’ipotesi in cui per lo svolgimento di un’attività soggetta a segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) siano necessarie altre SCIA, comunicazioni, attestazioni, asseverazioni e notifiche, prevedendo che in tali casi l’interessato presenta un’unica SCIA. L’efficacia della segnalazione è immediata, in quanto, come nel regime ordinario ex art. 19 L. 241/1990, l’attività può essere iniziata dalla data di presentazione della segnalazione.

Si tratta, come evidenziato nella rubrica dell’articolo, di una concentrazione di più regimi amministrativi che servirebbe a semplificare le ipotesi in cui la SCIA abbia come presupposto il possesso di requisiti che sono oggetto anche di altre segnalazioni o comunicazioni, attestazioni, asseverazioni e notifiche. Nella prassi, infatti, l’elevata numerosità di adempimenti e atti presupposti che i cittadini e le imprese devono procurarsi autonomamente presso amministrazioni diverse rischia di rendere la stessa SCIA più complicata del procedimento ordinario.

Pertanto, la fattispecie procedimentale disciplinata dal comma 1 riguarda attività “liberalizzate”, ossia attività per le quali all’amministrazione spetta solo verificare la sussistenza di requisiti o presupposti fissati dalle norme. Risultano escluse da tale disciplina le ipotesi in cui per lo svolgimento di un’attività soggetta a SCIA siano necessarie anche autorizzazioni, comunque denominate, espresse o perfezionate con il silenzio assenso.

 

Il Consiglio di Stato descrive tale fattispecie come ipotesi di cd. SCIA pura.

 

La disposizione prevede che l’interessato presenta una unica SCIA “all’amministrazione indicata nei decreti di cui all’articolo 1”, ossia i decreti di ricognizione dei diversi procedimenti. Tale rinvio non consente di comprendere quale sia l’amministrazione competente a ricevere la SCIA unica, specie nel caso in cui per lo svolgimento di un’attività soggetta a SCIA sia necessaria altra SCIA. Pertanto, sarebbe opportuno un chiarimento in merito.

 

Nel parere del Consiglio di Stato si osserva che tale riferimento non serve ad identificare l’amministrazione cui bisogna presentare la SCIA, la cui identità invece andrebbe precisata con un criterio oggettivo e facilmente decifrabile.

Nell’intesa sancita in sede di Conferenza unificata si prevede che la segnalazione unica sia presentata allo sportello unico.

 

In base alla disciplina dettata al comma 1, l’amministrazione che riceve la SCIA la trasmette alle altre amministrazioni interessate, al fine di consentire il controllo sulla sussistenza dei presupposti e requisiti di loro competenza. La disposizione non specifica entro quale termine deve essere fatta la trasmissione.

Per amministrazioni interessate parrebbero doversi intendere le amministrazioni destinatarie delle eventuali segnalazioni presupposte dell’attività principale, ovvero quelle destinatarie delle comunicazioni, notifiche, attestazioni.

 

Nel parere del Consiglio di Stato si suggerisce l’inserimento di un termine breve per la trasmissione al fine di evitare che un ritardo nella trasmissione comprima il tempo a disposizione delle altre amministrazioni per esercitare le verifiche di competenza.

 

Le amministrazioni che ricevono la SCIA, fino a cinque giorni prima della scadenza del termine di 60 giorni previsto dall’art. 19, L. 241/1990 (30 giorni per la SCIA edilizia), possono presentare eventuali proposte motivate (all’amministrazione che ha ricevuto la SCIA) per l’adozione di provvedimenti inibitori, repressivi o sospensivi previsti dal medesimo articolo 19 in caso di accertamento della carenza dei requisiti e dei presupposti.

Come illustrato supra, nel capitolo dedicato al quadro normativo, i provvedimenti che l’amministrazione può adottare in seguito a SCIA sono, a seconda delle ipotesi: divieto di prosecuzione dell’attività e rimozione degli effetti dannosi, ovvero invito a conformare l’attività con contestuale sospensione della stessa.

 

Ove l’attività sia sanabile, spetta all’amministrazione che ha ricevuto la SCIA prescrivere le misure necessarie stabilendo un termine non inferiore a 30 giorni affinché l’interessato si conformi alle indicazioni dell’amministrazione (esattamente come previsto nella disciplina generale della SCIA ex art. 19, co. 3, L. 241/1990).

A differenza di quanto previsto dal medesimo art. 19, in caso di c.d. SCIA unica, invece, la sospensione dell’attività intrapresa non opera automaticamente in caso di invito a conformarsi alle indicazioni dell’amministrazione. Infatti, la disposizione prevede che la sospensione è disposta con atto motivato solo in due ipotesi:

§  presenza di attestazioni non veritiere; quanto alla formulazione del testo, si valuti l’opportunità di utilizzare una espressione capace di ricomprendere più ipotesi, quale, ad esempio, “dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni”;

§  pericolo per la tutela dell’interesse pubblico in materia di ambiente, paesaggio, beni culturali, salute, sicurezza pubblica, difesa nazionale. In merito si ricorda che l’art. 19, co. 1, L. 241/1990 esclude l’utilizzo della SCIA nei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali ovvero per gli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili (tra cui difesa nazionale e sicurezza pubblica).

 

Il comma 1 chiarisce, infine, che anche le comunicazioni e le notifiche normalmente comprese a corredo della SCIA per lo svolgimento di un’attività sono trasmesse alle amministrazioni interessate.

 

In relazione alla sequenza procedimentale descritta, non appare di immediata evidenza il rapporto tra l’amministrazione che riceve la SCIA e le altre amministrazioni interessate nella determinazione dei provvedimenti da adottare in sede di controllo. Stabilito che l’adozione formale del provvedimento spetta all’amministrazione che ha ricevuto la SCIA e che le altre hanno un potere di proposta, andrebbe specificato se spetti alla prima decidere in via definitiva, anche per quanto concerne la possibilità di disporre la sospensione dell’attività intrapresa.

Inoltre, la formulazione del comma 1 dell’articolo in esame non chiarisce se anche nella nuova fattispecie procedimentale trovi applicazione quanto stabilito in generale dall’art. 19, co. 4-bis, L. 241/1990, circa la possibilità per l’amministrazione di esercitare i poteri inibitori e repressivi anche dopo la scadenza del termine ordinario.

Anche al fine di evitare incertezze nel coordinamento tra le disposizioni recate dall’articolo in commento e quelle contenute nell’articolo 19 della L. 241/1990, andrebbe pertanto valutata l’opportunità di introdurre la nuova disciplina utilizzando la tecnica della novella.

 

Si ricorda che in sede di Conferenza unificata è stata segnalata l’opportunità di inserire la disciplina della SCIA prevista nello schema di decreto, come modifica espressa all’articolo 19 per evitare di incorrere in disarmonie. Con la medesima finalità è stata inoltre sottolineata l’opportunità di inserire una disposizione aggiuntiva di coordinamento della disciplinata recata dall’articolo 3 in commento con la disciplina sui titoli abilitativi in materia edilizia (DPR n. 380/2001).

Anche il Consiglio di Stato, in sede di parere, ha segnalato, in generale, l’opportunità di utilizzare la novella e, in particolare, di chiarire se le disposizioni previste sulla SCIA unica obbediscono ad un criterio di specialità rispetto a quelle vigenti, ovvero se regolano la materia ex novo abrogando tacitamente le norme vigenti.

 

Il comma 2 dell’articolo 3 disciplina una seconda e differente ipotesi, che si ha quando l’efficacia della SCIA ha come presupposto l’acquisizione di atti di assenso, comunque denominati, o pareri di altri uffici e amministrazioni, ovvero l’esecuzione di verifiche preventive.

A differenza dei casi che rientrano nella fattispecie di cui al comma 1, questa seconda ipotesi si riferisce ad attività non pienamente liberalizzate, in quanto il presupposto per la presentazione della SCIA è un atto di autorizzazione dell’amministrazione.

 

Il Consiglio di Stato descrive tale fattispecie come ipotesi di cd. SCIA non pura.

 

Per questa ipotesi lo schema di decreto si limita a prevedere la convocazione della conferenza di servizi di cui all’art. 14 della L. 241/1990, stabilendo che il termine per la sua convocazione decorre dalla data della presentazione della SCIA allo sportello unico (ovvero dalla data di ricezione da parte dell’amministrazione in caso di presentazione della SCIA tramite raccomandata o modalità telematiche).

 

Si ricorda che la conferenza di servizi è uno strumento di semplificazione attivabile dalle pubbliche amministrazioni quando siano coinvolti vari interessi pubblici in un procedimento amministrativo o in più procedimenti connessi riguardanti i medesimi risultati e attività amministrativa, suscettibile di produrre un'accelerazione dei tempi procedurali.

La disciplina dell’istituto è fissata dalla legge sul procedimento amministrativo (L. 241/1990) che prevede una disciplina generale (art. 14 e ss.) e una disciplina speciale per alcuni procedimenti di particolare complessità (art. 14-bis).

La legge delega di riforma delle pubbliche amministrazioni (L. 124/2015), all’articolo 2, reca una delega al Governo per il riordino della disciplina in materia di conferenza di servizi, da esercitarsi entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge (entro il 28 agosto 2016). L’esercizio è delega è finalizzato, in particolare, a: in modo da: ridurre i casi di convocazione obbligatoria; semplificare e rendere più celeri i tempi della conferenza, anche attraverso l’utilizzo di strumenti informatici, nonché assicurare che qualsiasi tipo di conferenza abbia una durata certa; rivedere i meccanismi decisionali, con la previsione del principio della prevalenza delle posizioni espresse, di meccanismi di silenzio assenso e di superamento del dissenso; introdurre modelli di istruttoria pubblica, per garantire la partecipazione degli interessati al procedimento; introdurre strumenti di composizione degli interessi pubblici in caso di partecipazione di amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili, che assicurino comunque la conclusione del procedimento entro i termini previsti.

Il 14 aprile 2016 il Governo ha trasmesso alle Camere lo schema di decreto legislativo in attuazione della delega contenuta nell'articolo 2 della legge 124/2015 (A.G. 293). Le competenti Commissioni parlamentari esprimeranno il parere entro l’11 giugno 2016.

 

Andrebbe al riguardo valutata l’opportunità di chiarire alcuni aspetti del procedimento, quali, in particolare: i tempi dell’efficacia della SCIA in queste ipotesi; l’identificazione dell’amministrazione procedente; gli effetti di una eventuale determinazione motivata di conclusione della conferenza; il coordinamento tra l’ipotesi in esame e la disciplina generale in tema di SCIA e di conferenza di servizi di cui alla L. 241 del 1990.

Andrebbe inoltre valutata l’esigenza di esplicitare la disciplina applicabile nelle ipotesi in cui per lo svolgimento di un’attività soggetta a SCIA siano necessari sia comunicazioni, attestazioni, ecc. (ossia la fattispecie prevista al comma 1 dell’articolo 3 in esame) sia atti di autorizzazione da parte dell’amministrazione (ipotesi prevista ai sensi del comma 2).

 


 



[1]     In generale, il silenzio della pubblica amministrazione è un comportamento omissivo dell’amministrazione di fronte a un dovere di provvedere, di emanare un atto e di concludere il procedimento con l’adozione di un provvedimento entro un termine prestabilito (art. 2, co. 1 e 5, 20, L. n. 241/1990). L’ordinamento distingue il silenzio in ipotesi legislativamente qualificate in senso positivo (silenzio assenso), in senso negativo (silenzio diniego e silenzio rigetto) e ipotesi non giuridicamente qualificate (silenzio inadempimento).

[2]     Si cfr. in particolare, i considerando nn. 40, 42, 43 e l’articolo 9 della direttiva.

[3]     Nel settore delle attività produttive, ad esempio, il D.Lgs. n. 59/2010, come riformato ed integrato dal D.Lgs. 147/2012, ha, da un lato, stabilito il principio per cui i regimi autorizzatori possono essere istituiti o mantenuti solo se giustificati da motivi imperativi di interesse generale (articolo 14) e dall’altro, nella Parte II del Titolo II, articoli 64-81, ha seguito un approccio enunciativo e sostanzialmente elencativo di casi di attività produttive da dichiarare comunque sottoposte a SCIA (tranne enunciare specifiche condizioni in presenza delle quali sottoporre le medesime attività ad autorizzazione). A seguito della riformulazione dell’art. 19 della legge 241/1990 ad opera del D.L. 78/2010, il legislatore ha adottato un approccio non elencativo di attività sottoposte a SCIA, ma di principio, nel senso di sancire in via generale – in linea con la Direttiva UE servizi – il principio della liberalizzazione. Il MISE ha pertanto ritenuto opportuno in più casi intervenire, con una serie di pareri e con varie circolari interpretative, che tutt’ora reggono la materia, nel senso di chiarire relativamente alle procedure di avvio di alcune attività l’impatto della riformulazione dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990, anche in considerazione della parziale elencazione di alcune di queste attività contenuta nel D.Lgs. n. 59/2010 e ss. mod.

[4]     L. 24 dicembre 1993, n. 537 Interventi correttivi di finanza pubblica.

[5]     Nei casi in cui, cioè, la P.A. è chiamata solo a verificare la sussistenza dei presupposti di legge, senza bisogno di procedere discrezionalmente ad una ponderazione degli interessi pubblici e privati coinvolti.

[6]     Difesa nazionale, pubblica sicurezza, immigrazione, amministrazione della giustizia, amministrazione delle finanze (ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco), tutela della salute e della pubblica incolumità, del patrimonio culturale e paesaggistico e dell’ambiente.

[7]     La disciplina prevedeva: l’inizio dell’attività con contestuale comunicazione alla pubblica amministrazione decorsi trenta giorni dalla presentazione della DIA; il potere della pubblica amministrazione - nei trenta giorni successivi alla comunicazione - di adottare motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti, ove si accerti la carenza di condizioni, modalità e fatti legittimanti. Tali provvedimenti non potevano però essere adottati se l’interessato – entro un termine non inferiore a trenta giorni fissato dalla stessa amministrazione - provvedeva a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti, nei casi in cui ciò sia possibile.

[8]     A tale proposito si richiama la disciplina procedurale della DIA contenuta nel testo unico dell’edilizia (art. 23 D.P.R. 380/2001).

[9]     Si ricorda che gli istituti della revoca e dell’annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi illegittimi, in passato riconosciuti e regolati dalla elaborazione giurisprudenziale, sono ora disciplinati dagli articoli 29-quinquies e 29-nonies della legge 241/1990 , come modificata dalla legge 15/2005.

[10]   Tale riduzione dei tempi è strettamente correlata alla sostituzione della DIA con la SCIA in edilizia, in quanto se fosse rimasta la possibilità, per le amministrazioni, di verificare entro 60 giorni la presenza di tutti i requisiti, sarebbe stato, di fatto, vanificato il vantaggio di poter iniziare i lavori nello stesso giorno in cui si presenta la SCIA, considerato che la DIA prevede invece un’attesa preventiva minore, ovvero di 30 giorni, al fine di consentire alle amministrazioni competenti di effettuare i relativi controlli.

[11]   In realtà, già con la circolare del 16 settembre 2010 il Ministero per la semplificazione normativa aveva chiarito che la Scia non si applica solo all'avvio dell'attività di impresa ma sostituisce anche la DIA in edilizia, eccetto la Dia alternativa al permesso di costruire (c.d. superDia) e nei casi in cui le leggi regionali abbiano previsto l’utilizzo della Dia per ulteriori tipologie di intervento rispetto a quelle previste dal T.U. dell’edilizia (art. 22, comma 4), consentendo di avviare i lavori il giorno stesso della sua presentazione, mentre con la Dia occorre attendere 30 giorni. Successivamente tale interpretazione è stata confermata con l’art. 5 del decreto legge n. 70/2011.

[12]   La disposizione ha aderito per questa parte alla tesi sostenuta dal Consiglio di Stato in base alla quale la DIA (ora SCIA) è un atto di autonomia privata con cui si comunica alla pubblica amministrazione l'esercizio di un’attività consentita dalla legge e non è autonomamente impugnabile. Nella decisione del 29 luglio 2011, n. 15, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha risolto il contrasto giurisprudenziale sulla natura giuridica della DIA (art. 19, legge 241/1990) chiarendo che non si tratta di un provvedimento amministrativo tacito formatosi con il decorso del tempo (silenzio-assenso) ma di una dichiarazione del privato all'amministrazione competente dell'inizio di un'attività libera consentita dalla legge.

[13]   In attuazione della disposizione è stato emanato il D.P.R. 300/1992.

[14]   Le materie escluse dall’applicabilità dell’articolo 20 risultano anche dalle modifiche introdotte al riguardo dall’articolo 9 della L. 69/2009.