Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Abolizione del finanziamento pubblico diretto, trasparenza e democraticità dei partiti e regolamentazione della contribuzione in loro favore A.C. 1154 e abb. - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 15/XVII   AC N. 186/XVII
AC N. 199/XVII   AC N. 255/XVII
AC N. 664/XVII   AC N. 961/XVII
AC N. 733/XVII   AC N. 1154/XVII
Serie: Progetti di legge    Numero: 26
Data: 18/06/2013
Descrittori:
FINANZIAMENTO A PARTITI POLITICI   PARTITI POLITICI
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Abolizione del finanziamento pubblico diretto, trasparenza e democraticità dei partiti e regolamentazione della contribuzione in loro favore

A.C. 1154 e abb.

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 26

 

 

 

17 giugno 2013

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Istituzioni

( 066760-9475 / 066760-3855 – * st_istituzioni@camera.it

 

 

 

 

La documentazione dei servizi e degli uffici della Camera è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte.

File: ac0158.doc

 


INDICE

Schede di lettura

Il quadro normativo vigente  3

La riduzione dei rimborsi elettorali e la disciplina dei partiti politici: l’attività nella XVI legislatura  17

Statuto e finanziamento dei partiti politici europei 23

Il disegno di legge del Governo  25

§  Oggetto e finalità del disegno di legge  25

§  Democrazia interna, trasparenza e controlli 26

§  Controllo e trasparenza  32

§  La disciplina della contribuzione  42

§  Disposizioni transitorie e finali 65

Le proposte di legge di iniziativa parlamentare  71

§  Oggetto e finalità delle proposte  71

§  Natura dei partiti politici 72

§  Contenuto degli statuti dei partiti politici 73

§  Finanziamento dei partiti 80

§  Controllo dei bilanci 101

§  Elezioni primarie  107

§  Tutela giurisdizionale  108

 

 


Schede di lettura

 


Il quadro normativo vigente

In Italia il sistema dei partiti può contare su due principali fonti di finanziamento:

§  i contributi da parte dello Stato direttamente erogati ai partiti e movimenti politici;

§  i finanziamenti dei privati a partiti, movimenti e singoli esponenti politici, nei modi e limiti fissati dalla legge.

Sono inoltre previsti contributi statali agli organi ufficiali di informazione dei partiti (giornali e radio) ed agevolazioni fiscali (possibilità di detrazione d’imposta per le erogazioni di privati ai partiti; esenzione delle imposte per i trasferimenti ai partiti e per la registrazione degli statuti).

Il contributo pubblico a favore di partiti o movimenti politici è stato introdotto per la prima volta dalla legge 2 maggio 1974, n. 195. La legge 195/1974 è stata in seguito modificata e integrata dalla legge 18 novembre 1981, n. 659 e da altri provvedimenti (art. 1 della legge 8 agosto 1980, n. 422; art. 1 della legge 8 agosto 1985, n. 413). In base a tali leggi, si prevedevano:

§  una forma di contributo statale per il funzionamento ordinario dei partiti;

§  una ulteriore forma di contributo a titolo di rimborso per le spese elettorali da questi sostenute per le elezioni politiche, europee e regionali.

Con il referendum popolare del 18 aprile 1993, è stata disposta l’abrogazione delle disposizioni di legge che erogavano finanziamenti per il funzionamento ordinario dei partiti politici. Pertanto, l’unica forma di contributo da parte dello Stato che ha continuato a sussistere è quella relativa al rimborso delle spese elettorali, che successivamente è stata ridisciplinata con la legge 157 del 1999.

La legge 6 luglio 2012, n. 96 ha ridotto l’ammontare dei contributi e ha modificato il sistema di contribuzione pubblica alla politica: il 70% degli stanziamenti a favore dei partiti viene erogato, oltre che a titolo di rimborso per le spese sostenute in occasione delle elezioni, anche come contributo per il finanziamento delle attività politiche dei partiti, il restante 30% è legato alla capacità di autofinanziamento del partito ed è erogato in maniera proporzionale alle quote associative e ai finanziamenti privati raccolti. A questo fine si considerano solamente i partiti che abbiano raggiunto un risultato elettorale minimo stabilito dalla legge.

Per gli anni 2012 e 2013 i risparmi derivanti dalla riduzione sono destinati agli interventi nelle aree colpite da calamità naturali a partire dal 2009.

I contributi pubblici

La disciplina dei contributi pubblici ai partiti è recata principalmente dalla L. 157/1999, di riforma del sistema di finanziamento dei partiti, successivamente più volte modificata, da ultimo ad opera della citata L. 96/2012.

I criteri per il riparto delle somme da assegnare sono contenuti nella L. 515/1993 e nella L. 43/1995.

Le spese dei partiti e dei movimenti politici per le quali è versato il contributo sono quelle sostenute per le campagne elettorali relative ai seguenti organi:

§  Camera dei deputati;

§  Senato;

§  Parlamento europeo;

§  Consigli regionali.

I contributi, definiti rimborsi, sono corrisposti ripartendo, tra i movimenti o partiti politici aventi diritto, quattro fondi, corrispondenti agli organi da rinnovare: Senato della Repubblica; Camera dei deputati; Parlamento europeo; consigli regionali (L. 157/1999, art. 1, commi 1 e 3).

L’ammontare di ciascuno dei quattro fondi è pari, per ciascun anno di legislatura degli organi stessi, a 15.925.000 euro (L. 157/1999, art. 1, commi 1, 3 e 5).

La determinazione in misura fissa dell’ammontare di fondi è stata introdotta dalla L. 96/2012: in precedenza l’ammontare di ciascun fondo era fissato, per ciascun anno di legislatura, alla somma risultante dalla moltiplicazione dell’importo di 1 euro per il numero degli iscritti nelle liste elettorali per le elezioni della Camera.

Per il rimborso a partiti o movimenti politici delle spese sostenute in campagna elettorale nella circoscrizione Estero ci sono specifiche disposizioni. Esse prevedono l’incremento dell’ammontare dei due fondi relativi alle spese elettorali per il rinnovo del Senato e della Camera nella misura dell’1,5 per cento, destinando le somme relative all’erogazione del rimborso per le elezioni politiche nella circoscrizione Estero (L. 157/1999, art. 1, commi 1-bis e 5-bis).

Sono escluse dal rimborso le campagne per le elezioni negli enti locali (consigli comunali e provinciali), ad eccezione delle consultazioni per il rinnovo dei consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano, l’insieme dei cui componenti forma il Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige (Al riguardo si veda la L. 29 novembre 2004, n. 298, Interpretazione autentica dell'articolo 1, comma 1, della L. 3 giugno 1999, n. 157 e dell'articolo 6, comma 2, secondo periodo, della L. 23 febbraio 1995, n. 43, in materia di rimborso per le spese elettorali sostenute dai movimenti o partiti politici per il rinnovo dei consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano).

La legge prevede inoltre una forma di rimborso per le campagne relative ai referendum abrogativi di cui all’art. 75 e dei referendum costituzionali ex art. 138 della Costituzione (L. 157/1999, art. 1, co. 4).

Viene attribuito ai comitati promotori un rimborso pari alla somma risultante dalla moltiplicazione dell’importo di 1 euro per il numero delle firme valide raccolte fino alla concorrenza della cifra minima necessaria per la validità della richiesta e, comunque, entro un limite massimo pari complessivamente a 2.582.285 euro annui, a condizione la consultazione referendaria abbia raggiunto il quorum di validità di partecipazione al voto.

Si ricorda, infine, che la legge 96/2012 ha abrogato il fondo di garanzia per il soddisfacimento dei debiti dei partiti e movimenti politici maturati in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge 157/1999, alimentato dall’1 per cento delle risorse stanziate per l’erogazione dei rimborsi elettorali (fondo previsto dall’l’art. 6-bis, comma 2, della legge 157/1999).

La riduzione dei contributi

La legge 96/2012, oltre a ridefinire la formazione dei fondi, ha ridotto l’ammontare complessivo dei contributi di circa il 50%, fissandolo a 91.000.000 euro l’anno (art. 1).

L’ammontare dei rimborsi elettorali era già stato ridotto ad opera di diversi interventi adottati negli anni precedenti.

La legge finanziaria 2008 aveva ridotto di 20 milioni di euro a decorrere dal 2008 l’autorizzazione di spesa destinata all’erogazione dei rimborsi ai partiti e movimenti politici delle spese elettorali e referendarie, di cui alla L. 157/1999 (L. 244/2007, art. 2, co. 275).

Successivamente, l'art. 5, comma 4, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 aveva ridotto (a partire dalla XVI legislatura) del 10% l'importo di 1 euro che, ai sensi del già ricordato art. 1, comma 5, primo periodo, della legge 157/1999, doveva essere moltiplicato per il numero di cittadini iscritti nelle liste elettorali per le elezioni della Camera, al fine di determinare l'ammontare dei fondi per i rimborsi, per ciascun anno di legislatura.

Inoltre, la stessa norma aveva abrogato la disposizione che consentiva il versamento delle quote annuali anche in caso di scioglimento anticipato del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati. Anche questa disposizione sarebbe dovuta entrare in vigore a partire dalla legislatura successiva (vedi oltre).

Il decreto-legge 98/2011 (art. 6) aveva apportato un'ulteriore riduzione del 10% al suddetto importo, che si veniva a cumulare alle due riduzioni sopra ricordate in modo da raggiungere una riduzione complessiva del 30%. In effetti, anche la prima riduzione, nel 2008, che interveniva in termini assoluti (20 milioni) e non percentuali, ha avuto l’effetto di una riduzione di circa il 10%.

Come per la riduzione del 2010, anche quella disposta dal decreto-legge 98 non incideva sull’ammontare dei rimborsi destinati ai comitati promotori dei referendum ed era destinata a trovare applicazione a decorrere dal primo rinnovo del Senato, della Camera, del Parlamento europeo e dei consigli regionali successivo alla data di entrata in vigore del decreto-legge. Veniva, invece, anticipata l’abrogazione della disposizione che consentiva il proseguimento del versamento dei contributi anche in caso di scioglimento anticipato.

Le riduzioni introdotte dal D.L. 78/2010 e 98/2011, che avrebbero dovuto applicarsi a partire dalla XVII legislatura, sono state assorbite dal dimezzamento operato dalla legge 96/2012, che ha trovato immediata applicazione anche sui contributi in corso di erogazione nel 2012.

La ripartizione dei fondi

La L. 157/1999 (art. 2) rinvia, per la determinazione degli aventi diritto alla ripartizione dei fondi e per il calcolo di tale ripartizione, ad eccezione degli importi per i rimborsi relativi alla circoscrizione Estero, alle leggi vigenti in materia (in particolare, con riferimento ai rimborsi elettorali per le elezioni politiche, all’art. 9 della L. 515/1993; per le elezioni regionali, all’art. 6 della L. 43/1995; per le elezioni europee, all’art. 16 della L. 515/1993).

La legge 96/2012 (art. 6) è intervenuta, in primo luogo, provvedendo a fissare un criterio comune a tutti i tipi di elezione (ad eccezion e sempre delle elezioni nella circoscrizione Estero) per l’accesso ai rimborsi, individuato nell’ottenimento di almeno un candidato eletto. Inoltre, i partiti sono tenuti ad adottare un atto costitutivo ed uno statuto, pena la decadenza dal diritto ai contributi (L. 96/2012, art. 5).

In particolare, il fondo relativo alla Camera dei deputati è ripartito in proporzione ai voti di lista conseguiti tra i partiti e movimenti che abbiano ottenuto almeno un candidato eletto (in precedenza il requisito consisteva nel superamento della soglia dell’1 per cento dei voti validamente espressi).

Il fondo per il rimborso delle spese elettorali per il rinnovo del Senato della Repubblica è invece ripartito su base regionale. A tal fine il fondo è in primo luogo suddiviso tra le regioni in proporzione alla rispettiva popolazione. La quota spettante a ciascuna regione è ripartita tra le liste di candidati presentatisi nella regione con il medesimo contrassegno, in proporzione ai voti conseguiti in ambito regionale. Partecipano alla ripartizione del fondo le liste di candidati che abbiano ottenuto almeno un candidato eletto nella regione. In precedenza, in alternativa al candidato eletto, era previsto anche il criterio del conseguimento del 5 per cento dei voti validamente espressi in ambito regionale e del 15 per cento per i candidati non collegati ad alcun gruppo (L. 515/1993, art. 9, co. 2).

Per quanto riguarda i rimborsi per le campagne elettorali nella circoscrizione Estero, gli importi aggiuntivi derivanti dall’incremento dell’1,5 per cento dei due fondi relativi al rimborso delle spese elettorali per il rinnovo del Senato e della Camera (vedi supra) sono ripartiti, in primo luogo, tra le quattro ripartizioni in cui si suddivide la circoscrizione Estero (rispettivamente comprendenti gli Stati e i territori afferenti all’Europa, all’America meridionale, all’America settentrionale e centrale ed all’Africa, Asia, Oceania e Antartide), in proporzione alla popolazione.

In ogni ripartizione, la relativa quota è quindi proporzionalmente suddivisa tra le sole liste di candidati che abbiano ottenuto almeno un eletto o almeno il 4 per cento dei voti validi nella ripartizione (L. 157/1999, art. 1, co. 5-bis).

Il fondo per le elezioni del Parlamento europeo è suddiviso tra i partiti e movimenti politici che abbiano ottenuto almeno un rappresentante eletto, in proporzione ai voti riportati da ciascuno di essi sul piano nazionale (L. 515/1993, art. 16).

Infine, per le elezioni regionali la legge prevede la distribuzione del fondo tra le regioni in proporzione alla rispettiva popolazione.

Tuttavia, poiché l’ammontare complessivo dei fondi relativi a ciascuna delle elezioni è attualmente determinato in ragione del numero degli aventi diritto al voto, l’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati, ha ritenuto di dover estendere lo stesso criterio del numero di elettori anche per la ripartizione del fondo tra le regioni. (Questo criterio è stato applicato la prima volta con Delibera dell’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati 22 luglio 1999, Piano di ripartizione del fondo relativo alle spese elettorali dei movimenti e partiti politici per il rinnovo del consiglio regionale della Sardegna, pubblicato sulla G.U. n. 173 del 26 luglio 1999).

Nell’ambito di ciascuna regione, la quota spettante è quindi ripartita, proporzionalmente ai voti riportati, tra le liste che abbiano ottenuto almeno un candidato eletto al consiglio regionale della regione interessata (L. 43/1995, art. 6, co. 2).

L’erogazione dei rimborsi relativi ai referendum è subordinata (per quanto riguarda i referendum abrogativi) al raggiungimento, nella consultazione referendaria, del quorum di validità di partecipazione al voto (50 per cento più uno degli aventi diritto al voto); (L. 157/1999, art. 1, co. 4).

Le modalità di erogazione dei rimborsi

L’erogazione del rimborso è disposta con decreti del Presidente della Camera dei deputati o del Presidente del Senato della Repubblica, secondo le rispettive competenze. Il Presidente della Camera provvede anche all’erogazione dei contributi relativi alle elezioni europee e regionali ed ai referendum.

I partiti o movimenti politici che intendono usufruire dei rimborsi sono tenuti a farne richiesta, a pena di decadenza, al Presidente del ramo del Parlamento competente, entro 30 giorni dalla data delle elezioni (L. 96/2012, art. 3).

In precedenza la richiesta doveva essere presentata entro 10 giorni dalla data di scadenza del termine per la presentazione delle liste (L. 157/1999, art. 1, co. 2).

Quanto alle modalità di corresponsione dei rimborsi, il contributo è versato sulla base di quote annuali entro il 31 luglio di ogni anno. In caso di scioglimento anticipato del Senato o della Camera, il versamento delle quote annuali dei relativi rimborsi si interrompe. Le somme erogate o da erogare ai partiti a titolo di rimborso per le spese elettorali possono costituire oggetto di operazioni di cartolarizzazione e sono comunque cedibili a terzi (L. 157/1999, art. 1, co. 6). I rimborsi relativi ai referendum sono corrisposti in un’unica soluzione, entro il 31 luglio dell’anno in cui si è svolta la consultazione referendaria (L. 157/1999, art. 1, co. 6).

I rimborsi elettorali sono posti a garanzia dell’esatto adempimento delle obbligazioni assunte dai partiti e movimenti politici (L. 157/1999, art. 6-bis).

Il cofinanziamento

La legge 96/2012, come anticipato sopra, ha introdotto, a fianco dei contributi per le spese elettorali, una nuova forma di contribuzione alla politica a titolo di cofinanziamento ai partiti e movimenti politici (art. 2) modellata sul sistema tedesco della legge sui partiti (Parteiengesetz). Non si tratta di una risorsa aggiuntiva: il meccanismo è basato su due diverse modalità di corresponsione del fondo per il finanziamento della politica (come si è detto pari a 91 milioni): il 70% continua ad essere erogato come contributo alle spese elettorali (ed anche per il funzionamento delle attività politiche) dei partiti, mentre la quota restante del 30%, è attribuito in proporzione alla capacità di autofinanziamento. In pratica per ogni euro ricevuto da privati nell’ambito di erogazioni liberali, comprese le quote di iscrizione, il partito riceve 50 centesimi di contributo, nel limite massimo di 10.000 euro annui per ogni persona fisica o ente erogante.

Hanno diritto alla quota di cofinanziamento i partiti che hanno conseguito un candidato eletto nell’elezione di riferimento, oppure che abbiano ottenuto almeno il 2% dei voti validi alle elezioni della Camera. Pertanto la platea dei partiti che possono accedere al cofinanziamento è più ampia rispetto a quella dei partiti che usufruiscono dei contributi elettorali, comprendendo anche quelli che non hanno nessun eletto ma che hanno una minima rappresentanza a livello nazionale.

L’ammontare stabilito dalla legge (il 30% dei 91 milioni) rappresenta la cifra massima impegnabile: ai partiti spetta un rimborso proporzionale al numero di voti validi conseguiti nell’ultima elezione e i contributi non attribuiti sono versati all’entrata del bilancio dello Stato.

Le modalità di attribuzione delle quote di cofinanziamento sono le stesse previste per i contributi elettorali.

La partecipazione delle donne alla vita politica

Un’ipotesi di finalizzazione del finanziamento pubblico ai partiti è contenuta nella legge 157/1999 (art. 3) ed è intesa a promuovere la partecipazione delle donne alle attività politiche.

Si prevede, a carico dei partiti, l’obbligo di destinare almeno un importo pari al 5 per cento del totale dei rimborsi elettorali ricevuti ad iniziative connesse alle predette finalità. Dell’effettivo adempimento di tale obbligo, è data notizia attraverso l’iscrizione della quota in una apposita voce nell’ambito del rendiconto annuale previsto dalla L. 2/1997.

In caso di inottemperanza a tale obbligo è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria pari ad un ventesimo dell’importo complessivamente per l’anno in corso a titolo di rimborsi per le spese elettorali e di contributi di cofinanziamento (art. 9, co. 13, L. 96/2012).

Per quanto riguarda la promozione dell’accesso delle donne alle cariche elettive, l’art. 3 della L. 90/2004, modificativa della legge per l’elezione dei rappresentanti italiani al Parlamento europeo, con esclusivo riferimento alle elezioni europee e limitatamente alle prime due elezioni del Parlamento europeo successive all’entrata in vigore della legge, ha introdotto il principio dell’inammissibilità delle liste elettorali nelle quali non siano presenti candidati di entrambi i sessi e ha stabilito che, nelle liste presentate, nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati presenti nella lista.

Per i movimenti o partiti politici che non abbiano rispettato questa disposizione si prevede una riduzione del contributo alle spese elettorali corrisposto dallo Stato: l’importo del rimborso previsto dalla L. 157/1999 è ridotto, fino a un massimo della metà, in misura direttamente proporzionale al numero dei candidati in più rispetto a quello massimo consentito.

La somma eventualmente derivante dalla riduzione di cui sopra è invece erogata, quale “premio”, ai partiti o gruppi politici organizzati che abbiano avuta proclamata eletta una quota superiore a un terzo di candidati di entrambi i sessi. Tale somma è ripartita proporzionalmente ai voti ottenuti da ciascun partito o gruppo politico.

La disposizione illustrata è successivamente confluita nel Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (D.Lgs. 198/2006, art. 56) ed è stata applicata alle elezioni europee del 2004 e del 2009.

I finanziamenti privati ai partiti

La legge disciplina due forme di finanziamento dei privati alla politica: il finanziamento ai partiti in generale e quello ai singoli candidati nel corso delle campagne elettorali.

Con la legge 195/1974 sono stati introdotti alcuni limiti alla contribuzione dei privati a favore delle forze politiche e misure finalizzate a garantire la trasparenza delle relative fonti di finanziamento.

La legge delimita l’ambito dei soggetti privati che possono erogare contributi ai partiti.

Possono versare contributi ai partiti o alle loro articolazioni politico-organizzative, nonché ai gruppi parlamentari, i singoli privati (persone fisiche) e le persone giuridiche (enti, associazioni, società, ecc.). Per queste ultime i finanziamenti sono ammessi soltanto se:

§  la società non ha una partecipazione pubblica superiore al 20%;

§  la società non è controllata da una società con partecipazione pubblica;

§  i finanziamenti sono deliberati dall’organo sociale competente;

§  i finanziamenti sono regolarmente iscritti in bilancio (L. 195/1974, art. 7, co. 2).

E’ invece vietata la contribuzione ai partiti o alle loro articolazioni politico-organizzative, nonché ai gruppi parlamentari da parte di organi della pubblica amministrazione, di enti pubblici, di società con partecipazione di capitale pubblico superiore al 20% o di società controllate da società pubbliche anche con una partecipazione inferiore al 20% se questa ne assicura comunque il controllo (L. 195/1974, art. 7, co. 2).

La violazione delle disposizioni illustrate è punita con la reclusione da 6 mesi a 4 anni, e con la multa fino al triplo della somma versata o percepita (L. 195/1974, art. 7, co. 3).

La L. 659/1981 (art. 4, co. 1) ha esteso tali divieti (e le relative sanzioni) ai finanziamenti e contributi, in qualsiasi forma o modo erogati, anche indirettamente, a:

§  membri del Parlamento nazionale;

§  membri italiani del Parlamento europeo;

§  consiglieri regionali, provinciali e comunali;

§  candidati alle predette cariche;

§  raggruppamenti interni dei partiti politici;

§  coloro che rivestono cariche di presidenza, di segreteria e di direzione politica e amministrativa a livello nazionale, regionale, provinciale e comunale nei partiti politici.

Fermi i divieti generali di finanziamento dei partiti, previsti dall’art. 7 della L. 195/1974 e sopra illustrati, le persone fisiche e le persone giuridiche possono contribuire alle attività di partiti e movimenti politici, mediante erogazioni in denaro o fornendo beni e servizi, senza limiti di importo.

La legge impone peraltro il rispetto di alcuni obblighi posti a tutela della trasparenza.

Ad esempio, quando il contributo privato supera, nell’arco dell’anno, la somma di 5.000 euro, il donatore e il beneficiario sono tenuti a sottoscrivere una dichiarazione congiunta indirizzata alla Presidenza della Camera dei deputati. (L. 659/1981, art. 4, co. 3, il limite originario – 50.000 euro – è stato così ridotto dalla L. 96/2012). Inoltre, i partiti hanno l’obbligo di rendicontare tutti i contributi ricevuti per la campagna elettorale al Presidente della Camera (v. infra, Obblighi di dichiarazione).

Per la violazione di tali disposizioni è prevista una multa da due a sei volte l’importo del contributo non dichiarato e la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici (L. 659/1981, art. 4, co. 6).

Per quanto riguarda la sanzione penale prevista dalla L. 659, va peraltro rilevato che la giurisprudenza prevalente ritiene che essa sia stata sostituita con sanzione pecuniaria amministrativa già a partire dal 1981, sulla base dei criteri generali dettati dalla L. 689/1981, Modifiche al sistema penale, in materia di depenalizzazione di delitti e contravvenzioni.

I contributi da parte dei privati sono soggetti ad un regime fiscale agevolato sotto forma di detrazione di imposta (D.P.R. 917/1986, art. 15, co. 1-bis e art. 78, vedi infra, Il regime fiscale del finanziamento privato).

Inoltre, la legge stabilisce limiti di spesa per le campagne elettorali: le spese elettorali dei partiti o formazioni politiche che partecipano alla elezioni per il rinnovo delle Camere non possono superare la somma risultante dalla moltiplicazione dell’importo di 1 euro per il numero complessivo dei cittadini iscritti nelle liste elettorali delle circoscrizioni (o collegi) in cui il partito o movimento o lista presenta candidature, a tal fine sommando le iscrizioni nelle liste elettorali per la Camera e quelle per il Senato (L. 515/1993, art. 10).

Le spese per la campagna elettorale di ciascun partito che partecipa alle elezioni regionali non possono superare la somma risultante dall’importo di 1 euro moltiplicato per il numero di iscritti nelle liste elettorali per la elezione della Camera nelle circoscrizioni provinciali nelle quali ciascun partito ha presentato proprie liste (L. 43/1995, art. 5, co. 3). Il limite delle spese riferibili a ciascun partito (o gruppo di liste) è stato elevato dalla Regione Lazio (L.R. n.2/2005, art. 9) e dalla Regione Toscana (L.R. n.74/2004, art. 14), che hanno legiferato in materia.

Limiti di spesa per le campagne elettorali dei partiti, prima non previsti, sono stati introdotti dalla legge 96/2012, anche per le consultazioni elettorali provinciali e comunali (art. 13) e per quelle europee (art. 14).

I finanziamenti privati ai candidati

Una disciplina speciale è prevista per la raccolta di contributi per le campagne elettorali da parte dei singoli candidati. Restano ferme le disposizioni stabilite in generale per il finanziamento dei partiti politici (trasparenza dei finanziamenti da parte di società; divieto di ricevere finanziamenti da organi della p.a. o da essa partecipati; obbligo di dichiarazione dei contributi superiori, nell’anno, a 5.000 euro, etc., sulle quali vedi supra) che la citata L. 659/1981 (art. 4, co. 1) ha esteso anche ai candidati.

I candidati alle elezioni politiche possono raccogliere fondi per il finanziamento della propria campagna elettorale esclusivamente per il tramite di un mandatario elettorale (L. 515/1993, art. 7, co. 3). Ciascun candidato comunica al competente Collegio regionale di garanzia (organo istituito presso ciascuna Corte di appello) il nominativo del mandatario elettorale da lui designato.

La legge prevede, inoltre, un tetto massimo per le spese relative alla campagna elettorale di ciascun candidato, che non possono superare l’importo massimo derivante dalla somma della cifra fissa di euro 52.000 per ogni circoscrizione (o collegio) elettorale e della cifra ulteriore pari al prodotto di euro 0,01 per ogni cittadino residente nelle circoscrizioni (o collegi) elettorali nei quali il candidato si presenta (L. 515/1993, art. 7, co. 1).

Come per i partiti politici, sono previsti limiti di spesa per le campagne elettorali dei candidati che si presentano alle elezioni regionali.

Limiti di spesa per le campagne elettorali dei partiti, prima non previsti, sono stati introdotti dalla legge 96/2012, anche per le consultazioni elettorali provinciali e comunali (art. 13) e per quelle europee (art. 14).

 

Le spese per la campagna elettorale di ciascun candidato alle elezioni regionali in una lista provinciale non possono superare l’importo massimo dato dalla cifra fissa pari ad euro 38.802,85 incrementato di una ulteriore cifra pari al prodotto di euro 0,0061 per ogni cittadino residente nella circoscrizione. Per i candidati che si presentano nella lista regionale il limite delle spese per la campagna elettorale è pari ad euro 38.802,85. Per coloro che si candidano in più liste provinciali le spese per la campagna elettorale non possono comunque superare l’importo più alto consentito per una candidatura aumentato del 10 per cento. Per coloro che si candidano in una o più circoscrizioni provinciali e nella lista regionale le spese per la campagna elettorale non possono comunque superare l’importo più alto consentito per una delle candidature nelle liste provinciali aumentato del 30 per cento (L. 43/1995, art. 5, co. 1. Gli importi originari sono stati rivalutati dal D.M. 1° marzo 2010).

I limiti di spesa per ciascun candidato sono stati elevati dalla Regione Lazio (L.R. n. 2/2005, art. 9) che eleva la cifra fissa a 50.000 euro e la cifra variabile a 0,03) e ridotti dalla Regione Toscana (L.R. n. 74/2004, art. 14) l'importo massimo è dato dalla cifra fissa pari a euro 10.000 incrementato di una ulteriore cifra pari al prodotto di euro 0,005 per ogni elettore della circoscrizione. La legge regionale della Toscana inoltre, poiché elimina la lista regionale, introduce un limite di spesa specifico per il candidato alla carica di Presidente della Giunta regionale, pari a euro 110.000 incrementato di una ulteriore cifra pari al prodotto di euro 0,005 per ogni elettore della Regione.

Obblighi di dichiarazione

Partiti

Per tutti i contributi ai partiti che - nell’arco di un anno - superino la somma di 5.000 euro il donatore e il beneficiario hanno l’obbligo di effettuare entro tre mesi (o entro il mese di marzo dell’anno successivo) una dichiarazione congiunta al Presidente della Camera (L. 659/1981, art. 4, co. 3).

Tale disposizione non si applica per tutti i finanziamenti direttamente concessi da istituti di credito o da aziende bancarie, alle condizioni fissate dagli accordi interbancari; nell’ipotesi di contributi o finanziamenti di provenienza estera, l’obbligo della dichiarazione è posto a carico del solo soggetto che li percepisce.

I rappresentanti dei partiti, movimenti, liste e gruppi di candidati che concorrono per le elezioni politiche hanno inoltre l’obbligo di rendicontare tutti i contributi ricevuti per la campagna elettorale presentando ai Presidenti delle rispettive Camere, entro 45 giorni dall’insediamento, un consuntivo relativo alle spese per la campagna elettorale e le relative fonti di finanziamento. I controlli su tali rendiconti sono effettuati dalla Corte dei conti, cui i Presidenti delle Camere trasmettono la documentazione, attraverso un Collegio di controllo sulle spese elettorali, a tal fine istituito, composto da tre magistrati estratti a sorte tra i consiglieri in servizio (L. 515/1993, art. 12).

Il Referto sui consuntivi delle spese elettorali e sui relativi finanziamenti relativi alla campagna per le elezioni politiche del 13-14 aprile 2008 è stato trasmesso dalla Corte dei conti al Parlamento il 4 dicembre 2009[1].

Il Referto della Corte dei conti sulle elezioni politiche 2006 è del marzo 2008[2].

 

Inoltre i legali rappresentanti o i tesorieri dei partiti o dei movimenti politici che hanno ottenuto almeno il 2% dei voti validi alla Camera, oppure che hanno almeno un rappresentante eletto in uno degli organi per i quali sono previsti i contributi elettorali (Camera, Senato, Parlamento europeo o consiglio regionale) devono trasmettere al Presidente della Camera, entro il 15 giugno di ogni anno, un rendiconto di esercizio, corredato di una relazione sulla gestione e di una nota integrativa. Il rendiconto deve riportare le somme relative ai crediti per contributi elettorali e ai rimborsi elettorali. Nella relazione devono essere indicate le spese sostenute per le campagne elettorali e l’eventuale ripartizione tra i livelli politico-organizzativi del partito o del movimento dei contributi per le spese elettorali ricevuti.

Il rendiconto di esercizio, prima della approvazione da parte del partito è sottoposto al giudizio di una società di revisione esterna.

Il controllo successivo dei rendiconti è effettuato dalla Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici, organismo istituito dalla legge 96/2012 (art. 9).

La Commissione sostituisce il Collegio di revisori nominati d’intesa tra i Presidenti delle due Camere, all’inizio di ciascuna legislatura che effettuava un controllo formale dei bilanci dei partiti ai sensi della previgente disciplina (L. 2/1997, art. 1, co. 14).

La Commissione è composta da 5 membri designati dai vertici delle tre massime magistrature, nella seguente proporzione:

§  1 membro da parte del Primo Presidente della Corte di cassazione;

§  1 membro da parte del Presidente del Consiglio di Stato;

§  3 membri da parte del Presidente della Corte dei conti.

Le designazioni sono ratificate dall’atto di nomina congiunto dei Presidenti delle Camere. Il 3 dicembre 2012 il Presidente della Camera e il Presidente del Senato hanno nominato i componenti della Commissione su designazione dei vertici delle magistrature (determinazione pubblicata nella Gazzetta ufficiale del 4 dicembre 2012, n. 283).

Come prevede la legge, con tale atto è stato anche individuato, tra i componenti, il Presidente-coordinatore della Commissione.

I membri della Commissione sono scelti fra i magistrati dei rispettivi ordini giurisdizionali con qualifica non inferiore a quella di consigliere di cassazione o equiparata.

I componenti della Commissione non percepiscono alcun compenso per l’attività prestata di controllo sui bilanci dei partiti. Il mandato dei membri della Commissione è di 4 anni ed è rinnovabile una sola volta.

La sede della Commissione è stabilita presso la Camera; le risorse di personale di segreteria necessarie all’operatività della Commissione sono garantite congiuntamente e in pari misura da Camera e Senato.

La Commissione effettua il controllo sui bilanci verificando anche la conformità delle spese effettivamente sostenute e delle entrate alla documentazione prodotta.

In caso di inottemperanza o di irregolarità nella formazione del bilancio è previsto un articolato sistema di sanzioni che possono arrivare alla decurtazione dell’intero importo dei contributi pubblici.

La legge del 2012 ha introdotto anche un obbligo di trasparenza: i bilanci sono pubblicati, anche in formato open data, sia sui siti internet dei partiti, sia in quello della Camera.

Inoltre, la legge dispone in ordine alla destinazione dei contributi che devono essere finalizzati esclusivamente al finanziamento dell’attività politica, ponendo nel contempo alcuni vincoli per il loro impiego, quali il divieto a investire la liquidità in strumenti finanziari diversi dai titoli pubblici degli Stati dell’Unione europea.

Candidati ed eletti

I membri delle due Camere sono tenuti, entro tre mesi dalla proclamazione, a presentare presso l’Ufficio di Presidenza della Camera di appartenenza, e al competente Collegio di garanzia elettorale, una dichiarazione concernente le spese sostenute e le obbligazioni assunte per la propaganda elettorale ovvero l’attestazione di essersi avvalsi esclusivamente di mezzi propagandistici messi a disposizione dal partito di appartenenza (L. 441/1982, art. 2, co. 1; L. 515/1993, art. 7, co. 6). Anche i candidati non eletti sono tenuti alla dichiarazione al Collegio di garanzia elettorale, ma anche agli adempimenti sotto indicati (L. 515/1993, art. 7, co. 7).

Alla dichiarazione debbono essere allegate in copia le dichiarazioni inviate al Presidente della Camera relative ai contributi ricevuti - anche al di fuori della campagna elettorale - che superino da parte di una singola fonte in un anno la somma di 5.000 euro (L. 659/1981, art. 4, co. 3; L. 441/1982, art. 2, co. 2).

L’obbligo di dichiarazione sussiste a carico sia di chi riceve, sia di chi eroga il finanziamento, e può essere assolto, soltanto per i contributi erogati per la campagna elettorale, anche mediante la autocertificazione dei candidati (L. 659/1981, art. 4, co. 4).

Oltre alle informazioni previste dalle leggi n. 659 e n. 441, alla dichiarazione deve essere allegato un rendiconto relativo ai contributi e servizi ricevuti ed alle spese sostenute, nel quale vanno riportati i contributi e servizi provenienti dalle persone fisiche, se di importo o valore superiore a 5.000 euro, e tutti i contributi e servizi di qualsiasi importo o valore provenienti da soggetti diversi. Alla dichiarazione devono essere inoltre allegati gli estratti del conto corrente bancario e postale utilizzati (L. 515/1993, art. 7, co. 6). Le verifiche sull’osservanza della legge sono effettuate dal Collegio regionale di garanzia elettorale (L. 515/1993, art. 14). Per il parlamentare eletto che violi tali disposizioni, le sanzioni possono giungere sino alla decadenza dalla carica (L. 515/1993, art. 15, comma 7).

Il regime fiscale del finanziamento privato

La legge 2/1997 ha disciplinato il regime fiscale delle erogazioni liberali delle persone fisiche e giuridiche in favore dei partiti (art. 5 e 6 che hanno aggiunto, rispettivamente, il comma 1-bis all’art. 13-bis, successivamente rinumerato come art. 15, e l’art. 91-bis, successivamente rinumerato come art. 78, del D.P.R. 917/1986, recante il Testo unico delle imposte sui redditi).

La legge prevede che sono detraibili le erogazioni in favore dei partiti che abbiano presentato proprie candidature alle elezioni politiche o europee, ovvero abbiano almeno un rappresentante eletto in un consiglio regionale.

Tali requisiti sono stati introdotti dalla legge 96/2012. In precedenza, nel silenzio della norma, l’Agenzia delle entrate aveva individuato come destinatari delle erogazioni suscettibili di detrazione i partiti o movimenti politici che nel periodo d’imposta in cui è effettuata l’erogazione hanno almeno un parlamentare eletto alla Camera dei Deputati o al Senato della Repubblica (Risoluzione 15 febbraio 2005, n. 15).

Il sistema si basa sul principio della detraibilità di quote dell’erogazione liberale a favore di movimenti o partiti politici dall’imposta sui redditi.

In particolare la legge prevede:

§  per le erogazioni liberali in denaro delle persone fisiche, la detrazione dall’imposta lorda di un importo pari al 24% per il 2013 e del 26% dal 2014 (prima della legge 96/2012 l’importo detraibile era del 19%) dell’onere sostenuto, per importi compresi tra 50 e 10.000 euro (il limite massimo, in precedenza 103.291,38 euro è stato abbassato dalla legge 96/2012);

§  per le erogazioni liberali in denaro delle società di capitali e degli enti commerciali, la detrazione dall’imposta lorda di un importo pari al 19% dell’onere sostenuto, sempre per importi compresi tra 51,64 e 103.291,38 euro. Peraltro, la detrazione non è consentita agli enti nei quali vi sia una partecipazione pubblica o i cui titoli siano negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri, nonché alle società ed enti che controllano, direttamente o indirettamente tali soggetti, ovvero ne siano controllati o siano controllati dalla stessa società o ente che controlla i soggetti medesimi.

§  non si applicano le agevolazioni fiscali alle persone fisiche, società di capitali ed enti commerciali che abbiano dichiarato passività nelle dichiarazioni rese nell’esercizio finanziario precedente a quello nel quale l’erogazione liberale ha avuto luogo (L. 2/1997, art. 7).

Inoltre, l’art. 5 della L. 157/1999 ha previsto una ulteriore agevolazione, stabilendo i trasferimenti a favore di movimenti e partiti politici non sono soggetti all’imposta sulle successioni e donazioni

L'imposta sulle successioni e donazioni, già soppressa dall’articolo 13 della L. 383/2001, è stata nuovamente istituita dal comma 47 dell’art. 2, del D.L. 262/2006.

 


La riduzione dei rimborsi elettorali e la disciplina dei partiti politici: l’attività nella XVI legislatura

La legge 96 del 2012 di riforma della contribuzione pubblica alla politica

La legge 6 luglio 2012, n. 96, in materia di finanziamento dei partiti e movimenti politici, è intervenuta sulla disciplina dei rimborsi elettorali e sul controllo dei bilanci dei partiti, con l’obiettivo di garantire la trasparenza e la correttezza della loro gestione contabile.

Le principali innovazioni contenute nel provvedimento, che ha origine da alcune proposte di legge di iniziativa parlamentare presentate alla Camera (A.C. 4826 ed abbinate), sono le seguenti.

 

Riduzione dei rimborsi. I contributi a carico dello Stato in favore dei partiti politici sono ridotti del 50% (anche quelli in corso di liquidazione). I risparmi di spesa così realizzati sono destinati, per l’esercizio finanziario 2012 e per quello del 2013, alle zone colpite da calamità naturali.

 

Cofinanziamento. Viene modificato il sistema di contribuzione pubblica alla politica: il 70% degli stanziamenti a favore dei partiti viene erogato a titolo di rimborso per le spese sostenute in occasione delle elezioni e come contributo per il finanziamento delle attività istituzionali dei partiti, il restante 30% è legato alla capacità di autofinanziamento del partito ed è erogato in maniera proporzionale alle quote associative e ai finanziamenti privati raccolti.

 

Controlli e sanzioni. Si prevede l’obbligo di sottoporre i bilanci dei partiti al giudizio di società di revisione iscritte nell'albo della CONSOB. Il controllo dei bilanci revisionati è affidato ad una Commissione di nuova istituzione composta da 5 magistrati designati dai vertici delle massime magistrature (Cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei conti). E' previsto un articolato sistema di sanzioni che possono arrivare anche alla decurtazione dell'intero importo dei contributi nel caso di mancata presentazione del bilancio.

 

Trasparenza. I documenti di bilancio sono pubblicati (anche in formato open data) sul sito internet del partito o del movimento e in apposita sezione del sito della Camera. Viene ridotto l’importo (da 50 mila a 5 mila euro) al di sopra del quale è necessario dichiarare pubblicamente i contributi dei privati ai partiti.

 

Statuti dei partiti. Per accedere ai contributi loro spettanti i partiti devono dotarsi di uno statuto, conforme ai principi di democrazia interna, e di un atto costitutivo che trasmettono ai Presidenti delle Camere.

 

Detrazioni fiscali. La detrazione dall'imposta delle erogazioni liberali ai partiti, ora al 19%, passa al 26% e viene abbassato (a 10.000 euro) il limite massimo dell'importo detraibile. L'innalzamento dell'aliquota al 26% viene estesa anche alle donazioni a favore delle ONLUS.

 

Limiti di spesa per le campagne elettorali. Viene fissato un tetto di spesa delle campagne elettorali anche per le elezioni europee e per le comunali, analogamente a quanto avviene per le elezioni politiche e regionali.

 

Pari opportunità. Qualora un partito o movimento politico abbia presentato, nel complesso dei candidati ad esso riconducibili, un numero di candidati del medesimo sesso superiore ai due terzi del totale i contributi pubblici ad esso spettanti sono ridotti del 5%.

 

Delega. Il Governo è delegato ad emanare un testo unico che raccolga tutte le disposizioni in materia di finanziamento della politica entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge. Tale delega non è stata esercitata.

 

Il 3 dicembre 2012 il Presidente della Camera e il Presidente del Senato hanno nominato i componenti della Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici su designazione dei vertici delle magistrature (determinazione pubblicata nella Gazzetta ufficiale del 4 dicembre 2012, n. 283).

 

La riduzione dei contributi pubblici ad opera della legge 96/2012 si pone a conclusione di un ciclo di interventi normativi che ne hanno progressivamente ridotto l’entità (si veda in proposito il paragrafo relativo al Quadro normativo vigente).

La disciplina dei partiti politici

Nella XVI legislatura la I Commissione della Camera ha esaminato una serie di proposte di legge di iniziativa parlamentare in tema di disciplina dei partiti politici, in attuazione dell'art. 49 della Costituzione, alcune delle quali prevedevano una riforma complessiva anche del sistema di contribuzione pubblico ai partiti (A.C. 244 e abb.).

In tale esame, iniziato il 12 aprile 2011, i temi della disciplina dei partiti e della disciplina del loro finanziamento, ai quali hanno concorso anche altre proposte di legge presentate successivamente, hanno seguito un percorso parallelo[3]. Il 18 aprile 2012 la I Commissione ha avviato, separatamente, l’esame della proposta di legge AC 5123, Alfano, Bersani, Casini ed altri, presentata il 12 aprile, recante “misure per garantire la trasparenza e il controllo dei bilanci dei partiti e dei movimenti politici”, alla quale sono state poi abbinate altre proposte di legge.

Da questo momento i temi della disciplina dei partiti e della disciplina del loro finanziamento hanno seguito un percorso separato: per il primo, la Commissione ha adottato un testo unificato che ha costituito la base per il seguito della discussione e per una fase emendativa, non giunta a conclusione; per il secondo vi è stato invece un iter parlamentare molto veloce concluso con l’adozione della legge 12 luglio 2012 n. 96 sopra ricordata.

 

Nella seduta del 9 maggio 2012 la Commissione ha adottato il testo unificato elaborato dal relatore che ha costituito la base per il seguito della discussione.

Il testo unificato in merito alla natura giuridica dei partiti, si limita ad affermare che sono “libere associazioni di cittadini” (art. 2) e stabilisce alcuni principi fondamentali cui si conformano i loro statuti (art. 3). Sono, inoltre, individuate alcune regole per lo svolgimento delle elezioni primarie (facoltative) per la selezione dei candidati alle competizioni elettorali (art. 4) e viene disciplinata la cessazione del partito politico (art. 5).

E’ quindi proseguito l’esame del testo con la fase emendativa che ha visto l’approvazione dei primi due articoli e di alcuni emendamenti al terzo. Tra le modifiche più rilevanti, l’introduzione dell’obbligo di trasmissione dello statuto alla Commissione di controllo dei bilanci dei partiti (istituita dalla legge 96/2012), la quale, verificata la conformità dello statuto ai principi di legge, iscrive il partito in un apposito registro; tale iscrizione costituisce requisito per l’accesso ai contributi pubblici.

Nella seduta del 13 dicembre 2012 la Commissione ha interrotto l’esame del provvedimento, in quanto la maggioranza dei gruppi aveva constatato che non vi fossero le condizioni per proseguire nell'esame del provvedimento.

Si segnala, inoltre, che il decreto legislativo 150/2009 (art. 52) in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni ha introdotto il divieto per le pubbliche amministrazioni di conferire incarichi di direzione del personale a soggetti che abbiano rivestito negli ultimi due anni cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali.

I partiti nella spending review

Il Consiglio dei Ministri del 30 aprile 2012 ha esaminato il rapporto sulla spending review denominati Elementi per una revisione della spesa pubblica, illustrato dal Ministro per i rapporti con il Parlamento e il programma di governo pro tempore che analizza le voci di spesa delle pubbliche amministrazioni.

In quella sede il Governo ha ritenuto necessario un attento esame anche delle risorse pubbliche destinate alle imprese e di quelle che affluiscono ai partiti politici e ai sindacati. Per quanto riguarda i partiti e i sindacati, il Consiglio dei Ministri ha conferito al professor Giuliano Amato l’incarico di fornire al Presidente del Consiglio analisi e orientamenti sulla disciplina dei partiti per l’attuazione dei principi di cui all’articolo 49 della Costituzione, sul loro finanziamento nonché sulle forme esistenti di finanziamento pubblico, in via diretta o indiretta, ai sindacati.

Il rapporto Amato è stato predisposto tra il maggio e il luglio 2012 ed è costituito da tre note, in materia di finanziamento della politica (riportata nel presente dossier), di legge sui partiti e di finanziamento dei sindacati (le note sono state pubblicate nella rivista “Rassegna parlamentare”, n. 4/2012).

La relazione del Gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali

Successivamente, lo statuto dei partiti e le regole per l’attività politica e il suo finanziamento sono state oggetto di riflessione da parte del Gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali istituito dal Presidente della Repubblica il 30 marzo 2013.

Nella relazione finale del 12 aprile 2013 (riportata nella sezione documentazione) il Gruppo di lavoro ha individuato nella determinazione dei caratteri minimi degli statuti dei partiti un elemento per la rilegittimazione dei partiti politici come strumento a disposizione di tutti i cittadini per partecipare alla vita politica del Paese. A tal fine, non appare sufficiente – a giudizio dei “saggi” - quanto previsto dalla legge 96/2012 in merito al contenuto degli statuti (vedi sopra). Il Gruppo di lavoro ha proposto che ogni statuto preveda: a) gli organi dirigenti elettivi; b) le procedure deliberative che prevedano adeguata interazione tra iscritti e dirigenti nella formazione degli indirizzi politici; c) gli organi di garanzia e di giustizia interni; d) la istituzione dell’anagrafe degli iscritti e le condizioni per l’accesso, che dovrebbe essere garantito a tutti gli iscritti; e) l’equilibrio di genere negli organi collegiali e nella formazione delle candidature; f) le garanzie per le minoranze; g) le procedure per modificare statuto, nome e simbolo del partito.

In merito al finanziamento della politica, il Gruppo di lavoro ha sottolineato che “il finanziamento pubblico delle attività politiche, in forma adeguata e con verificabilità delle singole spese, costituisce un fattore ineliminabile per la correttezza della competizione democratica e per evitare che le ricchezze private possano condizionare impropriamente l’attività politica”, e ha proposto di: a) distinguere una parte fissa, proporzionata al numero di voti del singolo partito e una parte commisurata ai contributi privati, che devono avere un tetto massimo; b) assicurare significativi sgravi fiscali per i contributi dei privati entro un determinato tetto massimo; c) assicurare l’accesso gratuito, anche fuori della campagna elettorale agli spazi televisivi; d) consentire a partiti e movimenti politici di usufruire gratuitamente di locali e di spazi pubblici per riunioni e per lo svolgimento dell’attività politica; e) agevolare i partiti che si impegnano nella formazione politica delle generazioni più giovani; f) confermare la linea per la quale il finanziamento per i gruppi parlamentari non deve diventare una forma di finanziamento dei partiti.

Inoltre, nella relazione si fa presente la necessità di uniformare le disposizioni sul controllo dei costi della politica, attualmente suddivisa tra il Collegio della Corte dei Conti per l’esame della spese elettorali (L. 515/1993), la specifica commissione istituita dalla legge 96/2012 per il controllo sui bilanci dei partiti e le singole sezioni regionali della Corte dei Conti per il controllo sui rendiconti dei gruppi consiliari regionali (D.L. 174/2012).

 


Statuto e finanziamento dei partiti politici europei

Il 12 settembre 2012 la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento (COM(2012)499) relativa allo statuto ed al finanziamento dei partiti politici europei e delle fondazioni politiche europee, volta a sostituire il vigente regolamento (CE) n. 2004/2003, introducendo alcune novità.

 

In particolare la proposta intende:

§  riconoscere ai partiti politici europei ed alla fondazioni ad essi collegati una personalità giuridica europea, che subentrerebbe alle personalità giuridiche nazionali eventualmente preesistenti, consentendo di superare gli ostacoli legati alle diversità degli ordinamenti giuridici nazionali (attualmente i partiti politici europei e le fondazioni, benché ricevano fondi dal bilancio dell’UE, sono soggetti giuridici nazionali);

§  prevedere norme minime sulla democrazia interna dei partiti politici europei tra le quali, in particolare, l’elezione democratica degli organi di partito e criteri chiari e trasparenti per la selezione di candidati e l’elezione dei titolari di cariche pubbliche;

§  introdurre forme di trasparenza e controllo più incisive sulle loro attività e su quelle delle fondazioni, prevedendo in particolare sanzioni per le violazioni dei valori dell’UE e delle disposizioni del regolamento;

§  elevare il tetto delle donazioni individuali ai partiti politici a livello europeo dagli attuali 12.000 a 25.000 euro su base annuale.

 

La presentazione della proposta tiene conto, secondo quanto indicato dalla Commissione, delle innovazioni introdotte nel titolo II del Trattato sull’Unione; particolare rilievo assumono i commi 3 e 4 dell’articolo 10 del Trattato, i quali prevedono che ogni cittadino ha il diritto di partecipare alla vita democratica dell’Unione e che i partiti politici a livello europeo contribuiscono a formare una coscienza politica europea e ad esprimere la volontà dei cittadini dell’Unione. Questo medesimo principio, del resto, è espresso dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (art. 12, par. 2), alla quale la Dichiarazione n. 1 allegata al Trattato conferisce forza giuridicamente vincolante.

 

La proposta recepisce altresì alcune delle indicazioni contenute nella risoluzione approvata dal Parlamento europeo il 6 aprile 2011 nella quale si sottolineava che:

§  attualmente i partiti politici a livello europeo non si trovano in condizioni di svolgere compiutamente tale ruolo perché rappresentano soltanto organizzazioni ombrello dei partiti nazionali;

§  i partiti politici dovrebbero conformarsi a modelli organizzativi generali convergenti e che ciò possa essere raggiunto solo attraverso uno loro status giuridico e fiscale comune ed una personalità giuridica basata sul diritto dell'Unione.

§  sulle questioni che riguardano sfide europee comuni e l'Unione europea, i partiti politici a livello europeo debbano interagire e competere a tre livelli: regionale, nazionale ed europeo;

§  tutti i partiti politici a livello europeo dovrebbero conformarsi alle norme più rigorose di democrazia interna (in materia di elezione democratica degli organi del partito e di processi decisionali democratici, anche con riferimento alla selezione dei candidati).

 

Nella XVI legislatura, la I Commissione Affari costituzionali e la XIV Commissione Politiche dell’Unione europea della Camera hanno approvato il 20 dicembre 2012 un documento finale nel quale esprimono una valutazione positiva sulla proposta di regolamento della Commissione europea, con alcune osservazioni riferite, in particolare: a) all’equiparazione, prospettata dalla proposta ai fini del riconoscimento dei partiti politici europei, dei rappresentanti di Parlamenti regionali o di Assemblee regionali ai deputati del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali che potrebbe avvantaggiare gli Stati membri con una più accentuata articolazione a livello regionale; b) alla necessità di chiarire l’effettiva portata del riconoscimento di una personalità giuridica europea per i partiti politici europei; c) alla previsione della soglia limite del 40 per cento del bilancio annuale del partito per i contributi a favore di un partito politico europeo provenienti dai suoi membri.

 

La proposta di regolamento è all'esame del PE, che si dovrebbe esprimere in prima lettura il 9 settembre 2013.

 


Il disegno di legge del Governo

Oggetto e finalità del disegno di legge

L’articolo 1 del disegno di legge AC 1154 indica la finalità dell’intervento normativo, individuata nell’abolizione dei contributi pubblici ai partiti come attualmente disciplinati (comma 1) e la loro sostituzione (comma 2) con ”forme di contribuzione volontaria fiscalmente agevolata fondate sulle scelte espresse dai cittadini”, di cui all’articolo 9 (detrazioni per le erogazioni liberali) e all’articolo 10 (destinazione volontaria del 2 per mille IRPEF), e con altre forme di “benefici di natura non monetaria”, di cui agli articoli 11, 12 e 13. L’accesso a queste forme di contribuzione è condizionata al rispetto dei requisiti di trasparenza e democraticità indicati nel Titolo II del disegno di legge, in cui si prevede tra l’altro l’istituzione di un registro dei partiti politici, ai fini dell’accesso ai benefici (artt. 3 e 4).

 

La disciplina prefigurata porta definitivamente a compimento un processo, sviluppatosi negli ultimi anni, di progressiva riduzione dell’entità dei contributi diretti ai partiti la cui istituzione risale al 1974 e che, a partire dal 1993, sono stati erogati esclusivamente sotto forma di contributi per le spese delle campagne elettorali. Viene anche superata la parziale riforma del 2012, quando al sistema dei rimborsi elettorali è stato affiancato il cofinanziamento dello Stato, proporzionato alle capacità di autofinanziamento dei partiti.

Della legge 96/2012 viene mantenuta la parte relativa alla trasparenza e ai controlli dei bilanci, come pure il vincolo tra democrazia interna e concessione dei benefici, ivi introdotta per la prima volta.

Per quanto riguarda le forme di contribuzione alternative disciplinate dal disegno di legge, di fatto si tratta del potenziamento di due istituti già previsti dall’ordinamento (la detrazione fiscale dei finanziamenti privati e i benefici non monetari) e di un meccanismo (quello del 2 per mille) sperimentato per un breve periodo nel 1997 (L. 2/1997 e, in gran parte, abrogato dalla L. 157/1999).

 

La platea dei destinatari delle disposizioni del disegno di legge è individuata dall’ultimo articolo del testo, il 17, nei partiti, movimenti e gruppi politici organizzati che abbiano presentato candidati sotto il proprio simbolo alle elezioni per il rinnovo di uno degli organi indicati dall'articolo 8, comma 1, lettera a), cioè Senato, Camera, Parlamento europeo, consigli regionali e province autonome.

Democrazia interna, trasparenza e controlli

Il titolo II del disegno di legge AC 1154, nell’ambito dei temi della democrazia interna, della trasparenza e dei controlli, affronta le questioni della definizione e della natura giuridica dei partiti politici, della forma e del contenuto dello statuto e della trasparenza della struttura interna e dei documenti contabili.

Il testo fa riferimento solo ai partiti politici, pur operando rinvii alla legislazione vigente, quale la L.96/2012, che si rivolge anche ai movimenti politici.

 

Definizione e natura giuridica dei partiti politici

L’art. 2, comma 1, qualifica i partiti “libere associazioni”, ma non conferisce ad essi  personalità giuridica ai sensi delle disposizioni vigenti.

Sotto questo profilo, quindi, il disegno di legge non introduce alcun elemento innovativo rispetto all’attuale condizione giuridica dei medesimi.

 

Come è noto, a legislazione vigente, in assenza di una disciplina specifica, i partiti politici sono associazioni non riconosciute.

 

Con l’espressione “associazione non riconosciuta” s’intende una collettività di persone organizzata per il raggiungimento di uno scopo comune - lecito e non segreto - che non ha richiesto (o ottenuto) il riconoscimento come persona giuridica.

La disciplina delle associazioni non riconosciute e dei comitati è contenuta nel capo III del titolo II del libro primo del codice civile (artt. da 36 a 42).

Le principali diversità di regime giuridico tra associazione riconosciuta e non riconosciuta riguardano i seguenti aspetti:

§  le associazioni riconosciute hanno un patrimonio, quelle non riconosciute un fondo comune, anche se di fatto esiste identità di condizione giuridica;

§  nelle associazioni riconosciute, risponde delle obbligazioni assunte solo l’associazione ed il suo patrimonio; nella associazioni non riconosciute si aggiunge la responsabilità personale e solidale di coloro che hanno agito in nome e per conto dell’associazione (art. 38);

§  le associazioni riconosciute sono sottoposte ai controlli della autorità governativa ed alle registrazioni previste per le persone giuridiche; nessuna forma di controllo è prevista per le associazioni non riconosciute.

Nell'intenzione del legislatore del 1942, l'associazione non riconosciuta avrebbe dovuto dar veste giuridica a realtà minori e di scarsa importanza sociale (circoli sportivi, ricreativi ecc.); al contrario, essa oggi rappresenta la più usuale forma di presenza, nel nostro ordinamento, dei maggiori gruppi organizzati per fini non lucrativi: tali sono, infatti, i partiti politici, i sindacati, molte società sportive, non avendo richiesto il riconoscimento della personalità giuridica. Tali organismi associativi costituiscono i cd. enti di fatto ovvero complessi organizzati di soggetti e di beni, diretti alla realizzazione di uno scopo non lucrativo, ma privi di personalità giuridica.

Le caratteristiche strutturali delle associazioni non riconosciute sono comuni a quelli delle associazioni riconosciute; c’è, quindi:

-      un’organizzazione;

-      un elemento patrimoniale;

-      lo scopo non di lucro;

-      la struttura aperta del rapporto.

Anzitutto, il codice civile – in relazione all’organizzazione interna cioè ai rapporti degli associati fra loro, e all’amministrazione dei beni comuni - riconosce efficacia agli accordi intervenuti fra gli associati (art. 36). Anche tali enti hanno la loro fonte in un atto costitutivo e in uno statuto.

Sebbene il codice civile consenta di dare vita ad un’associazione non riconosciuta anche per mezzo di un semplice accordo verbale, nella maggioranza dei casi tali associazioni si costituiscono con un atto scritto (contratto di associazione) che consta di due componenti: l’atto costitutivo e lo statuto.

 

In assenza di una disciplina specifica, i partiti politici sono assimilati alle associazioni non riconosciute, come del resto avviene per le organizzazioni sindacali. Per quest’ultime, a differenza dei partiti, è invece prevista, ma non attuata, la definizione con legge della loro registrazione con conseguente acquisizione della personalità giuridica (art. 39 Cost.).

In questo quadro assume particolare rilievo il rapporto tra l’art. 49 e il diritto di associazione contenuto nell’art. 18 Cost. Secondo la dottrina prevalente, il diritto di associarsi in partiti politici si configura come un’espressione particolare del più generale diritto dei cittadini di associarsi liberamente; pertanto, i limiti al diritto di associazione contenuti nell’art. 19 (proibizione delle associazioni segrete, di carattere militare o per fini vietati dalla legge penale) sono applicabili anche ai partiti politici.

D’altra parte, non sarebbero ammesse da parte della legge ordinaria ulteriori limitazioni oltre a quelle indicate tassativamente dalla Costituzione. E non sarebbe neanche possibile introdurre alcuna forma di autorizzazione, dal momento che il primo comma dell’art. 18 prevede che tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente, “senza autorizzazione”.

 

Anche il testo unificato adottato nella scorsa legislatura si limitava a definire i partiti, “libere associazioni di cittadini” (art. 2), mentre alcune delle proposte di legge che ne costituivano la base effettuavano precise scelte in merito.

Non tutte le proposte di legge prevedevano l'attribuzione di personalità giuridica, limitandosi alcune a dare una definizione del partito o movimento politico non riconducibile a definite categorie giuridiche. In ogni caso, sia ricorrendo a procedimenti già vigenti di diritto comune, sia prevedendo procedimenti ad hoc, la personalità giuridica, laddove prevista, aveva carattere privatistico.

In particolare, alcune proposte ricorrevano alla categoria giuridica dell’associazione[4] e il procedimento in prevalenza previsto per il riconoscimento era l'iscrizione nel registro delle persone giuridiche di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 361/2000[5] con effetto di acquisto della personalità giuridica[6]. Ai fini dell'iscrizione le proposte di legge stabilivano prescrizioni attinenti soprattutto ad alcuni contenuti, considerati necessari, dello statuto del soggetto politico.

In tal modo il procedimento per l'attribuzione della personalità giuridica veniva ricondotto a quello già vigente per  le associazioni e le fondazioni, conferendo  personalità giuridica di natura privata. Alcune proposte di legge innestavano tale procedimento di diritto comune su procedimenti specifici, come l'omologazione dello statuto del soggetto politico attribuita alla competenza dell'Ufficio centrale elettorale presso la Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 12 del DPR n. 361del 1957[7].

Altre scelte normative, finalizzate comunque a definire una soggettività del partito o  movimento politico, si incentravano su procedure non riconducibili ad a quelle già vigenti: in questo senso si poneva la proposta [8] che prevedeva la costituzione di un registro dei partiti politici presso la Corte costituzionale, differenziando il partito politico dalle associazioni riconosciute, ma mantenendo fermo il carattere privatistico della personalità giuridica così acquisita, con decorrenza dalla data di deposito dello statuto

 

Diversamente, come si vedrà più avanti, alcune delle abbinate proposte di legge intendono attribuire ai partiti politici la natura di associazioni riconosciute e dunque dotate di personalità giuridica in base al DPR n. 361/2000.

 

Si ricorda che mentre in passato il riconoscimento consisteva in un atto amministrativo discrezionale concesso con DPR, dopo la riforma introdotta col DPR 361 del 2000[9], le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato acquistano la personalità giuridica mediante il riconoscimento determinato dall'iscrizione nel registro delle persone giuridiche, istituito presso le prefetture (art. 1).

La domanda di riconoscimento (cui è allegata copia autentica dell'atto costitutivo e dello statuto), sottoscritta dal fondatore ovvero da coloro ai quali è conferita la rappresentanza dell'ente, è presentata alla prefettura nella cui provincia è stabilita la sede dell’ente stesso. Le condizioni del riconoscimento sono:

che risultino soddisfatte le norme legislative e regolamentari per la costituzione dell’ente

che lo scopo della persona giuridica sia possibile e lecito;

che il patrimonio risulti adeguato alla realizzazione dello scopo (la consistenza del patrimonio deve essere dimostrata da idonea documentazione allegata alla domanda).

Entro 120 giorni dalla data di presentazione della domanda il prefetto provvede all'iscrizione nel registro. Nel registro devono altresì essere iscritte le modificazioni dell'atto costitutivo e dello statuto, il trasferimento della sede e l'istituzione di sedi secondarie, la sostituzione degli amministratori, con indicazione di quelli ai quali è attribuita la rappresentanza, le deliberazioni di scioglimento, i provvedimenti che ordinano lo scioglimento o accertano l'estinzione, il cognome e nome dei liquidatori e tutti gli altri atti e fatti la cui iscrizione è espressamente prevista da norme di legge o di regolamento.

Qualora la prefettura ravvisi ragioni ostative all'iscrizione ovvero la necessità di integrare la documentazione presentata, entro il termine dei 120 giorni ne dà motivata comunicazione ai richiedenti, i quali, nei successivi 30 giorni, possono presentare memorie e documenti. Se, nell'ulteriore termine di 30 giorni, il prefetto non comunica ai richiedenti il motivato diniego ovvero non provvede all'iscrizione, questa si intende negata.

 

L’art. 2 adotta al comma 1 una formulazione che trasferisce sulle “associazioni partito”, cui si riferisce la definizione, la qualificazione “libere”, che il testo dell’art. 49 Cost. attribuisce, invece, al diritto garantito a tutti i cittadini di associarsi in partito. Lo stesso comma 1 effettua un’analoga operazione lessicale, di segno inverso, collegando ai cittadini la finalità del “concorso con metodo democratico alla determinazione della politica nazionale”, che l’art. 49 invece connette ai partiti.

 

Lo stesso comma 2, pone una espressa relazione tra l’osservanza delle disposizioni contenute nel disegno di legge e il rispetto del metodo democratico che, ai sensi dell’art. 49 Cost., deve presiedere al concorso alla determinazione della politica nazionale.

Secondo l’art. 3, il rispetto di norme come quelle relative al contenuto dello statuto è condizione solo per i benefici previsti dal testo stesso e non sembra incidere sulla questione generale del rispetto del metodo democratico quale costante dell’attività dei partiti.

 

Occorre evidenziare che l’art. 2 del disegno di legge non esplicita una finalità di attuazione dell’art. 49 Cost., che, d’altronde, a differenza dell’art. 39 Cost. per i sindacati, non reca alcuna clausola di rinvio ad altre fonte per l’attuazione delle disposizioni in esso contenute. Del resto la relazione illustrativa afferma che il testo delinea “una prima attuazione all'articolo 49 della Costituzione” ai fini dei benefici previsti che vengono riservati a “partiti che assicurino alcuni standard «minimi» di democraticità dei propri statuti e di trasparenza”.

 

Nella carta fondamentale si rinvengono poche altre disposizioni in materia di partiti politici. L’art. 98, al terzo comma, prevede la possibilità di stabilire con legge limitazioni al diritto di iscriversi ai partiti politici per alcune determinate categorie di pubblici funzionari: magistrati, militari, funzionari ed agenti di polizia, diplomatici.

Inoltre, la XII delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione vieta la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del partito fascista.

Mentre le due disposizioni da ultimo citate hanno avuto un seguito legislativo (L. 121/1981 sul  divieto di iscrizione ai partiti per la polizia, D.Lgs. 109/2006 che considera illecito disciplinare l’iscrizione ai partiti politici dei magistrati, L. 645/1952, cosiddetta “legge Scelba” che attua la XII disposizione transitoria) non si è mai proceduto ad una regolamentazione dei partiti politici, le cui basi giuridiche sono dunque limitate alle disposizioni costituzionali sopra citate e a poche altre norme contenute in leggi ordinarie attinenti a specifici ambiti, quali il finanziamento della politica, la partecipazione alle elezioni, la propaganda politica ed elettorale.

Il complesso di tali disposizioni prefigurerebbe una titolarità di attribuzioni costituzionali dei partiti politici. Ma la giurisprudenza costituzionale, pur riconoscendo che “i partiti politici vanno considerati come organizzazioni proprie della società civile, alle quali sono attribuite dalle leggi ordinarie talune funzioni pubbliche”, ha negato una loro qualificazione come poteri dello Stato (Corte cost. ord. 79/2006).

 

Gli statuti

L’art. 3 del disegno di legge disciplina lo statuto dei partiti politici, sotto il profilo della forma e del contenuto necessari per fruire dei benefici previsti dal Titolo III del disegno di legge.

Non vi è alcuna previsione in tema di atto costitutivo, prescritto invece dall’art. 5 della legge 96/2012 (articolo di cui il disegno di legge prevede l’abrogazione).

L’atto costitutivo è richiesto dall’art. 1 del D.P.R. 361/2001 ai fini dell’acquisto della personalità giuridica privata per le associazioni, le fondazioni e altre istituzioni di carattere privato.

La forma necessaria dello statuto è l’atto pubblico, che l’art. 14 del codice civile richiede per la costituzione di associazioni e fondazioni. Allegato necessario dello statuto è il simbolo, che deve essere rappresentato “anche in forma grafica”, risultandone così richiesta implicitamente la descrizione.

Il simbolo concorre con la denominazione a costituire elemento essenziale di riconoscimento del partito.

Si può notare che l’art. 3 non pone prescrizioni dirette ad assicurare la non confondibilità del simbolo, prescrizioni invece contenute nel testo unico delle leggi per l’elezione della Camera (D.P.R. 361/1957

L’articolo 14 del testo unico delle leggi per l’elezione della Camera (D.P.R. 361/1957) proibisce la presentazione di simboli confondibili con quelli usati da altri partiti e definisce in dettaglio gli elementi di confondibilità da considerare ai fini del divieto.

 

La denominazione è richiamata dal testo in esame con riferimento all’allegato allo statuto ma deve ritenersi che essa sia altresì elemento necessario dello statuto stesso.

 

Gli elementi necessari dello statuto, indicati dal comma 2, riguardano: la rappresentanza legale, gli organi, le procedure deliberative, i diritti e i doveri degli iscritti, le misure disciplinari e i procedimenti ad esse relativi, le modalità di selezione delle candidature per le competizioni elettorali, l’indicazione del responsabile della gestione economico–finanziaria e patrimoniale e del rendiconto di esercizio, le procedure per lo scioglimento e per altre cause che incidano sull’attività del partito, nonché quelle per la modificazione dello statuto, del simbolo e della denominazione.

La predeterminazione di tali elementi costituisce così una condizione di democrazia interna del partito, così come, sotto un profilo ancor più sostanziale, la predeterminazione di ulteriori elementi, anch’essi richiesti dallo stesso comma 2, relativi alla presenza delle minoranze e all’equilibrio di genere.

In merito alla formulazione del comma 2, si valuti l’opportunità, sotto un profilo meramente formale, di indicare alla lett. a) gli organi di garanzia e quelli competenti in materia disciplinare, rispettivamente richiamati alle lettere c) e g). Inoltre si valuti l’opportunità di chiarire la formulazione delle vicende del partito e delle articolazioni territoriali indicate alla lettera f), in quanto lo scioglimento dovrebbe riferirsi al partito, mentre la chiusura e le altre vicende di seguito elencate dovrebbero riguardare le articolazioni territoriali.

Si valuti altresì l’opportunità di chiarire il riferimento, contenuto nell’art. 3, lett. d), a criteri che assicurano la presenza delle minoranze, la cui natura e la cui consistenza non possono rilevarsi a priori. Tale chiarimento assume un rilievo sostanziale poiché la previsione della lett. d) costituisce parametro di valutazione della Commissione prevista dall’art. 4 del disegno di legge.

 

L’art. 5 della L. 96/2012, per il contenuto dello statuto, si limita a prevedere che esso sia conformato a principi democratici nella vita interna, con particolare riguardo alla scelta dei candidati, al rispetto delle minoranze e ai diritti degli iscritti.

 

Contenuto eventuale dello statuto, ai sensi dell’art. 3, comma 3, sono le clausole di composizione extragiudiziale di controversie aventi ad oggetto lo statuto e di conciliazione ed arbitrato.

 

L’art. 3, comma 4, dispone l’applicazione ai partiti delle “disposizioni del codice civile” e delle “norme di legge vigenti in materia” per quanto non espressamente disciplinato dal testo del disegno di legge.

Il rinvio disposto da tale clausola deve intendersi riferito alle disposizioni in tema di associazioni non riconosciute di cui agli articoli 36 e seguenti del codice civile.

Poiché l’art. 36 cc. stabilisce che l'ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni non riconosciute come persone giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati, la disciplina stabilita dal disegno di legge vincola tali accordi qualora il partito intenda avvalersi dei benefici previsti.

 

Appare opportuno indicare specificamente le altre norme vigenti in materia applicabili.

Controllo e trasparenza

Nel disegno di legge il passaggio ad un sistema di finanziamento incentrato sulla contribuzione volontaria e indiretta fa leva, oltre che sulla fissazione di requisiti di base di democraticità dello statuto, su strumenti e procedure di controllo e di pubblicità che costituiscono oneri in capo ai partiti ai fini dei benefici previsti.

 

A questo scopo si utilizzano anche istituti introdotti di recente dalla legge n. 96 del 2012, della quale viene poi disposta con l’art. 14 l’abrogazione di diverse disposizioni.

L’art. 4 stabilisce che i partiti politici che intendono avvalersi dei benefici di legge debbano trasmettere copia autentica del proprio statuto, sottoscritta dal legale rappresentante, al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati.

Anche l’art. 5 della legge n. 96 del 2012 prevede analoga trasmissione, entro quarantacinque giorni dalla data di svolgimento delle elezioni, ma nel disegno di legge in esame i Presidenti delle Camere non sono i destinatari degli atti poiché questi vengono inoltrati alla Commissione prevista dalla citata legge all'articolo 9, comma 3.

Si tratta della Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici, con sede presso la Camera dei deputati, composta da cinque componenti, di cui uno designato dal Primo presidente della Corte di cassazione, uno designato dal Presidente del Consiglio di Stato e tre designati dal Presidente della Corte dei conti; tutti i componenti sono scelti fra i magistrati dei rispettivi ordini giurisdizionali con qualifica non inferiore a quella di consigliere di cassazione o equiparata. La Commissione è nominata, sulla base delle designazioni così effettuate, con atto congiunto dei Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

Nella legge 96/2012 a tale Commissione è assegnato un controllo di regolarità e di conformità alla legge del rendiconto dei partiti e dei relativi allegati, anche verificando la conformità delle spese effettivamente sostenute e delle entrate percepite alla documentazione prodotta a prova delle stesse, nonché di ottemperanza alle disposizioni di legge.

Invece, in base al disegno di legge, la Commissione è competente anche alla verifica della conformità dello statuto alle disposizioni dell’articolo 3, con facoltà di richiedere al partito, assicurando il contraddittorio, di apportarvi, entro un termine da essa stessa fissato, le conseguenti modifiche.

L’ampliamento delle competenze della Commissione alla materia statutaria – competenze che l’art. 7 dello stesso disegno di legge più avanti illustrato estende agli obblighi di trasparenza e pubblicità previsti dagli artt.  4 e 5 - della quale resta immutata la composizione, è formalizzato dalla nuova denominazione ad essa attribuita dal comma 1 dell’art. 4 di “Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici”, che esplicita 

Poiché l’art. 9, comma 3, della L. 96/2012 - non abrogato dall’art. 14, comma 4, lett. f), del disegno di legge - rimarrebbe in vigore recando una diversa denominazione dello stesso organo, si valuti l’opportunità di procedere al mutamento di denominazione della Commissione attraverso il metodo della novellazione.

 

L’esito positivo di tale verifica è condizione per l'iscrizione del partito al registro tenuto dalla stessa Commissione: l’art. 4, comma 2, definisce il registro “nazionale” dei “partiti politici riconosciuti ai sensi della presente legge”.

Si ricorda in proposito che l’art. 17 del disegno di legge prevede che, agli effetti della legge medesima, si intendono per partiti politici, i partiti, movimenti e gruppi politici organizzati che abbiano presentato candidati sotto il proprio simbolo alle elezioni per il rinnovo di uno dei seguenti organi: Senato, Camera, Parlamento europeo, consigli regionali e province autonome.

Per l’iscrizione nel registro, saranno pertanto necessari due elementi:

§  la presentazione di candidati con il proprio simbolo alle elezioni richiamate dall’art. 17;

§  la verifica positiva di conformità dello statuto ai requisiti prescritti dalla legge.

 

L’iscrizione ha quindi un effetto costitutivo in quanto attribuisce al soggetto iscritto lo status di partito riconosciuto a fini specifici di legge. Inoltre il comma 7 chiarisce che “l'iscrizione e la permanenza nel registro (...) sono condizioni necessarie per l'ammissione dei partiti politici ai benefìci eventualmente spettanti” previsti dal disegno di legge.

Solo una volta effettuata l’iscrizione, nel termine di un mese dalla relativa data, dovrà essere effettuata la pubblicazione dello statuto in Gazzetta Ufficiale.

Le procedure illustrate dovranno essere seguite anche per le modifiche statutarie.

 

Il registro è distinto in due sezioni, l’una relativa ai partiti politici che soddisfano i requisiti per essere ammessi al finanziamento privato in regime fiscale agevolato, l’altra relativa ai partiti politici ammessi alla ripartizione delle risorse rinvenienti dalla destinazione da parte dei contribuenti del due per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e all’utilizzazione di locali.

 

Occorrerebbe in proposito chiarire se le due sezioni del registro – cui fa riferimento l’art. 4, comma 8, secondo periodo – esauriscano il contenuto del registro stesso, come sembrerebbe desumersi dal tenore letterale della disposizione.

Dall’impianto complessivo della legge sembra tuttavia desumersi che i partiti politici possano iscriversi nel registro anche in assenza dei requisiti per essere ammessi al finanziamento privato in regime fiscale agevolato (art. 8, comma 1, lettera a) o alla ripartizione delle risorse rivenienti dalla destinazione da parte dei contribuenti del due per mille e all’accesso ai locali (art. 8, comma 1, lettera b), e, quindi, al di fuori delle due sezioni. Si pensi al già richiamato art. 4, comma 7, secondo cui  “l'iscrizione e la permanenza nel registro (...) sono condizioni necessarie per l'ammissione dei partiti politici ai benefìci eventualmente spettanti” o alla disciplina dell’art. 8, in base alla quale i partiti politici già “iscritti del registro” possono chiedere di essere ammessi ai benefici del finanziamento privato in regime fiscale agevolato o alla ripartizione delle risorse del due per mille e all’accesso ai locali.

 

Il portale internet ufficiale del Parlamento italiano, secondo l’art. 4, comma 8, primo periodo, deve assicurare la consultabilità del registro in un'apposita sezione. Tale portale, in base al successivo art. 5, deve recare in apposita sezione anche altri atti riferibili ai partiti: lo statuto pubblicato in Gazzetta ufficiale, il rendiconto di esercizio, anche in formato open data, corredato della relazione sulla gestione e della nota integrativa, la relazione del revisore o della società di revisione, ove prevista, nonché il verbale di approvazione del rendiconto di esercizio da parte del competente organo del partito politico, nonchè, ai sensi del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 in tema di trasparenza, i dati relativi alla situazione reddituale e patrimoniale dei titolari di cariche di Governo e dei parlamentari. 

L’art. 9, comma 20, della legge 96/2012, di cui il disegno di legge prevede l’abrogazione, prescrive che nei siti internet dei partiti e dei movimenti politici, entro il 10 luglio di ogni anno, nonché in un'apposita sezione del sito internet della Camera dei deputati, sono pubblicati, anche in formato open data, il rendiconto di esercizio e i relativi allegati, nonché la relazione della società di revisione e il verbale di approvazione del rendiconto di esercizio.

Il riferimento al revisore non trova fondamento nella L. 96/2012 che non menziona la facoltà dei partiti e movimenti politici di rivolgersi a revisori costituiti da persone fisiche, ma solo a società di revisione. Qualora con tale riferimento si intenda prevedere la facoltà di avvalersi per funzioni di revisione, oltre che di società, anche di persone fisiche, occorrerebbe novellare in tal senso l’art. 9 della L. 96/2012.

 

In merito alla revisione contabile, il Rapporto sull’Italia del 22-23 marzo 2012 del gruppo GRECO[10] del Consiglio d’Europa riconosce che le esigenze di revisione devono essere bilanciate, con una certa flessibilità, con le differenti necessità e modalità dei partiti, al fine di evitare, in particolare, che vengano imposte procedure troppo complicate per partiti piccoli che dispongono di strumenti amministrativi limitati o nulli. Sul punto il Rapporto raccomanda di:

§  introdurre norme chiare e coerenti sui requisiti di revisione contabile applicabili ai partiti politici;

§  garantire la necessaria indipendenza dei revisori che certificano i bilanci dei partiti politici.

 

L’art. 5 prescrive ai partiti politici la realizzazione di un sito internet, che deve rispondere a requisiti espressamente indicati, dal quale devono risultare le informazioni relative all’assetto statutario, agli organi associativi, al funzionamento interno e ai bilanci, nonché a tutti gli altri atti che, in base allo stesso articolo e ad eccezione dei dati relativi alla situazione reddituale e patrimoniale dei titolari di cariche di Governo e dei parlamentari, devono essere pubblicati nel portale internet ufficiale del Parlamento italiano.

In particolare il comma 2 richiede la pubblicazione del rendiconto di esercizio, anche in formato open data, corredato della relazione sulla gestione e della nota integrativa, della relazione del revisore o della società di revisione, ove prevista, nonché il verbale di approvazione del rendiconto di esercizio da parte del competente organo del partito politico, da effettuare dopo il controllo di regolarità e conformità di cui all'articolo 9, comma 4, della legge 6 luglio 2012, n. 96.

La disposizione non definisce un termine preciso per la pubblicazione, né si può fare riferimento a quello del 10 luglio di ogni anno dell’art. 9, comma 20, della L. 96/2012, perché l’art. 14, comma 4, lett. f) ne propone l’abrogazione.

In merito alla pubblicazione sul Portale internet del Parlamento dei dati relativi alla situazione reddituale e patrimoniale dei titolari di cariche di Governo e dei parlamentari, occorre tenere conto che la legge n. 441/82 prevede la pubblicazione anche per i parlamentari europei. 

Un primo beneficio, non monetario, derivante dall’iscrizione nel registro nazionale è indicato dallo stesso art. 5, comma 3, collocato al di fuori del capo dedicato ai benefici economici e non.

Il comma prevede la non applicabilità dell’obbligo di presentare alla Presidenza della Camera dei deputati la dichiarazione congiunta, da parte del finanziatore e del ricevente, prevista dal terzo comma dell'articolo 4 della legge n. 659 del 1981, purchè le erogazioni siano effettuate con mezzi di pagamento diversi dal contante che consentano di garantire la tracciabilità dell'operazione e l'esatta identità dell'autore.

Premesso che, per tutti i pagamenti sopra i mille euro, l’art. 49 del D.lgs. 231/2007[11], come modificato dall’art. 12 del D.L. 201/2011[12] già pone, a partire dal 1° febbraio 2012, il divieto di utilizzo contanti, va evidenziato che il comma 3 deroga, solo per i soggetti iscritti nel registro nazionale, all'articolo 4 della legge n. 659 del 1981, non solo quanto all’obbligo di dichiarazione, ma anche quanto alla soglia dell’erogazione entro la quale non vi è obbligo di dichiarazione, che, da 5.000 euro, viene portata a 100.000 euro.

Tuttavia, pur esclusa la dichiarazione congiunta, se le erogazioni superano nell'anno i 5 mila euro, i rappresentanti legali dei partiti che ne hanno beneficiato, devono trasmettere alla Presidenza della Camera, entro tre mesi dalla percezione, l'elenco degli erogatori con la relativa documentazione contabile. In mancanza, o in caso di dichiarazioni mendaci, si applica la sanzione della multa da due a sei volte l'ammontare non dichiarato e la pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici, previste per le violazioni in materia di dichiarazione congiunta ai sensi del sesto comma dell'articolo 4 della citata legge n. 659 del 1981.

Tali finanziamenti sono soggetti ad obblighi di pubblicità, le cui modalità l’art. 5, comma 3, quinto periodo, riserva al Presidente della Camera dei deputati. La formulazione della disposizione riprende quella del secondo comma dell'articolo 8 della legge n. 441 del 1982, che stabilisce disposizioni per la pubblicità della situazione patrimoniale di titolari di cariche elettive e di cariche direttive di alcuni enti.

L’art. 8 prevede che tutti i cittadini iscritti nelle liste elettorali per le elezioni della Camera dei deputati hanno altresì diritto di conoscere, secondo le modalità stabilite dal Presidente della Camera dei deputati, le dichiarazioni sopra menzionate, previste dal terzo comma dell'articolo 4 della 659/1981.

In merito agli obblighi di pubblicità , l’art. 8 della legge n.2/1997, commi 11,12 e 13, prevedeva alcuni obblighi di pubblicità.

In particolare:

§  il legale rappresentante o il tesoriere tenuto a pubblicare entro il 30 giugno di ogni anno, almeno su due quotidiani, di cui uno a diffusione nazionale, il rendiconto corredato da una sintesi della relazione sulla gestione e della nota integrativa;

§  il rendiconto di esercizio, corredato della relazione sulla gestione, della nota integrativa, sottoscritti dal legale rappresentante o dal tesoriere del partito o del movimento politico, della relazione dei revisori dei conti, da essi sottoscritta, nonché delle copie dei quotidiani ove è avvenuta la pubblicazione, è trasmesso dal legale rappresentante o dal tesoriere del partito o del movimento politico, entro il 31 luglio di ogni anno, al Presidente della Camera dei deputati.

§  Il rendiconto di esercizio, la relazione sulla gestione e la nota integrativa sono comunque pubblicati, a cura dell'Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati, in un supplemento speciale della Gazzetta Ufficiale.

Tali obblighi sono stati circoscritti agli esercizi precedenti il 2013 dal comma 27 dell’art. 9 della legge 96/2012 che l’art. 14 dell’AC 1154 non abroga.

 

Quindi la tracciabilità dell’erogazione e l’individuabilità dell’erogatore sono considerate dall’art. 5, comma 3, requisiti sufficienti per una semplificazione di adempimenti connessi all’erogazione.

Il comma in esame introduce una disciplina derogatoria rispetto all'articolo 4 della legge 18 novembre 1981, n. 659, e successive modificazioni, senza ricorrere alla tecnica della novellazione. La presenza in fonti distinte di discipline attinenti allo stesso oggetto, una che pone la disciplina generale e l’altra l’eccezione, non concorre alla trasparenza della normativa in tema di forme di finanziamento dei partiti.

Tale obiettivo è oggetto di specifica raccomandazione del citato Rapporto del gruppo GRECO, che richiede un quadro giuridico sul finanziamento dei partiti politici e dei candidati che sia sistematico, comprensibile e funzionale.

 

L’ultimo periodo del comma 3 prevede che, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge, sono individuate le modalità per garantire la tracciabilità delle operazioni e l'identificazione dei soggetti di cui al primo periodo del presente comma.

 

La ripartizione del registro nelle due sezioni – la prima relativa ai partiti politici che soddisfano i requisiti per essere ammessi al finanziamento privato in regime fiscale agevolato, la seconda relativa ai partiti politici ammessi alla ripartizione delle risorse rinvenienti dalla destinazione da parte dei contribuenti del due per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e all’utilizzazione di locali - è funzionale, ai sensi dell’art. 6 del disegno di legge in esame, all’individuazione dei partiti cui si applicano le disposizioni già vigenti in tema di certificazione esterna dei rendiconti contenute nei commi 1 e 2 dell'articolo 9 della legge 6 luglio 2012, n. 96. L’art. 6 prevede infatti l’applicazione di tali disposizioni ai partiti iscritti nella seconda sezione del registro.

Si tratta del controllo della gestione contabile e finanziaria da parte di società di revisione che esprime, con apposita relazione, un giudizio sul rendiconto di esercizio dei partiti e dei movimenti politici secondo quanto previsto dalla normativa vigente in materia. A tale fine la società verifica, nel corso dell'esercizio, la regolare tenuta della contabilità e la corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili. Controlla altresì che il rendiconto di esercizio sia conforme alle scritture e alla documentazione contabili, alle risultanze degli accertamenti eseguiti e alle norme che lo disciplinano.

Il ricorso alla società di revisione è previsto dall’art. 9, comma 1, della L.96/2012 per i partiti e i movimenti politici, ivi incluse le liste di candidati che non siano diretta espressione degli stessi, che abbiano conseguito almeno il 2 per cento dei voti validi espressi nelle elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati ovvero che abbiano almeno un rappresentante eletto alla Camera medesima, al Senato della Repubblica o al Parlamento europeo o in un consiglio regionale o nei consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano. Lo stesso art. 9, comma 2, prevede l'obbligo di avvalersi della società di revisione in caso di partecipazione in forma aggregata ad una competizione elettorale mediante la presentazione di una lista comune di candidati per ciascun partito e movimento politico che abbia depositato congiuntamente il contrassegno di lista.

Come si vedrà più avanti, i requisiti stabiliti dall’art. 9, comma 1, della L.96/2012, che non è oggetto di abrogazione in base all’art. 14 del disegno di legge, non coincidono con quelli stabiliti dall’art. 8 dell’AC 1154 per l’iscrizione nel registro nazionale.

In tal modo sono soggetti all’obbligo di revisione e di presentazione di atti contabili i partiti e movimenti politici che hanno i requisiti “elettorali” stabiliti dall’art. 9, comma 1, della L.96/2012; tuttavia, siccome si tratta degli stessi soggetti che devono essere iscritti nel registro nazionale, ai fini di tale iscrizione essi sono assoggettati a requisiti “elettorali”diversi.

L’articolo 7 del disegno di legge ribadisce le funzioni di controllo della Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici sulla regolarità e sulla conformità alla legge del rendiconto dei partiti politici e dei relativi allegati, già previste dall’art. 9 della citata legge 96/2012. Ad esse tale articolo aggiunge quelle di controllo sull'ottemperanza agli obblighi di trasparenza e pubblicità stabiliti dallo stesso disegno di legge negli articoli 4 e 5.

L’art. 9, commi 4-8 della legge 96/2012, per i controlli della Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici, prevede che, entro il 15 giugno di ogni anno, i rappresentanti legali o i tesorieri dei partiti e dei movimenti politici, che abbiano conseguito almeno il 2 per cento dei voti validi espressi nelle elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati ovvero che abbiano almeno un rappresentante eletto alla Camera medesima o al Senato della Repubblica o al Parlamento europeo o in un consiglio regionale o nei consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano, o che abbiano partecipato in forma aggregata ad una competizione elettorale con una lista comune di candidati e abbiano depositato congiuntamente il contrassegno di lista, sono tenuti a trasmettere alla Commissione il rendiconto e i relativi allegati previsti dall'articolo 8 della legge 2 gennaio 1997, n. 2, concernenti ciascun esercizio compreso, in tutto o in parte, nella legislatura dei predetti organi. Unitamente ai suddetti atti sono trasmessi alla Commissione la relazione contenente il giudizio espresso sul rendiconto dalla società di revisione di cui il partito si è avvalso, nonché il verbale di approvazione del rendiconto medesimo da parte del competente organo del partito o movimento politico. In caso di partecipazione in forma aggregata ad una competizione elettorale mediante la presentazione di una lista comune di candidati, ciascun partito e movimento politico che abbia depositato congiuntamente il contrassegno di lista è soggetto agli obblighi previsti.

Nello svolgimento della propria attività, la Commissione effettua il controllo anche verificando la conformità delle spese effettivamente sostenute e delle entrate percepite alla documentazione prodotta a prova delle stesse. A tal fine, entro il 15 febbraio dell'anno successivo a quello di presentazione del rendiconto, invita i partiti e i movimenti politici interessati a sanare, entro e non oltre il 31 marzo seguente, eventuali irregolarità contabili da essa riscontrate. Entro e non oltre il 30 aprile dello stesso anno la Commissione approva una relazione in cui esprime un giudizio di regolarità e di conformità alla legge. La relazione è trasmessa ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, che ne curano la pubblicazione nei siti internet delle rispettive Assemblee.

Entro e non oltre il 15 luglio di ogni anno, la Commissione trasmette ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati gli elenchi dei partiti e movimenti politici che risultino, rispettivamente, ottemperanti e inottemperanti agli obblighi stabiliti, con riferimento all'esercizio dell'anno precedente. Entro lo stesso termine i casi di inottemperanza, nonché l'inottemperanza all'obbligo di pubblicazione nei siti internet del rendiconto e dei relativi allegati, sono contestati dalla Commissione ai partiti e movimenti politici interessati.

I rendiconti e i relativi allegati sono soggetti alle prescrizioni dell’art. 8 della legge n.2/1997. Tale legge, negli allegati A e B, reca, rispettivamente, il modello di redazione del rendiconto e quello dell’allegata relazione del legale rappresentante o del tesoriere sulla situazione economico-patrimoniale del partito o del movimento e sull'andamento della gestione nel suo complesso. Il rendiconto deve essere, altresì, corredato di una nota integrativa secondo il modello di cui all'allegato C della stessa legge e ad esso devono, inoltre, essere allegati i bilanci relativi alle imprese partecipate anche per tramite di società fiduciarie o per interposta persona, nonché, relativamente alle società editrici di giornali o periodici, ogni altra documentazione eventualmente prescritta dal Garante per la radiodiffusione e l'editoria. Specifici obblighi sono stabiliti per il rappresentante legale o il tesoriere che deve: tenere il libro giornale e il libro degli inventari; conservare ordinatamente, in originale o in copia, per almeno cinque anni, tutta la documentazione che abbia natura o comunque rilevanza amministrativa e contabile.  I libri contabili tenuti dai partiti e dai movimenti politici, prima di essere messi in uso, devono essere numerati progressivamente in ogni pagina e bollati in ogni foglio da un notaio. Il notaio deve dichiarare nell'ultima pagina del libro il numero dei fogli che lo compongono. Il libro giornale deve indicare giorno per giorno le operazioni compiute. L'inventario deve essere redatto al 31 dicembre di ogni anno, e deve contenere l'indicazione e la valutazione delle attività e delle passività. L'inventario si chiude con il rendiconto e deve essere sottoscritto dal rappresentante legale o dal tesoriere del partito o movimento politico entro tre mesi dalla presentazione del rendiconto agli organi statutariamente competenti. Tutte le scritture devono essere tenute secondo le norme di una ordinata contabilità, senza parti in bianco, interlinee e trasporti in margine. Non vi si possono fare abrasioni e, se è necessaria qualche cancellazione, questa deve eseguirsi in modo che le parole cancellate siano leggibili.  Per le donazioni di qualsiasi importo è annotata l'identità dell'erogante.

Il comma 1, secondo periodo, dell’art. 7 prevede che, nell'ambito del controllo, la Commissione invita i partiti a sanare non solo eventuali inottemperanze, ma anche eventuali irregolarità. Non sono attribuiti poteri ispettivi alla Commissione e si rinvia agli stessi presupposti e alla stessa scansione temporale e procedimentale del controllo previsti dall’art. 9 della legge 96/2012, citando espressamente i commi 4, 5, 6 e 7 di tale articolo.

In merito si fa presente, in primo luogo, che il comma 7 richiama a sua volta il il comma 20 dell’articolo 9 che, invece, l’art. 14, comma 4, lett. f), del disegno di legge intende abrogare. Il rinvio al comma 20, nel quale è indicato il termine del 10 luglio, assume rilievo ai fini del termine per la sanatoria: venuto meno per effetto dell’abrogazione non vi sarebbe alcun termine entro il quale i partiti e i movimenti politici dovrebbero sanare.

In secondo luogo va sottolineato, come già sopra evidenziato, che i presupposti del controllo ex art. 9 comma 4 della L. 96/2012 non coincidono con quelli stabiliti dall’art. 8 del disegno di legge del Governo.

Per effetto del rinvio ai commi 4, 5, 6 e 7 dell’art. 9 della legge 96/2012, la Commissione, alla quale sono trasmessi la relazione con il giudizio sul rendiconto della società di revisione e il verbale di approvazione del rendiconto medesimo da parte del competente organo del partito o movimento politico, effettua:

§  il controllo di regolarità e di conformità alla legge del rendiconto;

§  la verifica della conformità delle spese effettivamente sostenute e delle entrate percepite alla documentazione prodotta a prova delle stesse.

A legislazione vigente, seguendo la scansione del procedimento previsto dai citati commi da 4 a 7 dell’art. 9 della legge 96/2012 si arriva, in caso di inottemperanza, alle conseguenze previste dal comma 8 del citato articolo: il Presidente del Senato della Repubblica e il Presidente della Camera dei deputati sospendono, per i fondi di rispettiva competenza, l'erogazione dei rimborsi e dei contributi spettanti ai partiti e ai movimenti politici che risultino inottemperanti e, se l'inottemperanza non è sanata entro il successivo 31 ottobre, la Commissione applica al partito o al movimento politico la sanzione amministrativa pecuniaria prevista dal comma 9, cioè la decurtazione dell'intero importo ad essi attribuito per l'anno in corso a titolo di rimborso per le spese elettorali e di contributo per il cofinanziamento.

Tali conseguenze vengono meno nel disegno di legge in esame, perché l’art. 14, comma 4, lett. f), propone l’abrogazione, fra gli altri, dei commi 8 e 9, in considerazione del fatto che sono aboliti rimborsi e contributi, ma non mantiene gli istituti della  sospensione dell’erogazione e la sanzione della decurtazione, applicandoli al 2 per mille.

Va notato che l’abrogato art. 8, comma 17, della legge 2/1997 prevedeva, in caso di inottemperanza agli obblighi di cui al presente articolo o di irregolare redazione del rendiconto, che il Presidente della Camera dei deputati ne desse comunicazione al Ministro del tesoro che, sino alla regolarizzazione, sospendeva dalla ripartizione del fondo previsto dalla stessa legge i partiti e movimenti politici inadempienti.

Il vigente apparato sanzionatorio è sostituito dalle disposizioni dell’art. 7, comma 2, che sanziona l’inottemperanza alle disposizioni di cui al precedente articolo 6, in tema di società di revisione e di obbligo di presentare il rendiconto e i relativi allegati o il verbale di approvazione del rendiconto da parte del competente organo interno, con la cancellazione del partito politico dalla seconda sezione del registro.

La sanzionabilità è limitata ai casi di inottemperanza indicati e non comprende le irregolarità richiamate dal comma 1, oggetto di invito alla sanatoria.

La fase che si apre con l’accertamento dell’inottemperanza è procedimentalizzata come segue: il partito può sanare l'inottemperanza entro il successivo 31 ottobre; in mancanza di sanatoria, la Commissione dispone, per il periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data della contestazione dispone la cancellazione dalla seconda sezione del registro, cioè quella che consente la partecipazione alla ripartizione del 2 per mille e la fruizione di sedi a canone agevolato. L’inottemperanza produce effetti anche su coloro che svolgono le funzioni di tesoriere del partito, o esercitano “funzioni analoghe”: essi perdono la legittimazione a sottoscrivere i rendiconti relativi agli esercizi dei cinque anni successivi.

Pertanto l’inottemperanza consente comunque la fruizione di finanziamento privato agevolato.

Inoltre consente anche la fruizione del 2 per mille dei due esercizi precedenti a quello in cui è disposta la cancellazione, per effetto della scansione temporale sopra ricordata di controllo dei rendiconti e della relazione di revisione: essa infatti è procedimentalizzata tra il 15 giugno dell’anno successivo all’esercizio contabile di riferimento.

Poiché la disciplina dell’art. 7, comma 2, non prende in considerazione l’eventuale riscontro di irregolarità contabili, la fruizione dei benefici previsti dal disegno di legge non risulta esclusa in alcun caso, neanche nell’ipotesi in cui tali irregolarità siano accertate in sede penale.

L’assetto che deriverebbe dalla disciplina in esame dovrebbe essere valutato anche alla luce del citato Rapporto GRECO[13], che contiene un’espressa raccomandazione di rivedere le attuali sanzioni amministrative e penali relative a violazioni delle norme in materia di finanziamento della politica al fine di garantire che siano efficaci, proporzionate e dissuasive.

La disciplina della contribuzione

L’articolo 8 definisce preliminarmente i criteri per l’accesso dei partiti alla contribuzione volontaria e ai benefici non monetari.

In particolare, il comma 1 gradua le condizioni richieste a seconda del tipo di beneficio.

Per poter accedere al finanziamento privato agevolato di cui all’articolo 9 (detrazioni fiscali, su cui vedi oltre) è richiesto che i partiti abbiano ottenuto nell’ultima consultazione elettorale almeno un candidato eletto nelle seguenti elezioni:

§  Camera;

§  Senato;

§  Parlamento europeo;

§  Consigli regionali e delle province autonome.

In mancanza di eletti, è sufficiente aver presentato candidati in almeno 3 circoscrizioni per le elezioni della Camera o in 3 regioni per le elezioni del Senato o “in un consiglio regionale o delle province autonome” o 1 circoscrizione per le europee (art. 8, comma 1, lett. a)).

Occorre chiarire se il requisito della presentazione di candidati in tre regioni si applichi anche in caso di elezioni delle regioni e delle province autonome, come indica la relazione illustrativa. Dalla formulazione letterale, sembrerebbe invece sufficiente la presentazione di candidati in una sola elezione regionale.

 

Più restrittivi i requisiti per l’accesso agli altri benefici, 2 per mille e benefici non monetari: sono ammessi solamente i partiti che hanno almeno un candidato eletto alle elezioni politiche od europee; sono invece escluse le elezioni regionali e non è sufficiente la semplice presentazione di candidati.

 

Come già rilevato, a legislazione vigente per accedere ai rimborsi elettorali è sufficiente avere almeno un candidato eletto. Questo criterio comune è stato introdotto dalla legge 96 del 2012 (art. 6 abrogato dal ddl in esame) che ha unificato i differenti requisiti previgenti. Per quanto riguarda il cofinanziamento pubblico/privato, la stessa legge 96, che ha introdotto tale tipo di agevolazione, ha prescritto, in mancanza di candidati eletti, il raggiungimento di almeno il 2 per cento dei voti validi.

Si ricorda quanto già rilevato con riferimento all’art. 6 dell’AC 1154, che i requisiti stabiliti dall’art. 9, comma 1, della L.96/2012, che non è oggetto di abrogazione in base all’art. 14 del disegno di legge, non coincidono con quelli stabiliti dall’art. 8 dell’AC 1154 per l’iscrizione nel registro nazionale.

In tal modo sono soggetti all’obbligo di revisione e di presentazione di atti contabili i partiti e movimenti politici che hanno i requisiti in termini di risultati elettorali stabiliti dall’art. 9, comma 1, della L.96/2012; tuttavia siccome si tratta degli stessi soggetti che devono essere iscritti nel registro nazionale, ai fini di tale iscrizione sono assoggettati a requisiti di risultato elettorale diversi.

 

L’accesso ai benefici è subordinato, come già previsto dall’art. 3 della legge 96, alla presentazione di una richiesta formale da parte del partito da presentare secondo le seguenti modalità (commi 2-4):

§  il termine per presentare la richiesta è il 31 gennaio di ogni anno per il quale si richiede l’accesso ai benefici (attualmente il termine è di 30 giorni dalle elezioni);

§  la richiesta è presentata dal rappresentante legale o dal tesoriere del partito alla Commissione di garanzia (in luogo dei Presidenti di Camera e Senato) che entro 30 giorni accoglie o respinge la richiesta (attualmente non è prevista la possibilità di respingere la richiesta);

§  all’esito positivo del’esame della richiesta consegue l’iscrizione del partito politico in una o entrambe le sezioni del registro di cui all’articolo 4;

§  alla richiesta deve essere allegata una dichiarazione attestante la sussistenza dei requisiti, cui si applicano le disposizioni di cui all’articolo 76 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa (DPR 28 dicembre 2000, n. 445) che stabilisce la sanzione penale per chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal medesimo testo unico.

Ulteriori modalità di presentazione della richiesta e di trasmissione della documentazione relativa alla sussistenza dei requisiti richiesti è demandata alla Commissione di garanzia.

In merito a tale procedimento, si osserva che potrebbe decorrere un lasso di tempo anche piuttosto lungo tra il conseguimento, da parte di partiti nuovi, dei requisiti per l’accesso ai benefici, legati alla partecipazione alle elezioni, e la presentazione della richiesta di accesso, per la quale bisognerebbe comunque attendere il 31 gennaio.

Inoltre la previsione del comma 5 di trasmissione da parte dei partiti e dei movimenti politici di documentazione relativa alla sussistenza dei requisiti prescritti non appare coordinata con quella del comma 4 che per gli stessi requisiti stabilisce l’autocertificazione.

Le detrazioni fiscali

L’articolo 9 modifica il regime vigente in materia di detrazioni fiscali per le erogazioni liberali in denaro in favore dei partiti politici. La disciplina è  attualmente contenuta nell’articolo 15, comma 1-bis e 78 del testo unico delle imposte dei redditi (D.P.R. 917/1986) che vengono abrogati (interamente il primo, parzialmente il secondo). La nuova disciplina prevede un aumento sia della percentuale di ogni singola donazione che può essere detratto dall’imposta, sia dell’ammontare massimo della donazione che può essere portata in detrazione.

La detrazione spetta alle donazioni effettuate, a partire dal 2014, ai partiti iscritti nella prima sezione del registro di cui all’articolo 4 (comma 2).

Per quanto riguarda le persone fisiche, il comma 2, modula le detrazioni su due scaglioni: per le piccole donazioni, da 50 e 5.000 euro annui la detrazione spettante è del 52%, mentre rimane al 26% per gli importi superiori fino a 20.000 euro.

In sostanza, le persone fisiche possono effettuare erogazioni in favore di partiti per un ammontare complessivo – cioè eventualmente comprensivo di erogazioni in favore di più partiti – non superiore a 20.000 euro, che beneficieranno di una detrazione strutturata su due scaglioni (52 e 26 per cento). L’assoggettare ad una detrazione di importo maggiore le erogazioni di minor entità (fino a 5.000 euro), ha lo scopo di stimolare i contribuenti a beneficiarne, limitando, contemporaneamente, i minori introiti per l’erario che sarebbero determinati dall’assoggettamento a tale aliquota di tutta la quota ammissibile.

 

Si osserva che sarebbe preferibile introdurre tale ulteriore forma di detrazione novellando l’articolo 15 del TUIR (DPR 22 dicembre 1986, n. 917).

Si segnala che, poiché nell’ordinamento (art. 15, co. 1-bis, DPR n. 917/1986) è già prevista la possibilità di portare in detrazione le erogazioni in denaro in favore di partiti e movimenti politici (24 per cento per il 2013 e 26 per cento a decorrere dal 2014 relativamente a importi compresi tra i 50 e i 10.000 euro annui), l’articolo 14, comma 5, dell’A.C. 1154 ne dispone l’abrogazione a decorrere dal 1° gennaio 2014.

 

Il comma 3 estende la detrazione dal reddito IRPEF, per un importo pari al 52%, anche per le quote di iscrizione a scuole o corsi di formazione politica (sempre che siano organizzati da partiti iscritti al registro) per un importo massimo di 500 euro per ciascuna annualità.

Relativamente ai finanziamenti erogati da società, in base al comma 4, queste possono detrarre un importo pari al 26% (attualmente è del 19%) per gli importi tra 50 a 100.000 euro (attualmente i limiti minimo e massimo sono pari a 51,65 euro e 103.291,38 euro).

Il novero dei soggetti che possono usufruire delle detrazioni viene sensibilmente ridotto: infatti, mentre la normativa vigente prevede che le detrazioni spettano alle società e agli enti commerciali, la disposizione in esame esclude:

§  gli enti nei quali vi sia una partecipazione pubblica;

§  gli enti i cui titoli siano negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri;

§  le società ed enti che controllano, direttamente o indirettamente, i soggetti di cui sopra, ovvero ne siano controllati o siano controllati dalla stessa società o ente che controlla i soggetti medesimi.

 

Si rileva che art. 7, comma 2, della legge 195/1974, vieta i finanziamenti da parte di:

§  società con una partecipazione pubblica superiore al 20%;

§  società controllate da una società con partecipazione pubblica.

 

Si verrebbero così a delineare tre categorie di soggetti:

§  società alle quali è vietato il finanziamento ai partiti;

§  società ed enti ai quali è consentito il finanziamento ai partiti, ma senza il diritto alle detrazioni;

§  società ed enti per i quali è consentito il finanziamento ai partiti, con diritto alle detrazioni.

 

Il citato art. 7 della legge 195/1974, di cui l’art. 14 dell’A.C. 1154 non propone l’abrogazione, reca altre disposizioni rilevanti ai fini del finanziamento privato.

Esso vieta i finanziamenti o i contributi sotto qualsiasi forma diretta o indiretta, da parte di società non comprese tra quelle del comma 2 sopra illustrato in favore di partiti o loro articolazioni politico-organizzative o gruppi parlamentari, salvo che tali finanziamenti o contributi siano stati deliberati dall'organo sociale competente e regolarmente iscritti in bilancio e sempre che non siano comunque vietati dalla legge.

Chiunque corrisponde o riceve contributi in violazione dei divieti previsti, ovvero, per le società, senza che sia intervenuta la deliberazione dell'organo societario o senza che il contributo o il finanziamento siano stati regolarmente iscritti nel bilancio della società stessa, è punito, per ciò solo, con la reclusione da 6 mesi a 4 anni e con la multa fino al triplo delle somme versate in violazione della legge.

 

Occorre notare che il tetto delle erogazioni entro il quale sono concesse le detrazioni per le persone fisiche e per le persone giuridiche è diverso e ed sensibilmente più alto per le seconde. Ciò potrebbe costituire condizioni favorevoli al c.d. "pay-to-play"[14], vale a dire, secondo le parole del Consiglio d’Europa, “strumenti di finanziamento pubblico selettivo e occulto attraverso l’affidamento di commesse pubbliche come ‘corrispettivo’ per il sostegno alle campagne elettorali. Sul punto, il gruppo Greco ha esortato “le autorità italiane a cogliere l'occasione per disciplinare questa importante questione in una futura riforma della materia, in considerazione dei rischi di corruzione che essa può generare”.

 

Inoltre, sia la legislazione vigente, sia l’A.C. 1154 non contengono nessuna disposizione in ordine alle società aggiudicatarie di contratti pubblici o che ricevono sovvenzioni pubbliche. A questo proposito, il rapporto GRECO richiama l'attenzione sull'articolo 5, lett. b), della Raccomandazione Rec (2003) 4, concernente regole comuni contro la corruzione nel finanziamento dei partiti politici e delle campagne elettorali, nella parte in cui chiede agli Stati membri di adottare misure volte a limitare, vietare o comunque regolamentare in modo restrittivo le donazioni da soggetti che forniscono beni o servizi alla pubblica amministrazione.

 

Ulteriori raccomandazioni del Consiglio d’Europa al punto 133 del rapporto GRECO prevedono:

§  introduzione di un divieto generalizzato di donazioni provenienti da donatori la cui identità non sia nota al partito politico e al candidato;

§  riduzione ad un livello appropriato delle attuali soglie di donazione sopra le quali l'identità del donatore deve essere divulgata, vale a dire, 20.000 euro per le donazioni effettuate ai singoli candidati alle elezioni, e 50.000 euro per le donazioni effettuate ai partiti politici.

Ancora, l'articolo 11 della Raccomandazione Rec (2003) 4, sopra menzionata,  impone ai partiti di redigere i bilanci in forma consolidata.

Il Rapporto GRECO ha constato che nell’ordinamento italiano, non vi è alcun “obbligo per i partiti (né si seguono prassi in tal senso) di consolidare la contabilità delle sedi locali. Se, per un verso, deve riconoscersi che per le sedi locali di un piccolo partito può costituire un onere amministrativo eccessivo riferire alla sede centrale dello stesso, per altro verso, non può tacersi che la mancanza di informazioni su come le medesime sedi locali raccolgano e spendano le proprie risorse economiche offra la possibilità di sfuggire al controllo amministrativo e a quello pubblico. Questo stato di cose assume notevole rilevanza in relazione alle ramificazioni operanti in circoscrizioni di dimensioni significative. I rischi di corruzione potrebbero essere particolarmente elevati in tali circoscrizioni, data l’entità delle operazioni economiche che avvengono a livello locale”.

 

Pertanto, il  Rapporto raccomanda di:

§  introdurre metodi per consolidare i bilanci dei partiti politici in modo da includere le sedi locali;

§  adottare misure per accrescere la trasparenza delle entrate e delle spese dei soggetti collegati, direttamente indirettamente, ai partiti politici o altrimenti sotto il loro controllo edei gruppi parlamentari

 

Il comma 5 introduce disposizioni volte a garantire la trasparenza dei finanziamenti privati, prevedendo che i versamenti sia eseguito mediante:

§  versamento bancario;

§  versamento postale;

§  delega irrevocabile ad una banca convenzionata (ai sensi dell’art. 23 del D.Lgs. 241/1997)

Eventuali ulteriori modalità idonee a garantire la tracciabilità delle operazioni e l’esatta identificazione del suo autore e a consentire all'Amministrazione finanziaria lo svolgimento di efficaci controlli, possono essere stabilite con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze da emanarsi ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

Poiché anche l’art. 5, comma 3, ultimo periodo, rinvia a decreto del Ministro dell’economia e delle finanze per individuare le modalità per garantire la tracciabilità dell'operazione e l'esatta identità dell'autore, tale previsione potrebbe riferirsi alla stessa fonte normativa.

Gli oneri derivanti dal minor gettito dovuto alle detrazioni sono calcolati in 20,9 milioni per il 2015 e in 11,9 milioni dal 2016 in poi. La copertura è garantita dai risparmi di spesa disponibili con l’abrogazione (graduale) dei contributi ai sensi del’articolo 14 (comma 6).

Il comma 7 introduce una formula di salvaguardia contabile che riproduce quella prevista dal comma 6 dell’articolo 6 della legge 96/2013: si stabilisce che nel caso di scostamento delle minori entrate rispetto alle previsioni (accertato dall’Agenzia delle entrate) si provvede alla conseguente riduzione dello stanziamento relativo al due per mille (di cui all’articolo 10) con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.

E’ fatta salva la facoltà che la legge di stabilità preveda misure correttive degli effetti finanziari delle leggi allorché si riscontri che dalla loro attuazione derivi un pregiudizio al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica (ai sensi dell'articolo 11, comma 3, lettera l), della legge n. 196 del 2009.

Infine, si prevede che il Ministro dell'economia e delle finanze riferisce alle Camere con apposita relazione in merito alle cause degli scostamenti e all'adozione delle misure di cui al secondo periodo del presente comma.

Destinazione volontaria del 2 per mille

L’articolo 10 del disegno di legge introduce, a decorrere dall’anno finanziario 2014, un meccanismo volontario di contribuzione ai partiti, riconoscendo a ciascun contribuente la facoltà di destinare il 2 per mille della propria imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) in favore di un partito politico (comma 1).

Per beneficiare di tale forma di finanziamento i partiti devono essere iscritti nel registro nazionale e devono aver avuto almeno un candidato eletto sotto il proprio simbolo nell’ultima consultazione elettorale per il Senato, la Camera o il Parlamento europeo (seconda sezione del registro).

I contribuenti effettuano la scelta per la destinazione del 2 per mille in sede di dichiarazione annuale dei redditi, con la compilazione di una scheda recante l’elenco dei partiti politici aventi diritto; può essere indicato un solo partito politico (comma 2).

Il sistema introdotto consente, dunque, a ciascun contribuente di scegliere o meno di destinare il 2 per mille della propria IRPEF ad uno specifico partito politico. In caso di mancata effettuazione della scelta non si determina alcuna attribuzione di risorse e, conseguentemente, le risorse disponibili del fondo di cui al successivo comma 6 restano all’erario.

L’attuazione della disciplina è rimessa ad un regolamento del Ministero dell’economia e delle finanze, da adottare entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge, secondo la procedura dell’art. 17, comma 3, legge n. 400/1988[15] - il quale prevede il parere del Consiglio di Stato, il visto e la registrazione della Corte dei conti e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Il regolamento deve stabilire, in particolare, i criteri, i termini e le modalità per l'applicazione delle disposizioni dell’articolo in esame, in modo da garantire la tempestività e l'economicità di gestione, la semplificazione degli adempimenti a carico dei contribuenti e la tutela della riservatezza delle scelte preferenziali, nonché da agevolare l'espressione della scelta da parte dei contribuenti (comma 3).

Per le finalità di cui all’articolo, il comma 4 autorizza la spesa nel limite massimo di 31,4 milioni di euro per l'anno 2014, di 19,6 milioni di euro per l'anno 2015, di 37,7 milioni di euro per l'anno 2016 e di 55,1 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017, da iscrivere in apposito fondo da istituire nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze.

All'onere derivante dall'istituzione del suddetto fondo si provvede (comma 5) mediante utilizzo di quota parte dei risparmi che si rendono disponibili per effetto della progressiva abolizione del meccanismo di finanziamento diretto ai partiti politici[16], prevista dall'articolo 14, commi 1, lettera b), e 2, del disegno di legge.

Sulla base di quanto riportato nella relazione tecnica riferita a tale ultimo articolo, il meccanismo di finanziamento in questione comporta un onere pari a 91 milioni di euro annui, che, per effetto della progressiva riduzione (nella misura del 40, 50 e 60 per cento negli anni, rispettivamente, 2014, 2015 e 2016) e poi della cessazione disposta dallo stesso articolo 14, commi 1 e 2, a partire dal 2017, determina economie di spesa pari a 36,4 milioni nel 2014, 45,5 milioni nel 2015, 54,6 milioni nel 2016 e 91 milioni dal 2017.

 

Considerando che la spesa risulta configurata come limite massimo, appare opportuno chiarire le conseguenze nel caso in cui il 2 per mille dell’IRPEF dei contribuenti che effettuano la scelta risulti superiore alla spesa autorizzata. In tale ipotesi potrebbe infatti rendersi necessario, ad esempio, procedersi ad una riduzione proporzionale delle somme da destinare ai beneficiari.

Tale criterio è quello utilizzato per la corresponsione delle risorse del 5 per mille, in cui la scelta del contribuente concorre proporzionalmente a determinare l’entità spettante a ciascun beneficiario, entro il tetto di spesa legislativamente autorizzato. In tal senso, l’articolo 11 del D.P.C.M 23 aprile 2010 che ne disciplina la procedura, prevede espressamente che gli importi complessivamente destinati dai contribuenti sulla base del valore della propria IRPEF saranno ripartiti nei limiti di quanto stanziato in bilancio sul relativo Fondo[17].

Su tale questione va altresì tenuto presente che il suddetto limite massimo è suscettibile di essere oggetto di riduzioni qualora, secondo quanto dispone l'articolo 9, comma 7 (espressamente richiamato dal comma 4 dell’articolo in esame) le somme stanziate per la copertura degli oneri derivanti dalle detrazioni per le erogazioni liberali in favore dei partiti previsto dall’articolo 9 medesimo risultino insufficienti.

Va in proposito anche segnalato come la Relazione tecnica sottolinei che, proprio al fine di ribadire che l'ammontare complessivo del 2 per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche da ripartire tra i partiti beneficiari costituisce un tetto massimo di spesa, nell’articolo 10 in commento viene previsto che con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze sia stabilito l'importo massimo da destinare alle finalità in esame, riconducendolo in ogni caso al suddetto limite e assicurando in tal modo l'invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica. Tale previsione non è tuttavia contenuta nell’articolo 10 in esame.

Deve peraltro anche rammentarsi che l’importo annuale del fondo per il 2 per mille, oltre a poter diminuire rispetto allo stanziamento per effetto dell’articolo 9 sopradetto, potrebbe altresì variare in aumento ai sensi dell’art. 13, comma 4, in cui si dispone che al fondo per il 2 per mille possono essere destinate le risorse non utilizzate del fondo per il sostegno indiretto alle attività politiche previsto da tale ultima norma.

Ai sensi del comma 6 dell’art. 10 in esame, le disponibilità iscritte annualmente nel fondo per il 2 per mille, non utilizzate al termine di ciascun esercizio finanziario, non vanno in economia ma sono conservate in conto residui per essere utilizzate negli esercizi successivi.

Secondo la relazione tecnica, tale disposizione è necessaria in considerazione dei tempi tecnici necessari per l’accertamento delle scelte da parte dell’Agenzia delle entrate.

In relazione a quanto precisato nella relazione tecnica, potrebbe risultare opportuno, sia al fine di dar conto delle problematiche tecniche espresse nella relazione stessa, sia al fine di prevenire la eventuale formazione di risorse eccedenti le necessità nel caso del succedersi di quote inutilizzate, di limitare la conservazione in conto residui al tempo necessario per l’accertamento delle scelte da parte dell’Agenzia delle entrate, vale a dire, presumibilmente, al solo esercizio successivo.

In tal senso si è espresso il legislatore con riferimento alle risorse del Fondo destinato al riparto del 5 per mille, il quale ha disposto in via permanente, con l’articolo 23, comma 2, quarto periodo, del D.L. n. 95/2012, il mantenimento in bilancio delle somme stanziate per il 5 per mille e non utilizzate entro il 31 dicembre di ciascun anno ai fini del loro utilizzo nell'esercizio successivo[18].

Si ricorda infine che la legge n. 2/1997 aveva introdotto un sistema analogo di finanziamento della politica, riconoscendo ai contribuenti la facoltà destinare una quota pari al 4 per mille dell'IRPEF al finanziamento dei movimenti e partiti politici.

A differenza della disciplina prevista dall’articolo in esame, il contribuente poteva destinare genericamente il 4 per mille ai movimenti e partiti politici, senza individuare uno specifico partito di riferimento. Le risorse confluivano in un fondo da ripartire tra i partiti che avessero al 31 ottobre di ciascun anno almeno un parlamentare eletto alla Camera o al Senato, in proporzione ai voti validi espressi in ambito nazionale a favore delle liste da essi presentate per l’ultima elezione della Camera (con disposizioni particolari per i partiti espressione di minoranze linguistiche o che non avessero presentato liste).

La disciplina non ha mai trovato di fatto compiuta applicazione, in quanto per il 1997 era prevista una disciplina transitoria e per 1998 si è proceduto alla ripartizione di una somma fissa (110 miliardi di lire), con riserva di conguaglio negli anni successivi.

La normativa sul 4 per mille ai partiti politici è stata poi abrogata dalla legge n. 157/1999, che ha introdotto un nuovo sistema di contribuzione pubblica ai partiti, nella forma dei rimborsi per spese elettorali, prevedendo altresì una disciplina transitoria per il riparto delle somme del 4 per mille (art. 7).

 

I benefici non monetari

Gli articoli 11, 12 e 13 dell’A.C. 1154 dispongono in ordine ai benefici non monetari che costituiscono la seconda categoria di interventi in favore dei partiti previsti dal disegno di legge in sostituzione del regime vigente di sostegno diretto.

 

L’uso di locali di proprietà pubblica

Il primo beneficio, introdotto dall’articolo 11, consiste nella concessione ai partiti di locali di proprietà pubblica, a canone agevolato, da utilizzare per lo svolgimento di attività politiche.

Sono vietate la sub-concessione e la sub-locazione, totali o parziali, a pena di decadenza immediata dalla concessione ovvero della risoluzione di diritto del contratto di locazione

 

In particolare, il comma 1 prevede, in primo luogo, la presentazione da parte del partito di una apposita richiesta alla Agenzia del demanio. Questa verifica tempestivamente la disponibilità di adeguati locali da destinare ai partiti esclusivamente per lo svolgimento di attività politiche. La verifica riguarda sia locali di proprietà dello Stato, sia di proprietà di enti territoriali o di altre pubbliche amministrazioni. In questo secondo caso l’Agenzia del demanio stipula appositi accordi con gli enti territoriali e le amministrazioni interessate, senza oneri a carico della finanza pubblica.

L’individuazione da parte dell’Agenzia del demanio è effettuata tenendo conto delle esigenze allocative che le amministrazioni pubbliche comunicano annualmente all’Agenzia ai sensi dell’art. 2, comma 222, della legge finanziaria 2010 (L. 191/2009).

L’articolo 2, comma 222, della legge n. 191 del 2009 ha introdotto l’obbligo, per le amministrazioni pubbliche, di trasmettere una serie di comunicazioni all’Agenzia del demanio relativamente agli immobili da esse utilizzati, con l’obiettivo di unificare in capo alla stessa Agenzia le procedure riguardanti le locazioni passive e di razionalizzare gli spazi utilizzati dalle amministrazioni. Sono previsti, inoltre, obblighi di comunicazione da parte delle amministrazioni pubbliche anche al fine di redigere il conto patrimoniale dello Stato a prezzi di mercato. Le amministrazioni dello Stato sono quindi tenute a comunicare all’Agenzia del demanio, entro il 31 gennaio di ogni anno, la previsione triennale del loro fabbisogno di spazio e delle superfici occupate che non risultano più necessarie. Al fine di attuare in modo compiuto tale disposizione, il comma 9 dell’articolo 12 del decreto-legge n. 98 del 2011 ha disposto che le amministrazioni comunicano annualmente all'Agenzia del demanio, a decorrere dal 1° gennaio 2013, le previsioni relative alle nuove costruzioni, la cui realizzazione sia programmata nel successivo triennio. Sulla base di tali comunicazioni, l'Agenzia elabora un piano di razionalizzazione degli spazi, trasmettendolo alle amministrazioni interessate e al Dipartimento del tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze.

 

L’Agenzia del demanio, nel valutare la disponibilità di locali da destinare ai partiti che ne facciano richiesta, deve considerare solo quelli adibiti ad uso diverso da quello abitativo e che non siano inseriti nei programmi di valorizzazione e dismissione o vincolati a procedure di cartolarizzazione. Sono esclusi anche quelli della difesa, rientranti nei piani di dismissione disposti dal Titolo IV, Capi I e II del Codice dell’ordinamento militare (D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66).

La norma cardine di questo processo di valorizzazione e dismissione degli immobili pubblici è l'articolo 33 del decreto-legge n. 98 del 2011 con il quale è stata disciplinata la creazione di un sistema integrato di fondi immobiliari, con l’obiettivo di accrescere l’efficienza dei processi di sviluppo e di valorizzazione dei patrimoni immobiliari di proprietà degli enti territoriali, di altri enti pubblici e delle società interamente partecipate dai predetti enti. Con decreto del 19 marzo 2013 è stata istituita la Investimenti Immobiliari Italiani Società di Gestione del Risparmio s.p.a (InviImIt), con il compito di istituire fondi che partecipano a quelli immobiliari costituiti da enti territoriali, anche tramite società interamente partecipate, a cui conferire immobili oggetto di progetti di valorizzazione. I fondi istituiti dalla SGR possono altresì investire direttamente al fine di acquisire immobili in locazione passiva alle pubbliche amministrazioni ovvero partecipare a fondi titolari di diritti di concessione o d'uso su beni indisponibili e demaniali, che prevedano la possibilità di locare tutto o in parte il bene oggetto della concessione. Il decreto-legge n. 95 del 2012 ha introdotto ulteriori modalità operative della società di gestione del risparmio: il MEF, attraverso la SGR, promuove la costituzione di uno o più fondi comuni d’investimento immobiliare, a cui trasferire immobili di proprietà dello Stato non utilizzati per finalità istituzionali (cd. “Fondo diretto”), nonché diritti reali immobiliari; inoltre, il MEF, sempre attraverso la SGR, promuove uno o più fondi comuni di investimento immobiliare a cui conferire gli immobili di proprietà dello Stato non più utilizzati dal Ministero della difesa per finalità istituzionali e suscettibili di valorizzazione (cd. “Fondo difesa”). La legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità per il 2013, articolo 1, comma 140) ha autorizzato per il 2013 la spesa di 3 milioni di euro per l’apporto al capitale sociale della SGR.

All’Agenzia del demanio è stato attribuito il compito di promuovere idonee iniziative per la valorizzazione, trasformazione, gestione e alienazione del patrimonio immobiliare pubblico, non solo di proprietà dello Stato e degli enti vigilati, ma soprattutto degli enti territoriali. In particolare l'articolo 33-bis del D. L. n. 98 del 2011 (introdotto dal decreto legge n. 201/2011) ha riconosciuto all’Agenzia del demanio il ruolo di "facilitatore" nella concertazione istituzionale tra tutti i soggetti pubblici interessati a mettere a sistema i propri patrimoni immobiliari, nell’ambito di un progetto comune di sviluppo, valorizzazione e messa a reddito. Qualora si costituiscano delle società, ad esse partecipano i soggetti che apportano i beni e, necessariamente, l’Agenzia del demanio in qualità di finanziatore e di struttura tecnica di supporto. L'articolo 3, comma 15, del D.L. n. 95 del 2012 ha esteso alle società promosse dall'Agenzia del demanio per la valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, ai sensi dell’articolo 33-bis del D.L. n. n. 98 del 2011, il trattamento fiscale previsto per le Società di investimento immobiliare quotate (SIIQ).

A completamento del quadro sulla valorizzazione degli immobili, si ricorda, che il decreto legislativo n. 85 del 2010, concernente il federalismo demaniale, ha previsto l'individuazione dei beni statali che possono essere attribuiti a comuni, province, città metropolitane e regioni, che ne dispongono nell'interesse della collettività rappresentata favorendone la "massima valorizzazione funzionale". I beni trasferiti possono anche essere inseriti dalle regioni e dagli enti locali in processi di alienazione e dismissione. Qualora l’ente territoriale non utilizzi il bene nel rispetto delle finalità e dei tempi indicati è previsto uno specifico meccanismo sanzionatorio, in base al quale il Governo esercita il proprio potere sostitutivo al fine di assicurare la migliore utilizzazione del bene, anche attraverso il conferimento in un apposito patrimonio vincolato, entro il quale, con apposito D.P.C.M., dovranno, altresì, confluire i beni per i quali non sia stata presentata la domanda di attribuzione. Da ultimo, il decreto legge n. 16 del 2012 ha stabilito che nelle more dell'attuazione del federalismo demaniale le amministrazioni competenti proseguono nella piena gestione del patrimonio immobiliare statale, ivi comprese le attività di dismissione e valorizzazione.

 

Nell’individuare alcuni criteri e requisiti per la concessione delle sedi, si prevede, innanzitutto, quale requisito soggettivo fondamentale per avere diritto dei locali la indisponibilità da parte del partito richiedente di un patrimonio immobiliare “idoneo” per lo svolgimento delle attività politiche. Non vengono chiariti i parametri di idoneità del patrimonio immobiliare,né sono specificate le attività da considerare politiche ai fini della concessione di locali, ma in entrambi i casi, presumibilmente, potrà intervenire il regolamento di attuazione previsto dal comma 3.

Possono presentare richiesta i partiti iscritti nella sezione seconda del registro di cui all’articolo 4, ossia gli stessi che possono usufruire della destinazione del 2 per mille. La disposizione non chiarisce se la titolarità della presentazione dell’istanza spetti solamente al partito nazionale o anche alle sue articolazioni territoriali. Tuttavia, l’indicazione in base alla quale l’agenzia del demanio debba verificare la disponibilità di locali preferibilmente nei capoluoghi di provincia o comunque “in relazione alla circoscrizione degli eletti”, sembra presupporre che anche gli organismi territoriali dei partiti possono presentare richiesta di sedi per le proprie attività.

In particolare, i locali non devono rientrare nelle ipotesi di esclusione di cui al DPR 296/2005, art. 1, comma 1, lett. a) – d).

Si tratta degli immobili:

 a) non idonei o non  suscettibili di uso governativo;

 b) non inseriti nei programmi di dismissione e di valorizzazione di cui ai commi da 01 a 10 dell'articolo 19 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e successive modificazioni;

c) non inseriti nei programmi di dismissione e di valorizzazione di cui al  decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito dalla legge 23 novembre 2001, n. 410;

d) che non sono oggetto delle procedure di cui al decreto-legge 15  aprile 2002, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 giugno 2002, n. 112.

Come già evidenziato non possono essere concessi immobili conferiti al patrimonio degli enti locali secondo quanto previsto dal decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, che ha stabilito appunto l’attribuzione di un proprio patrimonio a comuni, province e città metropolitane, in attuazione della legge sul federalismo fiscale (L. 42/2009).

Tuttavia, tale esclusione andrebbe valutata alla luce della disposizione del medesimo comma 1 che comprende tra gli immobili che possono essere concessi anche quelli di proprietà degli enti territoriali.

 

Il canone agevolato è a carico del partito richiedente che si assume anche gli oneri della manutenzione ordinaria e straordinaria. Inoltre, viene stabilito il divieto di sub-locazione, totale o parziale. La sanzione prevista in caso di violazione di tale divieto, ossia la decadenza immediata della concessione o la risoluzione di diritto del contratto di locazione, fa supporre che il legislatore intenda prevedere come forme di cessione degli immobili appunto la concessione di bene pubblico o la locazione.

Il comma 3 demanda ad un regolamento del Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro 180 giorni, la definizione dei criteri, dei termini e delle modalità di applicazione delle disposizioni introdotte con l’articolo in esame. Al regolamento è demandato espressamente la determinazione dei canoni agevolati.

Presumibilmente il regolamento governativo dovrà inoltre stabilire:

§  i tempi e le modalità di esame delle richieste di sedi da parte dei partiti;

§  i  criteri per la definizione dell’idoneità o meno del patrimonio immobiliare del partito ai fini della richiesta;

§  l’individuazione delle attività politiche consentite nei locali messi a disposizione ai partiti;

§  la tipologia di contratto (concessorio, di locazione) e la durata dello stesso;

§  la durata del contratto stesso e la eventuale previsione di concessione temporanea di locali, ad esempio per la durata della campagna elettorale;

§  eventuali forme di pubblicità e di conoscibilità dei partiti che usufruiscono di immobili pubblici.

Si ricorda che attualmente sono in vigore diverse disposizioni volte ad agevolare l’accesso dei partiti all’utilizzo di immobili di proprietà pubblica, che però riguardano esclusivamente gli enti locali.

La prima si riferisce alle campagne elettorali per le elezioni politiche: l’art. 19 della legge 10 dicembre 1993, n, 515, stabilisce che dalla data di indizione dei comizi elettorali per il rinnovo delle Camere, i comuni sono tenuti a mettere a disposizione dei partiti e movimenti politici presenti nella competizione elettorale i locali di loro proprietà già predisposti per conferenze e dibattiti. La disposizione è cogente, ma nel contempo esclude che dalla concessione dei locali possano derivare oneri per i comuni.

E’ invece facoltativa la possibilità di concedere locali per le campagne elettorali degli altri tipi di elezione e per le attività politiche ordinarie al di fuori dei periodi di campagna elettorale. L’art. 5 della legge 3 giugno 1999, n. 157, prevede che i  consigli comunali e provinciali , possono prevedere nei loro regolamenti forme di  utilizzazione non onerosa di strutture comunali e provinciali idonee ad ospitare manifestazioni ed iniziative dei partiti politici nel rispetto dei princìpi di trasparenza, di pluralismo e di uguaglianza. Gli oneri per l'utilizzazione di tali strutture sono posti a carico dei bilanci dei rispettivi enti. Hanno diritto a tale agevolazione esclusivamente i partiti che hanno rappresentanti eletti nelle elezioni politiche, europee, regionali o locali.

Infine, la legge 6 luglio 2012, n. 96, art. 8, prevede che gli enti locali, con apposito regolamento, possono, anche mediante convenzioni con gli istituti scolastici e con altre istituzioni, mettere a disposizione dei partiti locali per lo svolgimento di iniziative finalizzate allo espletamento dell'attività politica. Le spese di manutenzione e di funzionamento dei locali sono a carico dei partiti, per la quota parte dell’utilizzo effettivo e sono definite da appositi tariffari definiti dalle stesse amministrazioni locali.

Tali disposizioni non sono oggetto di espresse abrogazioni nell’art. 14 del disegno di legge, ponendo così una questione di coordinamento con la normativa vigente, in particolare con l’art. 8 della L. 96/2012.

 

Il secondo tipo di beneficio non monetario, introdotto dall’articolo 12, consiste nell’accesso, a titolo gratuito, da parte dei partiti al servizio pubblico radiotelevisivo per la trasmissione di messaggi di propaganda politica.

In particolare, il comma 1 prevede che la concessionaria del servizio pubblico televisivo metta a disposizione, a titolo gratuito, spazi televisivi per la trasmissione di messaggi pubblicitari da parte dei partiti  per comunicare i propri indirizzi politici. Hanno diritto ad accedere tutti i partiti iscritti al registro di cui al comma 4.

La trasmissione di tali messaggi è consentita al di fuori dei periodi di campagna elettorale di cui all’articolo 12, comma 1-bis, della legge 10 dicembre 1993, n. 515, ossia al di fuori del periodo compreso tra la data di convocazione dei comizi elettorali e il giorno precedente lo svolgimento della votazione.

Si osserva, in proposito, che la disposizione andrebbe coordinata con il divieto di svolgere campagna elettorale nel giorno precedente e in quelli in cui si svolgono le elezioni previsto per diverse forme di propaganda elettorale.

Il comma 1-bis dell’articolo 12 della legge 515/1993, che disciplina le campagne elettorali per le elezioni politiche, è stato introdotto dalla legge 96/2012, colmando così una lacuna normativa. Infatti, il comma 1 del citato articolo 12 pone l’obbligo, in capo ai partiti, di trasmettere il consuntivo delle spese elettorali alle Camere che a loro volta lo trasmettono alla Corte di conti per l’effettuazione dei relativi controlli, senza specificare l’arco temporale cui si debbano riferire tali spese. Il comma 1-bis ha chiarito che le spese da inserire nel consuntivo sono quelle sostenute nel periodo di campagna elettorale, che per tali fini, si considera compreso tra la convocazione dei comizi elettorali e il giorno precedente le elezioni. L’esclusione dei giorni di votazione è dovuta presumibilmente al fatto che in questi giorni è vietata qualsiasi forma di propaganda.

Si ricorda che nell’ordinamento elettorale non vi è una definizione univoca del periodo temporale che si deve considerare di campagna elettorale.

La legge n. 28 del 2000 che regola la campagna elettorale nei mezzi di informazione, prevede che l’arco temporale di regolamentazione della propaganda elettorale su questi mezzi ha inizio dalla data di convocazione dei comizi elettorali ma non indica espressamente quale sia il termine di chiusura della campagna elettorale. Sono peraltro presenti nell’ordinamento alcune disposizioni, che di seguito si richiamano, le quali fanno riferimento a tale termine in relazione a diverse forme o strumenti di propaganda elettorale, fissandolo nelle ore 24 del penultimo giorno precedente le elezioni. Nel giorno precedente ed in quelli stabiliti per le elezioni sono  vietati i comizi, le riunioni di propaganda elettorale diretta o indiretta, in luoghi pubblici o aperti al pubblico, la nuova affissione di stampati, giornali murali o altri e manifesti di propaganda[19] (L. 212/1956, art. 9, comma 1). Nel giorno precedente ed in quelli stabiliti per le elezioni è fatto divieto alle emittenti radiotelevisive private di diffondere propaganda elettorale (D.L. 807/1984, conv. L. 10/1985, art. 9-bis). Il divieto si applica anche alle emittenti del servizio pubblico radiotelevisivo in virtù dell’estensione ad esse, operata in via di prassi, della previsione di cui all’art. 9, comma 1, della legge n. 212 del 1956. Tale estensione è confermata dai provvedimenti della Commissione di vigilanza RAI adottati per regolare la propaganda elettorale nelle emittenti pubbliche in prossimità delle elezioni[20]. Dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino a tutto il penultimo giorno prima della data delle elezioni, gli editori di quotidiani e periodici, che intendono diffondere messaggi politici elettorali, devono darne tempestiva comunicazione sulle testate edite, per consentire ai candidati e alle forze politiche l’accesso ai relativi spazi in condizioni di parità fra loro (L. 28/2000, art. 7, comma 1). Nello stesso periodo (che va dalla data di convocazione dei comizi elettorali, fino a tutto il penultimo giorno antecedente la consultazione elettorale), le emittenti radiofoniche e televisive locali che intendono diffondere messaggi politici autogestiti a pagamento devono dare notizia dell’offerta dei relativi spazi mediante la trasmissione di un avviso (Codice di autoregolamentazione delle emittenti locali, approvato con il D.M. 8 aprile 2004, art. 6, comma 2).

 

Il comma 2 chiarisce che i costi per l’ideazione e la produzione dei messaggi (ma non anche quelli della loro trasmissione, vedi comma 4) sono a carico dei partiti interessati. Inoltre, si stabilisce che tali messaggi pubblicitari, la cui durata non può comunque superare un minuto, non siano considerati nel computo degli indici di affollamento, sia giornaliero, sia orario, stabilito dalle leggi vigenti.

 Per il limite di affollamento pubblicitario, si ricorda che, ai sensi dell’articolo 38, co. 1, del d.lgs. 177/2005, tali limiti, in ciascuna rete della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, non possono eccedere il 4% dell’orario settimanale di programmazione ed il 12% di ogni ora; un’eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2% nel corso di un’ora, deve essere recuperata nell’ora antecedente o successiva .

 

I criteri per l’accesso e la ripartizione degli spazi per la trasmissione dei messaggi, oltre alle ulteriori modalità per l’attuazione del presente articolo, sono demandati ad appositi provvedimento adottati, d’intesa tra loro, dalla Commissione parlamentare di vigilanza RAI e dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nell’ambito della propria competenza (comma 3).

Le competenze della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi sono definite dall’articolo 4, co. 1, della legge n. 103 del 1975. Tra esse, vi è quella relativa alla disciplina diretta delle rubriche di «Tribuna politica» «Tribuna elettorale», «Tribuna sindacale» e «Tribuna stampa» (art. 4 L. 103/1975). Successivamente, la L. 28 del 2000, recante disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica ha implementato tali funzioni attribuendo alla Commissione parlamentare il potere regolamentare relativo alla sua applicazione da parte del servizio pubblico e all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il compito di predisporre un analogo regolamento da parte dei soggetti privati, nonché i compiti applicativi e di controllo. Attualmente i due organi disciplinano quindi, distintamente per i periodi coincidenti e per quelli non coincidenti con campagne elettorali e referendarie, le trasmissioni di comunicazione politica (nelle quali rientrano le Tribune), i messaggi autogestiti e le trasmissioni informative, ciascuno nell’ambito della propria competenza e previa reciproca consultazione. Tra i contenuti più significativi di tale disciplina si menziona il compito di individuare sostanzialmente i soggetti politici rilevanti in ciascuna circostanza (ad esempio, in ciascuna campagna elettorale), ai quali attribuire gli spazi radiotelevisivi disponibili

 

Per quanto riguarda gli oneri derivanti dall’attuazione dell’articolo in esame, per i quali è autorizzata la spesa di 1 milione di euro (comma 4), si provvede utilizzando una parte dei risparmi derivanti dall’abolizione dei rimborsi elettorali ai sensi dell’articolo 14, comma 1, lett. b) e comma 2 (comma 5).

 

Come per l’uso di immobili pubblici, anche per la concessione di spazi televisivi si tratta di una misura già prevista dalla legislazione vigente nella forma dei messaggi politici autogestiti, trasmessi sia dalle emittenti televisive, sia da quelle radiofoniche (mentre l’articolo in esame fa riferimento esclusivamente alle emittenti televisive), a titolo gratuito, obbligatoriamente per la concessionaria di servizio pubblico, in via facoltativa per le emittenti private. E’ quanto prevede l’articolo 3 della legge 22 febbraio 2000, n. 28 (la cosiddetta legge della “par condicio”), legge che l’articolo in esame espressamente fa salva.

La legge 28/2000 è finalizzata a garantire a tutti i soggetti politici la parità di accesso ai mezzi di informazione per la comunicazione politica. La legge disciplina sia le modalità di comunicazione politica al di fuori del periodo di campagna elettorale, sia, in modo più stringente e dettagliato in campagna elettorale.

Nei periodi diversi da quelli pre-elettorali, la legge si limita ad individuare alcuni principi fondamentali riguardanti la comunicazione politica radiotelevisiva, quali imparzialità, equità di accesso, parità di condizioni  nell’esposizione delle opinioni , obbligo di trasmissione di programmi di comunicazione politica, demandando alla Commissione di vigilanza RAI (per la concessionaria del servizio pubblico) e all’Autorità garante delle comunicazioni (per le emittenti private) la definizione di una regolamentazione più dettagliata.

In particolare, l’articolo 2 prevede l’obbligo per le concessionarie radiofoniche nazionali e per le concessionarie televisive nazionali con obbligo di informazione che trasmettono in chiaro di trasmettere programmi di comunicazione politica radiotelevisiva. In questi programmi, che possono assumere le forme di tribune politiche, dibattiti, tavole rotonde, presentazioni in contraddittorio di programmi politici, confronti, interviste , deve essere assicurata parità di condizioni nell’esposizione di opinioni e posizioni.

Inoltre, la legge 28/2000 prevede, sia durante (con una disciplina più stringente per quanto riguarda la ripartizione degli spazi televisivi), sia al di fuori della campagna elettorale, di messaggi politici autogestiti. Per quanto riguarda quelli trasmessi in periodi diversi dalla campagna elettorale (art. 3, L. 28/2000), si prevede, tra l’altro:

§  la gratuità dei messaggi;

§  la trasmissione obbligatoria per la concessionaria pubblica e facoltativa per le emittenti private;

§  la durata, compresa tra tra uno e tre minuti (per le emittenti televisive) e tra 30 e 90 secondi (per le emittenti radiofoniche);

§  l’inserimento dei messaggi all’interno di programma di comunicazione politica;

§  la parità di trattamento tra i partiti politici nell’offerta di spazi per i messaggi.

Per quanto riguarda invece il periodo di campagna elettorale, a partire dall’indizione dei comizi elettorali, la comunicazione politica radiotelevisiva può svolgersi soltanto in alcune forme predefinite: tribune politiche, dibattiti, tavole rotonde, presentazione in contraddittorio di candidati e programmi elettorali, confronti, interviste e ogni altra forma che consenta il confronto tra le posizioni politiche e i candidati in competizione (L. 28/2000, art. 4, comma 1). L’offerta di trasmissioni di comunicazione politica è obbligatoria per le emittenti radiotelevisive nazionali. La partecipazione a tali trasmissioni è in ogni caso gratuita (L. 28/2000, art. 2, comma 4).

Il riparto degli spazi relativa ad ogni singola elezione è disciplinato da provvedimenti della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi e dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (L. 28/2000, art. 4).

La legge distingue, a tal fine, due periodi (L. 28/2000, art. 4, comma 2):

• dalla data di convocazione dei comizi elettorali alla data di presentazione delle candidature, con spazi ripartiti tra i soggetti politici presenti nelle assemblee da rinnovare o comunque presenti nel Parlamento nazionale o europeo;

• dalla data di presentazione delle candidature gli spazi sono invece ripartiti tra i soggetti politici che abbiano presentato candidature in circoscrizioni o collegi nei quali siano compresi almeno il 25% degli elettori interessati alla consultazione elettorale, garantendo l’eventuale presenza di soggetti politici rappresentativi di minoranze linguistiche riconosciute.

Nel secondo periodo della campagna elettorale (decorrente dalla data di presentazione delle candidature), oltre ai programmi di comunicazione politica, possono essere trasmessi messaggi autogestiti gratuiti da parte delle emittenti private nazionali, secondo le modalità specifiche dettate dalla Commissione e dall’Autorità sulla base dei principi fissati dalla legge (L. 28/2000, art. 4, comma 3). L’offerta di spazi per messaggi autogestiti deve essere in ogni caso gratuita. Per la concessionaria del servizio pubblico sussiste l’obbligo di trasmettere tali messaggi e di rendere disponibili le strutture tecniche per la loro realizzazione (L. 28/2000, art. 4, comma 4).

I messaggi sono organizzati in modo autogestito e sono volti alla presentazione, non in contraddittorio, di liste e programmi. Devono avere una durata sufficiente per la motivata esposizione di un programma o di un’opinione politica. La durata deve essere comunque compresa, a scelta del richiedente, tra uno e tre minuti per le emittenti televisive e tra trenta e novanta secondi per le emittenti radiofoniche. I messaggi non possono interrompere altri programmi, né essere interrotti. Ciascun messaggio può essere trasmesso una sola volta in ciascun contenitore. Nessun soggetto politico può diffondere più di due messaggi in ciascuna giornata di programmazione (L. 28/2000, art. 4, comma 3).

Gli spazi per i messaggi devono essere offerti in condizioni di parità di trattamento a tutti i soggetti politici. I messaggi devono essere inseriti in appositi contenitori - separati dalla restante programmazione - e recare l’indicazione “messaggio autogestito” e il nome del soggetto committente. Possono essere previsti fino a un massimo di quattro contenitori per ogni giornata di programmazione (L. 28/2000, art. 4, comma 3).

A partire dalla data di indizione dei comizi elettorali e fino alla chiusura delle operazioni di voto, la presenza di candidati, esponenti di partiti e movimenti politici, membri del Governo, delle giunte e dei consigli regionali e degli enti locali nelle trasmissioni radiotelevisive diverse da quelle di comunicazione politica è ammessa solo nelle trasmissioni informative riconducibili alla responsabilità di una specifica testata giornalistica e deve essere limitata esclusivamente alla esigenza di assicurare la completezza e l'imparzialità dell'informazione. La presenza dei soggetti sopra menzionati nelle altre trasmissioni è invece vietata (L. 515/1993, art. 1, comma 5). Il divieto in questione non sussiste per le trasmissioni messe in onda dalle emittenti locali (L. 313/2003, art. 3, comma 1).

La Commissione di indirizzo e vigilanza dei servizi radiotelevisivi e l'Autorità per le garanzie nelle comunicazione stabiliscono i criteri generali per la realizzazione dei programmi di informazione nei mezzi radiotelevisivi durante il periodo elettorale. Tali criteri devono essere informati agli obiettivi della parità di trattamento, dell'obiettività, della completezza dell'informazione. È espressamente previsto il divieto di fornire indicazioni di voto, anche in forma indiretta, dalla data di convocazione dei comizi alla chiusura delle operazioni di voto (L. 28/2000, art. 5).

La legge 28/2000 prevede inoltre specifiche disposizioni riguardanti le emittenti locali e in materia di comunicazione politica su quotidiani e periodici, organi ufficiai dipartiti, sondaggi elettorali e comunicazione istituzionale.

 

L’articolo 13, prevede l’introduzione di ulteriori forme di contribuzione non monetaria ai partiti politici, attraverso l’adozione da parte del Governo, entro 4 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, di un decreto legislativo che definisca ulteriori forme di sostegno indiretto delle attività politiche in favore dei partiti iscritti nel registro di cui all'articolo 4.

La disposizione pone alcuni princìpi e criteri direttivi che recano altrettante misure di sostegno ed in particolare:

§  prevedere misure finalizzate alla promozione del rapporto partiti/elettori, tra cui agevolazioni tariffarie per le spese postali e telefoniche sostenute al di fuori del periodo della campagna elettorale;

§  prevedere misure di valorizzazione delle attività di formazione politica, in particolare delle giovani generazioni, come la possibilità di usufruire, a canoni agevolati, di strutture pubbliche di soggiorno per l'organizzazione di attività formative a carattere temporaneo o permanente;

§  estendere ai partiti la possibilità di avvalersi, per l'acquisto di beni e servizi funzionali all'esercizio delle attività politiche, degli strumenti e delle procedure di acquisto previsti dalla normativa vigente in favore delle pubbliche amministrazioni;

§  semplificare le procedure per la raccolta e l'autenticazione delle sottoscrizioni necessarie ai fini dello svolgimento di consultazioni elettorali o referendarie, anche attraverso modalità telematiche.

 

Per quanto riguarda il punto 1, ossia la previsione di agevolazioni postali e telefoniche, si tratta di rendere permanente ed eventualmente potenziare una misura già in vigore per il periodo di campagna elettorale delle elezioni politiche.

Infatti, i candidati alle elezioni politiche usufruiscono, nei trenta giorni precedenti la data delle elezioni, di una tariffa postale agevolata per l’invio di materiale elettorale, in misura proporzionale al numero degli elettori iscritti nel collegio o nella circoscrizione elettorale del candidato (L. 515/1993, art. 17).[21]

 

Con riferimento al punto 2, la misura prevista sembrerebbe la medesima prevista dall’articolo 11 del disegno di legge, ossia la concessione a canone agevolato di immobili pubblici ai partiti per lo svolgimento di attività politiche, tra cui rientrano evidentidentemente anche quelle relative alla formazione.

 

Per quanto riguarda il punto 3, Con riferimento a tale criterio direttivo, si osserva che la legislazione vigente già prevede che alle convenzioni quadro stipulate da Consip per l’acquisto di beni e servizi della pubblica amministrazione possono aderire i movimenti o i partiti politici di cui all’articolo 1, comma 1 della legge n. 157/1999 (articolo 24, comma 3, ultimo periodo della legge n. 289/2002).

 

Pertanto, il disegno di legge, con l’utilizzo della locuzione “ampliamento della possibilità di avvalersi, ai fini dell’acquisto di beni e servizi funzionali all’esercizio delle attività politiche, degli strumenti e procedure di acquisto previsti dalla normativa vigente”, sembrerebbe voler consentire - ai partiti politici iscritti nel registro di cui all’articolo 4 – la possibilità di utilizzare, oltre che le convenzioni quadro Consip, tutti gli altri strumenti di acquisto, quali i sistemi e le procedure telematiche di acquisto, vigenti per le altre amministrazioni pubbliche.

 

Si ricorda che le procedure di acquisto di beni e servizi da parte della pubblica amministrazione sono state oggetto di un programma di razionalizzazione, il quale ha preso avvio con la legge n. 488/1999 (legge finanziaria 2000).

Negli ultimi anni, tale programma, finalizzato alla realizzazione di economie di scala per l’intero perimetro della P.A., è stato oggetto di numerosi interventi volti ad implementarne l’ambito sia soggettivo che oggettivo. In tale contesto, CONSIP S.p.A. è la società - con capitale interamente posseduto dal Ministero dell’economia e finanze – alla quale sono attribuite le competenze in materia di realizzazione del Programma di razionalizzazione degli acquisti e le attività di centrale di committenza e di e-procurement per le amministrazioni pubbliche.

Si ricorda che la Società Consip e le Centrali regionali di acquisto della P.A. sono i soggetti competenti a stipulare - anche mediante il ricorso a strumenti e procedure informatiche - convenzioni quadro, con le quali l'impresa fornitrice di beni e servizi si impegna ad accettare ordinativi di fornitura deliberati dalle pubbliche amministrazioni, sino a concorrenza della quantità massima complessiva stabilita dalla convenzione ed ai prezzi e condizioni dalla medesima convenzione previsti (articolo 26, comma 3 della legge n. 488/1999)[22].

Il sistema di e-procurement della P.A., è il sistema delle procedure telematiche di acquisto di beni e servizi della pubblica amministrazione. Parte integrante di esso è il Mercato Elettronico della pubblica amministrazione realizzato da Consip per conto del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), disciplinato dagli artt. 328, 332, 335 e 336 del D.P.R. n. 207/2010 (Regolamento di esecuzione ed attuazione del Codice dei contratti pubblici) e da una serie di norme di carattere generale e speciale che ne regolano il funzionamento.

Il Mercato Elettronico della P.A. (MePA) è un mercato digitale in cui le Amministrazioni abilitate acquistano, per valori inferiori alla soglia comunitaria, i beni e servizi offerti da fornitori abilitati a presentare i propri cataloghi sul sistema.

Consip definisce con appositi bandi le tipologie di beni e servizi e le condizioni generali di fornitura, gestisce l’abilitazione dei fornitori e la pubblicazione e l’aggiornamento dei cataloghi[23].

 

In virtù di recenti interventi legislativi, anche altri enti che esercitano attività non commerciale e la cui forma giuridica è di carattere privatistico sono stati facoltizzati a ricorrere - per l’acquisto di beni e servizi - alle procedure di acquisto centralizzato vigenti per le pubbliche amministrazioni.

L’articolo 7, comma 3 del D.L. n. 52/2012 (legge n. 94/2012) dispone infatti che le organizzazioni non lucrative di utilità sociale di cui al D.Lgs. n. 460/1997, nonché le organizzazioni di volontariato di cui alla legge n. 266/1991, iscritte nei registri istituiti dalle regioni e dalle province autonome possono ricorrere per l'acquisto di beni e di servizi alle convenzioni stipulate dalla società Consip S.p.A., nonché al mercato elettronico della pubblica amministrazione, nel rispetto dei principi di tutela della concorrenza.

La facoltà concessa dal legislatore appare potersi inquadrare in quel complesso di misure agevolative all’attività di carattere solidaristico esercitata dagli organismi non profit, tra le quali rientra, ad esempio, la disciplina fiscale agevolata recata dal D.Lgs. n. 460/1997.

 

Infine, relativamente al punto 4, ossia alla semplificazione delle procedure di raccolta delle sottoscrizioni per la presentazione delle liste elettorali, si tratta effettivamente di una questione talvolta particolarmente onerosa per i partiti, tuttavia essa riguarda esclusivamente i nuovi partiti, in quanto i partiti già rappresentati nelle assemblee da rinnovare sono generalmente esclusi dall’obbligo della raccolta della firme.

Limitandosi alle elezioni politiche, si ricorda che la presentazione delle candidature è effettuata, nell’ambito di ciascuna circoscrizione (per le elezioni della Camera) o circoscrizione regionale (per le elezioni del Senato), per liste di candidati (D.P.R. 361/1957, artt. 18-bis-24.; D.Lgs, 533/1993, artt. 9-11).

La dichiarazione di presentazione di ciascuna lista deve essere sottoscritta da un numero di elettori della circoscrizione rientrante nei limiti minimi e massimi stabiliti in relazione alla diversa ampiezza demografica delle circoscrizioni, per l’elezione della Camera, o delle Regioni, per l’elezione del Senato (D.P.R. 361/1957, art. 18-bis, comma 1; D.Lgs. 533/1993, art. 9, comma 2),

Sia per la Camera, sia per il Senato, in caso di scioglimento che ne anticipi di oltre 120 giorni la scadenza naturale, il numero di sottoscrizioni è ridotto alla metà.

Nessuna sottoscrizione è richiesta (D.P.R. 361/1957, art. 18-bis, comma 2; D.Lgs. 533/1993, art. 9, comma 3):

• per i partiti o gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare in entrambe le Camere all’inizio della legislatura che è in corso al momento della convocazione dei comizi elettorali;

• per i partiti o gruppi politici che siano collegati in coalizione con almeno due partiti o gruppi di cui al punto precedente e che abbiano conseguito almeno un seggio in occasione delle ultime elezioni per il Parlamento europeo con un contrassegno identico a quello depositato ai fini della presentazione delle liste di candidati;

• per i partiti o gruppi politici rappresentativi di minoranze linguistiche riconosciute che abbiano conseguito almeno un seggio in occasione delle ultime elezioni per la Camera o per il Senato.

Nei casi in cui non è richiesta la sottoscrizione da parte degli elettori, la dichiarazione di presentazione delle liste o dei gruppi di candidati può essere sottoscritta, oltre che dal segretario nazionale del partito o del gruppo politico, anche dagli organi periferici incaricati con apposito mandato autenticato da un notaio. La sottoscrizione può anche essere effettuata dai rappresentanti incaricati di depositare le liste di candidati ai sensi dell'art. 17 del D.P.R. 361/1957, a condizione che, nell'atto di designazione, agli stessi sia stato conferito il mandato di provvedere a tale incombenza, oppure essi esibiscano, all'atto della presentazione delle candidature, un apposito mandato autenticato da un notaio (D.L. 161/1976, conv. L. 240/1976, art. 6).

 

Il comma 2 dell’articolo in esame definisce il procedimento di adozione del decreto legislativo di cui al comma 1 come segue:

§  adozione su proposta dei Ministri per le riforme costituzionali e per i rapporti con il Parlamento e il coordinamento dell'attività di Governo, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;

§  espressione del parere delle Commissioni parlamentari competenti, entro 30 giorni dalla trasmissione da parte del Governo;

§  adozione del decreto, anche se il parere parlamentare non sia intervenuto entro 30 giorni;

§  nel caso in cui il termine per l'espressione del parere scada nei 30 giorni che precedono la scadenza del termine finale per l'esercizio della delega o successivamente, quest'ultimo è prorogato di 60 giorni.

Il comma 3 stabilisce il finanziamento dalle misure introdotte dal decreto legislativo, per le quali è autorizzata la spesa complessiva massima di 4 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2014. A tal fine viene costituito un apposito fondo per il finanziamento delle forme di sostegno indiretto alle attività politiche presso il Ministero dell'economia e delle finanze, dove affluiscono le risorse messe a disposizione, che sono ripartite tra le diverse misure ad opera dello stesso decreto legislativo. Le risorse non utilizzate possono essere destinate all'incremento del fondo di cui all'articolo 10, comma 4 (destinazione ai partiti del due per mille), e dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 12, comma 4, per il finanziamento dei messaggi pubblicitari televisivi gratuiti.

ll comma 4 reca la disposizione di copertura finanziaria dell’autorizzazione di spesa per la quale si provvede mediante l’utilizzo di quota parte dei risparmi disponibili prima dalla riduzione e poi dall’abrogazione dei contributi pubblici ai partiti per effetto delle disposizioni recate dall'articolo 14, commi 1, lettera b), e 2.

Tra gli altri strumenti di agevolazione indiretta ai partiti previsti dalla normativa vigente si ricordano i seguenti, attivabili solamente durante la campagna elettorale.

Nei 90 giorni precedenti le elezioni, beneficiano dell’aliquota IVA ridotta al 4% i seguenti beni e servizi, utilizzati per la campagna elettorale, commissionati dai partiti e dai movimenti, dalle liste di candidati e dai candidati (L. 515/1993, art. 18):

• il materiale tipografico, inclusi carta e inchiostri in esso impiegati;

• l’acquisto di spazi d’affissione, di comunicazione politica radiotelevisiva, di messaggi politici ed elettorali sui quotidiani e periodici e siti web;

• l’affitto dei locali e gli allestimenti e i servizi connessi a manifestazioni.

La propaganda elettorale, effettuata in periodo di elezioni nelle forme previste dalla legge n. 212 del 1956 e in conformità con essa,   esente dall’imposta comunale sulla pubblicità (D.P.R. 639/1972, art. 20, comma 1, n. 10).

Disposizioni transitorie e finali

L’art. 14, commi 1-3, consente di mantenere la fruizione del sistema di contribuzione pubblica attualmente vigente, per i partiti e i movimenti politici che se ne avvalgono, per l'esercizio finanziario in corso e i tre esercizi successivi. Tale fruizione è sottoposta a progressive riduzioni nel suddetto arco temporale per cessare dal 2017.

La progressione comporta la fruizione integrale nell’esercizio in corso e successive riduzioni per i restanti esercizi rispettivamente, del 40, del 50 e del 60 per cento dell'importo spettante. Le normative che dispongono il suddetto sistema di contribuzione sono abrogate dal comma 4, ma restano in vigore per gli esercizi finanziari indicati allo scopo della progressiva riduzione della fruizione della contribuzione.

Ipotizzando l’entrata in vigore del disegno di legge nel 2013, i partiti continuano a beneficiare del finanziamento pubblico fino al 2016 nelle seguenti misure:

§  2013: integralmente;

§  2014: riduzione del 40%;

§  2015: riduzione del 50%;

§  2016; riduzione del 60%.

 

Dal 2017 il finanziamento cessa (comma 2).

Il finanziamento attualmente previsto è pari a 91 milioni di euro (art. 1 L. 96/2012) ed è dunque destinato ad essere così ridotto:

(dati in milioni di euro)

 

2014

2015

2016

2017 e ss.

Fondo partiti politici (L n. 96/2012)

91,00

91,00

91,00

91,00

Riduzione ex art. 14, commi 1, lett. b), e 2

-36,40

-45,50

-54,60

-91,00

Fondo partiti politici

54,60

45,50

36,40

0,00

 

Il comma 4 abroga:

·        gli articoli 1 e 3, commi dal secondo al sesto, della legge 18 novembre 1981, n. 659 che prevedono e disciplinano: il diritto dei partiti politici  a un contributo finanziario a carico dello Stato come concorso nelle spese elettorali;

·        l'articolo 1 della legge 8 agosto 1985, n. 413 che disponeva un aumento del contributo dello Stato ai partiti;

·        l’ articolo 9 della legge 10 dicembre 1993, n. 515, il cui comma 1 era già  stato abrogato dalla L.96/2012 : quindi l’abrogazione incide sui commi successivi che riguardano la ripartizione dei fondi per le elezioni della Camera e del Senato, nonché l’art. 9-bis,che riguarda il contributo alle spese elettorali in occasione di elezioni suppletive;

·        l’articolo 12, comma 3, della legge 10 dicembre 1993, n. 515 limitatamente alle parole: «dagli aventi diritto»: tale limitata abrogazione da un lato espunge il riferimento ad un diritto a contribuzione pubblica, dall’altro mantiene il testo dell’intero articolo perché riguarda la pubblicità e il controllo delle spese elettorali di partiti, movimenti, liste e gruppi di candidati;

·        l'articolo 15, comma 13, della legge 10 dicembre 1993, n. 515 limitatamente alle parole: «che non abbiano diritto ad usufruire del contributo per le spese elettorali»: tale abrogazione sopprime il riferimento al diritto alla contribuzione pubblica, ma resta intatto il riferimento all'articolo 9 della stessa legge che prevede il diritto, nonché la previsione cautelare in base alla quale  i Presidenti delle Camere sospendono il versamento del contributo medesimo sino al deposito del consuntivo;

·        l'articolo 15, comma14, della legge 10 dicembre 1993, n. 515 limitatamente alle parole: «che non abbiano diritto ad usufruire del contributo per le spese elettorali» per sopprimere il riferimento al diritto alla contribuzione pubblica;

·        l'articolo 15, comma 16, della legge 10 dicembre 1993, n. 515, limitatamente al secondo periodo: va notato che tale abrogazione, se da un lato sopprime il riferimento al diritto alla contribuzione pubblica e alla stessa contribuzione come base sulla quale applicare le sanzioni per violazione dei limiti delle spese per campagne elettorali, dall’altro però fa completamente venire meno l’impianto sanzionatorio per la violazione di tali limiti;

·        l'articolo 16 della legge 10 dicembre 1993, n. 515, che riguarda il contributo per le elezioni europee;

·        l'articolo 6 della legge 23 febbraio 1995, n. 43; che riguarda l’ammontare del contributo per elezioni regionali;

·        l'articolo 1, commi 1, 1-bis, 2, 3, 5, 5-bis, 6, con esclusione del secondo periodo, 7, 8, 9, 10, della legge 3 giugno 1999, n. 157 che riguardano il rimborso per le spese elettorali sostenute da movimenti o partiti politici per  il rinnovo del Senato, della Camera, del Parlamento europeo e dei consigli regionali: la non menzione del comma 4 e la salvezza del secondo periodo del comma 6 comporta che resti vigente la contribuzione per le spese referendarie;

·        gli articoli 2 e 3 della legge 3 giugno 1999, n. 157;

·        gli articoli 1, 2, 3, 4, 5, 6, 9, commi da 8 a 21, e 10 della legge 6 luglio 2012, n. 96.

 

Per la L. 96/2012, l’abrogazione degli articoli 1, 2, 3, 4 e 6 comporta: l’eliminazione della vigente disciplina del contributo pubblico per le spese elettorali e della disciplina della contribuzione pubblica a titolo di cofinanziamento.

L’abrogazione dell’art. 5 della stessa legge fa venir meno la disciplina degli statuti e degli atti costitutivi – atti costitutivi, si ricorda, non previsti dall’A.C. 1154 – ivi stabilita.

Fra le disposizioni abrogate rientrano anche quelle volte a favorire il riequilibrio di genere nelle candidature alle elezioni (art. 1, comma 7, L. 96/2012) e ad incentivare la partecipazione attiva delle donne alla politica (art. 3 L. 157/1999 e art. 9, comma 13, L. 96/2012).

Resta in vigore l’art. 7 della L. 96/2012, che contiene una specifica disciplina delle detrazioni per le erogazioni liberali in favore di partiti e di movimenti politici, efficace per il 2013 e a regime.

 Considerato che l’art. 9 dell’A.C. 1154 stabilisce una nuova disciplina nella materia, le disposizioni vigenti dovrebbero trovare applicazione solo per il 2013 e, per il resto, dovrebbero ritenersi implicitamente abrogate. Tuttavia, per il fatto che il testo in esame stabilisce espresse abrogazioni evidenziando l’intenzione di non ricorrere ad abrogazioni implicite, appare necessario un coordinamento normativo sul punto.

 

Analoghe considerazioni valgono per l’art. 8 della L. 96/2012, che per l’uso di locali per lo svolgimento di attività politiche prevede una messa a disposizione da parte degli enti locali, con rimborso, secondo tariffari definiti dalle amministrazioni locali, delle spese di manutenzione e di funzionamento dei locali. Anche in tal caso, per il fatto che il testo in esame stabilisce espresse abrogazioni evidenziando l’intenzione di non ricorrere ad abrogazioni implicite, appare necessario un coordinamento normativo..

L’abrogazione dell’art. 10 della L. 96/2012, che riguarda la perdita di legittimazione dei tesorieri a sottoscrivere i rendiconti è connessa alla corrispondente disposizione contenuta nell’art. 7 comma 3 del disegno di legge.

 

Inoltre, a decorrere dal 1o gennaio 2014, per il testo unico delle imposte sui redditi, decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni sono abrogati l'articolo 15, comma 1-bis, e l'articolo 78, comma 1, limitatamente alle parole: «per le erogazioni liberali in denaro in favore dei partiti e movimenti politici di cui all'articolo 15, comma 1-bis, per importi compresi tra 51,65 euro e 103.291,38 euro, limitatamente alle società e agli enti di cui all'articolo 73, comma 1, lettere a) e b), diversi dagli enti nei quali vi sia una partecipazione pubblica o i cui titoli siano negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri, nonché dalle società ed enti che controllano, direttamente o indirettamente, tali soggetti, ovvero ne siano controllati o siano controllati  dalla stessa società o ente che controlla i soggetti medesimi, nonché dell'onere», del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni.

 

Le risorse che si liberano a seguito della riduzione disposta dall’articolo 14, pari a 36, 4 milioni di euro per il 2014, 45,5 milioni per il 2015, 54,6 milioni per il 2016 e 91 milioni a decorrere dal 2017 sono utilizzate per coprire gli oneri derivanti dai benefici economici previsti dal disegno di legge in esame.

Le risorse residue dopo questo utilizzo sono destinate dall’articolo 15 al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato.

 

La tabella seguente riepiloga l’utilizzo delle risorse che si liberano a seguito della riduzione del Fondo per i partiti politici:

(dati in milioni di euro)

 

2014

2015

2016

2017 e ss.

Riduzione Fondo partiti politici

36,4

45,5

54,6

91

Maggiori detrazioni fiscali (art. 9)

0

-20,9

-11,9

-11,9

2 per mille (art. 10)

-31,4

-19,6

-37,7

-55,1

Messaggi pubblicitari (art. 12)

-1

-1

-1

-1

Delega sostegno indiretto attività politiche (art. 13)

-4

-4

-4

-4

Risorse per il Fondo ammortamento titoli di Stato

0

0

0

19

 

I risparmi derivanti dall’applicazione del disegno di legge governativo, da destinare al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, sono dunque pari a 19 milioni di euro annui e decorrerono dal 2017.

 

 

 

L’articolo 16 delega il Governo ad adottare, con un decreto legislativo, un testo unico, per riunire le disposizioni del testo in esame e le altre disposizioni legislative in materia tuttora vigenti, con potere di modifica limitato al solo coordinamento normativo.

Oltre alla materia finora esaminata, la delega comprende anche le vigenti disposizioni in tema di :

§  disciplina dell'attività politica e dello svolgimento delle campagne elettorali, anche in relazione alla regolamentazione della comunicazione politica;

§  agevolazioni in favore di candidati alle elezioni, di partiti, movimenti politici

§  e gruppi politici organizzati e rendicontazione delle spese sostenute in occasione delle consultazioni elettorali e referendarie;

§  attività di controllo e disciplina sanzionatoria.

La natura meramente compilativa dell’intervento oggetto di delega emerge anche dai seguenti princìpi e criteri direttivi stabiliti dal comma 2:

§  puntuale individuazione del testo vigente delle norme;

§  ricognizione delle norme abrogate, anche implicitamente, da successive disposizioni;

§  coordinamento del testo delle disposizioni vigenti in modo da garantire la razionale applicazione nonché la coerenza logica e sistematica della normativa;

§  aggiornamento e semplificazione del linguaggio normativo.

Lo schema del decreto legislativo è adottato su proposta dei Ministri per le riforme costituzionali e per i rapporti con il Parlamento e il coordinamento dell'attività di Governo, previo parere del Consiglio di Stato, che si esprime entro quarantacinque giorni dalla data di trasmissione. Lo schema del decreto è trasmesso alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica ai fini dell'espressione del parere delle Commissioni parlamentari competenti, entro trenta giorni dalla data di trasmissione. Decorso tale termine, il decreto può essere comunque adottato. Qualora il termine per l'espressione del parere scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine finale per l'esercizio della delega o successivamente, quest'ultimo è prorogato di sessanta giorni.

 

Diversi tentativi sono stati fatti, di cui l’ultimo con l’art.15 della L.96/2012, per giungere ad un testo che contenga tutte le disposizioni in materia, senza però pervenire all’adozione di un testo.

Eppure il quadro normativo complessivo della materia – in cui varie fonti restano in vigore solo per alcune disposizioni o dettano discipline che parzialmente si sovrappongono rendendo difficile l’opera dell’interprete che resta così riservata ad una ristretta cerchia di operatori e risulta non trasparente per i cittadini - richiede un intervento di razionalizzazione ormai da tempo, come rilevato anche dal Rapporto GRECO.

 

Tale rapporto, al punto 126 nota che “L'attuale quadro normativo sul finanziamento della politica è complesso e frammentato in diverse fonti normative (oltre dieci), che sono state oggetto di varie modifiche nel corso degli ultimi quattro decenni. Gli interlocutori incontrati dal GET hanno richiamato l’attenzione sulla "stratificazione" delle norme in questo settore (molteplicità dei soggetti politici interessati, dei tipi di finanziamenti pubblici concessi, dei livelli territoriali, ecc). La maggior parte degli intervistati ha convenuto che la mancanza di uniformità nella legislazione rappresenta un ostacolo evidente per quanto concerne la trasparenza e l'efficacia del sistema di finanziamento dei partiti. Il GET ritiene che la situazione attuale, che è ben lungi dall'essere ideale, pregiudica la corretta attuazione e l'efficacia della legge stessa, che appare macchinosa per gli operatori e non consente alla collettività di avere una visione complessiva delle norme applicabili. Pertanto, appare improcrastinabile una riforma di ampio respiro, in stretta consultazione con i partiti politici, che permetta l’adozione di un testo unico delle norme sul finanziamento alla politica, assicurandone coerenza, efficacia e completezza.

 

L’art. 17 definisce, come all’inizio illustrato, la platea dei destinatari delle disposizioni contenute nel disegno di legge e dispone l’ entrata in vigore della legge il giorno successivo alla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, escludendo la vacatio legis di quindici giorni.


 

Le proposte di legge di iniziativa parlamentare

Oggetto e finalità delle proposte

Le proposte di legge abbinate all’esame dell’A.C. 1154 presentano un oggetto parzialmente differente.

Un primo gruppo di proposte, costituite da A.C. 15 (popolare), A.C. 255 (Formisano) A.C. 664 (Lombardi), A.C. 733 (Boccadutri),  A.C. 961 (Nardella), interviene sulla materia del finanziamento dei partiti politici, prevalentemente modificando o eliminando l’attuale sistema di contribuzione pubblica mediante rimborsi elettorali ed incentivando il finanziamento privato.

In particolare, le proposte di legge A.C. 15 e A.C. 961 recano disposizioni per l’abolizione, parziale o integrale, dei rimborsi per le spese elettorali previsti dalle norme vigenti e introducono una nuova disciplina dei contributi volontari in favore di partiti e movimenti politici, assistiti da un favorevole credito d’imposta, attraverso il quale si intendono incentivare soluzioni strutturali nell’organizzazione e nell’attività dei partiti stessi.

La proposta A.C. 255 prevede e disciplina la costituzione di un Fondo del 4 per mille destinato al finanziamento dei partiti e movimenti politici. Inoltre, il contenuto della proposta si caratterizza per l’introduzione di una disciplina unitaria sulle elezioni primarie per la designazione a tutte le cariche politiche e amministrative, ove previste.

La proposta A.C. 733 sostituisce all’attuale disciplina del finanziamento dei partiti un nuovo sistema, fondato sul rimborso delle spese relative alla campagna elettorale effettivamente sostenute e documentate, oltre che sul riconoscimento di un credito di imposta per i contributi volontari delle persone fisiche. La proposta di legge istituisce inoltre un elenco nazionale, presso la Camera dei deputati, cui sono tenuti ad iscriversi tutti i movimenti e partiti che abbiano almeno un eletto all’interno di un consiglio regionale, del Senato, della Camera o del Parlamento europeo, indipendentemente dalla richiesta del rimborso elettorale. Condizione per l’iscrizione nel registro è il deposito di uno statuto che risponda ai requisiti previsti dalla legge.

La proposta di legge A.C. 664, oltre a disporre l’abolizione dell’attuale sistema di contribuzione pubblica, effettua diversi interventi sulla disciplina attuale tra cui: elevato contenimento delle spese per le campagne elettorali; abbassamento a 1000 dell’attuale soglia di 5000 euro, oltre la quale finanziatore e destinatario del finanziamento sono tenuti ad effettuare una dichiarazione congiunta; abbassamento della detraibilità delle erogazioni private ai partiti; reintroduzione dell’imposta sulle successioni e sulle donazioni per i trasferimenti a favore dei partiti; rafforzamento del controllo sui bilanci dei partiti; introduzione di un apparato sanzionatorio a carico delle società di revisione. I risparmi derivanti dagli interventi previsti sono destinati all’istituzione di un fondo rotativo per le micro e piccole imprese. 

 

Un secondo gruppo di gruppo di proposte, rappresentate da A.C. 186 (Pisicchio), A.C. 199 (De Lello) e 681 (Grassi), sono finalizzate ad introdurre una disciplina organica dei partiti politici, in attuazione dell’articolo 49 della Costituzione. Nel complesso le proposte intervengono essenzialmente sul riconoscimento giuridico dei partiti e sulla regolamentazione della loro attività e funzionamento. Pertanto, tali proposte non innovano la disciplina del finanziamento pubblico, limitandosi a subordinare il rimborso delle spese elettorali e l’accesso ad ogni altra risorsa pubblica al rispetto della forma-partito disciplinata dalla legge.

Il contenuto dei progetti di legge è illustrato di seguito secondo una articolazione per temi.

Natura dei partiti politici

Diversamente dal disegno di legge del Governo, alcune proposte di legge intendono attribuire ai partiti politici la natura di associazioni riconosciute e dunque dotate di personalità giuridica in base al DPR n. 361/2000.

 

In particolare, l’A.C. 199 - pur qualificando i partiti politici (art. 1) come «libere associazioni» - richiede che questi ottengano il riconoscimento della personalità giuridica, in base al D.P.R. n. 361/2000. Per conseguirlo i fondatori dovranno depositare – oltre all’atto costitutivo e allo statuto («contenente il progetto politico del partito») – il nome e il simbolo del partito.

Analogamente dispone l’art. 1 dell’A.C. 681I partiti politici sono associazioni riconosciute dotate di personalità giuridica»).

La proposta di legge A.C. 186, pur prevedendo anch’essa l’acquisizione della personalità giuridica dei partiti politici (definita «di diritto privato»), non fa riferimento al D.P.R. 361/2000 e fa decorrere l’acquisizione dalla data di deposito dello statuto e non dalla registrazione. Inoltre, prevede la costituzione di un registro dei partiti politici presso la Corte costituzionale, differenziando così il partito politico dalle altre associazioni riconosciute, il cui registro, come si è detto, è istituito presso la prefetture (artt. 1 e 2).

 

La proposta A.C. 199 (articolo 3) introduce una disciplina speciale degli elementi costitutivi del partito, che attualmente sono quelli propri delle associazioni non riconosciute (cfr. supra), affermando che per costituirsi il partito politico necessita di:

§  una pluralità di persone;

§  un patrimonio;

§  un nome;

§  un simbolo, identificativo in modo univoco del partito;

§  un progetto politico, ovvero gli obiettivi politici, i valori ideali e il programma del partito (che costituisce parte del contenuto dello Statuto).

 

Quanto alla disciplina transitoria, l’art. 19 dell’A.C. 199 prevede che i partiti che alla data di entrata in vigore della legge abbiano rappresentanti in Parlamento (o in almeno tre consigli regionali) acquistano ope legis la natura di associazioni riconosciute come persone giuridiche, avendo a disposizione un anno per conformare la propria organizzazione interna alla prescrizioni legislative, pena il venir meno di ogni beneficio pubblico.

Contenuto degli statuti dei partiti politici

Alcune proposte di legge individuano i contenuti tipici dello statuto, che ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del D.P.R. 361/2000, costituisce l’elemento fondante dell’associazione e deve essere presentato, assieme all’atto costitutivo, con la domanda per il riconoscimento di personalità giuridica, alla prefettura nella cui provincia è stabilita la sede dell'ente.

 

Si ricorda che lo statuto è oggi elemento costitutivo delle associazioni che intendano richiedere il riconoscimento della personalità giuridica mentre per le altre associazioni non è richiesto. Al fine del riconoscimento della personalità giuridica di associazioni e fondazioni l’art. 16 del codice civile richiede che l’atto costitutivo e lo statuto contengano la denominazione dell'ente, l'indicazione dello scopo, del patrimonio e della sede, nonché le norme sull'ordinamento e sull'amministrazione. Devono anche determinare, quando trattasi di associazioni, i diritti e gli obblighi degli associati e le condizioni della loro ammissione. L'atto costitutivo e lo statuto possono inoltre contenere le norme relative all’estinzione dell'ente e alla devoluzione del patrimonio. Quanto alla forma dell’atto, attualmente il codice civile (art. 14) prescrive che assuma la forma di atto pubblico l’atto costitutivo dell’associazione riconosciuta, non anche lo statuto.

 

Alcune proposte prevedono la presentazione, assieme allo statuto, anche del simbolo del partito (A.C. 681, art. 3, comma 2).

Lo statuto (comprese le eventuali modificazioni) è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale (A.C. 199, art. 4; A.C. 681, art. 3). Per le proposte A.C. 199 e A.C. 681 la pubblicazione dello statuto entro un mese dal riconoscimento della personalità giuridica è condizione indispensabile per accedere ai rimborsi elettorali e a qualsivoglia beneficio pubblico.

La proposta A.C. 186 rinvia a sanzioni speciali penali (peraltro non determinate) per la violazione degli obblighi di deposito degli atti di partito, tra cui lo statuto (art. 9, comma 3).

 

Le proposte di legge A.C. 186, A.C. 199 e A.C 681 individuano alcuni elementi fondamentali degli statuti dei partiti politici. Un nucleo di elementi di base riguardano:

§         la definizione degli organismi dirigenti;

§         le procedure di iscrizione;

§         le modalità di svolgimento dei procedimenti deliberativi.

 

La proposta A.C. 199 (articolo 4) prevede che nello statuto siano definite le modalità di iscrizione al partito, i diritti e i doveri degli iscritti e le sanzioni conseguenti all’inosservanza dei doveri. In particolare la disposizione stabilisce che lo statuto deve essere redatto con atto pubblico.

La proposta A.C. 186 consente l’iscrizione ai partiti ai soli cittadini italiani (art. 2).

Si segnala, in proposito che l’Italia ha aderito alla Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale fatta a Strasburgo nel 1992 tra i Paesi membri del Consiglio d’Europa (ratificata con legge 8 marzo 1994, n. 203), con la quale vengono garantiti agli stranieri residenti nei Paesi aderenti una serie di diritti civili e politici: in particolare con il capitolo A della Convenzione si impegnano le Parti a riconoscere agli stranieri, alle stesse condizioni previste per i cittadini, le libertà di espressione, di riunione e di associazione, ivi compresa quella di costituire sindacati e affiliarsi ad essi, ferme restando le eventuali limitazioni per ragioni attinenti alla sicurezza dello Stato, alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e ad altri casi di particolare rilievo.

Democrazia interna

Un secondo nucleo di elementi costitutivi obbligatori degli statuti è rivolto essenzialmente a garantire adeguate forme di democrazia interna. Essi si possono riassumere come segue:

§      la tutela delle minoranze;

§      la presenza di procedure specifiche per le modifiche statutarie;

§      una regolamentazione delle azioni disciplinari;

§      la piena possibilità di accesso all’anagrafe degli iscritti da parte di tutti gli aderenti, nel rispetto delle regole sulla riservatezza stabilite dalla legge;

§      misure di riequilibrio della rappresentanza di genere negli organi dirigenti del partito; di particolare rilievo la previsione del limite della rappresentanza di ciascun genere fissato a due terzi (si v. pdl A.C. 681).

A proposito delle misure di tutela delle minoranze, la proposta A.C. 199 si caratterizza per il riferimento a quelle «formalmente costituite» nel partito, alle quali spetta il diritto a presiedere gli organi di garanzia, ad ottenere quote delle risorse pubbliche e ad essere rappresentate in tutti gli organi collegiali, attraverso una rigorosa applicazione del metodo proporzionale.

La stessa proposta A.C. 199 attribuisce allo statuto del partito il compito di definire il metodo democratico di cui all’art. 49 della Costituzione. In particolare, l’art. 2 della proposta delinea gli elementi costitutivi del metodo democratico, individuandoli, tra l’altro, nell’affermazione del principio di uguaglianza tra tutti gli iscritti e del loro diritto a concorrere alla determinazione della linea politica attraverso varie forme di partecipazione, tra le quali espressamente il referendum; nella previsione di azioni volte al riequilibrio della rappresentanza.

La proposta A.C. 186 assicura la rappresentanza delle minoranze in tutti gli organi deliberativi e di controllo mediante il divieto di votare per più di due terzi degli eligendi (art. 4, co. 3). L’articolo 5 della medesima proposta attribuisce a minoranze qualificate di iscritti o organizzazioni di base il potere di indire l’assemblea o il congresso decorso un trimestre dalla scadenza del mandato di qualsiasi organo elettivo, nonché fissa limiti inderogabili alla durata delle gestioni commissariali del partito. L’articolo 7 accorda ad un decimo dei membri dell’organo a cui spetta per statuto procedere alla designazione dei candidati, il potere di richiedere l’intervento di un notaio. Infine, la proposta prevede organismi interni di garanzia (art. 8) mediante la costituzione presso le articolazioni territoriali dei partiti di organi probivirali.

 

La proposta A.C. 681 stabilisce anche la previsione, da parte degli statuti, di misure per garantire l’effettiva segretezza del voto, laddove disposto, nonché le modalità di selezione delle candidature mediante elezioni primarie o elezioni a scrutinio segreto. L’A.C. 186, invece, fissa il principio in base al quale tutte le votazioni che importano valutazioni su persone, incluse le elezioni a cariche interne e la designazione delle candidature, avvenga a scrutinio segreto (art. 4, co. 1).

 

Elenco nazionale dei partiti politici

L’articolo 4 della proposta A.C. 733, con una novella all’art. 5, L. 96/2012, introduce l’obbligo per le liste, i partiti e i movimenti politici di iscrizione in un elenco nazionale, appositamente istituito presso la Camera dei deputati.

L’obbligo è previsto “anche ai fini dei rimborsi previsti dalla presente legge”.

Come chiarito dal successivo art. 6, comma 1, l’obbligo di iscrizione, così come l’obbligo di rendicontazione (ex art. 9 L. 96/2012), si applica a tutte le liste, i partiti e i movimenti politici che abbiano ottenuto almeno un eletto all'interno di un consiglio regionale, della Camera, del Senato o del Parlamento europeo, anche in assenza della richiesta di rimborso elettorale.

L'iscrizione si perfeziona con il deposito presso la Camera dello statuto, e di ogni eventuale successiva modifica, che deve prevedere:

a) lo svolgimento di un'assise congressuale democratica almeno ogni tre anni;

b) la presenza di organismi decisionali plurali, che decidono sulla base del principio democratico;

c) la presenza di organismi di garanzia;

d) la presenza di organismi di controllo contabile, retti da soggetti iscritti all'ordine dei revisori contabili;

e) l'attestazione dell'avvenuto deposito dello statuto presso un notaio.

I soggetti iscritti nell'elenco trasmettono annualmente alla Camera, in via telematica, una dichiarazione attestante la permanenza dei requisiti.

Nel caso in cui una lista risulti dall'unione di diverse liste, partiti o movimenti, i requisiti si applicano alle singole componenti.

Ai sensi dell’art. 11 della proposta A.C. 733, l’istituzione e la tenuta dell’elenco nazionale, con i relativi controlli sono disciplinati con decreto del Presidente della Camera.

Anche la proposta A.C. 961 prevede l’istituzione di un elenco nazionale dei partiti presso il Ministero dell’interno (articolo 3, co. 4), per la cui disciplina si rinvia, infra, al paragrafo sul finanziamento.

 

L’anagrafe degli iscritti

L’art. 5 dell’A.C. 199 disciplina l’anagrafe degli iscritti, prevedendo che il partito debba annualmente aggiornare l’elenco dei propri iscritti e depositarlo presso le Presidenze delle Camere; tale comunicazione è condizione necessaria (al pari della pubblicazione dello statuto nella Gazzetta Ufficiale) per accedere alle risorse pubbliche. La disposizione precisa che il trattamento dei dati relativi agli iscritti dovrà avvenire nel rispetto del c.d. Codice della privacy (d.lgs. n. 196/2003).

 

Si ricorda che l’iscrizione ad un partito politico costituisce di per sé un dato sensibile e che, ai sensi dell’art. 26, comma 4, lett. a) del Codice della privacy, i dati sensibili possono essere oggetto di trattamento anche senza consenso, previa autorizzazione del Garante, «quando il trattamento è effettuato da associazioni, enti ed organismi senza scopo di lucro, anche non riconosciuti, a carattere politico, filosofico, religioso o sindacale, ivi compresi partiti e movimenti politici, per il perseguimento di scopi determinati e legittimi individuati dall'atto costitutivo, dallo statuto o dal contratto collettivo, relativamente ai dati personali degli aderenti o dei soggetti che in relazione a tali finalità hanno contatti regolari con l'associazione, ente od organismo, sempre che i dati non siano comunicati all'esterno o diffusi e l'ente, associazione od organismo determini idonee garanzie relativamente ai trattamenti effettuati, prevedendo espressamente le modalità di utilizzo dei dati con determinazione resa nota agli interessati all'atto dell'informativa».

Nell’ultima autorizzazione al trattamento di tali dati – resa dal Garante lo scorso dicembre 2012 e valida per tutto il 2013 – l’Autorità ha precisato che «i dati personali relativi a sostenitori, sovventori e aderenti a partiti, movimenti, associazioni o organizzazioni a carattere politico possono essere diffusi, per finalità volte a garantire la trasparenza, solo con il consenso scritto degli interessati, previo rilascio di un'idonea informativa che evidenzi con sufficiente chiarezza la prevista diffusione».

 

l rispetto del Codice della privacy esclude dunque che i dati comunicati alle Camera possano essere diffusi o resi altrimenti pubblici.

Organi dei partiti

Gli articoli da 6 a 11 dell’A.C. 199 disciplinano l’organizzazione territoriale e gli organi del partito politico che vengono individuati in:

-        assemblea degli iscritti (l’art. 7 della pdl si caratterizza per prevedere l’espressione del voto da parte degli iscritti anche per via telematica);

-        organo esecutivo collegiale (nel quale deve essere garantita, in base all’art. 8, la rappresentanza delle minoranze) e monocratico (cui è attribuita la rappresentanza legale dell’ente);

-        organi collegiali di garanzia (art. 9);

-        organi collegiali e monocratici di gestione patrimoniale, finanziaria e contabile (art. 10). In particolare la proposta richiede che i componenti di questi organi siano scelti tra coloro che presentano i requisiti di onorabilità richiesti per gli esponenti aziendali delle banche[24];

-        organi collegiali di controllo (amministrativo e contabile, ai sensi dell’art. 11).

 

Tali previsioni possono essere lette alla luce delle norme che regolano la rappresentanza delle persone giuridiche, prevedendo organi che agiscono in nome e per conto dell'ente e nel suo interesse. Per le persone giuridiche spetta all'atto costitutivo o allo statuto designare coloro che, tra gli amministratori, hanno anche la rappresentanza e fissare i limiti per l'esercizio di tale potere. Qualora gli atti posti in essere dagli organi rappresentativi eccedano tali limiti, non vincoleranno l'ente, a condizione però che le limitazioni risultino iscritte nel registro delle persone giuridiche: l'iscrizione è infatti necessaria per opporle ai terzi, a meno che non si provi che questi ne erano comunque a conoscenza (art. 19 c.c.).

L'assemblea degli associati ha la funzione di decidere su tutte le questioni di maggiore importanza riguardanti la vita dell'ente e il suo operato: può modificare lo statuto e l'atto costitutivo, deliberare lo scioglimento dell'associazione e la devoluzione del suo patrimonio, approva il bilancio, nomina e revoca gli amministratori ed esercita l'azione di responsabilità nei loro confronti, può escludere gli associati ed esercitare tutti gli altri compiti che le siano affidati dall'atto costitutivo (art. 21 c.c.). Si riunisce almeno una volta all'anno per l'approvazione del bilancio, tutte le volte che ve ne sia la necessità o quando ne sia fatta richiesta motivata da almeno un decimo degli associati; adotta le sue decisioni a maggioranza dei voti, in presenza di almeno la metà degli associati nella prima convocazione, mentre la seconda deliberazione è valida quale che sia il numero degli intervenuti; nelle deliberazioni che approvano il bilancio e in quelle relative alla loro responsabilità, gli amministratori non possono votare (artt. 20 e 21 c.c.). Altre maggioranze sono previste dalla legge per deliberazioni specifiche (ad es., per modificare l'atto costitutivo o lo statuto). La legge, al fine di tutelare le minoranze di opinione diversa da quella della maggioranza e i diritti individuali dei singoli associati, ha previsto l'annullabilità di quelle deliberazioni contrarie alla legge, all'atto costitutivo e allo statuto, su istanza degli organi dell'ente, di qualunque associato o del pubblico ministero (art. 23 c.c.). In caso di annullamento, sono fatti salvi i diritti acquistati dai terzi in buona fede in base agli atti compiuti in esecuzione della deliberazione annullata. Qualora sussistano gravi motivi, il presidente del tribunale o il giudice istruttore, su istanza di colui che ha impugnato la deliberazione, può anche sospendere l'esecuzione.

Agli amministratori (che spesso cumulano in sé anche i poteri rappresentativi) spetta decidere sull'ordinaria gestione degli affari e dare esecuzione alle delibere assembleari: essi sono responsabili verso l'ente per il proprio operato secondo le norme sul mandato (art. 18 c.c.). La responsabilità non si estende comunque a quello degli amministratori che non abbia partecipato all'atto causativo del danno, salvo il caso in cui, essendo a conoscenza dell'atto che si stava per compiere, non abbia reso noto il proprio dissenso.

Quanto agli organi di controllo contabile occorre invece far riferimento alla disciplina specifica delle società per azioni e segnatamente al collegio sindacale (art. 2397 e seguenti del codice civile). Il codice civile prescrive che almeno un sindaco debba essere scelto tra i revisori legali iscritti nell’apposito registro e che gli altri sindaci debbano essere scelti tra gli iscritti in alcuni albi professionali o tra professori universitari in materie economiche o giuridiche.

 

In ordine alla formulazione del testo, appare opportuno chiarire a quale organo spetta la rappresentanza legale dell’ente, in quanto gli articoli 8 e 10 la attribuiscono a soggetti diversi.

 

Gli articoli da 12 a 14 della proposta A.C. 199 disciplinano il regime degli atti di amministrazione patrimoniale e la responsabilità degli organi del partito.

In particolare, l’art. 12 fa salva l’applicabilità delle disposizioni del codice civile sulla nullità e l’annullabilità del contratto ma afferma anche che tutti gli atti di amministrazione che non sono volti alla mera conservazione del patrimonio:

-        sono nulli, purché non se ne dimostri il collegamento funzionale con la finalità «di concorrere a determinare la politica nazionale, regionale, locale»;

-        sono inefficaci, purché non se ne dimostri il collegamento funzionale con il progetto politico del partito, come enunciato nello statuti.

La nullità è insanabile mentre all’inefficacia può porre rimedio l’assemblea generale degli iscritti che delibera a maggioranza assoluta dei componenti.

 

In merito si valuti l’opportunità di chiarire la natura dell’organo «assemblea generale degli iscritti», non definito dall’art. 7 della proposta. In particolare, considerando un partito rappresentativo a livello nazionale, dovrebbe essere valutata l’ampiezza del quorum richiesto per l’assunzione della deliberazione.

 

L’articolo 13 disciplina la responsabilità degli organi di gestione verso il partito stabilendo che nell’organo collegiale non è responsabile il membro che non abbia partecipato all’atto che ha causato un danno ovvero che dimostri di essere esente da colpa.

L’azione di responsabilità contro gli organi di gestione sono deliberate dall’«assemblea generale degli iscritti»; gli iscritti hanno diritto di accesso agli atti di amministrazione e ad ottenere annualmente – salvo che lo statuto disponga diversamente – il rendiconto di amministrazione.

 

L’articolo 13 riprende il modello attualmente vigente per le associazioni in base all’art. 22 del codice civile. La disposizione codicistica dispone infatti che le azioni di responsabilità contro gli amministratori delle associazioni per fatti da loro compiuti siano deliberate dall'assemblea e esercitate dai nuovi amministratori o dai liquidatori.

 

Il successivo articolo 14 disciplina la responsabilità degli amministratori verso i terzi, affermando che – ferma la possibilità dei terzi di agire nei confronti del patrimonio del partito – gli amministratori rispondono personalmente del danno patito dai terzi che abbiano confidato senza colpa nella validità o nell’efficacia del contratto.

 


 

Finanziamento dei partiti

La proposta di legge A.C. 15

La proposta di legge di iniziativa popolare A.C. 15 prevede, all’articolo 1, l’abrogazione della disciplina del rimborso delle spese elettorali prevista dalla legge n. 157/1999.

I partiti e movimenti politici ai quali è riconosciuto il rimborso per le spese elettorali ai sensi di tale normativa vigente continuano comunque ad usufruirne integralmente per l’esercizio finanziario in corso e nella misura rispettivamente del 80%, del 60%, del 40% e del 20% nei quattro esercizi finanziari successivi. Dal quinto esercizio finanziario successivo all’entrata in vigore il rimborso cessa (articolo 4).

L’attuazione della disciplina è rimessa ad un decreto del Ministro dell’economia.

 

L’articolo 2 istituisce, in luogo del vigente sistema di finanziamento ai partiti, un credito di imposta per i cittadini italiani che erogano contributi volontari in denaro in favore di movimenti e partiti politici.

Il credito di imposta è pari al 95% del contributo stesso, fino ad un importo massimo di 2.000 euro per ciascun periodo di imposta.

Il credito di imposta è dunque limitato alle sole persone fisiche.

La disposizione, che limita la concessione del credito d’imposta ai soli cittadini italiani, deve essere valutata alla luce dell’articolo 53 Cost., che riconosce l’obbligo di concorrere alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva a  “tutti”, e dell’art. 3 Cost., che sancisce il principio di uguaglianza.

Secondo la Corte costituzionale, infatti, «la universalità della imposizione, desumibile dalla espressione testuale "tutti" (cittadini o non cittadini, in qualche modo con rapporti di collegamento con la Repubblica italiana), deve essere intesa nel senso di obbligo generale, improntato al principio di eguaglianza (senza alcuna delle discriminazioni vietate: art. 3, primo comma, della Costituzione), di concorrere alle "spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva" (con riferimento al singolo tributo ed al complesso della imposizione fiscale), come dovere inserito nei rapporti politici in relazione all'appartenenza del soggetto alla collettività organizzata» (ordinanza n. 341/2000).

 

 

Ai contributi per i quali è concesso il credito d’imposta non si applica la detrazione prevista dall’articolo 15, comma 1-bis, del TUIR (24 per cento nel 2013 e 26 per cento dal 2014). Si stabilisce inoltre l’abrogazione dell’articolo 78 del TUIR il quale prevede una detrazione del 19 per cento dall’IRES per le erogazioni liberali ai partiti e ai movimenti politici. Si segnala che l’articolo 78 del TUIR prevede la detrazione del 19 per cento dall’IRES anche per le erogazioni liberali a favore delle società e associazioni sportive dilettantistiche, la quale con la formulazione anzidetta verrebbe travolta.

 

In linea generale i crediti d’imposta riducono l’imposta netta dovuta e sono indicati tassativamente dalla legge. Se i crediti sono superiori all’imposta netta, il contribuente ha generalmente diritto al riporto all’anno successivo. La forma del credito d'imposta è stata utilizzata spesso al fine di promuovere, da parte delle imprese, l’assunzione di personale o l’effettuazione di investimenti. Recentemente il legislatore ha previsto crediti d’imposta in favore delle imprese che finanziano progetti di ricerca in Università o enti pubblici di ricerca (articolo 1 del D.L. n. 70/2011), di quelle che assumono lavoratori a tempo indeterminato nelle regioni del Mezzogiorno (articolo 2 del citato D.L. n. 70/2011) e (articolo 24 del D.L. n. 83 del 2012) e a favore di tutte le imprese che effettuano nuove assunzioni a tempo indeterminato di profili altamente qualificati (articolo 24 del D.L. n. 83 del 2012). Nell’ordinamento sono previsti altri crediti specifici per le imprese. Sono inoltre previsti crediti d’imposta per: l’imposta versata su canoni di locazioni non percepiti; le imposte pagate all’estero; il riacquisto delle prima casa dopo la vendita delle precedente; le indennità di mediazione.

L’articolo 1, comma 53, della legge n. 244 del 2007 prevede un limite annuale di 250.000 per l’utilizzo dei crediti d’imposta. L’ammontare eccedente è riportato in avanti anche oltre il limite temporale eventualmente previsto dalle singole leggi istitutive ed è comunque compensabile per l’intero importo residuo a partire dal terzo anno successivo a quello in cui si genera l’eccedenza. A tale limite sono previste eccezioni dalle successive leggi istitutive di crediti d’imposta (ad es. il credito di imposta per la ricerca scientifica, non è soggetto a tale limite; nel caso del credito di imposta per assunzione di lavoratori altamente qualificati è previsto un limite inferiore: 200.000 euro).

Le norme istitutive dei crediti d’imposta prevedono frequentemente il loro utilizzo esclusivo tramite compensazione, secondo le norme generali in materia di compensazione dei crediti tributari dettata dall'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241.

 

Il credito di imposta così istituito è riconosciuto per i contributi in favore dei seguenti soggetti (comma 1):

a) movimenti o partiti politici costituiti in forma di associazione legalmente riconosciuta cui partecipano non meno di 300 persone fisiche, aventi ad oggetto lo svolgimento di attività politiche e il cui statuto si conforma a princìpi di partecipazione democratica;

b) movimenti o partiti politici che hanno conseguito nell'ultima elezione precedente l'anno di erogazione del contributo almeno un rappresentante eletto alla Camera o al Senato o in un'assemblea regionale, nonché movimenti o partiti politici che hanno presentato nella medesima elezione candidati in almeno tre circoscrizioni per l’elezione della Camera o in almeno tre regioni per l’elezione del Senato o delle assemblee regionali;

c) fondazioni legalmente costituite operanti nel campo della cultura politica che hanno un patrimonio non inferiore a 5 milioni di euro.

 

I requisiti richiesti dalle lettere a), b) e c) appaiono alternativi tra di loro. I requisiti della costituzione in forma di associazione riconosciuta e della democraticità dello statuto non sono dunque richiesti per i partiti politici che abbiano almeno un eletto nelle ultime consultazioni elettorali o che si siano comunque presentati alle elezioni in almeno tre circoscrizioni o regioni.

 

Per i movimenti o partiti politici e le fondazioni già operanti alla data di entrata in vigore della legge, vigono, a determinate condizioni, criteri meno rigorosi (comma 2).

In particolare, possono essere destinatari di contributi che fruiscono del credito di imposta:

a) movimenti o partiti politici che beneficiano, alla data di entrata in vigore della legge, del rimborso per le spese elettorali (L. n. 157/99);

b) movimenti o partiti politici costituiti in forma di associazione legalmente riconosciuta da almeno dieci anni prima dell’entrata in vigore della legge e da allora operanti continuativamente, ancorché non in possesso degli ulteriori requisiti (partecipazione di 300 persone fisiche e democraticità dello statuto);

c) fondazioni operanti nel campo della cultura politica legalmente costituite e operanti continuativamente da almeno dieci anni prima della data di entrata in vigore della legge, ancorché non in possesso degli ulteriori requisiti (patrimonio di almeno 5 milioni di euro).

 

I movimenti o partiti politici e le fondazioni in possesso dei requisiti devono essere iscritti in un elenco nazionale, istituito presso il Ministero dell'interno.

A tal fine, essi depositano presso lo stesso Ministero lo statuto e le successive modifiche e dichiarano la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge; tale ultima dichiarazione deve essere reiterata di anno in anno, in via telematica (comma 3).

In caso di falsità della dichiarazione, si applicano le norme del codice penale e delle leggi speciali in materia (richiamate dall’art. 76 DPR n. 445/2000) (comma 4).

L’attuazione della disciplina dell’istituzione dell’elenco è rimessa ad un decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia, da emanare entro 60 giorni (comma 5).

 

L’articolo 5 della medesima proposta reca una  clausola di invarianza finanziaria.

Non sono peraltro specificate le modalità di copertura degli oneri derivanti dall’istituzione del credito di imposta previsto dall’articolo 2.

È infine previsto il monitoraggio degli effetti da parte del Ministro dell’economia, che riferisce alle Camere ogni sei mesi, anche ai fini dell’adozione di eventuali misure correttive.

La proposta di legge A.C. 255

Analogamente al disegno di legge governativo, la proposta di legge A.C. 255 (articoli da 1 a 4) reca un meccanismo volontario di contribuzione basato sull’attribuzione di una quota parte dell’imposta sul reddito delle persone fisiche IRPEF.

La proposta di legge prevede a tal fine la costituzione di un Fondo alimentato con una quota pari al 4 per mille del gettito IRPEF, da ripartirsi tra i soggetti beneficiari sulla base delle scelte espresse da tutti cittadini elettori, e non soltanto dai cittadini contribuenti.

Il meccanismo delineato nella proposta di legge non vede come beneficiari i soli partiti politici iscritti nell’apposito registro nazionale, come invece stabilisce il DDL governativo, bensì i partiti, i movimenti e le associazioni con finalità politiche con atto costitutivo e statuto redatto nella forma dell’atto pubblico ai sensi dell’articolo 5 della legge n. 96/2012.

 

In particolare, l’articolo 1 della proposta prevede, a decorrere dall'anno finanziario 2014, che una quota pari al 4 per mille del gettito IRPEF sia versata in un apposito Fondo destinato al finanziamento dei partiti, movimenti e associazioni con finalità politiche, da istituirsi nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze (comma 1).

Si osserva che la norma non reca alcuna indicazione in merito alle modalità di determinazione della quota del 4 per mille del gettito IRPEF da versare all’apposito Fondo istituito presso il Ministero dell’economia.

Come riportato nella relazione illustrativa alla proposta di legge, si evidenzia che le modalità di costituzione del Fondo per il finanziamento dei partiti politici risultano analoghe a quelle previste dalla legge n. 222/1985, istitutiva dell’8 per mille IRPEF, le cui risorse sono destinate a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale ovvero a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica.

Secondo la disciplina vigente, la quota dell’otto per mille del reddito IRPEF è determinata sulla base degli incassi in conto competenza relativi all’IRPEF, risultanti dal rendiconto generale dello Stato (come disposto dall’art. 45, comma 7, della legge n. 448/1998).

In base al rendiconto generale dello Stato ultimo disponibile, relativo all’esercizio finanziario 2011, gli incassi in conto competenza relativi all’IRPEF nel suo complesso risultano pari a 158,3 miliardi di euro.

Di conseguenza, in base alla proposta di legge in esame, l’ammontare delle risorse da versare al Fondo per il finanziamento dei partiti, movimenti e associazioni con finalità politiche, istituito presso il Ministero dell’economia, nella misura del 4 per mille del gettito IRPEF risulterebbe pari a oltre 633 milioni di euro.

La ripartizione delle risorse del Fondo tra i diversi partiti, movimenti e associazioni con finalità politiche avviene sulla base delle scelte espresse dai cittadini mediante la compilazione di un apposito modulo – predisposto dal Ministero dell’economia e finanze - da allegare alla dichiarazione dei redditi o da trasmettere separatamente al Ministero dell'economia e delle finanze (comma 2).

Si osserva, che l’articolo 1, comma 2 non specifica quale sia la tempistica per la trasmissione del modulo da parte del cittadino laddove questo sia compilato separatamente dalla dichiarazione dei redditi.

 

Le risorse del Fondo sono da considerare come ammontare massimo, corrispondente all'ipotesi che tutti i cittadini esprimano il proprio consenso alla destinazione del 4 per mille, e che, in caso di scelte non espresse, “i fondi” si riducono in misura proporzionale (comma 3).

Come già accennato, e come anche si desume dalle relazione illustrativa al provvedimento in esame, sono legittimati ad esercitare la scelta non solo i cittadini contribuenti assoggetti all’IRPEF, bensì tutti i cittadini elettori.

Si osserva al riguardo che è la sola relazione illustrativa a fornire l’indicazione che i soggetti legittimati a scegliere sono gli “elettori”. La norma invece, fa genericamente riferimento ai cittadini.

Sarebbe pertanto opportuno un chiarimento circa la portata applicativa della norma in esame.

 

Sebbene le modalità di costituzione del Fondo per il finanziamento dei partiti politici sono analoghe a quelle previste per la definizione del contributo dell'8 per mille IRPEF, la differenza fondamentale rispetto a tale istituto - afferma la relazione illustrativa - è che in questo caso si vuole dare valore anche alla scelta di non esprimere alcuna preferenza. La decisione di non indicare alcun partito determinerebbe, dunque, una riduzione dell'ammontare complessivo del Fondo. Se, per ipotesi, nessun cittadino elettore esprimesse la preferenza, il Fondo sarebbe pari a zero[25].

Con riferimento ai soggetti beneficiari della ripartizione del 4 per mille, l'articolo 2 ne individua i requisiti riconoscendo quali soggetti ammissibili al riparto i partiti, movimenti e associazioni con finalità politiche che abbiano almeno un rappresentante eletto alla Camera dei deputati o al Senato della Repubblica o al Parlamento europeo o che abbiano almeno dieci rappresentanti eletti nelle assemblee regionali, ovvero che abbiano ottenuto almeno il 2 per cento dei voti validamente espressi nelle ultime elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati o del Senato della Repubblica (comma 1).

Possono partecipare alla ripartizione anche i partiti, i movimenti e le associazioni con finalità politiche che non rispondono ai requisiti di cui sopra, purché versino un deposito cauzionale di 50.000 euro. Tale deposito viene restituito solo nel caso in cui i predetti soggetti raggiungano un numero di sottoscrittori non inferiore a 50.000 (comma 2).

In entrambi i casi, l’articolo 3 precisa che, ai fini della partecipazione alla ripartizione delle risorse, i soggetti di cui sopra (partito, movimento o associazione con finalità politiche) sono tenuti a presentare, oltre alla domanda di ammissione, anche l’atto costitutivo e lo statuto redatto in conformità ai principi costituzionali di rappresentanza politica e alla disciplina di cui alla vigente legge n. 96/2012.

L’articolo 5 della legge n. 96/2012[26] prevede che i partiti e i movimenti politici, ivi incluse le liste di candidati che non siano diretta espressione degli stessi, qualora abbiano diritto ai rimborsi per le spese elettorali o ai contributi previsti dalla medesima legge n. 96, sono tenuti a dotarsi di un atto costitutivo e di uno statuto. Tali documenti sono trasmessi in copia al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati entro quarantacinque giorni dalla data di svolgimento delle elezioni, a pena di decadenza dal diritto ai rimborsi per le spese elettorali e alla quota di cofinanziamento ad essi eventualmente spettante.

Si osserva al riguardo che la proposta di legge in esame abroga, all’articolo 10, il rimborso delle spese elettorali sostenute da partiti e movimenti politici e i contributi a titolo di cofinanziamento previsti dall’articolo 2 della medesima legge n. 96/2012.

 

I termini e le modalità di riparto del Fondo sono fissati nel successivo articolo 4. In particolare, si prevede che il Ministro dell’economia e delle finanze:

§  determina entro il 30 novembre di ciascun anno, sulla base delle scelte espresse dai cittadini, la quota percentuale e l'ammontare complessivo da destinare a ciascun partito politico, movimento o associazione con finalità politiche (comma 1);

§  trasmette, entro il 31 gennaio dell'anno successivo, a ciascun partito, movimento o associazione con finalità politiche l'elenco dei cittadini, ripartito per località di residenza, che hanno sottoscritto per il partito, movimento o associazione(comma 2);

Si ricorda in proposito che il cd. codice della privacy considera l’iscrizione ad un partito politico quale ‘dato sensibile’, che in quanto può essere oggetto di trattamento solo adottando specifiche cautele (v. supra, sub anagrafe degli iscritti);

§  provvede all'erogazione in unica soluzione entro il 31 marzo successivo (comma 5).

 

L’articolo 4 detta altresì una disciplina minima sull'utilizzo dei fondi ricevuti da ciascun partito politico - fissando, tra l'altro, una quota, non inferiore al 50 per cento delle somme assegnate, da destinare alle strutture periferiche (comma 8) – e sui diritti dei sottoscrittori (commi 3 e 4).

In particolare, l’articolo prevede che i sottoscrittori, nell’esprimere la propria scelta in favore di un partito o associazione, sono considerati, a tutti gli effetti, soci del partito, movimento o associazione con finalità politiche per il quale hanno sottoscritto e sono titolari di tutti i diritti che spettano ad ogni cittadino che aderisce ad un partito, movimento o associazione politica (comma 3).

Al partito, movimento o associazione politica, destinatario delle sottoscrizioni, viene comunque concesso il diritto di rifiutare l'iscrizione, con deliberazione motivata dell'organo di garanzia appositamente previsto dallo statuto, per incompatibilità con le norme statutarie.

In tal caso, il partito, movimento o associazione notifica al Ministero dell'interno, al Ministero dell'economia e all'interessato la deliberazione di rifiuto dell'iscrizione entro la fine del mese di febbraio ed il Ministero dell'economia procede alle relative rettifiche (comma 4).

 

La proposta di legge in esame introduce dunque un meccanismo del tutto peculiare, che fa discendere dalla scelta di destinazione del 4 per mille un vincolo associativo al partito, fatto salvo il diritto del partito stesso di rifiutarlo.

 

Infine, l’articolo 4 detta norme circa gli obblighi di rendicontazione circa l’effettivo utilizzo delle somme ricevute, disponendo che ogni partito, movimento o associazione con finalità politiche trasmette annualmente alla Presidenza della Camera dei deputati un apposito rendiconto.

 

L’articolo 11 della proposta di legge reca la copertura finanziaria del provvedimento, stabilendo  che agli oneri derivanti dallo stesso si provveda:

§  mediante utilizzo di quota parte dei risparmi (rectius: minori spese) derivanti dall’abrogazione della vigenti norme sui rimborsi elettorali e sui contributi ai partiti politici (leggi n.157 del1999 e n.96 del 2012) disposta dall’articolo 10.

Tali risparmi ammonterebbero a 91 milioni di euro annui, secondo quanto precisato nella relazione tecnica al disegno di legge C 1154;

§  a valere sulle risorse del fondo del 4 per mille istituito ai sensi dell’articolo 1.

 

Va osservato come la norma in esame, oltre a non indicare la quantificazione dell’onere (come invece necessario, ai sensi della vigente disciplina contabile: articolo 17 della legge n.196 del 2009), utilizza a copertura dell’onere medesimo una disposizione che a sua volta costituisce anche essa un onere, facendo riferimento ad un fondo da costituire mediante il versamento del 4 per mille dell’iRPEF: tale versamento costituisce infatti una minore entrata per l’erario.

La proposta di legge A.C. 664

La proposta di legge A.C. 664, che interviene con la tecnica della novella su tutta la legislazione vigente che intende modificare, prevede l’abolizione della contribuzione pubblica per i partiti politici, a livello di contributo sia per le spese elettorali che per il cofinanziamento (art. 1), senza alcun regime transitorio (art. 12). La maggiore entrata derivante dall’abolizione è destinata all’istituzione di un fondo rotativo per micro e piccole imprese (art. 11).

Sono poi notevolmente abbassati i limiti di spesa per la campagna elettorale di ciascun partito, movimento o lista per le elezioni politiche, europee, regionali e comunali (art. 2). La diminuzione può essere esposta come segue:

 

Testo vigente

Testo previsto dalla pdl

 

 

L. 10 dicembre 1993, n. 515

Art. 7

Limiti alle spese elettorali dei partiti o movimenti.

 

 

1. Le spese per la campagna elettorale di ciascun candidato non possono superare l'importo massimo derivante dalla somma della cifra fissa di euro 52.000 per ogni circoscrizione o collegio elettorale e della cifra ulteriore pari al prodotto di euro 0,01 per ogni cittadino residente nelle circoscrizioni o collegi elettorali nei quali il candidato si presenta

1. Le spese per la campagna elettorale di ciascun candidato non possono superare l'importo massimo derivante dalla somma della cifra fissa di euro 26.000 per ogni circoscrizione o collegio elettorale e della cifra ulteriore pari al prodotto di euro 0,01 per ogni cittadino residente nelle circoscrizioni o collegi elettorali nei quali il candidato si presenta.

Art. 10

Limiti alle spese elettorali dei partiti o movimenti.

1. Le spese per la campagna elettorale di ciascun partito, movimento o lista che partecipa all'elezione [della Camera e del Senato], escluse quelle sostenute dai singoli candidati di cui al comma 2 dell'articolo 7, non possono superare la somma risultante dalla moltiplicazione dell'importo di euro 1,00 per il numero complessivo che si ricava sommando i totali dei cittadini della Repubblica iscritti nelle liste elettorali delle circoscrizioni o collegi per la Camera dei deputati e quelli iscritti nelle liste elettorali delle circoscrizioni o collegi per il Senato della Repubblica nelle quali è presente con liste o candidati.

1. Le spese per la campagna elettorale di ciascun partito, movimento o lista che partecipa all'elezione [della Camera e del Senato], escluse quelle sostenute dai singoli candidati di cui al comma 2 dell'articolo 7, non possono superare la somma risultante dalla moltiplicazione dell'importo di euro 0,01 per il numero complessivo che si ricava sommando i totali dei cittadini della Repubblica iscritti nelle liste elettorali delle circoscrizioni o collegi per la Camera dei deputati e quelli iscritti nelle liste elettorali delle circoscrizioni o collegi per il Senato della Repubblica nelle quali è presente con liste o candidati. L’importo non può essere superiore a un milione di euro.

 

 

L. 6 luglio 2012, n. 96.

Art. 14

Limiti di spesa, controlli e sanzioni concernenti le elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia

1. Le spese per la campagna elettorale di ciascun partito e movimento politico che partecipa alle elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia non possono superare la somma risultante dalla moltiplicazione dell'importo di euro 1 per il numero dei cittadini della Repubblica iscritti nelle liste elettorali per l'elezione della Camera dei deputati.

1. Le spese per la campagna elettorale di ciascun partito e movimento politico che partecipa alle elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia non possono superare la somma risultante dalla moltiplicazione dell'importo di euro 0,01 per il numero dei cittadini della Repubblica iscritti nelle liste elettorali per l'elezione della Camera dei deputati.

 

 

L. 23 febbraio 1995, n. 43

Art. 5

1. Le spese per la campagna elettorale di ciascun candidato alle elezioni regionali in una lista provinciale non possono superare l'importo massimo dato dalla cifra fissa pari ad euro 38.802,85 incrementato di una ulteriore cifra pari al prodotto di euro 0,0061 per ogni cittadino residente nella circoscrizione. Per i candidati che si presentano nella lista regionale il limite delle spese per la campagna elettorale è pari ad euro 38.802,85. Per coloro che si candidano in più liste provinciali le spese per la campagna elettorale non possono comunque superare l'importo più alto consentito per una candidatura aumentato del 10 per cento. Per coloro che si candidano in una o più circoscrizioni provinciali e nella lista regionale le spese per la campagna elettorale non possono comunque superare l'importo più alto consentito per una delle candidature nelle liste provinciali aumentato del 30 per cento.

1. Le spese per la campagna elettorale di ciascun candidato alle elezioni regionali in una lista provinciale non possono superare l'importo massimo dato dalla cifra fissa pari ad euro 19.000 incrementato di una ulteriore cifra pari al prodotto di euro 0,0061 per ogni cittadino residente nella circoscrizione. Per i candidati che si presentano nella lista regionale il limite delle spese per la campagna elettorale è pari ad euro 19.000. Per coloro che si candidano in più liste provinciali le spese per la campagna elettorale non possono comunque superare l'importo più alto consentito per una candidatura aumentato del 5 per cento. Per coloro che si candidano in una o più circoscrizioni provinciali e nella lista regionale le spese per la campagna elettorale non possono comunque superare l'importo più alto consentito per una delle candidature nelle liste provinciali aumentato del 15 per cento.

(...)

(...)

3. Le spese per la campagna elettorale di ciascun partito, movimento o lista, che partecipa alle elezioni [per il rinnovo dei consigli regionali], escluse quelle di cui al comma 2, non possono superare la somma risultante dall'importo di euro 1,00 moltiplicato per il numero complessivo dei cittadini della Repubblica iscritti nelle liste elettorali per la elezione della Camera dei deputati nelle circoscrizioni provinciali nelle quali ha presentato proprie liste.

3. Le spese per la campagna elettorale di ciascun partito, movimento o lista, che partecipa alle elezioni [per il rinnovo dei consigli regionali], escluse quelle di cui al comma 2, non possono superare la somma risultante dall'importo di euro 0,01 moltiplicato per il numero complessivo dei cittadini della Repubblica iscritti nelle liste elettorali per la elezione della Camera dei deputati nelle circoscrizioni provinciali nelle quali ha presentato proprie liste.

 

 

L. 6 luglio 2012, n. 96.

Art. 13

Introduzione di limiti massimi delle spese elettorali dei candidati e dei partiti politici per le elezioni comunali

1. Nei comuni con popolazione superiore a 15.000 e non superiore a 100.000 abitanti, le spese per la campagna elettorale di ciascun candidato alla carica di sindaco non possono superare l'importo massimo derivante dalla somma della cifra fissa di euro 25.000 e della cifra ulteriore pari al prodotto di euro 1 per ogni cittadino iscritto nelle liste elettorali comunali.

1. Nei comuni con popolazione superiore a 15.000 e non superiore a 100.000 abitanti, le spese per la campagna elettorale di ciascun candidato alla carica di sindaco non possono superare l'importo massimo derivante dalla somma della cifra fissa di euro 12.500 e della cifra ulteriore pari al prodotto di euro 1 per ogni cittadino iscritto nelle liste elettorali comunali.

2.  Nei comuni con popolazione superiore a 100.000 e non superiore a 500.000 abitanti, le spese per la campagna elettorale di ciascun candidato alla carica di sindaco non possono superare l'importo massimo derivante dalla somma della cifra fissa di euro 125.000 e della cifra ulteriore pari al prodotto di euro 1 per ogni cittadino iscritto nelle liste elettorali comunali.

2.  Nei comuni con popolazione superiore a 100.000 e non superiore a 500.000 abitanti, le spese per la campagna elettorale di ciascun candidato alla carica di sindaco non possono superare l'importo massimo derivante dalla somma della cifra fissa di euro 62.500 e della cifra ulteriore pari al prodotto di euro 1 per ogni cittadino iscritto nelle liste elettorali comunali.

3.  Nei comuni con popolazione superiore a 500.000 abitanti, le spese per la campagna elettorale di ciascun candidato alla carica di sindaco non possono superare l'importo massimo derivante dalla somma della cifra fissa di euro 250.000 e della cifra ulteriore pari al prodotto di euro 0,90 per ogni cittadino iscritto nelle liste elettorali comunali.

3.  Nei comuni con popolazione superiore a 500.000 abitanti, le spese per la campagna elettorale di ciascun candidato alla carica di sindaco non possono superare l'importo massimo derivante dalla somma della cifra fissa di euro 125.000 e della cifra ulteriore pari al prodotto di euro 0,90 per ogni cittadino iscritto nelle liste elettorali comunali.

4.  Nei comuni con popolazione superiore a 15.000 e non superiore a 100.000 abitanti, le spese per la campagna elettorale di ciascun candidato alla carica di consigliere comunale non possono superare l'importo massimo derivante dalla somma della cifra fissa di euro 5.000 e della cifra ulteriore pari al prodotto di euro 0,05 per ogni cittadino iscritto nelle liste elettorali comunali. Nei comuni con popolazione superiore a 100.000 e non superiore a 500.000 abitanti, le spese per la campagna elettorale di ciascun candidato alla carica di consigliere comunale non possono superare l'importo massimo derivante dalla somma della cifra fissa di euro 12.500 e della cifra ulteriore pari al prodotto di euro 0,05 per ogni cittadino iscritto nelle liste elettorali comunali. Nei comuni con popolazione superiore a 500.000 abitanti, le spese per la campagna elettorale di ciascun candidato alla carica di consigliere comunale non possono superare l'importo massimo derivante dalla somma della cifra fissa di euro 25.000 e della cifra ulteriore pari al prodotto di euro 0,05 per ogni cittadino iscritto nelle liste elettorali comunali.

4.  Nei comuni con popolazione superiore a 15.000 e non superiore a 100.000 abitanti, le spese per la campagna elettorale di ciascun candidato alla carica di consigliere comunale non possono superare l'importo massimo derivante dalla somma della cifra fissa di euro 2.500 e della cifra ulteriore pari al prodotto di euro 0,05 per ogni cittadino iscritto nelle liste elettorali comunali. Nei comuni con popolazione superiore a 100.000 e non superiore a 500.000 abitanti, le spese per la campagna elettorale di ciascun candidato alla carica di consigliere comunale non possono superare l'importo massimo derivante dalla somma della cifra fissa di euro 6.250 della cifra ulteriore pari al prodotto di euro 0,05 per ogni cittadino iscritto nelle liste elettorali comunali. Nei comuni con popolazione superiore a 500.000 abitanti, le spese per la campagna elettorale di ciascun candidato alla carica di consigliere comunale non possono superare l'importo massimo derivante dalla somma della cifra fissa di euro 12.500 e della cifra ulteriore pari al prodotto di euro 0,05 per ogni cittadino iscritto nelle liste elettorali comunali.

5. Nei medesimi comuni di cui al comma 4, le spese per la campagna elettorale di ciascun partito, movimento o lista che partecipa all'elezione, escluse le spese sostenute dai singoli candidati alla carica di sindaco e di consigliere comunale, non possono superare la somma risultante dal prodotto dell'importo di euro 1 per il numero dei cittadini iscritti nelle liste elettorali comunali.

5. Nei medesimi comuni di cui al comma 4, le spese per la campagna elettorale di ciascun partito, movimento o lista che partecipa all'elezione, escluse le spese sostenute dai singoli candidati alla carica di sindaco e di consigliere comunale, non possono superare la somma risultante dal prodotto dell'importo di euro 0,01 per il numero dei cittadini iscritti nelle liste elettorali comunali.

 

In particolare l’art. 2, comma 1, lett. b) prevede un limite di 1 milione di euro per le spese elettorali per le elezioni politiche. Tuttavia, considerato che la legge 96/2012 ha dimezzato i rimborsi della legislazione vigente (circa 180 milioni) il suddetto limite non appare raggiungibile, in quanto il limite effettivo è, all’esito dell’abbassamento del tetto, di 890.000 euro: infatti il numero degli elettori (sommando Camera e Senato) alle ultime elezioni è stato di circa 89 milioni, che moltiplicato per 0,01 euro, da un risultato pari appunto a 890.000 euro.

Si può notare che l’art. 2 non reca per le elezioni provinciali una specifica disposizione in quanto il decreto-legge 201 del 2011 ha abolito l’elezione diretta degli organi provinciali demandando alla legge (non ancora adottata) l’individuazione di un sistema elettorale di secondo grado. Attualmente gli organi provinciali per i quali è scaduto il mandato elettivo sono sostituiti da commissari di governo.

Il comma 3 introduce tetti di spesa anche per i candidati.

Per le elezioni europee non occorre un intervento normativo in quanto ai candidati al parlamento europeo si applicano gli stessi limiti di spesa previsti per i candidati alle politiche, in virtù del rinvio operato dalla legge 96/2012 (art. 14, comma 2).

 

L’art. 3 abbassa a 1000 l’attuale soglia di 5000 euro oltre la quale finanziatore e destinatario del finanziamento privato sono tenuti ad effettuare una dichiarazione congiunta.

L’art. 4 integra le previsioni dell’art. 8 della L. 96/2012 in tema di uso di locali di proprietà pubblica per lo svolgimento delle attività politiche, prevedendo che, in caso di occupazione temporanea di suolo pubblico, effettuata da partiti o movimenti politici per lo svolgimento della loro attività, si applichino le agevolazioni previste nei regolamenti comunali sulle entrate.

 

Anche l’A.C. 664, come il disegno di legge A.C. 1154 prevede, all’art. 8, una delega per l’adozione di un testo unico compilativo delle disposizioni che resterebbero in vigore all’esito delle abrogazioni previste dall’art. 12 della stessa proposta di legge.

 

Con l'articolo 9 viene reintrodotta l'imposta sulle successioni e sulle donazioni per i trasferimenti in favore dei partiti politici, mediante abrogazione del comma 4-bis all’articolo 3 del D.Lgs. n. 346 del 1990 (introdotto con dall'articolo 5, comma 4, della legge 3 giugno 1999, n. 157), il quale prevede la non assoggettabilità all'imposta dei trasferimenti a favore di movimenti e partiti politici.

 

Si ricorda, in estrema sintesi, che l’imposta sulle successioni e donazioni, soppressa dalla legge 18 ottobre 2001, n. 383, è stata nuovamente istituita dall’articolo 2, comma 47, del  D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, il quale ha disposto la riviviscenza del D.Lgs. n. 346 del 1990 (testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni), nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001.

L’imposta di successione è dovuta - dagli eredi e dai legatari - per i trasferimenti di beni e diritti che avvengono, in base alla legge o ad un testamento, a seguito della morte del titolare. Per i parenti più stretti - coniugi, parenti in linea retta, fratelli e sorelle – e per i portatori di handicap è prevista una franchigia di diverso importo. Sono inoltre previste delle passività deducibili (ad es. debiti, spese mediche e funerarie) e delle detrazioni. Si applicano 3 aliquote differenziate a seconda del grado di parentela (4 per cento per il coniuge e i parenti in linea retta; 6 per cento per i fratelli e sorelle, per i parenti fino al 4° grado e per gli affini fino al 3° grado; 8 per cento per gli altri soggetti).

L’imposta sulle donazioni riguarda i trasferimenti a titolo gratuito tra vivi e la costituzione di vincoli di destinazione di beni. Soggetti passivi sono i beneficiari della donazione o del vincolo di destinazione. Al regime delle donazioni si applicano le stesse disposizioni dettate per l’imposta di successione.

 

L'articolo 10 ripristina al 19 per cento la quota di detraibilità delle erogazioni liberali in favore dei partiti dall'imposta sul reddito delle persone fisiche, vale a dire nella misura vigente prima della legge n. 96 del 2012, che ha elevato tale quota di detraibilità dal 19 al 24 per cento per l'anno 2013 e al 26 per cento dall'anno 2014, riducendo peraltro il limite massimo dell'importo annualmente detraibile da 103.291,38 a 10.000 euro.

La modifica avviene attraverso una novella al comma 1-bis dell'articolo 15 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al DPR 22 dicembre 1986, n. 917, in materia di detrazioni per oneri. Sono invece confermati i requisiti per l’accesso alla detrazione, vale a dire la presentazione da parte del partito o movimento politico di liste o candidature elettorali alle elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati o del Senato della Repubblica o dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, oppure la presenza di almeno un rappresentante eletto in un consiglio regionale o nei consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano.

 

Resta salvo l'innalzamento della quota di detraibilità al 26 per cento per le donazioni a favore delle ONLUS, disposto dall'articolo 15, comma 3, della stessa legge n. 96 del 2012 per importo non superiore a 2.065 euro annui.

 

L'articolo 11 istituisce presso la gestione separata della società Cassa depositi e prestiti Spa (vale a dire utilizzando fondi provenienti dalla raccolta del risparmio postale, assistiti dalla garanzia dello Stato) un apposito fondo rotativo, finalizzato alla concessione di finanziamenti agevolati alle microimprese e alle piccole imprese, come definite dalla normativa dell'Unione europea, singole o associate in appositi organismi, anche cooperativi, costituiti o promossi dalle associazioni imprenditoriali e dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura. Tali finanziamenti agevolati assumono la forma dell'anticipazione, rimborsabile con un piano di rientro pluriennale.

La dotazione iniziale del Fondo è stabilita con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, a valere sulle maggiori entrate derivanti dall'attuazione dell'articolo 1 e fatte salve le somme precedentemente destinate agli interventi in favore delle popolazioni colpite da eventi sismici e calamità naturali a partire dal 1° gennaio 2009. Nel Fondo confluiscono altresì le maggiori entrate derivanti dall'attuazione degli articoli 9 e 10, il cui ammontare è accertato annualmente con apposito decreto del Ministro dell'economia e delle finanze. Tale decreto stabilisce altresì i requisiti e le condizioni per l'accesso ai finanziamenti agevolati, nonché i criteri e le modalità per l'erogazione dei finanziamenti medesimi, nonché il tasso di interesse da applicare.

 

Per ciò che attiene all’attività di Cassa depositi e prestiti S.p.A., l’articolo 5, comma 7 del D.L. n. 269/2003 prevede che essa consista nel finanziamento:

§  sotto qualsiasi forma, di Stato, Regioni, enti locali, enti pubblici e organismi di diritto pubblico, precipuamente mediante l’utilizzo dei fondi provenienti dalla raccolta del risparmio postale, assistiti dalla garanzia dello Stato e in regime di gestione separata. Il finanziamento avviene anche mediante fondi provenienti dall'emissione di titoli, dall'assunzione di finanziamenti e da altre operazioni finanziarie, che possono essere assistiti dalla garanzia dello Stato.

L’utilizzo della gestione separata è peraltro consentito – ai sensi della norma in oggetto - per il compimento di ogni altra operazione di interesse pubblico prevista dallo statuto sociale della CDP S.p.A., nei confronti dei soggetti istituzionali pubblici o promossa dai medesimi soggetti. Quest’ultima previsione consente a CDP di estendere l’ambito delle attività compiute attraverso l’utilizzo dei fondi della raccolta postale;

§  nel finanziamento, in qualsiasi forma, di opere, impianti, reti e dotazioni destinati alla fornitura di servizi pubblici ed alle bonifiche, attraverso l’utilizzo di fondi provenienti dall'emissione di titoli, dall'assunzione di finanziamenti e da altre operazioni finanziarie, senza garanzia dello Stato e con raccolta esclusivamente presso investitori istituzionali.

 

Il decreto legge n. 5 del 2009, all’articolo 3, comma 4-bis, ha permesso l’utilizzo della gestione separata anche per finanziare, attraverso l’intermediazione degli enti creditizi, le piccole e medie imprese, attraverso la concessione di finanziamenti, il rilascio di garanzie, l’assunzione di capitale di rischio o di debito. Dette operazioni possono essere effettuate direttamente dalla Cassa medesima o mediante l’intermediazione di soggetti autorizzati all’esercizio del credito. Tuttavia, per le operazioni a favore delle piccole e medie imprese per finalità di sostegno all’economia è ammesso esclusivamente il finanziamento attraverso l’intermediazione di soggetti autorizzati all’esercizio del credito.

La proposta di legge A.C. 733

La proposta di legge Boccadutri A.C. 733, dopo la disposizione che abroga la disciplina del rimborso delle spese elettorali prevista dalla legge n. 157/1999, introduce, all’articolo 2, un rimborso alle liste, partiti e movimenti politici per le spese elettorali effettivamente sostenute per le campagne elettorali.

Il rimborso riguarda le spese sostenute per le campagne per le elezioni del Parlamento europeo, del Senato, della Camera e dei consigli regionali (per il Trentino-Alto Adige, dei consigli provinciali di Trento e Bolzano).

Esso spetta ai partiti che hanno ottenuto il 2 per cento dei voti validi o almeno un eletto nelle rispettive elezioni.

I rimborsi sono ripartiti proporzionalmente ai voti ottenuti nelle elezioni di riferimento.

Sono erogati sulla base del rendiconto delle spese effettivamente sostenute e possono riguardare solo spese specificamente indicate (materiale tipografico, acquisto spazi di comunicazione, allestimenti e servizi connessi a manifestazioni elettorali, affitto di locali, personale) ed entro limiti temporali definiti (comma 3).

I rimborsi per le spese relative alle elezioni della Camera, del Parlamento europeo, dei consigli regionali e delle province autonome sono attribuiti con delibera dell’Ufficio di presidenza della Camera; quelli relativi alle elezioni del Senato con delibera del Consiglio di Presidenza del Senato.

L’ammontare di ciascuno dei 4 fondi relativi agli organi per le cui elezioni spettano i rimborsi (Camera, Senato, Parlamento europeo, consigli regionali e provinciali) è pari, per ciascun anno di legislatura degli organi, a 18.750.000.

Una disciplina particolare riguarda le spese per le elezioni nella circoscrizione Estero, per le quali i Fondi di Camera e Senato sono aumentati dell’1,5%.

I rimborsi sono corrisposti esclusivamente per l'anno in cui si svolge l'elezione dell'organo per cui sono richiesti, entro 120 giorni dalla proclamazione degli eletti.

L’erogazione dei rimborsi dovrebbe dunque avvenire in un’unica soluzione, entro 120 giorni dalla proclamazione.

La disposizione (art. 2, comma 9) non appare peraltro coordinata con quella che prevede che i 4 fondi (Camera, Senato, Parlamento europeo, consigli regionali e provinciali) abbiano una dotazione annuale (art. 2, comma 7).

Le somme erogate, o da erogare, a titolo di rimborso e ogni altro credito vantato dalle liste, partiti o movimenti politici possono costituire oggetto di operazioni di cartolarizzazione e sono cedibili a terzi.

Le risorse erogate ai partiti costituiscono, ai sensi dell'articolo 2740 del codice civile, garanzia ai fini dell'esatto adempimento delle obbligazioni assunte da parte delle liste dei partiti e dei movimenti politici beneficiari delle stesse. I creditori non possono pretendere direttamente dagli amministratori dei partiti e movimenti politici l'adempimento delle obbligazioni del partito o del movimento, tranne i casi di dolo o colpa grave.

In caso di eventuali rinunce al rimborso da parte di liste, partiti o movimenti politici, non si fa luogo alla distribuzione dell'eventuale somma rimanente.

L’attuazione della disciplina è rimessa ad un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.

 

L’articolo 3 reca disposizioni relative al rimborso delle spese effettivamente sostenute da parte dei comitati promotori per le campagne elettorali relativi ai referendum previsti dall’art. 75 Cost.

Il rimborso è pari a 500.000 euro per ogni referendum (1 euro per ogni firma valida fino alla cifra necessaria per la validità della richiesta), con il limite massimo annuo di euro 2.582.285.

 

L’articolo 4 modifica la legge n. 96/2012. I contributi pubblici ai partiti sono ridotti da 91 milioni di euro annui a 75 milioni di euro annui, da intendersi come limite massimo.

Come previsto dall’art. 2, i rimborsi sono riconosciuti solo per le spese effettivamente sostenute.

 

La proposta di legge sembrerebbe determinare il venir meno del cofinanziamento, per il quale non restano più risorse disponibili. Non viene però abrogato l’art. 2 della legge n. 96/2012, che prevede il cofinanziamento.

 

Il novellato art. 3 L. 96/2012 indica la procedura di richiesta del rimborso al Presidente della Camera o al Presidente del Senato, da effettuarsi, a pena di decadenza, entro 30 giorni dalla data delle elezioni di riferimento.

 

L’articolo 5 prevede un credito d’imposta per le persone fisiche che effettuano erogazioni liberali ai partiti. La misura del credito d’imposta è suddivisa in scaglioni: 90 per cento fino a 2.550 euro di contributo; 50 per cento fino a 10.000 euro; 25 per cento fino a 25.000 euro; 10 per cento fino a 50.000.

Si prevede che la contribuzione individuale massima è di 100.000 euro annui pro capite.

Per fruire del credito d'imposta il versamento dei contributi deve essere eseguito su un conto corrente bancario o postale dedicato ovvero con carta di credito o di debito o bancomat.

Per il resto, la disciplina del credito d’imposta è simile a quella prevista dagli A.C. 15 e 961, tranne che per il diverso ammontare della misura prevista.

Anche in questo caso è abrogato il sistema delle detrazioni previsto a favore delle persone fisiche e delle società per le erogazioni liberali in denaro a favore dei partiti e dei movimenti politici.

 

Ai sensi dell’articolo 6, comma 2, della pdl n. 733 le limitazioni all’uso del contante e di titoli al portatore previsti dalla legislazione vigente sono fissati per le liste, i partiti ed i movimenti politici all’importo di 250 euro, anziché di 1000 euro come previsto dalla disciplina generale.

 

L’articolo 7 reca, secondo la rubrica, disposizioni volte ad attuare l’art. 49 Cost. Esso dispone in particolare:

§  il divieto di contribuzione, diretta o indiretta, a liste, movimenti o partiti politici, in occasione di campagne elettorali, da parte di persone giuridiche con  servizi di valore superiore ai 5.000 euro annui (comma 1);

§  il divieto di contratti per fornitura o servizi professionali, con esclusione dei contratti di lavoro subordinato o di collaborazione, con componenti degli organi politici esecutivi dei partiti o loro parenti. Il divieto vale anche per le società di cui le predette persone fisiche siano amministratori o detengano quote, anche di minoranza (comma 2);

§  obbligo degli eletti di pubblicare sul sito internet dell’organo di elezione la dichiarazione dei redditi e le partecipazioni in società superiori al 3% (comma 3)

§  l’obbligo dei rappresentanti legali, nonché dei membri degli organismi esecutivi di liste, di movimenti e partiti politici che abbiano ottenuto nei cinque anni precedenti almeno un eletto nelle elezioni per i consigli regionali, la Camera, il Senato o il Parlamento europeo, di pubblicare sul sito internet del movimento o partito politico la dichiarazione dei redditi e le partecipazioni in società superiori al 3% (comma 3);

§  l’obbligo per chiunque ricopra una carica elettiva di dichiarare, a mezzo stampa o attraverso il proprio sito internet, qualunque contributo ricevuto a titolo di liberalità da persone fisiche o giuridiche superiore a 5.000 euro entro tre mesi, nonché a rispettare gli obblighi di rendicontazione previsti dall'art. 8 legge n. 2/1997, e successive modificazioni. L'obbligo sussiste anche in caso di contributi erogati a fondazioni o comitati istituiti in favore del ruolo politico rivestito e si estende anche ai prestiti infruttiferi superiori a 5.000 euro, non restituiti entro sei mesi dal loro conferimento.

 

L'art. 8 dell'A.C. 733 introduce una sanzione pecuniaria (50.000 euro) a carico del legale rappresentante del partito (nonché di tutti coloro che in base allo statuto sono chiamati ad approvare il bilancio) che:

-        omette di ottemperare agli obblighi di rendicontazione;

-        presenta un rendiconto falso;

-        viola gli obblighi di pubblicità del rendiconto.

 

In merito si osserva che la disposizione fa erroneamente uso dell’espressione “multa”. Si ricorda, infatti, che ai sensi dell’art. 17 del codice penale la multa è una delle pene previste per i delitti, la cui applicazione presuppone una sentenza del giudice penale. Nel caso di specie, la “multa” dovrebbe essere invece irrogata dalla Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti. I proponenti intendevano dunque presumibilmente prevedere una sanzione amministrativa pecuniaria.

L’articolo 8, comma 3, della proposta prevede una sanzione pecuniaria (100.000 euro) per la violazione della disposizione (art. 7, comma 2) che impedisce al partito di stipulare contratti per la fornitura di beni o servizi professionali con familiari o società facenti capo a familiari dei dirigenti dell’organizzazione.

 

Si sottolinea che la disposizione non chiarisce chi – se il legale rappresentante ovvero l’ente stesso - debba pagare la sanzione amministrativa pecuniaria (erroneamente definita “multa”).

 

L’articolo 9 dell’A.C. 733, al comma 1, dispone il non assoggettamento ad imposta dei trasferimenti in favore di movimenti e partiti politici.

La formulazione del testo risulta vaga in quanto non si identifica chiaramente il concetto di “trasferimento”, che potrebbe riguardare qualsiasi tipologia di bene, sia esso mobile, che immobile. Analogamente il termine imposta indicato in modo generico sembrerebbe riferito a qualsiasi tipologia tributaria. La norma non fa, inoltre, riferimento alla copertura delle minori entrate (l’articolo 10 si limita ad affermare che “Dall'attuazione della presente legge non derivano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”).

 

Il comma 2 estende alle occupazioni temporanee di suolo pubblico, di durata temporanea non superiore a 30 giorni, effettuate da movimenti e partiti politici per lo svolgimento della loro attività le eventuali agevolazioni già previste, ai sensi dell'articolo 63, comma 2, lettera e), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, dai singoli regolamenti comunali sulle entrate.

La disposizione richiamata prevede che i comuni e le province possono, con regolamento adottato a norma dell'articolo 52 del medesimo D.Lgs. n. 446/1997, escludere l'applicazione, nel proprio territorio, della tassa per occupazione di spazi ed aree pubbliche. Tra i criteri a cui deve essere informato il regolamento, il comma 2, lettera e) enuncia “la previsione di speciali agevolazioni per occupazioni ritenute di particolare interesse pubblico e, in particolare, per quelle aventi finalità politiche ed istituzionali”.

Al riguardo di osserva che l’esclusione dal pagamento della tassa per occupazione di spazi ed aree pubbliche sembrerebbe già prevista nell’ordinamento, che la prevede per occupazioni aventi finalità politiche.

Infine, l’articolo 10 della medesima proposta reca una clausola di invarianza finanziaria. È infine previsto il monitoraggio degli effetti da parte del Ministro dell’economia, che riferisce alle Camere ogni sei mesi, anche ai fini dell’adozione di eventuali misure correttive.

 

La proposta di legge A.C. 961

La proposta A.C. 961 sostituisce la vigente disciplina della contribuzione pubblica ai partiti con nuove disposizioni relative ai contributi volontari dei cittadini in denaro in favore di partiti e movimenti politici.

A tal fine, la pdl provvede, innanzitutto, all’individuazione delle norme soggette ad abrogazione, elencate nell’articolo 1.

La nuova disciplina del finanziamento ai partiti si fonda sui contributi privati, per i quali lo Stato riconosce un credito d’imposta pari al 40 per cento dell’ammontare complessivo del contributo stesso fino ad un importo massimo di 10.000 euro per ciascun periodo d’imposta (articolo 2)

La disciplina del credito d’imposta è identica a quello stabilita dall'A.C. 15, tranne che per il diverso ammontare della misura prevista (su cui, supra).

Quanto alla possibilità di fruire del beneficio, la proposta A.C. 961 (articolo 3), in via solo parzialmente analoga a quanto stabilito nell’A.C. 15, individua le categorie di soggetti in favore dei quali possono essere versati i contributi volontari:

a)            partiti o movimenti politici, incluse le liste di candidati che non ne siano espressione, purché dotati di un atto costitutivo e di uno statuto, trasmessi ai Presidenti delle due Camere entro 45 giorni dalla data di svolgimento delle elezioni. A tal fine si prevedono alcuni requisiti di tale documentazione: pubblicazione sul sito istituzionale della Camera; redazione nella forma di atto pubblico; indicazione dell’organo competente ad approvare il rendiconto e organo responsabile per la gestione; conformità dello statuto ai principi democratici nella vita interna;

b)            partiti o movimenti politici che posseggono i requisiti di cui alla lettera a) ed hanno conseguito nell’ultima consultazione elettorale precedente il contributo almeno un rappresentante eletto in Parlamento o in un’assemblea regionale, ovvero che abbiano presentato candidati in almeno tre circoscrizioni per le elezioni della Camera o in tre regioni per il rinnovo del Senato o delle assemblee regionali;

c)            partiti o movimenti politici che hanno un legame strutturato da almeno tre anni con fondazioni legalmente costituite operanti nel settore della cultura politica con un patrimonio con inferiore a 5 milioni di euro, ovvero, che abbiano operato continuativamente da almeno dieci anni. In questa ipotesi non sono richiesti i requisiti legati allo statuto e all’atto costitutivo indicati in precedenza.

 

Stante la formulazione letterale della disposizione, le categorie di soggetti sono indicati in modo tra loro alternativo. Al riguardo, si segnala che i partiti e movimenti politici dotati di statuto e atto costitutivo con le indicazioni previste dalla disposizione sono ricompresi sia alla lettera a) sia alla lettera b); in quest’ultimo caso si richiede anche un rappresentante eletto. Pertanto, la seconda ipotesi rappresenta testualmente una sottocategoria che rientra nella prima ipotesi. Laddove, invece, l’intenzione fosse quella di circoscrivere la categoria beneficiata solo ai partiti e movimenti con rappresentante eletto, la disposizione andrebbe riformulata.

Ancora in relazione all’individuazione dei soggetti, andrebbe chiarita la possibilità per liste di candidati di dotarsi di atto costitutivo e statuto.

 

La mancata trasmissione degli atti richiesti da parte dei partiti e movimenti, incluse le liste di candidati che non ne siano espressione, comporta la decadenza del diritto ai contributi volontari (comma 3).

 

La proposta (comma 2) subordina solo i soggetti di cui alla lettera a), ovvero quelli dotati di statuto e atto costitutivo, comprese le liste di candidati, anche se privi di rappresentanti politici, al possesso di ulteriori requisiti riguardanti la loro attività e le modalità di organizzazione al fine di poter beneficiare di una maggiorazione del 3 per cento del valore del credito d’imposta sopra determinato. In particolare, questa può essere fatta valere solo ove il partito o movimento politico preveda: a) elezioni primarie per l’individuazione di candidati; b) meccanismi di protezione delle minoranze di genere; c) meccanismi di trasparenza pubblica dei bilanci, conformemente a quanto previsti per la disciplina dei gruppi parlamentari.

 

Stante la formulazione letterale del comma e l’assenza di ulteriori specificazioni, per far valere la maggiorazione del beneficio occorre che il contributo sia stato versato in favore di soggetto politico che preveda cumulativamente i requisiti aggiuntivi richiesti.

 

La proposta dispone, al comma 4, l’istituzione di un albo dei partiti e movimenti politici, un elenco in cui devono iscriversi tutti i soggetti elencati al comma 2 tenuto presso il Ministero dell’interno e disponibile nel sito istituzionale. La richiesta di iscrizione deve essere corredata dallo statuto, che viene depositato, (ed ogni eventuale modifica) nonché da una dichiarazione, resa ai sensi dell’art. 76 del D.P.R. 445/2000, che attesta la sussistenza dei requisiti prescritti ai sensi delle precedenti disposizioni.

Le modalità attuative dell’elenco nazionale sono demandate ad un decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministeri dell’economia e delle finanze.

 

La proposta contiene, inoltre, una disciplina transitoria, ai sensi dei partiti e movimenti politici ai quali è riconosciuto il rimborso per le spese elettorali ai sensi di tale normativa vigente continuano comunque ad usufruirne integralmente per l’esercizio finanziario in corso e nella misura rispettivamente del 60%, del 40% e del 20% nei tre esercizi finanziari successivi. Dal quarto esercizio finanziario successivo all’entrata in vigore i rimborso cessa (articolo 4).

L’articolo 5 della medesima proposta reca una clausola di invarianza finanziaria.

Non sono peraltro specificate le modalità di copertura degli oneri derivanti dall’istituzione del credito di imposta previsto dall’articolo 2.

È infine previsto il monitoraggio degli effetti da parte del Ministro dell’economia, che riferisce alle Camere ogni sei mesi, anche ai fini dell’adozione di eventuali misure correttive.

Le altre proposte di legge

L’A.C. 199 non innova la disciplina del finanziamento pubblico ai partiti limitandosi (art. 18) a subordinare il rimborso delle spese elettorali e l’accesso ad ogni altra risorsa pubblica, ivi comprese le risorse a favore dell’editoria, al rispetto della forma-partito disciplinata dalla stessa proposta.

 

Con riferimento ai contributi in favore dell’editoria si ricorda, preliminarmente, che l’art. 29, co. 3 del D.L. 201/2011 (L. 214/2011), allo scopo di contribuire all’obiettivo del pareggio di bilancio entro la fine dell’anno 2013, ha disposto la cessazione del sistema di erogazione dei contributi diretti dal 31 dicembre 2014, con riferimento alla gestione 2013, e la revisione del regolamento emanato con DPR 223/2010, finalizzata a una più rigorosa selezione nell’accesso alle risorse e al risparmio di spesa.

Le modifiche al regolamento sono state operate in via transitoria, nelle more di una compiuta ridefinizione delle forme di sostegno al settore editoriale, dal D.L. 63/2012 (L. 103/2012), con il quale, tra l’altro, sono stati rideterminati i requisiti di accesso e i criteri di calcolo dei contributi.

Il ragionamento sulla ridefinizione della disciplina a regime delle forme di sostegno all'editoria, avviato nel corso della XVI legislatura con l’esame del disegno di legge A.C. 5270, non è giunto a compimento.

Con riguardo alle categorie di beneficiari che sembrerebbero essere interessate dalle disposizioni in esame, laddove il riferimento utilizzato è all’”editoria di partito” si ricordano:

·        imprese editrici di quotidiani e periodici organi di forze politiche (art. 153, co. 2, L. 388/2000; art. 20, co. 3-ter, D.L. 223/2006);

·        imprese radiofoniche organi di partiti politici presenti in Parlamento (art. 4, L. 250/1990).

Da ultimo, per completezza, si rammenta che a seguito delle disposizioni recate dall’art. 2, co. 3, del DPR 223/2010, ai quotidiani e periodici organi di movimenti politici editi da società trasformatesi in cooperativa entro il 1° dicembre 2001 (art. 153, co. 4, L. 388/2000) non è più richiesto il requisito di essere organo di movimento politico.

 

 

Analogamente, la proposta A.C. 186 (art. 11) condiziona l’accesso alle risorse pubbliche destinate ai partiti alle nuove disposizioni introdotte. L’articolo 10 della medesima proposta interviene a disciplinare il patrimonio dei partiti, prevedendo l’obbligo di intestare al partito i beni mobili ed immobili di sua proprietà e stabilendo la nominatività dei titoli intestati al partito.

Anche la proposta di legge A.C. 681 (articolo 2, co. 5) non interviene sulla materia del finanziamento, se non per la disposizione con la quale destina il 5% dei rimborsi elettorali alla formazione dei giovani al fine di favorire la loro partecipazione alla politica. Viene così esteso ai giovani il vincolo di destinazione delle risorse già previsto per incentivare la partecipazione femminile alla politica (L. 157/1999, art. 3).


 

Controllo dei bilanci

La proposta A.C. 199 prevede, all’articolo 15, che l'organo di gestione monocratico provvede annualmente alla redazione del bilancio consuntivo, secondo le norme dettate dal codice civile. Il bilancio consuntivo è approvato dall'assemblea degli iscritti al partito, o da un organo collegiale più ristretto composto da delegati dell'assemblea generale, entro il 31 maggio di ciascun anno. Il bilancio deve essere comunicato dall'organo di gestione monocratico all'organo collegiale di controllo almeno un mese prima del giorno fissato per l'assemblea che deve discuterlo. L'organo collegiale di controllo, secondo le disposizioni statutarie, deve riferire alle assemblee degli iscritti al partito o all'organo collegiale ristretto composto da delegati dell'assemblea sui risultati dell'esercizio e fare le osservazioni e le proposte in ordine al bilancio e alla sua approvazione. Entro il 30 settembre di ogni anno, l'organo di gestione monocratico sottopone all'organo di gestione collegiale il bilancio preventivo per l'anno successivo. Il bilancio preventivo è deliberato dall'organo di gestione collegiale e è approvato secondo le disposizioni statutarie, entro il successivo 30 novembre. Lo statuto può prevedere che il bilancio sia reso disponibile on line, in formato aperto, al fine di garantire la massima trasparenza ed accessibilità ai dati.

 

Si ricorda che ai sensi degli articoli 2423 e segg. del codice civile gli amministratori devono redigere il bilancio di esercizio, costituito dallo stato patrimoniale, dal conto economico e dalla nota integrativa. Il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell'esercizio. Se le informazioni richieste da specifiche disposizioni di legge non sono sufficienti a dare una rappresentazione veritiera e corretta, si devono fornire le informazioni complementari necessarie allo scopo. Se, in casi eccezionali, l'applicazione di una disposizione degli articoli seguenti è incompatibile con la rappresentazione veritiera e corretta, la disposizione non deve essere applicata. La nota integrativa deve motivare la deroga e deve indicarne l'influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale, finanziaria e del risultato economico. Gli eventuali utili derivanti dalla deroga devono essere iscritti in una riserva non distribuibile se non in misura corrispondente al valore recuperato.

 

La proposta A.C. 255 (articolo 5), in materia di redazione e controlli sui rendiconti dei partiti e dei movimenti politici, di gestione dei fondi, di divieti e di sanzioni richiama l’applicazione della disciplina vigente, prevista dall’art. 9 L. 96/2012.

È altresì previsto che i partiti, movimenti e associazioni con finalità politiche sono tenuti a pubblicare, entro il 31 luglio di ogni anno, il rendiconto di esercizio e i relativi allegati su due quotidiani a diffusione nazionale, nonché su due giornali telematici e nel sito istituzionale del partito, movimento o associazione.

 

La proposta A.C. 664 (articolo 5) mira ad assicurare il carattere analitico del controllo sui bilanci dei partiti, specificando, da un lato, che il rendiconto di esercizio deve essere onnicomprensivo (comma 1, lett. a)) e, dall’altro, che la Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici effettua una verifica di carattere analitico sui dati contabili che le vengono trasmessi.

Pur non risultando nella legge 96/2012 disposizioni che facciano richiamo a un controllo a campione da parte della Commissione, per evitare che il richiamo alla normativa vigente contenuto nell’art. 9, possa legittimare un controllo a campione, si esclude espressamente tale metodo.

 

La disciplina della revisione legale dei conti è contenuta nel D. Lgs. n. 39 del 2010, con il quale è stata recepita la direttiva 2006/43/CE relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati ed è stata unificata in un corpus normativo omogeneo la disciplina dell’attività di revisione. Il suddetto provvedimento contiene disposizioni concernenti, tra l’altro, l’abilitazione e la formazione continua dei soggetti abilitati all'attività di revisione (articolo 2), il Registro dei revisori legali e delle società di revisione (le cui informazioni sono conservate in forma elettronica e sono accessibili gratuitamente via Internet, ai sensi dell’articolo 7), lo svolgimento dell’attività di revisione legale, la responsabilità dei revisori.

Nell’abrogare alcune norme del codice civile in materia di revisione contabile, nonché la specifica disciplina del Testo Unico Finanziario (D. Lgs. n. 58 del 1998), si dispone (articolo 43, comma 1 del D. Lgs. n. 39 del 2010) che queste ultime tuttavia continueranno ad essere applicate fino all’emanazione dei regolamenti di attuazione.

 

In particolare, l’articolo 14 del D. Lgs. n. 39 del 2010 dispone che la persona fisica o la società incaricata di effettuare la revisione legale dei conti:

a)     esprimono con apposita relazione un giudizio sul bilancio di esercizio e sul bilancio consolidato, ove redatto;

b)     verificano nel corso dell’esercizio la regolare tenuta della contabilità sociale e la corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili.

 

La relazione, che deve essere redatta in conformità ai principi di revisione legale indicati dalla legge, è costituita dai seguenti elementi:

a)     un paragrafo introduttivo che identifica i conti annuali o consolidati sottoposti a revisione legale ed il quadro delle regole di redazione applicate dalla società;

b)     una descrizione della portata della revisione legale svolta con l’indicazione dei principi di revisione osservati;

c)     un giudizio sul bilancio, che indica chiaramente se questo è conforme alle norme che ne disciplinano la redazione e se rappresenta in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria e il risultato economico dell’esercizio;

 

Si rileva che i principi da applicare saranno emanati dalla Commissione europea ai sensi di apposita procedura (articolo 11 del D. Lgs. n. 30 del 2010); in attesa dell’emanazione di tali principi, continueranno ad applicarsi i principi “elaborati da associazioni e ordini professionali e dalla Consob” (articolo 11, comma 2) ed i principi raccomandati / emanati dalla Consob ai sensi dell’art. 162 del TUF (articolo 43 comma 3 del D. Lgs. n. 39 del 2010). In attesa della definizione del predetto quadro normativo, il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili ha emanato, il 6 aprile 2011, le Modalità di redazione della relazione di revisione ai sensi dell’art. 14 del decreto legislativo 27 gennaio 2010 n. 39.

 

Nell’ambito dei predetti principi, il documento n. 530 reca le norme per il campionamento di revisione, vale a dire l’applicazione di procedure di revisione su un numero di voci inferiore alla totalità delle voci che compongono il saldo di un conto o una classe di operazioni in modo tale che tutte le voci abbiano una probabilità di essere selezionate.

 

L’art. 6 dell’A.C. 664 è diretto ad estendere la c.d. class action nei confronti delle società di revisione dei bilanci dei partiti e movimenti politici.

Si ricordano le caratteristiche principali dell’attuale azione di classe dei consumatori:

§  Le finalità dell’istituto sono la tutela dei diritti di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione identica (“diritti individuali omogenei”) nonché di interessi collettivi[27];

§  può trattarsi di danni derivanti dalla violazione di diritti contrattuali o di diritti comunque spettanti al consumatore finale del prodotto o del servizio (a prescindere da un rapporto contrattuale), da comportamenti anticoncorrenziali o da pratiche commerciali scorrette;

§  l'oggetto dell'azione è l'accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni in favore degli utenti consumatori;

§  la legittimazione ad agire in giudizio viene riconosciuta ai singoli cittadini-consumatori, anche mediante associazioni cui diano mandato o comitati cui partecipino;

§  è possibile per altri consumatori aderire all’azione di classe; l’adesione comporta la rinuncia a ogni azione restitutoria o risarcitoria individuale.

Il procedimento è scandito in due fasi: la prima volta alla pronuncia sull’ammissibilità dell’azione di classe; la seconda finalizzata invece alla decisione nel merito. In caso di accoglimento della domanda, il procedimento si conclude con la sentenza di condanna alla liquidazione, in via equitativa, delle somme dovute a coloro che hanno aderito all’azione ovvero con la definizione di un criterio omogeneo di calcolo per la suddetta liquidazione.

Analiticamente, la domanda si propone con atto di citazione al tribunale del capoluogo della regione in cui ha sede l’impresa. La competenza è attribuita al tribunale in composizione collegiale con il possibile intervento anche del PM, ma solo per il giudizio di ammissibilità dell'azione (art. 140-bis, commi 4 e 5).

Si apre a questo punto la prima fase del procedimento, dedicata alla pronuncia sull'ammissibilità dell'azione di classe. Il tribunale si pronuncia sull'ammissibilità con ordinanza all'esito della prima udienza (a meno che non sia necessario disporre una sospensione del giudizio per attendere la pronuncia di un'autorità indipendente o del giudice amministrativo). La domanda è dichiarata inammissibile quando (comma 6):

-      è manifestamente infondata;

-      sussiste un conflitto di interessi;

-      il giudice non ravvisa l'omogeneità dei diritti individuali tutelabili;

-      il proponente non appare in grado di curare adeguatamente l’interesse della classe.

Se ammette l'azione il tribunale deve (art. 140-bis, commi 9-11):

§  definire i caratteri dei diritti individuali oggetto del giudizio, specificando i criteri in base ai quali i soggetti che chiedono di aderire sono inclusi nella classe o devono ritenersi esclusi dall’azione;

§  fissare termini e modalità della più opportuna pubblicità dell'azione, per consentire l'adesione degli appartenenti alla classe;

§  fissare un termine perentorio, non superiore a 120 giorni dall'esecuzione della pubblicità, entro il quale gli atti di adesione, anche a mezzo dell’attore, devono essere depositati in cancelleria. Dopo la scadenza di questo termine non saranno più proponibili ulteriori azioni di classe per i medesimi fatti e nei confronti della stessa impresa; saranno possibili sono ricorsi individuali da parti di coloro che non abbiano aderito all'azione collettiva.

Si apre dunque il procedimento nel merito, che può concludersi con una sentenza con la quale il tribunale:

-      condanna alla liquidazione, in via equitativa, delle somme dovute a coloro che hanno aderito all’azione ovvero

-      definisce un criterio omogeneo di calcolo per la suddetta liquidazione. In quest'ultimo caso il tribunale assegna alle parti un termine di 90 giorni per raggiungere un accordo sull'entità del risarcimento e in mancanza, su istanza di parte, dispone il possibile intervento diretto del giudice che liquida personalmente le somme agli aderenti all'azione.

 

La proposta di legge A.C. 664 prevede che possano essere tutelati attraverso l’azione di classe anche i diritti omogenei dei cittadini che abbiamo subito un pregiudizio dall’irregolare certificazione dei bilanci dei partiti da parte delle società di revisione.

In merito si ricorda che attualmente la c.d. class action dei consumatori tutela «a) i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione omogenea, inclusi i diritti relativi a contratti stipulati ai sensi degli articoli 1341 e 1342 del codice civile; b)  i diritti omogenei spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto o servizio nei confronti del relativo produttore, anche a prescindere da un diretto rapporto contrattuale; c)  i diritti omogenei al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali».

Svolgere l’azione verso le società di revisione implica estendere la platea degli attori dagli specifici consumatori o utenti di un’impresa a tutti i cittadini (o elettori) ipotizzando la possibile adesione all’azione di tutti i cittadini (o elettori) italiani.

Si osserva inoltre che per le medesime ipotesi di irregolarità potrebbero già essere previste sanzioni amministrative pecuniarie ai sensi del decreto legislativo n. 39 del 2010.

 

L’art. 7 dell’AC. 664 aggrava le sanzioni già previste a carico delle società di revisione chiamate a controllare la gestione contabile e finanziaria dei partiti e movimenti politici.

In particolare, la proposta di legge:

§  modifica l’articolo 24 del decreto legislativo n. 39/2010, sulla revisione legale dei conti, che disciplina l’irrogazione di sanzioni amministrative da parte del Ministero dell’economia e delle finanze a seguito dell’accertamento di irregolarità nella revisione legale (oltre che nei casi di ritardata o mancata comunicazione delle informazioni che le società debbono trasmettere in base alla legge). Sono portate a 3.000 euro nel minimo e 500.000 euro nel massimo le sanzioni già previste nei confronti delle società di revisione legale che compiano irregolarità nel controllo della gestione contabile e finanziaria di partiti e movimenti politici. In caso di irregolarità di particolare gravità, la sanzione è pari al 5% del fatturato della società di revisione, come risultante dall’ultimo bilancio. Il periodo massimo di sospensione del responsabile della revisione legale è portato da cinque a dieci anni, il termine massimo per il divieto di assunzione di nuovi incarichi è portato da tre a sei anni (commi 1-2);

§  modifica in maniera analoga l’articolo 26 del decreto legislativo n. 39/2010 che già prevede i provvedimenti sanzionatori della CONSOB in corrispondenza con quelli del Ministero. L’ipotesi di revoca di uno o più incarichi di revisione legale è quindi esteso anche alla revisione dei bilanci dei partiti politici. La sanzione pecuniaria viene aumentata: il minimo passa da 10.000 euro a 20.000 euro e il massimo da 500.000 a un milione di euro. Anche in questo caso, nei casi più gravi sarà possibile applicare la sanzione pari al 5% del fatturato della società di revisione. Per le irregolarità commesse nella revisione dei bilanci dei partiti il termine massimo del divieto di assunzione di nuovi incarichi viene portato da tre a sei anni, il periodo massimo di sospensione dal registro è portato da cinque a dieci anni (commi 3-7);

§  novella l’articolo 27 del decreto legislativo n. 39/2010, introducendo aggravanti specifiche con riguardo alle fattispecie penali esistenti, laddove il fatto sia commesso nell’attività di controllo della gestione contabile e finanziaria di partiti e movimenti politici. A seguito dell’inasprimento delle pene, appare più remota la possibilità che il condannato possa scontare la pena fuori dal carcere. In particolare, la proposta:

-      prevede la reclusione da 2 a 6 anni per la falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni dei responsabili della revisione legale dei bilanci dei partiti (a fronte di una pena base da 1 a 5 anni (comma 8), con l’aumento della pena fino alla metà se il fatto è commesso per denaro o altra utilità data o promessa, ovvero in concorso con gli amministratori, i direttori generali o i sindaci della società assoggettata a revisione (comma 9);

-      estende l’applicazione delle pene anche a chi dà o promette l’utilità (comma 10);

-      prevede una sanzione amministrativa (da 20.000 a 2 milioni di euro) a carico del partito o del movimento politico i cui amministratori abbiano concorso a commettere i suddetti reati (comma 11, che introduce il comma 5-bis nell’art. 27);

§  modifica l’articolo 28 del decreto legislativo n. 39/2010 aggiungendo alle ipotesi di corruzione dei revisori, già previste (sino a tre anni ovvero, se per denaro o altre utilità, da uno a cinque anni), specifiche aggravanti – fino al doppio - nei riguardi di chi effettua il controllo della gestione contabile e finanziaria di partiti e movimenti politici (comma 12);

§  introduce un nuovo articolo 28-bis nel d.lgs. n. 39, in base al quale la condanna per uno dei delitti ex artt. 27 o 28 commessi nell’attività di revisione dei bilanci dei partiti comporta comunque l’interdizione perpetua dai pubblici uffici (comma 13).

 

In ordine all’inasprimento delle pene, si suggerisce di valutare se sia ragionevole la forte differenza tra le pene per le ipotesi base e quelle per l’ipotesi connessa alla revisione dei bilanci dei partiti, ovvero se non sia più opportuna una generale riconsiderazione delle sanzioni concernenti la revisione legale.

 

La proposta A.C. 733 (articolo 4), con alcune novelle all’art. 9 L. 96/2012 abroga l’obbligo per i partiti e movimenti politici di avvalersi di una società di revisione contabile, che esprime un giudizio sul rendiconto di esercizio.

L’individuazione degli organismi di controllo contabile, retti da soggetti iscritti all'ordine dei revisori contabili, è infatti rimessa dalla proposta di legge in esame allo statuto dei partiti e movimenti politici, il cui deposito è obbligatorio per conseguire l’iscrizione nell’elenco nazionale tenuto dalla Camera.

 

Elezioni primarie

La proposta di legge A.C. 255 (artt. 6-9) reca una disciplina delle elezioni primarie.

In particolare, ai sensi dell’articolo 6, i partiti, movimenti o associazioni con finalità politiche può scegliere di designare i propri candidati a cariche amministrative o politiche alle quali si accede per mezzo di consultazioni elettorali (comma 4):

§  mediante elezioni primarie

§  con altra procedura, purché nel rispetto dei princìpi di cui all'articolo 49 della Costituzione, delle regole del codice civile e dello statuto.

Il contributo previsto dall’articolo 1 della proposta nella forma della destinazione del 4 per mille dell’IRPEF è ridotto del 50 per cento per i partiti, movimenti o associazioni con finalità politiche che non utilizzano le elezioni primarie per la designazione dei candidati al Parlamento (comma 2).

 

In caso di scelta del metodo delle elezioni primarie, il risultato è vincolante per la successiva presentazione dei candidati (comma 4).

Le elezioni primarie possono essere indette anche da più partiti, movimenti o associazioni con finalità politiche che decidano di presentare candidati comuni a determinate consultazioni elettorali. In tal caso, il risultato vincola tutti i partiti, movimenti o associazioni con finalità politiche che hanno partecipato alle elezioni primarie (comma 5).

 

Le elezioni primarie si svolgono almeno 60 giorni prima della scadenza dei termini di presentazione delle candidature per le elezioni di riferimento (art. 9).

Possono parteciparvi i cittadini iscritti al partito che le ha indette residenti nella circoscrizione elettorale cui l’elezione di riferisce (art. 7).

I partiti sono dunque tenuti a consegnare alle commissioni elettorali l’elenco completo degli iscritti almeno 30 giorni prima la data delle primarie.

Qualsiasi avente diritto al voto può denunciare eventuali irregolarità all’ufficio elettorale competente. Si applicano le norme sulle controversie relative alle elezioni cui le primarie fanno riferimento.

Le elezioni primarie avvengono a spese e sotto il controllo dello Stato (art. 6, comma 1). L'organizzazione e il controllo sono demandati agli stessi organi della pubblica amministrazione che curano gli adempimenti elettorali nelle elezioni politiche e amministrative (comma 3).

La definizione della disciplina delle elezioni primarie è rimessa ad un regolamento governativo, da adottare con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno (art. 8).

 

Per l’emanazione del regolamento dovrebbe essere richiamato l’art. 17, comma 1, L. 400/1988.

Tutela giurisdizionale

Gli articoli 17 e 18, co. 2, dell’A.C. 199 disciplinano l’accesso alla giurisdizione civile.

 

Si ricorda che in base all’articolo 23 del codice civile, le deliberazioni dell'assemblea dell’associazione (anche non riconosciuta) contrarie alla legge, all'atto costitutivo o allo statuto possono essere annullate, su istanza degli organi dell'ente, di qualunque associato o del pubblico ministero. L'annullamento della deliberazione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione medesima. Il presidente del tribunale o il giudice istruttore, sentiti gli amministratori dell'associazione, può sospendere, su istanza di colui che ha proposto l'impugnazione, l'esecuzione della deliberazione impugnata, quando sussistono gravi motivi. Il decreto di sospensione deve essere motivato ed è notificato agli amministratori.

 

In particolare, l’art. 17 prevede il diritto dell’iscritto al partito politico a ricorrere al tribunale civile (in composizione monocratica) nei seguenti casi:

§  atti compiuti in violazione di legge, dello statuto, di delibere degli organi collegiali;

§  atti che comprimono, limitano o violano il metodo democratico (come descritto dall’art. 2 della p.d.l.);

§  provvedimenti sanzionatori assunti in violazione dello statuto.

Il tribunale competente è quello del luogo in cui ha sede il partito o la sua articolazione territoriale (che ha assunto l’atto avverso il quale si ricorrre); il tribunale si pronuncia previo contraddittorio, con decreto motivato, reclamabile in Corte d’appello. Si applicano le disposizioni sui procedimenti in camera di consiglio (artt. 737 e ss. c.p.c.).

 

L’art. 18, comma 2, prevede invece che chiunque abbia interesse possa rivolgersi al giudice per far accertare la non conformità dello statuto del partito alla legge o al metodo democratico, come definito dall’art. 2. Se il giudice accoglie la domanda, il partito decade dall’accesso al finanziamento pubblico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1]http://www.corteconti.it/opencms/opencms/handle404?exporturi=/export/sites/portalecdc/_documenti/controllo/controllo_spese_elettorali/delibera_cse_9_2009.pdf&%5d

[2]http://www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/controllo/controllo_spese_elettorali/referto_politiche_2006.pdf

[3]     Alla data del 26 aprile 2012, alla data del 26 aprile 2012, risultavano all’ordine del giorno della Commissione 20 proposte di legge abbinate: AC 244 Maurizio Turco,  AC 506 Castagnetti, AC 853 Pisicchio, AC.1722 Briguglio, A C. 3809 Sposetti, AC.3962 Pisicchio, A C 4194 Veltroni, A C 4826 Iannaccone, AC 4950 Galli, AC.4953 Razzi, AC 4954 Donadi, AC.4955 Gozi, AC.4956 Casini, AC. 4965 Sbrollini, AC. 4973 Bersani, AC 4985 Pionati, AC.5032 Palagiano, AC.5063 Cambursano, AC. 5098 Briguglio e AC. 5127 Giachetti .

[4] AC A.C. Turco 244, 506 e 3809 Bersani 4973, Gozi 4955 e Casini 4956; ricorre alla categoria dell’associazione anche l’AC 1722, che non prevede però specifici procedimenti di costituzione.

[5] D.P.R. 10 febbraio 2000 n. 361, Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti di riconoscimento di persone giuridiche private e di approvazione delle modifiche dell'atto costitutivo e dello statuto.

[6] AC 3809 Sposetti , AC4950 Casini, AC 4973 Bersani, AC 4955 Gozi, AC 4954 Donadi, AC5111 Donadi.

[7] Così la proposta di legge AC  4956 Casini ed altri.

[8] A.C. Pisicchio 853.

[9] Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti di riconoscimento di persone giuridiche private e di approvazione delle modifiche dell'atto costitutivo e dello statuto.

[10] Groupe d’Etats contre la corruption.

[11] Decreto legislativo 21 novembre 2007 n. 231, Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione.

[12] Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, 214.

[13]Il          Rapporto al punto 151 rileva che “l’attuale regime sanzionatorio è molto limitato e particolarmente debole. In pratica, le sanzioni sono pressoché limitate alla sospensione dei finanziamenti pubblici fino a che non siano sanate le irregolarità formali nella rendicontazione. Nella loro attuale forma, le sanzioni nonsono né efficaci né proporzionate né dissuasive.

[14] “Paghi per entrare”

[15] Recante la disciplina dell’attività di Governo ed organizzazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il comma 3 concerne i regolamenti che possono essere emanati con decreto ministeriale quando, precisa la norma “la legge espressamente conferisca tale potere”. Tali  regolamenti non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo, e debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione.

[16]   Si tratta in particolare della legge 3 giugno 1999, n.157, recante le norme sul rimborso delle spese per consultazioni elettorali, e della legge 6 luglio 2012, n.96, recante disposizioni per la riduzione dei contributi pubblici ai partiti e movimenti politici.

[17]   L’istituto del 5 per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche è stato introdotto dall’articolo 1, comma 337 e ss., della legge finanziaria per il 2006 (legge n. 266 del 2005) a titolo sperimentale e poi confermato annualmente (da ultimo relativamente all’esercizio finanziario 2013 in relazione alle dichiarazioni dei redditi 2012 dall’arti. 23, co. 2, del D.L. n. 95/2012). Attraverso tale strumento il contribuente può destinare una quota pari al 5 per mille del proprio gettito IRPEF ad una serie di finalità, indicando per talune scelte anche il codice fiscale del soggetto beneficiario.

Per quanto concerne il criterio di riparto del beneficio, la normativa dà facoltà al contribuente di scegliere di destinare, in sede di dichiarazione dei redditi, la quota del 5 per mille della propria IRPEF ad una delle finalità cui il beneficio è destinato (eventualmente, direttamente ad un soggetto specifico, attraverso l’indicazione del codice fiscale del soggetto). La scelta del contribuente concorre proporzionalmente a determinare l’entità spettante a ciascun beneficiario, entro il tetto di spesa legislativamente autorizzato. Le finalità di destinazione del 5 per mille sono le seguenti:

§  volontariato e altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS);

§  finanziamento della ricerca scientifica e dell'università

§  finanziamento della ricerca sanitaria;

§  attività sociali svolte dal comune di residenza del contribuente;

§  sostegno delle associazioni sportive dilettantistiche in possesso del riconoscimento ai fini sportivi rilasciato dal CONI a norma di legge, che svolgono una rilevante attività di interesse sociale;

§  a decorrere dall’anno finanziario 2012, finanziamento delle attività di tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici.

Si ricorda, infine, che l’art. 23 del D.L. n. 95/2012, attraverso una novella alla legge 96/2012, prevede che nel caso in cui si verifichi l'estinzione di movimenti o partiti politici, le residue risorse inerenti agli eventuali avanzi registrati dai relativi rendiconti inerenti ai contributi erariali ricevuti, come certificati all'esito dei controlli, possono essere versati all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati alle finalità del 5 per mille.

[18]   Quanto ai tempi di riparto del contributo del 5 per mille, a causa della complessa procedura sottesa all’esame dei soggetti ammissibili al contributo e dei relativi ricorsi che questi possono presentare, disciplinata ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 aprile 2010, essa si svolge di media l’arco di due anni. Ciò ha indotto il legislatore ha disporre in via permanente, con l’articolo 23, comma 2, quarto periodo, del D.L. n. 95/2012, che le somme stanziate a bilancio per il 5 per mille e non utilizzate (nel senso di non impegnate) entro il 31 dicembre di ciascun anno possono esserlo nell'esercizio successivo.

[19]   La legge pone un ulteriore e più stringente divieto nei giorni della votazione, nei quali è vietata ogni forma di propaganda elettorale entro il raggio di 200 metri dall'ingresso delle sezioni elettorali (L. 212/1956, art. 9, comma 2). 

[20]Si veda il provvedimento della Commissione parlamentare di vigilanza RAI, adottato il 4 gennaio 2013 per le elezioni politiche dello stesso anno, in cui si fa riferimento (art. 3, comma 1) al periodo compreso “tra la scadenza del termine per la presentazione delle candidature e la mezzanotte del secondo giorno precedente la data delle elezioni” per indicare il periodo entro il quale gli spazi nelle trasmissioni di comunicazione politica devono essere garantiti alle liste aventi i requisiti ivi indicati.

[21]   Le agevolazioni tariffarie per le spedizioni postali di cui agli artt. 17 e 20 della L. 515 del 1993 sono state soppresse, con decorrenza dal 1 gennaio 2000, dall’art. 41, co. 1, della L. 448 del 1998. L’art. 4, co. 1, del D.L. 24 dicembre 2003, n. 353 (conv. dalla L. n. 46 del 2004) ha successivamente abrogato l’art. 41, co. 1, della L. 448 del 1998.

[22]   Tutte le amministrazioni statali centrali e periferiche, compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative e le istituzioni universitarie, sono tenute ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni-quadro Consip. Le altre amministrazioni pubbliche possono ricorrere alle convenzioni quadro stipulate dalle centrali regionali e da Consip, ovvero sono obbligate ad utilizzarne i parametri di prezzo-qualità come limiti massimi per la stipula dei contratti (articolo 1, commi 449-458, legge n. 296/2006).

[23]   Esiste l’obbligo per le amministrazioni statali di ricorrere al mercato elettronico della P.A. per gli acquisti il cui importo sia cd. “sotto soglia” . Le amministrazioni pubbliche diverse da quelle statali sono invece tenute per gli acquisti sotto soglia a ricorrere al MePA ovvero  ad altri mercati elettronici istituiti ai sensi del citato articolo 328 ovvero al sistema telematico messo a disposizione dalla centrale regionale di riferimento (articolo 1, comma 450 della legge n. 296/2006)

[24]   La disposizione fa riferimento all’art. 26 del decreto legislativo n. 385/1993, in base al quale i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso banche devono possedere i requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza stabiliti con regolamento del Ministro dell'economia e delle finanze, adottato sentita la Banca d'Italia. Si tratta ora del D.M. 18 marzo 1998, n. 161 (Regolamento recante norme per l'individuazione dei requisiti di onorabilità e professionalità degli esponenti aziendali delle banche e delle cause di sospensione).

[25]   Si ricorda, invece, che nel caso dell’8 per mille IRPEF, la scelta relativa all'effettiva destinazione viene effettuata dai contribuenti all'atto della presentazione della dichiarazione annuale dei redditi; in caso di scelte non espresse dai contribuenti, la destinazione viene stabilita in proporzione alle scelte espresse (articolo 47, terzo comma, legge n. 222/1985).

[26]   Legge n. 96/2012, recante “Norme in materia di riduzione dei contributi pubblici in favore dei partiti e dei movimenti politici, nonché misure per garantire la trasparenza e i controlli dei rendiconti dei medesimi. Delega al Governo per l'adozione di un testo unico delle leggi concernenti il finanziamento dei partiti e dei movimenti politici e per l'armonizzazione del regime relativo alle detrazioni fiscali”.

[27]   La tutela degli interessi collettivi - prevista dal modello originario dell'azione collettiva risarcitoria - era stata eliminata nel 2009 per essere poi reinserita nell'azione di classe dal decreto liberalizzazioni. Peraltro la tutela degli interessi collettivi è già ampiamente riconosciuta dall’art. 2 del Codice del consumo in base al quale sono riconosciuti e garantiti i diritti e gli interessi individuali e collettivi dei consumatori e degli utenti, ne è promossa la tutela in sede nazionale e locale, anche in forma collettiva e associativa, sono favorite le iniziative rivolte a perseguire tali finalità, anche attraverso la disciplina dei rapporti tra le associazioni dei consumatori e degli utenti e le pubbliche amministrazioni. La Corte di cassazione ha affermato che gli interessi tutelati dal Codice del consumo, anche in forma collettiva, non essendo subordinabili all’interesse generale, non possano che qualificarsi come diritti soggettivi (Cassazione, Sez. Unite, Ordinanza n. 7036 del 28 marzo 2006).