Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Bilancio dello Stato | ||||
Altri Autori: | Servizio Commissioni | ||||
Titolo: | (Doc. 161) Schema di decreto legislativo recante misure per la crescita e l'internazionalizzazione delle imprese | ||||
Riferimenti: |
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Serie: | Verifica delle quantificazioni Numero: 217 | ||||
Data: | 04/06/2015 | ||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | VI-Finanze |
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Camera dei deputati
XVII LEGISLATURA
Verifica delle quantificazioni |
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Misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese
(Schema di decreto legislativo n. 161)
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N. 217 – 4 giugno 2015 |
La verifica delle relazioni tecniche che corredano i provvedimenti all'esame della Camera e degli effetti finanziari dei provvedimenti privi di relazione tecnica è curata dal Servizio Bilancio dello Stato. La verifica delle disposizioni di copertura, evidenziata da apposita cornice, è curata dalla Segreteria della V Commissione (Bilancio, tesoro e programmazione). L’analisi è svolta a fini istruttori, a supporto delle valutazioni proprie degli organi parlamentari, ed ha lo scopo di segnalare ai deputati, ove ne ricorrano i presupposti, la necessità di acquisire chiarimenti ovvero ulteriori dati e informazioni in merito a specifici aspetti dei testi.
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( 066760-2174 / 066760-9455 – * bs_segreteria@camera.it
SERVIZIO COMMISSIONI – Segreteria della V Commissione
( 066760-3545 / 066760-3685 – * com_bilancio@camera.it
Estremi del provvedimento
Atto n.:
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161 |
Natura dell’atto:
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Schema di decreto legislativo |
Titolo breve:
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Misure per la crescita e l'internazionalizzazione delle imprese
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Riferimento normativo:
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articoli 1 e 12 della legge 11 marzo 2014, n. 23 |
Relatori per le Commissioni di merito:
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Sanga, per la VI Commissione Fauttilli, per la V Commissione
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Gruppo: |
PI-CD
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Relazione tecnica: |
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Assegnazione
Alla
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(termine per l’esame: 29 maggio 2015) |
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Alla Commissione Bilancio |
ai sensi
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(termine per l’esame: 29 maggio 2015)
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INDICE
Accordi preventivi per le imprese con attività internazionale
Interpello sui nuovi investimenti
Dividendi provenienti da soggetti residenti in Stati o territori a regime fiscale privilegiato
Disposizioni in materia di costi black list e di valore normale
Stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti
Disciplina delle controllate e delle collegate estere
Liste dei paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni e coordinamento black list
Sospensione della riscossione della tassazione in caso di trasferimento all’estero
Trasferimento della residenza nel territorio dello Stato
Esenzione degli utili e delle perdite delle stabili organizzazioni di imprese residenti
PREMESSA
Lo schema di decreto legislativo in esame reca misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese.
Il provvedimento è adottato in attuazione della legge 23/2014 (Delega per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita), che all’articolo 12 ha delegato il Governo ad adottare decreti legislativi finalizzati a ridurre le incertezze nella determinazione del reddito e della produzione netta e per favorire l'internazionalizzazione dei soggetti economici operanti in Italia, in applicazione delle raccomandazioni degli organismi internazionali e dell'Unione europea.
Ai sensi dell’articolo 16 della legge delega i decreti legislativi devono essere adottati ad invarianza di effetti finanziari e in assenza di incrementi della pressione fiscale. Pertanto, in considerazione della complessità della materia trattata e dell'impossibilità di procedere alla determinazione degli eventuali effetti finanziari, ciascuno schema di decreto legislativo è corredato di relazione tecnica che deve evidenziare i relativi effetti sui saldi di finanza pubblica. Qualora uno o più decreti legislativi determinino nuovi o maggiori oneri, che non trovino compensazione nel proprio ambito, si provvede, ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge n. 196/2009 (legge di contabilità pubblica) ovvero mediante compensazione con le risorse finanziarie recate dai decreti legislativi adottati ai sensi della medesima legge delega, presentati prima o contestualmente a quelli che comportano i nuovi o maggiori oneri. A tal fine, le predette risorse confluiscono in un apposito fondo istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze. I decreti legislativi che recano maggiori oneri devono entrare in vigore contestualmente o successivamente a quelli che recano la necessaria copertura finanziaria.
Il testo in esame è corredato di relazione tecnica.
Si esaminano di seguito le norme considerate dalla relazione tecnica, nonché le altre disposizioni che presentano profili di carattere finanziario.
Effetti di gettito quantificati dalla relazione tecnica e dal provvedimento
(milioni di euro)
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2015 |
2016 |
2017 |
dal 2018 |
Maggiori entrate |
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Art.4 (interessi passivi) |
0 |
0 |
+236 |
+134,6 |
Minori entrate |
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Art.5 (deducibilità dei costi black list) |
0 |
-41,5 |
-23,7 |
-23,7 |
Art.8 (controllate e collegate estere)0 |
0 |
-57,8 |
-33 |
-33 |
Art. 9 (spese di rappresentanza) |
0 |
0 |
-41,3 |
-23,6 |
Art.14(esenzione utili e perdite di stabili organizzazioni) |
0 |
0 |
-166 |
-95 |
TOT (Minori entrate nette) |
0 |
-99,3 |
-28 |
-40,7 |
La copertura finanziaria delle minori entrate nette (articolo 16 dello schema di decreto legislativo in esame) è a valere sul fondo istituito ai sensi dell’articolo 16 della legge delega.
Al riguardo, rinviando a quanto più dettagliatamente indicato con riferimento alle singole disposizioni del testo, si segnala – in ordine al complesso delle disposizioni del provvedimento – che la stima di cassa degli effetti finanziari non sembra considerare i possibili effetti negativi nel primo anno di applicazione (in sede di versamento dell’acconto); infatti viene quantificato nel periodo d’imposta successivo a quello di decorrenza sia l’effetto di saldo per il precedente esercizio che l’effetto di acconto per quello in corso.
In merito alla prudenzialità di tale criterio appare utile acquisire l’avviso del Governo.
Inoltre si evidenzia che diverse disposizioni del provvedimento intervengono su specifici profili della disciplina attualmente vigente finalizzata a contrastare comportamenti delle imprese che, realizzando redditi all’estero, possono in tutto o in parte trasferire tali redditi al fine di ottenere un trattamento fiscale più favorevole (disciplina sulle Controlled Foreign Companies “Cfc”). La relazione tecnica stima gli effetti della nuova disciplina con riferimento alle singole innovazioni introdotte. Peraltro appare necessario acquisire anche una valutazione complessiva del Governo circa l’equivalenza, dal punto di vista degli effetti finanziari connessi al contrasto dei predetti comportamenti delle imprese, del nuovo complesso normativo prefigurato dal provvedimento in esame rispetto a quello attualmente vigente, cui sono stati talvolta ascritti, dalle relative relazioni tecniche, effetti di maggior gettito.
VERIFICA DELLE QUANTIFICAZIONI
Accordi preventivi per le imprese con attività internazionale
La norma sostituisce la vigente normativa in materia di ruling internazionale[1] con una analoga disciplina da inserire nel DPR n. 600/1973 denominata “Accordi preventivi per le imprese con attività internazionale”.
In particolare, si propone l’inserimento dell’articolo 31-ter nel DPR n. 600/1973[2] nel quale viene prevista una procedura che:
- conferma la vigente possibilità, per le imprese che operano a livello internazionale, di stipulare accordi con l’Agenzia delle entrate per la definizione preventiva dei prezzi di trasferimento infragruppo, dell’attribuzione degli utili o delle perdite alle stabili organizzazioni, dei valori fiscali di ingresso e di uscita in caso di trasferimento della residenza, e dei criteri per il riconoscimento della stabile organizzazione in Italia, dell’individuazione del regime fiscale in materia di dividendi, royalties, interessi ed altri componenti reddituali riferiti (come soggetto erogatore o percettore) a soggetti non residenti;
- conferma che gli accordi vincolano le parti per il periodo d’imposta in cui si è concluso l’accordo e per i quattro successivi. Tuttavia, la nuova formulazione stabilisce che, qualora nel periodo interessato dalla preventiva definizione intervengano tra i Paesi interessati accordi conclusi a seguito di procedure amichevoli previste dalle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, tali ultimi nuovi accordi si applicano anche ai periodi precedenti purchè non anteriori al periodo d’imposta in corso alla data di presentazione dell’istanza da parte del contribuente. La formulazione vigente stabilisce che il ruling internazionale vincola le parti, salvo che intervengano mutamenti nelle circostanze di fatto e di diritto rilevanti per l’applicazione dell’accordo sottoscritto;
- introduce la possibilità per il contribuente di far valere retroattivamente l’accordo, se sussistono i necessari requisiti, per i periodi d’imposta compresi fra la presentazione dell’istanza e la stipula dell’accordo medesimo; in tal caso al contribuente sono riconosciuti i benefici in materia sanzionatoria del c.d. ravvedimento operoso;
- conferma l’obbligo, a carico dell’Amministrazione finanziaria, di inviare una copia dell’accordo all’autorità fiscale competente degli altri Stati interessati dall’accordo medesimo;
- conferma il riconoscimento dei poteri previsti dall’art. 32 del DPR n. 600/1973 in materia di attività di accertamento e controllo limitatamente a questioni diverse da quelle oggetto dell’accordo.
In merito al profilo finanziario la nuova formulazione non ripropone l’attuale comma 7 dell’art. 8 del DL n. 269/2003, ai sensi del quale l’attuazione della disciplina sul ruling internazionale determina oneri “ammontanti a 5 milioni di euro a decorrere dal 2004”. A tali oneri al citato art. 8 provvedeva a valere sulle maggiori entrate derivanti dal medesimo DL 269/2003.
La relazione tecnica afferma che la norma sostituisce la disciplina del ruling di standard internazionale di cui all’art. 8 del DL n. 269/2003 e che la modifica è finalizzata a conferire maggiore organicità alla disciplina medesima e a potenziare gli strumenti già esistenti.
Ritiene pertanto che, in considerazione della natura procedurale della disposizione, la stessa non determina effetti finanziari.
Al riguardo, si segnala che la disposizione introduce una disciplina sostanzialmente equivalente a quella vigente: entrambe le normative prevedono specifiche procedure a carico dell’Amministrazione finanziaria per favorire accordi con le imprese che operano a livello internazionale. Tuttavia, mentre la normativa che si intende introdurre non reca alcuna previsione di oneri, quella vigente, della quale si prevede l’abrogazione, attribuisce all’attuazione della disciplina del ruling internazionale un effetto oneroso di 5 milioni di euro annui, disponendo anche in merito alla relativa copertura finanziaria. Appaiono pertanto necessari chiarimenti in merito al profilo finanziario recato dalla norma in esame.
Ulteriori precisazioni appaiono opportune in merito agli effetti finanziari che possono derivare dalla possibilità, concessa al contribuente, di far valere l’accordo anche con effetto retroattivo, ossia a decorrere dalla presentazione dell’istanza da parte del contribuente stesso.
Interpello sui nuovi investimenti
La norma introduce una nuova tipologia di interpello, dell’Agenzia delle entrate, concernente il trattamento fiscale degli investimenti che le imprese italiane o estere intendono effettuare in Italia; l’interpello può essere richiesto per investimenti di ammontare non inferiore a 30 milioni di euro che abbiano significative e durature ricadute sull’occupazione.
L’interpello ha per oggetto il piano di investimento e le eventuali operazioni straordinarie che si ipotizzano per la sua realizzazione, ivi inclusa, ove necessaria, la valutazione preventiva circa l’eventuale assenza di abuso del diritto fiscale o di elusione, la sussistenza delle condizioni per la disapplicazione di disposizioni antielusive e l’accesso ad eventuali regimi o istituti previsti dall’ordinamento tributario.
Per i tributi, che non sono di competenza dell’Agenzia delle entrate, quest’ultima è tenuta ad inoltrare la richiesta agli enti di competenza che renderanno autonoma risposta.
L’Agenzia delle entrate fornisce una risposta scritta e motivata entro 120 giorni, prorogabili, nel caso sia necessario acquisire ulteriori informazioni, di ulteriori 90 giorni. Se necessario l’Agenzia delle entrate può effettuare accessi presso l’impresa al fine di acquisire elementi informativi utili ai fini istruttori.
L’impresa che non riceve la risposta entro il termine indicato considera il silenzio come assenso da parte dell’amministrazione finanziaria.
Il contenuto della risposta, ovvero l’applicazione del silenzio assenso, resta valido e vincola l’amministrazione finanziaria fino a che restano invariate le circostanze di fatto e di diritto sulla base delle quali è stata resa o desunta la risposta.
Il contribuente che dà esecuzione alla risposta può accedere all’istituto dell’adempimento collaborativo[3] previsto in favore dei grandi contribuenti anche se non possiede il requisito minimo del volume d’affari o dei ricavi.
L’Agenzia delle entrate può effettuare controlli diretti a verificare l’assenza di mutamenti delle circostanze rilevanti per la risposta ovvero la corretta applicazione delle indicazioni date nella risposta medesima. Rimangono fermi i poteri di accertamento e controllo relativi ad operazioni diverse da quelle rientranti nell’interpello.
Infine, l’Agenzia delle entrate è tenuta a pubblicare con cadenza annuale la sintesi delle posizioni interpretative che possono avere interesse generale.
La relazione tecnica afferma che alla disposizione non si ascrivono effetti finanziari.
Al riguardo, appaiono necessari chiarimenti tenuto conto che la disposizione attribuisce all’Agenzia delle entrate ulteriori funzioni rispetto a quelle attualmente svolte, definendo anche termini specifici, decorsi i quali trova applicazione il silenzio-assenso.
In particolare si tratta di:
· fornire interpello alle imprese italiane ed estere in merito al regime fiscale relativo ai nuovi investimenti da realizzare;
· rispondere alle richieste di interpello entro i termini stabiliti, decorsi i quali si applica l’istituto del silenzio assenso;
· effettuare ispezioni (facoltative) nelle sedi delle imprese, qualora ciò sia utile per l’esito dell’interpello;
· inclusione del contribuente che aderisce alla proposta di interpello (per risposta ricevuta ovvero per applicazione del silenzio assenso) tra i soggetti che possono applicare il “regime di adempimento collaborativo” anche in assenza del requisito minimo di volume d’affari o ricavi.
Alla luce di quanto sopra indicato, andrebbe verificata la effettiva possibilità per l’Agenzia delle entrate di svolgere le nuove funzioni attribuite senza necessità di ulteriori risorse umane e finanziarie.
Dividendi provenienti da soggetti residenti in Stati o territori a regime fiscale privilegiato
Normativa vigente: la normativa vigente contempla una pluralità di disposizioni “antielusive” che operano nel caso in cui un contribuente italiano intrattenga rapporti (commerciali o di partecipazione) con imprese situate in Stati o territori aventi un “regime fiscale privilegiato” (c.d. disciplina sulle Controlled Foreign Companies – cosiddette Cfc). Ciò al fine di tutelare l’ordinamento tributario nazionale da operazioni realizzate dai contribuenti italiani mediante il coinvolgimento, diretto o (in taluni casi) indiretto, di imprese residenti nei cosiddetti “paradisi fiscali”. Sono pertanto pubblicate ed aggiornate due tipologie di liste: la prima (c.d. black list) contiene l’elenco dei Paesi con un regime fiscale privilegiato ed una seconda lista (c.d. white list) che contiene l’elenco dei Paesi che assicurano lo scambio di informazioni.
Prima di illustrare le norme sulle quali interviene la disposizione in esame, si segnala che l’art. 167, c.4, del TUIR[4] prevede l’emanazione di un DM nel quale siano individuati i Paesi considerati a fiscalità privilegiata (c.d. black list). Lo stesso comma, come integrato dalla legge di stabilità 2015, stabilisce che sono comunque considerati privilegiati gli Stati nei quali il livello di tassazione è inferiore al 50% di quello italiano.
Inoltre, l’art. 168-bis, c.2, del TUIR (introdotto con legge finanziaria 2008), prevede l’emanazione di un DM per l’individuazione dei Paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni e nei quali il livello di tassazione non è sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia (c.d. white list), ai fini dell’applicazione di specifiche disposizioni fiscali. Tuttavia, poiché il richiamato DM non risulta ancora emanato, trova applicazione la disciplina vigente fino al 31 dicembre 2007 (ossia il riferimento ai Paesi della black list).
Le norme modificate dalla disposizione in esame, che rientrano nella disciplina antielusiva sulle Cfc, prevedono, in linea generale, una inversione dell’onere della prova – rispetto alla regola generale – in quanto è il contribuente a dover dimostrare l’assenza di elusione. Pertanto, concorrono alla formazione del reddito imponibile, salvo prova contraria a carico del contribuente:
- gli utili provenienti da società residenti in Paesi diversi da quelli indicati nella white list (articolo 47, comma 4, del TUIR e articolo 89, comma 3 del TUIR);
- le plusvalenze relative a cessioni di contratti (anche di associazione in partecipazione) o di partecipazioni e strumenti finanziari[5] emessi da soggetti residenti in paesi diversi da quelli indicati nella white list (articolo 68, comma 4 del TUIR);
- le plusvalenze[6] relative ad azioni o quote di partecipazione in società, per le quali si applica la parziale esenzione (PEX) nel caso in cui le società partecipate siano residenti nei Paesi della white list (PEX) (articolo 87, comma 1, lettera c) del TUIR).
La norma interviene sulla disciplina tributaria vigente in materia di tassazione di redditi realizzati nei Paesi a tassazione privilegiata, stabilendo quanto di seguito indicato.
In particolare - intervenendo sugli articoli 47, comma 4 (utili da partecipazione), 68, comma 4 e comma 4-bis (plusvalenze), 86, comma 4-bis (plusvalenze patrimoniali), 87, comma 1 (plusvalenze esenti) e 89, comma 3 (dividendi e interessi) del TUIR – con riferimento ai redditi indicati provengano da imprese o enti localizzati in Paesi con regime di tassazione privilegiata, si dispone che (comma 1):
- i Paesi a fiscalità privilegiata sono quelli individuati nella c.d. black list (in luogo dell’attuale formulazione che li individua come Paesi diversi da quelli inclusi nella c.d. white list) (cfr art. 10 del provvedimento in esame);
- sono soggetti integralmente a tassazione i soli utili relativi a partecipazioni dirette ovvero a partecipazioni di controllo, anche indiretto; nelle ipotesi in cui il contribuente dimostri l’assenza di finalità antielusiva dell’operazione finanziaria[7] (in quanto il medesimo contribuente svolge effettivamente attività industriale o commerciale principale nel mercato dello Stato o territorio di insediamento) è riconosciuto al soggetto controllante residente in Italia un credito d’imposta ai sensi dell’art. 165 del TUIR[8] in ragione delle imposte assolte dalla società partecipata sugli utili maturati. A tal fine il credito d’imposta concorre alla formazione del reddito imponibile. Qualora nella dichiarazione sia stato omesso il computo del credito d’imposta in aumento del reddito complessivo, si può procedere d’ufficio alla correzione anche in sede di liquidazione dell’imposta;
- viene consentito al contribuente che intenda far valere i requisiti di assenza di elusione fiscale – nei casi di mancata presentazione dell’interpello previsto dalla normativa ovvero nei casi in cui, pur avendo presentato l’interpello non ha ricevuto esito positivo – di segnalare in dichiarazione dei redditi la percezione di utili provenienti da partecipazioni in imprese o enti localizzati nei paesi della black list. In caso di mancata o incompleta segnalazione si applicano le sanzioni amministrative.
Inoltre, modificando la disciplina relativa alla ritenuta a titolo d’imposta da applicare sui redditi in esame (fissata in misura pari al 12,5%[9]) si stabilisce che i Paesi a fiscalità privilegiata sono quelli indicati nella black list (nell’attuale formulazione si fa riferimento ai Paesi diversi da quelli indicati nella white list) (comma 2).
Infine, si interviene sulle sanzioni da applicare in caso di omissioni o incompletezze nella dichiarazione dei redditi, stabilendo che qualora tali inesattezze riguardino i redditi in esame, la sanzione amministrativa è pari al 10% dei dividendi o delle plusvalenze conseguite, con un minimo di 1.000 euro ed un massimo di 50.000 euro (comma 3).
La relazione tecnica afferma che la disposizione intende consentire la fruizione del credito per imposte pagate all’estero in caso di disapplicazione del regime Cfc (Controlled foreign companies) “sulla base della c.d. prima esimente e di distribuzione dei dividendi al socio italiano”.
Inoltre, prosegue la RT, si dispone che in caso di partecipazione indiretta in una partecipata black list, affinchè si applichi la tassazione integrale, vi debba essere il controllo della società estera che consegue utili dalla partecipazione in società residenti in paesi black list.
La RT afferma quindi che la disposizione è potenzialmente suscettibile di generare effetti negativi in termini di gettito sotto forma di maggiori crediti per imposte pagate all’estero. Tuttavia, secondo la RT, in considerazione del fatto che la modifica favorisce la distribuzione dei dividendi con conseguente tassazione in Italia e del fatto che l’importo delle imposte pagate all’estero dalla CFC è comunque limitato, è possibile ritenere che la disposizione non generi effetti finanziari.
Al riguardo, appare opportuno che siano forniti elementi riguardo alle possibili minori entrate derivanti dalla disposizione in esame, tenuto conto che queste ampliano l’ambito applicativo del credito per imposte pagate all’estero e riducono l’ambito di applicazione della disciplina antielusiva sulle Cfc (in relazione al tipo di partecipazione posseduta). Tali elementi appaiono necessari al fine di verificare l’impatto stimato con riferimento alle modifiche normative introdotte e l’effettiva possibilità che detti effetti trovino compensazione in una più ampia base imponibile soggetta a tassazione in Italia.
Normativa vigente: la normativa vigente prevede una disciplina specifica in materia di deducibilità degli interessi passivi. Tra le altre disposizioni, si segnalano quelle interessate dalla norma in esame.
L’art. 96 del TUIR stabilisce che gli interessi passivi sono deducibili fino all’ammontare del valore degli interessi attivi che concorrono alla formazione del reddito. L’eventuale eccedenza è deducibile nel limite del 30% del risultato operativo lordo (ROL). L’eventuale ulteriore ammontare di interessi passivi non deducibile, in quanto eccedente anche tale ultimo limite, può essere dedotto negli esercizi successivi purchè, in tali periodi d’imposta, rientri nel limite del 30% del ROL. Nel caso in cui, invece, la capienza corrispondente al 30% del ROL sia superiore all’ammontare degli interessi passivi da dedurre, la quota non utilizzata può essere utilizzata per incrementare il ROL determinato a decorrere dal terzo esercizio successivo. Il comma 2 dell’art. 96 stabilisce le modalità per la determinazione del ROL (differenza tra alcune voci di componenti positive e negative di reddito); tra le componenti positive non sono inclusi i dividendi e gli utili relativi a partecipazioni in società non residenti controllate ai sensi dell’art. 2359, comma 1, n. 1) del cod.civ. (controllo esercitato in quanto si dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria). Il comma 6 individua le norme in base alle quali gli interessi passivi sono comunque indeducibili; tra queste, viene richiamato l’art. 3, c.115, della legge n. 549/1995 che stabilisce le condizioni necessarie affinchè possano essere dedotti gli interessi passivi facenti capo a soggetti che operano nei Paesi indicati nella white list. Il comma 8 dell’art. 96 stabilisce che la deducibilità degli interessi passivi, nei limiti degli interessi attivi e del 30% del ROL, può essere determinata, nel caso di consolidato nazionale, anche considerando le componenti delle imprese estere purchè in presenza di specifici requisiti relativi al controllo esercitato; in tale ipotesi nella dichiarazione dei redditi relativa al consolidato nazionale devono essere indicati gli interessi passivi e il ROL dell’impresa estera.
L’art. 32, comma 8, del DL n. 83/2012 esclude l’applicabilità della disciplina contenuta nel richiamato art. 3, c. 115, della legge n. 549/1995 in relazione alle cambiali finanziarie.
L’art.1, c.36, della legge n. 244/2007 prevede la costituzione di una commissione di studio sulla fiscalità delle imprese immobiliari con il compito di proporre misure, compatibilmente con le esigenze di gettito, in favore dello sviluppo dell’edilizia abitativa. Viene confermata, fino all’applicazione delle suddette misure, la non rilevanza degli interessi passivi relativi a finanziamenti garantiti da ipoteca su immobili destinati alla locazione ai fini del calcolo della deducibilità degli stessi di cui all’art. 96 del TUIR.
La norma interviene sulla disciplina tributaria vigente in materia di deducibilità degli interessi passivi apportando modifiche dirette a prevedere una maggiore deducibilità degli stessi quando siano relativi a società estere in presenza di specifici requisiti (commi 1, 2 e 3).
In particolare:
- vengono inclusi i dividendi relativi a partecipazioni in società estere controllate, tra le componenti positive per la determinazione del ROL (e quindi dell’ammontare massimo di quota di interessi passivi deducibile nell’anno), (comma 1, lettera a));
- viene abrogato l’art.3, c.115, della L.549/95 che dispone i criteri di applicabilità della indeducibilità assoluta degli interessi passivi in relazione a talune società estere. E’ pertanto soppresso anche il rinvio al richiamato comma 115 espressamente indicato dal art.96, c.6, del TUIR ed abrogato il comma 8 dell’art. 32 del DL n. 83/2012 che, in materia di cambiali finanziarie, rinvia alla medesima disposizione (comma 1, lettera b), comma 2 e comma 3);
- viene abrogato il comma 8 dell’art. 96 TUIR, che reca una disciplina per la determinazione della quota indeducibile degli interessi passivi nei consolidati nazionali con partecipazioni in imprese estere (comma 1, lettera c)).
Inoltre, si interviene sulla disciplina prevista dall’art.1, co.36, della legge n. 244/2007, al fine di individuare l’ambito applicativo del regime di deducibilità degli interessi passivi in favore delle società che svolgono attività immobiliare in via prevalente o esclusiva, intendendosi come tali le società il cui valore dell’attivo patrimoniale è costituito per la maggior parte dal valore normale degli immobili destinati alla locazione e i cui ricavi sono rappresentati per almeno i due terzi da canoni di locazione (comma 4).
La relazione tecnica afferma che ai fini della stima degli effetti finanziari recati dalla norma è stato utilizzato un modello di microsimulazione, fatta eccezione per l’abrogazione del comma 115 per la cui stima è stato utilizzato un dato macro in quanto non è possibile individuare in maniera specifica la quota di interessi passivi esclusi dall’art. 96 del TUIR riconducibili a tale specifica normativa.
a) Incremento del ROL dei dividendi provenienti da società estere (comma 1, lettera a9)
Ai fini della stima la RT ha effettuato una elaborazione in base alle dichiarazioni UNICO 2013 SC – prospetto di determinazione degli interessi passivi indeducibili. In mancanza del dato specifico, è stato assunto che il 20% di tutti i dividendi dichiarati nel quadro RF corrispondano ai dividendi esteri da società controllate. Il nuovo valore del ROL determina una maggiore deducibilità degli interessi passivi dell’anno e di quelli indeducibili riportati dagli anni precedenti con un effetto negativo sul gettito fiscale.
b) ROL estero (comma 1, lettera c))
Il comma 8 dell’art. 96 consente di includere virtualmente le controllate estere nel consolidato nazionale al fine di rendere utilizzabile il ROL delle medesime per la deducibilità degli interessi. La sua abrogazione determina un incremento della quota di interessi indeducibili.
Ai fini della stima, la RT ha simulato, in capo a ciascun contribuente appartenente al consolidato, l’esclusione del ROL estero ai fini della compensazione degli interessi risultati indeducibili in capo alle singole partecipanti al consolidato, con conseguente effetto di incremento del gettito fiscale.
c) Interessi passivi per imprese immobiliari
La RT afferma che la norma è suscettibile di produrre effetti negativi in termini di gettito dovuti alla maggiore deducibilità degli interessi passivi. Ai fini della stima la RT:
- ha elaborato le dichiarazioni UNICO 2013 SC e ENC presentate dalle società che svolgono attività di locazione di immobili;
- è stata utilizzata la banca dati “Bureau van Dijk 2012” con riferimento a ciascun contribuente per calcolare il rapporto tra i debiti a medio/lungo termine nei confronti di banche e società finanziarie rispetto al totale dei debiti onerosi (potenzialmente suscettibili di generare interessi passivi);
- la percentuale ottenuta è stata applicata al totale degli interessi passivi dichiarato nel prospetto per la determinazione degli interessi passivi non deducibili ai sensi dell’art. 96 del TUIR;
- è stata effettuata la simulazione considerando la deducibilità della quota degli interessi passivi emersa.
Effetti complessivi a)+b)+c)
La RT riporta i risultati complessivi in termine di variazione del gettito IRES riferiti alle tre modifiche sopra illustrate. Secondo quanto indicato dalla RT, i suddetti interventi interessano complessivamente 5.840 soggetti (di cui 5.432 imprese non appartenenti ad un consolidato fiscale e 408 a consolidati fiscali) e determinano un maggior gettito IRES pari, in termini di competenza, a 141,5 milioni annui.
Per la determinazione degli effetti di cassa, si considera la decorrenza periodo d’imposta 2016 e la misura dell’acconto pari al 75%.
(milioni di euro)
Riepilogo degli effetti delle misure sub a), b) e c) |
2016 |
2017 |
Dal 2018 |
Maggior gettito IRES |
0 |
+247,6 |
+141,5 |
La RT riporta, inoltre, due tabelle relative alla distribuzione, rispettivamente, per tipo di attività e per ammontare dei ricavi IRAP, delle variazioni di gettito IRES.
La prima tabella (distribuzione degli effetti IRES per ciascun settore di attività) evidenzia, tra l’altro, che le modifiche in esame determinano un incremento di gettito IRES pari a 172,218 milioni di euro nel settore dei trasporti, magazzinaggio e comunicazioni e una perdita del gettito IRES pari a 30,430 milioni riferita alle “attività immobiliari, noleggio, informat, altro”.
La seconda tabella (distribuzione degli effetti IRES per classi di ricavi IRAP) evidenzia che la classe “ricavi IRAP superiori a 1 miliardo di euro” registra un recupero di gettito IRES pari a 176,434 milioni di euro.
d) abrogazione del comma 115, dell’art. 3 della legge n. 549/1995
La RT afferma che dall’analisi dei dati dichiarativi risultano interessi passivi per altre fattispecie non considerate nell’art. 96 TUIR, esclusi gli intermediari finanziari, per circa 580 milioni di euro e che, ipotizzando che l’effetto dell’art.3, co.115 sia stimabile in misura pari al 5%, la maggiore deducibilità degli interessi passivi risulta pari a 29 milioni di euro annui. Applicando quindi un’aliquota media del 23% si registra una perdita di gettito IRES, in termini di competenza, pari a 6,6 milioni annui.
Per la stima di cassa, considerando la decorrenza 2016 e un acconto pari al 75%, gli effetti di minor gettito sono pari a 11,6 milioni nel 2017 e a 6,6 milioni a decorrere dal 2018.
RIEPILOGO TOTALE
(milioni di euro)
Riepilogo degli effetti |
2016 |
2017 |
Dal 2018 |
Maggior gettito IRES misure sub a), b) e c) |
0 |
+247,6 |
+141,5 |
Minor gettito IRES misure sub d) |
0 |
-11,6 |
-6,6 |
EFFETTO COMPLESSIVO NETTO |
0 |
+236 |
+134,6 |
Al riguardo si segnala che la quantificazione degli effetti finanziari recati dai commi 1, 3 e 4 è effettuata dalla relazione tecnica mediante modello di microsimulazione; non risulta, pertanto, possibile procedere ad una verifica puntuale di tale stima. Ciò anche in considerazione del fatto che la relazione tecnica fornisce un risultato cumulato degli effetti di gettito delle modifiche introdotte e non consente quindi una valutazione degli effetti finanziari riconducibili a ciascun intervento proposto. Appare pertanto necessario che siano forniti, in primo luogo, i risultati della procedura di quantificazione, disaggregati per le singole misure proposte, nonché elementi di maggior dettaglio in merito ai dati, ai criteri ed alle ipotesi adottati in relazione a ciascuna modifica, tenuto conto che:
- le modifiche in argomento riguardano ambiti di applicazione non coincidenti tra loro;
- una delle tre modifiche, come confermato dalla RT, determina effetti positivi mentre le altre due determinano effetti negativi di gettito.
La relazione tecnica, dopo aver indicato il risultato complessivo delle microsimulazioni effettuate, riporta alcune elaborazioni relative alla ripartizione, per settori di attività e per volume di componenti positive dichiarate ai fini IRAP, del maggior gettito stimato. Da quanto indicato nella prima tabella (distribuzione per settori di attività) risulta che il maggior gettito IRES, stimato complessivamente in misura pari a 141,4 milioni, è ottenuto come compensazione tra effetti positivi e negativi rilevati in ciascun settore.
In proposito appare utile acquisire ulteriori elementi in merito alla differenziazione di effetti indicati per i diversi settori.
Per quanto riguarda il comma 2 (abrogazione della norma che prevede i requisiti necessari per procedere alla deduzione degli interessi passivi relativi a rapporti intrattenuti con Paesi indicati nella white list) andrebbero forniti chiarimenti in merito ai criteri di prudenzialità adottati nella scelta del parametro del 5% per la determinazione della quota di incremento degli interessi deducibili.
Disposizioni in materia di costi black list e di valore normale
Normativa vigente: L’art. 110 del TUIR esclude la deducibilità delle spese relative ad operazioni intercorse con imprese residenti in paesi esteri non inclusi nella c.d. white list (comma 10), a meno che le imprese italiane non dimostrino che le imprese estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione (c.d. inversione dell’onere della prova) (comma 11). La indeducibilità si applica anche alle prestazioni di servizi rese da soggetti domiciliati in Paesi diversi da quelli indicati nella white list.
La norma reca modifiche alla disciplina concernente la deducibilità di costi relativi ad operazioni (anche prestazioni di servizi) con imprese residenti in Paesi a fiscalità privilegiata (commi 1 e 3) e alla disciplina concernente l’accertamento delle plusvalenze derivanti da cessione di aziende o di beni immobili (comma 2). Più in particolare:
- viene ampliata la possibilità di portare in deduzione i costi sostenuti con imprese residenti nei Paesi a fiscalità privilegiata. A tal fine viene prevista l’emanazione di un decreto ministeriale per la individuazione dei Paesi a fiscalità privilegiata sulla base della mancanza di un adeguato scambio di informazioni;
- si stabilisce, con norma di carattere interpretativo, che, ai fini della determinazione del corrispettivo e quindi della plusvalenza realizzata in caso di cessione di immobili o di aziende, non si applica la presunzione sul solo valore dichiarato ai fini dell’imposta di registro o ai fini dell’imposta ipotecaria e catastale.
La relazione tecnica effettua distintamente la valutazione degli effetti finanziari recati dal comma 1 e dal comma 2.
Comma 1
La RT afferma che per la quantificazione sono stati utilizzati i dati indicati in UNICO 2013 (società di capitali, enti commerciali, enti non commerciali, persone fisiche, società di persone).
La relazione tecnica afferma che dalle dichiarazioni risulta deducibile la quasi totalità di spese e componenti negativi. In particolare, vengono forniti i dati distinti per società di capitali, enti non commerciali, società di persone e persone fisiche, dai quali risulta che la differenza tra i costi sostenuti e quelli dichiarati deducibili risulta pari a 742,6 milioni di euro.
Al fine di procedere con la stima, la RT considera anche le modifiche che riguardano:
- l’applicazione del valore normale ai fini della determinazione dei costi deducibili;
- la soppressione della necessità di provare, ai fini della deduzione, che le imprese estere svolgono prevalentemente attività commerciale.
Complessivamente, la RT ritiene che le modifiche possano determinare un incremento dei costi deducibili stimato in misura pari al 50% del valore attualmente non deducibile.
Infine, la RT afferma che attraverso il modello di microsimulazione, che tiene conto, di ogni soggetto interessato, si ottiene una perdita di gettito IRES/IRPEF pari a circa 23,7 milioni da parte di 2.400 soggetti.
In termini di cassa, considerando la decorrenza dal periodo d’imposta 2015 e un acconto pari al 75%, gli effetti finanziari sono indicati nella seguente tabella.
(milioni di euro)
|
2016 |
2017 |
Dal 2018 |
Minor gettito IRES/IRPEF/addizionali |
-41,5 |
-23,7 |
-23,7 |
I risultati ottenuti vengono illustrati in base ad una distribuzione per settori di attività, dalla quale risulta che circa 1/3 del minor gettito è attribuibile al settore del commercio all’ingrosso con esclusione di auto-moto, interm.comm.
Comma 2
La RT afferma che la disposizione ha natura interpretativa e che, pertanto, non sono ascrivibili effetti finanziari. La RT segnala che le direttive dell’Agenzia delle entrate già dispongono in senso analogo e pertanto le attività operative sono coerenti con la norma medesima.
In caso di attività di controllo già resesi definitive con il pagamento del tributo, la RT ritiene che lo stesso non sia rimborsabile e pertanto non possano determinarsi effetti finanziari con riferimento a tali ipotesi.
Al riguardo, si osserva che la RT ipotizza, per effetto delle norme in esame, un incremento di circa il 50% della quota di costi attualmente indeducibili, che diventerebbero invece deducibili per effetto della disciplina in esame. Poiché l’ammontare dei costi non dedotti nelle dichiarazioni UNICO 2013 è pari a circa 740 mln, la riduzione di base imponibile imputabile alle norme in esame dovrebbe essere pari a circa 370 mln. Poiché dalla stima effettuata con il modello di microsimulazione la RT ottiene un effetto complessivo di minor gettito annuo pari a 23,7 mln in termini di competenza, si deduce che l’aliquota media compatibile con tale risultato dovrebbe essere pari a 6,4%.
In proposito andrebbero acquisiti chiarimenti considerato che tale risultato non sembrerebbe sufficientemente spiegato da possibili situazioni di perdita fiscale dichiarata dei contribuenti.
Per quanto concerne il comma 2, si rileva che la norma reca una interpretazione che sembrerebbe favorevole ai contribuenti (in quanto ostacola l’accertamento automatico); tuttavia la RT afferma che la disposizione è conforme alle prassi già adottate dall’Agenzia delle entrate e non ravvisa pertanto effetti negativi a carico della finanza pubblica. Andrebbe peraltro confermato che anche la stima degli effetti dell’attività di accertamento inclusi nei tendenziali si basi su criteri conformi alle disposizioni introdotte.
Inoltre poiché queste ultime hanno effetti retroattivi, andrebbero considerati gli effetti di eventuali richieste di rimborso, tenuto conto che la non rimborsabilità dei tributi pagati, asserita dalla RT, non emerge espressamente dalla norma.
Normativa vigente La disciplina tributaria vigente prevede la facoltà per le società residenti appartenenti ad un gruppo societario, in presenza di specifici requisiti di controllo, di optare per l’applicazione del regime fiscale del consolidato nazionale in base al quale viene riconosciuto un unico soggetto economico – sul piano tributario – nel quale confluiscono i risultati positivi e negativi realizzate da ciascuna società del gruppo. La disciplina in esame, pertanto, consente ai soggetti che posseggono i requisiti richiesti, di realizzare politiche fiscali finalizzate ad un risparmio complessivo d’imposta (in quanto, ad esempio, le perdite di una società possono essere compensate con i redditi di un’altra società appartenente al consolidato). L’opzione per il regime di tassazione in esame è consentito (art.117 del TUIR):
- alle società residenti;
- alle società non residenti solo in qualità di controllanti e purchè: a) siano società residenti in Paesi con i quali è stato stipulato l’accordo per evitare la doppia imposizione; b) esercitino attività d’impresa in Italia mediante una stabile organizzazione il cui patrimonio comprenda la partecipazione in ciascuna società controllata.
La norma interviene sulla disciplina del consolidato nazionale introducendo modifiche finalizzate ad estenderne l’ambito di applicazione con particolare riferimento alle società non residenti.
La relazione illustrativa afferma che la modifica alla disciplina del consolidato fiscale è determinata dalle sentenze della Corte di Giustizia 12 giugno 2014, n. C-39/13, C-40/13 e C-41/13. In particolare, in riferimento alla sentenza C-40/13, la Corte afferma che gli articoli 49 e 54 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea “devono essere interpretati nel senso che essi ostano alla normativa di uno Stato membro in forza della quale un regime di entità fiscale unica viene concesso a una società controllante residente che detiene controllate residenti, ma viene escluso per società sorelle residenti la cui società controllante comune non abbia la sua sede in tale Stato membro e non disponga ivi di una sede stabile”. Pertanto, chiarisce la relazione illustrativa, la disciplina vigente si pone in contrasto con la giurisprudenza della Corte di Giustizia in quanto consente alle società non residenti che hanno partecipazioni di controllo in società residenti di optare per il consolidato fiscale solo se hanno una stabile organizzazione in Italia.
Tra le modifiche introdotte si segnala quanto segue:
- la partecipazione al consolidato nazionale delle società non residenti è ammessa anche per le società non controllanti (tale circostanza viene determinata dalla soppressione della parola “solo” nel primo periodo del comma 2 dell’art. 117 TUIR) (comma 1, lettera a), n. 1);
- per le società non residenti con il requisito del controllo, viene confermata la possibilità di accedere al consolidato nazionale; tuttavia, le modifiche riducono gli ulteriori necessari requisiti per l’accesso (comma 1, lettera a), n. 2);
- l’individuazione dei requisiti necessari per l’accesso al consolidato nazionale dei nuovi soggetti ammessi, ossia le società non residenti che non posseggono il requisito del controllo (comma 1, lettera b));
- l’inclusione nella definizione di società controllate, ai fini del consolidato nazionale, delle stabili organizzazioni in Italia residenti in Paesi - appartenenti all’UE ovvero aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo che assicurano lo scambio di informazioni – purchè in presenza di specifici requisiti (comma 2).
Si stabilisce inoltre che la decorrenza è fissata al periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame (comma 3) e che con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate sono stabilite alcune modalità applicative delle misure introdotte (comma 4).
La relazione tecnica afferma che la norma interviene sulle disposizioni vigenti -eliminando il vincolo che consente al soggetto non residente di esercitare l’opzione per la tassazione di gruppo in qualità di controllante solo se possiede una stabile organizzazione in Italia nel cui patrimonio sia compresa la partecipazione in ciascuna società controllata - al fine di adeguare la disciplina alle recenti pronunce della giurisprudenza della Corte di Giustizia; la norma, pertanto, consente anche alle “sorelle” residenti in Italia di consolidare le proprie basi imponibili.
Con riferimento agli aspetti di natura finanziaria, la RT stima che la disposizione non determini variazioni di gettito in considerazione della circostanza che la modifica normativa è finalizzata a rendere più agevole l’adesione al consolidato di un gruppo societario controllato da un soggetto non residente, che con la normativa vigente può comunque optare per la tassazione di gruppo per il tramite della propria stabile organizzazione in Italia.
Al riguardo, si segnala che, poiché il consolidato nazionale si applica solo in caso di opzione da parte dei contribuenti interessati, è presumibile che l’ampliamento dell’ambito di applicazione previsto dalle norme in esame determini effetti negativi di gettito in quanto i nuovi soggetti ammessi eserciteranno l’opzione solo se ritenuta conveniente sul piano tributario. In proposito appare necessario acquisire l’avviso del Governo.
Stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti
Normativa vigente Il testo unico delle imposte sui redditi (TUIR) dispone, tra l’altro, la disciplina fiscale relativa a:
- società ed enti commerciale non residenti (Titolo II, capo IV), per i quali il reddito complessivo è formato dai redditi prodotti in Italia, ad esclusione di quelli esenti o di quelli soggetti a ritenuta alla fonte. Sono considerati prodotti in Italia tutti i redditi elencati nell’art. 23 tenendo conto, per i redditi d’impresa, anche delle plusvalenze e delle minunsvalenze relative ad attività commerciali esercitate nello Stato, anche se non conseguite attraverso le stabili organizzazione, nonché gli utili riscossi da società partecipate italiane (art.151). Si stabilisce inoltre che alle società e agli enti commerciali non residenti che hanno una stabile organizzazione in Italia si applica, per i redditi imputati a quest’ultima, la disciplina IRES, mentre in assenza di stabile organizzazione si applica la disciplina IRPEF (art.152);
- enti non commerciali non residenti (Titolo II, capo V), il cui reddito complessivo – analogamente a quanto previsto dall’art. 151 - è formato dai redditi prodotti in Italia, ad esclusione di quelli esenti o di quelli soggetti a ritenuta alla fonte. Sono considerati prodotti in Italia tutti i redditi elencati nell’art. 23 tenendo conto, per i redditi d’impresa, anche delle plusvalenze e delle misuvalenza relative ad attività commerciali esercitate nello Stato, anche se non conseguite attraverso le stabili organizzazione, nonché gli utili riscossi da società partecipate italiane (art.153). Agli enti non commerciali non residenti si applica la disciplina IRPEF e, qualora esercitino attività commerciale in Italia tramite una stabile organizzazione, ai redditi realizzati da quest’ultima si applica la disciplina prevista per gli enti non commerciali residenti in Italia (art. 154).
La norma sostituisce gli articoli 151, 152 e 153 ed abroga l’art. 154 del TUIR, intervenendo quindi sulla disciplina fiscale delle società ed enti commerciali non residenti (artt.151 e 152) nonché degli enti non commerciali non residenti (artt. 153 e 154). La riformulazione proposta evidenzia la disciplina applicabile ai redditi realizzati dalle stabili organizzazioni in Italia, indipendentemente dal fatto che esse facciano capo a società ed enti commerciali ovvero ad enti non commerciali (c.d. functionally separate entity). In particolare (commi 1 e 3):
- il nuovo art. 151 disciplina il regime fiscale delle società e degli enti commerciali non residenti, in relazione ai redditi prodotti diversi da quelli attribuibili alle stabili organizzazioni;
- il nuovo art. 152 disciplina il regime fiscale delle stabili organizzazioni facenti capo a società o enti commerciali non residenti. In proposito si stabilisce che la stabile organizzazione in Italia è considerata entità separata ed indipendente, con proprio Fondo di dotazione, ed il cui reddito è determinato applicando la disciplina IRES sulla base di un apposito rendiconto economico e patrimoniale.
La disposizione sembra prefigurare in regime autonomo per l’emissione di specifici strumenti finanziari negoziati. Per la determinazione dei criteri da adottare per la determinazione del Fondo di dotazione si rinvia ad apposito provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate. Per finalità antielusive, viene precisato che le operazioni tra la stabile organizzazione e l’entità cui la medesima appartiene sono determinati ai sensi dell’art. 110, c.7, del TUIR (c.d. valore normale);
- il nuovo art. 153 disciplina il regime fiscale degli enti non commerciali non residenti, in relazione ai redditi prodotti diversi da quelli attribuiti alle stabili organizzazioni.
Il comma 2 interviene sulla disciplina IRAP riconoscendo la stabile organizzazione anche ai fini della suddetta imposta. Anche in tal caso la disposizione sembra fare salvo il regime per l’emissione di specifici strumenti finanziari.
La decorrenza è fissata al periodo d’imposta successivo a quello di entrata in vigore del provvedimento in esame (comma 4).
La relazione tecnica afferma che la disposizione è finalizzata a razionalizzare la normativa e a renderla coerente con le indicazioni e gli orientamenti espressi in ambito OCSE ai quali, peraltro, l’Agenzia delle entrate si è conformata nella prassi in sede di accertamento.
Con riguardo al profilo finanziario la relazione tecnica evidenzia il carattere sistematico della norma e, pertanto, stima che la disposizione non determini effetti in termini di gettito.
Al riguardo andrebbe confermato che le stime incluse nei tendenziali di finanza pubblica siano conformi alla disciplina in esame al fine di escludere effetti negativi per la finanza pubblica. In proposito la RT si limita infatti a rilevare la conformità della nuova disciplina alle prassi dell’Agenzia delle entrate.
Chiarimenti appaiono inoltre necessari in merito al regime fiscale da applicare, per le stabili organizzazioni, alla emissione di strumenti finanziari indicata dal comma 1 del nuovo articolo 152 del TUIR (ai fini delle imposte sui redditi) nonché dal comma 2 dell’articolo in esame (ai fini IRAP), tenuto conto che entrambe le disposizioni sembrano rinviare ad un autonomo regime per tali strumenti.
Disciplina delle controllate e delle collegate estere
Normativa vigente L’art. 167 del TUIR, al fine di contrastare il possibile arbitraggio fiscale da parte di soggetti che effettuano investimenti nei Paesi a fiscalità privilegiata, stabilisce una presunzione di reddito in capo alla società partecipante (che esercita il controllo) residente in Italia pari alla quota di utili realizzati, dalla partecipata non residente, proporzionale alle partecipazioni detenute. Il reddito così imputato è soggetto ad imposta sostitutiva con aliquota pari alla media pagata dalla partecipante sui propri redditi e comunque in misura non inferiore al 27%.
Al contribuente è tuttavia concesso di dimostrare il carattere non elusivo del proprio investimento e a tal fine lo stesso è tenuto a procedere con istanza di interpello presso l’Agenzia delle entrate per la verifica della effettiva attività svolta nei Paesi a bassa fiscalità.
La norma apporta all’articolo 167 del TUIR le modifiche di seguito indicate:
- viene modificato il rinvio al DM che consente la individuazione dei Paesi a fiscalità privilegiata. In particolare, in luogo dei Paesi diversi da quelli indicati nella white list, sono considerati “paradisi fiscali” quelli con un livello di tassazione inferiore al 50% di quello applicato in Italia;
- la procedura di interpello – necessaria per la disapplicazione della disciplina antielusiva Cfc in caso di partecipazioni in imprese estere controllate - viene prevista in via facoltativa in luogo di quella obbligatoria attualmente disposta. Tale modifica viene applicata sia in relazione ai Paesi individuati con DM (comma 1 dell’art.167) sia nelle ipotesi di altri Paesi che presentano un livello di tassazione inferiore al 50% di quello italiano (comma 8-bis dell’art.167);
- la determinazione del reddito imponibile è effettuata “in base alle disposizioni applicabili ai soggetti residenti titolari di reddito d’impresa” in luogo dell’attuale formulazione che prevede l’applicazione della tassazione separata;
- viene prevista l’emanazione di un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate per l’indicazione dei criteri da adottare per la determinazione del livello di tassazione effettiva applicato nel Paese estero, al fine di applicare la vigente disposizione in base alla quale la disciplina in esame (presunzione ed imponibilità in Italia) si applica anche nei casi in cui i Paesi esteri interessati (anche se non individuati nell’apposito DM) sono assoggettati ad una tassazione effettiva inferiore a più della metà di quella italiana;
- l’attività di accertamento da parte dell’Amministrazione viene subordinata alla preventiva notifica all’interessato di un avviso con il quale viene concessa al medesimo la possibilità di fornire, nel termine di 90 giorni, le prove per la disapplicazione delle disposizioni presuntive sui redditi nei Paesi a fiscalità privilegiata.
La norma, inoltre, prevede l’abrogazione dell’articolo 168 del TUIR nel quale si prevede una analoga disciplina di natura antielusiva in riferimento alle società collegate estere (ossia con una partecipazione non inferiore al 20% agli utili delle società residenti in Paesi a fiscalità privilegiata, ovvero con partecipazione non inferiore al 10% nel caso di società quotate in borsa).
La relazione tecnica afferma quanto di seguito indicato.
Eliminazione dell’obbligo di interpello
La disposizione sostituisce l’obbligo di interpello, necessario per la disapplicazione della disciplina CFC in caso di partecipazioni in imprese estere controllate, con l’obbligo di segnalazione in dichiarazione dei redditi della detenzione di partecipazioni di controllo in soggetti residenti o localizzati in paradisi fiscali.
A tale misura la RT non ascrive effetti finanziari in considerazione della natura procedurale delle stesse.
Abrogazione dell’articolo 168 del TUIR (imprese collegate estere)
La norma che si intende abrogare prevede l’applicazione della disciplina antielusiva alle società estere collegate residenti nei Paesi a fiscalità privilegiata.
La RT afferma che la soppressione ha potenziali effetti negativi di gettito, in quanto il contribuente non dovrà più rideterminare il reddito da imputare per trasparenza in proporzione alla quota degli utili posseduta.
In base ai dati UNICO 2013 società di capitali, l’ammontare di reddito rideterminato in capo alle società non residenti ed imputato al soggetto residente che partecipa con quota di collegamento è pari a circa 142,8 milioni di euro, mentre le imposte pagate all’estero a titolo definitivo ammontano a circa 5,5 milioni.
Applicando l’aliquota di imposta sostitutiva (27%) e detraendo le imposte pagate all’estero, la perdita di gettito in termini di competenza risulta pari a 33 milioni annui (142,8x27% - 5,5).
La RT afferma che nei confronti di altre tipologie di contribuenti non risultano indicati redditi nelle dichiarazioni presentate.
Gli effetti di cassa, ipotizzando l’entrata in vigore nel 2015, risultano pari a -57,8 milioni nel 2016 e a -33 milioni dal 2017.
Al riguardo si rileva che le norme del TUIR sulle quali si intende intervenire sono dirette a contrastare comportamenti elusivi da parte dei contribuenti che, al fine di conseguire un risparmio dell’onere tributario a loro carico, attuano politiche fiscali dirette a spostare la tassazione in Paesi con bassa fiscalità. Sulla disciplina il legislatore è intervenuto più volte attribuendo effetti positivi di gettito a disposizioni che hanno rafforzato l’attività di contrasto a tali forme elusive.
A titolo esemplificativo, si segnala che l’art. 13 del DL n. 78/2009 (Contrasto agli arbitraggi fiscali internazionali) – che ha apportato modifiche all’art. 167 del TUIR al fine di subordinare l’accesso ai regimi fiscali privilegiati ad una verifica di effettività sostanziale – ha ascritto effetti positivi pari a 346 milioni annui in termini di competenza.
La relazione tecnica riferita al richiamato articolo, infatti, utilizzando i dati delle dichiarazioni dei redditi relativi ai periodi d’imposta 2005 e 2006, stima in circa 1.640 milioni l’ammontare del reddito riferibile a partecipate italiane residenti nei Paesi a fiscalità privilegiata, di cui quello non assoggettato a tassazione risulta pari a circa 1.260 euro. Applicando l’aliquota IRES del 27,5% ottiene quindi il maggior gettito indicato, pari a 346 milioni annui.
Andrebbe verificato se la modifica di tali norme sia suscettibile di ridurre i predetti effetti di maggior gettito, che dovrebbero già essere inclusi nelle previsioni tendenziali.
In merito alla soppressione dell’articolo 168 del TUIR (partecipazioni di collegamento), la stima degli oneri indicata dalla RT si basa sui dati dei redditi 2012, che scontano l’effetto deterrente delle misure antielusive contenute nella precedente disciplina Cfc. Riguardo alle prudenzialità dell’utilizzo dei predetti dati andrebbe acquisito l’avviso del Governo.
Normativa vigente L’art. 108, comma 2, del TUIR stabilisce che le spese di rappresentanza sono deducibili ai fini della determinazione del reddito d’impresa nel periodo d’imposta in cui sono sostenute se rispondono al requisito di inerenza e congruità; con apposito DM sono definiti i criteri per la determinazione della inerenza e della congruità nonché la quota di ammontare deducibile in funzione del volume dei ricavi. Con DM 19 novembre 2008 sono stati stabiliti i seguenti parametri per la determinazione della quota deducibile: a) 1,3% dei ricavi ed altri proventi fino a 10 milioni di euro; b) 0,5% dei ricavi e proventi per la parte compresa tra 10 e 50 milioni; c) 0,1% dei ricavi e proventi per la parte eccedente 50 milioni.
La norma, modificando il comma 2 dell’art. 108 TUIR, eleva la misura della quota di spese di rappresentanza deducibili come di seguito indicato:
a) per ricavi e proventi fino a 10 milioni, la quota massima deducibile è elevata dall’1,3% all’1,5%;
b) per ricavi e proventi compresi tra 10 e 50 milioni, la quota massima deducibile è elevata dallo 0,5% allo 0,6%;
c) per ricavi e proventi superiori a 50 milioni, la quota massima deducibile è elevata dallo 0,1% allo 0,4%.
Viene prevista la possibilità di modificare, con apposito DM, i parametri per la determinazione della quota deducibile in funzione dell’ammontare dei ricavi e di altri proventi.
La relazione tecnica afferma che per la stima degli effetti finanziari sono state utilizzate le dichiarazioni dei redditi UNICO 2012 delle società di capitali in particolare la colonna 2 del rigo RF24, che accoglie il valore delle spese di rappresentanza imputate a conto economico, e la colonna 2 del rigo RF43, in cui viene riportata la parte deducibile secondo i criteri vigenti.
Applicando le nuove soglie di deducibilità, la RT afferma che si ottiene un maggiore importo deducibile pari a 101 milioni di euro.
Ipotizzando un’aliquota media IRES pari al 23%, la stima della perdita di gettito risulta pari a 23,4 milioni di euro in termini di competenza annua.
Ipotizzando l’entrata in vigore dal periodo d’imposta 2016, gli effetti per cassa sono indicati nella seguente tabella.
La RT riporta infine una tabella nella quale viene indicata la ripartizione per settori di attività del minor gettito stimato.
(milioni di euro)
|
2016 |
2017 |
Dal 2018 |
Minor gettito IRES |
0 |
-41,3 |
-23,6 |
Al riguardo si rileva che la maggiore deducibilità delle spese di rappresentanza sembra determinare effetti negativi anche ai fini del gettito IRAP. Tenuto conto che la relazione tecnica non considera tale imposta, appaiono necessari chiarimenti a tal riguardo.
Si fa presente che la relazione tecnica riferita all’art.1, c.33, lett.p), della legge n. 244/2007 (che aveva modificato l’ammontare della quota deducibile nell’anno delle spese di rappresentanza) aveva stimato una perdita di gettito annuale IRES pari a 39 milioni e di IRAP pari a 6 milioni.
In merito alla procedura di quantificazione adottata, si evidenzia che la RT utilizza i dati rilevati dalle dichiarazioni delle sole società di capitali. Tenuto conto che la modifica interessa anche le imprese individuali, appaiono necessari chiarimenti in merito ai possibili effetti di minori gettito relativi all’IRPEF e alle relative addizionali.
Liste dei paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni e coordinamento black list
Normativa vigente: L’art. 168-bis del TUIR prevede la predisposizione di due liste riguardanti:
- l’elenco dei Paesi con i quali è consentito un adeguato scambio di informazioni;
- l’elenco dei Paesi con i quali è consentito un adeguato scambio di informazioni e che presentano un livello di tassazione non sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia.
Le predette liste (c.d. white list) sono finalizzate a sostituire la c.d. black list ossia l’elenco dei Paesi a fiscalità privilegiata.
L’art.168-bis è stato introdotto dalla legge n. 244/2007 che ha stabilito che le nuove norme antielusive entrano in vigore a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello di pubblicazione in GU del DM che individua i predetti Paesi. Fino a tale data, si continua ad applicare la normativa previgente, basata sulla black list.
Al momento, non risultano ancora pubblicate le c.d. white list.
Si fa presente che il disegno di legge dal quale ha avuto origine la legge n. 244/2007 aveva introdotto, nella fase iniziale del suo iter parlamentare, solamente la prima white list in luogo delle black list (legge n. 244/2007). In tale sede, la RT aveva attribuito effetti negativi di gettito (7,5 milioni nel 2009 e 10 milioni annui a decorrere dal 2010) in quanto aveva valutato la possibilità di includere nella white list alcuni Stati che, pur consentendo lo scambio di informazioni (pertanto non interessati dalla disciplina Cfc), applicavano un livello di tassazione particolarmente favorevole (quindi rientranti nella disciplina Cfc in base alla normativa black list).
Nel corso dell’iter parlamentare, al fine di evitare i problemi sopra indicati, era stata introdotta anche la seconda white list (Paesi che, pur assicurando lo scambio di informazioni, registrano un basso livello di tassazione). A tale modifica, in via prudenziale, non erano stati attribuiti effetti positivi.
La norma sostituisce la disciplina antielusiva basata sugli elenchi dei Paesi previsti dall’art. 168-bis del TUIR (del quale si prevede l’abrogazione), con una nuova previsione di elenco dei Paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni (che viene inserita nell’art. 11 del d.lgs. n. 239/1996).
La relazione illustrativa allegata allo schema di decreto legislativo in esame evidenzia la presenza di difficoltà nell’individuare il livello di tassazione non sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia. Ritiene inoltre che l’individuazione dei Paesi da includere nella black list risulti più coerente anche con le modifiche previste dall’art.5 del provvedimento in esame.
A fini di coordinamento, viene stabilito che:
- ogni riferimento all’art. 168-bis, comma 1, del TUIR (lista dei Paesi che assicurano lo scambio di informazioni) si intende riferito all’art.11 del d.lgs. n. 239/1996 (comma 3);
- ogni riferimento agli Stati diversi da quelli di cui all’art. 168-bis, comma 2, del TUIR (lista dei Paesi che, oltre ad assicurare lo scambio di informazioni, non presentano un livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello italiano) si intende riferito all’art. 167, comma 4, del TUIR (ai sensi del quale si intendono a tassazione privilegiata gli Stati, da individuare con apposito DM, sulla base del fatto di presentare un “livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia[10], della mancanza di un adeguato scambio di informazioni ovvero di altri criteri equivalenti[11]”.) (comma 4).
La relazione tecnica afferma che la norma ha carattere procedurale e pertanto non determina effetti finanziari.
Al riguardo appaiono necessari chiarimenti in merito alla disposizione di coordinamento prevista dal comma 4. Viene infatti precisato che ogni richiamo presente nell’ordinamento ai Paesi diversi da quelli di cui all’art. 168-bis, comma 2, del TUIR (che assicurano contemporaneamente lo scambio di informazioni e un livello di tassazione non sensibilmente inferiore a quello italiano) va inteso come riferimento all’art. 167, comma 4 del TUIR. Poiché quest’ultima disposizione fa riferimento a criteri parzialmente diversi da quelli sopra indicati, andrebbe chiarito se il riferimento all’elenco da adottare in base all’art. 167, co. 4, determini il venir meno della definizione di Paesi a fiscalità privilegiata per taluni ordinamenti che, in base alla vigente normativa presenterebbero tali caratteristiche.
Sospensione della riscossione della tassazione in caso di trasferimento all’estero
Normativa vigente: l’articolo 166 del TUIR[12] prevede che il trasferimento all'estero della residenza dei soggetti che esercitano imprese commerciali, ove comporti la perdita della residenza ai fini delle imposte sui redditi, sia considerato come realizzo al valore normale dei componenti dell'azienda o del complesso aziendale, a meno che gli stessi non siano confluiti in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato (c.d. exit tax). La stessa disposizione si applica se successivamente i componenti confluiti nella stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato ne vengano distolti. Si considerano in ogni caso realizzate al valore normale le plusvalenze relative alle stabili organizzazioni all'estero (commi da 1 a 2-ter).
Se la residenza è trasferita in Stati appartenenti all'Unione europea ovvero in Stati aderenti all'Accordo sullo Spazio economico europeo inclusi nella white list con i quali l'Italia abbia stipulato un accordo sulla reciproca assistenza in materia di riscossione dei crediti tributari comparabile a quella assicurata dalla direttiva 2010/24/UE possono chiedere la sospensione del versamento di quanto dovuto. Con apposito DM, emanato il 2 luglio 2014, sono state individuate le cause che determinano la cessazione della sospensione per ciascuna tipologia di plusvalenza latente oggetto di imposizione.
La norma estende il regime della sospensione dei pagamenti tributari (c.d. tax deferral) a:
- trasferimenti di una parte o della totalità dell’attivo di una stabile organizzazione, facente capo ad una società non residente, dall’Italia verso un altro Stato dell’UE ovvero aderente all’Accordo sullo Spazio Economico Europeo (modifica art. 166 del TUIR);
- trasferimento all’estero mediante operazioni straordinarie, quali le fusioni, scissioni, conferimenti o permute (modifica art. 179 del TUIR).
La relazione tecnica afferma che la disposizione non determina effetti finanziari considerata l’assoluta trascurabilità delle fattispecie interessate, trattandosi di una disposizione di adeguamento alla giurisprudenza della Corte di Giustizia europea.
Al riguardo appare opportuno acquisire elementi volti a suffragare la trascurabilità, dal punto di vista finanziario, delle fattispecie, affermata dalla RT, anche in considerazione del fatto che la modifica interviene su disposizioni aventi carattere antielusivo.
Trasferimento della residenza nel territorio dello Stato
La norma, introducendo l’articolo 166-bis nel TUIR, dispone che, in caso di trasferimento in Italia di imprese commerciali estere:
- se il Paese di provenienza è incluso nella white list, il valore dell’impresa è determinato applicando la disciplina sul “valore normale[13]” alle attività e alle passività;
- se il Paese di provenienza non è incluso nella white list, si applica il “valore normale” determinato previo accordo con l’Amministrazione finanziaria; in assenza di accordo, il valore delle attività è assunto in misura pari al minore tra il costo di acquisto, il valore in bilancio e il valore normale, mentre il valore delle passività è assunto in misura pari al maggiore tra i medesimi valori.
La relazione tecnica afferma che la disposizione stabilisce, come principio generale, che in caso di trasferimento della residenza nel territorio dello Stato da parte di soggetti non residenti esercenti imprese commerciali è riconosciuto il valore normale delle attività e passività trasferite.
In caso di trasferimento da paesi “non collaborativi” il valore normale va determinato mediante accordo preventivo con l’Agenzia delle entrate.
In merito al profilo finanziario, la RT stima che la disposizione non determini effetti sul gettito in considerazione del fatto che, a fronte del riconoscimento del valore normale, si determina un incentivo al trasferimento nel territorio italiano.
Al riguardo si osserva che la RT non attribuisce effetti finanziari alla disposizione sulla base della considerazione che gli effetti finanziari negativi (recati dall’applicazione di criteri che riducono il valore imponibile delle imprese commerciali che si trasferiscono in Italia) potranno essere compensati da un maggior numero di tali trasferimenti (come conseguenza dell’incentivo fiscale introdotto dalla disposizione in esame). Sul punto appare opportuno acquisire elementi diretti a suffragare l’effettiva compensatività indicata, tenuto conto che la realizzazione degli effetti positivi è subordinata al verificarsi di eventuali mutamenti dei comportamenti da parte di imprese estere.
Si segnala, inoltre, che la RT non sembra considerare gli effetti della disciplina prevista in caso di mancato accordo con l’amministrazione finanziaria per le imprese commerciali trasferite da Paesi “non collaborativi”; in base a tale disciplina le attività saranno considerate al minore valore e le passività al maggior valore tra i tre parametri indicati (costo di acquisto, valore normale e il valore iscritto in bilancio). Peraltro tale ultimo criterio sembrerebbe suscettibile di determinare un valore imponibile più favorevole per il contribuente rispetto a quello determinato applicando sempre il valore normale (come previsto per le imprese trasferite da Paesi “non collaborativi” in caso di accordo preventivo con l’Agenzia delle Entrate). In proposito appare opportuno acquisire l’avviso del Governo al fine di escludere effetti negativi per la finanza pubblica.
Normativa vigente Ai sensi dell’art.88, co.4, TUIR non si considerano sopravvenienze attive (e pertanto non concorrono alla formazione della base imponibile ai fini delle imposte dirette):
- i versamenti dei soci in conto capitale o a fondo perduto nonché la rinuncia da parte dei soci ai crediti di ogni tipo, anche se in misura non proporzionale alle quote di partecipazione nella società. In proposito, l’art.94, co.6 del TUIR (criteri di valutazione dei titoli) e l’art. 101, co.7 del TUIR (valutazione delle partecipazioni non azionarie) stabiliscono che l’ammontare dei predetti versamenti e dei crediti oggetto di rinuncia da parte soci si aggiunge al costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione;
- i versamenti a copertura delle perdite o la rinuncia a finanziamenti effettuati dagli associati in partecipazione;
- le riduzioni dei debiti dell’impresa in seguito a concordato fallimentare o preventivo;
- le riduzioni dei debiti dell’impresa a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art. 182-bis della legge fallimentare[14] o di un piano di risanamento stragiudiziale attestato ai sensi dell’art. 67, co.2, della legge fallimentare sono detassate per l’importo che eccede le perdite fiscali del periodo e quelle pregresse dell’impresa.
L’art.101, co.5, del TUIR stabilisce che le perdite di beni, non oggetto dell’attività dell’impresa, commisurate al costo non ammortizzato degli stessi, e le perdite su crediti sono deducibili solo se risultano da elementi certi e precisi. Tali elementi si considerano acquisiti nel caso dei crediti di modesta entità (inferiori a 5.000 euro o a 2.500 euro a seconda della dimensione dell’impresa), nel caso di crediti prescritti ovvero nel caso in cui la cancellazione sia effettuata in applicazione dei principi contabili.
La norma dispone:
- una modifica all’ambito di applicazione della non imponibilità (in quanto non considerati sopravvenienze attive) della rinuncia dei crediti da parte dei soci e dei versamenti da questi effettuati a fondo perduto o in conto capitale. In particolare, intervenendo sugli articoli 88, comma 4, 94, comma 6 e 101, comma 7, del TUIR la quota dei suddetti valori che non è considerata sopravvenienza attiva viene limitata al valore fiscalmente riconosciuto. L’eventuale eccedenza viene invece considerata sopravvenienza attiva e quindi soggetta a tassazione;
- il riconoscimento degli elementi certi e precisi ai fini della deducibilità delle perdite su crediti derivanti da un piano attestato e concordato del debitore mediante procedure estere equivalenti a quelle previste dall’ordinamento italiano.
La relazione tecnica afferma che:
- le modifiche che circoscrivono al valore fiscalmente riconosciuto del credito la rilevanza come sopravvenienza attiva sono potenzialmente suscettibili di produrre effetti positivi di gettito che, in via prudenziale, non sono ascritti;
- la deducibilità “automatica” delle perdite su crediti nel caso in cui il debitore abbia concluso un piano attestato o sia assoggettato a procedure estere equivalenti a quelle italiane, non determina effetti finanziari in quanto, nei fatti, tale deducibilità è già accordata sulla base della dimostrazione degli elementi certi e precisi.
Al riguardo non si hanno osservazioni da formulare sulla base di quanto indicato dalla relazione tecnica.
Esenzione degli utili e delle perdite delle stabili organizzazioni di imprese residenti
La norma introduce l’art. 168-ter nel TUIR al fine di consentire, su opzione irrevocabile da esercitare all’atto della costituzione della stabile organizzazione, l’esenzione degli utili e delle perdite attribuibili alle stabili organizzazioni situate all’estero (c.d. branch exemption).
Nel caso di stabili organizzazioni situate in uno dei Paesi inclusi nella c.d. black list, ovvero situati in Paesi diversi da quelli indicati nella white list, l’opzione è possibile sono in presenza di specifiche condizioni; in assenza di tali requisiti si applica il regime fiscale delle controlled foreign companies (Cfc) con imputazione del reddito per trasparenza e tassazione separata (commi da 1 a 5 del nuovo articolo 168-ter).
Per le stabili organizzazioni estere già istituite alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, l’opzione può essere esercitata entro i due periodi d’imposta successivi a quello in corso alla data di entrata in vigore della norma. In tale ipotesi, l’impresa deve indicare nella dichiarazione dei redditi gli utili e le perdite attribuiti alle stabili organizzazioni nei cinque anni precedenti quello dell’opzione. Se ne deriva una perdita fiscale netta, gli utili successivamente realizzati dalla stabile organizzazione sono imponibili fino a concorrenza della stessa. Dall’imposta dovuta si scomputano le eventuali eccedenze positive di imposta estera riportabili ai sensi dell’art.165, co.6 del TUIR (commi 6 e 7 del nuovo articolo 168-ter).
Il recupero delle perdite pregresse si applica anche nel caso di trasferimento della stabile organizzazione ad altra impresa del gruppo. A tal fine l’impresa cedente deve indicare nell’atto di trasferimento l’eventuale perdita netta realizzata negli ultimi 5 anni dalla stabile organizzazione (commi 8 e 9 del nuovo articolo 168-ter).
Sono inoltre previste disposizioni in merito agli obblighi dichiarativi e alla facoltà di esercizio dell’interpello (commi 10, 11 e 12 del nuovo articolo 168-ter).
La relazione tecnica ricorda che la norma intende escludere dalla concorrenza al reddito complessivo i redditi e le perdite prodotti all’estero dalle stabili organizzazioni site in paesi esteri, non rendendo contestualmente possibile procedere al calcolo del corrispondente credito d’imposta ed il suo utilizzo in detrazione dall’IRES dovuta.
Ai fini della stima, la RT utilizza i dati delle dichiarazioni dei redditi presentate dalle società di capitali e dalle società che hanno optato per il consolidato nazionale e mondiale al fine di distinguere la presenza di stabili organizzazioni dalla presenza di società partecipate (queste ultime non interessate dalla disposizione in esame). Da tale elaborazione, la RT considera circa 210 società interessate rispetto alle quali, procedendo con una ricostruzione del reddito estero testa su testa, ottiene un importo di redditi astrattamente attribuibile a stabili organizzazioni estere di imprese italiane pari a circa 1,45 miliardi e un ammontare di imposte italiane relativo ai suddetti redditi esteri – considerato al netto del credito d’imposta – pari a 172 milioni di euro.
La RT considera ulteriori dati indicati nelle dichiarazioni relativi ai contribuenti che, avendo prodotto all’estero redditi d’impresa mediante stabile organizzazione, si sono avvalsi della facoltà di cui all’art.165, co.6, del TUIR, di usufruire del credito d’imposta per redditi prodotti all’estero anche per le imposte che si renderanno definitive entro il termine di presentazione della successiva dichiarazione dei redditi. In proposito, la RT afferma che da tale colonna sono emersi redditi esteri pari a 72 milioni di euro nonché un differenziale di 6 milioni di perdita di gettito, derivante dal raffronto tra la quota d’impresa lorda italiana, ricavata dal rapporto tra reddito estero e reddito complessivo moltiplicato per la corrispondente imposta lorda italiana e gli importi afferenti l’imposta estera entro i limiti della quota d’imposta lorda (credito per imposte pagate all’estero).
Nel complesso, quindi, la perdita di gettito risulterebbe uguale a 178 milioni (172+6).
La RT considera inoltre i crediti per imposte pagate all’estero dalle stabili organizzazioni in perdita; poiché a seguito dell’opzione non risulterebbe più utilizzabile, tale credito d’imposta genera un recupero di gettito. Per la stima, in assenza di un dato puntuale, sono stati utilizzati i dati relativi alle controllate estere residenti in paesi black list da cui è emerso che il peso relativo alle perdite rispetto all’utile è pari a circa il 25%. Pertanto, considerando i redditi attribuiti alle stabili organizzazioni (1,45 miliardi più 72 milioni) si ottiene un valore di redditi negativi (perdite) pari a 380 milioni [(1.449 mln+72mln)x25%] ed un corrisponde recupero di gettito ad aliquota 27,5% pari a 105 milioni (380x27,5%).
La perdita netta risulta quindi pari a 73 milioni (178-105), incrementati dalla relazione tecnica in via prudenziale del 30%; si determina in tal modo un effetto stimato pari a 95 milioni di euro annui.
Ipotizzando, infine, la decorrenza al 2016, la RT indica i seguenti effetti di cassa:
milioni di euro)
|
2016 |
2017 |
Dal 2018 |
Minor gettito IRES |
0 |
-166 |
-95 |
Al riguardo appaiono necessari i chiarimenti di seguito indicati.
La quantificazione operata dalla relazione tecnica, pur utilizzando anche i dati rilevati dalle dichiarazioni IRAP, non sembrerebbe considerare gli effetti in termini di gettito di tale ultima imposta. In proposito, andrebbe chiarito quale sia il regime IRAP applicabile alle stabili organizzazioni che esercitano l’opzione ai sensi dell’articolo in esame.
Per quanto riguarda la quantificazione effettuata, si segnala che la stima del recupero di gettito relativo al credito per imposte pagate all’estero (105 milioni) sembrerebbe riferita ad una situazione di “stock” attribuibile alle stabili organizzazioni esistenti alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame. Andrebbero pertanto forniti chiarimenti in merito alle motivazioni che giustifichino l’iscrizione di tale effetto positivo “a regime”.
Ulteriori precisazioni andrebbero acquisite in merito all’effetto incentivante che la disposizione potrebbe determinare, tenuto conto che la RT ipotizza un incremento pari al 30%. In proposito si segnala che tale incremento viene applicato dalla stessa relazione alla riduzione di gettito calcolata al netto dei crediti per imposte pagate all’estero. Considerato che questi ultimi crediti potrebbero variare negli anni, andrebbe acquisito l’avviso del Governo circa la prudenzialità dell’applicazione del predetto incremento del 30% all’onere calcolato al netto dei medesimi crediti.
Credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero
Normativa vigente I commi 5 e 6 dell’art. 165 del TUIR consentono - rispettivamente, per i redditi d'impresa prodotti all'estero mediante stabile organizzazione o da società controllate e per i redditi d’impresa prodotti, da imprese residenti, nel Paese estero - l’utilizzo del credito d’imposta maturato in un periodo d’imposta differente da quello in cui viene imputato il corrispondente reddito.
La norma, modificando i commi 5 e 6 dell’art. 165 del TUIR, consente a tutti i contribuenti di utilizzare il credito d’imposta maturato per tutti i redditi realizzati all’estero anche in esercizi diversi da quelli in cui il reddito viene considerato ai fini della determinazione della base imponibile (comma 1).
Inoltre, è prevista una norma interpretativa riferita al comma 1 del citato articolo 165 in base alla quale il credito d’imposta può essere riferito sia alle imposte estere oggetto di una convenzione contro le doppie imposizioni sia ad altre imposte o altri tributi esistenti sul reddito.
La relazione tecnica afferma che la modifica è diretta ad eliminare le attuali disparità di trattamento tra contribuenti estendendo, in particolare, a tutti i contribuenti le disposizioni contenute nei commi 5 e 6 dell’articolo 165 del TUIR, attualmente riservate ai redditi d’impresa prodotti all’estero tramite una stabile organizzazione.
La RT afferma che alla disposizione non si ascrivono effetti finanziari.
Al riguardo si rileva che la disposizione in esame sembra suscettibile di recare effetti negativi in quanto:
- il
comma 1 amplia la possibilità di portare in detrazione i crediti d’imposta e,
pertanto, determina effetti di minor gettito in relazione ai soggetti che
risultino in tale modo “incapienti”;
- il comma 2, non considerato dalla RT, fornisce una interpretazione della
norma vigente in base alla quale il credito d’imposta matura in capo al
contribuente anche per imposte e tributi pagati all’estero che non sono oggetto
di specifiche convenzioni contro le doppie imposizioni. La disposizione, avendo
portata interpretativa, esplica effetti retroattivi che potrebbero determinare
conseguenze onerose laddove le prassi finora applicate non dovessero essere
conformi alla predetta interpretazione.
In merito a quanto rappresentato appare necessario acquisire dati ed elementi di valutazione dal Governo.
La norma prevede che agli oneri derivanti dal presente decreto, pari a 99,3 milioni di euro per il 2016, 28 milioni di euro per il 2017 e 40,7 milioni di euro a decorrere dal 2018, si provvede mediante corrispondente riduzione della dotazione del Fondo di cui all’articolo 16, comma 1, ultimo periodo, della legge 11 marzo 2014, n. 23. La disposizione autorizza, altresì, il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Al riguardo, si fa preliminarmente presente che gli oneri derivanti dal provvedimento in esame, poiché non delimitabili nell’ambito di un limite massimo di spesa, dovrebbero essere espressi in termini meramente previsionali. Ciò posto, andrebbe pertanto considerata l’opportunità di riformulare la copertura finanziaria nel senso di indicare che gli oneri sono “valutati in” anziché “pari a”, come invece attualmente previsto dal testo. Sul punto appare comunque opportuno acquisire l’avviso del Governo.
Con specifico riferimento alla copertura dei predetti oneri a valere sull’apposito Fondo istituito nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, ai sensi dell’articolo 16, comma 1, ultimo periodo, della legge n. 23 del 2014, recante delega al Governo per la riforma del sistema fiscale, si segnala che tale ultima disposizione è stata introdotta in sede di conversione del decreto-legge n. 66 del 2014, al fine di utilizzare le maggiori entrate prodotte dai decreti legislativi di attuazione della citata legge di delega per la copertura finanziaria di successivi decreti attuativi che dovessero recare, come nel caso di specie, disposizioni onerose che non trovano diretta compensazione al proprio interno.
In proposito, si ricorda che, in sede di attuazione della richiamata legge di delega, l’articolo 37 del decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175, recante disposizioni in materia di semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi precompilata, ha stabilito che quota parte delle maggiori entrate da esso derivanti, pari a 9,4 milioni di euro per il 2015 e a 26,8 milioni di euro a decorrere dal 2016, confluiscono nel predetto Fondo istituito presso il Ministero dell’economia e delle finanze. Si ricorda, altresì, che analoga previsione è contenuta nell’articolo 2, comma 4, secondo periodo, del decreto legislativo 15 dicembre 2014, n. 188, recante modifiche al regime di imposizione fiscale sui tabacchi lavorati, a tenore del quale le maggiori entrate derivanti dalle nuove accise sui tabacchi, per una quota parte valutata in 145 milioni di euro per il 2015 e in 146 milioni di euro a decorrere dal 2016, confluiscono nel medesimo Fondo.
Le maggiori entrate sinora confluite nel Fondo in parola sono quindi pari a 154,4 milioni di euro per il 2015 e a 172,8 milioni di euro a decorrere dal 2016 e risultano pertanto idonee ad assicurare la copertura finanziaria sia degli oneri recati dallo schema di decreto in esame, sia degli oneri derivanti dalle disposizioni contenute nell’atto del Governo n. 162 attualmente all’esame delle Camere (recante schema di decreto legislativo in materia di trasmissione telematica delle operazioni IVA e di controllo delle cessioni di beni effettuate attraverso distributori automatici, in attuazione della già menzionata legge di delega), anch’essi imputati, in misura pari a 6,12 milioni di euro per il 2016 e a 9,8 milioni di euro a decorrere dal 2017, sulle risorse del predetto Fondo.
[1] Definizione di una disciplina per ‘accordo preventivo tra contribuente che opera a livello internazionale ed Agenzia delle entrate di cui all’articolo 8 del decreto legge n. 269/2003 del quale la norma in esame prevede la soppressione.
[2] Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi.
[3] Di cui all’articolo 27, commi da 9 a 15, del decreto legge n. 185/2008.
[4] D.P.R. n. 917 del 1986.
[5] Il comma 4 dell’art. 68 del TUIR individua specifiche tipologie.
[6] Il comma 1 dell’articolo 87 del TUIR individua le tipologie.
[7] Mediante le procedure specificatamente disciplinate dalla normativa vigente (interpello).
[8] Credito per imposte pagate all’estero (cfr art. 15 del provvedimento in esame)
[9] Di cui all’articolo 27, comma 4, del DPR n. 600/1973.
[10] La norma precisa che tale situazione si verifica quando il livello di tassazione estero è inferiore al 50% di quello applicato in Italia ovvero quando, pur in assenza di tale livello rispetto al regime fiscale ordinario, sono presenti regimi speciali che determinano un livello inferiore al suddetto 50%.
[11] La norma chiarisce che il livello di tassazione sensibilmente inferiore si verifica quando tale livello sia inferiore
[12] DPR n. 917/1986.
[13] Di cui all’articolo 9 del TUIR.
[14] R.D. n. 267/1942.