Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | RUE - Ufficio SG - Ufficio Rapporti con l'Unione europea |
Titolo: | Colloquio annuale sui diritti fondamentali 2017 “Diritti delle donne in tempi turbolenti" Bruxelles, 20-21 novembre 2017 |
Serie: | Documentazione per le Commissioni - Riunioni interparlamentari Numero: 97 |
Data: | 17/11/2017 |
Camera dei deputati
XVII LEGISLATURA
Documentazione per le Commissioni
riunioni interparlamentari
Colloquio annuale sui diritti fondamentali 2017
“Diritti delle donne in tempi turbolenti"
Bruxelles, 20-21 novembre 2017
n. 97
17 novembre 2017
Il dossier è stato curato dall’Ufficio rapporti con l’Unione europea
(' 066760.2145 - * cdrue@camera.it)
Il paragrafo ‘La Convenzione di Istanbul” è stato curato dal Servizio Studi, Dipartimento Giustizia (' 066760.9148)
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I N D I C E
Politiche UE in materia di parità tra uomini e donne
· L’uguaglianza di genere nel diritto primario
· L’uguaglianza di genere nel diritto derivato
· L'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere (EIGE)
· Le attività UE più recenti in materia di uguaglianza di genere
· Recente attività del Parlamento europeo – Le risoluzioni non legislative
· Orientamenti degli ultimi Consigli
Prevenzione e lotta alla violenza contro le donne
· La Convenzione di Istanbul (a cura del Servizio Studi)
· Il processo di adesione dell’UE alla Convenzione
La Commissione europea pubblica con cadenza annuale un Rapporto sulla parità tra uomo e donna recante una panoramica dei principali sviluppi della politica e della legislazione dell'UE in materia di parità di genere durante l'ultimo anno, descrivendo altresì una serie di esempi di politiche adottate dagli Stati membri per ridurre il gap.
I principali indicatori del divario di genere contenuti nel Rapporto 2017 mettono in evidenza che:
· il tasso di disoccupazione femminile è ancora molto alto, soprattutto nei paesi meridionali, se paragonato a quello maschile;
· le donne continuano a guadagnare in media il 40 per cento in meno rispetto agli uomini in tutti i paesi dell'UE e il divario retributivo di genere nelle pensioni è stabile al 38 per cento;
· persiste il cosiddetto soffitto di cristallo (ovverosia i limiti alla partecipazione delle donne alle posizioni manageriali) considerato che sono soltanto quattro i paesi con almeno il 30 per cento di donne nei consigli di amministrazione delle grandi aziende: Francia, Italia, Finlandia e Svezia;
· le donne sono tuttora sottorappresentate in politica. In otto Stati membri (Bulgaria, Grecia, Croazia, Cipro, Lettonia, Ungheria, Malta e Romania) la presenza femminile in politica è inferiore al 20 per cento.
Di seguito una breve rassegna dei risultati registrati nel rapporto, distribuiti per area tematica.
Occupazione
Secondo il Rapporto, nel terzo trimestre del 2016, nell’Unione europea, il livello di occupazione maschile si è attestato al 77,6 per cento mentre quello femminile è pari al 65,5 per cento. Il trend dal 2010 indica che nel triennio 2010-2013 si è registrata una diminuzione del divario mentre negli ultimi tre anni quest’ultimo è rimasto sostanzialmente stabile. La Commissione europea rileva altresì una più significativa riduzione del gap nella fascia di età tra i 50 e i 64 anni, ritenendola connessa all’aumento dell’età lavorativa femminile a seguito dei più recenti mutamenti dei regimi pensionistici negli Stati membri, oltreché a un minor sviluppo dell’occupazione nei gruppi di età più giovani.
Trend sul divario nell’occupazione relativo al periodo 2010-2016 (fascia di età: 20-64 anni): Fonte Eurostat.
Dati comparati sul divario di genere nell’occupazione negli Stati membri, relativamente al terzo trimestre del 2016 (fascia di età: 20-64 anni): Fonte Eurostat.
Livelli retributivi
Il Rapporto offre una serie di dati in materia di divario di genere per quanto riguarda la retribuzione del lavoro.
In particolare, il dato medio europeo più aggiornato riguarda il 2015, anno in cui il divario di genere nella paga lavorativa equivale al 16,3 per cento, sostanzialmente stabile rispetto al dato relativo al 2010 (16,2 per cento).
Secondo la Commissione europea dal 2010 al 2014 gli Stati membri hanno registrato trend diversi nel gap retributivo di genere. In alcuni Stati membri il divario è diminuito di almeno un punto; l’aumento di oltre un punto è stato registrato in otto Stati membri.
Trend relativi al divario di paga lavorativa negli Stati membri nel periodo 2010-2014: fonte Eurostat
La Commissione europea, infine, mette a confronto i volumi complessivi dei guadagni dei due generi (tenuto conto delle differenze relative alla paga oraria, alle ore lavorate e al tasso di occupazione), rilevando nel 2014 un divario medio di circa il 40 per cento, che in alcuni Stati membri (tra i quali, Regno Unito, Austria, Germania e Paesi Bassi) supera i 45 punti in percentuale.
Divario tra guadagni complessivi degli uomini e delle donne nei singoli Stati membri nel 2014: fonte Eurostat
Partecipazione alle posizioni manageriali
Secondo il Rapporto, nell’ottobre 2016 le donne sono presenti nei consigli di amministrazione delle grandi società quotate in borsa con un tasso medio dell’UE del 23,9 per cento. La Commissione europea rileva altresì che nel 7,7 per cento dei casi tali consigli sono presieduti da donne, mentre il ruolo di CEO è esercitato dal genere femminile solo nel 5,7 per cento dei casi.
Dati relativi al divario di genere nella partecipazione ai consigli di amministrazione delle grandi società quotate in borsa nell’ottobre 2016.
Il Rapporto registra, infine, i dati relativi alla partecipazione delle donne al processo decisionale politico, con particolare riguardo alla presenza nei Parlamenti e nei Governi degli Stati membri. Secondo la Commissione europea il genere femminile continua ad essere sottorappresentato, pur sottolineando che la presenza femminile media nei Parlamenti è passata dal dal 22,1 per cento dell’ottobre 2004 al 28,7 per cento del novembre 2016. La Commissione europea rileva altresì i dati delle presenze femminili relativamente al ruolo di Presidente di Parlamento (32,1 per cento dei casi), di Ministro (27,9 per cento), e di leader di un partito politico (18,8 per cento).
Dati relativi alla presenza delle donne nei Parlamenti e nei Governi nazionali degli Stati membri in ottobre-novembre2016
Per quanto riguarda la presenza delle donne nelle compagini governative la Commissione europea sottolinea che, nel 44,4 per cento dei casi, alle donne sono assegnati Ministeri con funzioni sociali e culturali (sanità, famiglia e affari sociali, istruzione e cultura) mentre il dato diminuisce significativamente per quanto riguarda le funzioni di base (27,4 per cento con riferimento ai Ministeri dell’interno, degli affari esteri, della difesa e della giustizia), e le funzioni economiche (16, 3 per cento nei casi dei Ministeri delle finanze, del commercio, dell’industria e dell’agricoltura).
Il Rapporto registra, infine, il dato (aggiornato al maggio 2015) della presenza delle donne nelle assemblee rappresentative locali. Secondo la Commissione europea la rappresentanza femminile media in tali assemblee si attesta al 35,3 per cento, con punte del 40 per cento circa in Francia e Svezia, mentre i livelli più bassi (sotto il 20 per cento) sono riferiti a Grecia, Cipro e Ungheria.
Dati comparati relativi alla presenza femminile nelle assemblee locali degli Stati membri nel maggio 2015.
All’interno della Commissione europea le donne rappresentano il 55 per cento del totale della forza lavoro. Il Presidente Juncker ha posto l’obiettivo, da realizzare entro il 2019, di una presenza femminile del 40 per cento in posizioni dirigenziali di alto e medio livello. Attualmente, circa il 35 per cento dei dirigenti di medio livello sono donne. Negli ultimi due anni, in particolare, la Commssione europea ha nominato diverse donne qualificate in posizioni apicali di direttore e vicedirettore generale, aumentando la rappresentanza femminile di alto livello dal 13 per cento (nel 2014) al 29 per cento.
Violenze sulle donne
I principali dati statistici a livello europeo per quanto riguarda le violenze sulle donne, aggiornati in linea di massima al 2014, fanno riferimento, da un lato, ai database di Eurostat concernenti casi di stupro e di aggressione sessuale (ovverosia un’aggressione che pur essendo di tipo sessuale non si è concretizzata in un vero e proprio stupro), nonché di femminicidio, registrati presso le autorità di polizia, dall’altro, alla ricerca condotta dall’Agenzia europea per i diritti fondamentali sulla base di alcune decine di migliaia di interviste di donne dell’UE in merito alle rispettive esperienze di violenze subite.
In particolare, Eurostat (in collaborazione con UNODC - United Nation office on drug and crime) rileva tra il 2008 e il 2014 un aumento sia degli stupri sia delle violenze sessuali registrati dalle forze di polizia. Il dato più significativo riguarderebbe gli stupri denunciati, i quali sarebbero aumentati nel periodo di riferimento del 37 per cento. La Commissione europea, tuttavia, ha precisato che non è possibile stabilire in che misura tale variazione possa dipendere dall’aumento del fenomeno criminale in sé oppure dalla maggiore propensione a denunciarlo.
Di seguito un grafico recante l’andamento degli stupri e delle violenze denunciate alle forze di polizia nell’UE nel periodo 2008-2014: fonte Eurostat
Il Rapporto UE 2017 sull’uguaglianza di genere offre, altresì, una tabella con i dati comparativi degli Stati membri relativi alle aggressioni sessuali e agli stupri (la tabella riunisce le due categorie nell’insieme generico: violenza sessuale): fonte Eurostat (l’Italia non ha trasmesso i dati relativi agli stupri)
Circa i femminicidi, Eurostat possiede dati sufficientemente aggiornati per quanto riguarda il 2014, anno in cui – secondo l’Ufficio europeo di statistica – nell’Unione europea sono state uccise circa 1.400 donne.
Dai dati comparati degli Stati membri emerge che i Paesi europei con i più alti tassi di femminicidio rispetto alla popolazione complessiva sono la Lettonia e la Lituania (con circa 3,3 donne uccise per centomila abitanti), seguiti da Ungheria ed Estonia (circa 1,3); l’Italia si attesta a circa lo 0,5 per centomila abitanti.
I primi dati in possesso di Eurostat per quanto riguarda il 2015 sono aggiornati al mese di maggio: i femminicidi sembrano in significativa crescita considerato che dopo i primi cinque mesi del 2015 si sono già attestati a 1.400 (ovverosia lo stesso numero rilevato per l’intero anno precedente).
Si ricorda infine che la principale indagine su larga scala a livello UE per quanto riguarda il fenomeno della violenza sulle donne è stata realizzata nel 2014 dalla FRA, l’Agenzia europea per i diritti fondamentali.
In sostanza, l’Agenzia ha realizzato un sondaggio basandosi su interviste con 42.000 donne in tutti i 28 Stati membri dell’UE (con una media di 1.500 interviste in ogni Stato membro). I risultati sono rappresentativi delle esperienze e dei pareri di donne che vivono nell’UE di età compresa tra i 18 e i 74 anni.
Alle donne intervistate è stato chiesto di fornire informazioni sulle loro esperienze personali rispetto a varie forme di violenza (violenza fisica, sessuale e psicologica, maltrattamenti sui minori, molestie sessuali e atti persecutori, anche con riferimento a nuovi mezzi di abuso come Internet), di indicarne la frequenza e le conseguenze che hanno avuto sulla loro vita. Sono state infine raccolte informazioni sulla scelta o meno di denunciare la violenza alla polizia e sul ricorso da parte delle donne ad altri servizi di sostegno alle vittime.
Dall’indagine è emerso principalmente che:
· circa 13 milioni di donne nell’UE avrebbero subito violenza fisica nel corso dei 12 mesi precedenti le interviste. Il dato corrisponderebbe al 7 per cento delle donne (di età compresa fra i 18 e i 74 anni) nell’UE;
· circa 3,7 milioni di donne nell’UE avrebbero subito violenza sessuale nello stesso arco temporale. Il dato corrisponderebbe al 2 per cento delle donne (di età compresa tra i 18 e i 74 anni) nell’UE; inoltre, una donna su 20 (5 per cento) sarebbe stata stuprata dopo i 15 anni;
· di tutte le donne che hanno (o hanno avuto) un partner, il 22 per cento ha subito violenza fisica e/o sessuale da parte del partner a partire dai 15 anni di età; oltre la metà delle donne che sono state stuprate dal partner attuale o il cui partner attuale ha tentato di violentarle o di farle partecipare ad attività sessuali quando non erano in grado di rifiutare, ha subito più di un episodio di violenza sessuale. Nel caso dello stupro, circa un terzo delle vittime ha subito sei o più episodi commessi dal partner attuale;
· circa il 12 per cento delle donne ha risposto di avere subito una forma di abuso o atto sessuale da parte di un adulto prima dei 15 anni, percentuale che corrisponderebbe a 21 milioni di donne nell’UE;
· il 18 per cento delle donne avrebbe subito atti persecutori dall’età di 15 anni, mentre il 5 per cento ne sarebbe stata vittima nei 12 mesi precedenti l’indagine (dato che corrisponderebbe a 9 milioni di donne nell’UE-28); il 23 per cento delle vittime di comportamenti persecutori dichiara di aver dovuto cambiare il numero di telefono o l‘indirizzo di posta elettronica successivamente all’episodio più grave di persecuzione;
La seguente tabella riporta i dati sulle forme sessuali di violenza virtuale subite dalle donne: Fonte FRA
L’indagine riporta infine che:
· la metà di tutte le donne all’interno dell’UE (53 per cento) evita certe situazioni o determinati luoghi, almeno occasionalmente, per paura di essere aggredita fisicamente o sessualmente;
· le vittime hanno denunciato alla polizia l‘episodio di violenza più grave da parte del partner nel 14 per cento dei casi e l‘episodio di violenza più grave commesso da non partner nel 13 per cento dei casi; per circa un quarto delle vittime, la sensazione di vergogna o imbarazzo per quanto subito è stato il motivo che le ha spinte a non denunciare alla polizia o a qualsiasi altra organizzazione l‘episodio più grave di violenza sessuale inflitto dal partner o da altri.
L’indagine, infine, raccoglie i dati relativamente alle conseguenze psicologiche a lungo termine dell’episodio di violenza più grave subito dall’età di 15 anni, per tipo ed autore di violenza.
Tabella riassuntiva delle conseguenze psicologiche delle violenze subite (in percentuale).
L'Unione europea si fonda su un insieme di valori, tra cui l'uguaglianza, e promuove la parità tra uomini e donne (articolo 2 e articolo 3, paragrafo 3, del Trattato sull’Unione europea - TUE). Tali obiettivi sono altresì sanciti dall'articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali.
Inoltre, l'articolo 8 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea - TFUE attribuisce all'Unione il compito di eliminare le ineguaglianze e di promuovere la parità tra uomini e donne in tutte le sue attività (questo concetto è noto anche come gender mainstreaming - integrazione della dimensione di genere). Nella dichiarazione 19, allegata all'atto finale della Conferenza intergovernativa che ha adottato il Trattato di Lisbona, l'Unione e gli Stati membri si sono, tra l’altro, impegnati a lottare contro tutte le forme di violenza domestica per prevenire e punire questi atti criminali e per sostenere e proteggere le vittime.
Il principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro è sancito dai Trattati europei sin dal 1957 (e, attualmente, dall'articolo 157 del TFUE). Inoltre, l'articolo 153 del TFUE consente all'UE di intervenire nell'ambito più ampio delle pari opportunità e della parità di trattamento nei settori dell'impiego e dell'occupazione. In tale contesto, l'articolo 157 del TFUE autorizza anche l’azione positiva finalizzata all’emancipazione femminile. L'articolo 19 del TFUE consente altresì l'adozione di provvedimenti legislativi per combattere tutte le forme di discriminazione, incluse quelle fondate sul sesso. La legislazione volta a contrastare la tratta di esseri umani, in particolare di donne e bambini, è stata adottata a norma degli articoli 79 e 83 del TFUE, e il programma Diritti, uguaglianza e cittadinanza finanzia, tra l'altro, le misure volte a eradicare la violenza contro le donne conformemente all'articolo 168 del TFUE.
Per quanto riguarda la legislazione dell'UE in materia di parità di genere si ricordano, tra le altre:
· la direttiva 2004/113/CE, del 13 dicembre 2004, che attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura;
· la direttiva 2006/54/CE del 5 luglio 2006 riguardante di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione). Questa direttiva fornisce una definizione delle nozioni di discriminazione diretta e indiretta, di molestie e di molestie sessuali. Inoltre essa incoraggia i datori di lavoro ad adottare misure preventive per combattere le molestie sessuali, aumenta le sanzioni per i casi di discriminazione e prevede l'istituzione all'interno degli Stati membri di organismi incaricati di promuovere la parità di trattamento tra uomini e donne.
· la direttiva 2010/18/UE, dell'8 marzo 2010 (come modificata alla fine del 2013), che attua l'accordo quadro riveduto in materia di congedo parentale concluso da BUSINESSEUROPE, EAPME, CEEP e CES e abroga la direttiva 96/34/CE.
La direttiva è attualmente in fase di revisione (vedi infra).
· la direttiva 2010/41/CE, del 7 luglio 2010, che stabilisce gli obiettivi relativi all'applicazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un'attività autonoma, ivi comprese le attività nel settore agricolo, e relativa altresì alla tutela della maternità, e che abroga la direttiva 86/613/CEE del Consiglio;
· la direttiva 2011/36/UE, del 5 aprile 2011, concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime. La disciplina, volta al ravvicinamento delle sanzioni per la tratta di esseri umani tra gli Stati membri e delle misure di sostegno per le vittime, invita, tra l’altro, gli Stati membri a valutare la possibilità di adottare misure affinché costituisca reato la condotta di chi ricorre consapevolmente ai servizi, oggetto di sfruttamento, prestati da una persona che è vittima della tratta, al fine di scoraggiare la domanda;
· la direttiva 2011/99/UE, del 13 dicembre 2011, che istituisce l’Ordine di protezione europeo allo scopo di proteggere una persona da atti di rilevanza penale compiuti da un’altra persona tali da metterne in pericolo la vita, l’integrità fisica o psichica, la dignità, la libertà personale o l’integrità sessuale, e che consente all’autorità competente di un altro Stato membro di continuare a proteggere la persona all’interno di tale altro Stato membro. La direttiva è rafforzata dal regolamento (UE) n. 606/2013 del 12 giugno 2013 relativo al riconoscimento reciproco delle misure di protezione in materia civile;
· la direttiva 2012/29/UE, del 25 ottobre 2012, che stabilisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI.
Nel dicembre 2006 il Parlamento europeo e il Consiglio hanno creato l'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere, con sede a Vilnius, in Lituania, con l'obiettivo generale di sostenere e rafforzare la promozione della parità di genere, ivi compresa l'integrazione di genere in tutte le politiche unionali e nazionali.
L'Istituto persegue altresì l'obiettivo di combattere le discriminazioni fondate sul sesso e di svolgere un'opera di sensibilizzazione sul tema della parità di genere, fornendo assistenza tecnica alle istituzioni europee mediante la raccolta, l'analisi e la diffusione di dati e strumenti metodologici.
Nell’ambito del bilancio UE, il programma Diritti, uguaglianza e cittadinanza finanzia progetti volti a raggiungere la parità di genere e porre fine alla violenza contro le donne (articolo 4). Insieme al programma Giustizia (regolamento 2013/1382), esso è stato dotato di 15.686 milioni di euro fino al 2020 (regolamento QFP 1311/2013) e consolida sei programmi del periodo di finanziamento 2007-2013, tra cui il Programma Daphne III (decisione 779/2007) ed entrambe le sezioni «Anti-discriminazione e diversità» e «Uguaglianza di genere» del Programma per l'occupazione e la solidarietà sociale (PROGRESS) (decisione 1672/2006/CE).
Il relativo allegato specifica che la promozione dell'uguaglianza di genere sarà finanziata insieme ad altre misure antidiscriminatorie nell’ambito del Gruppo 1, al quale viene assegnata una quota del 57 per cento dei finanziamenti. La lotta alla violenza contro le donne è inclusa nel Gruppo 2, con il 43 per cento della dotazione finanziaria complessiva del programma.
Per il 2017, alla linea di bilancio 33 02 02 (Promuovere la non discriminazione e la parità) sono stati assegnati 35.064.000 euro in stanziamenti d'impegno e 24.000.000 euro in stanziamenti di pagamento, con un aumento considerevole nei pagamenti rispetto al 2015 e al 2016. Inoltre, alla linea di bilancio 33 02 01 sono stati assegnati 26.451.000 euro per contribuire, tra gli altri obiettivi, alla protezione delle donne contro tutte le forme di violenza e alla lotta contro tale violenza.
La Carta per le donne, l'impegno strategico per la parità di genere 2016-2019, e i principi contenuti nel pilastro sociale
Il 5 marzo 2010 la Commissione ha adottato la Carta delle donne nell'ottica di migliorare la promozione dell'uguaglianza tra donne e uomini; nel dicembre 2015 ha altresì pubblicato l'impegno strategico per l'uguaglianza di genere 2016-2019 al fine di monitorare e prorogare la strategia della Commissione per l'uguaglianza tra uomini e donne (2010-2015).
L'impegno strategico, in particolare, è incentrato su cinque settori prioritari:
· aumento della partecipazione delle donne al mercato del lavoro e pari indipendenza economica;
· riduzione del divario di genere in materia di retribuzioni, salari e pensioni e, di conseguenza, lotta contro la povertà tra le donne;
· promozione della parità tra donne e uomini nel processo decisionale;
· lotta contro la violenza di genere e protezione e sostegno delle vittime;
· promozione della parità di genere e dei diritti delle donne in tutto il mondo.
Profili relativi alla parità di genere sono altresì contenuti nel pacchetto relativo al Pilastro sociale europeo, presentato dalla Commissione europea nell’aprile 2017.
Si tratta della comunicazione “Istituzione di un Pilastro europeo dei diritti sociali” (COM(2017)250) e della proposta di “Proclamazione interistituzionale sul Pilastro europeo dei diritti sociali” (COM(2017)251), con le quali, in particolare, vengono stabiliti una serie di principi e diritti fondamentali, che riguardano le aree dell'occupazione, della protezione sociale, dell'inclusione sociale, dell'istruzione e delle pari opportunità. L’accordo interistituzionale prospettato dalla Commissione europea costituisce un atto solenne diretto a valorizzare, attraverso l’impegno condiviso delle varie istituzioni europee, la natura strategica del Pilastro.
In particolare, riguardano le questioni relative alla parità di genere e alle pari opportunità i seguenti principi del Pilastro:
· il principio n. 2 (parità di genere) afferma che la parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere garantita e rafforzata in tutti i settori, anche per quanto riguarda la partecipazione al mercato del lavoro, i termini e le condizioni di lavoro e l'avanzamento di carriera. È inoltre stabilito che donne e uomini hanno diritto alla parità di retribuzione per lavoro di pari valore;
· il principio n. 3 (pari opportunità) prevede che a prescindere da sesso, razza o origine etnica, religione o convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale, ogni persona ha diritto alla parità di trattamento e di opportunità in materia di occupazione, protezione sociale, istruzione e accesso a beni e servizi disponibili al pubblico. Sono promosse le pari opportunità dei gruppi sottorappresentati;
· il principio n. 9 (equilibrio tra attività professionale e vita familiare) stabilise che i genitori e le persone con responsabilità di assistenza hanno diritto a un congedo appropriato, modalità di lavoro flessibili e accesso a servizi di assistenza. Gli uomini e le donne hanno pari accesso ai congedi speciali al fine di adempiere le loro responsabilità di assistenza e sono incoraggiati a usufruirne in modo equilibrato.
Il 26 ottobre 2015 il Consiglio ha adottato conclusioni relative al Piano d'azione sulla parità di genere 2016-2020. Il Piano è basato sul documento congiunto dei servizi della Commissione e del Servizio europeo per l'azione esterna (SEAE) sul tema «Parità di genere ed emancipazione femminile: trasformare la vita delle donne e delle ragazze attraverso le relazioni esterne dell'UE (2016-2020)».
Nel nuovo Piano d'azione si sottolinea, tra l’altro, la necessità di realizzare pienamente il godimento, pieno e paritario, di tutti i diritti umani e le libertà fondamentali da parte delle donne e delle ragazze e il conseguimento della loro emancipazione e della parità di genere.
Proposte normative all’esame dell’UE
Le principali proposte normative presentate negli ultimi anni dalla Commissione europea volte a ridurre alcuni profili del divario di genere hanno incontrato significative resistenze nel corso dell’iter legislativo.
In particolare, nel 2008 la Commissione europea aveva presentato una proposta di riforma della direttiva 92/85/CEE concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento.
Sulla proposta, nell’ottobre 2010, il Parlamento europeo aveva concluso la prima lettura, adottando una posizione che prevedeva, tra l’altro, un congedo di maternità pienamente retribuito di 20 settimane. Tuttavia, poiché non è stato successivamente raggiunto un accordo tra Parlamento e Consiglio sulla proposta della Commissione, quest'ultima ha ritirato la proposta sostituendola con la tabella di marcia "Nuovo inizio per affrontare le sfide dell'equilibrio tra vita professionale e vita privata incontrate dalle famiglie che lavorano".
Nel novembre 2012 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva COM(2012)614 riguardante il miglioramento dell'equilibrio di genere fra i direttori senza incarichi esecutivi delle società quotate in borsa e le relative misure. Con l'obiettivo di affrontare il grave problema della sottorappresentanza femminile ai livelli più alti del processo decisionale economico, tale proposta stabilisce, tra l’altro, un obiettivo quantitativo del 40 per cento da raggiungere entro il 2020 (entro il 2018 nel caso di imprese pubbliche) di donne nei consigli di amministrazione delle società quotate. Per il raggiungimento di tale obiettivo, è previsto che le società introducano norme procedurali per la selezione e la nomina degli amministratori senza incarichi esecutivi.
Si segnala che, nonostante la Presidenza maltese del Consiglio dell’UE abbia tentato di rilanciare l’iter legislativo della proposta, sulla disciplina (approvata in prima lettura dal Parlamento europeo nel novembre 2013) il Consiglio non ha ancora adottato la propria posizione a causa dell'opposizione di un blocco nutrito di Paesi. In tal senso, hanno sollevato rilievi sul rispetto del principio di sussidiarietà i Parlamenti nazionali di Danimarca, Paesi Bassi, Polonia, Svezia e Regno Unito, e la Camera dei deputati della Repubblica ceca.
Da ultimo, si ricorda che nell’aprile del 2017, in attuazione del sopra citato principio n. 9 del Pilastro europeo dei diritti sociali, la Commissione europea ha presentato una a proposta di direttiva (COM(2017)253) relativa all'equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza e che abroga la direttiva 2010/18/UE del Consiglio.
La disciplina stabilisce una serie di standard minimi nuovi o più elevati per il congedo di paternità e per quello dei prestatori di assistenza, introducendo tra l’altro: un congedo di paternità di quattro mesi retribuito almeno al livello dell’indennità di malattia, che può essere utilizzato fino ai 12 anni di età del figlio, rispetto all'attuale linea guida non vincolante degli 8 anni di età, e non può essere trasferibile tra i genitori; il diritto per i padri di prendere un periodo di congedo di durata non inferiore a 10 giorni lavorativi in occasione della nascita di un figlio; un congedo di 5 giorni l'anno per i prestatori di assistenza, in caso di malattia di un parente diretto.
L’iter della proposta è tuttora alle prime battute, non essendo ancora completato l’esame presso la Commissione Lavoro e affari sociali del Parlamento europeo ed essendo sostanzialmente all’inizio la discussione presso il Consiglio. Si segnala tuttavia che alcuni Parlamenti nazionali (segnatamanente entrambe le Camere di Polonia e Paesi Bassi) hanno approvato in merito pareri motivati con i quali contestano la non conformità della disciplina proposta al principio di sussidiarietà.
Sulla proposta, il 13 settembre 2017, la Commissione XI (Lavoro) della Camera dei deputati ha approvato un documento finale recante una valutazione sostanzialmente positiva con alcune osservazioni.
Negli ultimi anni il Parlamento europeo ha contribuito alla definizione generale delle politiche nel settore della parità di genere elaborando relazioni di iniziativa e richiamando l'attenzione delle altre Istituzioni su problemi specifici.
In particolare, ogni anno il Parlamento europeo approva una risoluzione che valuta i progressi compiuti verso il raggiungimento della parità tra donne e uomini. Tra le iniziative più recenti si ricordano:
· la risoluzione del Parlamento europeo del 10 marzo 2015 sui progressi concernenti la parità tra donne e uomini nell'Unione europea nel 2013;
· la risoluzione dell’8 marzo 2016 sull'integrazione della dimensione di genere nei lavori del Parlamento europeo (gender mainstreaming);
· la risoluzione dell’8 marzo 2016 sulla situazione delle donne rifugiate e richiedenti asilo nell'UE;
· la risoluzione del 13 settembre 2016 sulla creazione di condizioni del mercato del lavoro favorevoli all'equilibrio tra vita privata e vita professionale;
· la risoluzione del 14 marzo 2017 sulla parità tra donne e uomini nell'Unione europea nel 2014-2015);
· la risoluzione del 14 marzo 2017 sull'applicazione della direttiva 2004/113/CE del Consiglio che attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura;
· la risoluzione del 12 settembre 2017 sulla proposta di decisione del Consiglio relativa alla conclusione da parte dell'Unione europea della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.
Il Parlamento europeo si sta inoltre adoperando per l'integrazione della dimensione di genere nelle attività di tutte le sue Commissioni. A tal fine, sono state istituite due reti sull'integrazione della dimensione di genere, coordinate dalla Commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere (FEMM). La rete dei presidenti e vicepresidenti per la dimensione di genere riunisce deputati che sostengono l'introduzione di una dimensione di genere nel lavoro delle loro rispettive commissioni. Sono assistiti da una rete di amministratori incaricati dell'integrazione della dimensione di genere in ognuna delle segreterie di commissione. Il Gruppo ad alto livello sull'uguaglianza di genere promuove la formazione e la sensibilizzazione sull'integrazione della dimensione di genere tra il personale del Parlamento europeo e dei gruppi politici.
Nelle Conclusioni sulla parità di genere, dopo avere accolto con favore i cinque settori di intervento prioritari e le questioni orizzontali indicati nell’impegno strategico della Commissione per la parità di genere 2016-2019 (par. 19), il Consiglio europeo rivolge specifici e dettagliati inviti alla Commissione europea e agli Stati membri per l’attuazione dell’impegno medesimo (par. 23-33). In particolare, la Commissione è invitata a “integrare in tutte le politiche e le attività dell’UE un piano d’azione concreto per l’attuazione di una prospettiva di parità di genere sistematica e visibile” (par. 27). In quest’ottica si auspica sia l’adozione di una nuova strategia ad alto livello sulla parità di genere sotto forma di comunicazione sia l’integrazione della dimensione di genere nel contesto del semestre europeo (par. 31).
Il Consiglio dell’UE Occupazione, politica sociale, salute e consumatori ha approvato conclusioni sul miglioramento delle competenze delle donne e degli uomini nel mercato del lavoro dell'UE, recanti una serie di indicazioni anche in materia di divario di genere.
In particolare, il Consiglio ha, tra l’altro, invitato gli Stati membri:
· a dare la priorità, nell'attuazione della strategia Europa 2020, all'eliminazione degli ostacoli alla partecipazione di donne e uomini al mercato del lavoro, prestando particolare attenzione all'importanza delle competenze, al fine di raggiungere l'obiettivo principale di innalzare al 75% il tasso di occupazione delle donne e degli uomini di età compresa tra 20 e 64 anni;
· a intensificare gli sforzi tesi a integrare la prospettiva di genere nelle rispettive politiche nazionali in materia di competenze e mercato del lavoro e a tal fine, ove pertinente, includere tali misure nei piani d'azione nazionali e/o nell'ambito del semestre europeo, conformemente agli orientamenti in materia di occupazione, prestando particolare attenzione agli svantaggi specifici che le donne devono affrontare nel mercato del lavoro e nel corso della vita. Secondo il Consiglio misure che tengano conto della dimensione di genere dovrebbero essere concepite in modo da conseguire, tra l’altro i seguenti obiettivi:
· combattere la segregazione occupazionale orizzontale basata sul genere e promuovere misure volte a migliorare il riconoscimento e lo status di settori che occupano principalmente donne, quali i lavori domestici, il settore sanitario, i servizi sociali e il settore dell'assistenza, nonché prendere in considerazione misure per migliorare la retribuzione in tali settori rispettando nel contempo le circostanze nazionali e il ruolo delle parti sociali;
· promuovere la parità di accesso delle donne e degli uomini alla professione docente, anche per offrire ai discenti modelli di riferimento sia maschili che femminili;
· combattere la discriminazione di genere, la segregazione e gli stereotipi basati sul genere nell'istruzione, nella formazione, anche professionale, e nell'orientamento professionale; promuovere la parità di genere nelle scuole, negli istituti superiori e nelle università; incoraggiare ragazze, ragazzi, donne e uomini provenienti da tutti i contesti a scegliere percorsi di studio e di lavoro conformi alle loro capacità e competenze, non sulla base di stereotipi di genere, in particolare promuovendo l'accesso di donne e ragazze a settori di studio e lavoro come la scienza, la tecnologia, l'ingegneria e la matematica ("STEM") e, per contro, incoraggiando uomini e ragazzi a studiare e lavorare in settori quali i servizi sociali, l'assistenza all'infanzia e l'assistenza a lungo termine;
· continuare ad analizzare il fenomeno dell'abbandono scolastico da una prospettiva di genere prendendo in considerazione le varie difficoltà che ostacolano il successo scolastico,
· affrontare il divario di genere in materia di occupazione tra i lavoratori vicini alla pensione mediante un approccio intersettoriale, prestando particolare attenzione alla necessità di fornire sostegno alle donne e agli uomini in situazioni di disoccupazione di lungo periodo, salvaguardando le pari opportunità nell'occupazione, ad esempio nell'avanzamento e progressione di carriera nonché nelle retribuzioni o nelle promozioni, e fornendo servizi di sostegno per le donne e gli uomini con responsabilità di assistenza.
Con l’inizio della Presidenza estone del Consiglio dell’UE nel secondo semestre 2017 è stato presentato un documento specifico sulla parità di genere, condiviso dalle due successive presidenze di turno, Bulgaria e Austria. Si tratta della c.d. Trio Presidency Joint Declaration on Equality between Women and Men che indica sia le priorità e le azioni da perseguire nei 18 mesi complessivi sia le iniziative concrete da realizzare all’interno dei tre singoli semestri di presidenza.
Nell’ambito delle considerazioni iniziali, la dichiarazione sottolinea la persistenza della segregazione di genere nell’istruzione e nel mercato del lavoro evidenziando in particolare i problemi relativi all’iniqua ripartizione tra uomini e donne del lavoro domestico e assistenziale non retribuito e allo squilibrio di genere nell’utilizzo del congedo parentale. Particolarmente significativo è il riferimento esplicito al cambiamento tecnologico che, per produrre effetti positivi sull’occupazione femminile, richiede un avvicinamento delle donne a determinati settori professionali come informatica, ingegneria, matematica, etc.
Gli obiettivi comuni delle tre Presidenze contenuti nella dichiarazione sono volti a:
· riportare la parità di genere nell’elenco delle priorità dell’UE;
· sostenere una efficace e sistematica cooperazione tra gli Stati membri e la Commissione europea sulla parità di genere e sulla politica di gender mainstreaming;
· rafforzare tali principi in tutte le politiche, includendo una prospettiva di genere nei documenti politici;
· attuare politiche adeguate ad una più equa condivisione dei carichi di cura e assistenza tra uomini e donne;
· accelerare gli sforzi per eliminare la violenza di genere, descritta come “causa e conseguenza delle disuguaglianze di genere” e ritenuta un fenomeno profondamente presente nelle società europee;
· affrontare l’impatto della digitalizzazione sulla parità di genere, con particolare attenzione ai potenziali benefici e alle sfide che rappresenta.
La Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, adottata dal Consiglio d'Europa l'11 maggio 2011 ed entrata in vigore il 1° agosto 2014, è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante il cui principale obiettivo è quello di creare un quadro globale e integrato che consenta la protezione delle donne contro qualsiasi forma di violenza, nonché prevedere la cooperazione internazionale e il sostegno alle autorità e alle organizzazioni a questo scopo deputate.
Particolarmente rilevante è il riconoscimento espresso della violenza contro le donne quale violazione dei diritti umani, oltre che come forma di discriminazione contro le donne (articolo 3 della Convenzione). La Convenzione stabilisce inoltre un chiaro legame tra l'obiettivo della parità tra i sessi e quello dell'eliminazione della violenza nei confronti delle donne.
La Convenzione interviene specificamente anche nell'ambito della violenza domestica, che non colpisce solo le donne, ma anche altri soggetti, ad esempio bambini ed anziani, ai quali si applicano le medesime norme di tutela.
Gli obiettivi della Convenzione sono elencati nel dettaglio dall'articolo 1:
a) proteggere le donne da ogni forma di violenza e prevenire, perseguire ed eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica;
b) contribuire ad eliminare ogni forma di discriminazione contro le donne e promuovere la concreta parità tra i sessi, ivi compreso rafforzando l'autonomia e l'autodeterminazione delle donne;
c) predisporre un quadro globale, politiche e misure di protezione e di assistenza a favore di tutte le vittime di violenza contro le donne e di violenza domestica;
d) promuovere la cooperazione internazionale al fine di eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica;
e) sostenere e assistere le organizzazioni e autorità incaricate dell'applicazione della legge in modo che possano collaborare efficacemente, al fine di adottare un approccio integrato per l'eliminazione della violenza contro le donne e la violenza domestica.
Al momento, la Convenzione è stata firmata da 44 Stati oltre all’Unione europea, mentre gli Stati che l’hanno ratificata sono 27: Albania, Andorra, Austria, Belgio, Bosnia-Erzegovina, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Georgia Germania, Italia, Malta Monaco Montenegro, Norvegia Paesi Bassi Polonia, Portogallo Romania San Marino, Serbia, Slovenia, Spagna, Svezia, e Turchia.
Per garantire un'efficace attuazione delle sue disposizioni da parte degli Stati membri, la Convenzione istituisce uno specifico meccanismo di controllo. L'articolo 66 affida, infatti, ad un Gruppo di esperti sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (cd. GREVIO) il compito di vigilare sull'attuazione della Convenzione da parte delle Parti contraenti. Il GREVIO è composto da un minimo di 10 a un massimo di 15 membri, nel rispetto del criterio dell'equilibrio tra i sessi e di un'equa ripartizione geografica nonché dell'esigenza di competenze multidisciplinari. I membri sono eletti dal Comitato delle Parti - l'organismo composto dai rappresentanti dei Paesi-Parti della Convenzione - tra i candidati designati dalle Parti con un mandato di quattro anni, rinnovabile una sola volta, e sono scelti tra i cittadini degli Stati membri.
L’11 maggio 2017 il Consiglio ha adottato due decisioni in vista della firma della Convenzione di Istanbul da parte dell’Unione europea: una riguardante gli articoli sulla cooperazione in materia penale (decisione (UE) 2017/865) e una sugli articoli relativi all’asilo, ai rifugiati e al respingimento (decisione (UE) 2017/866).
La firma da parte dell’UE, avvenuta il 13 giugno 2017, oltre a rappresentare la prima tappa formale del processo di adesione alla Convenzione, conferma l’impegno dell’Unione europea a combattere la violenza contro le donne nel proprio territorio e a livello globale, rafforzando l’attuale quadro giuridico e la sua capacità di agire in tale ambito.
Aderendo alla Convenzione, l’Unione europea ribadisce inoltre il proprio ruolo guida nel perseguire politiche volte a porre fine ad ogni forma di discriminazione basata sul genere.
Tutti gli Stati membri dell’UE hanno firmato la Convenzione e 17 di essi l’hanno già ratificata.
La futura adesione dell’UE, proposta dalla Commissione europea nel marzo 2016 (COM(2016)109) e fortemente sostenuta dal Parlamento europeo, andrebbe in primo luogo a coprire gli ambiti di competenza delle istituzioni europee, che toccano ad esempio i diritti delle vittime e delle persone migranti e la cooperazione in campo penale, e migliorerebbe l’efficacia e la coerenza delle politiche nazionali contro le violenze di genere e le violenze domestiche, che sono ancora piuttosto differenti tra loro. Anche secondo il Parlamento europeo, l’adesione dell’UE alla Convenzione di Istanbul dovrebbe favorire l’elaborazione di una strategia europea complessiva contro la disuguaglianza e la violenza di genere.
Nella già citata risoluzione del 12 settembre scorso, il Parlamento europeo ha accolto con favore la firma dell’adesione dell’UE alla Convenzione auspicando un’accelerazione delle procedure di ratifica, anche in considerazione del fatto che si tratta di una delle priorità del programma presentato dalla Presidenza estone del Consiglio dell’UE.