Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Ufficio Rapporti con l'Unione Europea | ||||
Titolo: | Conferenza interparlamentare per la politica estera, la sicurezza e la difesa comuni - La Valletta, 26-28 aprile 2017 | ||||
Serie: | Documentazione per le Commissioni - Riunioni interparlamentari Numero: 83 | ||||
Data: | 19/04/2017 | ||||
Descrittori: |
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Documentazione per le Commissioni
riunioni interparlamentari
Conferenza interparlamentare per la politica estera, la sicurezza e la difesa comuni
La Valletta, 26-28 aprile 2017
Senato della Repubblica Servizio Studi Dossier europei n. 63 |
Camera dei deputati Ufficio Rapporti con l’Unione europea n. 83 |
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Dossier europei n. 63
Ufficio rapporti con l’Unione europea
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Dossier n. 83
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Dal 26 al 28 aprile 2017 si svolgerà a Malta la Conferenza per il controllo parlamentare sulla politica estera e di sicurezza comune (PESC) e sulla politica di sicurezza e difesa comune (PSDC).
La Conferenza, istituita dalla Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti dell'UE di Varsavia il 19-21 aprile 2012, si riunisce due volte l'anno nel Paese che esercita la Presidenza semestrale del Consiglio ed è composta da sei membri per ogni Parlamento nazionale e 16 membri per il Parlamento europeo e 4 membri osservatori per ogni parlamento dei paesi europei appartenenti alla NATO (Albania, Islanda, Norvegia e Turchia). La Conferenza può adottare per consenso conclusioni non vincolanti.
La Presidenza maltese ha inviato il 12 aprile 2017 il progetto di conclusioni della Conferenza e il 18 aprile le background note relative ai gruppi di lavoro che si concentrano in particolare sui temi della politica dell’UE sulla migrazione, della lotta alla propaganda informatica, sul piano d’azione europeo in materia di difesa e le relazioni UE- NATO.
INDICE
Sessione I: La politica europea di vicinato: stato dell'arte
La Politica europea di vicinato: cenni introduttivi e statistiche.
La revisione della Politica di vicinato
Sessione II: Instabilità e minacce nel sud del Mediterraneo e nel Medio oriente
Recenti posizioni dell’UE sulla situazione in Libia
La nuova strategia dell’UE relativa alla Siria
Workshop 1: La politica di migrazione dell’UE nel 2017 e oltre
La nuova Strategia globale dell’UE per la politica estera e di sicurezza dell’UE
Il piano d’azione sulla comunicazione strategica e la East StratCom Task Force
Task Force for Outreach and Communication in the Arab world (Arab Stratcom Task force)
Il Quadro congiunto per contrastare le minacce ibride
L’attività del Parlamento europeo
Workshop 3: Il piano d'azione europeo in materia di difesa e i rapporti con la NATO
Il Piano d'azione e i suoi tre assi
La spesa europea per la difesa
Background note relative ai workshop 65
Lanciata nel 2004 e oggetto di una revisione profonda nel 2015, la Politica europea di vicinato (PEV) è considerata - anche e soprattutto nella nuova Strategia globale dell'UE per la politica estera e di sicurezza - parte integrante e cruciale della PESC/PSDC e uno strumento fondamentale per assicurare stabilità, sicurezza e prosperità nei paesi più vicini ai confini dell'Unione. In tale contesto, l'Unione lavora con i suoi dieci vicini meridionali (Algeria, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Libia, Marocco, Palestina, Siria e Tunisia) e con i suoi sei vicini orientali (Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Moldova, Ucraina) per raggiungere il massimo livello possibile di associazione politica e di integrazione economica. Tale obiettivo è vincolato al rispetto di interessi e valori comuni (democrazia, stato di diritto, rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, coesione sociale) e include il sostegno dell'UE alla creazione di economie di mercato, allo sviluppo sostenibile e alla governance.
La base giuridica
della Politica europea di vicinato (PEV) è rappresentata dall'articolo 8 del
TUE, in base al quale l'UE "sviluppa con i paesi limitrofi relazioni
privilegiate al fine di creare uno spazio di prosperità e buon vicinato fondato
sui valori dell'Unione e caratterizzato da relazioni strette e pacifiche basate
sulla cooperazione"[1].
Lanciata nel 2003 con la comunicazione Wider Europe, la PEV si proponeva un'integrazione progressiva dei Paesi limitrofi, da realizzare tramite l'implementazione di impegnative riforme politiche, economiche e istituzionali e l'adozione di un sistema di valori comuni. Il processo di integrazione, pur avendo realizzato passi avanti significativi per quanto attiene sia alla componente regionale (con la creazione dell'Unione per il Mediterraneo nel 2008 e del Partenariato orientale nel 2009) sia allo strumento, sempre più efficace e stringente, degli accordi per la creazione di una zona di libero scambio ampia e approfondita, ha peraltro subito un forte rallentamento negli ultimi anni, legato ai fattori di instabilità emersi tanto nell'area orientale quanto in quella meridionale del vicinato. A oriente, dalla crisi in Georgia del 2008 a quella ucraina, l'instabilità è derivata in larga misura dalla crescente assertività della politica estera russa, mentre a sud la cosiddetta primavera araba, che pure ha portato a una significativa democratizzazione in Tunisia, ha anche comportato una conflittualità accesa, sfociata in vere e proprie guerre civili in Siria e in Libia, cui si somma lo stallo ormai prolungato del Processo di pace in Medio Oriente.
Per quanto
concerne i flussi finanziari dall'Unione europea ai sedici partner della
PEV, il quadro relativo al ciclo di programmazione pluriennale 2007-2013,
e con riferimento ai fondi dello strumento europeo di vicinato, è così
sintetizzabile:
|
2007 |
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
2012 |
2013 |
Totale |
Media |
Algeria |
57 |
32,5 |
35,6 |
59 |
58 |
74 |
50 |
366,1 |
52,3 |
Armenia |
21 |
24 |
24,7 |
27,7 |
43,1 |
35 |
66 |
241,5 |
34,5 |
Azerbaigian |
19 |
22 |
20 |
7 |
31 |
19,5 |
25 |
143,5 |
20,5 |
Bielorussia |
6 |
5 |
10 |
10 |
17,1 |
22,3 |
23,8 |
94,2 |
13,5 |
Egitto |
137 |
149 |
140 |
192 |
92 |
250 |
47 |
1007 |
143,9 |
Georgia |
24 |
90,3 |
70,9 |
37,2 |
50,7 |
82 |
97 |
452,1 |
64,6 |
Israele |
2 |
2 |
1,5 |
2 |
2 |
2 |
2 |
13,5 |
1,9 |
Giordania |
62 |
65 |
68 |
70 |
116 |
120 |
88 |
589 |
84,1 |
Libano |
50 |
50 |
43 |
44 |
33 |
92 |
76 |
388 |
55,4 |
Libia |
2 |
4 |
0 |
12 |
10 |
25 |
30 |
83 |
11,9 |
Moldova |
40 |
62,3 |
57 |
66 |
78,6 |
122 |
135 |
560.9 |
80,1 |
Marocco |
190 |
228,7 |
145 |
158,9 |
166,6 |
207 |
334,9 |
1431,1 |
204,4 |
Palestina |
447,7 |
382 |
352,6 |
367,9 |
413,7 |
224 |
313,7 |
2501,6 |
357,4 |
Siria |
20 |
20 |
40 |
50 |
10 |
48,4 |
170 |
358,4 |
51,2 |
Tunisia |
103 |
73 |
77 |
77 |
180 |
130 |
135 |
775 |
110,7 |
Ucraina |
142 |
138,6 |
116 |
126 |
65 |
149 |
199 |
935,6 |
133,7 |
Coop. Reg. Orientale |
62 |
38 |
40 |
84,25 |
99,14 |
90,64 |
122,87 |
536,9 |
76,7 |
Coop. Reg. Meridionale |
97,4 |
89 |
99 |
99,4 |
104,6 |
114,2 |
118,2 |
721,8 |
103,1 |
Il
montante complessivo dei fondi 2007-2013 destinati alla PEV è stato pari a poco
più di 12 miliardi di euro, dei quali il 75% e il 25% riservati rispettivamente
ai paesi del Partenariato meridionale e orientale.
Per il periodo 2014-2020, lo Strumento europeo per la PEV (ENPI) è stato rifinanziato per un ammontare di 15,4 miliardi di euro. La ripartizione dei fondi (che deve ancora consolidarsi) dovrebbe rispecchiare la tradizionale divisione in 2/3 e 1/3, rispettivamente per il partenariato meridionale e orientale. Si tratta, evidentemente, di una percentuale che attiene esclusivamente ai flussi finanziari convogliati in ambito ENPI. A questo proposito, va ricordato come le aree di crisi nel Vicinato meridionale e orientale (in primis, Ucraina e Siria) siano state e siano a tutt'oggi destinatarie di ulteriori, robusti finanziamenti ad hoc (11 miliardi circa per l'Ucraina e 9,4 miliardi per la Siria) che provengono da fonti diverse (BEI, BERS, Fondi e Programmi di assistenza esterna, aiuti umanitari, gestione della crisi migratoria, tra gli altri). Va inoltre rilevato come molti dei Paesi del vicinato partecipino attivamente ai programmi UE, attraverso specifiche clausole previste nei rispettivi accordi di associazione, e con un grado di incisività ed efficacia che tende a coincidere con il livello di integrazione economica. A titolo esemplificativo, vale la pena di segnalare che, tra i Paesi del Vicinato, il principale ricettore di finanziamenti a carico del bilancio UE è Israele, con un totale, nel periodo 2010-2015, di 3,4 miliardi di euro, destinati in larga misura a progetti di ricerca e nel settore delle Grandi Reti.
Il
18 dicembre 2015, la Commissione e l'Alto rappresentante hanno
presentato la comunicazione congiunta "Riesame della politica europea
di vicinato" (JOIN
(2015) 50), intervenuta al termine di una consultazione pubblica
(conclusasi nel mese di giugno) che aveva visto una partecipazione
significativa (250 risposte) da parte degli Stati membri, dei governi partner,
delle istituzioni dell'UE, delle organizzazioni internazionali, delle parti
sociali, della società civile, delle imprese, dei gruppi di riflessione, del
mondo accademico e dei cittadini, e alla quale hanno offerto il proprio
contributo anche le Commissioni esteri di Camera e Senato.
Dalla
consultazione sono emersi i alcuni elementi generali di consenso, che
dovrebbero costituire la base per la ripresa e il rilancio della PEV: l'estrema
diversificazione nelle aspirazioni dei partner, che è impossibile ricondurre
all'interno di un modello unico di relazioni; la necessità che la PEV rispecchi
in modo più efficace e puntuale l'interesse dell'UE quanto quello dei paesi
partner; l'opportunità di concentrare i partenariati su un numero più limitato
di priorità, onde evitare la dispersione "a pioggia" degli interventi
e ottimizzare l'utilizzo dei fondi; un maggiore coinvolgimento degli Stati
membri, accompagnato dal rafforzamento della titolarità dei Paesi partner.
Tra i temi
che la comunicazione pone al centro della PEV riformata, si segnalano in
particolare:
- la promozione della buona governance, della democrazia, dello stato di diritto e dei diritti dell'uomo, attraverso il sostegno alle riforme - in forme concordate mutuamente con ogni partner - e alla società civile;
- uno sviluppo economico che contribuisca alla stabilizzazione dei partner con il sostegno degli investimenti, alla creazione di opportunità occupazionali per i giovani anche attraverso il programma Erasmus Plus, all'adozione di misure che favoriscano la mobilità e la possibilità di recarsi in uno Stato membro dell'UE e lavorarvi, coinvolgendo il settore privato e sostenendo le PMI;
- una revisione e un potenziamento delle misure per l'accesso al mercato, fondati su una maggiore flessibilità riguardo agli accordi commerciali (creazione di una zona economica per i firmatari degli accordi DCFTA, e la negoziazione di accordi commerciali più leggeri e flessibili per gli altri partner);
- misure di sostegno più decise ed efficaci in tema di connettività, attraverso l'estensione delle reti centrali TEN-T ai partner orientali e l'individuazione delle reti regionali nel sud da includere negli orientamenti TEN-T;
- conferimento di un maggiore spazio alla cooperazione energetica in ambito PEV, sia come misura di sicurezza (cd. "sovranità energetica") che come mezzo di sviluppo economico sostenibile, e promozione di una maggiore indipendenza energetica attraverso il sostegno alla diversificazione delle fonti d'energia, una migliore cooperazione in materia di efficacia energetica e il sostegno alla transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio;
- conferimento di un posto più importante nella PEV alle tematiche connesse alla sicurezza, per rendere i partner più resilienti alle minacce cui devono far fronte, da realizzarsi mediante l'apertura di nuove aree di cooperazione che potrebbero vertere, tra l'altro, sulla riforma del settore della sicurezza, sulla protezione delle frontiere, sulla lotta contro il terrorismo e la radicalizzazione e sulla gestione delle crisi;
- intensificazione della cooperazione in materia di migrazione (vedi paragrafo).
La
comunicazione che ha lanciato la nuova PEV era stata preceduta, nel mese di
maggio, da una comunicazione congiunta sull'attuazione della PEV nel 2014
(JOIN(2015)9), a tutt'oggi l'ultima pubblicata dalla Commissione, dalla
quale emergeva un quadro geopolitico complesso e instabile tanto a est (con la
crisi ucraina e la pressioni sempre più forti esercitate dalla Russia su altri
partner orientali, quanto a sud (con l'emergenza siriana, l'espansione di
Da'esh e di altri gruppi terroristi, la ripresa delle ostilità a Gaza e il
protrarsi di una sostanziale assenza di struttura statuali in Libia.
Un quadro che, peraltro, non appare a tutt'oggi stabilizzato, come evidenziato in particolare dalla difficile situazione in diverse aree dal partenariato meridionale (v. infra).
La comunicazione si soffermava comunque su taluni sviluppi positivi, tra cui la firma, con Georgia, Moldova e Ucraina, di tre accordi di associazione di nuova generazione, che contengono disposizioni su una zona di libero scambio globale e approfondito (AA/DCFTA) e sanciscono "le relazioni contrattuali più ambiziose mai instaurate con paesi del vicinato", e l'intensificazione delle relazioni con Marocco e Tunisia, che "rispecchia la profondità e l'entità degli sforzi compiuti da questi paesi in materia di riforme". Progressi significativi si sono registrati anche per quanto concerne la migrazione e la mobilità, con la piena liberalizzazione dei visti di ingresso per i cittadini della Repubblica di Moldova e la firma, da parte di Tunisia e Giordania, di altrettanti partenariati per la mobilità.
Nella nuova Strategia globale per la politica estera e di sicurezza - presentata dall’Alta Rappresentante, Federica Mogherini, al Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2016, per quanto riguarda il Mediterraneo, il Medio oriente e l’Africa ,si indica che l’UE perseguirà le seguenti linee di azione:
·
nel Maghreb e in Medio
Oriente sosterrà la cooperazione funzionale multilaterale, in particolare
su questioni quali la sicurezza delle frontiere, i traffici illegali,
l'antiterrorismo, la non proliferazione, la disponibilità di risorse idriche e
alimentari, l'energia e il clima, le infrastrutture e la gestione delle
catastrofi;
· verrà promosso il negoziato riguardo ai conflitti regionali in Siria e in Libia. Per quanto concerne il conflitto israelo-palestinese, l'UE opererà a stretto contatto con il Quartetto (ONU,UE, Russia e Stati uniti), la Lega araba e tutti i soggetti principali per mantenere la prospettiva di una soluzione fondata sulla coesistenza di due Stati in base alle linee di confine del 1967 con scambi di territori equivalenti;
·
perseguirà un
dialogo equilibrato con i paesi del Golfo, continuando a collaborare con
il Consiglio di cooperazione del Golfo (CCG) come con i singoli paesi della
regione. Sulla base dell'accordo sul nucleare iraniano e sulla sua attuazione,
l'UE svilupperà gradualmente il dialogo con l'Iran in settori quali
commercio, ricerca, ambiente, energia, lotta ai traffici illegali, migrazione e
scambi sociali. Approfondirà il dialogo con l'Iran e i paesi del CCG
in tema di conflitti regionali, diritti umani e antiterrorismo, cercando
di impedire l'effetto di contagio delle crisi in corso;
· appoggerà la cooperazione tra il Nord Africa e l'Africa subsahariana, nonché tra il Corno d'Africa e il Medio Oriente alla luce delle loro crescenti interconnessioni e allo scopo di far fronte alle sfide condivise in materia di sicurezza e di sfruttare le opportunità economiche. Dovranno essere affrontate più sistematicamente le dinamiche transfrontaliere nell'Africa settentrionale e occidentale, il Sahel e le regioni del lago Ciad anche grazie a legami più stretti con l'Unione africana, la Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale (ECOWAS) e i paesi del G5 Sahel (Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad);
·
investirà nella pace
e nello sviluppo dell'Africa, intensificando la cooperazione per la
crescita e l'occupazione in Africa e promuovendo un salto di qualità
degli investimenti europei in Africa, anche attraverso accordi di
partenariato economico. L’UE continuerà a sostenere gli sforzi a favore
della pace e della sicurezza in Africa, assistendo le organizzazioni
africane nella loro opera di prevenzione dei conflitti, di lotta al terrorismo
e alla criminalità organizzata, di gestione della migrazione e delle frontiere,
attraverso la diplomazia, la politica di sicurezza e di difesa comune e lo
sviluppo, come pure tramite fondi fiduciari a difesa delle strategie
regionali.
In seguito alla rivolta popolare in Libia nel 2011, l'Unione europea ha fornito assistenza alla Libia attraverso una serie di misure, tra cui il supporto per la politica transizione e una soluzione negoziata accettabile per tutti i gruppi legittimi nel Paese, l’assistenza bilaterale, tra cui l'assistenza umanitaria e l’assistenza mirata nel campo della migrazione, nonché il supporto attraverso la missione EUNAVFOR MED Operazione Sophia, condotta nell’ambito della politica di sicurezza e difesa comune.
Il 6 febbraio 2017, il Consiglio dell’UE ha adottato delle conclusioni sulla Libia, nelle quali in particolare:
·
si ribadisce
l’impegno dell'UE a favore della stabilizzazione della Libia e di una soluzione
politica inclusiva nel quadro dell'accordo politico libico (APL) ed
a sostegno del Consiglio di presidenza (CP) e del Governo di intesa nazionale
(GIN) guidati dal primo ministro Fayez Sarraj con sede a Tripoli e appoggiati
dalle Nazioni Unite. L’UE riconosce il CP e il GIN quali uniche autorità
governative legittime nell'ambito dell'accordo politico libico e sottolinea
la titolarità libica del processo politico e l'importanza del suo carattere
inclusivo;
· si sottolinea l'urgente necessità di unire tutte le forze armate sotto il controllo delle legittime autorità civili, per garantire la stabilità e l'integrità territoriale del paese. L'UE accoglie con favore l'istituzione della Guardia presidenziale e si dichiara pronta a sostenerla;
· si ribadisce il pieno appoggio a favore della missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL) e si indica che la responsabilità di svolgere un ruolo costruttivo nella risoluzione della crisi spetta a tutti i vicini della Libia;
· si esprime preoccupazione per la minaccia che il terrorismo rappresenta per la Libia e i paesi vicini;
· si invitano tutti i partecipanti del dialogo economico libico, e in particolare il GIN e la Banca centrale, a far si che l'economia legale continui a funzionare, siano garantiti i finanziamenti necessari per le attività dell'amministrazione, il bilancio sia portato sotto controllo e si ponga fine alla crisi di liquidità. Si chiede, inoltre, l’adozione di misure di emergenza per riformare l'economia, ridurre gli sprechi di spesa pubblica e migliorare l'erogazione dei servizi di base;
· si invitano tutti i cittadini libici a preservare le infrastrutture petrolifere, sulla base delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che affermano che le esportazioni di petrolio libico devono rimanere sotto il controllo esclusivo del GIN e della National Oil Company;
· si invitano le autorità libiche a migliorare la protezione e la promozione dei diritti umani, soprattutto nei centri di trattenimento dei migranti;
· si ribadisce la necessità di contenere i flussi migratori irregolari lungo la rotta del Mediterraneo centrale e di smantellare il modello di attività del traffico e della tratta di esseri umani;
· si indica l’impegno dell’UE a collaborare con le autorità libiche per contribuire a sostenere la riforma del settore della sicurezza. Riconoscendo la necessità di una titolarità libica nel contribuire ad affrontare i flussi migratori irregolari e salvare vite umane, l'UE si concentrerà ulteriormente sulla fornitura di formazione, equipaggiamento e supporto di altro tipo, dando la priorità alla guardia costiera e alla marina libiche.
Il Consiglio
affari esteri dell’UE, nella riunione del 22 giugno 2015, ha deciso l’avvio
dell’operazione navale militare, denominata EUNAVFOR MED,
volta a contribuire a smantellare le reti del traffico e della tratta di esseri
umani nel Mediterraneo centromeridionale.
La missione è realizzata adottando misure sistematiche per individuare, fermare ed eliminare imbarcazioni e mezzi usati o sospettati di essere usati dai passatori o dai trafficanti, in conformità del diritto internazionale applicabile, incluse l'UNCLOS e le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Alla missione partecipano 25 Stati membri dell’UE. Oltre all’Italia, anche: Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica ceca, Romania, Slovenia, Repubblica slovacca, Spagna, Svezia e Ungheria.
Il comando operativo di EUNAVFOR MED ha sede a Roma e comandante dell'operazione è stato nominato l'ammiraglio di divisione Enrico Credendino.
La missione EUNAVFOR MED è condotta per fasi
successive:
·
in una prima
fase (22 giugno- 7 ottobre 2015), ha sostenuto l'individuazione e il
monitoraggio delle reti di migrazione attraverso la raccolta d'informazioni e
il pattugliamento in alto mare conformemente al diritto internazionale;
· in una seconda fase (7 ottobre 2015 – in corso),
a) procede a fermi, ispezioni, sequestri e dirottamenti in alto mare di imbarcazioni sospettate di essere usate per il traffico e la tratta di esseri umani;
b) conformemente alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite procede a fermi, ispezioni, sequestri e dirottamenti, in alto mare o nelle acque territoriali e interne di tale Stato, di imbarcazioni sospettate di essere usate per il traffico e la tratta di esseri umani;
·
in una terza
fase, conformemente alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle
Nazioni Unite applicabili o al consenso dello Stato costiero interessato,
adotta tutte le misure necessarie nei confronti di un'imbarcazione e
relativi mezzi, anche eliminandoli o rendendoli inutilizzabili, che
sono sospettati di essere usati per il traffico e la tratta di esseri umani,
nel territorio di tale Stato, alle condizioni previste da detta risoluzione o
detto consenso.
Per
la piena operatività della missione nella seconda fase e nella terza
fase sarà necessario un mandato internazionale attraverso risoluzioni
del Consiglio di sicurezza dell’ONU.
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il 9 ottobre 2015, ha approvato la risoluzione 2240 (2015) che autorizza gli Stati membri e la UE ad effettuare, per il periodo di un anno, fermi, ispezioni, sequestri e dirottamenti in alto mare di imbarcazioni sospettate di essere usate per il traffico e la tratta di esseri umani (v. sopra seconda fase, punto a). Tale autorizzazione è stata prolungata di un anno dal Consiglio di sicurezza il 6 ottobre 2016.
Le
fasi successive della missione dovranno essere autorizzate da
successive risoluzioni del Consiglio di sicurezza e sarà necessario il consenso
del Governo libico.
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il 14 giugno 2016, ha adottato un nuova risoluzione 2292(2016), volta a consentire all’operazione EUNAVFOR MED lo svolgimenti di attività per far rispettare l’embargo di armi all’UE. In particolare, la risoluzione prevede che, a partire dal 14 giugno 2016 e per una durata di 12 mesi, i mezzi della missione EUNAVFOR MED potranno intercettare e ispezionare in alto mare al largo delle coste della Libia le imbarcazioni in provenienza o dirette in Libia sospettate di trasportare armi o attrezzature militari.
Il 20 giugno 2016
il Consiglio dell’UE ha adottato una decisione con la quale si proroga
di un anno (al 27 luglio 2017) la missione EUNAVFOR MED
e si estende il suo mandato anche ai profili relativi a:
a) sviluppo di capacità, formazione e condivisione di informazioni con la guardia costiera e la marina libiche, in base a una richiesta da parte delle autorità libiche legittime e tenendo conto della necessità di titolarità della Libia;
b) contributo alla condivisione delle informazioni e attuazione dell'embargo delle Nazioni Unite sulle armi in alto mare al largo delle coste libiche, sulla base della risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU, poi adottata il 14 giugno 2016 (v. supra).
Le unità navali dell'UE che partecipano all'operazione Eunavfor Med potranno quindi entrare nelle acque libiche, su richiesta delle autorità libiche, per condurre attività di addestramento della Guardia costiera.
L'ingresso in acque libiche secondo le modalità previste per le funzioni di addestramento non costituisce l'avvio della cosiddetta fase 2 B, quella che prevede operazioni in acque territoriali per la caccia e la lotta contro i trafficanti di essere umani.
La missione coopera con le pertinenti autorità degli Stati membri ed è previsto un meccanismo di coordinamento con le agenzie dell’Unione Frontex, Europol, Eurojust, Ufficio europeo di sostegno all’asilo e le altre missioni PSDC.
Al dicembre 2016, la missione ha contribuito a soccorrere circa 32.000 persone (di cui 1.900 bambini), sequestrare circa 300 imbarcazioni e a consegnare alle autorità italiane circa 100 persone accusate di traffico di migranti.
L'importo di riferimento finanziario per i costi comuni della missione è stato pari a 11,8 milioni di EUR per il primo anno di attività (fino al 27 luglio 2016), per il secondo anno di attività (dal 28 luglio 2016 al 27 luglio 2017) è previsto uno stanziamento di 6,7 milioni di euro.
Con
riferimento alla partecipazione italiana alla missione dell’Unione europea
EUNAVFOR MED si ricorda che l'Italia contribuisce mettendo a disposizione:
· il quartier generale operativo UE in Roma;
· l’incrociatore portaeromobili Giuseppe Garibaldi con alcuni aeromobili imbarcati;
· un dispositivo aeronavale composto da un sommergibile, due velivoli a pilotaggio remoto;
· supporti sanitari imbarcati e a terra;
· risorse logistiche nelle basi di Augusta, Sigonella e Pantelleria.
Nell'ambito
della politica di sicurezza e di difesa comune dell’UE è operativa la missione
civile EUBAM Libia, istituita nel maggio 2013. La missione ha l'obiettivo
di sostenere le autorità libiche a migliorare e sviluppare la sicurezza
delle frontiere terrestri, marittime ed aeree del paese.
Il 31 agosto 2016, il Consiglio ha prolungato il mandato della missione al 21 agosto 2017 con un bilancio di 17 milioni di euro. Capo della missione è l’italiano Vincenzo Tagliaferri.
Per l’evolversi della situazione politica e di sicurezza interna alla Libia, a partire dall’agosto del 2014 la missione ha la sua base operativa in Tunisia.
L'UE sta attuando, sulla
base delle risorse previste per la Libia nell’ambito dello strumento europeo di
vicinato (ENI), un pacchetto di cooperazione per un valore di 120 milioni di
euro, incentrato sulla società civile, la governance, la sanità,
la gioventù e l'istruzione, la migrazione, la sicurezza. L’UE ha mobilitato
uno stanziamento di 10,8 milioni di EUR per aiuti umanitari.
Il 12 aprile 2017, su proposta della Commissione europea è stato adottato, un programma globale di 90 milioni di EUR per rafforzare la protezione e la resilienza dei migranti, dei rifugiati in Libia.
Il programma è stato adottato nell’ambito del Fondo fiduciario di emergenza dell'UE per la stabilità e la lotta contro le cause profonde della migrazione irregolare e del fenomeno degli sfollati in Africa.
Il programma prevede lo stanziamento di 48 milioni di euro per attività di assistenza e protezione di migranti e rifugiati e 42 milioni di euro per attività volte a promuovere lo sviluppo socioeconomico a livello comunale e la governance locale.
La
Commissione europea e l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e
la politica di sicurezza hanno adottato il 14 marzo 2017 la comunicazione congiunta “Elementi per una
strategia dell’UE relativa alla Siria” (JOIN (2017) 11).
Gli obbiettivi della nuova strategia dell’UE relativa alla Siria (v. oltre) sono stati poi approvati dal Consiglio dell’UE il 3 aprile 2017, che ha adottato delle conclusioni al proposito.
La strategia individua 5 obiettivi strategici
dell’UE: 1) una Siria unita e territorialmente integrata; 2) una
Siria democratica, con un governo legittimo e un sistema politico
pluralistico; 3) una Siria inclusiva, nella quale tutti i gruppi etnici
e religiosi vedano la loro identità tutelata e abbiano pari accesso a cariche
amministrative; 4) una Siria dotata di istituzioni efficienti, un
esercito nazionale unico e forze di polizia e di sicurezza responsabili e
affidabili; 5) una Siria stabile: un sistema politico stabile e
un'economia che forniscano alla popolazione un'istruzione e un'assistenza
sanitaria adeguate e siano al tempo stesso in grado di attirare investimenti
esteri, che mantengano buone relazioni con tutti i paesi vicini e siano
integrati nella comunità internazionale come un partner costruttivo.
Al fine di conseguire i sopra citati obiettivi
strategici, l’azione dell’UE dovrebbe configurarsi sulle seguenti 6
linee di azione:
· porre fine alla guerra attraverso un processo di transizione politica negoziato dalle parti in conflitto con il sostegno dell'inviato speciale dell'ONU e dei principali attori internazionali e regionali;
· promuovere una transizione efficace e inclusiva in Siria sostenendo il rafforzamento dell'opposizione politica, in linea con la risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza dell'ONU e il comunicato di Ginevra;
· promuovere la democrazia, i diritti umani e la libertà di espressione, rafforzando le organizzazioni della società civile;
· promuovere un processo di riconciliazione nazionale basato sugli sforzi di consolidamento della pace e la lotta contro l'estremismo violento e il settarismo, compreso un approccio alla giustizia di transizione che dovrebbe comprendere l'attribuzione delle responsabilità per i crimini di guerra;
· salvare vite umane, affrontando le esigenze umanitarie della fascia più vulnerabile della popolazione siriana;
· sostenere la resilienza della popolazione siriana, delle istituzioni e della società siriana.
Nella comunicazione si indica che l'UE non
potrà impegnarsi alla ricostruzione del paese prima dell'avvio di una
transizione politica reale e inclusiva. L'impegno dell'UE nella
ricostruzione è quindi legato a una soluzione politica del conflitto
basata sulla risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza dell'ONU e sul
comunicato di Ginevra.
Secondo una prima stima, la Commissione europea avrebbe stimato i costi per la ricostruzione in Siria tra 120 e i 200 miliardi di euro.
Inoltre, anche gli attori esterni che hanno alimentato il conflitto dovrebbero assumersi la responsabilità specifica dei costi di ricostruzione.
Una volta avviata un'autentica transizione politica, l'UE potrebbe intervenire a sostegno della ricostruzione secondo le seguenti linee di azione:
· revoca delle misure restrittive nei confronti della Siria per sostenere una ripresa e una ricostruzione rapide;
L'Unione europea ha introdotto misure restrittive nei confronti del Governo siriano sin dall’inizio della crisi nel marzo 2011, che a maggio 2016, il Consiglio dell’UE ha prorogato fino al 1 ° giugno 2017. Le sanzioni in vigore comprendono un embargo petrolifero, restrizioni su certi investimenti, il congelamento dei beni della banca centrale siriana all'interno dell'UE, restrizione all'esportazione su attrezzature e tecnologie che potrebbero essere utilizzate per la repressione interna, nonché sulle attrezzature e tecnologie per il monitoraggio o intercettazione. Inoltre, per 239 persone e 69 entità è previsto un divieto di viaggio nell’UE e il congelamento dei beni.
· ripresa della cooperazione bilaterale con il governo siriano e mobilitazioni di strumenti adeguati nel quadro della politica di vicinato e di finanziamenti provenienti da altri donatori internazionali.
Nella comunicazione si indica che nella fase immediatamente successiva al raggiungimento di un accordo l'UE potrebbe, in particolare fornire sostegno nelle seguenti aree:
·
sicurezza:
l'UE potrebbe finanziare operazioni di sminamento e di rimozione di ordigni
inesplosi e sostenere i meccanismi locali o internazionali per sorvegliare e
controllare la cessazione delle ostilità;
·
governance,
riforme e fornitura di servizi: l'UE potrebbe sostenere il rapido
ripristino dell'erogazione dei servizi essenziali a livello locale e più a
lungo termine l'UE potrebbe sostenere la riforma post-conflitto delle
istituzioni statali, sostenendo l'elaborazione di una nuova costituzione
e l'organizzazione delle elezioni;;
· coesione sociale, consolidamento della pace e riconciliazione: l'UE potrebbe sostenere processi di riconciliazione inclusivi a livello nazionale e locale;
·
capitale
umano: l'UE intende mobilitare gli strumenti di intervento
settoriali pertinenti dell'UE, come il programma quadro per la ricerca e
l’innovazione Orizzonte 2020;
·
ripresa
economica: al fine di massimizzare l'efficacia del sostegno
internazionale, il Fondo monetario internazionale (FMI) potrebbe
prendere la guida di uno sforzo di stabilizzazione macroeconomica, in
coordinamento con la Banca mondiale. L'assistenza macrofinanziaria dell'UE
potrebbe essere disponibile per la Siria, subordinatamente all'esistenza
di un programma di finanziamento dell'FMI e al rispetto dei
meccanismi democratici, lo Stato di diritto e il rispetto dei diritti
umani. La Banca europea per gli investimenti (BEI) e la Banca europea
per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS) potrebbero sfruttare la loro
esperienza nel finanziamento di infrastrutture e nello sviluppo del settore
privato, anche per quanto riguarda il sostegno ai piccoli imprenditori
attraverso il microcredito.
Dall'inizio della guerra nel 2011, l'UE nel suo complesso (UE e Stati membri) ha mobilitato oltre 9,4 miliardi di euro in risposta alla crisi siriana, sia all'interno della Siria che nella regione, diventando il maggior donatore.
All'interno della Siria, l'UE ha stanziato più di 900 milioni di euro. Di questi, oltre 600 milioni sono stati utilizzati per prestare assistenza umanitaria.
L'UE ha inoltre contribuito per un totale di 327 milioni di euro all'assistenza non umanitaria.
Con una dotazione complessiva di 3 miliardi di euro per il periodo 2016-2017 l'UE ha creato uno strumento per i rifugiati in Turchia volto a sostenere i mezzi di sussistenza a lungo termine e le prospettive socioeconomiche e di istruzione di questo gruppo.
L'Unione europea
ha inoltre istituito sin dal 2014 un fondo fiduciario regionale in risposta
alla crisi siriana (cosiddetto Fondo Madad) che prevede un finanziamento
complessivo di circa 1 miliardo di euro. Il fondo si indirizza in
particolare all’assistenza ai rifugiati siriani in Giordania, Libano e
Turchia.
Nell’ambito della Conferenza internazionale sul sostegno alla Siria, che si è svolta a Bruxelles il 5 aprile 2017, l’UE ed i suoi Stati membri si sono impegnata ad aiuti alla Siria per 3,745 miliardi di euro il 2017 e 2,285 miliardi di euro per il 2018-2020, pari a circa 2/3 degli aiuti totali mobilitati dalla Conferenza, che sono stati pari a 5,6 miliari per il 2017 e 3,7 miliardi di euro per il 2018-2020.
I più grandi donatori tra gli Stati membri dell’UE per il 2017 sono la Germania (1.297 milioni di euro), il Regno Unito (582 milioni di euro); Francia (75 milioni di euro); Svezia (67 milioni di euro, Danimarca (57 milioni di euro) e Italia (46 milioni di euro).
La Conferenza ha inoltre definito lo stanziamento di 27,9 miliardi di euro in prestiti agevolati da parte di istituzioni finanziarie internazionali e donatori.
Il
Dialogo politico libico mediato dal Rappresentante Speciale dell'ONU aveva
condotto all'Accordo politico libico concluso a Skhirat nel dicembre 2015
e alla formazione di un Governo di unità nazionale guidato da al-Serraj.
Tuttavia, il governo di unità nazionale, riconosciuto dalle Nazioni unite,
installatosi il 30 marzo 2016 a Tripoli, è apparso con il trascorrere dei mesi
sempre più debole, insidiato dal generale Haftar e dallo schieramento di Tobruk
a est e dall'ex premier tripolino Khalifa al-Ghwell che, a seguito del tentato
golpe di ottobre 2016, è rientrato sulla scena e non ha abbandonato la
capitale.
Oltre
al quadro politico altamente polarizzato, si è delineato anche uno scenario
economico preoccupante: una situazione finanziaria nazionale ormai fuori
controllo e ad alto rischio di default. La Libia è in recessione dal 2013 e
il PIL ha subito una contrazione di circa l’8,3% nel 2016; l’inflazione è
cresciuta del 24% soltanto nei primi sei mesi del 2016 e il deficit pubblico è
aumentato vertiginosamente, mentre il valore della moneta libica è sceso,
generando in questo modo inflazione e perdita del potere d’acquisto. Su tale
quadro si è inserita nell'estate-autunno 2016 l'accresciuta tensione tra
Tripoli e le istituzioni finanziarie, che continuavano ad ostacolare la
consegna ad al-Serraj dei fondi ottenuti dalla vendita di petrolio.
Nel
tentativo di far fronte a questa situazione, il 31 ottobre 2016 si sono
riuniti a Londra i ministri degli Esteri di Regno Unito, Stati Uniti e Italia
- paesi sostenitori del governo al-Serraj - ottenendo un accordo tra i
rappresentanti del Governo al-Serraj e della Banca Centrale di Libia per
consentire al governo di accedere ai 7 miliardi di euro di riserva valutaria
della Banca centrale libica al fine di finanziare i servizi essenziali. La
riunione di Londra sull'economia (e la riunione di verifica tecnica di Roma dello
scorso 17 dicembre) hanno sancito l'impegno "dei rappresentanti del
Consiglio Presidenziale, del Governo di unità nazionale, della Banca centrale,
della Corte dei Conti (Audit Bureau) e della National Oil Corporation (NOC) ad
alleviare urgentemente le sofferenze del popolo libico, aumentando la
produzione di petrolio, migliorando i flussi di liquidità e velocizzando la
fornitura di servizi pubblici" e, a dicembre 2016, il bilancio per il 2017
è stato approvato dal Consiglio Presidenziale.
Il 13 gennaio 2017, milizie fedeli all'ex Premier tripolino Khalifa al-Ghwell hanno occupato alcuni uffici ministeriali a Tripoli (mentre il Premier riconosciuto al-Serraj era al Cairo in visita al Presidente Al Sisi) con l'intento di dimostrare ancora una volta la debolezze del governo al-Serraj e di delegittimarlo.
La nuova iniziativa di al-Ghwell avveniva all'indomani della riapertura dell'Ambasciata italiana a Tripoli e il neo ambasciatore italiano a Tripoli, Giuseppe Perrone ha minimizzato l'accaduto escludendo ogni ipotesi di golpe.
Il
generale Haftar, dopo la riconquista di Bengasi, strappata dopo 2 anni a DAESH,
si è ulteriormente rafforzato, lasciando che Sirte fosse liberata dalle forze
di Misurata (che sostengono il governo di al-Sarraj) agli inizi di dicembre
2016. Tale vittoria politica ha spinto Haftar a pretendere una revisione dei
rapporti di forza nel governo di unità nazionale e ad attuare un logoramento
della leadership di al-Serraj. Haftar sembra puntare de facto a un ruolo
di comando ormai non più solamente circoscritto all’area della Cirenaica.
Agendo sul Parlamento di Tobruk perché posticipi a tempo indeterminato
un’approvazione del governo di al-Serraj, mira a costringere la Comunità
internazionale a prendere atto del fallimento di al-Serraj e valutare opzioni
alternative, tanto più che parte della popolazione sembra guardare con sempre
maggior benevolenza al ruolo “pacificatore” del generale. Haftar ha registrato
i primi risultati, ottenendo che l’UE chiedesse ad al-Serraj di fare
rapidamente "una nuova proposta inclusiva per la formazione del governo di
unità nazionale", nonché spingendo Stati Uniti e Italia – sin dalla
conferenza di Vienna dell’aprile 2016 - a farsi mediatori di un’opera di
integrazione delle forze di Haftar all’interno della futura struttura
governativa.
Gli sviluppi degli ultimi quattro mesi hanno sancito un’ulteriore, preoccupante involuzione del dialogo politico. Lo stallo tra il Parlamento (Camera dei rappresentanti) con sede nella città di Tobruk, est del paese, e il Consiglio presidenziale, a guida di Fayez al-Serraj, a Tripoli non sembra al momento superabile. Il Consiglio attende in teoria un voto di piena legittimazione da parte del Parlamento di Tobruk, che però difficilmente si verificherà finché le condizioni politiche e militari interne non subiranno una svolta. Il quadro non appare rassicurante, tanto più che la stessa Camera dei rappresentanti si è nettamente divisa tra una parte che ha deciso di costituire una sede “legittima” nella capitale Tripoli e la parte rimanente a Tobruk, che ha votato (a minoranza) l'annullamento del processo politico guidato dalle Nazioni Unite.
La polarizzazione tra le due parti del paese, ben lungi dal ricomporsi, sembra dunque essersi ancora accentuata, al punto che il tentativo lanciato sotto l'egida delle Nazioni Unite con l’accordo di Skhirat del dicembre 2015 sembra ormai destinato al fallimento.
Sul
fronte interno, la principale partita territoriale riguarda le
infrastrutture petrolifere sulla costa libica, a lungo contese tra
l'autoproclamato Libyan National Army (Lna) di Khalifa Haftar e la Libyan
Petroleum Facility Guard (Pfg), che avrebbe dovuto esercitare la funzione di
controllo delle infrastrutture per conto dell’autorità libica - ma che in
realtà impediva l’esportazione del greggio dai terminal utilizzando la propria
posizione per rivendicare ruoli politici e tornaconti economici a proprio
favore - e che ha usufruito dell'appoggio delle Brigate per la difesa di
Bengasi (Bdb), una coalizione di forze dichiaratamente islamiste che la Lna ha
lungamente combattuto a Bengasi e che da lì aveva ripiegato. L'incertezza
sull'esito della contesa sembra comunque testimoniare
che il generale Haftar attualmente non abbia la capacità militare di unificare
l’intero paese e forse neppure di controllare senza problemi le proprie zone di
influenza, anche se la rilevanza e la legittimità dello stesso Haftar è
cresciuta di pari passo con il crescere della retorica sulla nuova “lotta al terrorismo
islamico” di cui si è eretto a paladino. Inoltre, questa nuova escalation
militare sembra ridurre i margini di conduzione del dialogo politico, dando
maggior voce alle forze, di diverse parti, contrarie a qualsiasi dialogo.
La crisi libica può essere analizzata sotto diverse prospettive. Alcuni studiosi si concentrano sulla fragile identità libica e attribuiscono l’ingovernabilità del paese alla sua tipica frammentazione: tribalismo, localismo e regionalismo giocherebbero su più piani come forze centrifughe dirompenti. Un’altra interpretazione attribuisce la responsabilità di questa prolungata crisi a un processo di polarizzazione politica tra le forze laiche e quelle islamiste. Entrambi i punti di vista possono avere elementi di verità, ma entrambi risultano parziali, incompleti e talvolta semplicistici poiché trascurano lo scenario internazionale che contorna il paese nordafricano e il ruolo cruciale degli attori esterni.
Attualmente
nel sistema internazionale, e in particolare nella regione mediorientale e mediterranea,
la gerarchia di potere e prestigio sembra cambiare piuttosto rapidamente, e la
sua continua evoluzione rappresenta un fattore chiave di insicurezza.
L’assertività di attori regionali e il ruolo sempre più influente della Russia
sembrano essere emblematici della natura mutevole degli schieramenti politici
internazionali. Anche i primi passi della nuova amministrazione degli Stati
Uniti pare confermino una costante attenzione al bilanciamento degli impegni e
delle risorse, contribuendo ad accelerare i processi di cambiamento nella
regione.
In questa cornice la Russia ha fatto la sua irruzione sulla scena con un deciso appoggio ad Haftar e poi con un tentativo di mediazione che ha visto anche Fayez al-Serraj recarsi a Mosca. Il 12 gennaio Haftar è stato ricevuto a bordo della portaerei russa Kuznetsov e si è collegato in video conferenza con il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, a Mosca, ricevendo chiaro supporto politico e forse militare. Attualmente Haftar non pare avere interesse a trattare con la controparte di Tripoli, nonostante i numerosi tentativi diplomatici, non ultimo quello egiziano del 13 febbraio scorso. Haftar e Serraj si sarebbero incontrati brevemente al Cairo, senza tuttavia sedersi attorno a un tavolo negoziale. Secondo diverse fonti di stampa l’incontro avrebbe dovuto vertere principalmente sull’ingresso di Haftar in un “mini-governo”, ossia una riedizione ristretta del consiglio presidenziale (non più a 9 membri ma solo a 3), all’interno del quale avrebbe avuto il compito di dirigere la Difesa. Si sarebbe trattato di un’importante modifica del Libyan political agreement (Lpa), l’accordo chiuso a dicembre 2015 su cui si basa l’impalcatura del processo di unificazione: il Lpa, al punto 8, prevede infatti che il controllo delle forze armate sia nelle mani del presidente del Consiglio presidenziale, implicitamente anche per evitare che Haftar abbia il potere delle armi.
In
questa serie di mutamenti l’Italia sta cercando di fare il possibile per
garantire la propria posizione partendo dal presupposto che la legittimità e
stabilità del paese siano ristabilite per il tramite di un accordo
maggioritario tra le parti e non della sopraffazione di una parte sull’altra.
Sulla base di ciò, continua ad appoggiare il Gna, e un ruolo attivo della
comunità internazionale attraverso le Nazioni Unite, oltre che dell'Unione europea.
Il governo italiano e quello libico di unità nazionale hanno firmato il 2
febbraio scorso un accordo che ha l’obiettivo di ridurre il flusso di
migranti. Il documento, firmato sia dal presidente del Consiglio italiano,
Paolo Gentiloni, sia da Fayez al-Serraj, prevede in sostanza nuovi aiuti del governo
italiano alle autorità libiche che si occupano di accoglienza e contrasto all’immigrazione
clandestina, nel tentativo di ridurre il traffico illegale via mare. I punti principali
dell’accordo prevedono che le autorità italiane forniscano “supporto tecnico e tecnologico
agli organismi libici incaricati della lotta contro l’immigrazione
clandestina”, cioè fondamentalmente alla guardia costiera libica, e migliorino
le condizioni dei centri di accoglienza in territorio libico. L’implementazione
dell’accordo è stata concordata nell’incontro di Serraj con il governo italiano
e i partner europei il 20 marzo a Roma. La spesa totale prevista ammonta a
circa 800 milioni di euro, di cui 200 già stanziati da Bruxelles con una
procedura d’emergenza. I mezzi richiesti dal governo libico sono principalmente
elicotteri, fuoristrada, ambulanze e altre attrezzature, da aggiungersi alle
prime motovedette libiche che l’Italia ha in custodia dal 2011 e il cui passaggio
ai libici era stato stabilito da precedenti accordi. Il progetto prevede
inoltre l'allestimento di campi di accoglienza in Libia con l’obiettivo del
“pieno rispetto dei diritti umani” e il coinvolgimento anche per questo di Ong
e organizzazioni internazionali come l’Oim e l’Unhcr.
A testimonianza dell’impegno
italiano verso una reale ricomposizione del frammentato quadro libico si è
svolta a Roma il 31 marzo una conferenza in cui, sotto l’azione del Ministro
degli Interni Minniti, è stato siglato un accordo tra le principali componenti
del sud della Libia: la tribù araba degli Awlad Suleiman, i Tebu e i
Tuareg. L’accordo, importante per affrontare il traffico degli esseri umani, ma
anche per arginare la minaccia del terrorismo islamico nel Fezzan, dimostra il
costante lavoro dell’Italia nel tentativo di ricostruzione della società libica
attraverso un ruolo di mediazione tra gli attori locali.
Lo scorso 9 gennaio, come già
ricordato, l’Italia aveva inoltre riaperto la sua ambasciata a Tripoli - nella
quale si è poi insediato il nuovo ambasciatore Giuseppe Perrone -, provocando reazioni
molto dure dallo schieramento di Haftar. Il Parlamento di Tobruk aveva
bocciato, definendolo “nullo e non pervenuto”, l’accordo sui migranti, mentre
una corte di Tripoli ha recentemente dichiarato illegittimo l’accordo
aprendo nuovi scenari di incertezza sulla questione.
Il 15
dicembre 2016 si è consumata la resa di Aleppo est al regime siriano,
consentendo l'evacuazione di civili e ribelli; tale resa era stata negoziata
da Russia e Turchia il giorno 13, senza il coinvolgimento delle cancellerie
occidentali. La Russia aveva mediato presso il regime siriano e la Turchia
presso l'opposizione.
Per vigilare sull'evacuazione di Aleppo est, il 19 dicembre 2016, il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ha approvato la Risoluzione n. 2328 autorizzando il dispiegamento di osservatori delle Nazioni Unite.
Numerosi
commentatori hanno rilevato come la conclusione della battaglia di Aleppo con
la vittoria del fronte lealista, sostenuto da Iran e Russia, sia stata resa
possibile dall'intesa tattica trovata tra Russia e Turchia a proposito della
questione siriana ovvero il via libera russo all'intervento turco nel
nord della Siria in cambio di una riduzione del supporto turco ai ribelli di
Aleppo.
Il 20 dicembre 2016 si è svolto un vertice a Mosca tra i ministri degli Esteri e della Difesa di Russia, Turchia e Iran che si è concluso con una Dichiarazione congiunta trilaterale che esprime: riconoscimento della sovranità, indipendenza, integrità territoriale della Siria; riconoscimento del ruolo essenziale delle Nazioni Unite nella soluzione della crisi, in accordo con la Risoluzione 2254, e presa d'atto delle decisioni del Gruppo di sostegno internazionale per la Siria (ISSG); accoglimento dell'evacuazione dei civili e gruppi armati, nonché della parziale evacuazione di civili da Fuaa, Kafriaia, Zabadani e Madaya e impegno ad assicurarne il completamento; importanza dell'estensione del cessate il fuoco e dell'assistenza umanitaria a tutto il paese; assunzione del ruolo di facilitatori e garanti dell'accordo futuro tra governo e opposizione siriana; presa d'atto della disponibilità del presidente kazako ad ospitare i negoziati; rinnovo dell'impegno a combattere congiuntamente DAESH e al-Nusra e a staccarli dall'opposizione.
Politicamente, il vertice di Mosca ha sancito il riavvicinamento tra Turchia da una parte e Russia e Iran dall’altra, a lungo su fronti opposti riguardo alla crisi siriana. Ha reso manifesta anche l’assenza sia degli Stati Uniti sia dell’Europa, a indicare che la partita siriana si gioca ormai su un terreno da cui gli interlocutori occidentali, volenti o nolenti, sono esclusi e in cui invece è il Cremlino ad avere assunto un peso sempre più rilevante. Significativa in tal senso è stata anche la dichiarazione del ministro degli esteri russo Sergej Lavrov sul fatto che colloqui per la soluzione del conflitto siriano risultano oggi "più efficaci con la Turchia che con gli Stati Uniti".
Il
29 dicembre 2016 Russia e Turchia sono riusciti a facilitare la
conclusione di un cessate il fuoco e hanno inviato all'ONU un "pacchetto
di documenti" relativi agli accordi raggiunti in pari data sullo
stabilimento del regime di cessate il fuoco su scala nazionale e sul meccanismo
di monitoraggio del cessate il fuoco stesso, nonché sulle delegazioni per i
negoziati in vista di una soluzione politica globale della crisi siriana
previsti ad Astana (Kazakistan) il 23 gennaio 2017; l'invio del pacchetto di
documenti ha segnato la volontà di inserire il processo di Astana nella cornice
negoziale dell'ONU.
Il 31 dicembre 2016 il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ha approvato la risoluzione n. 2336 che esprime sostegno agli sforzi di Russia e Turchia per porre fine alle violenze in Siria e per avviare il processo politico; prende nota del pacchetto di documenti sopracitati e attende l'incontro di Astana tra governo e opposizione come passo avanti verso la ripresa dei negoziati a Ginevra sotto l'egida dell'ONU.
Il
23-24 gennaio 2017 si sono svolti i colloqui di Astana, incontro (dapprima
diretto e poi separato) tra Governo e opposizione siriana, con la presenza
dell'Inviato Speciale dell'ONU Staffan de Mistura come osservatore, nonché
colloqui trilaterali tra Russia, Turchia e Iran, volti a coinvolgere l'Iran nel
sostegno al cessate il fuoco. Per l'opposizione siriana partecipavano ai
colloqui 13 capi militari; non era rappresentato l'Alto Comitato per i
negoziati siriani (HNC, cartello che rappresenta la maggior parte delle fazioni
ostili al regime di Bashar al-Assad), né era stato invitato il PYD curdo. I
colloqui di Astana hanno portato ad una dichiarazione firmata dai tre Stati
promotori (Iran, Russia e Turchia) ma non dalle parti, che stabilisce la
creazione di un meccanismo trilaterale di monitoraggio del cessate il fuoco (da
definire), riconosce in Astana la piattaforma per un dialogo diretto tra
governo e opposizione come richiesto dalla Risoluzione n. 2254 (che impegna ad
una soluzione politica per la Siria); s'impegna a sostenere la partecipazione
siriana ai colloqui di Ginevra sotto l'egida dell'ONU, e riafferma il
riconoscimento della sovranità, indipendenza, integrità territoriale della
Siria.
Secondo
numerosi osservatori la Russia ha assunto il ruolo del principale mediatore
del negoziato politico, concordando la cessazione delle ostilità a fine
dicembre e garantendone il mantenimento tramite i colloqui di Astana. Persino
le opposizioni siriane sono sembrate confidare maggiormente nel ruolo di
mediatore politico (ed in primis di garante del cessate il fuoco) della
Russia che della Turchia.
Il 23 febbraio 2017 sono ripresi i colloqui di Ginevra, strutturati sulla base del mandato della Risoluzione ONU 2254. I punti all'ordine del giorno sono: transizione politica, Costituzione, prossime elezioni. È stato accantonato, per il momento, il tema del futuro di Assad. A Ginevra la delegazione dell'opposizione siriana, costituita all'inizio di febbraio in Arabia Saudita, a Riad, è composta da 20 membri, 10 emissari dei gruppi armati, elemento di novità, e 10 rappresentanti delle formazioni politiche tra cui i due capi delegazione.
In
coerenza con la nuova Strategia per la Siria lanciata il 17 marzo scorso
e con il suo ruolo di primo donatore internazionale per la Siria, nonché attore
chiave per la ricostruzione post–conflitto, l'Unione europea ha indetto a
Bruxelles il 4 e 5 aprile una Conferenza dei donatori dal titolo “Syria
and the region: supporting the future of Syria and the region”,
co-organizzata insieme a Nazioni Unite, Germania, Kuwait, Norvegia, Qatar e
Regno Unito, cui hanno preso parte 70 rappresentanti di altrettanti governi
interessati ad alleviare economicamente le sofferenze del popolo siriano.
Secondo le Nazioni Unite, infatti, occorrono 8 miliardi di dollari per
preparare le basi della ricostruzione in Siria e dell'assistenza ai profughi
siriani nei paesi limitrofi. La Conferenza di Bruxelles ha registrato l'impegno
dei donatori per 6 miliardi di dollari per il 2017 e per ulteriori 3, 73
miliardi di dollari nel periodo 2018-2020, oltre all'impegno di alcune
istituzioni finanziarie internazionali a concedere ulteriori prestiti per circa
30 miliardi.
La conferenza è stata
tuttavia turbata dai tragici eventi siriani che hanno visto morire circa
80 persone tra cui 20 bambini in un raid aereo con l'impiego di gas nella
provincia di Idlib avvenuto il 4 aprile 2017, condannati in particolare
da Italia, Francia, Turchia, ONU, UE ed organizzazioni umanitarie, mentre la
Russia ha smentito di aver condotto raid in quella zona e il governo di Assad
ha negato di aver usato gas tossici.
L'impiego di gas a Idlib il 4 aprile ha causato la reazione unilaterale degli Stati Uniti, che nella notte tra il 6 e il 7 aprile hanno lanciato un attacco con 59 missili Tomahawk, dalle navi di stanza nel Mediterraneo, contro la base siriana di al–Shayrat da cui sarebbero partiti i bombardamenti con armi chimiche del 4 aprile. Il Presidente Trump ha giustificato l’impiego della forza con il "vitale interesse per la sicurezza nazionale" degli Stati Uniti. L’attacco missilistico rappresenta un punto di svolta per la politica statunitense nell’area, rispetto alla precedente Amministrazione Obama che non era andata oltre le minacce nei confronti del regime di Assad, nonostante il superamento della "linea rossa" dell’impiego di armi chimiche. La svolta del Presidente Trump ha destato stupore anche per il segnale lanciato indirettamente alla Russia, con la quale fino a pochi giorni prima si era instaurato un clima di grande distensione, se non di inedita convergenza su alcuni interessi.
La Russia dal canto suo ha definito l’attacco come una "aggressione ingiustificata contro uno Stato sovrano" e una "violazione del diritto internazionale".
L’azione degli Stati Uniti è stata condivisa dagli alleati europei: non solo dal Regno Unito, ma anche da Francia e Germania. Quanto all’Italia, il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha dichiarato che si è trattato di “una risposta motivata a un crimine di guerra”.
Nella dichiarazione finale del G7 dei Ministri degli esteri riunitosi a Lucca il 10 aprile si legge: "We are shocked and horrified by the reports of use of chemical weapons in the Khan Shaykhun area of southern Idlib on 4 April...The subsequent US military action was a carefully calibrated, limited in scope response to this war crime". La dichiarazione include inoltre un appello alla Russia ad utilizzare il potenziale di soluzione del conflitto e a lavorare per la promozione di un autentico processo politico in Siria, in linea con la Risoluzione ONU n. 2254.
Il Ministro degli Esteri Alfano, in esito alla riunione straordinaria sulla Siria da lui convocata collateralmente al G7, in un formato allargato a Turchia, Arabia Saudita, Giordania, EAU, ha ribadito che "la Russia non va isolata, anzi nei limiti del possibile va coinvolta nel processo di transizione politica sulla Siria", e su questo punto il G7 "la pensa in modo significativamente unito". Ha inoltre affermato che "dopo l'intervento americano si è aperta una finestra di opportunità per costruire una nuova condizione positiva per il processo politico in Siria, che riteniamo essere l'unica soluzione".
Vanno
da ultimo segnalati i drammatici eventi del giorno di Pasqua, segnato dall'attacco
kamikaze sferrato ad al-Rashidin, località alla periferia occidentale di
Aleppo in mano ai ribelli, contro un convoglio di pullman che trasportavano
persone evacuate dai villaggi sciiti di Kefraya e al-Foua nel quadro di un
accordo di scambio con le città di Zabadani e Malaya, nel Rif di Damasco, a
loro volta assediate dai miliziani di Hezbollah. L'attacco ha provocato più di
quaranta vittime, e a tutt'oggi non ne sono del tutto chiare le dinamiche.
Il tema della migrazione continua a rappresentare un settore prioritario di intervento dell’Unione europea. La rotta del Mediterraneo centrale, in direzione dell’Italia, registra un trend sostanzialmente costante che potrebbe persino aumentare in relazione all’evoluzione della situazione in Libia. I risultati conseguiti nella rotta del Mediterraneo orientale, con una drastica riduzione dei flussi a seguito degli accordi UE-Turchia, hanno indotto le Istituzioni europee a potenziare la collaborazione con i Paesi terzi considerati a tal fine strategicamente più importanti, quali gli Stati dell’Africa settentrionale e subsahariana. Ciò si traduce in un significativo investimento da parte dell’UE in progetti finalizzati allo sviluppo economico, al rafforzamento dei sistemi di asilo, e ad una migliore gestione dei confini dei Paesi interessati.
Per quanto riguarda i profili di politica interna di migrazione e asilo, le proposte di riforma del Sistema comune europeo di asilo, in corso di esame, mirano a una ripartizione più equa delle responsabilità degli Stati membri rispetto al volume sempre molto consistente delle domande di protezione presentate nell’UE .
Tali proposte stanno tuttavia registrando significative resistenze da parte di alcuni Stati membri.
In esito al Vertice sulla migrazione di La Valletta dell’11-12 novembre 2015, cui hanno partecipato i capi di Stato e di governo europei e africani, è stato adottato un Piano d'azione recante una serie di iniziative nei seguenti settori prioritari: cause profonde della migrazione, canali di migrazione legale; protezione dei migranti e dei richiedenti asilo, in particolare dei gruppi vulnerabili; sfruttamento e traffico di migranti; rimpatrio e riammissione. Il Piano è sostenuto da un Fondo fiduciario con una dotazione che è stata progressivamente portata a 2,5 miliardi di euro provenienti dagli strumenti di finanziamento a carico del bilancio dell'UE e dai contributi degli Stati membri e di altri donatori.
Dalla fine del 2015 si sono svolti una serie di incontri tra UE e Turchia aventi ad oggetto, tra l’altro, la soluzione della crisi dei rifugiati (in massima parte) siriani, che dalle coste turche si erano riversati in massa nelle isole greche.
Il risultato più significativo di tali negoziati è rappresentato dalla Dichiarazione UE – Turchia del 18 marzo 2016, che prevede:
· il rinvio in Turchia di tutti i nuovi migranti irregolari, a decorrere dal 20 marzo 2016,;
· l’impegno UE a reinsediare un cittadino siriano dalla Turchia per ogni siriano rinviato in Turchia dalle isole greche;;
· l’impegno della Turchia nel contrasto alle rotte illegali della migrazione;
· l’accelerazione da parte dell’'UE dell'erogazione dei 3 miliardi di euro assegnati in base a precedenti accordi, e la mobilitazione di ulteriori 3 miliardi di euro a condizione che gli impegni siano soddisfatti;
· l’accelerazione della tabella di marcia sulla liberalizzazione dei visti e il rilancio del processo di adesione della Turchia all’UE.
Gli attraversamenti giornalieri dalla Turchia verso le isole greche sono scesi da 10 mila persone registrate in una sola giornata nell'ottobre 2015 alle attuali circa 50 al giorno. La Turchia non ha ancora rispettato i parametri ai fini del processo di liberalizzazione dei visti, concernenti: i documenti di viaggio biometrici, le misure anticorruzione; la cooperazione con Europol, le misure in materia di terrorismo; protezione dati personali, la cooperazione giudiziaria in materia penale.
Per quanto riguarda lo Strumento per i rifugiati in Turchia, dei 2,2 miliardi di euro già stanziati per il periodo 2016-2017, sono già stati impiegati 1,5 miliardi di euro, vale a dire la metà della dotazione totale (3 miliardi di euro).
Il 7 giugno 2016, al culmine di un ampio dibattito europeo nel quale rilevante è stato il contributo del Governo italiano, attraverso il cosiddetto Migration Compact, la Commissione europea ha presentato un nuovo quadro di partenariato volto a mobilitare e orientare l'azione e le risorse dell'UE nell'ambito dell'attività esterna di gestione della migrazione.
Si tratta in sostanza di una serie di principi da attuare in sede di negoziati UE con i principali paesi terzi di origine e di transito dei migranti, che includono tra l’altro:
· una combinazione di incentivi positivi e negativi nel campo dello sviluppo e del commercio a seconda del grado di collaborazione dei Paesi terzi nella gestione della migrazione
· lo smantellamento delle reti dei trafficanti e la creazione di rotte migratorie legali;
· il potenziamento dei mezzi finanziari a sostegno dei Paesi africani.
La Commissione europea sta effettuando un monitoraggio periodico dei risultati dei primi compact, con particolare riferimento ai cinque Paesi terzi considerati prioritari: Niger, Nigeria, Senegal, Mali e Etiopia.
In particolare, secondo la Terza relazione sui progressi compiuti nell’attuazione del Nuovo quadro di partenariato, pubblicata a marzo 2017, l'azione volta a contrastare il traffico e la tratta di migranti avrebbe consentito una netta diminuzione di partenze di migranti dal Niger (Agadez) verso l’Europa (da un picco di 70 000, in maggio 2016, a circa 6.500, nel gennaio 2017.) In tale Paese terzo inoltre il numero di migranti sostenuti in centri gestiti dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) è raddoppiato nel 2016, superando i 15.000; quasi 5.000 persone hanno ricevuto assistenza per il ritorno volontario nelle comunità di origine e nove progetti attuati nell'ambito del Fondo fiduciario dell'UE per l'Africa sostengono lo sviluppo globale del Niger. Proseguono i negoziati con la Nigeria finalizzati alla conclusione di un accordo di riammissione entro giugno 2017. Sono stati adottati progetti supplementari a favore del Senegal e del Mali per promuovere il reinserimento e la creazione di opportunità di lavoro. Si stanno infine preparando altri programmi a sostegno dei rifugiati e delle comunità di accoglienza in Etiopia e sono stati inviati funzionari di collegamento europei per la migrazione nei cinque paesi prioritari. La relazione sottolinea infine che nel dicembre 2016 sono stati approvati 42 nuovi programmi nell'ambito del Fondo fiduciario dell'UE per l'Africa, pari a 587 milioni di euro, che portano a 106 il numero complessivo di progetti adottati, per un valore di oltre 1,5 miliardi di euro.
Il 25 gennaio 2017, la Commissione europea e l’Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza hanno presentato la comunicazione congiunta JOIN(2017)7 “Migrazione lungo la rotta del Mediterraneo centrale. Gestire i flussi, salvare le vite umane”, recante una serie di misure volte rafforzare l'azione dell'UE in materia di migrazione e gestione delle frontiere, con particolare riguardo ai flussi provenienti dalla Libia e dalle zone limitrofe.
Si tratta di una serie di azioni a breve e medio termine per affrontare i flussi verso e dall'Africa settentrionale, i cui obiettivi principali sono:
· la riduzione del numero delle traversate e il salvataggio delle persone rafforzando il sostegno alla guardia costiera e alla marina libiche, anche attraverso l'operazione EUANVFOR MED Sophia (vedi Sessione II);
· l’intensificazione della lotta contro gli scafisti e i trafficanti
· l’incremento del reinsediamento e la promozione del ritorno volontario assistito, sostenendo la cooperazione tra UNHCR e le autorità libiche e l’opera dell’Organizzazione internazionale della migrazione (OIM);
· l’assistenza alle autorità libiche nella gestione frontiere meridionali della Libia;
· il rafforzamento del dialogo e della cooperazione operativa con i partner nell'Africa settentrionale;
· l’aumento del finanziamento del Fondo fiduciario dell'UE per l'Africa.
La comunicazione è stata discussa in particolare dal Consiglio europeo informale svoltosi a Malta nel febbraio 2017, in esito al quale è stata adottata una Dichiarazione in materia di migrazione irregolare con particolare riferimento alla rotta del Mediterraneo centrale, che prevede, in estrema sintesi, l’intensificazione della collaborazione con la Libia quale principale Paese di partenza e con i suoi vicini in Africa settentrionale e subsahariana.
In particolare, nella Dichiarazione si considerano prioritari i seguenti elementi
a) formazione, equipaggiamento e supporto per la guardia costiera nazionale libica e altre agenzie pertinenti;
b) ulteriori sforzi intesi a smantellare il modello di attività dei trafficanti attraverso un'azione operativa rafforzata, nel quadro di un approccio integrato che coinvolga la Libia, altri Paesi situati lungo la rotta e i pertinenti partner internazionali, gli Stati membri impegnati, le missioni e le operazioni PSDC, Europol e la Guardia di frontiera e costiera europea;
c) sostegno allo sviluppo delle comunità locali in Libia, in particolare nelle zone costiere e presso le frontiere terrestri libiche lungo le rotte migratorie;
d) un impegno volto a garantire, in Libia, capacità e condizioni di accoglienza adeguate per i migranti, unitamente all'UNHCR e all'OIM;
e) sostegno all'OIM per intensificare in maniera significativa le attività di rimpatrio volontario assistito;
f) rafforzamento delle campagne di informazione e delle attività di sensibilizzazione destinate ai migranti in Libia e nei paesi di origine e di transito;
g) aiuti per la riduzione delle pressioni alle frontiere terrestri della Libia,;
h) monitoraggio di rotte alternative e di possibili deviazioni delle attività dei trafficanti, attraverso sforzi di cooperazione con i vicini della Libia e i paesi del quadro di partenariato;
i) sostegno continuativo agli sforzi e alle iniziative dei singoli Stati membri impegnati direttamente con la Libia; a tale proposito, l'UE accoglie con favore il memorandum di intesa firmato il 2 febbraio 2017 dalle autorità italiane e dal presidente del Consiglio di presidenza al-Serraj ed è pronta a sostenere l'Italia nella sua attuazione.
Tra le prime misure adottate in attuazione della citata Comunicazione si segnala la mobilitazione da parte dell’UE di 200 milioni di euro nel 2017 per progetti in Libia, e l’intensificazione del coordinamento con i partner internazionali, tra cui UNHCR e OIM.
Il 5 aprile 2017 il Parlamento europeo ha approvato la risoluzione non legislativa “Come far fronte ai movimenti di rifugiati e migranti: ruolo dell'azione esterna dell'UE”, nella quale si chiede, tra l’altro:
· un “regime di governance multilaterale” per la migrazione internazionale, fondato sulla cooperazione;
· una più stretta cooperazione tra l’UE, gli organismi specializzati delle Nazioni Unite, le banche multilaterali di sviluppo, organizzazioni regionali e altri attori;
· maggiore attenzione ai diritti umani e al principio di solidarietà tra gli Stati membri;
· il coinvolgimento del Parlamento nella creazione e nell’implementazione del Quadro di partenariato e i relativi “migration compact” che l’UE sta attualmente negoziando con Paesi terzi;
· assistenza e cooperazione UE ai paesi terzi a prescindere dal grado di cooperazione nella riammissione dei migranti irregolari.
Dando seguito alle indicazioni contenute nell’Agenda europea sulla migrazione e in particolare nella comunicazione "Riformare il sistema europeo comune di asilo e potenziare le vie legali di accesso all’Europa", il 4 maggio 2016, la Commissione europea ha presentato un primo pacchetto di proposte legislative di riforma del Sistema europeo comune di asilo:
1. Una proposta di riforma del cosiddetto regolamento Dublino (criteri e meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d'asilo).
La proposta, pur mantenendo il criterio generale dello Stato di primo approdo, mira ad alleggerire il peso delle richieste di asilo gravante sugli Stati posti sulla linea di confine dell’UE, prevedendo un meccanismo correttivo di assegnazione ("meccanismo di equità") che si attiverebbe automaticamente quando uno Stato membro si trovi a far fronte a un numero sproporzionato di richieste di protezione internazionale.
In particolare, secondo la proposta originaria della Commissione, nel caso in cui uno Stato si trovi ad affrontare un afflusso sproporzionato di migranti, che superi il 150% della quota di riferimento, tutti i nuovi richiedenti protezione internazionale dovranno essere ricollocati in altri Stati membri fino a quando il numero di domande non sarà ridisceso al di sotto di quel livello. Gli Stati destinatari avrebbero tuttavia la possibilità di non partecipare al ricollocamento versando un contributo di solidarietà di 250.000 euro per ogni richiedente asilo non ricollocato.
Sono altresì previsti termini procedurali più brevi ed obblighi giuridici più chiari per i richiedenti protezione internazionale (compreso il dovere di rimanere nello Stato membro competente per la loro richiesta), anche al fine di prevenire abusi e movimenti secondari.
L’ter della proposta appare molto controverso per la resistenza di alcuni Stati membri ad accettare l’attuale formulazione del meccanismo di equità.
Sulla proposta, la I Commissione (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni) della Camera dei deputati, il 16 novembre 2016 ha approvato un documento conclusivo, con il quale ha espresso una valutazione negativa, considerando, tra l’altro, inaccettabile, in quanto palesemente contraddittoria con i principi di solidarietà e corresponsabilizzazione stabiliti nei Trattati, la previsione in base alla quale uno Stato membro può sottrarsi totalmente dall'obbligo di partecipare al meccanismo di redistribuzione previa corresponsione del contributo di 250 mila euro per richiedente asilo non preso in carico.
2. Una proposta di regolamento che istituisce l'Agenzia dell’Unione europea per l’asilo.
La proposta mira a trasformare l’attuale Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO) in una vera e propria Agenzia europea per l’asilo, con un mandato rafforzato e funzioni ampliate. Fra i nuovi compiti dell’Agenzia dovrebbe esservi quello di avvalersi delle quote di riferimento per applicare il meccanismo di equità nel quadro del nuovo sistema di Dublino.
Sulla proposta, tuttora all’esame delle istituzioni legislative europee, il 16 novembre 2016, la I Commissione (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni) della Camera dei deputati ha approvato un documento conclusivo, con il quale ha espresso una valutazione sostanzialmente positiva.
3. Una proposta di regolamento volta ad ampliare il campo di applicazione di Eurodac, la banca dati dell'Unione europea per le impronte digitali dei richiedenti asilo).
In concreto, si mira ad includere la possibilità per gli Stati membri di salvare e consultare dati di cittadini di Paesi terzi o di apolidi che non richiedano protezione internazionale e il cui soggiorno irregolare nell’UE venga scoperto, ai fini del rimpatrio e della riammissione. È altresì previsto un ampliamento delle categorie di dati personali inseriti in Eurodac.
Sulla proposta, tuttora all’esame delle Istituzioni legislative europee, il 16 novembre 2016, la I Commissione (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni) della Camera dei deputati ha approvato un documento conclusivo, con il quale ha espresso una valutazione sostanzialmente positiva.
Il 13 luglio 2016 la Commissione ha presentato un secondo pacchetto legislativo di riforma del Sistema comune europeo di asilo. Il pacchetto, tuttora all’esame delle Istituzioni legislative europee, si articola nelle seguenti proposte:
· una proposta di riforma della direttiva recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale;
· una proposta di regolamento sostitutiva dell’attuale direttiva qualifiche;
· una proposta di regolamento sostitutiva dell’attuale direttiva sulle procedure di asilo;
· una proposta di regolamento istitutiva di un quadro di reinsediamento dell’Unione.
Gli Stati membri dovranno applicare gli standard e gli indicatori sulle condizioni di accoglienza sviluppati a livello di UE e provvedere all'elaborazione e all'aggiornamento costante di piani di emergenza in situazioni di pressione eccessiva. Dovranno inoltre fornire maggiori garanzie ai richiedenti asilo con esigenze particolari e ai minori non accompagnati. Questi ultimi dovranno essere affidati a un tutore entro cinque giorni dalla presentazione della domanda. Peraltro, la riforma del sistema di asilo prevede l’ampliamento della definizione di “familiare” rilevante ai fini dell’individuazione dello Stato competente a trattare la domanda di asilo, includendovi anche i fratelli e le sorelle del richiedente, e tenendo conto dei legami familiari che si sono costituiti anche dopo la partenza dal paese di origine (ma in ogni caso prima dell’arrivo in uno Stato membro).
Sono previste norme dirette a ridurre i movimenti secondari: in particolare, nel caso in cui il richiedente non rispetti l'obbligo di risiedere in un determinato luogo, e qualora sussista il rischio di fuga, gli Stati membri potranno avvalersi del trattenimento. Norme specifiche sono previste infine per favorire l'autonomia e l'integrazione dei richiedenti asilo.
La riforma del sistema prevede una maggiore armonizzazione nei criteri di riconoscimento e una maggiore convergenza delle decisioni prese dagli Stati membri.
Circa le procedure di asilo, la riforma, pur mantenendo il termine di sei mesi per l'adozione delle decisioni, introduce termini più brevi per le domande di asilo inammissibili o palesemente infondate o per i casi in cui è prevista l'applicazione della procedura accelerata. Sono rafforzate le garanzie procedurali a salvaguardia dei diritti dei richiedenti asilo, ad esempio mediante la previsione del diritto a un colloquio individuale e all'assistenza e alla rappresentanza legale gratuite già nel corso della procedura amministrativa
La proposta stabilisce, inoltre, i criteri per individuare i Paesi ritenuti sicuri dall’UE, allo stesso tempo confermando la lista di Paesi di origine sicuri (Albania, Bosnia-Erzegovina, Ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Kosovo, Montenegro, Serbia e Turchia) precedentemente stilata dalla Commissione europea.
Con il meccanismo temporaneo di ricollocazione d'emergenza, istituito da due decisioni del Consiglio dell’UE nel settembre 2015, gli Stati membri si sono impegnati a ricollocare 106 mila richiedenti asilo (la decisione che prevede la ripartizione più consistente dispone il ricollocamento di 63 mila persone dalla Grecia e 35 mila dall'Italia) entro settembre 2017.
Secondo la Commissione europea, al 10 aprile 2017, sono state ricollocate 16.340 persone (11.339 dalla Grecia e 5.001 dall’Italia.
Al ritmo attuale, il numero totale di persone ricollocate sarà di gran lunga inferiore agli obblighi previsti per settembre 2017.
Il 2 marzo 2017 la Commissione europea ha presentato un nuovo Piano di azione e una serie di raccomandazioni indirizzate agli Stati membri sull’attuazione dei rimpatri.
Il Piano d'azione prevede, tra l’altro:
· l’aumento del sostegno finanziario agli Stati membri con 200 milioni di euro nel 2017 destinati alle attività nazionali in materia di rimpatrio;
· il miglioramento dello scambio di informazioni e migliori pratiche tra Stati membri in materia di esecuzione di rimpatri;
· sostegno agli Stati membri tramite l'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, mediante l'assistenza pre-rimpatrio, unità di sostegno ai rimpatri e un meccanismo di voli commerciali per finanziare i rimpatri;
· conclusione di accordi di riammissione con la Nigeria, la Tunisia e la Giordania e coinvolgimento di Marocco e Algeria.
Nelle raccomandazioni agli Stati membri al fine di rendere più efficaci le procedure di rimpatrio la Commissione chiede in particolare di::
o miglioramento del coordinamento tra tutti i servizi e le autorità coinvolte nel processo di rimpatrio in ciascuno Stato membro entro giugno 2017;
o riduzione dei termini per i ricorsi, emissione sistematica di decisioni di rimpatrio senza data di scadenza e combinazione delle decisioni sulla fine del soggiorno regolare con le decisioni di rimpatrio;
o maggior contrasto agli abusi mediante con procedure accelerate in caso di domande a scopo dilatorio dei rimpatri;
o contrasto rischi di fuga tramite il trattenimento;
o istituzione di programmi di rimpatrio volontario assistito.
Il 12 aprile 2017 la Commissione europea ha presentato la comunicazione “Protezione dei minori migranti”, recante una serie di azioni prioritarie, tra l’altro, nei seguenti settori: procedure di identificazione e di valutazione idonea dell’età; potenziamento del ruolo dei tutori; condizioni di accoglienza; procedure di ricerca e ricongiungimento familiare; misure di integrazione precoci; protezione dei minori lungo le rotte migratorie al di fuori dell'UE.
Il tema della propaganda e guerra di informazioni è stato affrontato dall’Unione europea con particolare riguardo alle attività di propaganda di enti e organismi situati in Stati terzi. A tal fine sono stati adottati strumenti, nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune, volti a contrastare la falsa propaganda diffusa da tali soggetti anche, e soprattutto, attraverso la rete. Il tema è stato altresì discusso dal Parlamento europeo che ha approvato una risoluzione nel novembre 2016.
La nuova Strategia globale per la politica estera e di sicurezza - presentata dall’Alta Rappresentante, Federica Mogherini, al Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2016 - tra le azioni volte a rafforzare l’azione globale dell’UE individua la necessità di rafforzare le comunicazioni strategiche dell’UE, investendo nella diplomazia pubblica e integrandola in diversi settori, al fine di collegare la politica estera dell'UE con i cittadini e di comunicarla meglio ai partner.
A tal fine la Strategia globale indica le seguenti azioni:
· migliorare la coerenza e la velocità dei messaggi sui principi e le azioni dell’UE, fornendo controrepliche rapide e fattuali alla disinformazione;
· promuovere un ambiente mediatico libero all'interno e al di fuori dell'UE, anche collaborando con i soggetti locali e attraverso i media sociali.
Il Consiglio
europeo del 19 e 20 marzo 2015, sottolineando l'esigenza di contrastare le
campagne di disinformazione in corso da parte della Russia, ha incaricato
l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di
sicurezza di presentare, in collaborazione con le Istituzioni europee e gli
Stati membri, di presentare un piano d’azione sulla comunicazione strategica
e di prevedere l’istituzione di una Task force sulla comunicazione
strategica.
Il Piano d’azione sulla comunicazione strategica è stato presentato nel giugno 2015 e indica tre principali obiettivi:
· efficace comunicazione e promozione delle politiche dell'UE nei confronti del vicinato orientale;
· rafforzamento dell'ambiente dei media nel vicinato orientale e negli Stati membri dell'UE, incluso il supporto alla libertà dei media e il rafforzamento dei media indipendenti;
· miglioramento delle capacità dell'UE di prevedere, affrontare e rispondere alle attività di disinformazione da parte di attori esterni.
Al fine di raggiungere tali obiettivi, il piano d’azione identifica le seguenti aree di azione:
· incrementare la capacità di comunicazione strategica dell’UE;
· promuovere la cooperazione con i partner per lo sviluppo di reti per la strategia di comunicazione dell’UE;
· promuove attività di comunicazione su programmi, progetti e attività finanziati dall’UE nei paesi del vicinato orientale;
· promuovere e sostenere la libertà dei media e la libertà di espressione;
· promuovere iniziative di diplomazia pubblica nel vicinato;
· sostenere attività di formazione per giornalisti e operatori dei media;
· promuovere il pluralismo nello spazio dei media di lingua russa;
· sostenere il ruolo della società civile nel controllo dei media;
· promuovere la consapevolezza delle attività di disinformazione nella sfera pubblica;
·
rafforzare la cooperazione tra regolatori ed autorità di controllo
nazionali.
La Task Force, operativa dal settembre 2015, ha il compito di sviluppare prodotti e campagne di comunicazione incentrate sulla spiegazione delle politiche dell'UE nella regione del partenariato orientale. Si tratta in particolare di: campagne di comunicazione strategica; comunicazione ad hoc su questioni attuali di politica UE; attività volte a sfatare miti (lett. “myth).
La Task Force è composta riunisce undici esperti di comunicazione e si basa su risorse esistenti messe a disposizione dall’UE e dagli Stati membri. È, inoltre, coadiuvata da un network di 400 tra giornalisti, esperti di Russia, docenti, ed esponenti di diverse ONG in 30 Paesi.
Nel 2016 la Task Force ha identificato circa 2.500 notizie totalmente inventate.
La Task Force pubblica settimanalmente la Disinformation Review e il Disinformation Digest, che offrono una panoramica sistematica dei casi di disinformazione ed evidenziano le tendenze dei media.
La
Task Force for Outreach and Communication in the Arab world è un
organismo istituito a seguito delle conclusioni del Consiglio dell’UE affari
esteri del febbraio 2015 e ha iniziato le sue attività nel successivo aprile.
La Task Force è impegnata, tra l’altro, nel sostegno alle iniziative internazionali in materia di lotta alla radicalizzazione e al terrorismo, nella costruzione di partenariati regionali con l’UE; nello sviluppo di contro-narrazioni rispetto alla propaganda terroristica; nella promozione dei diritti fondamentali coinvolgendo i social media e nella facilitazione del dialogo interreligioso e con la società civile. A differenza della Task Force per il vicinato orientale (vedi supra), questo organismo non ha un team dedicato di esperti, ma si base sulla cooperazione interistituzionale tra Parlamento europeo, il Servizio per l'azione esterna europea - SEAE, il personale della Commissione e l'ufficio del Coordinatore antiterrorismo dell'UE.
Il
contrasto alle attività di disinformazione (come anche la resilienza
contro la radicalizzazione e l'estremismo violento) è considerato dall’Unione
europea una degli aspetti dell’azione contro le minacce ibride.
In particolare nella Comunicazione congiunta della Commissione europea e dell’Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza - Quadro congiunto per contrastare le minacce ibride- La risposta dell'Unione europea, presentata il 6 aprile 2016 (Join(2016)18) una sezione è specificamente dedicata alla comunicazione strategica dell’UE.
La comunicazione strategica dell’UE dovrebbe sfruttare appieno gli strumenti dei media sociali così come i tradizionali mezzi audiovisivi e on-line. Gli Stati membri dovrebbero inoltre elaborare meccanismi coordinati di comunicazione strategica per sostenere l'indicazione delle fonti e contrastare la disinformazione e le minacce ibride.
Il 23 novembre 2016, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulla comunicazione strategica dell'UE per contrastare la propaganda nei suoi confronti da parte di terzi.
La risoluzione contiene indicazioni sia per quanto riguarda la guerra di disinformazione e propaganda della Russia sia le attività dell’ISIS con particolare riferimento ai metodi di radicalizzazione, nonché una serie di priorità nell’attività di contrasto a tali forme di disinformazione.
Per quanto riguarda le strategie per contrastare tale propaganda il Parlamento europeo, tra l’altro, sottolinea la necessità di maggiori finanziamenti per sostenere la libertà dei media nei paesi della politica europea di vicinato (PEV).
Nella risoluzione si chiede inoltre che la Task Force di comunicazione strategica dell'UE sia rafforzata trasformandola in una unità a pieno titolo all'interno del SEAE, responsabile per il vicinato orientale e meridionale, con idoneo personale e adeguate risorse di bilancio, eventualmente mediante la creazione di una linea di bilancio supplementare a essa dedicata; si auspica inoltre una cooperazione rafforzata tra i servizi di intelligence degli Stati membri.
Il Parlamento europeo invita, altresì, la Task Force sulla comunicazione, rafforzata come proposto, a mettere on line, utilizzando l'account di Twitter @EUvsDisInfo, un sito rivolto al grande pubblico che riunisca i vari strumenti tesi a rilevare la disinformazione.
Ciascuno Stato membro è inoltre invitato a rendere disponibili ai propri cittadini le due newsletter settimanali pubblicate dalla Task Force EastStratCom per la comunicazione strategica dell'UE (The Disinformation Digest e The Disinformation Review), allo scopo di sensibilizzare l'opinione pubblica circa i metodi di propaganda usati da terzi;
Il Parlamento europeo rileva inoltre l'importanza della sensibilizzazione, dell'istruzione e dell'alfabetizzazione mediatica e in materia di media online nell'UE e nel vicinato, nell'ottica di conferire ai cittadini la facoltà di analizzare in maniera critica i contenuti dei media; pone in risalto il ruolo centrale degli strumenti online, in particolare dei social media; si ritiene necessario sviluppare una strategia efficace, che dovrebbe essere differenziata e adeguata alla natura degli attori che divulgano informazioni mediante la propaganda.
Il Piano di azione europeo in materia di difesa (COM(2016) 950 final), presentato dalla Commissione europea, sotto forma di Comunicazione, il 30 novembre 2016, costituisce il secondo elemento del "pacchetto" di proposte sulla difesa comune[3] che ha preso forma nell'autunno scorso. Il successivo 15 dicembre il testo ha ricevuto il sostegno del Consiglio europeo, che ha chiesto alla Commissione di presentare proposte entro il primo semestre del 2017.
L'oggetto principale del piano è costituito dall'istituzione di un Fondo europeo per la difesa, diviso in due sezioni, l'una finalizzata alla ricerca e tecnologia e l'altra direttamente all'acquisizione di capacità di difesa da parte degli Stati membri. La prima, per la quale si prevede un finanziamento annuo di 500 milioni di euro, verrebbe posta a carico del bilancio dell'Unione a decorrere dal 2027, nell'ambito del prossimo quadro finanziario pluriennale. La seconda invece, che dovrebbe ammontare a non meno di 5 miliardi di euro l'anno, sarebbe finanziata principalmente dagli Stati membri, con un parziale contributo da parte dell'Unione nei limiti consentiti dai trattati.
Il piano contiene anche proposte per la promozione degli investimenti nelle catene di approvvigionamento della difesa, nonché per il rafforzamento del mercato unico della difesa, anche se non si prevede una revisione delle due vigenti direttive in materia.
Mutando un orientamento di tradizionale diffidenza nei confronti dell'industria della difesa, la Commissione guidata da Jean-Claude Juncker ha posto lo sviluppo del settore tra le proprie priorità. Nella lettera del 9 settembre 2015 firmata con il primo vicepresidente Frans Timmermans e indirizzata ai presidenti del Parlamento europeo e del Consiglio, si prevedeva infatti "l'elaborazione di "un piano d'azione sull'industria europea della difesa riguardante gli aspetti connessi all'indipendenza tecnologica dell'UE, alla competitività del settore e allo sviluppo di capacità comuni, industrie e tecnologie", quale parte della più ampia priorità 4: "Un mercato interno più profondo e più equo con una base industriale più solida".
In realtà
il mutamento era già iniziato - seppur timidamente - nel corso del secondo
mandato della Commissione Barroso, quando, all'esito del lavoro di una task
force sulla difesa istituita nel 2011, venne pubblicata una comunicazione
dal titolo Verso un settore della difesa e della sicurezza più
concorrenziale ed efficiente (COM(2013)
542 final) nella quale si prevedeva,
tra l'altro, la possibilità di istituire un'azione preparatoria (preparatory
action) per finanziare attività di ricerca in materia di difesa, non
ricomprese nel vigente programma quadro europeo Orizzonte 2020, proposta
approvata dal Consiglio europeo di dicembre 2013 quale parte delle sue
articolate conclusioni
in materia di politica di sicurezza e di difesa comune.
Nel proprio discorso sullo stato dell'Unione, tenuto al Parlamento europeo il 14 settembre 2016, il Presidente Juncker ha quindi annunciato la presentazione, entro la fine dell’anno, di una proposta per l’istituzione di un Fondo europeo per l’industria della difesa per stimolare la ricerca e l’innovazione, quale parte del più ampio Piano d'azione in materia di difesa in via di elaborazione. In quella sede, aveva anche sottolineato che per assumersi maggiormente la responsabilità della propria sicurezza, gli Europei devono investire nello sviluppo di capacità di difesa: "un'Unione con maggiori capacità di difesa richiede l'acquisizione, lo sviluppo e il mantenimento congiunti, da parte degli Stati membri, dell'intera gamma di capacità terrestri, aeree, spaziali e marittime", declinando in concreto il concetto di autonomia strategica alla base della visione della nuova Strategia globale.
La redazione del Piano d'azione si intreccia infatti con la Strategia globale per la politica estera e di sicurezza dell'Unione europea, presentata dall'Alto rappresentante il 26 giugno 2016 e con la relativa attuazione, tanto da venire a costituire, in uno con il Piano di attuazione della stessa strategia, del 14 novembre 2016, e le conclusioni sull'attuazione della dichiarazione NATO-UE, del 6 dicembre 2016, una delle tre componenti di un "pacchetto difesa" europeo. Tutti i citati documenti contengono peraltro profili inerenti il rafforzamento della base industriale e lo sviluppo ed approvvigionamento comune delle capacità di difesa, che implicano un coordinamento soggettivo tra le istituzioni coinvolte e oggettivo tra le misure adottate, come da ultimo evidenziato nelle conclusioni del Consiglio "affari esteri" del 6 marzo 2017.
Nel contesto della preparazione del documento, si segnala il fatto che l'Italia ha presentato un proprio non paper contenente proposte in vari ambiti.
Il Piano
d'azione è articolato su tre assi principali: istituzione di un
fondo europeo per la difesa; promozione di investimenti nelle catene di
approvvigionamento della difesa; rafforzamento del mercato unico della difesa.
Il Fondo europeo per la difesa - Il fondo consisterebbe di due distinte strutture di finanziamento ("sezioni"), complementari ma con natura giuridica e fonti di finanziamento distinte, una "sezione ricerca" e una "sezione capacità", integrate da un consiglio di coordinamento che riunirà la Commissione, l'Alto rappresentante, gli Stati membri, l'Agenzia europea per la difesa nonché, ove opportuno, l'industria, con il compito di garantire la coerenza tra le "sezioni" e sostenere in modo ottimale lo sviluppo delle capacità concordate dagli Stati membri, che saranno individuate in base a processi distinti.
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Commissione europea, Piano d'azione europeo in materia di difesa
(i) Sezione ricerca - Destinata al finanziamento di progetti di ricerca collaborativa nel settore della difesa a livello dell'UE, da realizzarsi tramite l'avvio di un'azione preparatoria (90 milioni di EUR per il periodo 2017-2019[4]), dovrebbe sfociare in un programma specifico dell'UE all'interno del quadro finanziario pluriennale dell'UE post 2020. La Commissione prevede una dotazione stimata di 500 milioni di euro l'anno, in linea con le conclusioni del Gruppo di personalità nonché con la risoluzione del Parlamento europeo del 23 novembre 2016: l'UE rientrerebbe così tra i quattro principali investitori europei nella ricerca e tecnologia nel campo della difesa. Il programma dovrebbe concentrarsi su un numero limitato di progetti di ricerca essenziali, connessi alle priorità in materia di capacità di difesa concordate dagli Stati membri. La governance del programma sarà soggetta alle norme di bilancio dell'UE e saranno esplorate molteplici opzioni al fine di strutturare il dialogo tra la Commissione, gli Stati membri e l'industria riguardo all'attuazione della futura "sezione".
(ii) Sezione capacità - Volta a sostenere lo sviluppo congiunto di capacità di difesa definite di comune accordo dagli Stati membri, verrebbe finanziata mediante l'aggregazione dei contributi nazionali e godrebbe, ove possibile, del sostegno dal bilancio dell'UE. Questa "sezione" sarebbe imperniata sulle fasi post R&T e avrebbe dimensioni molto maggiori della prima: la Commissione fissa come obiettivo un importo di riferimento pari a 5 miliardi di EUR all'anno, vale a dire il 2,5% del totale della spesa nazionale per la difesa nell'UE e il 14% della spesa nazionale per le capacità di difesa, importo che colmerebbe il divario rispetto all'obiettivo concordato dagli Stati membri in sede EDA di destinare a progetti collaborativi il 35% della spesa per i materiali[5]. Le caratteristiche specifiche della "sezione capacità" sono in realtà ancora da individuare e a tal fine potrebbe giovare l'istituzione di una cooperazione strutturata permanente. Questa seconda sezione, a differenza della prima, non sarebbe finanziata dal bilancio dell'Unione, bensì mediante l'aggregazione dei contributi degli Stati membri che decidono di parteciparvi, e limitatamente a singoli progetti finanziariamente indipendenti e limitati nel tempo e nelle dimensioni. La Commissione è però disposta a esaminare tutte le opzioni di finanziamento a carico del bilancio dell'UE della "sezione capacità", nel rispetto dei trattati. La Commissione ipotizza anche l'emissione di strumenti di debito connessi al progetto (proposta peraltro avanzata dal vicepresidente della Commissione Katainen in una intervista al Financial Times del 15 settembre 2016), garantiti dagli Stati membri ovvero da una propria base di capitale. Interessante la previsione - che riprende, in termini più ampi, una proposta del non paper italiano - per cui i contributi nazionali al capitale della "sezione capacità" saranno considerati "misure una tantum" nel quadro del patto di stabilità e crescita, così come le garanzie, nella misura in cui si ripercuoteranno sul disavanzo e/o sul debito.
La promozione degli investimenti nelle catene di
approvvigionamento della difesa - Oltre al fondo europeo per la difesa, la Commissione
ritiene necessarie ulteriori azioni per permettere alla base industriale di
difesa di rimanere innovativa e competitiva e, in ultima analisi, di poter
soddisfare le esigenze europee in termini di capacità. In particolare sosterrà
perciò, entro i limiti stabiliti dai trattati, in seno agli organi decisionali
della Banca europea per gli investimenti, l'adeguamento dei criteri di
prestito della BEI in modo da consentirne l'erogazione anche al settore
della difesa - attualmente non prevista -, e invita gli Stati membri ad
appoggiare tale processo. Anche questa proposta era contenuta nel non paper
italiano. La Commissione promuoverà altresì il cofinanziamento, tramite i fondi
strutturali e d'investimento europei, dei progetti di investimento
produttivo e della modernizzazione delle catene di approvvigionamento nel
settore della difesa. La difesa sarà poi un settore prioritario del programma
generale costituito dalla nuova agenda per le competenze per l'Europa (COM(2016) 381 final ).
Il rafforzamento del mercato unico della difesa - Quanto alle due
direttive sugli appalti e sui trasferimenti nell'UE, la Commissione
ritiene che si sono dimostrate in linea di massima adeguate allo scopo e che
non è necessaria alcuna modifica legislativa in questa fase, salvo porre rimedio ad un certo numero di carenze
riscontrate, nonché a differenze nel recepimento. La Commissione intende poi
perseguire il rafforzamento della sicurezza dell'approvvigionamento, il
miglioramento dell'accesso al mercato transfrontaliero per le PMI nel settore
della difesa, nonché della normazione e della valutazione
della conformità. La Commissione ravvisa infine la necessità di rafforzare
la coerenza e le sinergie tra le questioni di difesa e altri pertinenti settori
e politiche dell'Unione, in modo da sfruttare appieno il valore aggiunto
dell'UE.
La Commissione istituirà poi, in stretta collaborazione con gli Stati membri e l'Alto rappresentante, che agirà anche nella sua veste di capo dell'EDA, un gruppo direttivo di attuazione che si riunirà periodicamente per monitorare e agevolare i progressi relativi alle diverse azioni. Verrà inoltre istituito un forum consultivo con l'industria europea della difesa per un migliore allineamento dell'offerta e della domanda.
La Commissione quantifica il fatturato annuo dell'industria della difesa europea in 100 miliardi di euro, con 1,4 milioni di persone direttamente o indirettamente impiegate.
È noto che l'Europa, intesa come somma degli Stati membri, detiene, anche senza il Regno Unito, il secondo posto al mondo per la spesa militare dopo gli Stati Uniti, per quanto notevolmente distaccata.
I
principali centri di spesa per la difesa nel mondo (confronto 2012-2016)
Grafico: European Union Institute for Security Studies, marzo 2017. Dati: IISS Military Balance 2013-2017
Alcuni fattori, però, ne ridimensionano notevolmente la portata: da un lato, è una spesa particolarmente inefficiente, caratterizzata da duplicazioni e mancanza di interoperabilità, oltre che da divari tecnologici. Dall'altro, negli ultimi anni in Europa i bilanci della difesa hanno sofferto consistenti tagli, soprattutto nell'ambito degli investimenti, mentre altri importanti paesi li hanno incrementati in misura molto significativa: nel 2015 gli investimenti statunitensi nella difesa rappresentavano oltre il doppio della spesa totale degli Stati membri dell'UE nel settore, la Cina ha aumentato il proprio bilancio della difesa del 150% negli ultimi dieci anni e, nel 2015, la Russia ha investito il 5,4% del suo PIL nella difesa. Tra il 2005 e il 2015 - nonostante un'inversione di tendenza finale - la spesa per la difesa dell'UE 27 (Stati EDA, ossia i 28 meno la Danimarca) si è ridotta di quasi l'11%, fino a raggiungere l'importo complessivo di 200 miliardi di euro e la relativa quota del PIL è scesa al minimo storico dell'1,4%.
Prevedibili sono le implicazioni su di un settore che vive di programmi di sviluppo delle capacità finanziati dagli Stati. La Commissione ritiene che, senza investimenti duraturi nella difesa, l'industria europea rischi di non disporre delle capacità tecnologiche per costruire la prossima generazione di capacità critiche di difesa, ciò che inciderà negativamente sull'autonomia strategica dell'Unione e sulla sua capacità di agire come garante della sicurezza.
C'è poi il grave problema della frammentazione degli approvigionamenti e dei mercati, con correlata duplicazione delle capacità, delle strutture e dei costi: nel 2014 gli approvvigionamenti collaborativi di materiali rappresentavano solo il 22% del totale, ben lontano dall'obiettivo del 35% fissato in sede EDA, anche a motivo del fatto che la contrazione dei bilanci della difesa ha portato ciascuno Stato, invece che a razionalizzazione la spesa aumentando la cooperazione, a difendere la propria industria aumentando la nazionalizzazione. Ancora minore è la percentuale di spesa collaborativa nell'ambito della ricerca e tecnologia, che nel 2014 ammontava soltanto al 9,2%.
La
percentuale di spesa per approvvigionamenti nazionali e collaborativi (membri
EDA) dal 2006 al 2014
Blu scuro: nazionali - Blu chiaro: collaborativi in ambito europeo - Celeste: altre collaborazioni
Agenzia europea per la difesa, 2016
Nel 2013 il Parlamento europeo ha realizzato uno studio[6], tuttora ampiamente citato, con il quale si stimava che il costo della non Europa nel settore della difesa potrebbe oscillare da un minimo di 26 a un massimo di 130 miliardi di euro (a prezzi 2011). La cifra esatta è sicuramente difficile da quantificare, ma si noti che, anche prendendo a riferimento il livello minimo tra i due, una difesa comune libererebbe risorse maggiori rispetto all'intero bilancio della difesa italiano.
Come già rilevato (v. supra), i rapporti con la
NATO, e in particolare l'attuazione della Dichiarazione congiunta firmata a Varsavia, il 6 luglio 2016, dai Presidenti
del Consiglio europeo e della Commissione, Tusk e Juncker, e dal Segretario
Generale dell'Alleanza Atlantica Stoltenberg, costituiscono, insieme al Piano
d'azione in materia di difesa e al Piano di attuazione della
nuova Strategia globale, uno dei tre pilastri sui quali si incentra il rilancio
e il potenziamento della Politica di sicurezza e di difesa dell'Unione.
Preceduta dalle Conclusioni del Consiglio europeo del 28 giugno 2016, nella quali si chiedeva un ulteriore rafforzamento delle relazioni UE-NATO, alla luce degli obiettivi e valori comuni e delle sfide senza precedenti cui sono chiamate a confrontarsi le due organizzazioni, la Dichiarazione del 6 luglio ha conferito un nuovo impulso ai rapporti tra le istituzioni, focalizzandosi in particolare sui settori del contrasto alle minacce ibride; della cooperazione operativa anche in mare - estesa, conformemente alle conclusioni del Consiglio del novembre 2016, all'azione di contenimento dei flussi migratori irregolari -; della cybersicurezza e difesa; della capacità di difesa; dell'industria della difesa e ricerca; desse esercitazioni; del sostegno agli sforzi volti a sviluppare le capacità dei partner nei Balcani occidentali; del vicinato orientale e meridionale e del rafforzamento della relativa resilienza.
Nelle sue Conclusioni
sull'attuazione della Dichiarazione congiunta, adottate lo scorso 6 dicembre,
il Consiglio ha espresso il suo compiacimento per "i progressi conseguiti
nella promozione delle relazioni UE-NATO [...] anche nell'attuare e rendere
operative procedure e tabelle di marcia parallele per l'interazione nel
contrasto delle minacce ibride; nel rafforzare la cooperazione e il
coordinamento operativi su questioni marittime anche tra EUNAVFOR MED Sophia e
l'operazione "Sea Guardian" nel Mediterraneo quanto all'attuazione
dei loro mandati, basandosi sulla cooperazione efficiente tra l'UE e la NATO
nell'Egeo; nello sviluppare esercitazioni parallele e coordinate nonché nel
settore della comunicazione strategica al fine di rafforzare la
resilienza".
Al fine di consolidare tali progressi e assicurarne di
ulteriori in tutti gli ambiti elencati nella Dichiarazione congiunta, il
Consiglio ha altresì approvato un insieme di proposte, allegate alle
Conclusioni, che sono state altresì sottoposte al Consiglio del Nord Atlantico,
secondo una procedura parallela.
Esse includono, tra l'altro:
- Per quanto concerne le minacce ibride, una serie di misure specifiche volte a garantire uno scambio sistematico di informazioni nelle fasi di crisi, lo sviluppo di un sistema comune di analisi di tutte le forme di disinformazione e l'avvio di una cooperazione strutturata per sostenere i Paesi terzi e rafforzarne la resilienza;
- In tema di cooperazione operativa, specie in ambito marittimo, l'ulteriore potenziamento di ogni possibile forma di coordinamento, attraverso seminari ed esercitazioni;
- Nell'ambito della Cybersicurezza e della difesa, lo scambio immediato di concetti sull'integrazione degli aspetti connessi alla cyberdifesa nella programmazione e la conduzione delle rispettive missioni e operazioni;
- Per lo sviluppo delle capacità di difesa, uno sforzo comune per assicurare che le capacità sviluppate a livello multinazionale siano rese disponibili tanto per le operazioni dell'UE quanto per quelle condotte in ambito NATO.
A tali proposte vanno a sommarsene di ulteriori che toccano anche gli altri aspetti della Dichiarazione congiunta: dalle esercitazioni comuni allo scambio di personale, al rafforzamento del dialogo politico.
Nelle Conclusioni del 6 dicembre il Consiglio ha poi sottolineato come gli Stati membri dispongano di una riserva unica di forze cui possono ricorrere in vari contesti. "Lo sviluppo coerente delle capacità degli Stati membri attraverso i rispettivi processi UE e NATO contribuirà di conseguenza anche a rafforzare le capacità potenzialmente a disposizione di entrambe le organizzazioni, riconoscendone nel contempo la diversa natura e responsabilità.
Il Consiglio ha infine invitato l'Alto rappresentante, Vice presidente della Commissione e Capo dell'Agenzia europea per la difesa, "in stretta collaborazione con gli Stati membri, ad avviare immediatamente i lavori sull'attuazione dell'insieme comune di proposte, garantendone così la piena partecipazione e la trasparenza. A decorrere dalla fine di giugno 2017, dovrebbero essere presentate relazioni semestrali sull'attuazione recanti eventuali proposte di cooperazione futura".
[1] La PEV - inaugurata dalla Commissione con una comunicazione presentata l’11 marzo 2003 - si rivolge ai nuovi Stati indipendenti (Bielorussia, Moldova, Ucraina), ai paesi del Mediterraneo meridionale (Algeria, Autorità palestinese, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Libia, Marocco, Siria, Tunisia) e agli Stati del Caucaso (Armenia, Azerbaigian e Georgia).
[2] Per le questioni relative ai fenomeni migratori provenienti dal sud del mediterraneo e Medio Oriente si rinvia alla scheda relativa al Workshop 1 “La politica migratoria della dell’UE nel 2017 ed oltre” del presente dossier.
[3] In materia si veda anche la nota n. 98, elaborata dal Servizio Studi del Senato
[4] In attuazione delle conclusioni del Consiglio europeo del 19-20 dicembre 2013.
[5] Nel periodo 2010-2014 gli Stati membri dell'EDA hanno investito in media il 19,6% della spesa totale per i materiali in progetti collaborativi, ossia un importo di 7,56 miliardi di EUR all'anno, inferiore di 5,84 miliardi di EUR all'anno rispetto all'obiettivo concordato.