Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
| |
---|---|
Autore: | Ufficio Rapporti con l'Unione Europea |
Titolo: | Riunione dei Presidenti delle Commissioni competenti in materia di affari sociali |
Serie: | Documentazione per le Commissioni - Riunioni interparlamentari Numero: 81 |
Data: | 20/03/2017 |
Documentazione per le Commissioni
RIUNIONE INTERPARLAMENTARI
Riunione dei Presidenti delle Commissioni competenti in materia di affari sociali
Malta, 23-24 marzo 2017
Senato della Repubblica Servizio Studi Dossier europei n. 59 |
Camera dei deputati Ufficio Rapporti con l’Unione europea n. 81 |
Servizio Studi
Tel.
06 6706-2451 - studi1@senato.it - @SR_Studi
Dossier europei n. 59
Ufficio rapporti con l’Unione europea
Tel. 06-6760-2145 - cdrue@camera.it
Dossier n. 81
La documentazione dei Servizi e degli Uffici del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. Si declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte.
INDICE
Ordine del giorno
Sessione I - Povertà ed esclusione sociale: verso un’ Europa più inclusiva (a cura della Camera)
L’impatto della disoccupazione
Le iniziative dell’Unione europea: il Pilastro dei diritti sociali
Il rapporto Bertelsmann Stiftung
La normativa italiana in materia di contrasto alla povertà e all'esclusione sociale
La legge quadro n. 328/2000 e il RMI
Sessione III: fare il punto sulle politiche di Europa 2020 e la via da seguire (a cura della Camera)
La background note predisposta dalla Presidenza maltese propone i seguenti quesiti, da sviluppare nel corso del dibattito:
· che cosa rende una persona povera e socialmente esclusa?
· Qual è il rapporto tra povertà e disuguaglianza economica?
· Quale ruolo possono svolgere i Parlamenti nazionali e il Parlamento europeo nel promuovere l'inclusione sociale, rispettivamente a livello nazionale ed europeo?
Secondo gli ultimi dati Eurostat, nel 2015 (ultimo dato disponibile) circa 119 milioni di persone (pari al 23,7% della popolazione totale dell'Unione Europea (UE) erano a rischio di povertà o esclusione sociale, ovvero si trovavano in almeno una delle seguenti tre condizioni:
· a rischio
di povertà dopo i trasferimenti sociali (reddito equivalente netto
inferiore al 60 per cento di quello medio nazionale);
· gravemente deprivati dal punto di vista materiale (almeno 4 dei seguenti 9 sintomi di deprivazione: mancanza di telefono – incluso il cellulare, tv a colori, lavatrice, automobile; impedimenti nel consumare un pasto a base di carne o pesce ogni due giorni; svolgere una vacanza di almeno una settimana fuori casa nell’anno di riferimento; pagare regolarmente rate di mutui o affitto; mantenere l’appartamento riscaldato; fronteggiare spese inaspettate);
· che vivono in famiglie a bassa intensità lavorativa (i componenti in età da lavoro – 18-59 anni - hanno lavorato, nell’anno precedente la rilevazione, meno del 20% del loro potenziale, misurato in termini di mesi lavorati in rapporto ai mesi complessivi dell’anno).
Dopo tre aumenti consecutivi tra il 2009 e il 2012 (fino a raggiungere quasi il 25% della popolazione totale), la percentuale di persone a rischio di povertà o di esclusione sociale nell'UE è costantemente diminuita fino a tornare al suo livello del 2008 (23,7%), ma nel 2015 resta comunque superiore al livello del 2009 (23,3%).
In particolare, nel 2015 più di un terzo della popolazione era a rischio di povertà o di esclusione sociale in tre Stati membri: Bulgaria (41,3%), Romania (37,3%) e Grecia (35,7%). All'estremità opposta della scala, le percentuali più basse sono state registrate nella Repubblica Ceca (14,0%), in Svezia (16,0%), nei Paesi Bassi e in Finlandia (entrambi al 16,8%), in Danimarca e in Francia (entrambi al 17,7%).
A seguito della
crisi economico-finanziaria avviatasi nel 2008, gli aumenti più consistenti
si sono registrati in Grecia (+7,6%), Cipro (+5,6%), Spagna (+4,8%) e Italia
(+3,2%). Al contrario, le diminuzioni più significative si sono
verificate in Polonia (-7,1%) e in Romania (-6,9%), seguita da Bulgaria (-3,5%)
e Lettonia (-3,3%).
Fonte: Eurostat
Il grafico che segue indica i livelli del 2014 e del 2015:
l’Italia è tra i pochi Paesi (insieme a Cipro, Lituania e Bulgaria) dove
nel 2015 aumenta il numero delle persone a rischio di povertà o di
esclusione sociale rispetto all’anno precedente (+1,9%, pari a +323 mila
unità), mentre si registra una flessione sia nella media dei 28 Paesi
dell’Unione (-2,9%), sia in Germania (-2,6%), Spagna (-1,7), Francia (-4,3) e Regno
Unito (-1,6):
Fonte: Eurostat
Guardando a ciascuno dei tre elementi che contribuiscono a determinare il rischio di povertà o di esclusione sociale, a livello UE-28 il 17,3% della popolazione erano a rischio di povertà dopo i trasferimenti sociali (colonna 1 del grafico che segue), in leggero aumento rispetto al 2014 (17,2%) e in misura più significativa rispetto al 2008 (16,5%). Per quanto riguarda i singoli Stati membri, le percentuali più elevate si registrano in Romania (25,4%), Lettonia (22,5%), Lituania (22,2%), Spagna (22,1%), Bulgaria (22,1%), Estonia (21,6%), Grecia (21,4%), Italia (19,9%) e Portogallo (19,5%). Al contrario, i tassi più bassi si sono registrati in Repubblica Ceca (9,7%), Paesi Bassi (12,1%), Danimarca (12,2%), Slovacchia (12,3%) e Finlandia (12,4%).
Con riferimento alla categoria delle persone gravemente deprivate dal punto di vista materiale (colonna 2 del grafico che segue), nel 2015 nella UE-28 risultano l'8,1% della popolazione, in diminuzione rispetto sia al 2014 (8,9%) sia al 2008 (8,5%). La quota varia in modo significativo tra gli Stati membri: si passa da oltre il 20% del totale della popolazione in Bulgaria (34,2%), Romania (22,7%) e Grecia (22,2%), a meno del 5% in Svezia (0,7%), Lussemburgo (2,0%) e Finlandia (2,2%).
Riguardo alla percentuale di coloro che vivono in
famiglie a bassa intensità lavorativa (colonna 3 del grafico che segue),
nel 2015, nell’UE-28, essa si attesta al 10,5% della popolazione di età
compresa tra 0-59 anni (in calo rispetto al 2014). I Paesi con le percentuali
più elevate sono la Grecia (16,8%), la Spagna (15,4%) e il Belgio (14,9%),
mentre quelli con le quote più ridotte risultano il Lussemburgo (5,7%) e la
Svezia (5,8%).
Fonte: Eurostat
Secondo i dati diffusi dall’Istat il 6 dicembre 2016, il Mezzogiorno d’Italia è ancora l'area più esposta: nel 2015 la stima delle persone a rischio povertà sale al 46,4%, dal 45,6% dell'anno precedente. La quota è in aumento anche al Centro (da 22,1% a 24%) ma riguarda meno di un quarto delle persone, mentre al Nord si registra un calo dal 17,9% al 17,4%.
Le
persone che vivono in famiglie con cinque o più componenti sono quelle più
a rischio di povertà o di esclusione sociale: passano al 43,7% del 2015 dal
40,2% del 2014, ma la quota sale al 48,3% (da 39,4%) se si tratta di coppie con
tre o più figli e raggiunge il 51,2% (da 42,8%) nelle famiglie con tre o più
minori.
In Italia, un terzo dei bambini con meno di 16 anni è a
rischio di povertà o di esclusione sociale (33,4%, pari a 3,1 milioni),
valore superiore di quasi 7 punti percentuali a quello della media dell’Unione
europea (26,6%). Solo quattro Paesi registrano un tasso di povertà infantile
più elevato - Romania (46%), Bulgaria
(43,1%), Grecia (36,6%) e Ungheria (35,5%) -
mentre si trovano in questa condizione solo 13,3 bambini su 100 in Svezia e
18,6 in Germania. Merita segnalare che il tasso di povertà infantile in
Italia aumenta di un punto e mezzo rispetto al 2014 e di oltre 5 punti nei
confronti del 2008, mentre nella media EU-28 si registra nel 2015 una
variazione tendenziale di quasi un punto e un modesto aumento rispetto al 2008
(+0,5%).
La disoccupazione di lungo periodo può portare alla povertà e all'esclusione sociale. Essa rende inoltre più probabile che i bambini delle famiglie di disoccupati diventino poveri a loro volta, poiché è stato dimostrato che tra i figli dei disoccupati i risultati scolastici sono peggiori. Trovare un posto di lavoro permetterebbe di uscire dalla povertà sia ai lavoratori interessati che alle loro famiglie, dal momento che la metà delle persone che trovano un impiego sfugge al rischio di povertà.
Tasso di
disoccupazione di lunga durata (%) in rapporto al numero di disoccupati
|
2008 |
2015 |
UE-28 |
36,9 |
48,1 |
EA-19 |
38,5 |
51,2 |
Germania |
51,8 |
43,6 |
Spagna |
18,0 |
51,6 |
Francia |
46,6 |
42,6 |
Italia |
45,2 |
58,1 |
Fonte: Eurostat
Tasso di disoccupazione di lunga durata (%) in rapporto al numero della popolazione attiva
|
2008 |
2015 |
UE-28 |
2,6 |
4,5 |
EA-19 |
2,9 |
5,5 |
Germaniaa |
2,4 |
2,3 |
Spagna |
2,0 |
11,4 |
Francia |
2,6 |
4,3 |
Italia |
3,0 |
6,9 |
Fonte: Eurostat
|
In questo contesto, il 15 febbraio 2016 il Consiglio dell’UE ha adottato una Raccomandazione (GU C 67 del 20 febbraio 2016) sull’inserimento dei disoccupati di lungo periodo, che definisce azioni specifiche per rafforzare il sostegno personalizzato a favore dei disoccupati di lungo periodo, attuato a cura dei servizi sociali e per l'impiego. Sostanzialmente raccomanda agli Stati membri: di sostenere la registrazione delle persone in cerca di lavoro e dare un maggiore orientamento al mercato del lavoro delle misure di inserimento, tra l’altro tramite un più stretto legame con i datori di lavoro; di fornire una valutazione individuale ai disoccupati di lungo periodo; di offrire un accordo di inserimento lavorativo specifico quando i disoccupati abbiano raggiunto al più tardi i 18 mesi di disoccupazione. Per «accordo di inserimento lavorativo» si intende un accordo scritto tra un disoccupato di lungo periodo registrato e un punto di contatto unico avente l’obiettivo di facilitare la transizione dell’interessato verso l’occupazione sul mercato del lavoro.
Il
20 febbraio 2013, la Commissione europea ha presentato il cosiddetto “Pacchetto
Investimenti sociali”, mediante il quale ha fornito agli Stati membri precise
indicazioni per ri-orientare la
spesa
sociale, partendo dal presupposto che, di fronte ai dati appena riportati, sia
“necessario modernizzare le politiche sociali al fine di ottimizzare la
loro efficacia, la loro efficienza e le rispettive modalità di finanziamento”.
Ad avviso della Commissione, la modernizzazione delle politiche sociali presuppone che gli Stati adottino misure di inclusione attiva, grazie all’interazione tra tre tipologie di interventi integrati: un adeguato sostegno al reddito; un mercato del lavoro più inclusivo; l’accesso a servizi di qualità. In questo modo, le persone potranno, nella misura delle loro capacità, partecipare attivamente alla società e all’economia.
I servizi e le prestazioni individualizzati e integrati (ad esempio, forniti attraverso sportelli unici) possono aumentare l’efficacia delle politiche sociali, mentre procedure semplificate possono aiutare le persone in condizioni di necessità ad ottenere più facilmente prestazioni e servizi ed evitare la sovrapposizione dei regimi e delle spese.
Infine, occorre che sia maggiormente valorizzato il ruolo delle imprese sociali e del terzo settore, i quali possono integrare lo sforzo pubblico e compiere un’opera pionieristica nella creazione di nuovi servizi e di nuovi mercati per i cittadini e per le amministrazioni pubbliche.
Dando seguito agli impegni annunciati
dal presidente della Commissione europea, Juncker, nel suo discorso sullo stato dell'Unione del 9 settembre 2015, l'8 marzo 2016 la Commissione europea ha presentato una Comunicazione dal titolo
"Avvio di una consultazione su un pilastro europeo dei diritti
sociali" (COM(2016)127),
corredata, in allegato, da una prima stesura di massima del pilastro stesso, volta ad agevolare il dibattito
pubblico.
La comunicazione stata esaminata dalla Commissione XI (Lavoro pubblico e privato) della Camera dei deputati, che il 21 dicembre 2016 hanno approvato un documento finale.
Il progetto di pilastro si articola in tre rubriche principali:
· pari opportunità e pari accesso al mercato del lavoro;
· condizioni di lavoro eque per creare un equilibrio adeguato tra gli elementi di flessibilità e quelli di sicurezza;
· protezione sociale adeguata e sostenibile.
La procedura di consultazione lanciata con la comunicazione si propone a sua volta tre obiettivi principali:
· procedere a una valutazione dell'attuale acquis dell'UE, con la finalità di determinare in quale misura i diritti esistenti siano esercitati e conservino rilevanza rispetto alle sfide presenti e future;
· riflettere sulle nuove tendenze nei modelli del lavoro e della società, e sul loro legame con l'impatto delle tendenze demografiche e delle nuove tecnologie;
· raccogliere opinioni e osservazioni che consentano di discutere campo di applicazione e contenuto del pilastro sociale, nonché il suo ruolo in quanto parte della dimensione sociale dell'UEM.
Il processo consultivo si è concluso il 31 dicembre 2016 e fornisce le basi per una proposta definitiva da parte della Commissione, che dovrebbe intervenire nei primi mesi del 2017.
In particolare, in tema di protezione sociale, il pilastro prevede, tra le altre cose, che:
1. le pensioni assicurino a ogni persona un livello di vita dignitoso all'età pensionabile, correlando l'età pensionabile alla speranza di vita ed evitando l'uscita precoce della forza lavoro;
2. le azioni a sostegno dei disoccupati prevedano l'obbligo della ricerca attiva di lavoro, unitamente a prestazioni di disoccupazione adeguate;
3. sia assicurato un adeguato reddito minimo garantito a coloro che non dispongono di risorse sufficienti per un livello di vita dignitoso;
4. i soggetti in condizioni di bisogno possano accedere ad alloggi sociali o all'assistenza abitativa, e sia assicurata la protezione contro lo sgombero delle persone vulnerabili;
5. sia infine assicurato all'intera popolazione l'accesso a prezzi non eccessivi ai servizi essenziali, tra cui le comunicazioni elettroniche, l'energia, i trasporti e i servizi finanziari.
Il think tank tedesco Bertelsmann
Stiftung ha pubblicato il 10 gennaio 2017 il terzo rapporto annuale
sulla giustizia sociale in Europa (Social Justice in the EU – Index Report 2016). Come
per gli anni precedenti, il rapporto si basa sulla misurazione del Social
Justice Index, un indice composto da sei dimensioni a cui sono
attribuiti punteggi e pesi differenti in base alla loro centralità e importanza
rispetto al concetto di giustizia sociale.
Le dimensioni riguardano:
· prevenzione della povertà;
· equità nell’istruzione;
· accesso al mercato del lavoro;
· coesione sociale e non-discriminazione;
· salute;
· giustizia intergenerazionale.
Come si evince dal grafico successivo, si
confermano con i punteggi migliori i Paesi scandinavi – Svezia, Finlandia e
Danimarca – seguiti dalla Repubblica Ceca, i cui ottimi punteggi nella dimensione
della salute e della prevenzione della povertà le hanno permesso di salire
di una posizione rispetto all’anno precedente. Seguono poi Olanda, Austria e
Germania (con ottime performance nella dimensione dell’accesso al
mercato del lavoro).
Gli Stati che hanno subìto maggiormente gli effetti della crisi economico-finanziaria (Spagna, Portogallo, Grecia, Italia, Irlanda) si trovano nelle posizioni più basse insieme a Romania, Bulgaria e Ungheria. Sebbene il piccolo incremento nell’indice di giustizia sociale sia stato registrato anche in questi Paesi, tutti gli indicatori misurati presentano punteggi decisamente più bassi della media.
Nonostante il miglioramento generale, quasi nessun Paese dell’Unione Europea è comunque riuscito a tornare ai livelli di benessere e giustizia sociale precedenti la crisi: solo Repubblica Ceca, Germania, Lussemburgo, Regno Unito e Polonia mostrano un piccolo miglioramento rispetto al 2008.
Indipendentemente dal posizionamento nella classifica, tutti i Paesi membri dell’Unione Europea presentano alcune criticità che riguardano in particolare il mercato del lavoro, cioè quella dimensione che nell’ultimo anno ha trainato la crescita della giustizia sociale in Europa. In primo luogo, la segmentazione si conferma come elemento strutturale del mercato del lavoro, sempre più caratterizzato da un forte dualismo che vede da un lato lavoratori atipici e precari – quasi totalmente privi di qualsiasi tutela – e dall’altro lavoratori assunti a tempo indeterminato e provvisti di tutele contro i principali rischi (malattia, infortunio, disoccupazione, pensionamento).
Il rapporto evidenzia inoltre l’aumento dei
cosiddetti working poor, ovvero di quella parte della popolazione
che, pur avendo un lavoro a tempo pieno, è a rischio di povertà. A livello
europeo, la percentuale di “lavoratori poveri” sul totale dei lavoratori a
tempo pieno è passata dal 7% nel 2009 al 7,8% del 2015. Anche la Germania,
che ha ottimi punteggi nella dimensione del mercato del lavoro e ha visto il
suo livello di giustizia sociale salire costantemente dal 2008 nonostante la
crisi economica globale, è caratterizzata da una consistente percentuale di
lavoratori poveri (7,1%).
Gli autori del rapporto indicano alcune possibili piste da seguire per contrastare i principali problemi emersi dalla loro analisi:
· riduzione della povertà infantile e aumento del livello di equità nell’educazione (miglioramento dei servizi di istruzione a tempo pieno e della qualità dell’insegnamento nelle scuole primarie e secondarie in zone dove le famiglie residenti appartengono a gruppi a rischio);
· accesso al mercato del lavoro delle persone meno qualificate e dei giovani, anche attraverso un rafforzamento dei percorsi di orientamento professionale;
· incremento degli investimenti nel campo della ricerca e dell’energia da fonti rinnovabili.
Come si può osservare nel grafico e nella tabella successivi, la spesa per la protezione sociale (welfare) dell’Italia nel 2013 (ultimo dato disponibile) è pari al 29,8% del PIL (circa 480 miliardi di euro), e risulta dunque superiore a quella della media dei Paesi dell’Unione europea (28,6%), della Germania (29%), della Spagna (25,7%) e del Regno Unito (28,1%), mentre è nettamente inferiore a quella della Francia (33,7%). Considerando tutti i Paesi europei, l’Italia si colloca al settimo posto per spesa calcolata come percentuale del PIL:
La spesa complessiva per il
welfare, come percentuale del PIL, aumenta in tutti i Paesi europei
a causa della crisi economica dal 2008 al 2013, con la variazione più
alta della Spagna (oltre 4 punti percentuali) e quella più bassa del
Regno Unito (meno di 2 punti), mentre l’Italia si colloca intorno alla
media europea con un aumento di circa 3 punti:
L’85,6% della spesa italiana per il welfare è
concentrata in due aree d’intervento: pensioni (57,6%) e salute
(malattia e disabilità, 28%). Di conseguenza per le altre spese (esclusi i
costi
amministrativi),
rimane il 10,5%, mentre gli altri grandi Paesi dedicano a queste voci dal 20,3%
del Regno Unito al 17,3% della Germania e della media europea:
In Italia la spesa per la malattia, l’invalidità e le pensioni (anche quelle per i superstiti) è, nel periodo 2000- 2013, la più elevata insieme a quella della Francia e aumenta di quasi tre punti percentuali durante il periodo di crisi (dal 2008 al 2013), mentre quella per la famiglia, i figli, la disoccupazione, l’abitazione e l’inclusione sociale è sempre più bassa nel confronto con gli altri grandi Paesi europei e durante la crisi aumenta solo di meno di un punto percentuale:
Secondo le indicazioni della background note predisposta dalla Presidenza maltese per la seconda sessione, il dibattito dovrebbe incentrarsi sui seguenti quesiti:
· quali misure sono state utilizzate nel vostro Paese per combattere la povertà e esclusione sociale?
· Quali strumenti hanno dimostrato di essere più efficaci?
· Ci sono delle esperienze particolari che possono essere condivise con gli altri gli Stati membri al fine di promuovere una società più giusta e inclusiva?
L'ordinamento italiano prende in
considerazione i problemi della povertà e dell'esclusione sociale a molti
livelli, a cominciare dal livello costituzionale.
La nostra Costituzione si occupa di questi temi soprattutto nella sua Parte I (Diritti e doveri dei cittadini), Titolo III (Rapporti economici ), articolo 38, primo comma, dove si afferma che <<ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale>>. Nei successivi commi secondo e terzo del citato articolo 38, la Costituzione fornisce alcune indicazioni in proposito, che riguardano rispettivamente <<i lavoratori>> (comma secondo) e <<gli inabili ed i minorati>>. Per i lavoratori, viene sancito il diritto a forme di previdenza e di assicurazione adeguate <<alle loro esigenze di vita>> nei casi di <<infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione volontaria>>, mentre gli inabili ed i minorati>> hanno diritto <<all'educazione e all'avviamento professionale>>. Il compito di realizzare tali obbiettivi spetta agli <<organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato>>, fermo restando che <<l'assistenza privata è libera>>.
Peraltro, la questione della povertà e dell'esclusione sociale si affaccia anche in altri articoli della Costituzione. Ad esempio, secondo l'articolo 2, la Repubblica richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale; l'articolo 3 assegna alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che <<impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese>>; l'articolo 4 riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e impegna la Repubblica << a promuove[re] le condizioni che rendano effettivo questo diritto>>; l'articolo 36 stabilisce che <<il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa>>.
Occorre rilevare, peraltro, che l'attuale ripartizione di competenze tra Stato e Regioni attribuisce la materia assistenziale alle seconde. Di conseguenza, allo Stato spetta essenzialmente la funzione di determinare i livelli essenziali delle prestazioni (come si evince anche dalla sentenza della Corte Costituzionale 11 gennaio 2010, n. 10, relativa alla c.d. social card) ed eventualmente anche i presupposti di ordine generale per la loro erogazione e per la loro revoca, mentre compete alle Regioni una più puntuale regolamentazione della materia nonché il coordinamento tra le varie misure di promozione dell’inclusione sociale.
A
livello di normativa primaria, si è registrata una sensibile crescita
dell'attenzione verso le problematiche della povertà e dell'esclusione a
partire dalla Legislatura XIII (anni 1996-2001), specie dopo che una
Commissione (c.d. Commissione Onofri) incaricata dal Governo di studiare
l'argomento ebbe concluso che l'Italia era in ritardo nella lotta
all’esclusione sociale e che in questo campo gli istituti di welfare erano
inadeguati.
Sono fondamentali, in materia, la Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali (legge 8 novembre 2000, n. 328) e la recentissima legge di Delega recante norme relative al contrasto della povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali, approvata definitivamente il 9 marzo 2017 (corrispondente all'Atto Senato 2494 e all'Atto Camera 3594).
La nozione di "servizi sociali" è definita dall'articolo 128 del decreto legislativo 31/03/1998, n. 112, recante Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59; per "servizi sociali" si intendono tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia.
La legge-quadro n. 328/2000 afferma, al suo articolo 1, comma 1, che la Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, e previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia. Ai sensi del comma 3 del medesimo articolo 1, la programmazione e l'organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali compete agli enti locali, alle regioni ed allo Stato, secondo i princìpi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza, economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell'amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare degli enti locali. Inoltre, ai fini del principio di sussidiarietà, l'articolo 5 riconosce il ruolo del Terzo Settore.
In base al comma 4 dell'articolo 1 della legge-quadro in parola, gli enti locali, le regioni e lo Stato, nell'ambito delle rispettive competenze, riconoscono e agevolano il ruolo di altri soggetti che operano nel campo degli interventi e dei servizi sociali: organismi non lucrativi di utilità sociale, organismi della cooperazione, associazioni e degli enti di promozione sociale, fondazioni, enti di patronato, organizzazioni di volontariato, enti riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese.
L'articolo 2, comma 2, della legge-quadro n. 328/2000 stabilisce che il sistema integrato di interventi e servizi sociali ha carattere di universalità. Peraltro, il successivo comma 3 dell'articolo dispone che sia dato accesso prioritario a talune categorie di soggetti: coloro che sono in condizioni di povertà, o con limitato reddito, o sono incapaci totalmente o parzialmente di provvedere alle proprie esigenze per inabilità di ordine fisico e psichico, o hanno difficoltà di inserimento nella vita sociale attiva e nel mercato del lavoro, nonché i soggetti sottoposti a provvedimenti dell'autorità giudiziaria che rendono necessari interventi assistenzialistico. Hanno diritto di usufruire delle prestazioni del sistema integrato non soltanto i cittadini italiani, ma anche i cittadini di Stati appartenenti all'Unione europea ed i loro familiari, nonché gli stranieri (questi ultimi, così come individuati dall'articolo 41 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, ovvero il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nel rispetto degli accordi internazionali, nonché con le modalità e nei limiti definiti dalle leggi regionali.
L'articolo 4 della legge stessa prescrive che il finanziamento delle politiche sociali sia plurimo, ovvero che vi concorrano enti locali, regioni e Stato, secondo competenze differenziate e con dotazioni finanziarie afferenti ai rispettivi bilanci. Ulteriori articoli della legge-quadro, dal 6 al 9, specificano le rispettive funzioni assegnate a comuni, province, regioni e Stato.
L'articolo 13 è la norma di riferimento della carta dei servizi sociali, finalizzata alla tutela delle posizioni soggettive degli utenti. La carta dei servizi sociali, infatti, definisce i criteri per l'accesso ai servizi, le modalità del relativo funzionamento, le condizioni per facilitarne le valutazioni da parte degli utenti e dei soggetti che rappresentano i loro diritti, nonché le procedure per assicurare la tutela degli utenti.
La legge 328/2000 prevede altresì particolari interventi di integrazione e sostegno sociale, tra cui progetti individuali per le persone disabili (articolo 14) e sostegno domiciliare per le persone anziane non autosufficienti (articolo 15).
Per la promozione e il raggiungimento degli obiettivi di politica sociale, esiste un apposito Fondo nazionale, di cui all'articolo 20 della legge 328/2000. La ripartizione delle risorse le risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali viene effettuata dallo Stato.
Con
l'articolo 23, la legge-quadro 8 novembre 2000, n. 328, aveva
incluso nel sistema integrato di interventi e servizi sociali da essa disegnato
anche uno strumento contro la povertà e di sostegno al reddito denominato
Reddito Minimo di Inserimento (RMI), già previsto dall'articolo 59, commi 47 e 48, della
legge finanziaria per il 1998 (legge 449/1997) e disciplinato
dal D.Lgs. 18 giugno 1998, n. 237.
Originariamente, il Reddito Minimo di Inserimento era una misura sperimentale, di carattere nazionale, che fu introdotta in trentanove Comuni italiani. La sperimentazione iniziale fu poi estesa ad un maggior numero di Comuni e ripetutamente prolungata nel tempo, dapprima con l'articolo 80 della legge finanziaria per il 2001 (L. 388/2000), poi con l'articolo 7-undecies della legge n. 43/2005 e con l'articolo 1, commi 1285 e 1286, della legge finanziaria per il 2007 (L. 296/2006).
Il RMI istituito in ambito nazionale, in linea con la Raccomandazione del Consiglio 92/441/CEE, si è configurato come un trasferimento monetario integrativo del reddito, accompagnato da interventi personalizzati volti a perseguire l'integrazione sociale e l'autonomia economica dei soggetti e delle famiglie destinatarie. La platea dei beneficiari era identificata come segue: 1) persone esposte al rischio della marginalità sociale prive di reddito, ovvero con un reddito che, tenuto conto di qualsiasi emolumento a qualunque titolo percepito e da chiunque erogato, non fosse superiore alla soglia di povertà; 2) persone impossibilitate a provvedere, per cause psichiche, fisiche e sociali, al mantenimento proprio e dei figli (in presenza di un nucleo familiare composto da due o più persone, l’articolo 6 del decreto legislativo 237/1998 rinviava anche ad una scala di equivalenza).
Attualmente, a livello nazionale, il Reddito Minimo di Inserimento non è più in vigore; tuttavia, sono subentrate altre misure di lotta alla povertà e all'esclusione sociale (come l'ASDI, la Carta acquisti e il SIA, delle quali si dirà più avanti). Esistono invece varie forme di reddito minimo a livello locale e a livello regionale. Esse si articolano in maniere diverse fra loro, si applicano in base a requisiti che variano da un caso all'altro e assumono anche nomi differenti. A livello regionale, infatti, la Valle d'Aosta prevede la Inclusione attiva e sostegno al reddito, la Lombardia il Reddito di autonomia, il Friuli-Venezia Giulia un Sostegno al reddito, l'Emilia-Romagna un Reddito di solidarietà, il Lazio un Reddito Minimo garantito, il Molise un Reddito minimo di cittadinanza, la Basilicata un Programma reddito minimo di inserimento, la Puglia un Reddito di dignità, la Sardegna un Reddito di inclusione sociale, e altre misure associabili al concetto di reddito minimo sono allo studio in altre regioni, mentre nella provincia autonoma di Trento è in vigore un Reddito di garanzia sociale, e nella provincia autonoma di Bolzano un Reddito Minimo di Inserimento. Si tenga conto, inoltre, che forme di contrasto alla povertà e all'esclusione sociale per mezzo di un reddito minimo o simili sono presenti anche negli enti locali, tra cui i Comuni di grandi città, e che le relative risorse finanziarie spesso passano attraverso lo Stato e le Regioni di appartenenza.
Venendo agli strumenti nazionali di lotta contro povertà ed esclusione sociale introdotti dopo il RMI nazionale (cui si è brevemente accennato sopra), il primo di essi (in ordine cronologico) è la Carta Acquisti, creata con decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria).
Lo scopo della Carta Acquisti è dare
un sostegno a persone che si trovano in una situazione economica
particolarmente disagiata le quali siano di età superiore a 65 anni o abbiano
figli di età inferiore a 3 anni. Si tratta di una carta di pagamento
elettronica del valore di 40 euro mensili, con la quale si possono effettuare
acquisti in tutti i supermercati, negozi alimentari, farmacie e parafarmacie
abilitati al circuito Mastercard, o per pagare le bollette elettriche e del
gas, e dà diritto a sconti nei negozi convenzionati. La Carta acquisti
viene rilasciata presso gli uffici postali, a richiesta, dopo verifica del
possesso dei necessari requisiti da parte del richiedente.
Dal 2014 il beneficio della Carta Acquisti, con decreto interministeriale del 3 febbraio di tale anno, è stato esteso ai cittadini residenti negli Stati membri dell'Unione europea, ovvero familiari di cittadini italiani o comunitari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, ovvero stranieri in possesso di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, ovvero rifugiati politici o titolari di posizione sussidiaria.
L'ASDI è un assegno di disoccupazione, istituito
dal decreto legislativo 4 marzo 2015, n.
22, in via sperimentale. Tale misura
è entrata in vigore il 3 febbraio 2016 e, essendo destinata a chi abbia
esaurito l'indennità di disoccupazione NASPI, la quale è di recente creazione a
sua volta, si prevede andrà a regime verso la metà del 2017. L'assegno ASDI
viene erogato mensilmente per un periodo limitato, vale a dire per sei mesi al
massimo. Tale assegno di disoccupazione, pensato per coloro che, dopo aver
percepito l'indennità di disoccupazione NASPI (Nuova prestazione di
Assicurazione Sociale Per l'Impiego), non hanno trovato un nuovo impiego e si
trovano in una condizione di particolare disagio economico, è riservato ai
disoccupati appartenenti a nuclei familiari in cui sia presente almeno un
minorenne o a coloro che hanno già compiuto 55 anni e non hanno ancora maturato
i requisiti per il pensionamento. Pertanto, l'ASDI è uno strumento di
taglio nettamente categoriale e non universalistico.
Per ottenere l'ASDI, che viene concesso a richiesta, il richiedente deve essere in possesso di una attestazione ISEE in corso di validità, dalla quale risulti un valore dell'indicatore pari o inferiore a 5 mila euro, e deve sottoscrivere un patto di servizio personalizzato presso i competenti centri per l'impiego, con specifici impegni; tali impegni consistono nella ricerca attiva di lavoro, nella disponibilità a partecipare ad iniziative di orientamento e formazione, nell'accettazione di adeguate proposte di lavoro. La partecipazione alle iniziative è obbligatoria, pena la perdita del beneficio (come stabilito dal decreto legislativo n. 150/2015, Disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 10 dicembre 2014, n. 183).
Ai sensi dall'articolo 43, comma 5, del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148, il finanziamento delle prestazioni ASDI proseguirà fino all'anno 2019 e oltre.
Il SIA,
acronimo di Sostegno per l'Inclusione Attiva, è un progetto di lotta alla
povertà caratterizzato dalla partecipazione diretta dei beneficiari, rivolto ai
nuclei familiari bisognosi nei quali almeno un componente sia minorenne oppure
sia presente un figlio disabile o una donna in stato di gravidanza accertata.
Il SIA fu avviato in forma sperimentale tra il 2012 e il 2013 in una
dozzina di grandi città e poi riformato ed esteso a tutto il territorio
nazionale dalla legge di stabilità per il 2016,
articolo 1, comma 387 e dal decreto interministeriale 26 maggio
2016 (Avvio del Sostegno per l'Inclusione Attiva -SIA- su
tutto il territorio nazionale). Il richiedente deve essere cittadino
italiano o comunitario o suo familiare titolare del diritto di soggiorno o del
diritto di soggiorno permanente, ovvero cittadino straniero in possesso del
permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, e deve essere
residente in Italia da almeno due anni. Il nucleo familiare può consistere
anche di un solo membro.
Per godere del beneficio, i componenti dei nuclei familiari interessati devono aderire ad un progetto personalizzato di attivazione sociale e lavorativa, costruito insieme ai servizi sociali comunali, in rete con altri servizi del territorio (quali centri per l'impiego, servizi sanitari, scuole), con l'obbiettivo finale di superare la condizione di povertà e raggiungere gradualmente una condizione di autonomia socio-economica. In base all'articolo 7 del decreto interministeriale 10 gennaio 2013, i beneficiari del SIA sono dunque tenuti a ricercare attivamente un lavoro e a partecipare a progetti di formazione o inclusione lavorativa, ovvero alla frequenza scolastica, e a tutelare la propria salute mediante idonei comportamenti di prevenzione e di cura. A tali condizioni, i richiedenti ricevono un beneficio economico, sotto forma di un'apposita Carta di pagamento, detta anche Carta SIA (articolo 60 del decreto legge 9 febbraio 2012, n. 5), che è distinta dalla Carta Acquisti ordinaria, pur avendo condizioni di utilizzo e funzioni molto simili all'altra. L'importo del beneficio mensile è variabile, in considerazione della numerosità del nucleo familiare, e va da 80 euro per i nuclei aventi un solo membro a 400 euro se i membri sono più di quattro.
Tra i requisiti economici e patrimoniali necessari per accedere al SIA, vi sono: un reddito ISEE inferiore o pari a tremila euro; l'assenza di beni durevoli di valore (ivi compresi gli autoveicoli); non essere già beneficiari di strumenti di sostegno al reddito dei disoccupati, quali NASPI o ASDI, o altri ancora; non essere già percettori di altri trattamenti economici previdenziali, indennitari e assistenziali il cui valore sia pari o superiore a 600 euro mensili.
Le risorse messe a disposizione del SIA per l'anno 2016 sono arrivate da canali diversi e, in totale, ammontavano a 750 milioni di euro (di cui 380 milioni previsti dalla legge n. 208/2015, vale a dire la legge di stabilità per il 2016, commi 386-388).
Si tenga conto infine che il SIA, nella sua versione rinnovata dalla legge di stabilità per il 2016 e dal decreto interministeriale 26 maggio 2016, ha rappresentato una sorta di "misura ponte" in attesa del completamento del cammino parlamentare nel frattempo intrapreso da una legge delega per il contrasto alla povertà, la quale è stata approvata definitivamente il 9 marzo 2017, di cui si dirà nel prossimo paragrafo.
Il 9 marzo 2017 il Senato ha approvato definitivamente l'A.S. 2494 (corrispondente all'Atto Camera 3594, che l'assemblea di Montecitorio aveva approvato il 14 luglio 2016), Delega recante norme relative al contrasto della povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali, che pertanto diventa legge, di prossima pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale[1]. Si tratta di un disegno di legge di delega, collegato alla manovra di finanza pubblica (legge di stabilità per il 2016). Tale delega deve essere esercitata entro sei mesi dalla data dell'entrata in vigore (che al momento non è precisabile, dato che la nuova legge non è ancora stata pubblicata), per mezzo di uno o più decreti legislativi.
Le finalità generali della delega, esposte dal comma 1 dell'articolo 1 (unico) dell'A.S. 2494, sono: il concorso a rimuovere gli ostacoli economici e sociali che limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini e il pieno sviluppo della persona; il contrasto della povertà e dell’esclusione sociale; l'ampliamento delle protezioni fornite dal sistema delle politiche sociali, in modo da renderlo più adeguato rispetto ai bisogni emergenti e più equo e omogeneo nell’accesso alle prestazioni.
Gli oggetti della delega sono indicati dal medesimo comma 1 dell'articolo 1, lettere a), b) e c). La lettera a) prevede l'introduzione di una misura denominata reddito di inclusione, individuata come livello essenziale delle prestazioni da garantire uniformemente in tutto il territorio nazionale, per contrastare la povertà e l’esclusione sociale. La lettera b) prefigura il riordino delle prestazioni di natura assistenziale intese al contrasto della povertà, con esclusione però delle prestazioni quelle rivolte alla fascia di popolazione anziana non più in età di attivazione lavorativa, delle prestazioni a sostegno della genitorialità e di quelle legate alla condizione di disabilità e di invalidità del beneficiario; pertanto, sono esclusi interventi sulle pensioni in favore dei superstiti e sulle integrazioni al minimo dei trattamenti pensionistici. La lettera c) prescrive il rafforzamento del coordinamento degli interventi in materia di servizi sociali, al fine di garantire in tutto il territorio nazionale i livelli essenziali delle prestazioni.
Il comma 2 torna sul reddito di inclusione, stabilendo che tale misura sia unica a livello nazionale, abbia carattere universale e sia condizionata alla prova dei mezzi, sulla base dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), tenendo conto dell’effettivo reddito disponibile e di indicatori della capacità di spesa. Sempre con riguardo al reddito di inclusione, il comma 2, lettera a) lo subordina all’adesione da parte del richiedente ad un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa, finalizzato all’affrancamento dalla povertà. Nelle lettere dalla b) alla h) del comma in parola sono enunciati ulteriori princìpi e criteri direttivi concernenti il reddito di inclusione, in gran parte comuni a quelli già adottati per il SIA: articolazione in un beneficio economico e in una componente di servizi alla persona, assicurati dalla rete dei servizi e degli interventi sociali, requisiti per la determinazione dei beneficiari e dei benefici, progetti personalizzati ed elaborazione di questi, e altro ancora.
I commi 3 e 4 tracciano le linee del futuro intervento legislativo del Governo, nel campo del riordino delle prestazioni di natura assistenziale intese al contrasto alla povertà (comma 3), e nel campo del rafforzamento del coordinamento degli interventi in materia di servizi sociali (comma 4).
L'attuazione della delega relativa al reddito di inclusione comporterà oneri per la finanza pubblica, a differenza delle disposizioni concernenti il riordino delle prestazioni di natura assistenziale intese al contrasto alla povertà ed il coordinamento degli interventi in materia di servizi sociali. Le risorse necessarie per il reddito di inclusione sono individuate dal comma 6 dell'A.S. 2494: si provvederà per mezzo del Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale (di cui all’articolo 1, commi 386-389, della legge di stabilità per l'anno 2016) entro i limiti di quest'ultimo, integrato dalle eventuali economie derivanti dall’attuazione del riordino delle prestazioni di natura assistenziale volte a contrastare la povertà.
In proposito, si ricorda che le risorse
del Fondo in questione, originariamente stabilite dal comma 386
dell'articolo 1 della legge di stabilità per l'anno 2016, sono state
incrementate dalla legge
di bilancio per il 2017, articolo 1, comma 238, che le ha portate a 1.030
milioni di euro per il 2017 e a 1.054 milioni annui a decorrere dal 2018, e
sono destinate a garantire l'attuazione di un Piano nazionale per la lotta
alla povertà e all'esclusione sociale. Era già previsto dalla legge di
stabilità per il 2016, articolo 1, comma 388, che negli anni successivi al
2016 le risorse per il suddetto Piano nazionale per la lotta alla povertà e
all'esclusione sociale sarebbero state impiegate per finanziare uno o più
provvedimenti legislativi di riordino della normativa in materia di
trattamenti, indennità, integrazioni di reddito e assegni di natura
assistenziale o comunque sottoposti alla prova dei mezzi, anche rivolti a
beneficiari residenti all'estero, nonché in materia di accesso alle prestazioni
sociali, finalizzati all'introduzione di un'unica misura nazionale di contrasto
alla povertà, correlata alla differenza tra il reddito familiare del
beneficiario e la soglia di povertà assoluta, e alla razionalizzazione degli
strumenti e dei trattamenti esistenti.
Il Piano nazionale di cui sopra è previsto dal comma 386 dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2016. Tale Piano è adottato con cadenza triennale, mediante decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza unificata Stato-regioni-province autonome-città ed autonomie locali, e deve individuare una progressione graduale (nei limiti delle risorse disponibili) nel raggiungimento di livelli essenziali delle prestazioni assistenziali da garantire.
Il fenomeno della povertà estrema, che è strettamente legato al concetto di esclusione sociale, è oggetto di specifica attenzione, con particolare riferimento alle persone senza dimora (che, secondo stime pubblicate nel dicembre 2015, sarebbero circa 50 mila, presenti soprattutto nelle grandi città).
Per queste situazioni, il 5 novembre 2015 sono state approvate in Conferenza Unificata le Linee di indirizzo per il contrasto alla grave emarginazione adulta in Italia, il primo documento ufficiale di programmazione nel settore della grave marginalità che Governo, Regioni ed Enti Locali sono chiamati a seguire per investire fondi pubblici in servizi e strategie abitative innovative.
Il documento, -frutto di un lavoro condiviso tra vari soggetti, partendo dal basso- raccoglie le migliori esperienze locali, nazionali ed europee in questo campo. Le linee di indirizzo costituiscono anche il riferimento per progettare gli interventi finanziati grazie ai programmi comunitari, il PON inclusione e il Programma Operativo I FEAD relativo al Fondo di aiuti europei agli indigenti[2] (dei quali si riparlerà più avanti) , che a tale scopo mettono a disposizione complessivamente 100 milioni di euro per l'intero periodo di programmazione 2014-2020. L'Avviso pubblico n. 4 del 3 ottobre 2016 per la presentazione di proposte di intervento in materia stanzia i primi 50 milioni di euro, destinati a progetti da realizzare nel periodo 2016-2019. Tali risorse saranno ripartite tra gli Enti territoriali che presentano una concentrazione del fenomeno particolarmente rilevante.
Le azioni italiane di contrasto alla povertà e all'esclusione sociale si avvalgono anche di programmi comunitari, come si è avuto modo di accennare.
Il 3 agosto 2008 la Commissione Europea ha adottato una Raccomandazione sull'inclusione attiva (n. 2008/867/CE) e nel 2010 l'Unione Europea ha varato una strategia di crescita che ha inserito la lotta alla povertà e all'esclusione sociale tra gli obiettivi della politica degli Stati membri.
In tale contesto, per il periodo 2014-2020 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali è titolare per l'Italia di due programmi operativi che intervengono in sinergia con le istituzioni comunitarie: il Programma Operativo Nazionale (PON) Inclusione, cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo (FSE), e il Programma Operativo FEAD, cofinanziato dal Fondo europeo di aiuti agli indigenti.
Il suddetto PON persegue i seguenti obbiettivi: sostegno a persone in povertà e marginalità estrema (Assi 1 e 2, con risorse di poco più di un miliardo di euro), sistemi e modelli di intervento sociale (Asse 3, con risorse di circa 100 milioni di euro), capacità amministrativa (Asse 4, poco più di 10 milioni di euro), assistenza tecnica (Asse 5, budget di 53 milioni di euro).
Il Programma Operativo I relativo al Fondo di aiuti europei agli indigenti (FEAD), stanzia per il periodo 2014-2020 circa 789 milioni di euro per attuare sul territorio nazionale una serie di interventi a favore di persone in condizioni di grave deprivazione materiale.
In Italia il FEAD finanzia principalmente l'acquisto e distribuzione di beni alimentari. Ulteriori interventi riguardano la fornitura di materiale scolastico a ragazzi appartenenti a famiglie disagiate, l'attivazione di mense scolastiche in aree territoriali con forte disagio socio-economico, aiuti a favore delle persone senza dimora e in condizioni di marginalità estrema.
La background note predisposta dalla Presidenza maltese propone i seguenti quesiti, da sviluppare nel corso del dibattito:
· i Capi di Stato e di governo dell’UE si sono impegnati a liberare almeno 20 milioni di persone dalla povertà e dell'esclusione sociale nel prossimo decennio. Come possono gli Stati membri tradurre questa finalità in obiettivi nazionali, e quale ruolo possono avere i Parlamenti nazionali nel raggiungimento di tali obiettivi?
· Le politiche di occupazione e istruzione possono essere strumenti sufficienti per combattere la povertà e l'esclusione sociale?
· Quali altre politiche possono contribuire alla riduzione della povertà e dell'esclusione sociale?
· Quali strategie possono risultare più efficaci per promuovere un mercato del lavoro caratterizzato da un’elevata partecipazione delle donne e dei giovani?
· Quali strumenti si possono mettere in atto per combattere l'esclusione abitativa e garantire l'accesso universale alle cure di qualità?
· I fondi strutturali dell’UE possono essere utilizzati più efficacemente per perseguire le priorità sociali della strategia Europa 2020?
La Strategia Europa 2020,
che delinea gli obiettivi e gli strumenti dell'Unione europea e degli Stati
membri in materia di crescita e occupazione per il decennio 2011-2020,
si articola intorno a cinque obiettivi principali:
· portare al 75% il tasso di occupazione per la popolazione di età compresa tra 20 e 64 anni;
· portare al 3% del PIL la spesa per ricerca e sviluppo;
· migliorare i livelli d'istruzione, in particolare riducendo i tassi di dispersione scolastica al di sotto del 10% e aumentando la percentuale delle persone tra i 30 e i 34 anni che hanno completato l'istruzione terziaria o equivalente almeno al 40%;
· ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 20% - rispetto ai livelli del 1990;
· promuovere l'inclusione sociale, mirando a liberare almeno 20 milioni di persone dal rischio di povertà e di esclusione.
A fronte di tale impegno
programmatico, anche in conseguenza degli effetti della crisi
economico-finanziaria avviatasi nel 2008, gli Stati membri dell’UE hanno
registrato risultati parzialmente deludenti.
In particolare, per quanto riguarda l’obiettivo di riduzione della povertà, come ricordato nel primo capitolo del presente dossier, , nel 2015 circa 119 milioni di persone (pari al 23,7% della popolazione totale dell'Unione Europea (UE) erano a rischio di povertà o esclusione sociale.
Nella comunicazione presentata il 22 febbraio scorso (“Semestre europeo 2017: valutazione dei progressi in materia di riforme strutturali”), la Commissione europea sottolinea che il numero di persone a rischio di povertà o di esclusione sociale in Europa, pur rimanendo elevato, è diminuito nella maggior parte degli Stati membri man mano che migliorano le performances del mercato occupazionale. Pur avvicinandosi progressivamente al livello del 2008, anno di riferimento per il quale è stato fissato l'obiettivo di Europa 2020, questo numero supera di circa 21,7 milioni di persone l'obiettivo di Europa 2020.
Alla luce del quadro giuridico vigente, indicatori sociali quali la percentuale di popolazione a rischio povertà o il tasso di disoccupazione sono tenuti in considerazione dalla Commissione europea nell’ambito della procedura per gli squilibri macroeconomici ma – in caso di perfomances negative - non costituiscono di per sé il presupposto per un alleggerimento dei vincoli di finanza pubblica.
Occorrerebbe chiarire se nelle intenzioni della Commissione europea si intenda integrare la disciplina vigente seguendo le indicazioni contenute nel Relazione dei cinque Presidenti[3] che, tra le altre cose, prospetta, con riferimento al Semestre europeo, una maggiore concentrazione sull'occupazione e sulla performance sociale, attraverso una migliore integrazione dei mercati nazionali del lavoro, la facilitazione della mobilità professionale e geografica, un più agevole accesso all'impiego per i cittadini di altri Paesi e un miglior coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale.
[1] In questa sede, i contenuti dell'A.S. 2494 saranno illustrati sinteticamente. Per un'analisi più ampia e approfondita, si rimanda all'apposito dossier del Servizio Studi del Senato, n. 362, pubblicato ad agosto 2016.
[2] Al riguardo, si segnala che il 6 febbraio 2017 la Commissione europea ha avviato una consultazione pubblica sul FEAD, che si chiuderà il 5 maggio 2017.
[3] La relazione “Completare l’Unione economica e monetaria” (cd. relazione dei cinque Presidenti), presentata il 22 giugno 2015, è stata elaborata dal Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, in stretta collaborazione con il Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, il Presidente dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, il Presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, e l’allora Presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz. La relazione traccia un percorso di rafforzamento dell’Unione economica e monetaria, che si dovrebbe realizzare entro il 2025.