Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Ufficio Rapporti con l'Unione Europea |
Titolo: | Riunione interparlamentare organizzata dalla Commissione AFCO in materia di diritto di inchiesta del Parlamento europeo, revisione della legge elettorale europea e future evoluzioni istituzionali dell'UE - Bruxelles, 29 novembre 2016 |
Serie: | Bollettino commissioni Numero: 76 |
Data: | 25/11/2016 |
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Documentazione per le Commissioni
RIUNIONI INTERPARLAMENTARI
Riunione interparlamentare organizzata dalla Commissione AFCO in materia di diritto di inchiesta del Parlamento europeo, revisione della legge elettorale europea e future evoluzioni istituzionali dell’UE
Bruxelles, 29 novembre 2016
Senato della Repubblica Servizio Studi Dossier europei n. 43 |
Camera dei deputati Ufficio Rapporti con l’Unione europea n. 76 |
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Dossier europei n. 43
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Dossier n. 76
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INDICE
Ordine del giorno
Sessione I: Il diritto d'inchiesta del Parlamento europeo
Sessione II: La revisione della legge elettorale dell'Unione europea
Sessione III: La futura evoluzione istituzionale dell’UE
Assetto istituzionale e regole generali di funzionamento dell’UE
Consiglio europeo, Consiglio e Commissione
Rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali
Rilancio della discussione sulla difesa europea
Il diritto del
Parlamento europeo di istituire commissioni temporanee d'inchiesta per
esaminare "le denunce di infrazione o di cattiva amministrazione del
diritto comunitario" è stato elevato a diritto primario dall'art. 138C
del trattato di Maastricht, nel quale si prevedeva che le commissioni
d'inchiesta non potessero indagare su fatti pendenti dinanzi a una
giurisdizione nazionale o comunitaria e che il Parlamento dovesse negoziare con
il Consiglio e la Commissione le regole di base per le commissioni d'inchiesta.
Ciò è puntualmente avvenuto con l'adozione della decisione interistituzionale 95/176/CE, tuttora in vigore, i cui contenuti sono così sintetizzabili:
· il Parlamento europeo può in qualsiasi momento, su richiesta di almeno un quarto dei suoi membri, costituire commissioni d'inchiesta per esaminare le denunce di violazioni o cattiva applicazione del diritto comunitario;
· i membri della Commissione devono rispettare un obbligo di riservatezza;
· le audizioni devono avvenire in pubblico salvo nei casi in cui sia richiesta la riservatezza da un quarto dei membri o dalle autorità comunitarie o nazionali interessate, o se le informazioni in esame sono di natura riservata, o se richiesto dai testimoni;
· una commissione di inchiesta non può esaminare fatti di cui è causa dinanzi a una giurisdizione nazionale o comunitaria;
· la commissione d'inchiesta può chiedere la testimonianza di un'istituzione dell'Unione o di un'autorità di uno Stato membro, ma spetta a queste ultime designare il dipendente o l'agente che deve comparire;
· la commissione, se necessario per lo svolgimento dei suoi compiti, può chiedere ad altre persone di testimoniare;
· le informazioni ottenute in forma riservata non vanno rese pubbliche, specie se contengono elementi coperti da segreto o riservati o se chiamano in causa nominativamente delle persone fisiche;
· tutti i contatti con le autorità pubbliche di uno Stato membro devono avvenire per il tramite della rispettiva rappresentanza permanente.
Dalla
data di adozione della decisione interistituzionale, il Parlamento europeo ha
istituito tre commissioni d'inchiesta: TRANSIT, per indagare sulle frodi
sull'IVA e sui dazi doganali nel regime di transito comunitario (1997); ESBI
sulla gestione del morbo della mucca pazza (1997) ed EQUI sul crollo
finanziario della Equitable Life Insurance Society (2007). Dai
rispettivi lavori è emersa la necessità di rafforzare i limitati poteri
investigativi del Parlamento europeo, non in linea con un peso politico
crescente, e di accrescerne le competenze onde consentirgli di esaminare le
denunce d'infrazione o di scorretta attuazione del diritto dell'Unione.
La necessità di tale rafforzamento è stata resa ancor più stringente dall'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che ha attribuito espressamente al Parlamento europeo poteri di controllo politico (art. 14 TUE) e ha modificato la procedura per determinare il diritto secondario che disciplina l'esercizio del diritto d'inchiesta.
Più
nel dettaglio, l'art. 226 del TFUE, ribadito che è facoltà del
Parlamento europeo, su richiesta di un quarto dei suoi membri, istituire una
commissione temporanea d'inchiesta incaricata di esaminare "le denunce di
infrazione o di cattiva amministrazione nell'applicazione del diritto dell'Unione,
salvo quando i fatti di cui trattasi siano pendenti dinanzi ad una
giurisdizione e fino all'espletamento della procedura giudiziaria", attribuisce
allo stesso Parlamento, di sua iniziativa e previa approvazione del Consiglio e
della Commissione, "deliberando mediante regolamenti secondo una procedura
legislativa speciale", il compito di fissare "le modalità per
l'esercizio del diritto d'inchiesta".
Tenuto
conto della nuova procedura esplicitata dall'art. 226 del TFUE, il Parlamento
europeo, con la relazione di David Martin (A7-0352/2011), anziché modificare la
decisione interistituzionale, ha proposto un nuovo regolamento, nel quale i poteri
di indagine delle commissioni di inchiesta sono notevolmente estesi e
vengono introdotte disposizioni specifiche, tra l'altro, per:
· lo svolgimento di indagini in loco;
· le modalità di richiesta di documenti;
· l'accesso a informazioni che possano agevolare il lavoro della commissione d'inchiesta;
· le modalità con le quali audire funzionari e altri agenti dell'Unione e degli Stati membri, citare testimoni e richiedere relazioni di esperti;
· la previsione di sanzioni adeguate in caso di mancato rispetto degli obblighi sanciti dal regolamento stesso.
Votata in seduta plenaria il 23 maggio 2012, la relazione Martin cercava peraltro di raggiungere dei
compromessi che tenessero conto delle preoccupazioni espresse dal Consiglio, e
la scelta di non votare una risoluzione legislativa aveva lo scopo di demandare
la soluzione dei principali elementi di divergenza ai negoziati del trilogo.
I punti sui quali si sono concentrate le perplessità del Consiglio riguardavano in particolare:
· la portata del diritto d'inchiesta (in rapporto alle indagini affidate alla Commissione europea);
· l'eccezione per le cause pendenti dinanzi a una giurisdizione e la necessità di assicurare un pieno rispetto della dottrina della "separazione dei poteri";
· i risultati e gli effetti delle inchieste, e l'obbligo per le autorità giudiziarie nazionali di occuparsi della questione su cui ha indagato una commissione d'inchiesta;
· i mezzi di indagine e la loro natura, che conferiscono alle commissioni di inchiesta prerogative quasi comparabili a quelle di un'autorità giudiziaria;
· le modalità di accesso ai documenti, che dovrebbero tenere conto delle eccezioni derivanti dal diritto unionale e nazionale relativamente alla segretezza;
· le modalità di citazione di funzionari dell'UE e degli Stati membri, che non sembrano tenere in sufficiente considerazione le eccezioni e i limiti definiti dalle legislazioni nazionali;
· l'introduzione dell'obbligo per gli Stati membri di prevedere sanzioni penali, che andrebbe oltre la portata dell'art. 226 del TFUE.
Alle perplessità del Consiglio si sono venute ad aggiungere quelle della Commissione, espresse dal Vicepresidente Sefcovic durante la discussione in plenaria della relazione Martin, e legate sostanzialmente alla convinzione che le modifiche introdotte dall'art. 226 del TFUE riguardino solo la procedura e il tipo di atto, non il mandato di una commissione d'inchiesta, che dovrebbe rimanere uno strumento essenzialmente politico e non giuridico.
Constatata
l'impossibilità, nonostante alcuni progressi anche significativi, di concludere
i negoziati in sede di trilogo entro la fine della legislatura europea, il
Parlamento europeo, in data 16 aprile 2014, ha approvato una risoluzione legislativa - onde
evitare che la proposta di regolamento decadesse -, invitando Consiglio e
Commissione "a riprendere i negoziati con il Parlamento neoeletto tenendo
conto, al contempo, dei progressi realizzati durante i negoziati precedenti a
livello politico e durante i contatti informali a livello tecnico, in
particolare per quanto riguarda la questione della riservatezza e il
trattamento delle informazioni classificate e di altre informazioni".
Va ricordato che, con lettera del 4 aprile 2014 al Segretario Generale del Parlamento europeo, i Segretari generali del Consiglio e della Commissione avevano segnalato il sussistere di preoccupazioni giuridiche e istituzionali che avrebbero potuto rendere difficile raggiungere un accordo tra le tre istituzioni.
Il
relatore del nuovo Parlamento europeo, Jauregui Atondo, ha prodotto due
distinti documenti di lavoro sulla proposta di regolamento oggetto della
risoluzione legislativa di aprile 2014.
Nel primo documento di lavoro, del 9 gennaio 2015, ha sottolineato come "il fatto che un parlamento abbia la capacità di creare commissioni d'inchiesta con poteri reali per citare testimoni e ottenere documenti è consustanziale alla natura di una camera legislativa ed è una condizione fondamentale della separazione dei poteri in una democrazia degna di tal nome.
In considerazione di ciò, il fatto che la Commissione e il Consiglio non abbiano accettato, finora, tale proposta che amplia le competenze del Parlamento europeo e lo dota di tale facoltà fondamentale nello svolgimento delle sue funzioni, esige un chiarimento aggiornato e, se del caso, una soluzione urgente".
Il relatore si è dichiarato d'altro canto convinto che le preoccupazioni giuridiche e istituzionali segnalate dai Segretari generali di Consiglio e Commissione non debbano essere considerate alla stregua di obiezioni insuperabili, e che per ciascuna di esse - dalle comparizioni e i problemi associati alla citazione dei testimoni all'accesso ai documenti - siano possibili "soluzioni alternative e formulazioni più flessibili".
Ha pertanto suggerito di "mantenere una certa apertura per la flessibilità delle posizioni, purché sia chiaro, in ogni caso, il nuovo ruolo politico di colegislatore europeo, che comporta il potere di controllo democratico su ogni questione relativa all'applicazione errata dei trattati e, di conseguenza, implica la facoltà di indagine al livello di qualsiasi camera legislativa".
Nel secondo documento di lavoro, il relatore ha ricordato come la
Commissione (il 28 aprile 2015) e il Consiglio (il successivo 7 maggio) abbiano
risposto positivamente alla lettera loro inviata il 27 febbraio dalla
presidente della Commissione AFCO Hubner, nella quale veniva espresso il
desiderio del Parlamento neoeletto di rilanciare i negoziati.
Con una successiva lettera del presidente del COREPER, datata 3 settembre 2015, la Presidenza lussemburghese del Consiglio ha sottolineato in particolare la disponibilità del Consiglio a ingaggiare un dialogo con il Parlamento europeo, elencando in un allegato le principali preoccupazioni del Consiglio riguardo agli aspetti giuridici e istituzionali della proposta di regolamento. Tale disponibilità è stata accolta con favore dalla presidente della Commissione AFCO, nella sua risposta del 28 settembre 2015.
Sul piano procedurale, a giudizio del relatore, il Parlamento europeo, in quanto autore unico del regolamento previa approvazione di Consiglio e Commissione, ha il diritto di modificare o ritirare la propria proposta - in conformità a quanto previsto dall'articolo 293, par. 2 del TFUE per il titolare dell'iniziativa legislativa - come anche di modificare il mandato per i negoziati interistituzionali "per quanto riguarda la definizione di obiettivi, priorità o orientamenti".
Per quanto attiene alle questioni di merito, il relatore si limita a elencare le principali problematiche in sospeso sollevate dal Consiglio nella sua lettera del 3 settembre, e che attengono a: incompatibilità, natura pubblica del procedimento, trattamento riservato, svolgimento delle indagini, indagini in loco, richiesta di documenti, testimoni, funzionari e altri agenti dell'Unione e degli Stati membri e sanzioni.
Il
relatore ha infine richiesto alla commissione AFCO l'adozione di un nuovo
mandato negoziale che abbia come base il testo della risoluzione
legislativa adottata dal Parlamento il 16 aprile 2014 e le lettere del 4 aprile
2014 dei due Segretari generali di Commissione e Consiglio nonché la lettera
del presidente del COREPER del 3 settembre.
Tali negoziati "dovrebbero portare all'adozione di un nuovo testo che incorpori le parti non contestate della relazione Martin e affrontare i problemi giuridici e istituzionali sollevati in particolare dal Consiglio", formulando soluzioni che non prescindano dalla piena affermazione del nuovo ruolo politico del Parlamento in quanto colegislatore.
Nella riunione del 15 giugno 2016, la Commissione AFCO ha deciso infine di proseguire nelle discussioni con il Consiglio e con la Commissione, producendo un non paper nel quale vengono affrontare le principali preoccupazioni espresse dal Consiglio nella lettera del 3 settembre 2015 e vengono individuate possibili soluzioni che consentano progressi nel riesame della proposta di regolamento. Il non paper è stato trasmesso al Consiglio il 30 giugno, e le tre istituzioni dell'Unione hanno concordato una serie di riunioni tra i rispettivi Servizi giuridici, per valutare le varie opzioni di drafting.
Sessione II: La revisione della legge elettorale dell'Unione europea
L’11 novembre 2015, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione
sulla riforma della legge elettorale dell'Unione europea, che suggerisce un ampio ventaglio di emendamenti all'Atto
elettorale del 1976. Le proposte del Parlamento europeo sono così
sintetizzabili:
· misure volte a garantire che i partiti politici partecipanti alle elezioni osservino procedure democratiche e trasparenti nella selezione dei propri candidati, e che le liste dei candidati stessi rispettino l'uguaglianza di genere;
· misure volte ad accrescere la visibilità dei partiti politici europei, inserendo i rispettivi nomi e simboli sulle schede elettorali e, ove possibile, sui manifesti utilizzati in campagna elettorale;
· introduzione di un termine comune di dodici settimane prima della tornata elettorale per la costituzione di liste a livello nazionale;
· introduzione di una soglia obbligatoria per l'attribuzione dei seggi negli Stati membri a circoscrizione unica e nelle circoscrizioni che comprendono più di 26 seggi, compresa tra il 3% e il 5% per gli Stati membri che utilizzano lo scrutinio di lista;
· chiusura dei seggi in tutti gli Stati membri alle ore 21.00 CET la domenica delle elezioni;
· introduzione di un termine comune di dodici settimane per la nomina dei capilista da parte dei partiti politici europei;
· introduzione del diritto di voto alle elezioni europee per tutti i cittadini dell'Unione che risiedono al di fuori dell'UE;
· introduzione della possibilità di voto elettronico e via internet nonché di voto per corrispondenza;
· armonizzazione dell'età degli elettori a 16 anni quale ulteriore raccomandazione agli Stati membri.
Le
proposte del Parlamento europeo muovono dalla constatazione che, benché il
Trattato di Roma del 1957 prevedesse già la possibilità di mettere a punto una
procedura elettorale uniforme basata sul suffragio universale diretto, le
elezioni europee sono ancora sensibilmente dominate da normative elettorali
nazionali. Come osservato dai relatori Hubner e Leinen, "la distribuzione
politica dei seggi al Parlamento europeo non è determinata da un'unica elezione
europea ma da 28 elezioni nazionali che determinano i contingenti dei seggi
nazionali. Questo è in vivo contrasto con la natura del Parlamento europeo in
quanto autentico organo europeo e colegislatore su un piano di parità
nell'assetto istituzionale dell'Unione europea".
"La varietà delle visioni e degli interessi politici rappresentati in seno al Parlamento europeo", proseguono i relatori, "non è illustrata all'elettorato nella fase di preparazione delle elezioni europee. Le campagne elettorali sono condotte innanzitutto nell'arena politica nazionale e lasciano i cittadini dell'Unione all'oscuro in merito alla strategia effettiva che potrebbe risultare dal loro voto".
La designazione dei rappresentanti dei partiti politici europei candidati alla carica di Presidente della Commissione nelle elezioni del 2014 ha rappresentato un potenziale spartiacque, non sfruttato a pieno, poiché "nonostante tutti gli sforzi, tali candidati erano sconosciuti alla maggioranza dei cittadini dell'Unione, e per molti elettori anche l'affiliazione dei partiti nazionali alle rispettive famiglie politiche europee rimaneva oscura".
Dal
1976, allorché l'Atto
relativo alle elezioni europee ha aperto la strada alle prime elezioni
dirette dal Parlamento europeo, nel 1979, le disposizioni che disciplinano le
elezioni europee hanno subito un'evoluzione significativa, scandita da:
· il Trattato di Maastricht, che ha accordato al Parlamento europeo il diritto di approvare la decisione del Consiglio su una procedura uniforme e ha introdotto la possibilità di costituire partiti politici a livello europeo;
· il Trattato di Amsterdam, che ha ampliato il mandato del Parlamento europeo per una riforma della legge elettorale, prevedendo che le relative proposte non debbano necessariamente mirare a una procedura uniforme ma possano altresì definire i principi comuni che devono essere seguiti da tutti gli Stati membri;
· il Trattato di Lisbona, che ha concesso ai deputati europei lo status di "rappresentanti dei cittadini dell'Unione" anziché dei "popoli degli Stati" e ha accordato al Parlamento europeo il diritto di eleggere il Presidente della Commissione e non più semplicemente di esprimere la sua approvazione alla scelta del Consiglio europeo.
In parallelo alle modifiche introdotte dai Trattati sono stati compiuti progressi per quanto concerne le condizioni di base per l'elezione del Parlamento europeo anche attraverso il diritto secondario, e segnatamente:
· la direttiva 93/109/CE, che ha stabilito disposizioni dettagliate per l'esercizio del diritto di voto e l'eleggibilità per i cittadini dell'Unione che risiedono in uno Stato membro di cui non sono cittadini, ma che ha incontrato diversi problemi in sede di attuazione, tanto da indurre la Commissione ad aprire procedure d'infrazione nei confronti di 14 Stati membri (tra cui l'Italia);
· il regolamento (CE) n. 2004/2003, che ha stabilito le norme per la costituzione dei partiti politici europei e che prevede l'accesso a finanziamenti a titolo del bilancio generale dell'Unione europea;
· il regolamento (UE) n. 1141/2014, che entrerà in vigore nel 2017 e conferirà ai partiti politici europei personalità giuridica europea.
Per
quanto concerne l'Atto elettorale, la sua unica riforma è avvenuta nel 2002,
grazie alla decisione
2002/772/CE, che richiede agli Stati membri di tenere le elezioni a
scrutinio di lista e uninominale preferenziale con riporto di voti di tipo
proporzionale e che ha abolito il doppio mandato dei deputati al Parlamento
europeo, prevedendo altresì il diritto per gli Stati membri di costituire
circoscrizioni a livello nazionale e di introdurre una soglia nazionale non
superiore al 5%.
Le proposte approvate dal Parlamento europeo nella sua risoluzione dell'11 novembre 2015 sono state trasmesse al Consiglio, per l'avvio della procedura prevista dall'art. 223 del TFUE. Esso statuisce infatti che il Parlamento europeo elabori "un progetto volto a stabilire le disposizioni necessarie per permettere l'elezione dei suoi membri a suffragio universale diretto, secondo una procedura uniforme in tutti gli Stati membri o secondo principi comuni a tutti gli Stati membri", e che il Consiglio, "deliberando all'unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa approvazione del Parlamento europeo che si pronuncia alla maggioranza dei membri che lo compongono", stabilisca le disposizioni necessarie, le quali "entrano in vigore previa approvazione degli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali".
Il
Consiglio sta procedendo all'esame delle proposte formulate dal Parlamento
europeo a livello di Gruppo di lavoro "Affari generali".
Nell'ultima riunione, tenutasi lo scorso 4 novembre, la Presidenza slovacca
ha fatto circolare un testo che differisce in modo spesso significativo
rispetto a quello della risoluzione del Parlamento europeo. I punti sui
quali è attualmente incentrato il dibattito tra le delegazioni nazionali sono
così sintetizzabili:
· elevazione a 32 del numero minimo di seggi per l'introduzione di una soglia obbligatoria (sbarramento) tra il 3% e il 5%. Come spiegato dalla Presidenza slovacca, è infatti questa la soglia di seggi sulla base della quale a un Partito politico che superi il 3% dei suffragi è comunque garantito almeno un seggio;
· abbassamento a 4 settimane del termine minimo per la presentazione delle liste elettorali;
· attribuzione ai partiti politici nazionali del diritto di chiedere che nelle schede elettorali sia presente il nome o il logo del partito politico europeo al quale sono affiliati;
· mantenimento dell'incompatibilità al solo mandato di parlamentare nazionale, e non anche - come chiesto dal Parlamento europeo - a quello di parlamentare regionale;
· norme di dettaglio che attribuiscono in toto agli Stati membri il compito di adottare misure dissuasive contro il doppio voto e stabilire i requisiti di voto per i propri cittadini che risiedano in un Paese terzo.
Il testo all'esame del Consiglio procede inoltre a cancellare ex abrupto alcune delle proposte contenute nella risoluzione del Parlamento europeo. In particolare, viene escluso ogni richiamo al:
· rispetto da parte dei partiti politici della trasparenza, della democraticità e degli equilibri di genere nella predisposizione delle liste elettorali;
· all'obbligo per i partiti politici europei di designare i rispettivi candidati alla presidenza della Commissione europea almeno 12 settimane prima delle elezioni;
· al ricorso al voto postale.
Già immediatamente dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (1° dicembre 2009) si è avviato un articolato dibattito sulle prospettive dell’integrazione europea che negli scorsi mesi, anche in risposta alla crescente diffusione di sentimenti antieuropeisti o euroscettici, ha registrato diversi sviluppi.
Da più parti si è,
infatti, rilevato che i progressi apportati dal Trattato di Lisbona
non hanno posto l’Unione europea nelle condizioni migliori per affrontare
fenomeni nuovi e in parte imprevedibili nelle dimensioni assunte nel
contesto della globalizzazione (gestione delle crisi
economico-finanziarie e loro conseguenze sul piano sociale; gestione dei conflitti
in diversi paesi alle frontiere dell’UE e potenziamento del ruolo
dell’UE negli scenari internazionali; gestione dei flussi migratori;
recrudescenza del terrorismo e della criminalità organizzata).
Va peraltro osservato che anche i progressivi allargamenti dell’UE, con l’inclusione di nuovi Paesi membri, hanno determinato tensioni e messo alla prova il sistema delle regole e i meccanismi di funzionamento dell’UE, in particolare per le difficoltà di alcuni dei nuovi entranti[1] ad allinearsi interamente agli standard europei per quanto concerne il rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali.
In
estrema sintesi, si sono evidenziati due approcci profondamente
differenti sul tema dell’avanzamento dell’integrazione:
· per un verso, quello di chi ritiene che occorra proseguire nella direzione intrapresa con la creazione dell’Unione europea per arrivare ad una piena integrazione politica (in questi termini si pronuncia la Dichiarazione di Roma del 14 settembre 2016);
· per
altro verso, quello di chi ritiene che le condizioni oggettivamente assai
differenziate evidenziatesi in taluni ambiti inevitabilmente comportino un
maggiore ricorso allo strumento delle cooperazioni rafforzate per
creare all’interno dell’Unione aree più omogenee[2].
Allo stesso tempo,
negli scorsi anni si è accentuata la dialettica tra fautori del metodo
intergovernativo, e fautori del metodo comunitario, ritenuto più
trasparente, soggetto ad un controllo democratico e capace di garantire la
tenuta di un cornice istituzionale unica.
Tale dialettica si è tradotta in una tensione tra il Consiglio europeo, che ha ampliato la sua attività ben oltre i confini di attività di indirizzo politico che formalmente i Trattati gli attribuiscono, e la Commissione europea che ha cercato di fronteggiare il rischio di un depotenziamento politico della sua prerogativa di esercizio dell’iniziativa legislativa.
Va peraltro osservato che la Commissione Juncker dal suo insediamento ha inteso rivendicare il suo ruolo politico, anche se talune iniziative della Commissione hanno incontrato forti e diffuse resistenze in sede di Consiglio da parte di numerosi Stati membri: esemplari al riguardo risultano le difficoltà nell’attuazione concreta dell’Agenda sulla migrazione.
Da
ultimo, i capi di Stato o di governo dei 27 Stati membri dell'UE si sono
riuniti a Bratislava il 16 settembre 2016 per avviare una riflessione
politica sull'ulteriore sviluppo di un'UE con 27 Stati membri. In tale
occasione è stata approva una dichiarazione ed una tabella di marcia
per i prossimi mesi.
La dichiarazione e la tabella di marcia di Bratislava individuano obiettivi e misure concrete in tre ambiti:
· migrazione e frontiere esterne;
· sicurezza interna ed esterna, inclusa la difesa;
· sviluppo sociale ed economico, giovani.
E’ previsto che i lavori proseguano nell’ambito della prossimo vertice informale dei 27 Capi di Stato e di Governo che si svolgerà a fine gennaio 2017 a Malta e si concludano in occasione di un ulteriore vertice previsto a Roma nel marzo 2017, in occasione dell’anniversario dei 60° anni dei Trattati di Roma.
Nel programma di lavoro per
il 2017 la Commissione europea ha preannunciato la presentazione,
entro marzo 2017, di un Libro bianco sul futuro dell'Europa, che
comprenderebbe un capitolo sull'approfondimento dell'UEM, sulla base delle
indicazioni contenute nella relazione dei cinque Presidenti.
Si
segnala che la consapevolezza dell’esigenza di rilanciare il confronto sulle
prospettive dell’integrazione europea si è particolarmente acuita in seguito ai
risultati del referendum sulla permanenza del Regno unito nell’UE
(cosiddetta Brexit) e dell’elezioni presidenziali negli Stati Uniti.
L’elezione
del Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, sembra prefigurare un
rafforzamento della tendenza, già da tempo manifestatasi, al progressivo
disimpegno degli Stati uniti in Europa e Medio oriente. Ciò ha rilanciato il
dibattito sulla costruzione di una difesa europea. Ed a tale proposito, si
può osservare come la prospettiva di un rilancio della difesa europea
allo stato appare l’unico “cantiere” di natura istituzionale che è possibile
avviare a Trattati vigenti, sulla base di tutta una serie di disposizioni
già vigenti e che non sono state ancora pienamente sfruttate.
Il
dibattito rischia, altresì di subire forti condizionamenti nei prossimi mesi
per alcune importanti scadenze di politica interna dei principali
Stati membri e in particolare lo svolgimento:
· delle elezioni politiche nei paesi Bassi (15 marzo 2017);
· dell’elezione del Presidente della Repubblica in Francia (aprile e maggio del 2017);
· delle elezioni
federali in Germania (settembre del 2017).
Da ultimo, un ulteriore potenziale fattore di incertezza è costituito dal fatto che la successione dei turni di Presidenza del Consiglio dell’UE, prevede che, dopo la corrente Presidenza della Slovacchia, essa sarà esercitata dai seguenti Stati: Malta (I semestre 2017); Estonia (II semestre 2017); Bulgaria (I semestre 2018), Austria (II semestre 2018). In sostanza, si può osservare che dal prossimo semestre e fino a meta del 2018, la Presidenza di turno del Consiglio sarà esercitata da paesi che eserciteranno per la prima volta la Presidenza del Consiglio dell’UE e che, per le limitate dimensioni, presumibilmente disporranno di un più ridotto potere negoziale nell’intraprendere iniziative di riforma dell’UE.
Nel corso dei recenti mesi sono state avanzate
varie proposte di riforma le quali si connotano tuttavia per l’assenza di
un coerente e complessivo disegno strategico, laddove di volta in volta
viene posto l’accento sulla necessità di riforme di ordine ordinamentale ed
istituzionale o su riforme riferite a singoli ambiti delle politiche
europee, ed in particolare nell’ambito della governance
dell’Unione economica e monetaria e della difesa europea.
Si intende qui fare riferimento ai seguenti documenti:
· la relazione "Completare l'Unione economica e monetaria dell'Europa" (cosiddetta relazione dei cinque Presidenti) presentata il 22 giugno 2015, ed elaborata dal Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, in stretta collaborazione con il Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, il Presidente dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, il Presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, e il Presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz;
· la dichiarazione di Roma “Più integrazione europea: la strada da percorrere” del 14 settembre 2015, cui hanno aderito 15 Parlamenti[3];
· i progetti di relazione in corso di esame presso la Commissione per gli affari costituzionali del Parlamento europeo e in particolare: il progetto di relazione intitolata “Migliorare il funzionamento della costruzione dell’UE sulla base del potenziale del Trattato di Lisbona”, degli onn. Bresso e Brok (PPE); il progetto di relazione dell’on. Verhofstadt intitolata “Possibile evoluzione e adeguamento dell'attuale struttura istituzionale dell'Unione europea”. I progetti di relazione dovrebbe essere approvati in Commissione affari costituzionali l’8 dicembre e sottoposti all’esame dell’Assemblea plenaria del PE all’inizio del 2017;
· il contributo al processo di completamento dell'UEM presentato dal Governo italiano alle Istituzioni dell’UE il 22 febbraio 2016, intitolato “Una strategia europea condivisa per crescita, lavoro e stabilità”;
· la nuova Strategia globale per la politica estera e di sicurezza dell’UE, presenta dall’Alta Rappresentante, Federica Mogherini ed approvata dal Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2016 e il piano di attuazione in materia di sicurezza e difesa, presentato sempre dall’Alta Rappresentante ed approvato dal Consiglio dell’UE il 14 novembre 2016 e che dovrebbe essere avallato dal Consiglio europeo del prossimo dicembre.
In materia sono state prospettate, in
sintesi, le seguenti proposte:
· procedere verso un maggiore integrazione politica dell’UE, che potrebbe condurre ad un Unione federale di Stati, perseguendo il trasferimento di maggiori poteri alle istituzioni dell’UE e un ruolo più ampio die Parlamenti nazionali nel processo decisionale dell’UE (Dichiarazione di Roma);
· una riforma dei
trattati da realizzarsi attraverso una Convenzione[4], la
cui la convocazione dovrebbe essere decisa in occasione del 60°
anniversario dei Trattati di Roma (progetto di relazione Verhofstadt);
· formalizzare
- in occasione di una prossima revisione dei Trattati e al
fine di razionalizzare la attuale proliferazione di sistemi di geometria
variabile (cosiddetta “Europe à la carte”), causata delle esistenti clausole
di opt-out che dovrebbero essere sostituite dalla
proposta di creare un tipo di “Status di paese associato” per gli Stati
periferici che desiderano partecipare solo a margine o ad alcune
politiche specifiche dell’Unione - Tale status di membro associato
potrebbe essere attribuito anche al Regno Unito in esito al negoziato
che verrà avviato una volta che sarà stata notificata la decisione di uscire
dall’UE, a seguito del referendum del 23 giugno 2016. (progetto di
relazione Verhofstadt);
· modificare
il sistema di revisione dei Trattati, eliminando l’attuale l’obbligo di
ratifica da parte di tutti gli Stati membri e prevedendo che eventuali modifiche
ai Trattati possano entrare in vigore se ratificate da una maggioranza
qualificata di almeno i 4/5 degli Stati membri e abbiano ottenuto il consenso
del Parlamento europeo. Gli Stati che si rifiutino di ratificare le
modifiche ai Trattati dovranno decidere se avviare il processo di secessione
dall’Unione o preferire lo status di paese associato (progetto di relazione
Verhofstadt);
· reintrodurre un più chiaro, semplice e giusto sistema di risorse proprie dell’UE, superando l’attuale sistema fondato su contributi degli Stati membri in proporzione del PIL e prevedendo che le procedure decisionali relative sia alle risorse proprie che all’adozione del Quadro finanziario pluriennale siano adottate dal Consiglio non più all’unanimità ma a maggioranza qualificata (progetto di relazione Verhofstadt);
Si ricorda, al proposito, che la riflessione su una riforma del sistema è stata affidata a un gruppo interistituzionale ad alto livello, presieduto da Mario Monti, che presenterà le proprie raccomandazioni finali entro la fine del 2016.
In materia sono state prospettate, in sintesi, le seguenti proposte:
· il Consiglio
europeo, come previsto dai Trattati, dovrebbe limitarsi all’attività di
indirizzo politico, mentre le decisioni di natura legislativa dovrebbero
essere lasciate alla dialettica istituzionale tra Commissione, Consiglio e
Parlamento europeo (Relazione Bresso-Brok);
· al fine di consolidare il primato del metodo comunitario, la carica di Presidente del Consiglio europeo dovrebbe essere unificata con quella del Presidente della Commissione europea (progetto di relazione Bresso-Brok);
· rafforzare la legittimità del Presidente della Commissione europea, prevedendo che il Consiglio europeo si impegni a considerare i risultati delle elezioni europee nel decidere sul candidato alla Presidenza della Commissione europea da sottoporre a procedura di nomina da parte del PE (progetto di relazione Bresso–Brok e proposta del PE per la riforma della legge elettorale europea, v. infra);
In occasione delle elezioni per il Parlamento europeo del giugno 2014, i principali partiti politici europei hanno designato il proprio candidato alla carica di Presidente della Commissione europea. Sulla base dei risultati delle elezioni il Consiglio europeo ha poi proposto alla carica Jean Claude Juncker, candidato del gruppo PPE che ha conquistato la maggioranza relativa dei seggi al PE[5][6].
· abolire la previsione dell’articolo 15, poaragrago1, del TUE, secondo cui il Consiglio europeo non esercita funzioni legislative e integrare il Consiglio europeo in un Consiglio di Stati che possa partecipare al processo legislativo e garantire l’orientamento e la coerenza alle formazioni specializzate del Consiglio dell’UE;
· ridurre il numero dei membri della Commissione europea (progetto di relazione Verhofstadt);
· abolire i casi di votazione all’unanimità in seno al Consiglio, generalizzando il ricorso alla votazione a maggioranza qualificata (progetto di relazione Bresso-Brok);
· sostituire l’attuale sistema della rotazione semestrale della Presidenza del Consiglio con un sistema di Presidenze stabili (progetto di relazione Verhofstadt).
In materia sono state prospettate, in sintesi, le seguenti proposte:
· migliorare la trasparenza nel processo decisionale del Consiglio, consentendo la partecipazione di rappresentanti del PE in qualità di osservatori alle riunioni del Consiglio dedicate a dossier legislativi (progetto di relazione Bresso-Brok);
· attribuire formali poteri di iniziativa legislativa al Parlamento europeo e al Consiglio dell’UE, ques’ultimo qualificato come ”seconda Camera” (progetto di relazione Verhofstadt);
· rafforzare il ruolo del Parlamento europeo nella governance economica estendendo la procedura legislativa ordinaria a tutti i settori economici e fiscali (progetto di relazione Bresso-Brok);
· rafforzare il diritto di indagine del Parlamento europeo (progetto di relazione Verhofstadt);
· introdurre una
procedura di “Cartellino verde” che consenta ai Parlamenti nazionali
di presentare loro proposte legislative all’esame del Consiglio dell’’UE;
· consentire agli Stati membri di determinare la composizione delle delegazioni nazionali in sede di Consiglio dell’UE, prevedendo anche la possibilità della partecipazione di membri del rispettivo Parlamento nazionale (progetto di relazione Verhofstadt);
In materia sono state prospettate, in sintesi, le seguenti proposte:
· a
lungo termine, istituire, attraverso un Ministro europeo delle finanze,
combinando i ruoli esistenti del Presidente permanente dell'Eurogruppo e del
Vice-Presidente della Commissione incaricato per gli Affari economici e
finanziari (progetto di relazione Bresso–Brok e progetto di relazione Verhofstadt);
· garantire la rappresentanza unica della UE/eurozona nell'ambito del Fondo monetario internazionale (FMI), della Banca mondiale e delle altre istituzioni finanziarie internazionali (Relazione dei cinque Presidenti e progetto di progetto di relazione Bresso-Brok). La Commissione europea ha già presentato una proposta in tal senso;
· creare una struttura amministrativa del bilancio e del tesoro dell'UE simile al Budget Office del Congresso americano per supportare la funzione del Ministro europeo delle Finanze (progetto di relazione Bresso - Brok);
· integrare
il Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance
nell’Unione economica e monetaria (cd. Fiscal Compact) e
il Meccanismo europeo di stabilità (European stability mechanism,
ESM, cd. “fondo salva-Stati”) nella cornice giuridica dell’UE (Relazione
dei cinque Presidenti e progetto di relazione Bresso-Brok);
· dotare la Banca centrale europea dello status di prestatore di ultima istanza, attribuendole quindi i pieni poteri di una Banca centrale federale (progetto di relazione Verhofstadt);
· rafforzare il coordinamento
delle politiche economiche mediante l’adizione di un Codice di
convergenza da applicare a tutti i 28 Paesi membri dell’UE, recante linee
guida vincolanti (Relazione dei cinque Presidenti, progetto di relazione Bresso–Brok
e progetto di relazione Verhofstadt);
· rendere più
efficace l’attuazione della procedura per gli squilibri
macroeconomici, ivi compresi i surplus commerciali accumulati da
alcuni partner, tra i quali in primo luogo la Germania (Relazione dei
cinque Presidenti e documento del Governo italiano);
· istituzione di
sistema di stabilizzatori comuni per reagire agli shock, cui potranno
accedere i Paesi che avranno fatto le riforme (Relazione dei cinque
Presidenti e documento del Governo italiano);
· istituire
un comune servizio del debito, sulla base dell’impegno degli Stati
membri dell’eurozona a realizzare riforme strutturali volte a ridurre
la percentuale del rapporto tra debito e PIL verso la soglia del 60% (progetto
di relazione Verhofstadt);
· completare l’Unione bancaria con l'istituzione del sistema comune di assicurazione dei depositi (Relazione dei cinque Presidenti, e documento del Governo italiano e PE – progetto di relazione Verhofstadt).
Negli scorsi mesi si è registrata una costante intensificazione del confronto politico sul tema del rafforzamento della cooperazione europea nel settore della difesa e della sicurezza.
Per un verso, si registra l’esplosione di crisi e di conflitti in prossimità dei confini esterni orientali e meridionali dell’Europa; la crisi Russo-Ucraina, il conflitto in Siria, che ha avuto un immediato impatto su paesi limitrofi, anche in termini flussi di rifugiati, la perdurante instabilità in Libia.
In questo scenario si colloca, in coerenza con un trend di lungo termine, che ha avuto inizio a partire dagli anni ’90 e che con la Presidenza Obama si è accentuato, il progressivo disimpegno da parte degli Stati Uniti nei confronti del continente europeo, a vantaggio di un ricollocamento delle priorità strategiche degli Stati uniti in tale ambito nel Pacifico.
Per altro verso, il ripetersi di gravi attentati terroristici in Europa hanno suscitato un diffuso stato di allerta per quanto riguarda la sicurezza e la conseguente richiesta di un maggior coordinamento a livello europeo.
Da ultimo, l’esito del risultato del referendum sull’uscita del Regno unito dall’UE, uno dei paesi che in passato aveva manifestato resistenze allo sviluppo di piene capacità dell’UE in termini di difesa e sicurezza che non fossero sotto l’ombrello della NATO, ha rilanciato alcune iniziative (promosse in particolare dalla Francia e dalla Germania) per rafforzare la cooperazione europea in materia di difesa.
La prospettiva di un rilancio della difesa europea allo stato appare l’unico “cantiere” di natura istituzionale che è possibile avviare a Trattati vigenti, sulla base di tutta una serie di disposizioni già vigenti e che non sono state ancora pienamente sfruttate.
In
questo contesto si colloca la nuova Strategia globale, presentata
dall’Alta Rappresentante, Federica Mogherini, al Consiglio europeo del 28 e 29
giugno 2016, la quale, pur riconoscendo il ruolo della NATO per la
difesa collettiva, afferma che l’UE deve dotarsi di capacità ed autonomia
strategica sia per contribuire all’Alleanza atlantica sia per agire
autonomamente se e quando necessario.
La Strategia globale indica che l’UE deve dotarsi di capacità ed autonomia strategica in particolare attraverso le seguenti priorità:
· utilizzare
pienamente le disposizioni dei Trattati in merito a forme di cooperazione
rafforzata tra gruppi di Stati membri in materia di difesa;
Si ricorda che il Trattato di Lisbona ha previsto forme di cooperazione rafforzata specifiche per il settore della difesa. Il Trattato sull’ UE (artt. 42, paragrafo 6 e 46), come modificato dal Trattato di Lisbona, prevede che gli Stati membri che rispondono ai criteri più elevati di capacità militari possono stabilire una cooperazione strutturata permanente nell’ambito dell’Unione. Per istituire una cooperazione strutturata permanente non è richiesta alcuna soglia minima di Stati membri e il Consiglio la autorizza a maggioranza qualificata.
· migliorare
la convergenza strategica tra gli Stati membri in termini di sviluppo e il
mantenimento delle capacità di difesa, con l’obiettivo di una più stretta
cooperazione nelle politiche di investimento e dell’ottimizzazione dell'uso
delle risorse nazionali, da conseguire attraverso la sincronizzazione
graduale e il reciproco adeguamento dei cicli di pianificazione della difesa
nazionale. Un processo di riesame coordinato annuale a livello di UE per
discutere dei piani di spesa militare degli Stati membri potrebbe
instillare maggiore coerenza nella pianificazione della difesa e nello
sviluppo di capacità. Tale processo deve avvenire coerentemente con
il processo di pianificazione della difesa della NATO;
· gli Stati
membri devono destinare una quota sufficiente di spesa alla difesa,
usare le risorse nel modo più efficiente e soddisfare l'impegno
collettivo di destinare all'approvvigionamento di materiali e alla ricerca
tecnologia almeno il 20% degli stanziamenti complessivi per la difesa;
· le capacità
dovrebbero essere sviluppate all'insegna della massima interoperabilità e
convergenza e, se possibile, essere messe a disposizione per sostenere
l'UE, la NATO, le Nazioni Unite e altre iniziative multinazionali;
· rafforzare
la capacità di risposta rapida in ambito PSDC. A tal fine gli
Stati membri devono potenziare la schierabilità e l'interoperabilità delle
rispettive forze mediante attività di formazione ed esercitazioni. Occorre
eliminare gli ostacoli procedurali, finanziari e politici che
impediscono lo schieramento dei gruppi tattici (Battlegroups), si
frappongono alla costituzione della forza e riducono l'efficacia
delle operazioni militari PSDC;
· il
finanziamento dell'UE in ricerca e tecnologia della difesa,
dovrebbe condurre alla definizione di un vero e proprio programma nel
prossimo ciclo di bilancio pluriennale 2021-2027;
· promuovere
l’industria europea della difesa attraverso un mercato interno equo,
funzionante e trasparente, approvvigionamenti sicuri e un dialogo
strutturato con le industrie del settore della difesa e il coinvolgimento
delle piccole e media imprese.
·
L’Alta Rappresentante, Federica Mogherini, ha presentato, in occasione del Consiglio affari esteri dell’UE del 14 novembre 2016, il piano di attuazione della Strategia globale in materia di sicurezza e difesa che è stato approvato dal Consiglio dell’UE che ha, altresì adottato delle conclusioni in merito e che dovrebbe ricevere l’avallo politico in occasione del Consiglio europeo dell’15 e 16 dicembre 2016.
Le conclusioni del Consiglio dell’UE, per quanto riguarda in particolare i profili istituzionali, prevedono che l’Alta Rappresentante presenti nella primavera del 2017, tra le altre, proposte per:
· l’avvio dell’esame delle potenziali di una cooperazione strutturata permanente in ambito PSDC;
· l’istituzione di una capacità permanente di pianificazione operativa e conduzione a livello strategico per le missioni militari senza compiti esecutivi;
Si ricorda la proposito che Italia, Germania, Francia e Spagna hanno recentemente presentato una proposta di istituire un Quartier generale europeo per le missioni PSDC.
· l’istituzione di una procedura di revisione coordinata annuale sulla difesa sotto la guida degli Stati membri, volta a promuovere lo sviluppo delle capacità ovviando alle carenze, intensificare la cooperazione in materia di difesa e garantire un utilizzo ottimale e la coerenza dei piani di spesa nazionali;
· per il rafforzamento della utilizzabilità e schierabilità degli strumenti di reazione rapida dell’UE, inclusi i gruppi tattici (EU Battlegroups).
L’Assemblea del Senato, nella risoluzione approvata il 17 febbraio 2016 (Zanda ed altri n. 6-00158) in esito alle comunicazioni del Presidente del Consiglio sul Consiglio europeo del 18 e 19 febbraio 2016 ha impegnato il Governo a rilanciare il dibattito più generale sul futuro dell'Europa, valorizzando appieno le potenziali convergenze con i Paesi di analoga sensibilità e adottando, in coordinamento con gli Stati membri che fanno parte dell'attuale trio di Presidenze (olandese, slovacca e maltese), le necessarie iniziative, sia sul piano politico che su quello della informazione, affinché il sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma venga adeguatamente valorizzato, assicurando altresì uno stretto coordinamento fra le amministrazioni più direttamente interessate e una puntuale informazione del Parlamento secondo le modalità stabilite dalla legge n. 234 del 2012.
La 14° Commissione Politiche dell’Unione europea nella risoluzione approvata il 17 febbraio 2016 (7-00200) in esito all’esame del programma di lavoro della Commissione europea, della relazione programmatica sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea nel 2016 e del programma di diciotto mesi del Consiglio dell’Unione europea, ha impegnato il Governo:
· a promuovere ogni opportuna iniziativa, in vista delle celebrazioni, il 25 marzo 2017, del 60° anniversario dalla firma dei Trattati di Roma, al fine di stimolare il dibattito e la riflessione sul futuro del progetto europeo e sulla sua irrinunciabilità per l'Italia;
· a promuovere la legittimità democratica del processo decisionale europeo, e il riavvicinamento dei cittadini europei alle Istituzioni dell'Unione, favorendo un rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali;
· a promuovere in sede europea l'esigenza di procedere lungo la strada di una maggiore integrazione politica tra gli Stati membri, a fronte di un contesto sempre più globalizzato, dovuto all'emergere delle nuove potenze economiche mondiali;
· a sostenere, nonostante il parere contrario di alcuni parlamenti nazionali, il progetto sulla legge elettorale europea, presentato ad iniziativa del Parlamento europeo.
L’Assemblea della Camera, nella risoluzione approvata il 17 febbraio 2016 (Rosato ed altri n. 6-00201) in esito alle comunicazioni del Presidente del Consiglio sul Consiglio europeo del 18 e 19 febbraio, ha impegnato il Governo ad assicurarsi che l'espressione «Unione sempre stretta fra i popoli europei» mantenga il suo valore politico per consentire di promuovere forme di integrazione più stretta, con vocazione federale, tra gli Stati membri dell'Unione che lo desiderano, assecondando richieste di un maggiore coinvolgimento dei Parlamenti nazionali solo a condizione di non introdurre nuove forme di veto o di freno inopportuno ai processi decisionali europei.
Nella risoluzione Rosato ed altri n. 6-00214 approvata, sempre dall’Assemblea della Camera, il 16 marzo 2016, in esito alle comunicazioni del Presidente del Consiglio sul Consiglio europeo del 17-18 marzo, si sottolinea, tra le altre cose, l’esigenza di:
· continuare a promuovere nelle sedi europee l’adozione di politiche volte ad utilizzare pienamente i margini di bilancio per sostenere la ripresa, seppur attraverso una gestione responsabile, nella consapevolezza che un ritmo sostenibile di crescita e di creazione di posti di lavoro è il modo più efficace per assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche;
· favorire la promozione degli investimenti e l’attivazione di meccanismi anticiclici, ove possibile anche mediante la costituzione di un’autonoma e adeguata capacità di bilancio europea e l’emissione di debito comune (“eurobond”);
· promuovere lo sviluppo di strumenti comuni per facilitare aggiustamenti dei mercati del lavoro europei in caso di shock avversi, attraverso la costituzione di un fondo e di uno schema di assicurazione contro la disoccupazione ciclica.
L’Assemblea della Camera, nella seduta del 30 marzo 2016, in esito all’esame del programma di lavoro della Commissione europea per il 2016, della relazione programmatica sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea nel 2016 e del programma di diciotto mesi del Consiglio dell’Unione europea, ha approvato una risoluzione (Berlinghieri ed altri 6-00223) nella quale, tra le altre cose, ha impegnato il Governo:
· consolidare il proprio ruolo nel percorso di rilancio dell'integrazione politica europea, che sola può offrire una risposta ai problemi globali che l'Europa è chiamata a fronteggiare e ad insistere per il conseguimento dell'itinerario indicato nel documento dei cinque Presidenti per il completamento dell'unione economica e monetaria;
· ad adoperarsi affinché sia dato seguito alle proposte attualmente in discussione presso la Commissione Affari costituzionali del Parlamento europeo sul miglioramento del funzionamento dell'Unione sfruttando le potenzialità del Trattato di Lisbona, con particolare riferimento alla valorizzazione delle istituzioni parlamentari, sia per quanto concerne il Parlamento europeo sia per quanto riguarda i Parlamenti nazionali, e alla semplificazione dell'articolazione istituzionale dell'Unione; ciò anche al fine di concorrere utilmente al necessario recupero di consenso e legittimazione dell'Unione europea presso i cittadini;
· a continuare a promuovere, d'intesa con i Paesi che fanno parte dell'attuale trio di Presidenze e con gli altri Paesi potenzialmente «like minded», a cominciare dai Paesi fondatori, le necessarie iniziative, sia sul piano politico che su quello della informazione, affinché il 60° anniversario della firma dei Trattati di Roma venga adeguatamente valorizzato, adoperandosi per farne, oltre che un momento celebrativo, anche una tappa fondamentale nel percorso di riscoperta e rilancio della integrazione europea.
[1] Nel 2004 sono diventati membri la Repubblica ceca, Cipro, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovacchia e Slovenia; nel 2007 Bulgaria e Romania e, da ultimo, nel 2013 la Croazia.
[2] L’istituto della cooperazione rafforzata, introdotto, dal Trattato di Amsterdam nel 1997 e successivamente modificato proprio dal Trattato di Lisbona, si fonda sull’ammissione della possibilità di deviare parzialmente dal modello di integrazione uniforme per realizzare integrazioni differenziate secondo un’ipotesi che in dottrina è stata definita come “Europa a più velocità”. Rispondono a tale modello gli accordi di Schengen e gli accordi internazionali posti in essere per fronteggiare gli effetti della crisi economico-finanziaria (dal two-pack al six-pack, dal fiscal compact all’istituzione del ESM – meccanismo europeo di stabilità).
[3] Oltre alle Camere promotrici (Camera dei deputati italiana, Assemblea nazionale francese, Bundestag tedesco e Parlamento lussemburghese) hanno firmato la dichiarazione i seguenti Parlamenti/Camere: Consiglio nazionale e Consiglio federale austriaci; Senato belga; Parlamento cipriota; Parlamento greco; Parlamento portoghese; Camera dei deputati ceca; Camera dei deputati romena; Parlamento sloveno; Congresso dei deputati e Senato spagnoli.
[4] L’art. 48, paragrafo 3, del TUE, che disciplina la procedura di revisione ordinaria dei Trattati, prevede che il Consiglio europeo convochi una Convenzione composta da rappresentanti di Parlamenti nazionali, dei capi di Stato o di Governo degli Stati membri, del Parlamento europeo e della Commissione con il compito di esaminare i progetti di revisione dei Trattati.
[5] L’art. 17 del Trattato sull’UE (TUE) prevede che spetti al Consiglio europeo, tenuto conto delle elezioni del PE, di proporre a maggioranza qualificata al PE un candidato alla carica di Presidente europeo, che è eletto a maggioranza dei membri del PE. Il Trattato non prevede dunque formalmente che il Consiglio europeo sia obbligato a proporre come candidato alla Presidenza della Commissione europea il candidato del Partito politico europeo ha la maggioranza relativa dei seggi nel PE.
[6] Nel corso della discussione in sede di Consiglio sulla proposta del PE di riforma dell’Atto elettorale che disciplina l’elezione del PE, risulterebbe da documento di lavoro della Presidenza olandese che tutte le delegazioni, ad eccezione di una (che, secondo notizie riporta da agenzia stampa, risulterebbe essere quella Italiana), abbiano espresso contrarietà alla proposta del PE di formalizzare la procedura di designazione dei candidati alla Presidenza della Commissione europea, in quanto limiterebbe le prerogative del Consiglio europeo previste dal TUE.